Assistere agli spettacoli da dannati della terra» offerti, oggi come ieri, da Cpa e Cie – e per di più nel nostro paese con milioni dei case vuote da rendita finanziario-immobiliare – è mostruosamente grottesco e inaccettabile. Sono da condividere le uscite di coloro che in queste ore ricordano i continui e clamorosi tragici fallimenti delle strutture a grande concentrazione di immigrati, le tristi sigle di questi anni: Cpa, Cie , Cat, per indicare soluzioni molto diverse. Così come da condividere sono le posizioni di chi – come Luigi Manconi- argomenta la sostanziale mistificazione che sta dietro alla categoria di clandestino; laddove sostanzialmente tutti coloro che arrivano (ormai riconosciuti e schedati) fuggono da disastri sociali o bellici o ambientali.
Il frettoloso annuncio di «una stretta a controlli e espulsioni» rischia di mettere in crisi quel poco di buono che il governo – tramite le prefetture – sta esprimendo, in termini di presa d’atto dei fallimenti delle macrostrutture citate (a parte sprechi ,corruzione e mafie) e di cooperazione con i comuni disponibili e con l’Anci per l’inserimento di ridotti nuclei di migranti in quanti più comuni possibile. Tali strategie possono e devono diventare politiche permanenti nel periodo medio-lungo . Da comprendere nelle azioni di riqualificazione urbanistica e sociale di città e territori.
In Italia infatti a fronte delle migliaia di migranti spesso concentrati nelle stesse strutture in condizioni bestiali, esiste un patrimonio vuoto o inutilizzato di case o appartamenti superiore ad otto milioni di unità (Istat,2011) ; di queste quasi il 60 % sono effettivamente vuote . Mentre circa 450.000 edifici risultano completamente abbandonati. E parliamo solo di abitazioni, perché se aggiungiamo i volumi ex industriali e commerciali le cifre crescono di molto.
Il «vuoto nazionale» è talmente rilevante da costituire un enorme monumento allo spreco sociale , economico e ambientale.
Un problema è rappresentato dal fatto che oltre due terzi di tale patrimonio è privato . Ma proprio per questo l’accoglienza deve diventare una delle componenti fondamentali delle azioni, non solo abitative ma di nuova qualità civile e ambientale delle città. Come già avviene in alcuni comuni – in primis Riace in Calabria – si possono ricercare accordi che portino a protocolli di utilità sociale con i proprietari disponibili (che ne hanno il vantaggio del riuso del bene, spesso con azioni di piccola ristrutturazione o manutenzione straordinaria).
L’Anci sottolinea come i migranti ospitati potrebbero svolgere a paga sociale lavori utili alle strutture urbane come raccolta differenziata, piccole riparazioni, cura degli arredi del verde, etc. In realtà – come sottolineato di recente dalla Società dei Territorialisti- tale presenza può agire aspetti molto più strutturali, favorendo la ricostituzione di tessuti socioculturali, oggi spariti, fino alla riqualificazione dei paesaggi urbani e abitativi.
Di più i migranti possono essere gli attori principali di opzioni di sviluppo sostenibile territorializzato – più che mai necessari-soprattutto nei centri abbandonati, che, come già avviene in alcuni contesti meridionali, possono vivere nuove stagioni di sostenibilità sociale legate all’agrorurale e al visiting socioculturale del paesaggio, per esempio. I centri della Piana di Gioia Tauro possono vedere un futuro di riqualificazione sostenibile legato alle strategie di accoglienza, se i migranti passano dai campi simil-profughi in cui vivono oggi a Rosarno e dintorni ad abitare le strutture vuote dei paesi del contesto.