CRavaioli A che serve la Camera dei «rossoverdi»
Una sinistra “rossoverde senza trattini”: una speranza per un futuro non subalterno? Da
il manifesto
Che il 15 gennaio abbia posto gli obiettivi elencati da Asor Rosa nel suo intervento del 30 aprile, non è discutibile. Ma non mi pare siano state le sole esigenze avanzate, e forse nemmeno le più significative emerse nel dibattito. Penso ad esempio agli interventi di Agnoletto, Greco, Tortorella - per dire solo di qualcuno. Ma in particolare penso a quanto affermato proprio da Asor Rosa in un articolo apparso sul poco prima del 15: «La sinistra del futuro o sarà rossoverde o non sarà». Con un'aggiunta che puntualizza: «Non rossa e verde, ma rossoverde, senza trattino». Un'affermazione di tale radicalità e pregnanza che, qualora venisse fatta propria da «tutte le forze autenticamente di sinistra», potrebbe non solo favorirne il «riavvicinamento unitario» e la «graduale omogeneizzazione» da Asor Rosa auspicati, ma farsi anche premessa di una strategia economica e sociale alternativa alle destre, di cui da gran tempo si sente il bisogno.
Una sinistra davvero «rossoverde» significherebbe innanzitutto un netto cambiamento del rapporto finora intrattenuto con il problema ambiente, in sostanza considerato (non molto diversamente dalla destra) come una variabile di scarso rilievo e comunque estranea ai grandi temi della politica. E questo comporterebbe un impegno nei confronti della crisi ecologica ben diverso, per quantità e qualità, da quello fin qui osservato.
Ma soprattutto porterebbe a una riflessione su quel «senso del limite» che la specie umana, a differenza di tutte le altre, dimostra di avere smarrito, non solo nell'uso dissennato e distruttivo della natura. Fino a leggere l'accumulazione - il motore di tanta parte della storia umana governata dal capitalismo - come l'azzardo di un continuo sconfinamento oltre il limite, ormai non più sopportabile. Accettare il fatto che i meccanismi di accumulazione si scontrano ormai contro la realtà di un mondo finito e non dilatabile a nostro piacere, e pertanto si trovano a fare i conti non solo con l'aggravarsi continuo dello squilibrio ambientale, ma con la crescente riduzione, anzi il prossimo esaurimento, di nuovi spazi disponibili alla valorizzazione dei capitali, offrirebbe risposta anche a una domanda mai formulata ad alta voce e però presente nelle cose: perché la crescita produttiva nella forma dell'accumulazione capitalistica che a lungo, pur tra iniquità e sfruttamento, è andata via via migliorando le condizioni di vita nei paesi industrializzati, sembra aver imboccato un itinerario opposto, e sempre più comporta disoccupazione e precarietà, salari miserabili, orari impossibili, taglio delle pensioni e dei servizi? e perché affannosamente rincorre le ultime chances delocalizzando verso terre di lavoro a costi irrisori, senza sindacati e leggi ambientali, per la produzione di una ricchezza destinata a una quota minima degli abitanti del pianeta?
Parrebbe allora inevitabile prendere atto dell'inutilità delle politiche portate avanti finora dalle sinistre, da un lato appiattite sulle strategie delle destre nell'eterna richiesta di modernizzazione produttività competitività aumento dei consumi crescita del Pil, dall'altra - nel modo più incongruo - tenacemente aggrappate a una tradizione che chiede più salari pensioni servizi.
E parrebbe logico riconoscere che l'attuale modello di produzione e consumo non solo va sconvolgendo le regole che presiedono alla continuità vitale della natura e di noi tutti, ma non è più in grado di consentire ciò che da sempre è scritto nei programmi delle sinistre e nelle ragioni stesse del loro esistere. Perché marginalizzazione ed esclusione sono oggi normali strumenti di strategia economica, le disuguaglianze vanno aumentando e da una parte del mondo si muore di fame mentre dall'altra si muore di obesità da sovralimentazione.
Altrettanto logico parrebbe abbandonare l'eterno alibi antiambientalista che da sinistra si richiama alla povertà da sconfiggere per giustificare la politica dello «sviluppo». Ricordando se non altro che - come attesta la Fao - il mondo produce cibo sufficiente a sfamare tutti suoi abitanti; ciò che lo impedisce è solo l'iniquità della distribuzione, la deliberata distruzione di enormi derrate alimentari al fine di proteggere questa o quella categoria di produttori, l'esosità e l'assurdo di politiche doganali a contraddire la realtà della globalizzazione e il mito del libero mercato.
Impiantare un discorso serio sul «senso del limite» smarrito dagli umani incrocerebbe poi tutta una serie di altri temi giganteschi che attraversano il nostro tempo e a ritmi sempre più veloci lo trasformano. Posso qui solo nominarne qualcuno, alla rinfusa. Accennare alle sorti della scienza, sempre più a rischio di subalternità rispetto allo strapotere economico, ciò che è già accaduto con la tecnologia. Al fenomeno migratorio, che la brutale insipienza dei governi vede solo in termini di manodopera da utilizzare, sottopagata, per i peggiori lavori, e da ridurre a mero problema di sicurezza quando non serve più: senza mai porsi domande di fronte alla magnitudine di masse, regioni intere, in movimento verso le frontiere del favoloso Occidente, di cui tv e satelliti ininterrottamente gli raccontano i fasti. Al terrorismo, una costante ormai del nostro vivere, forse - al di là delle cause connesse alle singole situazioni - soltanto urla di infelicità contro le smisurate disparità del mondo. E alla guerra, sempre più tranquillamente e senza pudori usata come ultimo strumento per far quadrare i conti dei potenti.
Una «sinistra rossoverde, senza trattino», quella da Asor Rosa indicata come l'unica capace di futuro, a me pare sarebbe il tema e l'obiettivo più confacente al lavoro di un organismo come la Camera di consultazione, che non credo potrebbe avere grande utilità inserendosi attivamente nell'immediato del dibattito politico, aggiungendo la propria voce all'interno di un coro fin troppo affollato. Come altri hanno detto, la funzione della Camera dovrebbe essere soprattutto un'attività seminariale, distaccata dal politichese dell'Italia berlusconiana: non certo per dimenticarla, ma per garantirsene un'osservazione più ampia, e rapportarla alle vicende del mondo dalle quali inevitabilmente anche i fatti di casa nostra sono condizionati.
E proprio l'idea di una sinistra «rossoverde senza trattino», che contiene e unifica i due massimi problemi d'oggi, mi parrebbe materia bruciante su cui riflettere e discutere: ipotesi certo tutta da costruire, verso un obiettivo estremamente difficile da raggiungere e prima ancora da mettere a fuoco, ma di cui qualcuno al mondo dovrà pure un giorno o l'altro farsi carico.