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Luigi Ferrajoli
A garanzia dei diritti
1 Aprile 2010
Articoli del 2010
Fermata – per oggi – una pesante minaccia alla libertà e alla dignità dei lavoratori. Ma se non si rianima l’opposizione in tutte le sue piazze, domani ricominciano. Il manifesto, 1° aprile 2010

Dobbiamo dare atto al presidente Napolitano del rigore con cui, rinviando alle Camere per una nuova deliberazione la recente legge sul lavoro, ha esercitato le sue funzioni di garanzia. Questa legge, dice il messaggio che accompagna il rinvio, oltre ad occuparsi, in un labirinto intricato di 50 articoli e 140 commi, di un'enorme quantità di materie eterogenee, presenta vistosi profili di incostituzionalità. In particolare, il comma 9 dell'articolo 31 travolge, ben al di là dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sul diritto alla reintegrazione del lavoratore ingiustamente licenziato, le garanzie giurisdizionali di tutti i diritti dei lavoratori. Prevede infatti la possibilità che nei contratti di lavoro possa essere pattuita la cosiddetta «clausola compromissoria», cioè l'impegno, in via generale ed astratta, di rinunciare all'esercizio del diritto di «agire in giudizio per la tutela dei propri diritti» previsto dall'articolo 24 della Costituzione, e di rimettere tutte le future controversie, e non solo quelle relative all'articolo 18, alla decisione secondo equità, cioè in deroga alla legge, di un arbitro privato.

È questa possibilità in astratto che è stata giustamente censurata dal messaggio di Napolitano. Non si tratta, dice il messaggio, della previsione del ricorso all'arbitrato sulla base, volta a volta, di una scelta operata al momento dell'insorgenza della lite: in tal caso non ci sarebbe nessuna rinuncia preventiva alla tutela giurisdizionale, ma solo la concorde decisione delle parti litiganti, assunta liberamente e con cognizione di causa, di rimettere all'arbitro la soluzione di quella specifica lite.

La clausola compromissoria equivale invece all'impegno preventivo di affidare all'arbitrato tutte le future controversie, e perciò alla privazione, di fatto a un'alienazione costituzionalmente inammissibile, di un diritto fondamentale quale è appunto il diritto di agire in giudizio. Comporta, in altre parole, una rinuncia aprioristica che, dice il messaggio, compromette, in contrasto con quanto affermato più volte dalla Corte costituzionale, la «effettiva volontarietà dell'arbitrato» e rischia sempre di occultare il cedimento del «contraente più debole», il lavoratore, all'imposizione di quello più forte.

È quindi chiaro che la legge che consente una simile privatizzazione della giustizia del lavoro viola clamorosamente l'articolo 24 della Costituzione. Il diritto di azione è infatti un diritto fondamentale - un meta-diritto alla tutela giudiziaria dei propri diritti -, in quanto tale inalienabile e indisponibile per via contrattuale. E non può certo la legge avallare il ricatto della sua preventiva rinuncia al quale i lavoratori finirebbero per essere sottoposti al momento dell'assunzione. CONTINUA|PAGINA2 Aggiungo che questa vanificazione delle garanzie giurisdizionali è aggravata da due ulteriori esautoramenti del ruolo del giudice, previsti dai commi 1 e 2 dall'articolo 30 della legge. Il primo, anch'esso in contrasto con l'articolo 24, è la limitazione del «controllo giudiziale» sulle clausole generali contenenti «norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso» al solo «accertamento del presupposto di legittimità», con esclusione del «sindacato di merito» sulle «valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro».

Il secondo, ancor più grottesco, è la soggezione dei giudici, che l'articolo 101 della Costituzione vuole «soggetti soltanto alla legge», alle «certificazioni» extra-giudiziali, rimesse a speciali «commissioni di certificazione», delle valutazioni delle parti in materia di «qualificazione del contratto di lavoro» e di «intepretazione delle relative clausole».

Oggi questo rinvio della legge alle Camere riapre il dibattito parlamentare. Ma ben al di là del confronto in Parlamento, sull'esito del quale è difficile farsi illusioni, c'è da sperare che esso fornisca l'occasione, finalmente, per una mobilitazione di massa - politica, sociale e sindacale - contro questa ennesima vergogna: una mobilitazione che fino ad oggi è incredibilmente mancata per la disattenzione, l'inerzia e il disimpegno generale.

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