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Titolo originale: The ultimate theme park – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Venezia è per gente cresciuta. Il pensiero corrente è che questa sensuale città d’acqua sia riservata agli adulti, e in particolare a quelli nelle prime o ultime fasi del trasporto amoroso. E certo c’è abbondanza di giovani amanti che vagano in quel labirinto mano nella mano, guardandosi perdutamente l’un l’altro in quell’affascinante scenario. Ce ne sono ancor più di vecchi, che possono per la prima volta permettersi un viaggio tanto sontuoso, stare nei grandi alberghi, bere un bellini all’Harry’s bar, cenare su una terrazza sul Canal Grande. Venezia è anche battuta dagli Aspirapolveri della cultura, che risucchiano arte e architettura, correndo da una galleria, a una basilica, a un museo, o da visitatori giornalieri che freneticamente raccattano tutto. Diciamocelo: in qualunque momento dell’anno Venezia è piena di qualunque tipo di persone, tranne i bambini. Troppo costosa, troppo culturale, troppo affollata, troppo noiosa per i più piccoli, è un campo giochi per adulti.

Beh, no. Secondo la nostra famiglia non lo è.

Da quando il nostro figlio più piccolo era grande abbastanza da andare in giro senza passeggino, che è quasi impossibile da manovrare su tutti quei ponti, una breve sosta a Venezia è diventata pellegrinaggio annuale per la famiglia Elms. Prendiamo in affitto un lindo appartamento di due stanze alla Giudecca, compriamo un abbonamento di tre giorni al trasporto pubblico, e lasciamo che i piccoli si lancino nella meravigliosa stranezza di tutto quanto. Adorano tutta quell’acqua, le barche e le isole, e specialmente le acque alte, quando si tolgono le scarpe a sguazzano in giro. Amano il cibo, la pasta, la pizza, e il fatto che gli italiani, anche i veneziani abituati ai turisti, si occupano di loro e perdonano piccole impertinenze. Gli piacciono davvero il merletto turistico in vendita in troppi negozi, i piccoli ninnoli di vetro o le maschere prodotte in serie, che adesso ornano le loro camerette a casa. Non badano nemmeno tanto alla occasionale visita a un museo, sempre che non si esageri. Meglio, semplicemente, rilassarsi e lasciare che questa città unica ti scorra sopra.

Il nostro clan è fatto di una bambina di sei anni, Maude, di una di quindici, Alice, con Alfie, di nove anni, in mezzo, quindi stare in un appartamento è la soluzione. È molto più economico, affittare un alloggio, che prendere due o tre stanze in qualunque albergo, escluse le caverne. Ma c’è anche il fatto che in appartamento, fra gli abitanti del luogo, si ha più il senso di vivere in questo posto speciale per qualche giorno, meno pressione a trascorrere ogni ora battendo le vie affollate. Stare un po’ in disparte da tutto, di fronte all’isola principale, alla Giudecca, è un vantaggio anche perché ti dà la necessaria tregua dalle orde. La vita è un po’ meno frenetica qui, e un po’ meno costosa anche se ci sono piacevolezze genuine: trattorie locali a pezzi ragionevoli, bar, negozi, gelaterie, e anche un piccolo parco giochi con le altalene e altre cose in una piccola e disordinata piazzetta. Ogni mattina ci svegliamo con un eccellente cappuccino, e il panorama di Dorsoduro e San Marco lì davanti. Si deve prendere il vaporetto per l’isola principale un paio di volte al giorno, ma tranne quando c’è sciopero (ancora) il servizio è eccellente, ci vogliono solo cinque minuti, e la famiglia non si stanca mai dell’eccitazione di salire su un autobus che è un’imbarcazione.

Stare in appartamento, significa anche avere una cucina, cucinare, quindi poter andare a far spesa. I ragazzi adorano correre al negozio di alimentari dell’angolo, a comprare prosciutto o pecorino, il che aiuta a contenere un po’ i costi, che sono innegabilmente terribili. Il luogo che abbiamo scelto come base ha anche un cortile comune, dove Alfie può mettersi la sua maglia Italia e dal calci al pallone, la piccola saltare la corda, e la teenager prendere il sole e leggere. Essenziale, l’appartamento viene affittato con TV e DVD, il che significa che possono portarsi i film preferiti e star tranquilli e contenti per un paio d’ore.

Ma non si viene a Venezia per stare in casa. Quello che conta è star fuori nella magia fluttuante, e quello che interessa davvero è prendere un taxi dall’aeroporto. Il mio consiglio è che si debba prendere una gondola, almeno una volta nella vita, mangiare una volta in uno degli esageratamente costosi grand hotels, bersi una birra o un caffè da 10 € a San Marco, ma tutte le volte che si arriva a Venezia, bisogna prendere un motoscafo taxi direttamente per la propria destinazione. Con circa 100 euro si evita la ressa e il caos del sistema veneziano di trasporto pubblico, portandosi i bagagli dopo un volo faticoso, e tutta la famiglia ha la sensazione di essere dei divi del cinema, portati attraverso la laguna col vento tra i capelli, e un sorriso stupito sul viso. Ci si mette immediatamente di buon umore, e si sente che siamo tornati di nuovo qui.

A tutti piace anche esplorare le altre isole: guardar soffiare il vetro a Murano o intrecciare merletti a Burano, camminare nei vicoli deserti la sera e tentare di spaventarsi l’un l’altro con sciocche storie di fantasmi, o l’idea di essersi irrimediabilmente persi. I due più piccoli hanno preso a “pescare” con retini, sporgendosi dalla fondamenta vicino a casa.

Alice, la quindicenne, non è tanto facile da compiacere. Adesso dobbiamo portarci una sua amica per evitare che si strappi i suoi capelli all’ultima moda, visto che effettivamente c’è molto poco per adolescenti a Venezia. Con un’amica con cui ridacchiare, ci sono abbastanza ragazzi con lo zaino o giovani gondolieri per divertirle, e amano poter andare da sole a San Marco la sera, semplicemente a passeggiare. Venezia è una città molto sicura, e la libertà che consente è l’attrazione principale. Il fatto che Alice possa fare da babysitter ai più piccoli per una sera, così che noi si abbia l’occasione di metterci i nostri stracci eleganti e comportarci da amanti non più giovani, è un motivo sufficiente a convincerla a venire. Se non avete come noi la babysitter incorporata, potete procurarvela attraverso un’agenzia.

Ad Alice piace anche il Lido. Personalmente, ne farei anche a meno di questa striscia di cattive pizzerie, alberghi vacanze e boutiques – con l’aspetto di una specie di scalcagnato sobborgo di Miami – dato che spezza l’incantesimo indotto da Venezia. Le automobili coi loro rumori, e le insegne al neon dei bar, lo fanno sembrare così banale, al confronto. Ma ai ragazzi piace infilare i costumi in un asciugamano, saltare sul vaporetto della linea 1 per la spiaggia, e sguazzare nelle calde, calme, basse (e solo un po’ inquinate) acque. Come tutto il resto, non è a buon mercato, quando si affittano ombrelloni, sdraio e cabine, ma nei giorni arroventati rappresentano un rifugio fresco, e c’è un certo fascino nel fare del people watching. La maggior parte dei nostri colleghi bagnanti sembrano la mamma di Nancy Dell’Olio, e si comportano come le disperate vedove che, probabilmente, sono.

Di ritorno in città, mentre il sole battente per fortuna tramonta e comincia a scendere la sera, Venezia prende un’aria misteriosa, vagamente minacciosa, orientale ed esotica, con le sue gemme un po’ rovinate avvolte da un sottile alone rosa. Gitanti e turisti tornano verso casa, la quiete del senza automobili si fa più intensa, e una serenità senza tempo si stende sull’intricata conigliera piena d’acqua. È il momento migliore solo passeggiare e provare meraviglia, perdersi nelle sue pieghe, magari fermarsi a una gelateria in una stradina secondaria o bersi un po’ di nascosto un bicchiere di vino in piedi nei piccoli bar, mentre i ragazzi si sporgono dai ponti senza cadere. Qualche volta, anche i più filistei fra i bambini sono costretti ad ammettere che c’è qualcosa di molto speciale, a Venezia. È un parco a tema, ma è vero, profondamente magico: quello perfetto.

Nota: il testo originale al sito del Guardian (f.b.)

L'incendio del Mulino Stucky, trasformato in colossale albergo, ripropone in termini drammatici il problema di Venezia, ben descritto nell'articolo su "Repubblica" di Erbani, domenica scorsa. La città è ormai abbandonata ad una espansione turistica piratesca. La trasformazione di normali abitazioni in locande e camere da affitto - che spesso lavorano in nero - ha effetti devastanti sul tessuto urbano. E' falso sostenere che lo spopolamento sia determinato dalla mancanza di opportunità di lavoro. Oltre 20.000 persone raggiungono quotidianamente Venezia per lavorare o studiare e molti vi trasferirebbero volentieri. Il pericolo più incombente non è solo l'acqua alta, ma anche questo turismo che espelle all'esterno gli abitanti e ogni altra attività civile. E non illudiamoci sia solo un problema di Venezia: pochi anni di questo sviluppo sono bastati a compromettere la nostra civiltà urbana.

Nella seduta del 14 aprile il consiglio comunale ha approvato una richiesta di finanziamenti da Roma destinati a studi per il progetto di metropolitana sublagunare e di ristrutturazione dell'area Arsenale-Tessera. Si può essere pro o contro la metropolitana sublagunare, il dilemma è serio perché da una parte c'è l'attraente possibilità di collegamenti veloci per i residenti, dall'altra i possibili danni al caranto, la nascita di nuovi quartieri turistico-alberghieri e il potenziale di ulteriori invasioni di turismo di massa. Molti veneziani sono perplessi e indecisi. Ciò di cui hanno bisogno è informazione, che dev'essere precisa, comprensibile e soprattutto imparziale. Ma quale garanzia d'imparzialità offrono degli studi che sono commissionati e pagati da quell'Assessorato che, a torto o a ragione, da anni si batte per l'approvazione del progetto? Dove si possono ottenere i dati che sviluppino non solo gli argomenti pro, ma anche quelli contro il progetto? L'Assessorato ci lavora sopra da anni. I suoi funzionari sono pagati per portarlo avanti. I consulenti sono stati assunti e pagati. Chi c'è dall'altra parte a sostenere i punti di vista alternativi?

Lo stesso problema, in misura cento volte maggiore, si è posto e si pone per il Mose. Il Consorzio Venezia Nuova, incaricato delle opere, ha speso decine, forse centinaia di miliardi per formulare il progetto, controbattere le obiezioni, distribuire informazione mirata. Chi ha cercato di contrastarlo? Esiste una sproporzione immensa tra le due parti. Gli oppositori non sono né dei fanatici né dei fondamentalisti dell'ambiente; sono degli uomini e delle donne che si pongono alcuni seri, ragionevoli dubbi e formulano interessanti alternative. Lo fanno solo perché mossi da amore per la loro terra e forse da un insopprimibile senso della razionalità che dovrebbero avere le cose, le spese, le opere.

Guardiamo un momento chi sono e con quali mezzi si battono. C'è Italia Nostra: avete mai visto i suoi uffici? Due minuscole e marcescenti stanzette ottenute in affitto agevolato dall'Associazione Alpini. Le porte non si chiudono, il bagno è al pianerottolo sottostante. Il presidente è un ingegnere in pensione che ci lavora a tempo pieno e gratuitamente. I consiglieri sono pochi veneziani, professionisti, insegnanti o altro, che vi dedicano tutto il tempo libero. Non hanno i fondi per un solo impiegato part-time. Non sanno come pagare le bollette della luce e del telefono. Lavorano senza compensi, spendendo del proprio. Non sono mossi da ambizioni politiche né di potere (andrebbero dall'altra parte se ne avessero). Cercano l'aiuto di specialisti dell'idraulica, della meteorologia mondiale, dell'ingegneria e riescono qualche volta a trovare altri idealisti che gratuitamente lavorano e tengono qualche conferenza. Non possono pagare non solo uno scienziato, ma neppure un manifesto. Se tengono una riunione per i veneziani, faticano a trovare i cinquanta euro per pagare l'affitto della saletta di San Leonardo. Che noi siamo d'accordo o meno, possiamo solo onorare, rispettare e ammirare quegli straordinari esempi di altruismo e di amore per il bene comune. E' a loro che dobbiamo se qualche piccolo rivolo di informazione alternativa ci raggiunge e ci aiuta a capire la globalità dei problemi.

