La città ducale perde i suoi simboli e viene asfaltata per far posto a megasupermercati. Il potere politico è la proiezione di un’imprenditoria senza scrupoli
Parma. Fra 22 anni sparirà il formaggio italiano più venduto nel mondo. La febbre del mattone seppellisce l’erba dalla quale nasce il parmigiano-reggiano. A tavola grattugeremo cemento. L’erba è il petrolio di questa pianura. Dalle sue virtù nasce un formaggio che non ha bisogno di coagulanti, formalina indispensabile ai grana padani. Regalo della natura sul quale è cresciuto il benessere. Ecco l’allarme: ogni giorno nella provincia di Parma scompare un campo da calcio. Case, palazzoni, capannoni. L’allarme non viene da un ambientalista rompipalle: catastrofe annunciata da Andrea Zanlari, presidente della Camera di Commercio di Parma e da Alfredo Peri, assessore regionale a Bologna. “Non è più possibile che siano i comuni a gestire in solitudine l’espansione edilizia erodendo i terreni agricoli per fare soldi col pronto cassa delle urbanizzazioni”. Perché dirlo proprio a Parma? Perché la città della grazia è ormai simbolo della città mattone. E 90 anni dopo ricomincia con le barricate. Un torrente divideva la borghesia dei palazzi, città padrona, dai figli del popolo guidati da Guido Picelli: nel 1922 riesce a non far passare i ponti alle camicie nere di Italo Balbo. E quando Mussolini al potere “riqualifica“, sventrando, i quartieri dei ribelli e Balbo torna vincitore dalla trasvolata americana, viene accolto da scritte beffarde: “Hai attraversato l’Atlantico ma la Parma (il torrente) no“. Il municipio della destra (municipio della “città cantiere“) insiste nella riqualificazione; tornano le disobbedienze. Civili, ma tenaci. Commercianti e abitanti non accettano i progetti decisi dalla giunta dei mattoni, o “dei mercatini“ come ironizza chi ha i negozi svuotati dalla febbre degli ipermercati: nelle periferie spogliano il centro storico come nella Parigi di 30 anni fa. Ma la Parigi pentita rimedia. Per rianimarla, Chirac e Sarkozy favoriscono il ritorno delle botteghe nelle strade dalle quali la speculazione le aveva strappate: agevolazioni fiscali, mutui straconvenienti, “Parigi non può diventare un museo. Il commercio aiuta a vivere assieme. Vi aspettiamo“.
ASSALTO SENZA FRENI DEI GRANDI CENTRI COMMERCIALI
Luca Vedrini, Confesercenti, protesta con documenti che fanno rabbrividire. A Parma i negozi aprono e chiudono dopo 3 anni. I bar muoiono a 5. E la tradizione delle gestioni familiari naufraga in catene senza sapore: stesse vetrine da Palermo ad Aosta. Tra iper e super-mercati aperti, che stanno aprendo o in costruzione o progetti approvati, la città andrà a far spesa nei 410 mila metri quadrati delle scansie fiorite nelle new town di plastica dove cambiano le abitudini sociali e si dissolvono i rapporti umani. Non più cittadini, solo clienti. Ogni parmigiano (dai neonati agli ottuagenari) avrà a disposizione 2 metri quadrati di roba da comprare nelle cattedrali dell’illusione. “Primi in Italia, forse record in Europa“: Vedrini allarga le braccia. L’invasione dei prati continua: caffè, ristoranti e malinconici cubi di cemento delle multisale di cinema dove brillano i neon della Parma Ohio, sobborgo commerciale di Chicago. Negli anni ’60 le cucine di Salvarani avevano invaso l’Italia e ravvivato un tessuto artigianale che ormai chiude bottega. Trionfa l’Ikea, rifiutata a Bolzano: “I nostri artigiani difendono la cultura sociale della città. L’Ikea vada a Brescia, Verona, Innsbruck. Noi non la vogliamo”. E attorno al compra-compra fioriscono quartieri artificiali. Chi abita la “vecchia città“ per andare al cinema deve prendere l’automobile ma le nebbie dell’inverno scoraggiano un terzo dei parmigiani sopra i 60 anni. Chiuso per “riqualificazione“ il mercato storico della Ghiaia, cuore della città. Commercianti dispersi. Dopo quattro anni buona parte