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A Milano piovono ancora mattoni e cemento, in quantità industriali
12 Novembre 2008
Milano
Tutti quelli che contano (dalla destra al centro) d’accordo nel proseguire gli affari del cemento, per 700mila abitanti in più, e B. si riconcilia con l’urbanistica. Critici Gregotti e Beltrami Gadola. Un ampio servizio de la Repubblica, ed. Milano, 11 novembre 2008

Dopo i tre articoli del servizio de la Repubblica, i commenti di Vittorio Gregotti e di Luca Beltrami Gadola, e le due interviste di Gae Aulenti e Renzo Piano , pubblicate nei giorni precedenti, cui si fa cenno nei testi.

Berlusconi benedice il piano-case

più vicino l’ok del Consiglio

di Stefano Rossi

Il premier riceve ad Arcore Masseroli: "Andate avanti" - Fi si adegua al documento della giunta per alzare di un terzo l’edificabilità

Silvio Berlusconi si riconcilia con l’urbanistica milanese, dopo le polemiche della primavera scorsa sui grattacieli di Citylife. Il premier ha ricevuto ad Arcore l’assessore azzurro Carlo Masseroli, dimostrandosi molto interessato ai progetti della giunta relativi all’housing sociale. Ma è stato tutto il Pgt, il Piano di governo del territorio destinato a sostituire il Piano regolatore, a ricevere l’imprimatur del premier. Promossa dunque la volontà di incrementare la popolazione residente di 700.000 unità, promosso il consistente aumento delle case da costruire. «Anche se con Berlusconi - aggiunge Masseroli - non mi sono certo messo a parlare di indici di edificabilità».

L’ok di Berlusconi riguarda dunque due aspetti importanti della Milano futura. L’housing sociale (con la Fondazione Cariplo) degli 11 complessi di nuovi appartamenti da 70 metri quadrati (in tutto 3.380) in affitto a 500 euro al mese o in vendita a 1.800 euro al metro quadrato. E lo sviluppo della città da 2 milioni di abitanti, pianificato su aree a standard con vincolo decaduto (dunque dove non si è realizzato ciò per cui era stato messo il vincolo) lungo i percorsi delle metropolitane e delle circonvallazioni, cioè in aree infrastrutturate. Per Giulio Gallera, capogruppo Fi, è il segno che «tutta la politica urbanistica milanese funziona. Incrementeremo le volumetrie per rendere accessibili case a basso prezzo al ceto medio minacciato dalla crisi. Un esperimento pilota per il Paese».

Masseroli si è presentato ad Arcore in compagnia del commissario cittadino di Forza Italia, Luigi Casero. Un colloquio cordiale: «Berlusconi ha voluto sapere tutto». In particolare sull’housing sociale, appartamenti in vendita a prezzo convenzionato o in affitto a canone moderato, in quartieri con servizi e un mix sociale di abitanti, per evitare la formazione di ghetti. Case per chi guadagna troppo per chiedere l’alloggio popolare e troppo poco per i prezzi di mercato.

Forse al premier sarà venuta in mente la casa di via San Gimignano, zona Bande Nere, dove a lungo ha abitato sua madre Rosa, testimonianza dell’espansione della borghesia milanese in periferie non popolari. Lo scorso aprile, al contrario, le sue parole sul progetto Citylife erano state abrasive: «Grattacieli storti e sbilenchi, elaborati da architetti stranieri in totale contrasto con il contesto milanese e la sua tradizione urbanistica. Spero non sia questa l’idea moderna di Milano, altrimenti la protesta dei milanesi nascerà spontanea e giusta e io mi metterò alla sua testa». Masseroli aveva replicato secco: «Il progetto è eccezionale, internazionalmente riconosciuto fra i migliori al mondo e imprescindibile per la città. Non ci saranno ripensamenti».

Ieri è stata firmata la pace, nello stesso giorno in cui in aula veniva discusso il documento di inquadramento che detta le linee guida del futuro Pgt. Gli emendamenti sono più di cento. Uno del centrodestra ritocca del 50% (e non del 30 come previsto da Masseroli) i metri cubi edificabili ma dovrebbe venire ritirato. Bocciati dallo stesso assessore, invece, gli emendamenti del Pd a sostegno dell’affitto, denuncia il capogruppo Pierfrancesco Majorino.

