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Titti Marrone
Addio a Valenzi, il sindaco rosso
24 Giugno 2009
Articoli del 2009
Il ricordo di Maurizio Valenzi, il primo sindaco comunista di Napoli. Su Il Mattino, 24 giugno 2009 (m.p.g.)

Per un soffio Maurizio Valenzi ha mancato l’appuntamento con il centesimo compleanno: sarebbe stato il 16 novembre se la sua tempra indomita avesse ancora retto. Chissà ora quanto Napoli ricorderà e piangerà il suo primo sindaco comunista, quello con la coppola che sorrideva da un manifesto affisso nei primi anni Ottanta, lo stesso a cui molti, da opposte sponde politiche, tributarono il top della popolarità in anni durissimi per la città. Ma se rimpianto sarà, non potrà nascere da commozione convenzionale. Perché ricordare l’esistenza piena di Maurizio Valenzi - così ricca di passioni, avventure, incontri, scelte, amici, compagni, affetti - sarà un esercizio di stile offerto da una vita in cui la parola «politica» teneva unite tutte queste cose insieme. L’ultima lezione di una vita leonina, a fronte di tante esistenze contemporanee da conigli della politica. Maurizio Valenzi ha vissuto vicende difficili come l’arresto, la tortura con l’elettricità, la condanna all’ergastolo e ai lavori forzati da parte del regime fascista di Vichy, l’internamento per un anno a Lambése, Algeria.

È stato - esperienza non meno dura - sindaco di Napoli per otto anni di lacrime e sangue, dal 1975 al 1983 superando il dopo-colera e un sisma non solo tellurico. Ma tutto sempre con piglio deciso, e tenendo a dire che il suo era un bilancio più che attivo: tanto da apporre alla storia della propria vita, pubblicata da Pironti, il titolo Confesso che mi sono divertito, parafrasi dell’autobiografia dell’amico Neruda Confesso che ho vissuto. Soprattutto dopo la morte della moglie Litza, amava sfogliare con amici più giovani il libro di ricordi che si portava in mente, quando lo si andava a trovare nel mitico «palazzo con le colonne» spalancato sul mare in cima a via Manzoni. Ancora raccontava, diceva di sè, confrontava le sue esperienze con quelle in corso. Si allenava, esercitava la sua mente come per scaldarsi, come se fosse sempre sul punto di tornare in campo. Tutto sembrava riguardarlo, per ogni cosa aveva un’opinione, un punto di vista. Era l’inevitabile conseguenza di una vita vissuta sempre prendendo partito, esponendosi, non restando mai alla finestra. E forse in quest’impulso verso la realtà giocava un ruolo anche l’origine ebraica, mischiata con i primi trent’anni di vita vissuti ai margini della geopolitica mondiale, in una Tunisia che nei suoi ricordi era però una fucina di incontri ed esperienze formative.

Maurizio Valenzi era nato a Tunisi il 16 novembre 1909 da una famiglia del gruppo dei «grana», ebrei livornesi. Suo padre Amedeo Valensi faceva il rappresentante, e un errore di trascrizione burocratica ne avrebbe mutato il cognome in «Valenzi». A sentire Maurizio, l’amore per Napoli era un destino scritto nel libro bianco della sua esistenza ancor prima che cominciasse. Solo dopo dieci anni di matrimonio, dopo una terapia prescritta a Napoli da Antonio Cardarelli, Pia rimase incinta di Maurizio, venuto alla luce settimino e dunque già impaziente, con la vita che gli urgeva. Di lì a poco, da rue d’Alger, la famiglia si trasferì in rue de Naples: ancora il destino. Il ragazzo venne su in un ambiente lieto, stimolante, ricostruito di recente dalla figlia Lucia nel libro Italiani e antifascisti in Tunisia alla fine degli anni Trenta (Liguori), con amici di nome Cohen, Barresi Bensasson, e con Loris Gallico, con cui avrebbe poi redatto «L’italiano di Tunisi». Il padre Amedeo lo avrebbe volentieri coinvolto nel suo lavoro, lui invece volle andarsene a Roma, per seguire uno dei suoi grandi amori, la pittura, cui il soggiorno parigino del 1937 avrebbe dato nuova linfa.