Accanto a Italia Nostra, c'è il WWF, ci sono i VAS, c'è qualche altro piccolo gruppo locale (Estuario Nostro, Airis, pochi altri). Tutti volontari, tutti sprovvisti di fondi, tutti minuscoli di fronte al colosso ultramiliardario del Consorzio. Fanno miracoli. Non parlo di Pax in Aqua, che da cinque anni si sostiene con le magre quote associative (tre milioni l'anno), contrastando gli interessi di taxi, lancioni, trasportatori, diportisti. Le controparti hanno uffici che lavorano a tempo pieno e con fondi generosi; noi dobbiamo studiare i documenti, produrre le nostre relazioni, andare a innumerevoli riunioni preparando materiale e interventi. Ma vorrei aggiungere un'altra nota.

Il 15 aprile il Gazzettino pubblica la protesta di una signora che abita in Riva dei Sette Martiri. Le navi da crociera, anche quelle "piccole" delle linee greche, fanno vibrare le finestre al loro passaggio (la stessa cosa è stata denunciata dalla società Bucintoro che ha gli uffici alla punta della Dogana). Facile immaginare, dice la signora, i danni creati a fondali e a rive dalle enormi eliche di quelle navi. Ma sono subito pronti i fondi per uno studio tranquillizzante: l'Autorità portuale ha commissionato una ricerca che dimostra come il moto ondoso prodotto dalle grandi navi sia praticamente irrilevante. Può la signora, possiamo noi veneziani, pagare altri professionisti perché facciano una controperizia? Perché magari studino gli (ovvi) effetti subacquei anziché l'altezza dell'onda generata, come hanno fatto gli esperti del Porto? Naturale che no. Chi li pagherebbe, quei professionisti? La signora che abita in riva? Questa è, purtroppo, la realtà delle cose. Chi ha un interesse economico immediato si muove subito, investe e produce informazione parziale quando non ingannevole. Chi rifiuta di lasciarsi ingannare può contare solo sulla propria buona volontà, sulla cortesia della stampa (quella non di parte) e sul lavoro volontario di qualche avvocato o perito altruista. E' troppo poco. Forse in un paese veramente democratico le istituzioni dovrebbero contribuire a finanziare quei gruppi che profondono tanto del loro tempo e delle loro professionalità per cause comuni. Ma le istituzioni sanno bene che quei rompiscatole solleverebbero problemi, interferirebbero con progetti di mille lobby economiche e politiche. E si guardano bene dall'aiutare coloro che vengono percepiti come delle potenziali spine nel fianco.

Caro Paolo, si scrivo ciò che avrei detto venerdì scorso, se avessi chiesto la parola. Naturalmente, poiché scrivo oggi e non parlo ieri, terrò conto di alcune cose che sono state dette.

Partire da un’analisi

Mi sembra che il tema dell’incontro indichi la volontà di costruire un nuovo progetto politico per la città. Ora nessun progetto politico riesce a durare se non si basa su un’analisi, il più possibile seria, del presente e del passato più recente. È a questo che siano allora in primo luogo chiamati.

Un atteggiamento che guardi appena al di là del contingente ci conduce subito a comprendere che ciò che oggi è in gioco non è una valutazione sulla maggiore o minore adeguatezza dell’operato del sindaco Costa e della sua giunta. Se ci limitassimo a questo: (1) non comprenderemmo le ragioni dell’attuale crisi, (2) non andremmo lontano nella definizione di un progetto politico.

La mia opinione è che, al di là della superficie delle differenze di stile e di spessore (ma non possiamo pretendere che i sindaci siano sempre dei geni), e forse anche di consapevolezza dell’interesse generale, ci sia una sostanziale continuità di strategia e di linea politica tra le diverse giunte che si sono succedute dall’inizio degli anni Novanta. Paolo Costa si limita a proseguire (naturalmente con il suo stile) il lavoro impostato da Massimo Cacciari. Per meglio dire, colloca le sue scelte in coerenza con le linee manifestatesi nel corso dei governi precedenti.

In termini molto sintetici vorrei ricordare alcuni eventi in relazione a temi che considero nodali per la città.

Il turismo

Una politica del turismo che lo renda compatibile con la città (e quindi capace di contribuire alla ricchezza dei suoi cittadini ma non distruttivo della risorsa di cui si nutre) richiede un’azione articolata su due versanti.

Da una parte (come aveva visto lucidamente il prof. Paolo Costa quando non era ancora sindaco) una rigorosa politica di “razionamento programmato dell’offerta turistica”. Si tratta di quella linea che Costa abbozzò in occasione della discussione sull’Expo, e che Luigi Scano ha sviluppato in alcuni suoi ignorati scritti. Una linea certo difficile, non foss’altro perché controcorrente, e per la quale il Comune ha pochi poteri diretti (e quelli indiretti sono proporzionali all’autorevolezza che il governo cittadino sa dispiegare).

Dall’altra parte, una politica altrettanto rigorosa di controllo delle destinazioni d’uso e dei loro cambiamenti. Linea certamente più facile della precedente, poiché già praticata con successo dalle precedenti giunte (ricordi come Antonio Casellati e Maurizio Cecconi riuscirono a impedire che si aprisse anche un solo fastfood a Venezia?), e perché dotata di strumenti abbastanza efficaci nelle competenze proprie della politica urbanistica ed edilizia comunale.

Annoto di passaggio che la linea espressa in quelle due direzioni di marcia era particolarmente coerente con il messaggio trasmesso da Cacciari con le sue proposte per la città, sulla cui base maturò la sua candidatura a Sindaco. Sottolineo invece con amarezza che, fin dai suoi primi atti, la giunta Cacciari si comportò completamente all’opposto. Non fece nulla per la programmazione del turismo, e invece si affannò a smantellare tutti gli strumenti che avrebbero consentire di controllare le destinazioni d’uso: dalla revoca della delibera comunale di recepimento della Legge Mammì sui vincoli alle tipologie di attività commerciali e assimilabili nei centri storici, al piano regolatore della città storica che fu profondamente snaturato proprio sul punto del controllo delle destinazioni d’uso. E addirittura, nella sua ultima fase, avallò la proposta dell’attuale sindaco della sublagunare da Tessera a Murano e all’Arsenale, utile solo ad aumentare l’afflusso del turismo “mordi e fuggi”.

La Casa

Linea costante delle forze politiche della sinistra e del centro è stata a Venezia, dagli anni Settanta all’inizio degli anni Novanta, quella di privilegiare l’intervento pubblico in particolare nel campo delle nuove costruzioni. Comunisti, socialisti e democristiani (non parlo dei partiti minori, anch’essi in vario modo concordi) hanno rigorosamente tenuto fede all’impegno ”neppure una nuova costruzione per abitazioni a Venezia che non sia pubblica e destinata ai veneziani”. Area ex Saffa, Area ex Trevisan, Sacca Fisola, Mazzorbo, sono i prodotti positivi di questa linea. E il recupero del Mulino Stucky non partì solo perché non si riuscì a mettersi d’accordo con la proprietà sui vincoli (adopero ancora questo brutto termine!) agli edifici residenziali,

Sarebbe interessante un’analisi degli effetti della politica successiva: chi sia andato ad abitare nelle case costruite da privati con finanziamenti pubblici, con quali prezzi per gli inquilini, con quali vantaggi per la proprietà. Certo è che il vero e proprio cambio di linea (rispetto a una linea ventennale) che avvenne con il “Progetto Giudecca” e con gli altri atti della prima giunta Cacciari, non fu vagliato da nessuna discussione tra le forze politiche e nella città.

C’è da aggiungere che fu, peraltro, un cambio di linea pienamente coerente con quello, sintetizzato nello slogan “meno Stato e più mercato”, che si manifestava in quegli anni nella sinistra a livello nazionale. Senza tener conto della peculiarità della situazione veneziana che aveva fatto sì che repubblicani, democristiani e liberali, certo non ostili al mercato, avevano promosso e condiviso la linea che ho sopra ricordato.

La Salvaguardia

Questo è il terreno sul quale mi sembra che le giunte postcomuniste si siano comportate meglio, esprimendo resistenze ragionevoli ed efficaci ai continui tentativi di forsennata accelerazione dei fautori del MoSE a tutti i costi.

La debolezza del comportamento del governo cittadino sta nel fatto che la resistenza agli “arrabbiati” del MoSE è stata avvertita dalla cittadinanza e dall’opinione pubblica nazionale e internazionale molto più come “cedimento” alle “pretese” e ai “ricatti” dei Verdi che come convinta adesione alle ragioni della non dimostrata utilità degli sbarramenti mobili ai fini dell’equilibrio tra difesa dalle acque alte e officiosità del porto.

Venezia-Mestre

La prima giunta Cacciari era nata sulla base di un documento che assumeva come impegno prioritario quello di procedere alla costruzione della Città metropolitana, inserendo in questo quadro l’articolazione dell’attuale territorio del Comune di Venezia in più municipalità. Il candidato sindaco aveva sottolineato con affermazioni drammatiche questa priorità.

La cosa è caduta rapidamente nel dimenticatoio. Nessun ruolo ha svolto l’autorevole Comune di Venezia a livello nazionale e regionale, nessuna concreta e sistematica azione di coordinamento con i comuni dell’area e con la provincia per far vivere già la città metropolitana nelle coscienze e nelle decisioni amministrative. Eppure è ovvio che far vivere la città metropolitana (la “Grande Venezia”, se vuoi) nelle cose prima che nelle istituzioni non avrebbe dovuto essere difficile: avrebbe significato praticare il percorso che comunicatori meno efficaci e carismatici del Sindaco-Filosofo hanno seguito in altre città europee, da Lione a Marsiglia a Londra.

Mi domando, marginalmente: che senso ha, oggi, opporsi alla nuova replica del referendum di separazione di Mestre da Venezia? Ma la colpa non è di Costa.

Tirando le somme

Venerdì Francesco Indovina ha detto, nel suo intervento, che le proposte per Venezia lanciate da Massimo Cacciari nel 1988 erano astratte e impraticabili. Sono d’accordo solo in parte: quelle proposte di fatto riprendevano la linea, chiamiamola così, “di sinistra” degli anni trascorsi, ravvivandola e dandole nuovo smalto. Ma Indovina ha ragione quando dice che erano proposte calate dall’altro, prive di un reale rapporto con la città. Certo, non è detto che toccasse a un gruppo di intellettuali praticare questo rapporto, e ricordiamo tutti in che condizioni fossero allora i partiti. Gli toccava, però, avere un minimo di coerenza quando si passava dalle parole ai fatti. Questo non c’è stato.

È a partire da quegli anni che si è praticato, a Venezia, un approccio che definirei demagogico-mercantile ai problemi della città. Un approccio volto più a conquistare consensi generici e indifferenziati nell’opinione pubblica cittadina e foresta che a rendere concreto un nuovo progetto per la città, quale era stato lanciato nelle proposte dell’Istituto Gramsci.

Intanto, il “più mercato e meno Stato” mieteva le sue vittime. Il “rapporto con i privati” (in primo luogo le aziende interessate alla valorizzazione immobiliare) è diventato il motore della politica urbanistica. I vincoli sono diventati i nemici da abbattere. Per non lasciare “ingessata” la città si sono distrutti gli strumenti che avrebbero consentito di regolarne le trasformazioni. Per “non dire di no” si lasciavano esporre le automobili della Fiat e della Volkswagen nei campi e nella stessa piazza di cui, nel 1988, si era celebrata la sacralità.

Certo, tutto questo veniva fatto con un certo stile. Oggi, perfino quello stile s’è perso. La storia del “nuovo logo” di Venezia è emblematica, e allucinante. Oggi sul Gazzettino il Sindaco ci dice che il nuovo (orrendo) logo è finalizzato a far conoscere Venezia al mondo, per conquistare i mercati!!! Come se Venezia non fosse già da secoli, e ormai stabilmente, uno dei più forti miti del mondo, e avesse bisogno di farsi propaganda come una qualsiasi ditta delle campagne del Nord-ovest. E come se il suo problema non fosse quello di governare per essere all’altezza di quel mito, e per non farsene divorare.