«L’housing sociale - ricorda Majorino - è nato anche grazie al lavoro del nostro partito, come stimolo a politiche in grado di dare la casa a chi ne ha bisogno. Mi auguro che l’esempio di Milano possa illuminare un governo debole su questo terreno, purché Masseroli abbia taciuto a Berlusconi che gli interventi di housing sociale sono molto precedenti al documento di inquadramento oggi in aula, che in materia non prevede nulla».

Cielle, i costruttori e l’ex prefetto il "chi è chi" del partito del cemento

di Rodolfo Sala

La Moratti ha delegato il business del mattone al suo assessore ciellino. Lo stesso che disse: "Ligresti è una risorsa della città" - E Ferrante, ex candidato sindaco del centrosinistra, oggi consulente dell’imprenditore siciliano: "Troppi vincoli, vanno ripensati" - Da una parte la spinta verso l’housing sociale, dall’altra gli interessi forti dei grandi proprietari delle aree edificabili: i gruppi Ligresti, Cabassi, Pirelli

Meno vincoli agli operatori, più business e oplà, il mercato immobiliare a Milano torna a tirare. Anche in presenza della fortissima crisi che coinvolge tutti i settori dell’economia reale. Non è uno slogan, ma un programma, già enunciato dagli esponenti del "partito del mattone" sempre più insofferente alle regole urbanistiche e che chiede di voltar pagina in vista dell’appuntamento del 2015. Settecentomila abitanti in più nella città dell’Expo, indice di edificabilità da portare dall’attuale 0,65 a 1, il progressivo abbandono di un’urbanistica considerata finora troppo vincolata, un addio in grande stile agli standard. Carlo Masseroli, assessore comunale alla partita, lo ha detto in modo chiaro: «Le regole e i vincoli non fanno una città migliore, Milano ha bisogno di maggiore flessibilità».

Di questo partito il forzista ciellino Masseroli è senz’altro un esponente di primo piano. Anzi, considerati i rapporti abbastanza tiepidi intrattenuti finora dal sindaco con il mondo dei costruttori (almeno fino a quando si era presentata all’assemblea di Assimpredil di quest’estate promettendo ai costruttori che l’Expo li avrebbe arricchiti), si potrebbe dire che Letizia Moratti abbia deciso di appaltare a lui e ai suoi amici tutta la partita dello sviluppo urbanistico. I grandi operatori del settore gradiscono parecchio il nuovo corso. A cominciare dal gruppo Ligresti, dominus pressoché incontrastato della Milano che verrà perché titolare di aree edificabili strategiche: Nuova Fiera, Citylife, Garibaldi-Repubblica, l’area Sud attorno al Cerba di via Ripamonti. Ma ci sono anche i Cabassi (Fiera) e il gruppo Pirelli, che dopo lo sbarco alla Bicocca si starebbe riposizionando sul mercato dell’housing sociale. E ha già una tessera onoraria del partito del mattone un imprenditore come Claudio De Albertis, leader lombardo di Assimpredil, l’associazione dei costruttori. Secondo voci insistenti che rimbalzano a Palazzo Marino, De Albertis avrebbe concordato con Masseroli le linee del documento urbanistico con cui si vogliono ritoccare all’insù le soglie di edificabilità.

Una novità che non fa scandalo neppure tra le fila dell’opposizione. Intenzionata però, con diverse gradazioni, a dare battaglia su un punto considerato irrinunciabile: va bene dare agli operatori la possibilità di costruire di più, in deroga alle vecchie norme, purché a trarne beneficio sia la parte più debole della popolazione. Basilio Rizzo lo dice così: «Occorre rilanciare l’edilizia convenzionata e il mercato degli affitti; e per raggiungere questo obiettivo occorrono più vincoli, alla faccia del rifiuto della logica dirigistica teorizzato da Masseroli». «Sarebbe utile un ripensamento dei vincoli eccessivi - aggiunge Bruno Ferrante, già prefetto e candidato sindaco del centrosinistra, oggi lavora per il gruppo Ligresti - che hanno permesso di ostacolare progetti come quello del Cerba; la città è piccola e per il suo sviluppo bisogna guardare anche al di fuori della cinta daziaria». E nel Pd c’è chi, come la consigliera Carmela Rozza, invoca «uno scambio chiaro tra il Comune e i costruttori, a cui va dato il premio delle nuove volumetrie solo se verrà utilizzato per costruire case a prezzi calmierati e in affitto; se così fosse, anche noi andremmo a far parte del partito del mattone».