non riapre. Chi è fallito, chi ha scelto altri mestieri. Per la seconda volta in meno di un secolo il comune brucia la tradizione con l’orrore di una pensilina per corriere, ala bollente del tetto che taglia i palazzi armoniosi una volta affacciati sulle bancarelle. Ma gli anni Venti erano anni sfiniti dalla Prima guerra mondiale, treni asmatici, niente automobili. Chissà perché gli assessori e i sindaci della nuova distruzione non hanno fatto un salto almeno a Verona, Padova, Trento, per imparare come restaurare senza cancellare come pretendono i grandi affari delle grandi imprese. E allora avanti. Chi fa la spesa per mettere a tavola la famiglia scopre che frutta, formaggi, uova e carne si vendono sottoterra. Caverna nel condomino dei parcheggi vero motivo della distruzione. Il potere politico è la proiezione di un’imprenditoria che sceglie sindaci e amministratori. Trasforma i signori nessuno nei protagonisti quotidiani di giornali e tv. Ubaldi (primo sindaco della destra) è stato un prodotto Parmalat. La poltrona a Vignali, successore che considerava Ubaldi maestro di politica e di vita, viene disinvoltamente annunciata dal presidente degli imprenditori due mesi prima della formazione delle liste elettorali. Insomma, comando io. Fuori dalle tv locali, l’ex Ubaldi dimenticato insorge: forse invidia per il figlioccio ormai odiato ma appoggiato a Roma dal Letta conte zio. E gli appalti consolano la generosità.
Per dodici anni i parmigiani hanno bevuto, distratti. La crisi e una certa arroganza li ha svegliati. Comitati di madri e nonne sfilano con cartelli che chiedono di non accendere alle porte della città il termovalorizzatore dalle polveri sottili. Proteste che turbano chi produce cose da mangiare e teme la speculazione della concorrenza: quel fumo di immondizia che avvolge cibi prelibati, scuole, asili, cresce a due passi dalla Barilla e dalle industrie di conserve, spina dorsale della food valley. Sfilano i senza casa in una città che ha 12 mila vani vuoti eppure continua a costruire, prati immacolati invasi dalle gru. E immensi parcheggi si allargano nel niente. Varianti urbanistiche e piani decisi nelle stanze dei soliti bottoni per fare cassa: la trappola delle urbanizzazioni.
IL GIGANTISMO DELL’EX SINDACO ELVIO UBALDI
Cambiano solo i figuranti politici. Parma ha 170 mila abitanti, ma il vecchio sindaco Ubaldi, filosofo della città cantiere, ripeteva che gli abitanti dovevano essere 400 mila. Come, non lo ha mai spiegato. Intanto gli scavi continuano. E Parma finirà per importare i “regianito”, patetica imitazione dei formaggiai argentini. La crisi ha sepolto il metrò destinato a bruciare un secolo di bilanci. Mancavano 50 milioni di passeggeri e l’impresa Pizzarotti, che è un’impresa seria, si è ben guardata dall’accettarne la gestione: noi scaviamo, i treni li fate correre voi. Treni ridicoli in un posto che in 15 minuti si attraversa pedalando, eppure giornali e tv (proprietari gli stessi imprenditori) ne esaltavano la meraviglia. Per un secolo sei ponti hanno unito la città vecchia e nuova scavalcando il torrente. Sono diventati sette per far girare la tangenziale: ponte De Gasperi inaugurato da Andreotti, voluto dall’ex Ubaldi innamorato di un certo ponte sul Reno. La maestosità della mini copiatura fa un po’ ridere: unisce 30 metri, sassi ed erbe dieci mesi l’anno. Adesso il fascino del mistero dell’ottavo ponte. Aggancia un quartiere da riqualificare a prati dove non c’è niente. Se il ponte Sud celebra De Gasperi, il ponte Nord dovrebbe riconoscere lo slancio di chi lo costruisce: ponte Pizzarotti. Bellissima azienda, impresa di dimensione europea che non trascura la città dove ha radici. Sta per trasformare il palazzo del ‘200 che raccoglie i documenti dell’archivio di Stato, archivio dei ducati: residence, negozi, mentre gran parte delle carte preziose finisce nei capannoni di periferia.