Che fare

Questa è una domanda alla quale è davvero difficile rispondere. Mi ci proverò, sulla base di quanto ho sentito nella riunione di venerdì.

In primo luogo, credo che si debba costruire un progetto per la città, Senza enfasi, raccogliendo criticamente quello che s’è prodotto nel passato, e quello che magari di nuovo fosse maturato. Posso prevedere che lavorando in questa direzione emergeranno due linee.

Una, che permeava l’intervento pronunciato da Armando Danella, vede nelle caratteristiche peculiari della città e del suo territorio la risorsa da valorizzare per il suo futuro. È una linea che ho altre volte tentato di argomentare, e che continuo a ritenere l’unica capace di salvare i valori incarnati nella città proiettandoli un futuro per tutti. Una linea difficile, fortemente innovativa non nella sua formulazione ma nella sua capacità di realizzazione. Pretenderebbe una forte convinzione e condivisione, cosa che non vedo facile in questi chiari di luna.

L’altra, che si affacciava nell’intervento di Indovina, tende a cogliere le opportunità che l’attuale forma dello sviluppo offre per rilanciare la vita economica e sociale della città. Linea che ha una sua ragionevolezza, ma che io vedo molto rischiosa perché trascura il fatto che l’attuale forma dello sviluppo tende all’omologazione di Venezia al resto del mondo, e quindi a distruggerne le qualità che la rendono, appunto, un mito: un valore universale e, insieme, una risorsa duratura per i suoi abitatori.

Forse sarebbe utile se l’intellettuale collettivo - che “Aprile per la sinistra” a Venezia potrebbe proporsi di essere - discutesse sensatamente tra queste due linee, ne scegliesse una e su questa continuasse a lavorare. Come? Con quali obiettivi “politici”? Per ora, continuando a ragionare e studiare e discutere: come fecero millant’anni fa i Fabiani, prima che in Gran Bretagna nascesse un partito dei lavoratori.

Chi erano i Fabiani?

“Non so se Massimo Cacciari sia di sinistra nel senso che gli attribuisce il nostro lettore. Personalmente, sono totalmente disinteressato a questa tematica. Essere di sinistra non è un marchio di qualità. Ho conosciuto perfetti imbecilli di sinistra con comodo di presunzione incorporata. Per il resto, ognuno voti come vuole. Una domanda voglio però farle: per lei i partiti non esistono? I partiti ieri “complici” di Cacciari oggi sono “complici” (Costa compreso) di Casson. Come la mettiamo con la discontinuità?”

Non ho mai detto che Massimo Cacciari è di sinistra. Non penso che lo sia, ma neanche a me interessa molto. Ho detto solo che lo sono io, e che anche per questo non voterò per chi cerca voti a destra.

Sono più vecchio del giornalista della Nuova che ha commentato il mio intervento, e perciò ho certamente conosciuto più imbecilli di sinistra di quanti ne ha incontrati lui: non me ne vanto, ma lo so.

Alla sua domanda rispondo: non voterò i partiti che ieri erano ‘complici’ di Cacciari e “oggi sono ‘complici’ (Costa compreso) di Casson”, ma il candidato sindaco Felice Casson. Magari sbaglierò, ma con Cacciari ho già sbagliato, nel 1993.

Il testo della mia lettera, pubblicata anche come eddytoriale n. 69

Escavo dei fanghi, primo colpo di benna

di Alberto Vitucci

La draga «Conte Savoia» dell’impresa chioggiotta Sergio Boscolo «Menela» dà il primo colpo di benna. Dieci metri cubi di fanghi neri vengono estratti dal canale Malamocco-Marghera, nella secca davanti a Fusina. «Giornata storica», applaude il presidente del porto Giancarlo Zacchello, «l’economia del porto può ripartire». «Ce l’abbiamo fatta», canta vittoria il presidente della Regione Galan. La benna lavorerà adesso fino all’estate. E scaverà dal canale Malamocco Marghera 830 mila metri cubi di fanghi. L’obiettivo è di riportare entro due anni il livello dei fondali a 10 metri e mezzo. Dopo tre anni riparte lo scavo dei canali portuali. Si era fermato nel 2002, e dal canale dei Petroli erano stati scavati 8 milioni di metri cubi in tre anni.

A dare solennità all’avvenimento c’è il presidente della Regione Giancarlo Galan, insieme all’assessore Renato Chisso, all’ammiraglio Calcagno e alla presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva. Tutti a bordo del motoscafo d’altura Milvus, un gioiello della nautica dotato di sofisticate apparecchiature per il controllo dei fondali messo a disposizione dal capitano Ferruccio Falconi.

Un anno dopo l’ordinanza della Capitaneria di porto, che aveva decretato la riduzione del pescaggio da 31,6 a30 piedi (da 9 metri e 60 a 9,14), per motivi di sicurezza, l’attività di scavo. Il problema dei fanghi è stato risolto dopo la nomina del «commissario» per l’emergenza socio economica dei canali portuali. Roberto Casarin, dirigente dell’ufficio ambiente della Regione, capo dell’Ufficio Via e uomo di fiducia del presidente Galan, ha dal 3 dicembre scorso i pieni poteri per decidere sulla vicenda. Non sono dunque più necessarie le autorizzazioni di Provincia, Usl e ministero per l’Ambiente, perché il commissario può decidere da solo. Il primo atto è stato quello di dare l’autorizzazione allo scavo «in presenza d’acqua». E le sostanze inquinati che vanno disperse per la laguna? «E’ il male minore», allarga le braccia Casarin, «del resto quando passa una nave i sedimenti vanno in giro lo stesso. Bisognava intervenire. E poi le sostanze ricadono in una zona circoscritta. Non c’è problema». Secondo atto, quello di firmare l’autorizzazione per il deposito dei fanghi. L’isola delle Tresse, ormai al limite della capienza, sarà «rialzata» di tre metri e mezzo, e i fanghi saranno scaricati nella parte centrale fino a raggiungere l’altezza di nove metri e 60. Il piano complessivo prevede lo scavo di sei milioni e 200 mila metri cubi di materiale, in larga parte delle categorie B e C, inquinate e con notevole presenza di metalli pesanti ma che non necessitano di trattamento. Il problema sarà in seguito trattare i fanghi di tipo «C», ad alto contenuto di diossine, arsenico, cadimio, piombo e idrocarburi, per cui è previsto un costo di 200 milioni di euro. Fondi «da reperire», si legge nel progetto del commissario, mentre i finanziamenti per lo scavo, il sovralzo dell’isola e l’ampliamento del molo Sali (80 milioni di euro) sono stati messi a disposizione dall’Autorità portuale e dal commissario. Per la cassa di colmata A si conta invece di trovare i soldi dal Project financing del grande progetto Pif (Piano integrato di Fusina).

«La dimostrazione che a Venezia si può fare», commenta Galan, «quando abbiamo chiesto il commissario tutti si erano opposti, e nessuno credeva che ce l’avremmo fatta». «Il ripristino della profondità permette al porto di tirare il fiato», dice Zacchello, «oggi le navi arrivano con 3 tonnellate in meno di carico».

7 milioni di tonnellate nei canali industriali

Gli 800 mila metri cubi di fanghi che verranno scavati dal canale Malamocco-Marghera sono ben poca cosa rispetto ai 6 milioni di metri cubi, di cui 1,5 tossici, che riempiono i fondali di tutto il canale dei Petroli, dei quali una parte dovranno essere trattati in modo speciale per il loro grave stato di contaminazione. Del resto nei canali industriali di Porto Marghera ci sono da scavare più di 7 milioni di tonnellate di fanghi contaminati a vario titolo, dai più tossici (ultra C), seguiti dai fanghi di tipo B fino a quelli meno pericolosi di tipo B e A.

Fanghi, è giusto ricordare, che nessuno vuole, a cominciare dai comuni della Riviera del Brenta e prospicienti alla laguna sud (Campagna Lupia, Codevigo, ecc.) e le famose «casse di colmata».

L’escavo e la bonifica dei canali industriali, senza contaminare altre aree, è un’opera immane che tra l’altro presuppone la disponibilità di luoghi dove collocare i fanghi più contaminati - bioaccumulabili e persistenti scaricati dalle industrie di Porto Marghera in decenni d’attività - e di impianti di decontaminazione ancora da costruire.

Si tratta, infatti, di fanghi provenienti dalle aree più «compromesse» dal punto di vista ambientale, della laguna. Dal rapporto del Magistrato alle Acque risulta che ci sono oltre 7 milioni e mezzo di metri cubi di fanghi da smaltire, dei quali ben 1.600.000 metri cubi sono stati definiti «pericolosi», per questo dovranno essere scavati e opportunamente trattati in impianti specializzati che a tutt’oggi sono ancora da realizzare. A dire il vero, ne sono stati già sperimentati alcuni dall’Autorità Portuale di Venezia che a questo proposito ha sperimentato diverse opzioni collaborando con i porti di New York e Amburgo. In attesa dello scavo dei fanghi più contaminati c’è la soluzione della «muraglia» che dovrebbe lambire tutti i canali e la Penisola della Chimica, in modo da mettere in sicurezza le sponde piene di sedimenti contaminati accumulatisi negli anni ed evitarne la dispersione in laguna e nella falde sotterranee. Ma anche la «muraglia» è tutta da realizzare. Sedimenti che, tra l’altro, sono sempre più inquinati sulla base delle nuove normative europee e l’aggiornamento delle tabella di tossicità. Purtroppo, le fonti d’inquinamento (motori delle barche, scarichi fognari, industrie di Porto Marghera) continuano a scaricare i loro veleni in laguna. Veleni che si depositano sui fondali e da là non si muovono da soli ma finiscono per fissarsi in tutto il «biota» lagunare. Intanto leggi e direttive europee che puntano a risanare l’ambiente e a difendere la salute pubblica diventano, giustamente, sempre più rigide, soprattutto per quanto riguarda le sostanze bioaccumulabili, cancerogene e mutagene (idrocarburi, clorurati organici, metalli pesanti, diossine, ecc.) per le quali sono previsti limiti di concentrazione nell’acqua e nei sedimenti sempre più restrittivi a protezione della salute. Intanto, i fanghi restano e continuano a disperdere la loro carica velenosa in tutta la laguna che prolifica di valli per l’allevamento di pesce (branzini, orate, ecc.) e molluschi di vario genere, a cominciare dalle vongole, che finiscono sulle nostre tavole. Senza parlare della pesca abusiva di molluschi che prolificano nei canali e nelle zone della laguna più inquinate. (g.fav.)

Bisogna riportare i fondali a quota meno 10 metri e mezzo

Sei milioni e 200 mila metri cubi di fanghi da scavare. Per riportare i fondali dell’intero canale Malamocco-Marghera alla quota di meno 10 metri e mezzo. I sedimenti da scavare subito ammontano a circa 830 mila metri cubi, e troveranno posto sull’isola delle Tresse (che diventerà più alta di tre metri e mezzo, dagli attuali sei metri e 20 a9 metri e 50 sul livello laguna) e poi nell’ampliamento del Molo Sali. Ma il grosso dei fanghi scavati (oltre 5 milioni di metri cubi) finirà sotto la cassa di colmata A, in Comune di Mira (3 milioni di metri cubi) e nella nuova isola lungo il canale Malamocco-Marghera (2 milioni). Oltre alla manutenzione straordinaria, ogni anno dovranno essere scavati altri 500 mila metri cubi per garantire la navigabilità. La stragrande maggioranza dei fanghi scavati appartengono alle categorie B e C (circa 4 milioni su 6 milioni di metri cubi), 400 mila sono della classe A (inerti, e dunque recuperabili anche come materiali per l’edilizia). Circa un terzo del totale (un milione e 600 mila metri cubi) sono invece della classe C (dove gli idrocarburi totali superano i 4 mila milligrammi per chilo, i metalli pesanti e le diossine sono presenti in quantità industriali. Questo tipo di fanghi dovrà essere trattato, e per questo sarà necessaria una gara internazionale, dal momento che la spesa preventivata è di circa 200 milioni di euro. Nel frattempo saranno stoccati «in via provvisoria» nell’area delle Tresse e dei 43 ettari. (a.v.)