Se così fosse. L’esperienza insegna che occorre andare con i piedi di piombo, che le speranze di uno sviluppo immobiliare a vantaggio di tutti non possono poggiare su basi solide. Non è stato così negli anni Ottanta, durante la stagione dell’edilizia contrattata che ha finito solo per favorire la speculazione e, spesso, il traffico delle mazzette. E neppure nel passato più recente la musica è stata questa. Lo ha ammesso, e senza tanti giri di parole, lo stesso Masseroli presentando nel giugno scorso in consiglio comunale la delibera "Ricostruire la grande Milano" (fu allora che l’assessore definì Ligresti «una grande risorsa per la città»). Il documento racconta, nero su bianco, anche la storia del fallimento registrato negli ultimi nove anni: 23.700 nuovi alloggi e 38mila residenti in più a Milano, ma di pari passo non c’è stata «una risposta adeguata al fabbisogno abitativo espresso dalla città per i redditi medio-bassi». Di più. Tra il 2000 e il 2008, con le regole vigenti, delle 147 proposte di programma integrato (ppi) presentate, per un totale di quasi sette milioni di metri quadrati, solo 84 sono diventate definitive. Altre 30 il Comune le ha ritenute inammissibili, e 21 sono state ritirate dagli operatori privati. Uno dei motivi individuati dall’assessore è la «decisione (di questi operatori) di verificare l’interesse per le nuove regole in corso di predisposizione», vale a dire l’aumento degli indici di edificabilità. E tra le proposte non realizzate ci sono i quasi due milioni di metri quadrati del piano Ticinello ? Vaiano Valle, in zona Sud. Dove domina Ligresti.

Insomma, le "nuove regole" potrebbero sbloccare progetti fermi, c’è solo da chiedersi a vantaggio di chi, dal momento che la stragrande maggioranza dei progetti approvati si riferisce alla fascia medio-alta del mercato immobiliare, e ignora quasi del tutto l’edilizia convenzionata e calmierata. Certo, c’è chi preme - lo stanno facendo insieme la Lega delle Cooperative e la Compagnia delle opere, che per questo hanno costituito la Fondazione Abitare - per il rilancio dell’housing sociale, considerandolo conveniente anche per gli operatori perché il segmento alto del mercato è saturo e per di più indebolito nei suoi valori immobiliari molto di più rispetto a quello basso. Sta di fatto che a metà dicembre, per il bando con cui il Comune mette a gara otto aree per l’housing sociale, le adesioni sono ancora ridotte al lumicino.

"È un’occasione d’oro non lasciamola ai privati"

Teresa Monestiroli

Davide Corritore, consigliere comunale del Partito Democratico, in questa battaglia sul cemento da che parte sta?

«La questione non è cemento sì o cemento no, il problema è che Milano deve riuscire a dare una casa a chi oggi non può permettersela. Su questo provvedimento urbanistico la nostra battaglia è prima di tutto quella di garantire ai cittadini la possibilità di housing sociale. Oggi a Milano il prezzo medio di un appartamento è di 4.400 euro a metro quadrato e tutti i nuovi progetti edilizi sono ben più cari. Con la crisi economica che stiamo vivendo anche la classe media inizia a far fatica a sopportare questi costi».

Quindi non dite no a priori all’aumento dell’indice di edificabilità proposto dalla giunta?

«Il problema, ripeto, è soddisfare i bisogni della città. Se per farlo ci vuole il cemento allora che cemento sia, ma con solide garanzie come quella dei servizi. Invece si parla poco di quello che c’è intorno al cemento. Non vogliamo un secondo caso Santa Giulia dove si costruisce senza pensare alle scuole, ai servizi sociali, agli ambulatori».

