«Gli alberi sono una delle componenti del paesaggio urbano e il paesaggio è un organismo complesso che richiede molti sguardi».il Fatto Quotidiano online, 1 settembre 2017 (c.m.c.)
Gli alberi non sono solo una faccenda per agronomi, proprio come gli esseri umani non sono solo una faccenda per medici. Senza alberi l’uomo non campa, invece gli alberi camperebbero meglio senza uomini. In questi giorni a Firenze, città perfetta, accade qualcosa di grave agli alberi e agli uomini.Dieci milioni di euro per il verde. Come racconta l’assessora all’ambiente di Firenze, Alessia Bettini, intervistata a Radio radicale (minuto 3.44 del podcast del 13 agosto delle ore 15.00) ha destinato ad alberi e piante dieci milioni per il 2017 contro i 285mila dell’amministrazione precedente (giunta Renzi). Bene, abbiamo pensato, chissà quanti alberi nuovi e quante cure per quelli vecchi. Ma i quattrini, si sa, non basta averli. E con quella cifra abnorme, in pochissimi giorni, stanno stravolgendo a colpi di motosega uno dei paesaggi urbani più conosciuti al mondo.
La scuola di Agraria di Firenze, con il professor Francesco Ferrini e l’ordine degli agronomi hanno collaborato con il Comune, dice l’assessora. Insomma, il risultato è che abbattono poco meno di 300 alberi e ne pianteranno 800 nuovi. Ma per ora si vedono dolorosi abbattimenti. Tanto terribili che hanno innescato una pioggia di critiche anche se la città è in apoplessia feriale. Critiche anche da parte di altri agronomi. Però dai loro profili – ormai siamo profili – i sostenitori dei tagli raccontano che bisogna lasciar fare agli esperti. Ohiohi, quante volte l’abbiamo sentita questa faccenda degli esperti.
Strada dopo strada, angolo dopo angolo stanno modificando – con una brutalità che inquieta – luoghi che eravamo abituati a vedere da mezzo secolo e più con le loro alberature. In altre parole cambiano in pochi giorni il paesaggio di Firenze. Cacciano via, con la motosega, l’anima di piazze e viali. Viale Corsica e i suoi 49 ippocastani (di cui 20 pericolanti) tutti segati per sostituirli con un orribile alberello che è diventato un simbolo di questo cambiamento pericoloso. Il pero cinese. Una pianta piccola, infestante, che farà mai ombra, mai fresco e meno ossigeno. E i pini della stazione? Anche quelli segati. Chi arriva a Firenze penserà d’essersi perso. E gli olmi mozzati in piazza San Marco? Un paesaggio scempiato.
Fermarsi, riflettere e migliorare il piano attuale? No, vanno avanti. Eppure gli argomenti per fermarsi e i dubbi sono tantissimi. Anche i bambini sanno che la città è una metafora del cambiamento e della vita stessa. Ma tutto, benessere e malessere, sta nelle modalità del cambiamento, nella sua entità e velocità. Ovvio pure che anche gli alberi hanno una vita e muoiono, ovvio che tra qualche anno i nuovi alberi ricresceranno.
Ma non si può – rudimenti di urbanistica – affidare il paesaggio di Firenze agli agronomi, per quanto bravi e appassionati. Loro vedono solo alberi. Non sono tenuti a vedere il contesto. Gli alberi sono importanti, vitali, ma sono una delle componenti del paesaggio urbano e il paesaggio è un organismo complesso che richiede molti sguardi, molte conoscenze, molti occhi e teste.
Firenze possiede dieci milioni e li usa per abbattere alberi e non per curarli? Erano tutti incurabili e pericolanti? E la scelta dei peri cinesi in viale Corsica? Sembra una bestemmia botanica. Chi arriverà e troverà peri cinesi si chiederà dove diavolo è finito. Firenze ha una sua anima che non rassomiglia a quella delle città dove piantano peri orientali. E quell’anima vincerà. Però nel frattempo dovrà rinunciare a un poco d’ombra, fresco e ossigeno. E sarà meno bella e felice.
E poi uno si fa domande. Come si spendono dieci milioni di euro in alberi? Quanto costa abbattere e quanto valgono gli alberi? Da dove arrivano i nuovi? Non è cultura del sospetto questa. E’ cultura della curiosità. I vivai tengono in vita famiglie e rappresentano un’economia importante e sostenibile, certo. Ed è certo pure che l’agronomia è una scienza nobile. Ma che lo scrigno del sapere sia conservato nelle università è da dimostrare. Dalle mie parti, per esempio, l’università governa e si occupa di paesaggio. Sono gli esperti e sono pure di “sinistra”, però le cose vanno male.
Governare è difficile, si sa. Ma siamo tutti, senza eccezione, un po’ Erostrati, vogliamo lasciare un segno. Così anche la giunta che governa Firenze le studia tutte per non essere dimenticata. Con gli alberi segati un segno lo lascia di certo. La città ha superato situazioni terribili. Ma non si era mai dedicata a disfare crudelmente e repentinamente un tessuto urbano e una memoria che sono costati tanto tempo e sofferenza.
«Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa.
Il secondo momento migliore è adesso».(Confucio)