Postilla

Il morto afferra il vivo

Tre commenti alle notizie del quotidiano veneziano.

1. L’innocente Laguna restituisce i veleni mortiferi che i decenni dell’industrialismo selvaggio, guidato e dominato solo dall’ansia della crescita, hanno accumulato. Un problema di dimensioni tali da renderne incerta la soluzione. Eppure, la chimica di base, ragione della nascita di Porto Marghera tra le due guerre mondiali e della morte della Laguna, continua a macinare i suoi veleni.

2. Con tracotante arroganza la Regione e gli organi centrali dello Stato riprendono imperterriti il disegno del Canale dei Petroli, tracciato negli anni precedenti l’alluvione del 1966, poi individuato come massimo responsabile (insieme all’incuria per la regimazione delle acque lagunari e di quelle fluviali) di quell’evento catastrofico, e come colpevole della persistenza del fenomeno delle acque alte, dell’erosione dei fondali, della demolizione delle barene e della loro vegetazione, della distruzione progressiva dei paesaggi lagunari – in una parola, della riduzione della Laguna, unica al mondo, ad un anonimo braccio di mare.

3. Insofferenti dei “ritardi” provocati dal sistema democratico e dalle perplessità dei pur esitanti governi comunale e provinciale, regione e governo nazionale, proseguendo nella loro diuturna azione di sostituzione di uno statuto illiberale, centralistico e autoritario alla Costituzione repubblicana, nominano un commissario straordinario con pieni poteri di distruggere, insieme alla democrazia, quanto mille anni di cura assidua della natura e quarant’anni di studi e decisioni responsabili avevano costruito.

Quanto sembrava morto e sepolto (l‘industrialismo più becero, l’ignoranza delle regole della natura, il centralismo fascista) risorgono dalle ceneri del passato e afferrano quanto di vivo ancora nella Laguna esiste: le mort saisit le vif!

Una precisazione di Lidia Fersuoch, di Italia Nostra - Sezione di Venezia

Ds contro: contro sé stessi e contro gli alleati nell’Unione, in un confronto che sta dilaniando la Quercia, divisa tra la candidatura ufficiale del pm Casson e quella del filosofo Cacciari. Ieri è stato il deputato diessino Michele Vianello (dichiarato fan cacciariano e della Fed) a prendere di petto il verde Gianfranco Bettin e Paolo Cacciari (Rc). La vicenda è sempre la stessa: l’avvio del Mose proprio durante la gestione Costa, quando in giunta sedeva il polo-rossoverde che del «no» alle dighe mobili aveva fatto una bandiera.

«Nella tanto vituperata prima Repubblica», scandisce Vianello, «Laroni venne dimissionato e sostituito con quel vero galantuomo di Antonio Casellati (con una giunta rosso-verde) proprio sul Mose. E’ incontrovertibile che il via libera al Mose sia stato dato dalla giunta Costa: sta scritto nei verbali del Comitatone. Quindi, o andava bene a tutti (e allora tacciano) oppure non si capisce perché non abbiano fatto cadere la giunta. E’ un dato di fatto: in 5 anni, nel completo silenzio di Bettin e Paolo Cacciari, la giunta Costa ha fatto le scelte peggiori». L’affondo è per i Verdi: «Non vorreri - ricordando quell’illustre sovrano che, rinnovando la sua fede protestante, spiegò che “Parigi val bene una messa” - che si dovesse dire: “Il Mose val bene un assessorato alle Politiche sociali».

Il deputato della Quercia - candidato - non risparmia attacchi neppure ai suoi colleghi di partito: «I ds? Tutti preoccupati a dire che, con il voto disgiunto a favore di Massimo Cacciari, la presenza a Ca’ Farsetti scenderebbe a 6 consiglieri. Bene: meglio 6 attenti, che un intero Consiglio comunale umiliato, con i ds subalterni alle decisioni altrui, come accaduto negli ultimi cinque anni». Ds contro ds, anche all’interno di una stessa corrente.

Ogni dichiarazione è benzina sul fuoco. Ieri, in un’intervista, il coordinatore regionale della Sinistra ds Andrea Dapporto aveva bacchettato «chi, seduto sulle gambe di Massimo Cacciari, ipotizza il voto disgiunto», sostenendo che penalizza gravemente la Quercia, portando da 15 a 6 i suoi rappresentanti. Replica a stretto giro di comunicato del Coordinamento comunale: «Al candidato Dapporto che si avvale della carica generosamente concessagli di coordinatore regionale della Sinistra Ds vogliamo, benevolmente, raccomandare di controllare la sua incontinenza nell’uso della polemica personale e volgarità diretta». Il coordinamento ricorda di aver lasciato libertà di scelta tra Casson e Cacciari: «Nessuno ha mai lontanamente pensato che potesse essere condizionata da accordi di potere. Fermiamoci al confronto politico, se se ne possiedono capacità e virtù».

Al prossimo duello. (r.d.r.)

Sondaggio della Margherita: Cacciari già in fuga

Silvio Testa

Massimo Cacciari già in fuga, e gli altri candidati sindaci a pedalare in salita, intenti a schivare le buche del voto disgiunto che, nel caso di ballottaggio Cacciari - Casson, spaccherebbe in due il Centrosinistra. Su 100 elettori di Rifondazione, ad esempio, 65 voterebbero Cacciari, e solo 25 Casson, il candidato ufficiale del partito; tra i Ds, 54 voterebbero Cacciari, 40 Casson.

È il risultato del primo sondaggio che sia uscito dalle segrete stanze dei partiti, commissionato dalla Margherita (il partito di Cacciari) all'Ipsos di Milano, società dell'omonima multinaziona, condotto telefonicamente il 10 marzo su un campione di 1000 elettori. Il sondaggio indica chiaramente la preferenza dell'elettorato per un sindaco di Centrosinistra (47,6 per cento contro il 25,6 per un candidato di Centrodestra, col 26,8 per cento di incerti), e alla domanda su chi voterebbero tra i candidati, gli intervistati si sono espressi al 30,9 per cento per Cacciari (Margherita e Udeur), al 18,2 per cento per Casson (Ds, Verdi e Prc, Sdi, Ci, Di Pietro), all'11,8 per cento per Cesare Campa (Fi e Udc), al 6,5 per cento per Raffaele Speranzon (An), al 2,7 per cento per Alberto Mazzonetto (Lega Nord), al 4,4 per cento per Maurizio Crovato (Uno di noi), allo 0,4 per cento per Augusto Salvadori (Per Venezia Mestre), allo 0,3 per cento per Vittorio Salvagno (Socialisti laici), allo 0,1 per cento per Mario d'Elia (Mav).

Se però si portano correttamente a 100 le risposte, togliendo dalle percentuali quel 24,7 per cento di elettori che si sono detti incerti o decisi a non votare, Cacciari sale addirittura al 41 per Cento, Casson tocca il 24,2, Campa arriva al 15,7. Ai ballottaggi, Cacciari prevarrebbe sempre. Con Casson la spunterebbe 46,5 contro 28,1 (62,3 contro 37,7 depurando la statistica del 25,4 per cento di indecisi o non votanti); con Campa 59,7 contro 22,3 (72,8 contro 27,2 non tenendo conto del 18 per cento di indecisi). Casson prevarrebbe su Campa col 45 per cento contro il 23,5 per cento, con un'alta quota di indecisi (31,5 per cento) che con la solita correzione porterebbe il candidato del Centrosinistra a prevalere col 65,7 per cento contro quello del Centrodestra (34,3 per cento).

Il sondaggio indica anche un'altissima tendenza al voto disgiunto, che non andrebbe a solo vantaggio di Cacciari: di Ds e Rifondazione abbiamo già detto, ma il 76 per cento degli elettori dell'Udeur è orientato a votare Casson, e così il 18 per cento di quelli della Margherita. In caso di ballottaggio Cacciari - Casson, il primo verrebbe votato dal 39 per cento di elettori di Forza Italia contro il 26 per cento che voterebbe Casson, percentuali che vanno al 41 e al 35 in caso di elettori di An.

«I nostri sondaggi danno indicazioni esattamente contrarie», sostiene la segretaria provinciale dei Ds, Delia Murer, pur senza dare indicazioni più dettagliate, ovvero Casson tra il 35 e il 40 per cento, Cacciari tra il 21 e il 26, Campa tra il 18 e il 21. «Sondaggi seri, ripetuti nel tempo su campioni omogenei e selezionati di elettori divisi per fasce d'età e categorie sociali», aggiunge il leader dei Verdi, Gianfranco Bettin, accusando la Margherita di diffondere sondaggi fatti per tirare la volata al proprio candidato.

Un missionario combattente.

Alda Vanzan

Un missionario combattente. Uno che come missione si è dato tre obiettivi: vincere le elezioni (con i suoi sempre più convinti che sarà una passeggiata), ricompattare il centrosinistra, amministrare la città. Massimo Cacciari riassume la battaglia così, nella straripante e soffocante sala al quarto piano dell'hotel Michelangelo, gremita di margheriti e di "apartitici" dei comitati, qualche cacciariano con tessera concorrente in tasca (il diessino Paolo Dozzo), perfino un avversario di dodici anni fa (Aldo Mariconda) che all'appuntamento si presenta con un foglietto intitolato "Perché voto Cacciari". Centocinquanta persone, gente in piedi col cappotto sul braccio ché fa caldo, ovunque manifesti con il primo piano del filosofo che non guarda in faccia ma scruta altrove, ovviamente in alto, tre slogan diversi: "Il tuo sindaco/la tua fiducia", "Il tuo sindaco/il tuo futuro", "Il tuo sindaco unitario e ulivista da una vita". Ed è da qua che Massimo Cacciari, nella conferenza stampa di presentazione del programma, al centro del tavolo cui siedono gli alleati Guido Berro (Movimento repubblicano europeo), Olvrado Girardello (Udeur), Danilo Corrà (Intesa per la città), il senatore Tiziano Treu e Alessio Vianello (Margherita), attacca. «Oggi presentiamo il programma di una lista radicata nel contesto del centrosinistra e che intende ricostruire il centrosinistra. Perché non siamo stati noi a rompere l'unità. Noi abbiamo subìto un isolamento e questo isolamento ha portato alla mia candidatura. Ma il nostro obiettivo è ricostruire l'unità su basi programmatiche chiare».

Cacciari cita alcuni punti del programma. Il rilancio di Porto Marghera: «Noi parliamo di sviluppo, non di dismissione né di post-industriale, proponiamo una società pubblica/privata per gestire le bonifiche e riallocare le aree». La salvaguardia di Venezia: «Bisogna recuperare la centralità del Comune nelle politiche di salvaguardia», quindi, visto che i lavori del Mose sono iniziati, attacca la giunta Costa: «L'Amministrazione non ha reagito con la sufficiente determinatezza, è mancata una logica di sistema, dire adesso "no al Mose" è uno slogan non un programma di governo». Ossia, visto che il Mose è già avviato, va auspicata una «rinegoziazione dei lavori», con più attenzione al recupero del microtessuto cittadino piuttosto che alle opere faraoniche. Poi il traffico: «Interventi drastici, compresa la pedonalizzazione, da assumere immediatamente». L'emergenza casa: «Bisogna riprendere a costruire case e fare una politica dell'abitazione, senza più guardare solo al reddito, ma alle funzioni. Case alle giovani coppie, ai lavoratori extracomunitari, agli studenti». La sublagunare: «Sono stato io, con il compianto Marino Grimani, a inventarmi la sublagunare fino all'Arsenale, ma il ragionamento era che l'Arsenale doveva diventare un centro di attività cantieristiche e fieristiche. Quindi, prima di tutto, bisogna "sdemanializzare" l'Arsenale, la sublagunare la faranno i privati in project financing». Pausa. In prima fila è seduto il presidente di Asm e Pmv, Enrico Mingardi. Cacciari lo guarda e parte all'attacco, il vero attacco contro Costa & C. «La sublagunare la può fare Mingardi in quanto capitalista, perché il Comune non può affrontare spese di questo genere, non tocca al Comune comprare palazzi, semmai li dovrebbe vendere, non può essere che il Comune indebiti la sua gallina dalle uova d'oro per fare lo stadio, lo stadio con me lo faceva Zamparini non il Casinò che doveva servire per sostenere le spese per le politiche sociali». Ecco qua, come li definisce Cacciari, i «punti di fraterna polemica col centrosinistra». Per il resto il programma è praticamente una fotocopia di quello del centrosinistra, più o meno accentuato in alcuni punti. Domanda: e allora perché votare l'uno anziché l'altro? «Vivremo il primo turno come una sorta di primarie tra due differenti stili di politica: i cittadini diranno se preferiscono me o chi ha rotto la Fed e candidato un magistrato».