Per l’assessore Masseroli «i vincoli non fanno migliore una città, ci vuole più flessibilità».

«La flessibilità ha portato alla situazione attuale. Non siamo sostenitori dei piani quinquennali ma delle garanzie per la comunità. Un piano di governo del territorio deve dare anche una garanzia sulle scuole, gli spazi pubblici, i trasporti, il verde. Tutto questo non può essere affidato alla programmazione dei privati ma deve far parte di un piano pubblico di sviluppo del territorio. Invece veniamo da anni di gestione del territorio asservita alla volontà e agli interessi dei privati che hanno sempre deciso dove costruire e con quali priorità. È arrivato il momento di aprire una nuova fase».

Il nuovo documento urbanistico punta ad aumentare il numero dei cittadini di 700mila unità. La Lega è insorta, sostiene che Milano è già arrivata al collasso. Lei che cosa ne pensa?

«L’unico dato certo che abbiamo per ora è quello dell’ufficio statistico secondo il quale la popolazione nei prossimi decenni non crescerà. Mi chiedo come la giunta pensi di crescere addirittura di 700mila i residenti».

L’Expo potrebbe essere un’occasione.

«E lo è, ma il problema è che manca una strategia che indichi qual è la Milano che vogliamo in futuro. Abitata da chi? Prima di tutto bisognerebbe rispondere a questa domanda e poi costruire una strategia conseguente per invertire un ciclo che negli ultimi trent’anni ha fatto scendere la popolazione del 30 per cento. Personalmente ritengo si debba puntare sui giovani, i neolaureati, cercando di trattenerli in città, proprio in vista dell’Expo che porterà a Milano 7000 eventi nei prossimi anni».

UN AIUTO A BANCHE E IMMOBILIARISTI

di Luca Beltrami Gadola

Per attirare nuovi cittadini servirebbero 300mila posti di lavoro ben remunerati. Poco credibile, con la crisi

Per arrivare al milione e 700mila dei primi anni 70 ci vollero 34 anni, una guerra di mezzo, la ricostruzione, il boom economico, una massiccia e inarrestabile immigrazione dal Sud: tempi tanto diversi da oggi ma con una carica propulsiva formidabile. Di quel periodo però i guasti alla città li vediamo anche oggi. Pensare che nei prossimi sette anni si faccia altrettanto è inimmaginabile. Tanto ne avremmo a metterci l’animo in pace. Ma non possiamo permettercelo perché lo strumento proposto, quello in grado di produrre tanto cambiamento ? l’aumento del 53% della capacità edificatoria delle aree di Milano ? è la vera questione e ha poco a che fare con l’aumento della popolazione.

Quest’idea dei due milioni di residenti, riportando in città i pendolari, non è nuova e venne fuori sostenendo in primo luogo che l’obiettivo era migliorare la qualità della vita dei milanesi principalmente perché l’incremento di popolazione avrebbe arricchito le finanze del Comune permettendo investimenti più consistenti nei servizi alla città. Niente di meno vero, come suggeriscono gli studi del professor Gian Maria Bernareggi della Statale. Milano al contrario si arricchisce del lavoro di chi arriva da fuori città. Ma ammettiamo che questa sia una mera opinione: da dove dovrebbero venire i 700mila nuovi residenti? Radicare a Milano i pendolari? Chi è andato via o abita fuori Milano ha una casa e per tornare in città deve venderla, ma a chi? Se non gli riesce non si sposta. Oggi il mercato immobiliare dell’hinterland è drammatico. In provincia di Milano non c’è crescita di popolazione e non si generano nuovi posti di lavoro, anzi se ne perdono e la domanda di residenza è stagnante. Quindi niente pendolari come nuovi residenti, ma solo arrivi da lontano. Milano, demograficamente stabile, da sempre ha visto aumentare la sua popolazione solo per apporti esterni e se volessimo raggiungere i 700mila nuovi immigrati dovremmo affidarci all’immigrazione, un’immigrazione "ricca" come la vorrebbero i nostri amministratori. Non ci sarà, perché per attrarla servirebbero almeno 300mila nuovi posti di lavoro ben remunerati. Credibile con l’aria che tira? Da qui al 2015?

