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Ida Dominijanni
40 anni di diritto
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
All'ordine del giorno della festa di Magistratura democratica non solo la resistenza all'aggressione di oggi, ma anche il rapporto tra magistratura e società. Da il manifesto del 4 dicembre 2004

Non era previsto, proprio no, che alla festa per il quarantesimo compleanno di Magistratura democratica arrivasse fresca fresca, ospite ingrata e sgradita, la riforma dell'ordinamento giudiziario del governo Berlusconi. Ma al tempo non si comanda, come al cuore, e così è andata: si festeggia il compleanno all'Ambra Jovinelli con un convegno che si trova a dover commentare il testo di una controriforma incostituzionale sospeso al filo della firma o del gran rifiuto di Ciampi. Non per questo la festa si trasforma in un funerale: al contrario. Magistratura democratica approfitta del compleanno per rilanciare le sue ragioni originarie nella sfida di oggi, come di fronte a un cerchio che si chiude. Sembra proprio uno scherzo del tempo infatti ritrovare, nella mozione istitutiva di Md del `64, quella «completa estromissione dal sistema giudiziario del concetto di carriera» mentre passa una riforma che lo reintroduce a piene mani, con l'intento, come dice il presidente dell'Anm Edmondo Bruti Liberati, di riportare ordine e disciplina in un corpo di magistrati che la Costituzione vuole sottoposto solo alla legge, e di fare regredire l'ordinamento giudiziario a quello che era negli anni Cinquanta, quando la magistratura agiva non con ma contro la Costituzione, a fare giurisprudenza era solo la Cassazione e la carriera dei magistrati era del tutto avulsa dalle esigenze di giustizia di una società in trasformazione. E non è il solo punto di regressione: perché alla visione berlusconiana dell'ordinamento giudiziario corrisponde, com'è noto, una precisa visione della democrazia. Si attacca l'autonomia dei magistrati, per attaccare il controllo di legalità sul potere politico; si tenta di ridefinire la magistratura come potere del popolo, cioè come braccio esecutivo della maggioranza, per farne un anello della catena che dal popolo sovrano porta all'onnipotenza del capo. Una visione della democrazia, spiega Luigi Ferrajoli, contrapposta alla democrazia costituzionale, che ha per scopo la tutela non del potere della maggioranza, ma dei suoi limiti. Nella controriforma della giustizia non c'è in gioco solo la Costituzione del `48, sulla cui difesa si attesta il segretario di Md Claudio Castelli: c'è in gioco, sottolinea Franco Ippolito, il costituzionalismo in quanto tale.

Dice Ferrajoli che per affrontare la sfida di oggi Md non deve far altro che ritrovare e rilanciare le ragioni dei suoi inizi. La scoperta della Costituzione come legge vincolante, da far vivere nel processo e nella giurisprudenza; il combattimento contro i poteri illegittimi, dalla polizia ai padroni agli stessi magistrati se del caso (non per caso uno dei primi atti di Md fu nel `69 quell'ordine del giorno Tolin che denunciava le minacce alla libertà di manifestazione del pensiero emerse con l'ordine di cattura per reati di opinione del direttore di Potere Operaio). E ancora, la scelta di campo a favore dei soggetti deboli, titolari di diritti fondamentali violati, e l'assunzione delle loro ragioni come «punto di vista esterno» al diritto. Certo, ritrovare e riconfermare quelle ragioni oggi è più difficile di allora: e non solo perché il potere politico, e altri poteri al seguito, s'è fatto più illeggittimo, ma perché, come osserva Giovanni Palombarini, i soggetti deboli - dai precari agli immigrati - si sono fatti più deboli.

La tendenza regressiva non riguarda infatti solo l'ordinamento giudiziario ma la società e il sistema politico italiano nel loro complesso. E ripercorrere i quarant'anni di Md, il pezzo della magistratura italiana più coinvolto nelle vicende del mutamento sociale e politico, è anche un'occasione per riflettere su quarant'anni di storia della Repubblica, fuori dai refrain più consolidati e più ottusi. Ad esempio, fuori dal refrain che data la fine della Prima Repubblica al crollo di Tangentopoli, alla «rivoluzione giudiziaria» dei primi anni 90, alla riforma in senso maggioritario del sistema elettorale. Alberto Asor Rosa, fra gli invitati al convegno, giustamente retrodata l'intera dinamica alla fine degli anni Settanta, quando si chiude il ciclo delle grandi rotture (e della stagione di crescita dei diritti) inaugurato dal '68-'69, e fallisce ogni tentativo della Prima Repubblica di autoriformarsi lasciando inalterato il sistema elettorale e proporzionale e il ruolo dei grandi partiti. La crisi della rappresentanza politica, aggiunge Peppino Cotturri, e più in generale le contraddizioni emerse nel movimento del Settantasette, domandavano già allora risposte e riforme che la politica non seppe dare allora e non ha saputo dare mai più. E la crisi della giustizia, si può aggiungere, era anch'essa tutta dispiegata nelle inchieste sul terrorismo e nei teoremi sui sovversivi, come ancora testimonia la vicenda del processo 7 aprile, quando anche Md dovette dividersi per trovare la bussola garantista.

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