Non ce n'è uno che ammetta ...

Al.Va.

Non ce n'è uno che ammetta di aver incaricato il tipografo di stampare il santino disgiunto. Non uno, neanche tra i più accesi sostenitori dei voti diversificati. Che poi, per farla breve, sono tutti a sinistra e tutti tra Ds e Cacciari. Ossia: voto di lista alla Quercia e croce non sul candidato sindaco Felice Casson sostenuto dal partito, ma sul candidato sindaco della Margherita Massimo Cacciari. I santini disgiunti, se mai salteranno fuori, diventeranno l'emblema delle elezioni 2005, delle polemiche avvenute e in corso: roba da finire in foto in una ricostruzione storica. Comunque sia, con o senza santini, il voto disgiunto sta tenendo banco. L'ha invocato pro domo sua Massimo Cacciari. L'hanno apertamente apprezzato alcuni diessini (Mara Rumiz e Michele Vianello, gli stessi sponsorizzati nelle preferenze dal filosofo). Lo stanno seriamente temendo gli apparati dei partiti. Che, comunque, negano possa prendere piede. Per due motivi: lealtà al candidato di partito, rischio di non entrare a Ca' Farsetti. Dice Delia Murer, segretaria dei Ds: «Il voto disgiunto non è come fare le primarie. Se al ballottaggio andassero Casson e Cacciari, i Ds sarebbero fortemente penalizzati nella rappresentanza in consiglio comunale. Ma a parte ciò è l'aspetto politico che va sottolineato: i Democratici di sinistra sostengono Felice Casson, hanno fatto una scelta democratica e questa scelta impegna tutti i Ds a sostenere Felice Casson. Certe uscite non sono leali e nemmeno serie. E teniamo presente che il voto disgiunto a favore di un altro candidato sindaco che non sia Casson penalizza il partito». Idem per Roberto Del Bello, segretario del Prc: «Smentisco nel modo più assoluto l'esistenza di un qualsiasi dissenso all'interno di Rifondazione circa la candidatura di Felice Casson. Le uniche voci isolate, cui è stato dato troppo spazio e peso, riguardano quelle provenienti da un presunto iscritto che restituisce la tessera attraverso una lettera al Gazzettino e di cui non troviamo traccia nei nostri elenchi e quella di un aderente al partito della chimica il quale, evidentemente, oltre a non avere ascoltato le parole di Felice Casson, da anni non ascolta nemmeno quelle provenienti dal partito di cui dice di far parte». Anche Del Bello, come Murer, avverte: «Con il voto disgiunto si corre il rischio di regalare la maggioranza assoluta del consiglio comunale a un partito, la Margherita, che con l'Udeur non arriva al 10% dei voti».

La legge (decreto legislativo 18 agosto 2000 numero 267, articolo 73, comma 10) assegna un premio di maggioranza pari al 60% al vincitore del ballottaggio: tra Cacciari e Casson, se al secondo turno vincesse il filosofo, la Margherita otterrebbe 28 seggi dei 46 in consiglio comunale; i rimanenti 18 andrebbero proporzionalmente distribuiti tra tutte le altre forze politiche, da An ai Ds. Insomma, un campo di margherite a Ca' Farsetti, Cacciari sindaco di un monocolore di centro. A meno che non succeda che una lista (eventualità improbabile) o un gruppo di liste collegate (più facile) non superi al primo turno il 50% dei voti validi. Potrebbe capitare, cioè, che tutto il centrosinistra che sostiene Casson il 3 aprile prenda la maggioranza assoluta. Se succedesse, al successivo ballottaggio, anche se vincesse Cacciari, la Margherita non avrebbe il 60% dei seggi. L'eventualità al momento non è suffragata dai numeri: solo assieme alla Margherita il centrosinistra arriva al 53% (Comunali 2000), senza la Margherita si ferma al 44% (Provinciali 2004). In ogni caso, resterebbe da chiarire come sarebbe composto il consiglio comunale: probabilmente col proporzionale puro (e un sindaco senza maggioranza in consiglio). L'argomento è oggetto di interpretazioni.

VENEZIA Maurer, in tedesco, vuol dire muratore. Da lì, tra le montagne di Falcade, deriva il cognome Murer. Delia Murer ha la pazienza del muratore, la caparbietà del montanaro. La segretaria dei Ds veneziani spiega come ha costruito la candidatura di Felice Casson, come ha rifiutato di smantellarla in extremis. E com'è davvero il clima politico in laguna.

Ds veneziani distruttori della Fed, accusa la Margherita.

Ottica sbagliata. I Ds hanno lavorato dall'inizio per costruire l'Unione fin dal primo turno. Anche la Fed, per carità, ma soprattutto l'Unione. Questa tra l'altro era l'esperienza già maturata a Venezia, nelle giunte precedenti. Correre uniti era ed è la premessa di ogni nostro passo.

Prima di Casson, c'era stata a lungo la candidatura di Alessio Vianello. «Unitaria», sottolinea Cacciari. Perché è saltata?

Si è rivelata una strada non praticabile. I rosso-verdi non ci stavano. Costa minacciava una lista civica: e Costa è pur sempre sindaco della Margherita.

Quindi è spuntato Casson.

No. Tre giorni prima, domenica, tutti - dai Ds ai verdi e a Costa - hanno insistito con Cacciari: Vianello non ce la fa, fai uno sforzo, mettiti tu a disposizione. Lui si è rifiutato: «Ho fatto un'altra scelta di vita»…

Adesso sì che arriviamo a Casson.

Casson a quel punto è diventato la candidatura più unificante. Più di Vianello, più di Bettin, più di tutti gli altri.

Ma scusa. Non appare un po' bizzarro arrivare, in nome dell'unità, a una soluzione che ingloba i rosso-verdi ma esclude la Margherita?

La Margherita, con Cacciari, ci ha posto il diktat: o Vianello, o sarebbe andata da sola. L'ha detto domenica, l'ha ripetuto lunedì. Non abbiamo scelto noi di rompere la Fed. È stata la Margherita. Si è messa su una posizione di ricatto, di autoisolamento. Quanto ai Ds: noi abbiamo sempre detto che il candidato doveva avere tre caratteristiche. Essere autorevole. Essere competitivo. Essere in grado di fare l'unione.

Con la «U» maiuscola.

Quella di Prodi, certo.

E mancando a Vianello i due primi requisiti…

Era necessario che riuscisse almeno nel terzo.

La Margherita non aveva altri candidati possibili?

Lo scontro fra Costa e Cacciari dura da mesi. Hanno bruciato uno dietro l'altro tutti i loro nomi.

Se ne son letti quattro.

Erano di più.

Un candidato Ds non c'era?

La Margherita ha sempre detto di no. Rivendicava il sindaco per sé.

Subito dopo la candidatura di Casson, è arrivata quella di Cacciari. Riconsiderare tutto era impossibile? Anche Fassino lo aveva chiesto.

Cacciari è arrivato fuori tempo massimo, a quel punto nessuno era più disposto a fare un passo indietro. Ci aveva detto no, avevamo messo in campo un candidato. Cambiare ancora sarebbe stata la più devastante delle mosse.

È un bell'imprevisto, comunque, Cacciari.

È la scelta di un uomo che per rinnovare non sa che riproporre se stesso. La forza del centrosinistra a Venezia sta nel suo radicamento sociale, nelle idee che esprime, più che nelle singole personalità.

In Felice Casson che caratteristiche vedi?

È il candidato più unificante possibile. È l'interprete adeguato di una nuova fase che chiude un'esperienza amministrativa e ne apre un'altra, all'insegna del dialogo, in discontinuità con quella di Costa. Unisce la società civile e quella politica: ha fatto un patto, la giunta interpreterà la coalizione politica. È autorevole, conosciuto, serio, determinato. Tanto che se una cosa mi preoccupava, era che in questa confusione gli nascessero delle perplessità: invece è rimasto in campo.

Parliamo dei Ds. Si sono spaccati, sulla scelta.

Io le chiamo diversità forti. Abbiamo discusso, e abbiamo scelto Casson. Adesso lo sosteniamo, assieme: siamo un partito serio, non una banda di anarchici.

Qualcuno ha proposto il voto disgiunto.

Pochi. È un appello sbagliato. Presa una decisione tutti devono sentirsi impegnati, è un fatto di serietà e di lealtà.

Anche Cacciari si è appellato al voto disgiunto dei diessini.

Mi pare un atto di debolezza, e di poca serietà.

Ha pure consigliato un congresso straordinario dei Ds veneziani.

Non ha titolo. Spetta ai Ds assumersi le proprie responsabilità. Da oggi noi siamo in campagna elettorale, non congressuale.

A Venezia c'è l'«anarchia», come dice Prodi?

C'è una difficoltà di tutte le forze politiche. La politica è stata lasciata troppo fuori dal Comune, nell'amministrazione della città.

È un caso solo locale? Un conflitto di personalità?

È una faccenda veneziana, nel senso che è maturata a Venezia. Negli ultimi mesi uno scontro violentissimo tra Cacciari e Costa ha condizionato tutto. Questo i veneziani lo sanno, lo percepiscono. Fuori, invece, si vede solo la difficoltà riflessa su un progetto nazionale, che nessuno qui vuole smentire.

L’ultimo colpo di scena di una travagliata vicenda, nella quale si erano susseguiti contrastate proposte di nomi a gogo nell’assenza di qualsiasi trasparente discussione sulle cose da fare (e su quelle da non fare), è stata l’inopinata decisione di Cacciari (Margherita), di porre la sua candidatura, appoggiato da una parte dei DS. Il filosofo, dimessosi a metà mandato a favore del criticatissimo Costa, era sponsor a oltranza del candidato Alessio Vianello, ed era stato sconfitto dalla proposta (DS, PRC, PCd’I, Verdi, Di Pietro) di candidare l’ex giudice Felice Casson, molto apprezzato anche in città per le sue tenaci indagini giudiziarie.

Venezia, contro Cacciari l'ira di Prodi e Fassino

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI VENEZIA — E adesso i veneziani ( che simpatizzano per il centrosinistra) si chiedono: per chi votiamo? Circola già la risposta scherzosa: sfogliate la Margherita. Cacciari, Casson, Cacciari, Casson... Ma la questione è terribilmente seria; le polemiche infuriano in Laguna, e rimbalzano nei Palazzi romani.

Con i big dell'Unione che tuonano contro il pasticcio pre elettorale combinato a Venezia. Dove la spaccatura nell'Unione è una voragine. Gli strali bersagliano Massimo Cacciari, l'uomo dell'ultimo colpo di scena. Il filosofo aveva rivelato: « Ho deciso di candidarmi per la Margherita al posto di Alessio Vianello, dopo una telefonata tempestosa con Piero Fassino » . Reo, di aver dato il via libera a Felice Casson. Critiche anche al gran capo Romano Prodi, sollecitato da Cacciari a frenare « l'anarchia nella Fed » . Prodi non ci sta, e reagisce a muso duro: « Il problema non è frenare l'anarchia nel centrosinistra, ma a Venezia. È quello il caso anomalo del Paese.

