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Guido Martinotti

Ha vinto D'Alema 

12 Luglio 2011
Sinistra
L’indignazione di uno che sa parlare chiaro e comprende qual’è l’alleanza che governa. Il manifesto, 12 luglio 2011

Sconfitto è chi aveva capito da subito che non si poteva essere governati dalla ghenga che ha fatto i primi soldi derubando una ricca orfana indifesa e malata, continuando poi senza limite e ritegno

Su La Repubblica del 2 luglio, in anticipazione di un numero di Alfabeta2 dedicato agli sconfitti, Umberto Eco scrive: «È ancora materia di discussione chi siano stati i veri vincitori delle elezioni comunali, specie a Milano e Napoli. Quello che non ci si è chiesti abbastanza è chi siano gli sconfitti, perché ci si è arrestati all'evidenza più immediata, e cioè che chi ha subito la "sberla" sono stati Berlusconi e Bossi, il che è innegabile. Ma c' è qualcun altro che, se non sconfitto, dovrebbe sentirsi messo in causa dal risultato delle amministrative. Io ritengo che sia stato messo in causa, almeno come rappresentante eminente di una tendenza, Massimo D'Alema.»

Non sto a riprendere il lungo articolo ormai diventato quasi un oggetto di culto, se non per richiamare la tesi centrale e cioè che D'Alema (e con lui un certo modo di fare politica che ha caratterizzato la sinistra) negli ultimi vent'anni ha accumulato una serie davvero rimarchevole di sconfitte, in grazia delle quali il berlusconismo ha potuto compiere il suo devastante ciclo ventennale.

L'analisi di Eco è condivisibile e del resto non fa che riproporci con la usuale lucidità e penetrazione alcuni dei giudizi negativi che da tempo e da molte parti si esprimono sulla filosofia politica impersonata da D'Alema - e dal resto della leadership del Centrosinistra. Ma dissento decisamente dall'idea che D'Alema sia uno sconfitto. Gli sconfitti dell'ultimo ventennio (oltre agli italiani tutti, e oggi anche gli europei, che cominciano ad assaggiare l'amaro sale dei costi di questa devastazione) siamo noi, noi che costituiamo quella metà, e oltre, del paese che, da subito, aveva capito che non potevamo essere governati dalla ghenga che ha fatto i primi soldi derubando una ricca orfana indifesa e malata, continuando poi alla grande senza alcun limite e ritegno. Sconfitto è Prodi, con i pochi altri che si sono opposti al berlusconismo, continuando a operare per una Italia diversa e civile. Sconfitto è Fini che, sia pur tardivamente, ha cercato invano di costituire una destra vagamente legalitaria e quanti altri che condividevano progetti simili, alcuni sperando, con maggiore o minore buona fede e perspicacia, che Berlusconi e Bossi fossero gli araldi di tale "destra moderna" (ammesso e non concesso che questa dizione non sia, come io penso, un ossimoro). Ma d'Alema sconfitto non è: è uno dei vincitori, in questa era, vincitore per sé e per i suoi, alla grande, certo non per noi, ma pur sempre vincitore.

Lo storico futuro che guarderà a questo periodo troverà facilmente tre nomi che se la sono passata straordinariamente bene: Berlusconi, Bossi e D'Alema. Più una pletora di berluschini e dalemini che si sono divisi la torta durante il ventennio. Davvero d'Alema ha fatto qualcosa di percepibile e decisivo per contrastare Berlusconi e il suo regime? Qualche eroica battaglia in Parlamento e nel Paese? E quando? L'unica Grande Impresa, miseramente fallita, è stato il tentativo di fare un accordo con, non una battaglia contro il Caimano. Ogni mobilitazione è stata annacquata, assopita e disprezzata, come raccomandava il famoso preside del Maestro di Vigevano «quieta non movere, mota quietare». Chi si agitava veniva subito tacciato di «antiberlusconismo», «estremismo» e comunque di insipienza politica («Non possiamo raccontarci queste storie tardo-sessantottesche»). Perché, in vent'anni, la sola sapienza politica tollerata è stata quella di arrovellarsi su una equazione irresolubile, come quelle della quadratura del cerchio o del decimo problema di Hilbert, e cioè come fare una politica (e proiettare una immagine) sufficientemente di destra per conquistare l'elettorato di centro. Filosofia politica espressa con il massimo della lucidità da uno dei suoi maggiori teorici quando ha proposto ai milanesi di candidare contro la Moratti l'ex sindaco Albertini (a suo tempo personalmente scelto da Silvio Berlusconi con molta intelligenza politica, beninteso come candidato della destra).

Ma questa politica dell'acqua nel mortaio, che dura ancora oggi, nonostante importanti segni di cambiamento nel paese, la obbrobriosa agonia del berlusconismo e la catastrofe economica incombente, non è frutto di insipienza o ingenuità: è frutto di calcolo, perché ha permesso a D'Alema e a buona parte della dirigenza politica nazionale e locale del Centrosinistra, di prosperare serenamente per vent'anni, facendo i propri affari e accumulando potere.

Non mi riferisco qui ad affari sporchi, anche se dalla famosa battuta di Guido Rossi su Palazzo Chigi come merchant bank in poi i segni inquietanti si sono moltiplicati; non ho le conoscenze e la competenza di un Travaglio e non è comunque questo il profitto di cui parlo. Il profitto è tutto politico, finché c'è Berlusconi e fin che è in atto una sorta di drôle de guerre in cui si fa finta di combattere, ma tutte le volte che il regime è in difficoltà invece di suonare l'assalto si suona la ritirata (last but not least l'astensione sulle Province), non c'è bisogno di dire agli italiani cosa si farebbe se si va al governo, soprattutto, dio non voglia, se sull'onda di una ondata di indignazione popolare.

È una opposizione che disprezza (e teme) i movimenti e la società civile contrapponendoli ai partiti, come fa appunto D'Alema con sussiegosa altezzosità nel discorso di Gargonza. «Io non conosco questa cosa, questa politica che viene fatta dai cittadini e non dalla politica. La politica è un ramo specialistico delle professioni intellettuali. E finora questo momento non si conoscono società democratiche che hanno potuto fare diversamente». Come è avvenuto per molte altre affermazioni apodittiche di questo leader, del tipo «La Lega è una costola della sinistra», anche questa cozza sonoramente contro l'evidenza dei fatti, ma che importa? Qualsiasi leader politico che avesse accumulato come D'Alema una serie tanto significativa di incontri poco felici con la realtà, si considererebbe sconfitto e, anche senza ritirarsi a vita privata, manifesterebbe qualche segno di umiltà; se però non fosse intimamente e fermamente convinto - e credo proprio che sia così - di essere lui il vero vincitore.

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