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Massimo Fini
A Proposito di Destra e Sinistra
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Liberaldemocrazia, liberismo, sinistra: dove sono finiti? Una lettera a l'Unità del 22 marzo 2005

Caro Direttore,

la questione, posta da un intervento di Franco Cardini sul vostro giornale, della trasversalità di alcuni intellettuali italiani, che non si capisce se sian di destra, di sinistra o di nulla, ha varie cause fra loro intrecciate.

In Italia esistono due nodi prepolitici, che attengono all’essenza stessa delle liberaldemocrazie, che riguardano, o dovrebbero riguardare tutti i cittadini in quanto tali e quindi di qualunque ispirazione politica.

La liberaldemocrazia, com’è noto, rinuncia, a differenza della democrazia socialista, all’uguaglianza sociale, anzi la aborre, ma è ferma, come un macigno, su quella formale, cioè sull’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, che del resto è la premessa di ogni Stato di diritto. Il governo Berlusconi ha varato numerose leggi «ad personam», per salvare il premier e i suoi amici da quelli che, eufemisticamente, vengono chiamati i loro «guai giudiziari», instaurando così un doppio diritto, uno per lorsignori l’altro per i poveracci, com’era in epoca feudale. Già solo per questo si può dire che noi non viviamo più in una democrazia.

La seconda questione riguarda l’assetto dell’informazione televisiva. In un’epoca in cui tutti si dichiarano liberali e liberisti, fanno visite genuflesse alla City londinese a Wall Street, inneggiando al libero mercato anche in settori in cui gli si dovrebbe tagliare un po’ le unghie, il libero mercato manca proprio nel ganglio più delicato e decisivo per una moderna democrazia: quello televisivo. Da anni esisteva un oligopolio che, nel corno pubblico, era occupato, del tutto arbitrariamente, da partiti, e che dalle elezioni del 2001 è diventato un monopolio sotto il diretto controllo del premier.

Una mostruosità che esiste solo nelle dittature e che dovrebbe far rizzare i capelli in testa innanzitutto ad ogni animuccia liberale e liberista. E invece abbiamo visto liberali patentati, come Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, Piero Ostellino, non fare un plissé.

Ma anche l'establishment di sinistra è stato debole, debolissimo, sia sulla questione della concentrazione televisiva sia su quella delle leggi «ad personam». Ad opporsi sono stati piuttosto i cosiddetti «girotondi». In piazza San Giovanni, contro la Cirami eravamo a un milione di persone che non appartenevano certo tutte al «popolo della sinistra». Si trattava di cittadini, di varie ideologie o di nessuna, che ritenevano umiliante ed inaccettabile essere considerati dei paria invece che dei pari. Eppure ho sentito più volte autorevoli esponenti della sinistra parlare con disprezzo dei «girotondini» («Non mi avrà mica preso per un girotondino?»). A costoro, come alle destre, va ricordato che si può, ovviamente, non essere d’accordo con i «girotondi», ma che «il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi» per manifestare le proprie opinioni (art. 17 Cost.) è un diritto politico primario del cittadino, più importante ancora del voto, perché vi agisce direttamente, in prima persona, mentre col voto indirettamente, attraverso rappresentanti che, spesso, per non dir quasi mai, lo rappresentano.

E qui ci avviciniamo alle altre cause di quella che viene definita «trasversalità» e che io chiamo piuttosto «distanza» sia dalla destra che dalla sinistra. Nella «democrazia reale», che sta a quella ideale come il socialismo reale sta a quello ideale, le leadership dei partiti politici si sono venute configurando come delle minoranze organizzate, delle oligarchie, che schiacciano e opprimono proprio quel cittadino singolo, libero, che non accetta umilianti assoggettamenti feudali di cui il pensiero liberale voleva valorizzare, capacità, meriti, potenzialità e che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia, se esistesse davvero, e ne diventa invece la vittima designata. Le oligarchie politiche democratiche sono delle aristocrazie senza qualità (l’unica loro qualità è quella, tautologicamente, di fare politica) e senza nemmeno gli obblighi delle aristocrazie. Divenuto il grosso dell’elettorato un indifferenziato ceto medio, quella politica è l’unica classe rimasta su piazza e il suo interesse primario, e quasi unico, è autotutelarsi, con i privilegi connessi (si pensi ai vergognosi salvataggi in Parlamento di Previti e Dell’Utri).

Infine destra e sinistra, liberalismo e marxismo, con le varie declinazioni, sono categorie vecchie ormai di due secoli e non più in grado di comprendere, nè tantomeno di gestire, la realtà e le mutate esigenze degli individui. non che siano del tutto obsolete. Io faccio l’esempio del treno. Noi siamo su un treno che va a 800 all’ora e che è costretto, per esigenze interne al suo meccanismo, ad aumentare costantemente la velocità. Su questo treno c’è chi è seduto su comode poltrone (ma anche costui è sballottato e frastornato dalla velocità del treno), chi in seconda classe, chi sugli strapuntini, chi sta nei corridoi, chi nei cessi, chi mezzo fuori dai finestrini mentre molti rotolano giù nella scarpata. Per cui una migliore e più equa sistemazione dei viaggiatori ha ancora un senso. Ma la domanda di fondo è diventata un’altra: dove sta andando il treno? Dove ci sta portando la missilistica locomotiva chiamata Modernità, con le sue stritolanti esigenze produttiviste, economiciste, globalizzanti? Destra e sinistra, figlie entrambi della Rivoluzione industriale, non sono in grado di mettere in discussione la Modernità perché in essa sono nate e in essa si sono affermate e quindi per loro significherebbe tagliare le proprie radici. Io sto invece proprio all’interno di quella domanda, oltre la destra e la sinistra. E non credo di essere il solo se devo dar retta al successo «trasversale» dei miei libri e al pubblico, trasversale, che è venuto a vedere a teatro il mio Cyrano, se vi pare..., che questi temi tratta.

Poiché, in Italia, pressocché tutti i giornali sono schierati, a destra o a sinistra, sono costretto ad essere «trasversale», accettando di scrivere per chiunque mi dia ospitalità. Come, in questo caso l’Unità. Cosa di cui ti sono grato.

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