In 14 regioni, con fatica, abbiamo raggiunto l'unità » . Fassino, invece, punzecchia così: « Essendo Cacciari veneziano e vivendo a Venezia, forse qualche responsabilità per quel che è accaduto ce l'ha anche lui » . Poi, il segretario dei Ds, propone un patto di non belligeranza tra i due candidati sindaci: « Per rendere meno traumatica la spaccatura » . In sostanza, Fassino suggerisce che C& C, la strana coppia separata in casa, non apra polemiche in campagna elettorale e che, al secondo turno, tutto il centrosinistra sostenga colui che andrà al ballottaggio.

Dunque, comizi soft ( se ci saranno), approfittando delle divisioni presenti anche nel centrodestra e dell'oggettiva debolezza dei personaggi messi in campo dagli avversari. L'Unione rimanda conti definitivi e appelli agli elettori a dopo il primo responso delle urne, che si apriranno il 4 aprile.

Ma il tam tam sotterraneo già è in azione. Se, infatti, il polo Rosso Verde, guidato dal sociologo di Mestre Gianfranco Bettin, è compatto sul pm, la Margherita sul filosofo ( « esprimiamo a Massimo Cacciari gratitudine per l'amore che ha confermato alla sua città, per la generosità e l'orgoglio contro l'ostracismo verso i nostri candidati » , recita un comunicato), gli elettori diessini e quella parte di veneziani simpatizzanti per la Fed ma fuori dallo zoccolo duro dei partiti, potrebbero riservare qualche sorpresa.

Prendiamo la tormentata Quercia. Anche l'estremo tentativo di cambiare le carte del gioco è caduto all'alba di ieri quando, alla fine di una riunione fiume, i Democratici di sinistra sono andati alla conta, dividendosi per l'ennesima volta: in 59 si sono pronunciati per la « riconsiderazione » delle candidature Casson Cacciari, avanzando la proposta di una terza, alternativa. Per esempio, quella di Cesare De Piccoli, segretario regionale Ds che, a quanto si sa, contava sul gradimento di Massimo D'Alema.

Non se n'è fatto nulla. A dispetto dei pressanti inviti dei due emissari inviati a Venezia da Fassino per trovare una soluzione che mettesse d'accordo il centrosinistra.

Risultato? Sessantotto no; 9 voti di scarto, e il verdetto: « Felice Casson resta il candidato sindaco della coalizione » .

Fin qui il dato alla luce del sole.

Il fatto è che si sussurra che i dissidenti amici di Massimo, doge di Venezia, potrebbero manovrare per il « voto disgiunto » . In parole povere: voti di lista ai candidati diessini, ma convergenza su Cacciari sindaco. Sicché, non è affatto improbabile che al ballottaggio vadano gli amici e non gli avversari, ossia il magistrato e il filosofo. A questa ipotesi sembra credere perfino il candidato " forte" della Casa della Libertà: Cesare Campa, l'uomo scelto da Forza Italia. « Vedrai che finirà proprio così » , confidava, ieri, a un esponente della Quercia di Venezia. E dopo? « Scherza col fuoco, Massimo — dice un supporter — .

Gli toccherà fare il sindaco, anche se non ne ha voglia »

Casson: l'estremista è Massimo, non sono io

E vengo dal popolo, mio padre era pescatore

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI VENEZIA — « Ma come fa Cacciari a dire di me che sono un candidato di sinistra sinistra? Lui che militava in Potere Operaio con Toni Negri quando io studiavo dai salesiani? Perché sarei un estremista? Perché ho fatto condannare gli assassini dei carabinieri di Peteano? Perché ho difeso gli operai del petrolchimico di Marghera che morivano per il cloruro di vinile? » .

Felice Casson, 51 anni, è al primo giorno di campagna elettorale. Sta scegliendo il manifesto. Possibile slogan: « Per fare il sindaco davvero » . Come a dire che Cacciari correrà contro di lui per puntiglio più che per vincere: « Questo almeno è stato il tono della telefonata che abbiamo avuto venerdì mattina. Mi ha spiegato che non ha nessuna voglia di fare il sindaco di nuovo, che non ce l'aveva con me ma con i Ds, e si candidava per evitare che la Margherita sparisse » . Poi ai giornali Cacciari ha detto altro: ad esempio che lei da magistrato a Venezia « sa tante cose, ha accesso a informazioni delicatissime » , e ora non può fare il sindaco. « Perché, quale norma lo vieta? E poi quali segreti potrei mai possedere? Che visione è questa del mestiere di magistrato? Le informazioni delicatissime si usano per i processi. Diventano pubbliche. Le parole di Cacciari mi sembrano un segno di debolezza. Come il fatto che mi indica come un estremista. Lui, a me… » .

Lo scontro di Venezia è esemplare della battaglia interna all'opposizione.

Che non è solo tra centro e sinistra, tra moderati e radicali. E' un testacoda di vicende umane, in cui la vittoria è alterna e imprevedibile, ora un comunista omosessuale si aggiudica le primarie in Puglia, ora l'ex presidente della Fiat Usa viene cacciato dalla direzione dell' Unità perché troppo di sinistra per gli ex comunisti, e oggi l'antico intellettuale della nuova sinistra, il « gran dotore » , l'angelologo Cacciari si candida dal centro per bloccare la corsa di un magistrato che, assicura Casson, non ha mai militato in un partito, né in una corrente della magistratura. « Non mi sono mai neppure iscritto all'Anm, proprio per poter rivendicare la mia autonomia. Faccio parte solo della nazionale di calcio dei magistrati, mi hanno promesso che ritireranno la mia maglia, la numero 5.

Quando ho scoperto Gladio hanno cominciato a darmi del comunista. Ma io non ho mai conosciuto un dirigente o un funzionario del Pci » .

Neppure Violante? « Be', Violante sì, ma tardi, quando ho dovuto chiedergli notizie delle sue inchieste sui progetti golpisti, da Borghese a Sogno » . E Cossiga cominciò a chiamarla « l'efebo di Venezia » . « Sono l'unico nemico con cui non si è riappacificato.

L'unico cui non telefona. Lo considero un buon segno » . Lei scoprì Gladio.

« Trovai che i due accenditori a strappo che innescarono l'autobomba di Peteano venivano da un nascondiglio di Gladio. Cossiga si scatenò. Poi un anno dopo raccontò tutto su Stay Behind. Mah » .

Le perplessità sui giudici in politica non sono soltanto di Cacciari. Non ci vorrebbe almeno un periodo di decantazione?

« A parte che in politica sono entrate anche toghe azzurre, si potrebbe fare una norma specifica, anche se temo sarebbe incostituzionale. Leggo che Cacciari propone un intervallo obbligatorio di tre anni. E io che faccio nel frattempo? Come campo? Non sono ricco di famiglia, sono figlio di un pescatore. Cacciari? Di un medico. Ma non voglio far polemica con lui. Ognuno ha la propria storia, non mi permetto di dare giudizi. E poi i nostri programmi sono così simili, a cominciare dalle perplessità sul Mose, che al ballottaggio uno dei due potrebbe appoggiare l'altro. Siamo anche tutt'e due milanisti » .

Non è che Cacciari ce l'ha con lei perché lo fece processare per il rogo della Fenice? « Ho dovuto farlo, anche se avevo e ho un buon rapporto con lui. Cacciari era presidente della Fenice, e il teatro era in condizioni disastrose, abbandonato a se stesso: i sistemi antincendio staccati, le delibere che avevano allentato i controlli… » . Ma è stato assolto. « Prima è stato aperto il filone colposo. Poi si sono individuati i responsabili diretti del rogo ed è stato aperto il filone doloso. La corte ha valutato che il secondo tagliasse il nesso causale con il primo » .

Nella corsa Casson si sente in vantaggio. « Nei sondaggi che mi hanno fatto vedere ero l'unico candidato a battere senza problemi la destra » , che per giunta si presenta divisa. Però la spaccatura a sinistra è ben più devastante, divide la neonata Federazione, mette in imbarazzo Prodi. A proposito, Casson, com'è andato il vostro incontro? « Mi ha telefonato dicendomi: c'è chi mi parla bene di lei, chi male; conosciamoci. Lui era a Roma io a Venezia, ci siamo incontrati a metà strada, a Bologna. Abbiamo parlato delle bellezze della mia città, di politica estera, di un Paese che amo, la Cina. Si vede che gli ho fatto buona impressione » . Rutelli deve averne una pessima. Candidatura irricevibile, ha detto. « Al Lido giovedì c'è stata una scena curiosa. Rutelli indicava come suo uomo Michele Vianello, l'ex vicesindaco diessino. Forse intendeva Alessio Vianello, il candidato della Margherita. Un piccolo avvocato che nessuno conosce ma lavora in uno studio importante, quello di Domenico Giuri. Il legale delle industrie di Marghera » .

Dice Casson che il processo del petrolchimico ha stretto ancora di più il suo legame con i veneziani. Che la gente gli scrive per denunciare torti, miserie, guai per cui da magistrato non può fare nulla. Ma non è questo un altro segno di una contaminazione inopportuna di ruoli? « Il mio lavoro in magistratura è finito il 15 dicembre 2004, quando ho chiuso il processo di Marghera.

Da allora mi sono messo in ferie; ne avevo parecchie da recuperare. Una fase si è chiusa. Ne ho parlato con Gherardo Colombo: fare il pm sarà sempre più difficile, un po' per le nuove norme, un po' per l'autoblocco che è già scattato. Gherardo ha scelto la Cassazione.

Io mi annoierei a passare carte » . E sarà il candidato della sinistra sinistra. « Così dice Cacciari. Ma con me ci sono lo Sdi, i socialdemocratici, l'Italia dei Valori. E la mia formazione non è da estremista. Sono stato in collegio dai salesiani, a Castello di Godego e ad Albaré di Costermano. Mi sono laureato a Padova, senza frequentare, perché non mi piacevano né i fascisti né i rivoluzionari. In fretta, perché mio padre non poteva mantenermi. Mio fratello fa ancora il pescatore: capesante, soasi ( rombi), sfogi ( sogliole), bisati ( anguille), quelli di foce, i più magri » . Né angeli, né Negri, né Nietzsche. « Il mio santolo, il padrino, detto Tina anche se era un uomo, non ricordo il suo vero nome, mi portava a pescare le moeche, i granchi al tempo della muta, cioè adesso. Sa come si fa? Si prendono certi appositi contenitori di legno, i vieri, poi… » .

Quando si deve decidere qualcosa circa le città e i castelli e le province che, per grazia di Dio, sono sottoposti al nostro governo, non c'è nessuno nella nostra amministrazione che sappia dare informazioni precise sui siti nei quali essi si trovano, sulla loro latitudine e longitudine, sui confini e sui domini limitrofi e così via; e se a qualcuno si chiedono informazioni queste sono spesso diverse a seconda dell'interlocutore, perché ciascuno risponde come crede.

Si provveda perciò perché nella nostra Cancelleria e nella sede del nostro Consiglio dei Dieci vi sia, veridicamente disegnata, l'immagine di tutte le nostre città, terre, castelli, provincie e luoghi, talché chiunque voglia decidere e provvedere in merito ad essi ne abbia davanti agli occhi reale e precisa cognizione, e non debba affidarsi all'opinione di chicchessia.

versione dal testo latino pubblicato in G.B. Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del Palazzo Ducale di Venezia, Venezia 1868.

D. Da tempo la chimica a Porto Marghera è sotto accusa. Si è addirittura parlato di una possibile caso Bhopal nella Laguna veneziana: una strage di dimensioni catastrofiche a Venezia, a pochi chilometri da Padova e Treviso, in un’area densamente popolata dalla “città diffusa” del nordest, Che fine ha fatto, e che validità ha, l’accordo tra produttori, lavoratori, governo, regione ed enti ocali di qualche anno fa?

L’Accordo per la chimica a Porto Marghera è del dicembre 1998. Uno strumento superato anche in ragione della sua genesi: un accordo tra produttori e sindacati, accolto dal governo sia regionale che nazionale, senza una reale consapevolezza delle parole colà contenute.

