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Vezio De Lucia
A che servono i piani d’assetto delle aree protette?
22 Novembre 2011
Scritti ricevuti
Il Codice apre un problema finora eluso: come conciliare pianificazione paesaggistica e naturalistica? Un intervento nella discussione aperta da eddyburg. 21 novembre 2011 (m.p.g.)

Sono passati esattamente venti anni dall’approvazione della legge quadro sulle aree protette e, secondo me, il bilancio, salvo rare eccezioni, è deludente. I problemi sono tanti, a cominciare dall’invadenza del sottobosco politico nella nomina dei presidenti, dei consigli direttivi e dei commissari. Personalmente sono stato sempre contrario alla presenza negli organi di amministrazione dei parchi di esponenti delle associazioni ambientaliste che dovrebbero essere una controparte e non coadiutori dell’ente. Ma in questa nota mi fermo solo su un punto, certo non marginale, che però mi sembra trascurato: mi riferisco al destino del piano d’assetto dei parchi dopo l’approvazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Il Codice, giustamente, in forza dell’art. 9 della Costituzione, ha prescritto che “le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione […] ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette” (decreto legislativo 42/2004, art. 145, comma 3). Invece, prima del Codice, la legge quadro prevedeva un piano di assetto del parco addirittura sostitutivo di ogni altro livello di pianificazione (il piano per il parco “sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro livello di pianificazione”: legge 394/1991, art. 12, comma 7).

L’insostenibilità dell’attuale situazione emerge con chiarezza, per esempio, a proposito dell’Appia Antica: mentre il piano paesaggistico dell’Appia Antica è approvato, vigente e ben fatto (è anche l’unico piano paesaggistico del Lazio approvato), il piano d’assetto elaborato dall’ente parco (molto difettoso nella tutela del paesaggio, dei monumenti e dell’archeologia) non è mai stato approvato. Né può essere approvato proprio perché in contrasto con il piano paesaggistico. Insomma, un pasticcio che non agevola certo la tutela di un bene che dovrebbe essere prezioso “come l’Acropoli di Atene” (Antonio Cederna) e continua invece a essere ingiuriato da piccoli e grandi scempi.

Stando così le cose, penso che sia necessario decidere sulla ragion d’essere del piano d’assetto dei parchi, e mi chiedo se non convenga – in un’auspicabile riorganizzazione degli strumenti di pianificazione specializzata (paesaggio, aree protette, bacini imbriferi, energia, trasporti) – unificare almeno la tutela paesaggistica e quella naturalistica. Si tratterebbe, in buona sostanza, di assegnare al piano paesaggistico anche contenuti di tutela e di cura del mondo animale e vegetale coinvolgendo e responsabilizzando al riguardo gli enti parco. Non mi sfugge che il tema merita più ampie e documentate riflessioni, ma intanto cominciamo a discuterne.

L’intervento si inserisce nella discussione sull’assetto dei parchi recentemente aperta da eddyburg, cui tutti i lettori sono chiamati a partecipare.

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