Sedotto da Modigliani, Matisse e Picasso, sodale di Moses Levy, Carlo Levi, Mario Mafai, trasferì all’inchiostro di china, al pennello e all’acquerello la sua attitudine a scrutare la realtà. Fondendo politica e pittura nei tanti ritratti di amici come Giorgio Napolitano, Gerardo Chiaromonte, Mario Palermo, Renato Caccioppoli. E in verità ben prima, a Tunisi, c’era stata la scoperta dell’altro grande amore, la politica, che nel 1935 lo aveva portato a iscriversi al Partito Comunista Tunisino con un gruppo di amici. Due anni dopo ritroviamo Maurizio Valenzi a Parigi, con l’incarico di collegare il gruppo dei comunisti tunisini al centro estero del Pci, nella redazione de «La Voce degli italiani» diretta da Giuseppe Di Vittorio. Nel 1939 Valenzi è di nuovo a Tunisi, dove incontra Giorgio Amendola e Velio Spano, e alla fine dell’anno sposa Litza Cittanova, con cui condivide passioni di cuore e mente, l’amore per i due figli Marco e Lucia e alla fine anche il carcere, dove la stessa Litza viene reclusa dal luglio al novembre 1942.

Ma il primo incontro pieno e vero di Valenzi con Napoli avviene per decisione del Pci, che lo manda qui a preparare il ritorno di Togliatti dall’Urss. Pagine tra le più belle dei suoi ricordi, raccolti e splendidamente restituiti da Pietro Gargano in C’è Togliatti! (Sellerio). Valenzi vive da protagonista la «svolta di Salerno» e si radica a Napoli, disponibile negli anni a tutta la trafila destinatagli dal partito: è funzionario, consigliere provinciale, poi senatore e infine parlamentare europeo. «Io sono stato tra quelli chiamati a volte riformisti, a volte miglioristi», disse in un’intervista per i novantacinque anni. «E non a caso in un momento in cui eravamo lontani da quelli che siamo ora, io fui eletto sindaco di Napoli». Correva l’anno 1975, sembrò una buccia di banana graziosamente deposta ai piedi della sinistra a due anni dal colera, con la città ancora a pezzi. Anche perché l’elezione avvenne con una maggioranza relativa e le giunte Valenzi, susseguitesi per otto anni, dovettero far conto sull’appoggio esterno della Dc in occasione del voto per il bilancio.

Da qui l’unico vero rimpianto di Valenzi: «Non aver potuto governare la città con una maggioranza stabile». Fu forse il ricordo di quella disparità di condizioni che, sulle prime, indusse Valenzi a guardare con qualche diffidenza all’esperienza di Bassolino all’inizio del primo mandato a sindaco. Allora il vecchio leone non mancò d’indirizzare i suoi strali al secondo sindaco di Napoli venuto dal comunismo: «Al posto suo non mi sarei scapicollato in ascensore con il cardinale per portare i fuori alla statua della Madonna sulla guglia di piazza del Gesù. E nei giorni del G7 non avrei fatto tante moine a Berlusconi», mi disse. Una delle ultime apparizioni in pubblico di Maurizio Valenzi è stata in occasione dei suoi 97 anni, quando a Santa Maria La Nova l’associazione intitolata a un altro sodale, Gaetano Macchiaroli, organizzò una mostra di suoi disegni e dipinti, corredata da un catalogo introdotto da Giorgio Napolitano. Allora lui si fermò a lungo a guardare un suo disegno datato 1979, con una didascalia scritta di suo pugno che diceva così: «Estate a Napoli. Una folla di giovani ascolta al maschio Angioino un concerto di Beethoven interpretato dall’orchestra del San Carlo. Forse vale più di un comizio riuscito».

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