Rimangono i giovani e le giovani coppie, ma già risiedono a Milano. La domanda pregressa? Già tutti residenti. Si dice che quest’aumento dell’edificabilità darà la possibilità all’amministrazione di chiedere in cambio agli operatori appartamenti a costo contenuto in vendita o ad affitto calmierato. Ammettiamo, per ipotesi, che un terzo della nuova edificazione abbia questo destino: per aiutarne uno che non ce la fa, due dovrebbero permettersi una casa a prezzi di mercato ma di quei due non c’è traccia né oggi né a breve. Non funziona. Allora perché voler aumentare l’edificabilità? Perché si vuole dare una mano agli operatori immobiliari ed alle banche che li hanno foraggiati: l’aumento di edificabilità, anche se non realizzata, avrà per loro molti effetti benefici. Farà aumentare i valori di bilancio delle aree possedute ? rinviando mali di pancia ? o, in alternativa, consentirà loro di diluire i costi delle aree stesse e ridurne l’incidenza sul costruito e permettere minori prezzi di vendita per catturare meglio il poco mercato superstite: un bel regalo.

Quanto alle case a prezzi moderati e gli affitti abbordabili frutto di "convenzioni" con i privati lasciamo perdere, in passato troppe convenzioni furono solo carta straccia: gli esempi molti, pochi gli operatori ma sempre gli stessi.

GODONO GLI SPECULATORI

di Vittorio Gregotti

La cultura architettonica europea sostiene da sempre soluzioni agli antipodi della deregulation

A meno di ricorrere alla deportazione forzata o di mettere a disposizione dei cittadini alloggi a bassissimo costo mi sembra del tutto astratto pensare a un aumento così notevole e improvviso della popolazione del Comune. Dall’aumento della densità edilizia gli unici a godere sarebbero gli speculatori immobiliari mentre la città ne risulterebbe definitivamente disastrata. Di conseguenza, anche per quanto riguarda il 2015 trovo sarebbe consigliabile, data la crisi di denaro e di idee, limitare il proprio impegno alla risposta più stretta possibile degli impegni presi intorno al tema centrale provvedendo al miglioramento del trasporto e all’ospitalità necessaria che certo non riverserà su Milano folle incontenibili di visitatori; e provvedere magari alle necessità già oggi esistenti di alloggi a basso costo.

Sulla pagina di fronte Repubblica pubblicava un’intervista a Renzo Piano, che i successi americani hanno reso particolarmente autorevole in Italia. Le sue opinioni (sia pure espresse con prudenza) sembrano condurre a conclusioni opposte a quelle dell’assessore all’Urbanistica, abbracciando le tesi che la parte ragionevole della cultura architettonica europea sostiene da una trentina d’anni: opposizione all’ideologia della deregolazione, al consumo indiscriminato di territorio della città infinita, ricostruzione critica della città europea all’interno dei suoi limiti consolidati con una politica di utilizzazione delle aree dismesse, incentivazione del trasporto pubblico, resistenza allo svuotamento dei centri storici dalle abitazioni, mantenimento delle mescolanze sociali e della multifunzionalità compatibile, politiche ambientali non orientate a mettere solo gerani sui balconi. Si tratta di due posizioni opposte a proposito delle quali la cultura della città di Milano dovrebbe essere chiamata ad aprire (al di là dei colpi di mano delle maggioranze politiche) una discussione aperta nell’interesse collettivo. Senza mitologie e senza eccessivi compromessi, con passione, buonsenso e fiducia in un futuro meno radicalmente economicista nella costituzione dei valori da perseguire.

Molte cose assai giuste sono state aggiunte ieri da Gae Aulenti nella sua intervista: posso solo dire di essere d’accordo con lei.

10 novembre 2008

Due milioni di abitanti a Milano?