L’opposizione degli intellettuali di Monumenta perde l’ultima battaglia e il“restauro“ si farà. Restauro di Pizzarotti anche nel palazzo del governatore mentre nella nuova stazione sotterranea arrivano i binari Pizzarotti dell’Alta velocità. Con qualche dimenticanza: le scale mobili non sono previste. Si consigliano i treni a viaggiatori palestrati e senza valigie. L’ottavo ponte nasce da un progetto fatto e rifatto, tanto chi paga siamo noi. Il primo prevedeva un corridoio di palazzi con dentro la strada. L’ultimo è una galleria con qualche insediamento. Da un passaggio all’altro spunta il nome dell’architetto Guasti, impresa di costruzione di famiglia, senatore di Berlusconi e assessore all’urbanistica nella giunta Ubaldi. L’opposizione tenace del consigliere Marco Abbondi, agita il conflitto di interessi. Roba da ridere nell’Italia del Cavaliere. La sorpresa è sapere chi ha comprato quei prati e quale nuova città sta per nascere. Già approvato un ipermercato Pizzarotti Coop7 pendant area Nord dell’iper Coop7 Pizzarotti area Sud. Pronto nel cassetto il progetto dello stadio rifiutato diciotto anni fa da Calisto Tanzi: non se la sentiva di costruire un campo da Serie A ammortizzando la spesa con 22 mila vani: “Non posso inventare una città con la scusa di un campo da calcio”. Morale superata. Le nuove città corona nascono per l’intuizione di imprenditori ai quali va il merito di indovinare con anticipo dove chi governa vuole allargare le case. Intanto Pizzarotti Coop 7 regala una complanare o il terreno nel nuovo centro sportivo polivalente dove è previsto un campo da golf. Il Sole 24 Ore fa sapere che i tagli della crisi colpiranno Parma più di ogni altra città. Dove li trovano i soldi per feste e opere nuove? Giorgio Pagliari, guida dell’opposizione, spiega i girotondi dei conti comunali. Entrate messe in bilancio quando non si sa se arriveranno. Soprattutto le scatole cinesi della vendita virtuale di beni comunali a società delle quali il comune è proprietario. E uomini fidati vegliano nelle poltrone di comando. Insomma, rosso che cambia nome ma resta pubblico rosso. “Se fossimo di fronte a una Spa potremmo parlare di situazione prefallimentare”. Adesso i tagli di Roma, eppure l’imperativo non cambia: costruire senza smettere mai. Con forzature che svergognano la tradizione etica di Parma. Si è venduto il nome di Mario Tommasini per giustificare l’immenso ghetto per anziani che cancella erba e vigne della campagna attorno. Persone ammucchiate come legna, espulse dalla “loro” città. Tommasini è stato l’assessore che ha aperto i manicomi di Franco Basaglia, chiuso brefotrofi e diviso la sinistra col progetto di case per giovani e anziani, stessi palazzi nei vecchi quartieri. Vivere assieme per non morire.
