. Il manifesto, 01 luglio 2016 (p.d.)
Il migliore albergo d’Europa non ha la piscina. Nessun minibar nelle stanze. Non è nemmeno previsto il servizio in camera. Il miglior albergo in Europa è il City Plaza Hotel di Atene (http://best-hotel-in-europe.eu/), dove 400 migranti (180 i bambini) vivono da un mese e mezzo in condizioni di dignità ormai rarissime nei tempi in cui la Fortezza Europa chiude le proprie frontiere sul mediterraneo siglando accordi con la Turchia.
Sono persone intrappolate dallo sbarramento delle rotte che dai Balcani dovevano portarli a nuove vite, tentativi di scappare alla guerre siriane, alle instabilità irachene, agli orrori palestinesi, alla disperazione afghana, alle repressioni curde. Tutte situazioni nelle quali è facile distinguere il ruolo dell’occidente, lo stesso occidente che poi respinge questi corpi alle frontiere, li chiude in centri senza che abbiano commesso alcun reato, li trasferisce in un paese che, su mandato dell’unione europea, li isola in campi di detenzione.
Pratiche e politiche aberranti che rendono il City Plaza un monumento alla dignità umana, al rispetto della persona, un posto dove «nel bilanciamento di interessi si sceglie di dare priorità alla solidarietà». Fa male pensare al City Plaza come a un’eccezione nata dalla intelligente osservazione, da parte di un’associazione di attivisti, la Diktio, vecchia di vent’anni, di quello di cui davvero avevano bisogno i migranti, di quali erano le azioni necessarie per restituire loro il decoro esistenziale.
Ci racconta Olga, che per parlarci deve lasciare la reception del Plaza, dove stanno compilando le liste dei bambini che da settembre andranno a scuola (pochi i siriani, per i quali sono aperte le quote previste dall’accordo) nel centralissimo quartiere di Victoria, che la lotta è consistita nel dare ai migranti una soluzione stabile e mostrare al governo che questo era possibile.
«Questo processo è cominciato la scorsa estate, quando, per l’intensificazione degli sbarchi, i ministri decisero di aprire il primo campo, vicino Atene. Noi eravamo presenti portando lì, e anche nei luoghi di incontro dei migranti, beni di prima necessità, supporto medico. Si trattava di uomini in transito, che volevano rimanere in Grecia solo per qualche giorno. La chiusura della rotta balcanica all’inizio di marzo e, subito dopo, l’accordo Ue-Turchia hanno interrotto la transitorietà di questi flussi. A far nascere, potente, l’esigenza di una collocazione dignitosa per i tanti migranti che le politiche europee avevano reso prigionieri senza libertà di movimento».
Ci spiegano qui che è stato in questo passaggio, nell’esigenza di radicare una organizzazione stabile per rispondere a delle necessità stabili, che il movimento di solidarietà è diventato «più politico», facendosi promotore di manifestazioni per i diritti dei migranti. Due gli slogan: «libertà di movimento, ma anche diritto di restare».
L’altro tassello di questa storia è fatto da un palazzo alto sette piani. Una volta era un hotel di lusso, posto in uno dei quartieri più centrali di Atene. Fallito sette anni fa, si stagliava con la sua insegna viola come monumento alla crisi finanziaria, questioni di crediti non erogati, di banche, del collasso greco, dei ricatti europei. E ritorna quel bilanciamento di interessi che è protagonista in ogni scelta politica: cosa vale di piu? La proprietà privata? La solidarietà?
In cento attivisti hanno occupato il Plaza ormai quasi due mesi fa. In un salone giocano una quarantina di bambini, c’è entusiasmo per la notizia della scuola che inizia a settembre. Chiedono diari e penne, si vogliono preparare.
I migranti ospitati in tutto sono 400, vengono dall’iraq, dall’Afganistan, dalla Palestina, altri sono curdi e siriani. Sperimentano un modello di coesistenza e di autorganizzazione. Ci sono dei disabili, alcuni con malattie croniche.
Ogni nucleo ha una stanza con bagno, che per tutti significa trovare nel loro viaggio, per la prima volta, sicurezza e dignità. C’è un ambulatorio dove vengono per le visite medici volontari, gli stessi che hanno contribuito a creare quella storia dal basso di mutuo soccorso finita con l’elezione di Syriza. C’è una dispensa con i beni donati suddivisi per bagnoschiuma, pannolini per bambini asciugamani, lenzuola. Molti portano scorte alimentari, in modo da assicurare una colazione e due pasti al giorno.
I migranti si occupano del City Plaza come di un oggetto prezioso, un miraggio nel deserto. I bambini tolgono le briciole dei craker dal tavolo, fanno attenzione a colorare nel perimetro dei fogli per non macchiare le tovaglie. Il City Plaza ha subito spesso attacchi da parte di gruppi di estrema destra, non è un quartiere facile questo. Ma col tempo le persiane dei vicini, rimaste chiuse nelle prime settimane, si sono aperte. Un cane randagio che vagava moribondo per strada è stato adottato e curato dagli occupanti: il quartiere ha reagito a una immagine così potente, così capace di essere simbolo, facendosi accogliente.
«Il nostro obiettivo – continua Olga – non può essere dare una casa a tutti, non è realistico. Il nostro obiettivo e dare l’esempio di un differente e possibile tipo di gestione della presenza dei migranti. Ora siamo in 400. Viviamo in uno stabile che non funzionava da sette anni. Non abbiamo interrotto alcuna attività. Non c’era nessuno che lavorava qui. Le stanze sono tutte occupate, non possiamo accettare e vagliare alcuna altra richiesta e ce ne capitano molte, naturalmente. Ma noi vogliamo essere un modello di residenza, non un campo».
Certo, sottolinea Olga, che la presenza al governo di Syriza contribuisce in qualche modo a legittimare il progetto. Ma sembra altrettanto vero che sgomberare 400 migranti per mandarli per strada non sembra poter essere l’obiettivo di nessun governo. Un’esperienza che che solleva qualche contraddizione: il Plaza, con diecimila euro al mese e moltissima solidarietà, offre dignità a 400 persone, incoraggiando, al contempo, la loro indipendenza. Esiste un modello alternativo migliore? Finora non sembra.