Gae Aulenti: "Ecco perché dico no"

di Maurizio Bono

"Senta, l’intervista posso cominciarla facendo io una domanda, agli amministratori di Milano? È una cosa che mi chiedo da quando ho letto che puntano a riportare la città a due milioni di abitanti: ma hanno dietro una serie studi, un’analisi di previsione, uno scenario che faccia pensare a una tendenza espansiva di Milano, con la crisi che c’è e con la disoccupazione che è facile prevedere almeno per il 2009? Perché se così non fosse, le cifre che si fanno circolare lasciano perplessi. Anzi, mi sembrano francamente campate in aria". Gae Aulenti, architetto di lungo corso che ha legato la propria carriera a celebri allestimenti di interni (dalla Gare d’O rsay a Parigi a Palazzo Grassi a Venezia) ma anche a interventi sul tessuto urbano come il piazzale della stazione Cadorna, è a dir poco critica sull’idea di riportare 700mila pendolari dall’h interland alla cerchia urbana: "Basta pensare alle ragioni per cui sono scappati, che sono i costi eccessivi delle case in città o la loro mancanza. Un prezzo che pagano dormendo troppo poco per venire tutti i giorni a lavorare a Milano. Ma sembra difficile immaginare che lasciando fare al mercato si possa indurli davvero a ritornare".

Però un buon motivo per farlo ci sarebbe, no? Meno pendolarismo, meno traffico, meno consumo del suolo...

"Certo, è tutto vero. Però con le intenzioni, da sole, non si governa. E allora bisognerebbe pianificare seriamente come riuscirci. Alzando gli indici di edificabilità, al contrario, si finirà solo per replicare la disastrosa esperienza della liberalizzazione dei sottotetti, che hanno prodotto più traffico senza risolvere nulla".

Un’idea che sembra ampiamente condivisa è evitare che l’e spansione urbanistica dilaghi ulteriormente all’esterno della metropoli.

"La condivido in pieno anch’io, sono perfettamente d’a ccordo con Renzo Piano che parla di tirare una linea verde intorno all’area urbana, e con progetti come il Metrobosco, a cui ha lavorato anche Stefano Boeri, per disegnare una cintura di campi e boschi invalicabile per i nuovi cantieri. Con le previsioni di crisi per lo meno per tutto il prossimo anno, comunque, sarebbe difficile pensare altrimenti. La realtà ben nota è che anche alcuni dei grandi progetti in corso rallentano, quando non si bloccano per mancanza di fondi come Santa Giulia". Resta il fatto che buona parte dei nuovi quartieri e grattacieli sono per uffici, mentre si calcola che servirebbero 40 o 50mila nuovi alloggi a costo sostenibile.

"Infatti sono anche favorevole all’ipotesi ventilata da Boeri l’altro giorno nell’intervista a Repubblica, di riconvertire in residenza parte degli spazi commerciali e per il terziario che di questo passo sono destinati a restare sfitti".

Anche il quel caso, non sarà comunque un problema di costo? Costruendoli, le imprese non pensavano certo a canoni sociali...

"Badi che già tenere vuoto un ufficio è un costo piuttosto alto, e se si trattasse di ridurre un danno già in atto, qualche intervento di intelligente politica sociale potrebbe rendere quella via praticabile".

Pensa al ritorno alla destinazione residenziale di tanti palazzi nobili del centro diventati uffici, o anche alle nuove costruzioni?

"Direi proprio ai tanti brutti grattacieli semivuoti che si vedono verso le periferie. Ma naturalmente bisogna anche proseguire a chiudere i tanti piccoli "buchi" nel tessuto urbano lasciati da una programmazione carente. L’importante è farlo stabilendo regole certe, durevoli e uguali per tutti. Per questo non mi convince affatto l’idea di un aumento generalizzato degli indici di edificabilità: ma perché, per donarli a chi, per farci che cosa? Prima bisognerebbe perlomeno fare un’idagine seria per stabilire quanti metri cubi servono davvero alla città. Viene davvero nostalgia dei piani Ina casa degli anni Cinquanta o, per restare a Milano, del progetto QT8".

A proposito, lei come giudica la qualità architettonica degli interventi più recenti in città?

"Ci sono molte brutture, ma Milano è anche la città della Torre Velasca, del Pirellone, della Triennale di Muzio, e poi alcuni begli edifici della Bicocca di Gregotti e di quello di Piano in via Monte Rosa".

E i nuovi grattacieli?

