Treni merci addio. L’Italia si avvia a conquistare anche il record di primo paese d’Europa senza un servizio cargo pubblico su rotaia. Il traguardo non è lontano e le Ferrovie fanno di tutto per raggiungerlo il più in fretta possibile. I dati forniti al Fatto dagli operatori del settore sono molto negativi. Secondo Giacomo Di Patrizi, presidente di FerCargo, l’associazione delle imprese del trasporto merci, dal 2006 al 2010 il traffico è sceso da 68 milioni di treni al chilometro a 42 milioni. Nel 2009 il calo è stato superiore al 30 per cento e quest’anno è previsto un altro arretramento dell’8. La quota di traffico su ferro è ormai appena il 6 per cento del totale delle merci trasportate, la metà della media europea. Su questa Waterloo dei binari pesa ovviamente la crisi economica, ma l’arretramento è ormai strutturale, frutto soprattutto di una scelta deliberata dalle Fs assecondata, di fatto, dal governo. Sono anni, per la verità, che la divisione merci Fs zoppica vistosamente, ma il fenomeno ha avuto un’accelerazione negli ultimi tempi ed è andata del tutto delusa la speranza che l’arrivo di un “ferroviere” alla guida dell’azienda dei treni, un tecnico come Mauro Moretti, potesse invertire la tendenza e riportare gradualmente anche il cargo italiano verso livelli europei. Alla fine del primo mandato e all’inizio del secondo, il bilancio dell’era Moretti per le merci è in netto passivo. Il nuovo amministratore tratta il settore come una cenerentola, peggio, come una zavorra di cui liberarsi perché non fa utili, proprio come il trasporto pendolari e quello passeggeri sulle lunghe percorrenze. Per Moretti, e per il governo che gli lascia mano libera, solo i treni redditizi, i Freccia Rossa , Argento e similari, sono meritevoli di attenzione. Con buona pace della natura pubblica delle Fs, azienda di proprietà del ministero dell’Economia, tenuta all’erogazione di un servizio universale per i cittadini e le merci.
IN CONTROTENDENZA
Sintetizza il presidente FerCargo: “Ci stiamo avviando verso l’estinzione del trasporto merci su ferro; il governo consente al gestore dell’infrastruttura, la società Rfi delle Ferrovie, di ridurre il numero di scali disponibili e di porre maggiori vincoli e pretendere prezzi più alti per l’accesso a quelli rimasti disponibili”. Durissima anche Assoferr, l’associazione degli operatori ferroviari intermodali: “Le Fs pensano solo all’Alta velocità passeggeri che sta progressivamente distruggendo il sistema ferroviario merci italiano sia convenzionale sia intermodale”. Per Giovanni Luciano, segretario trasporti Cisl, “il trasporto merci è dimenticato proprio nel momento in cui in Europa tutti puntano sui trasporti puliti”. Moretti finora ha affrontato il tema con una logica più da contabile che capo azienda. Invece di riorganizzare il servizio per renderlo più efficiente e conveniente, si è concentrato sul contenimento delle perdite, obiettivo senz’altro lodevole, ma strategicamente asfittico. Rispetto a un rosso di 300 milioni e passa di euro all’anno, ora la divisione merci Fs viaggia sui 200. Ma dal punto di vista dell’economia dei trasporti non è un gran risultato, perché sull’altro piatto della bilancia ci sono migliaia di imprese costrette a trasferire le merci dai treni alla strada con costi maggiori.
IL MOMENTO DEI TIR
Da aprile a queste aziende le Fs negano la possibilità di spedire singoli carri costringendole ad organizzare un treno completo. Ovvio che soprattutto le medie e piccole abbiano rinunciato ai binari e obtorto collo si siano rivolte ai padroncini dei camion e dei tir. Ancora nessuno sa quanto costerà al sistema Paese questo spostamento forzoso anche in termini di sicurezza sulle strade. Di certo, però, il costo economico complessivo sarà di gran lunga superiore dei 100 milioni di euro di minori perdite incamerati dalle Fs. E mentre le Ferrovie si ritirano dal mercato italiano, comprese le aree ricche del Nord, al loro posto si fanno avanti i colossi europei che fiutano l’affare, da Deutsche Bahnhof, le ferrovie tedesche, a Sncf, i francesi, alle ferrovie svizzere. Nel Centro e nel Sud, inoltre, è tutto un proliferare di nuove società cargo private, almeno una decina, impegnate a occupare il vuoto lasciato dall’azienda di Moretti.
L’impostazione del capo Fs, però, piace all’azionista unico, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che infatti tace e quindi acconsente. Il governo fa anche di peggio: non solo si rende complice della ritirata dai binari, ma favorisce in tutti i modi i padroncini dei camion. Molto più di altri esecutivi del passato, il governo Berlusconi ha scelto la strategia della gomma foraggiandola con la bellezza di circa un miliardo di euro di incentivi all’anno. A cui di recente ha aggiunto un altro regalo, infilato quasi di soppiatto nel decreto per la privatizzazione della compagnia di navigazione Tirrenia.
TARIFFE MINIME
Il dono si chiama “provvedimento sulle tariffe minime” e permette alle società di trasporto e ai camionisti di fissare un prezzo al di sotto del quale non è consentito scendere. In pratica è un assist alle intese di cartello, contro gli interessi di chi spedisce le merci. Il giorno prima dell’approvazione il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, di solito prudente e misurato, è arrivato addirittura ad invitare i parlamentari a non votare a favore del testo preparato dal governo. E anche Confindustria ha criticato la scelta, mentre il senatore Luigi Zanda (Pd) se l’è presa con il malcostume di mimetizzare provvedimenti importanti come questo all’interno di altri testi.
Il sottosegretario alle Infrastrutture, Bartolomeo Giachino, ha sostenuto la scelta pro-padroncini con un’argomentazione da antologia: “L’Italia è un paese in cui l’autotrasporto dispone di un potere e di armi che nessun altro ha nell’economia”. Come i camionisti ai tempi del colpo di Stato di Pinochet in Cile, insomma. Siccome gli autotrasportatori dell’Unatras stavano minacciando il blocco dei Tir ad agosto, con una botta di coraggio decisioni-sta il governo ha deciso di affrontarli cedendo. Li ha accontentati in pieno, fornendo loro, oltretutto, altre munizioni per presentarsi più forti al prossimo scontro e al prossimo inevitabile ricatto.