L’Accordo prevedeva il raggiungimento di una ipotetica condizione finale, con la produzione del prodotto TDI (il toluendisocianato, una plastica) senza la produzione intermedia del fosgene, il potenziamento, chiamato bilanciamento, delle produzioni del CVM con il PVC del CVM e di parti degli impianti di polimerizzazione dl PVC. A dieci anni dal raggiungimento di questi obiettivi si prevedeva la dismissione del polo petrolchimico.

la produzione di un TDI senza fosgene è ancora un traguardo lontano, nessun produttore mondiale ha depositato un brevetto, il passaggio dalla fase sperimentale a quella industriale richiederebbe poi almeno 5-6 anni dalla fine della sperimentazione pilota.Quando arrivasse il TDI senza fosgene, ma siamo lontani da questo obiettivo, si potrebbero formulare assetti produttivi senza cloro, senza fosgene, senza CVM. Ma questo è molto lontano, anzi irrealistico .

D. Che cosa suggerisce il quadro europeo?

R.Le incalzanti direttive e/o raccomandazioni europee rispetto alle lavorazioni industriali presenti in aree perturbane obbligano a definire scenari futuri di compatibilità per le aree industriali periurbane.

In realtà lo scenario finale previsto dall’Accordo non teneva conto né della vetustà degli impianti, nè della compatibilità territoriale di lavorazioni rischiose e dichiaratamente dannose per la salute né, a livello economico, della globalizzazione delle produzioni.

Io ritengo più realistici passi intermedi per guidare la dismissione del polo petrolchimico limitando le ripercussioni occupazionali e trasformando la dismissione con le bonifiche ed il risanamento delle aree in una opportunità di lavoro. Per diminuire il rischio d’area è necessario guidare la transizione. Possono e devono essere pensati diversi scenari progressivi, considerando che attorno al 2007, in base alle normative europee, si dovrà in ogni caso arrendersi a diverse ragioni ambientali ed anche economiche.

D. Che cosa pensa si debba fare per entrare nel vivo dell'Accordo per la Chimica a Porto Marghera dal punto di vista tecnico?

R. Le autorità preposte, i Ministeri dell ’Ambiente e della Salute, la Regione Veneto e la Provincia di Venezia ed il Sindaco, che rimane l’autorità prima a tutela dei cittadini, dovrebbero sentire la responsabilità di una azione straordinaria.

Vi è innanzitutto la necessità di ricostruire quale sia il reale assetto attuale che si è determinato nell'emergenza di molti e diversi, ma tutti consistenti, incidenti ad alto rischio che si sono verificati a Porto Marghera dal 1998 in qua.

Andrebbe ricomposto il quadro esatto delle azioni già compiute dalle imprese per continuare le produzioni degli impianti coinvolti negli incidenti.

Bisogna anche evitare che le imprese ricorrano ad aggiustamenti, bypass, emissioni , ecc. ecc. in condizioni non controllate.

Ciò sarebbe necessario anche per definire il transitorio e per valutare quale possa essere l'assetto del prossimo futuro degli impianti interconnessi.

Siamo di fronte ad una impotenza preoccupante mentre la popolazione è esposta a rischi continui per emissioni incontrollate massive di cancerogeni e sotto l’incubo di un incidente definitivo, come quello che potrebbe avvenire al deposito del fosgene.

D. Come sono secondo lei le condizioni della sicurezza?

R. Gli incidenti recenti in molti comparti del Petrolchimico e soprattutto nei reparti della cosiddetta “filiera del cloro” hanno messo in luce come la balcanizzazione del Petrolchimico, con la cessione a soggetti multinazionali, abbia aggiunto alla vetustà di gran parte degli impianti, il crollo della sicurezza.

Quello che deve preoccupare è che è venuta meno la capacità degli stessi lavoratori di percepire il rischio cui sono esposti e cui è suo malgrado esposta la popolazione generale. Il numero di particolari tumori (leucemie, mielomi, alla trachea, al polmone, al fegato) all’interno della popolazione veneziana è di molto superiore al numero di casi attesi per la popolazione del Veneto a significare che vi è una particolare azione ambientale che si sovrappone alle normali condizioni di esposizione ( traffico, fumo, pesticie ecc. ecc.).

In un certo senso siamo di fronte ad un distacco psicologico dalla realtà complessiva, in una difesa cieca dello status quo, mascherato dietro la questione occupazionale. Viviamo tempi molto diversi dal quelli dove “la salute in fabbrica” era non solo uno slogan di lotta ma anche occasione di crescita culturale delle masse operaie e del sindacato.

D. Il nocciolo della questione, e il punto critico della sicurezza, mi sembra che sia la filiera del cloro. Che cosìè precisamente?

Per filiera del cloro si intende un insieme di impianti chimici tra loro interconnessi e che usano il cloro come materia di trasformazione: l’impianto successivo dipende dagli scarti di lavorazione o sottoprodotti del precedente.

A Porto Marghera in testa alla filiera c'è l’ impianto Cloro Soda ( sigla CS) che produceva cloro, partendo dal salgemma, per gli utilizzatori a valle: l’impianto TDI produce toluendisocianato,ed a valle di questo gli impianti per la produzione del CVM e del PVC che utilizza l’acido cloridrico, sottoprodotto del TDI. E’ quindi della filiera del cloro nel suo complesso che ci si deve occupare nell’affrontare parte della riconversione di Porto Marghera.

La capacità produttiva media di Porto Marghera è di circa 190.000 tonnellate /anno di cloro gas, 116.000 tonnellate/anno circa di acido cloridrico, 156 tonnellate/anno di fosgene, di cui ben 13 sono stoccate in due serbatoi fuori terra, contenuti in un edificio senza alcuna caratteristica di sicurezza particolare. Dall’acido cloridrico sottoprodotto del TDI si ottengono 250.000 tonnellate/anno di CVM e 200 tonnellate /anno di PVC.

Gli impianti per la produzione del CVM sono poi fuori norma da tempo. A seguito dell’incidente del 28 novembre 2002, avvenuto in prossimità dei serbatoi del Fosgene si è sfiorato una tragedia. Ma con l’incidente la catena si era interrotta. Il TDI era fermo. Il cloro-soda limitava la fornitura del cloro, per es. ai reparti DL1 per la produzione del dicloroetano ( DCE), la produzione del CVM, era scesa del 30%.

Si era determinato uno scenario obbligato di bassa produzione, e forse di minor rischio. Con la sosta forzata per l’inchiesta della magistratura quello era il momento adatto per pensare al futuro. Cosa che non si è fatta.

D. Ripartire, ma verso quale direzione? In altri termini, convertire “questa” Porto Marghera sarà possibile?

R. Bisogna avere le idee chiare: vi sono aspetti ambientali, economico/industriali ed occupazionali. La conversione pretende una strategia: da dove cominciare per arrivare a dove?

Ritengo che il comparto della filiera del cloro sia quella che comporta maggiori rischi sanitari e ambientali; gli impianti sono in gran parte di vecchia concezione, difficilmente riconvertibili al rispetto delle norme. Molte parti sono usurate ed obsolete: l’inserimento di nuove parti o componenti porta ad una risposta dissonante delle porzioni più vetuste.

Il fosgene da una parte e il CVM ( il Cloruro di Vinile Monomero è un cancerogeno umano accertato) dall’altra in seno alla realtà urbana di Marghera, Malcontenta e Mestre e Venezia rappresenta una realtà incompatibile sia dal punto di vista sanitario che ambientale.

L’Accordo della Chimica a Porto Marghera stipulato alla fine del 1998, invece di disincentivare queste produzioni e ridurre i grandi rischi ad esse legati, ne prevedeva il potenziamento, assoggettato comunque al parere positivo di Valutazione di Impatto Ambientale espresso in sede nazionale. Era quindi la Valutazione di Impatto Ambientale il riferimento fondamentale per le decisioni da prendere.

D. Ma la VIA non è stata negativa? E che cosa è successo dopo? Per colpa di chi?

R. Vi è stato un concorso di responsabilità del Ministro dell’Ambiente Matteoli che non ha tenuto conto del parere negativo di VIA relativo alla richiesta di potenziamento dell’impianto per la produzione di CVM e PVC, nonostante la attuale situazione degli impianti sia accompagnata da frequenti emissioni massive di cancerogeni in atmosfera.

Vi è la responsabilità Ministero dell’Ambiente e della Regione Veneto a riavviare, senza alcuna motivazione, una procedura tecnica conclusasi con un giudizio negativo.

S deve registrare anche una confusione dei gruppi di pressione sull’Amministrazione Comunale di Venezia che ha votato a maggioranza un O.d.G. assolutamente contraddittorio che inoltre denuncia una scarsa conoscenza o informazione tecnica.

D. C’è chi sostiene che la sostituzione delle celle a mercurio con le celle a membrana nell’impianto cloro-soda sia un progresso ambientale

In effetti, venti anni fa la membranizzazione dell’ impianto Cloro-Soda poteva rappresentare un miglioramento ambientale; ora rappresenta solo un pretesto per conservare la produzione del cloro e conseguentemente delle sue lavorazioni.

Chiedere, come fa l’Amministrazione Comunale di Venezia, contemporaneamente la membranizzazione dell’ impianto cloro-soda e l'abbandono del fosgene nella produzione del TDI è chiedere paradossalmente due cose antitetiche. Cosa serve la membranizzazione se poi a valle non ci sono i grandi utilizzatori del cloro?

Le contraddizioni in sede politica permangono, non più tardi di un mese fa si deve registrare il parere di VIA positivo del Consiglio Provinciale sul progetto di membranizzazione del Cloro Soda, la votazione è avvenuta mentre i consiglieri del polo rosso-verde uscivano dall’aula ed il loro assessore all’ambiente non ne ha tratto le dovute conclusioni.

D. Quale pericolo vede?

R.Il pericolo è che il "VIA IL FOSGENE" possa rivelarsi solo uno slogan, con il rischio di non modificare la situazione attuale e di balcanizzare ulteriormente Porto Marghera. Puntare su di una ipotesi lontana senza controllo, senza un nuovo Accordo per la Chimica, non consentirebbe di evitare che, le decisioni possano precipitare irrversibilmente, anche senza un ulteriore allarme.

D. Quali ad esempio?

R. Se si vuole la produzione del TDI, nel medio periodo non sembra possibile eliminare il fosgene in quanto non esiste attualmente la possibilità di produrre TDI, su scala industriale, senza questo prodotto intermedio. Per contenere il rischio d ‘area si deve pensare ad un diverso bunker per il fosgene e ad un assetto con le produzioni di CVM progressivamente ridotte sino ad azzerarle.

In questo caso l’acido cloridrico, sottoprodotto dell’impianto TDI, potrebbe essere inviato a un nuovo impianto a membrana "di rimonta dell’acido cloridrico" per la produzione di cloro di dimensioni molto più contenute. Il cloro necessario per completare l’esigenza delle produzioni sarebbe quindi prodotto in quantità molto minore e da un diverso e molto più piccolo nuovo impianto a membrana.

Ma sono possibili anche altri scenari

D. Quali?

R. Produrre CVM e il PVC a minori quantità, rinunciando al TDI: in questo caso si evita la produzione del fosgene.

Dopo l’ncidente del 28 novembre 2002 la produzione del CVM risulta diminuita del 30%. Nei fatti un bilanciamento del CVM con il PVC è già ottenuto a capacità produttive di CVM attuali, inferiori rispetto alle precedenti. Questa ipotesi andrebbe comunque verificata. Personalmente ritengo molto difficile rendere ambientalmente compatibile questi impianti con l’aumento delle possibilità di assicurare la combustione ed il ricovero delle emissioni fuggitive dagli impianti EVC secondo le BAT.

Va ricordato che la VIA sul potenziamento a 280 kt/anno di CVM e 260 Kt/anno di PVC è stata negativa, sulla base delle condizioni attuali degli impianti, sulla base di una incompatibilità territoriale e sanitaria relativa al quadro emissivo a causa dei molti incidenti e dei fuoriservizio del termocombustore.

Ad ogni scenario corrisponde insomma un assetto produttivo del cloro. La membranizzazione dell’ impianto cloro-soda va fatta in base alle reali esigenze di cloro gas a valle dello stesso. Se in una prospettiva piuttosto vicina ci fosse, come pare dica la Dow Chemical, un impianto per la produzione industriale di TDI senza fosgene, quindi senza cloro che ne è il precursore, perchè spendere una grande quantità di denaro per realizzare un grande impianto membranizzato?