"Non tutti saranno belli. Ma se si parla di Citylife, lì il problema è un altro, è il quartiere che è sbagliato. Cala dall’a lto, è poco legato al tessuto circostante, rischia di essere come la vecchia Fiera: un recinto con degli edifici dentro, non un pezzo di città".

07 novembre 2008

Renzo Piano, l'appello alla città

"Smettetela di diffondere il brutto"

di Franco Manzitti

«Ah la mia vecchia e cara Milano, come è cambiata. La considero la mia città, io che sono nato a Genova, ma che professionalmente sono cresciuto qui quando avevo tra i venti e i trent´anni, prima al Politecnico e poi quando ho imparato il mestiere con un maestro come Franco Albini... ». Renzo Piano storce la bocca quando lo chiami archistar o quando cerchi di trascinarlo dentro una polemica magari su Milano, la sua vertiginosa espansione, i suoi progetti-marchio dell´Expo, di Citylife, il piano comunale di crescere fino a 2 milioni di abitanti, ma poi non si trattiene.

Non attacca direttamente gli amministratori cittadini e la politica espansionistica: «Non voglio criticare la Moratti, ma fare un discorso più in generale sulla fine della qualità diffusa che in Italia ha permesso di costruire belle città e che ora manca - dice dalla tolda del suo super-ufficio nella periferia estrema genovese di Vesima, sospeso sul mare a forza nove di questo autunno di tempeste perfette -Dove è finita a Milano quella spinta fervida degli anni Sessanta-Settanta, quella combinazione magica tra sindaci, mecenati, architetti, finanziatori, dove c´era la grande capacità di ascoltare, di inventare? Cosa è successo dopo e ora cosa sta succedendo?».

Il suo progetto per Citylife fermato, quello del parco a Ponte Lambro, ignorato a fine anni Novanta malgrado il timbro dell´Unesco, la diversa visione sull´Expo 2015 in difficile gestazione? Piano va avanti viaggiando tra un continente e l´altro, tra un progetto e l´altro, tra una polemica e l´altra, tra un sindaco Alemanno a Roma, che mette i diktat sull´Eur, e il sindaco Moratti, che innesca il boom milanese, preferendo il cemento di Ligresti. Ma la sua provocazione di archistar è ben più larga e universale e riguarda il come stanno sfigurandosi le città nel mondo, la cultura fasulla della loro espansione, gli sprofondamenti nel trash e nel brutto diffuso. «Noi europei abbiamo per fortuna la chiave culturale per salvare le città che crescono: è il recupero attraverso la stratificazione. Non si abbatte a picconate la periferia brutta per rifarla peggio e disincagliata da ogni contesto di vita, ma si integra, si costruisce sopra, salvando la storia».

Insomma, basta con il consumo scellerato di territorio?

«Anche in Australia e in America incominciano a chiedermi di compiere questa operazione, ora che hanno un paio di secoli di storia urbanistica alle spalle. Trent´anni fa intellettuali fini dell´ambientalismo come Mario Fazio ci suggerivano di recuperare i centri storici. Sfida raccolta e vinta. Oggi dobbiamo salvare le periferie. Dalle banlieue parigine, alle favelas del terzo mondo, ai nostri quartieri dormitorio sulle colline di Genova, come nei sobborghi romani».

E a Milano, con tutti questi progetti, quell´operazione culturale come si realizza, dove si stratifica?

«Bisogna smettere di costruire, di diffondere il brutto per poi chiamarlo trash. Finisce che poi il trash urbanistico passa quasi per bello, basta che ogni tanto ci si metta in mezzo quella che gli inglesi chiamano perfidamente l´aringa rossa, magari un bel grattacielo svettante sul quartiere spazzatura. Anche Milano non deve esplodere con nuovi quartieri selvaggi, ma implodere su quanto già c´è. Le periferie sono brutte, senza qualità diffusa, perché non ci hanno costruito le condizioni della vera vita vissuta, che non si crea solo con case e negozi. Ci vuole tutto il resto, a incominciare dal verde, dalle scuole, dagli impianti sportivi, dalle librerie, dai giardini».

Ciò significa che bisogna rinunciare al concetto di città diffusa e pianificare dei margini artificiali?

