Il dibattito nato attorno alle proposte di referendum sulla gestione dell'acqua vede in campo tante voci. Capisco che non è facile sfuggire alle schematizzazioni che di posizioni tendono a riconoscerne solo due: chi promuove i referendum è a favore dell'acqua pubblica, tutti gli altri sono per la privatizzazione. Capisco che non è facile, ma ci provo lo stesso. Io e tanti ecologisti del Pd condividiamo l'obiettivo fondamentale dei promotori dei referendum: impedire la privatizzazione forzata e obbligatoria dei servizi idrici voluta da questo governo, affermare il principio che i servizi idrici non sono un affare del mercato. E, detto per inciso, rivendichiamo come nostro merito quello di avere portato su questa stessa posizione quasi tutto il Pd, che nella sua pur breve storia aveva mostrato su tale materia indirizzi non proprio univoci (chi si ricorda il disegno di legge dell'allora ministro Lanzillotta, che equiparava l'acqua ai servizi locali di rilevanza economica?). Dopo di che, molti di noi hanno dubbi di metodo e di merito sull'iniziativa referendaria. Non è un'opinione, è un fatto, che negli ultimi 15 anni ogni volta che si sono raccolte firme a sufficienza per indire un referendum e poi si è andati al voto, la partecipazione è rimasta ben al di sotto del quorum. Il rischio assai concreto è che un'eventuale ripetizione dello stesso scenario - francamente probabile - suoni come certificazione dello status quo, come definitivo via libera alla privatizzazione dei servizi idrici. Qualcosa di analogo del resto è accaduto in altri casi recenti: per esempio con il referendum sulla fecondazione assistita, e ancora se ne pagano le conseguenze.
Quanto al merito dei quesiti, io non penso affatto e non ho mai sostenuto - come mi fa dire Andrea Palladino sul manifesto - che nel caso dell'acqua «la questione centrale è quella del prezzo». Invece ritengo, questo sì, che accanto al tema del carattere pubblico del servizio idrico - assolutamente centrale - ce n'è un altro non meno importante: quello di un uso razionale della risorsa acqua, che è un bene naturale scarso e che va utilizzato con parsimonia. Perciò, io credo, mentre è sacrosanto riaffermare il principio che il costo dei servizi idrici dev'essere in parte a carico della fiscalità generale, bisogna al tempo stesso fare in modo che la tariffa soddisfi due condizioni entrambe decisive: una fascia sociale che dia a tutti la disponibilità di acqua per i bisogni essenziali (40/50 litri per persona al giorno; oggi il consumo pro-capite è ben sopra i 200), forme di progressività che scoraggino gli sprechi e gli usi impropri. Questi criteri, che si è cercato di calare nella proposta di legge del Pd, sono gli stessi che animano da decenni le mobilitazioni del movimento ecologista sul tema. Tacciarli, come fa Daniela Preziosi sempre sul manifesto, di «cautele bersaniane condivise dall'area vicina a Legambiente», o considerarli, come fa ancora Palladino, una sorta di stampella offerta a gestioni inefficienti e opache del servizio idrico fino a quella, famigerata, di Acqualatina, mi pare ridicolo.
Il concetto espresso dal senatore Della Seta (Pd) era chiaro: dato che l'acqua è una risorsa scarsa ne va regolato l'uso attraverso il prezzo, che in Italia è troppo basso. Per quanto riguarda la questione del prezzo sociale è utile ricordare che questa tipologia è molto spesso finanziata dal pubblico e non dai gestori idrici privati. Questo avviene, ad esempio, con Acqualatina, dove la tariffa sociale è pagata dalla Provincia di Latina. (a.p., d.p.)