GLI ANZIANI SPINTI AI MARGINI DELLA CITTÀ
Bruno Rossi, già direttore della Gazzetta di Parma, presidente della fondazione che ricorda Tommasini, non sopporta la mistificazione dell’assessore Lasagna. Per il momento è la sola voce sopportata quando denuncia l’imbroglio: “Sarebbe piaciuto a Tommasini? Progetto che convoglia un gran numero di anziani e li spinge ai margini della città? Credo che questa domanda sia al limite del blasfemo”. Lasagna era un giovane rampante del Pd, passato al centrodestra: irresistibile fascino della poltrona di assessore. E cominciano altri dubbi: Pizzarotti Coop7 è un legame ripetuto da imprese e cooperative che assieme “riqualificano“ questa e altre città. Perplessità che attraversa la sinistra e i cooperanti della tradizione. Amara la risposta di Sergio Caserta, che ha realizzato progetti di sviluppo e ha fatto parte della giunta e del consiglio nazionale della Lega Cooperative: “Grandi aziende cooperative emiliane hanno sposato il capitalismo edilizio. Stravolgono le città, cambiano la vita della gente. A Vicenza una grande Coop di Bologna è interessata alla costruzione della base Usa contro la quale si mobilita l’intera popolazione. La Costituzione attribuisce alle cooperative un ruolo di pubblica utilità. È questa l’utilità? Non si viola la Costituzione? Tra la sinistra politica e il movimento cooperativo i legami restano stretti, tecnologie e strategie sostituiscono l’ideologia. A beneficio di chi?”.
La presenza delle Coop, protagoniste della regione, garantisce la tutela degli interessi collettivi. Lo prevede la Costituzione, articolo 45: “Definisce con chiarezza la natura economico-sociale dell’impresa cooperativa a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”. Articolo che limita il carattere dell’impresa cooperativa e la distingue da ogni altra impresa. Il codice civile completa la definizione precisando il fine mutualistico senza scopo di lucro come causa del contratto sociale. Giorgio Caserta è un cooperatore che ha realizzato progetti di sviluppo nel Sud ed è entrato nel Consiglio Nazionale della Lega Cooperative. Si tormenta per i decreti del governo Berlusconi che ne stravolgono l’identità e l’invito di Innocenzo Cipolletta, (Confindustria) a confluire nel grande alveo dell’impresa privata. Caserta resta critico: “La cooperazione non è contro il mercato ma nel mercato con una propria fisionomia... Non serve una cultura da capitalismo d’assalto che gioca con le regole di mercato in punta di codice in un sistema di alleanze che non guarda troppo per il sottile”. Parole che coinvolgono le grandi coop emiliane: “Hanno sposato il capitalismo dell’edilizia, stravolgono le città, cambiano la vita della gente“. Ricorda l’insensatezza del Metro di Parma e discute sul metro di Bologna “che sconvolge il sottosuolo in una città con una rete di canali sotterranei“. E poi l’allargamento della base Usa di Vicenza: ”La CCC fa davvero gli interessi della popolazione in rivolta”?
Il grande privato di Parma si chiama Pizzarotti, impresa seria, moderna, dimensione internazionale con la formidabile intuizione del prevedere dove i politici locali decideranno un giorno di allargare strade e palazzi. Parma ha 180 mila abitanti, ma il primo sindaco della destra che ha inventato la Città Cantiere - Elvio Ubaldi - aveva annunciato di voler allargare il tessuto urbano a 400 mila persone.
Gigantismo che prevede un metrò patetico in un posto che da attraversare in bicicletta, forse non ridicolo nella prospettiva dell’allargamento. Appalto metrò vinto da Pizzarotti-Coop7. Pizzarotti Coop7 restaurano il palazzo governatore monumento della piazza centrale. Incarico di ristrutturare l’Ospedale Vecchio, ormai archivio di stato costruito 800 anni fa. Trasformazione che prevede residence, negozi, tante cose, soprattutto l’esilio nei capannoni di periferia dei documenti che raccontano la vita politica e culturale di un ducato.