«Va tracciata quella linea verde oltre la quale non si deve costruire più, e si badi bene che all´interno la ricostruzione stratificata è più che possibile ovunque: fabbriche dismesse, parchi ferroviari abbandonati, zone residenziali perdute nel degrado, quartieri fatiscenti. A Sud di Milano ci sono grandi spazi appetibili, così come nella zona di Rho-Pero, penso anche a viale Forlanini ad Est, dove immaginavamo tanti anni fa il parco urbano di Ponte Lambro, proprio mentre stavamo ricostruendo Sarajevo, città martire, con lo stesso criterio promosso dall´Unesco».

Ma lei ha un´idea di dove può essere tracciata questa linea verde?

«Sono i sindaci e gli amministratori che devono stabilirlo e non vorrei gettare la croce addosso solo a loro. Si immagina che quella linea sia sovrapponibile alle tangenziali, dove ci sono. Ma quella linea non basta se non si risolve il problema del trasporto urbano. Come si fa a progettare solo posteggi dappertutto?».

Ma le macchine sono sempre di più. Dove le mettiamo?

«A Londra con l´ex sindaco Ken Livingstone abbiamo progettato quella grande torre nel centro e sa quanti posteggi sono stati previsti? 42. A New York con il sindaco Bloomberg stiamo trattando operazioni urbanistiche a Manhattan a posteggi zero. Altro che i 10mila posti macchina di Citylife. Il concetto è disincentivare l´uso dell´automobile. Se non fai altro che costruire posteggi ingigantisci il traffico e continui a proporlo nel centro delle città. Io a Parigi abito in centro e non ho la macchina, sono ultra servito dai mezzi pubblici».

Torniamo a Milano: perché lei sente questa grande delusione?

«Perché mi ricordo com´era quando, da giovane architetto, ci sono arrivato al seguito di Franco Albini, il maestro della Zero Gravity, l´architettura come leggerezza, insieme a Marco Zanuso alla scoperta di nuovi materiali, di nuove forme. Avevamo il terreno favorevole per esplorare, ascoltare, confrontare. C´era un circolo virtuoso che garantiva la qualità diffusa. Mi ricordo i dibattiti con Ermanno Olmi per progettare Ponte Lambro».

E ora che le occasioni di costruire sono addirittura imponenti: basta pensare alle possibilità di Expo 2015?

«Se lei mi chiede se sono Exposcettico o Expoentusiasta le rispondo che sono entusiasta. Sgombro il campo dall´equivoco nato qualche tempo fa, quando fui classificato sulla linea di Adriano Celentano, che era contrario. Sono prudente. Non vorrei che l´Expo diventasse una colossale operazione immobiliare e stop. Ho già un´esperienza in materia, quella delle Colombiadi, l´Expo genovese del 1992 per i 500 anni della scoperta dell´America. Lì abbiamo recuperato l´esistente e costruito un quartiere nel cuore della città, nel porto storico, che rimane un segno forte e lo abbiamo fatto con equilibrio ambientale e economico. Ricordo quello che mi raccomandava, in stretto dialetto genovese, il sindaco di allora, Fulvio Cerofolini: "Mia Piano, qui nun se straggia ninte ("Guarda Piano, che qui non si può sprecare niente"). Non abbiamo sprecato niente, abbiamo costruito su quel che c´era».

Ma alla fine non è molto più stimolante creare dal nulla, costruire a perdita d´occhio senza avere vincoli di spazi, di storia, di cultura?

«È vero il contrario. La sfida dell´architetto è proprio quella di andarsi a cercare i vincoli, i condizionamenti, gli obblighi dell´esistente. Noi italiani abbiamo più degli altri questa capacità che io considero la vera sfida da esercitare quando ci viene proposto un nuovo lavoro».

Tutto questo non può essere travolto da una cultura diversa più globale, che tiene conto dell´immigrazione, di una nuova società multietnica, già ospitata dalle città?

«Siamo sempre stati meticci e non solo a Genova e Venezia, città porto. Perché nei nostri quadri, nei nostri affreschi compaiono spesso i mori, i personaggi di colore ambientati nelle diverse epoche? Perché questa è la nostra storia».

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