D. Come procedere?

R. Per il transitorio non aumentare le produzione di CVM e PVC, poi bisognerebbe confrontare i rischi che possono derivare da queste due ipotesi: rinunciare al TDI via fosgene da subito o rinunciare al CVM, con sollievo da una fonte più sistematicamente pericolosa per l’ambiente e la salute della popolazione generale.

Per uscire dall'impasse le ipotesi possibili che io ho esaminato, in considerazione delle esigenze di ridurre progressivamente l’occupazione in questi settori, sono:

da subito: ridurre la produzione di CVM 30% rispetto alle attuali quantità; tenere bilanciata la produzione PVC accompagnata dall’ aumento della sicurezza delle emissioni: queste condizioni sono più difficili da realizzare; realizzare un vero bunker sotterraneo per il fosgene; limitare al quantità di fosgene bunkerata.

entro 5 anni: due alternative possibili.

O fermare il CVM, produrre ancora TDI via fosgene, limitando ulteriormente le quantità di quest’ultimo e rimonta dell’acido cloridrico; oppure fermare il TDI via fosgene e tenere bilanciata la produzione CVM e PVC alle quantità ridotte. Entrambi le soluzioni comportano una diminuzione della produzione di cloro.

Oppure valutare se il progetto di membranizzazione si debba veramente realizzare e debba riguardare un nuovo e molto più piccolo impianto cloro soda utile al reintegro del solo cloro necessario o se l'impianto attuale, a ranghi ridotti posa economicamente sostenersi in base alle caratteristiche che il Polo potrebbe assumere per i prossimi 4 – 5 anni in base alle ipotesi precedenti.

La prima ipotesi è quella che da i maggiori risultati ambientali aumentando ovviamente al massimo la sicurezza. In questo modo si può traguardare il 2007 e le norme europee.

Ma la condizione finale di questo percorso è la dismissione totale di queste produzioni.

Andreina Zitelli è professore associato di Igiene Generale ed Appicata all’università IUAV di Venezia. Già membro della Commissione Nazionale per le Valutazioni di Impatto Ambientale, dal 1997 al 2002, è stata commissario referente per i Progetti di Porto Marghera relativi agli impianti del TD12, CVM, Cloro Soda. E’ stata rimossa, insieme ad altri 23 membri, dalla Commissione per un’azione di spoil system intentata dal Ministro dell’Ambiente Altero Matteoli. Ha vinto il ricorso al TAR contro il provvedimento di decadenza; la sentenza è stata confermata dal Consiglio di Stato. Il Ministero non ha comunque dato esecutività alla sentenza ed il data 14 gennaio 2004 il parlamento, a maggioranza, ha modificato la legge sulla VIA al fine di non reintegrare i Commissari indebitamente rimossi.

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Se è vero quel che è successo, e c'è un documento che lo prova, per il centrosinistra a Venezia è una svolta fondamentale, pur se in extremis. Le elezioni sono dietro l'angolo e la coalizione che è sempre stata punto di riferimento per la maggioranza degli elettori di questa città stava dando prova di non meritare le preferenze accordate nelle passate tornate amministrative: divisi tra tutti (anche se non su tutto) almeno apparentemente, perché in realtà era piuttosto incredibile e strano che un gruppo di partiti che mostra gli stessi programmi (praticamente identici anche a quelli del polo rossoverde), alla fine non riesca a esprimere un proprio rappresentante.

Ora, il fatto che il centrosinistra - ossia Margherita, Ds, Sdi, Repubblicani, Udeur, Italia dei Valori e Comunisti Italiani - abbia scritto nero su bianco che l'avvocato mestrino Alessio Vianello è il suo candidato e che gli affida un mandato esplorativo per discutere con il polo rossoverde (Rifondazione Comunista e Verdi), è una novità che fino al giorno prima sembrava impossibile.

Il giorno prima, ossia giovedì, il prologo di quel che è accaduto ieri a Venezia, si è svolto a Roma. Nella capitale si stava svolgendo la riunione per la presentazione del nuovo simbolo con il quale il centrosinistra correrà alle politiche dell'anno prossimo contro Berlusconi. Con Romano Prodi c'erano Fassino, Cabras, Fioroni, Marini, tutti gli stati generali di Margherita e Ds e - tra una conferenza e l'altra sull'Unione e sul simbolo col cerchio e l'arcobaleno iscritto - hanno parlato anche di Venezia, elemento fondamentale di equilibrio nella coalizione. Il leader, Romano Prodi, ha fatto il nome di Arcangelo Boldrin, ma i Ds hanno ricordato di aver già detto di no sul nome del commercialista mestrino e allo stesso tempo hanno spiegato che avrebbero potuto convergere su Alessio Vianello. A quel punto i leader della Margherita hanno ribadito che la cosa fondamentale è che fosse rispettata la rosa dei 4 nomi fatta da tempo, ossia Marino Cortese, Laura Fincato, Arcangelo Boldrin e Alessio Vianello. Il leader della Margherita, Francesco Rutelli, assieme al segretario organizzativo Marini e a Fioroni, responsabile degli enti locali, hanno ribadito che la cosa importante era che il candidato sindaco uscisse da quei 4 nomi, senza divisioni. Prima di ritrasferire a Venezia la partita, Francesco Rutelli ha anche parlato con Laura Fincato, la quale, per il bene del partito, ha deciso di appoggiare Alessio Vianello spiegando di continuare a dare il suo contributo alla coalizione come dirigente nazionale.

Ieri mattina il nuovo incontro in laguna, dove è avvenuto quel che è spiegato nel pezzo a fianco, e dove quasi l'80% dei circoli comunali della Margherita aveva firmato nei giorni precedenti un documento per sostenere Alessio Vianello e Laura Fincato, documento consegnato ai tre segretari locali e inviato a Roma.

A proposito di questo documento ieri si è consumato un piccolo giallo, perché dagli uffici del sindaco Paolo Costa è stato mandato ai giornali un foglio siglato da Mauro Milani, il coordinatore di uno dei circoli che ha firmato per Alessio Vianello, nel quale si smentisce di aver appoggiato uno o l'altro candidato. Sempre ieri pomeriggio l'ex sindaco Massimo Cacciari ha inviato una lettera di fuoco ai tre segretari locali della Margherita e a Francesco Rutelli denunciando pesanti intimidazioni nei confronti di quanti avevano sottoscritto il documento a sostegno di Vianello e della Fincato.

Dopo una giornata convulsa, ad ogni modo, ieri sera il chiarimento e finalmente un documento univoco. Mentre Alessio Vianello, avvocato ed ex assessore alle Attività produttive nella giunta Cacciari veniva raggiunto al telefono, tra gli iscritti della Margherita e i sostenitori esterni delle varie categorie economiche e sociali della città, è cominciato un tam-tam per esprimere soddisfazione e speranza perché finalmente si dichiari chiusa la partita delle candidature e si cominci a lavorare per le elezioni con un nome nuovo, com'è avvenuto per la Provincia dove è stato eletto Davide Zoggia, Ds e candidato dell'intero centrosinistra: le roventi polemiche delle scorse settimane, infatti, avevano contrariato non poco la base che vedeva avvicinarsi sempre più la data delle votazioni e aumentare la difficoltà di farsi capire dagli elettori.

«Fino al '97 le norme hanno funzionato benissimo, poi Roberto D'Agostino ha sbracato fuori tutto». Il tema della frenetica trasformazione del patrimonio edilizio cittadino da residenziale a ricettivo - turistico è ritornato alla ribalta con la lettera che la Commissione di Salvaguardia ha inviato al sindaco, Massimo Cacciari, chiedendogli di intervenire sul Piano regolatore per mettere dei freni. E ispiratore della lettera è stato Stefano Boato, già assessore all'Urbanistica della giunta Casellati, che ieri è tornato personalmente sulla questione attaccando senza mezzi termini l'assessore uscente, alla guida dell'Urbanistica per le due giunte Cacciari e poi con Costa alla Pianificazione strategica.

«Non vorrei - ha polemizzato Boato - che il problema dei Bed & Breakfast, che tutto sommato è marginale, oscurasse il problema vero». Limitare i "B&B", ha spiegato Boato, è difficile, perché in apparenza, se non si tratta di affittacamere camuffati, l'appartamento interessato rimane residenziale. «Ma il vero problema - ha accusato - sono gli alberghi, che si stanno mangiando d'un colpo interi palazzi e poi gli appartamenti singoli vicini, che vengono inglobati nell'attività, e gli affittacamere, che sottraggono case alla residenza».

E ciò, ha accusato Boato, è perché D'Agostino ha stravolto la variante urbanistica della città antica, varata dalla giunta Casellati e conclusa dalla giunta Bergamo con assessore Vittorio Salvagno, rendendo possibili i cambi d'uso. «Prima - ha sostenuto Boato - erano difficilissimi». L'accusa non è nuova, e D'agostino se ne è sempre difeso sostenendo che la legge regionale consente l'attività di affittacamere dietro semplice denuncia al Comune e senza cambi d'uso, ma Luigi Scano, che è stato uno dei padri del Piano di Boato, è sempre stato di tutt'altro avviso. «La denuncia di inizio attività - ha sostenuto - si fonda sull'attestazione del pieno rispetto della normativa, compresi gli strumenti di pianificazione. E nella legge regionale - ha aggiunto - non c'è una riga che autorizzi a derogare il divieto di mutare l'uso abitativo ordinario».

Il fenomeno è comunque in costante espansione, come dimostrano i dati più recenti dell'Osservatorio Casa, elaborati su informazioni del Settore Turismo della Regione ma probabilmente sottostimati rispetto alla realtà. La ricettività "ufficiale" extra alberghiera ("B&B", affittacamere, ricettività sociale) ha raggiunto nel comune a fine 2004 i 6500 posti letto (6240 a Venezia): praticamente la metà dei 13.088 letti d'albergo in città. Questo fenomeno assorbe a Venezia il 5 per cento delle abitazioni in affitto e l'8,4 delle abitazioni in affitto del solo mercato privato (575 abitazioni, che salgono a 737 considerando anche i "B&B"), e ormai si pone in diretta concorrenzialità con la residenza.

Ultimamente (assessori all'Urbanistica Giampaolo Sprocati e Guido Zordan), il Comune ha cercato di intervenire, ponendo limiti di almeno 200 metri quadrati per piano per gli affittacamere o di almeno 60 metri quadrati per i "B&B" che presuppongono la residenza in casa del gestore (45 metri quadri per lui, che è la misura minima di un appartamento, più 15 metri quadri che è la misura minima per una stanza da letto), ma sono facilmente aggirabili. «I vigili - ha sostenuto Sprocati - hanno fatto molti controlli, e tanti verbali di violazione, ma finiscono nel nulla: è difficile mettere le mutande di ferro al mondo».

Più che piangere sul latte versato, dunque, ora si tratta di trovare forme nuove di difesa. «E la via maestra - ha sostenuto l'assessore all'Urbanistica, Gianfranco Vecchiato - è una trattativa con la Regione, perché modifichi la legge sul Turismo o riconoscendo la specificità di Venezia o consentendo alla città di autoregolamentarsi, come ha fatto la Regione Toscana per Firenze». Posizione, questa, condivisa anche dal capogruppo di Rifondazione, Sebastiano Bonzio, che ha chiesto con un'interrogazione di intervenire sulla Regione per una modifica restrittiva delle norme. «In attesa - ha aggiunto - si sospendano immediatamente tutte le pratiche di cambi d'uso e si introducano criteri più rigorosi nel Regolamento edilizio del Comune».

VENEZIA - Alle sei di sera, quando la marea scende al minimo, solo il Canal Grande resta navigabile. Fantasmi di vaporetti fischiano nella nebbia, il resto è deserto. Nelle altre grandi arterie traffico zero, rumori zero. Rio Cannaregio vuoto, rio de la Scomenzera vuoto. Sei di sera, bassa marea di tutto, anche di turisti, prima dell'onda di piena del carnevale. E' il quinto giorno di fila che, per un gioco di lune, maree e pressione atmosferica, Venezia va in secca.

Succede quasi ogni anno di questa stagione, dopo i mari gonfi di novembre, quando lo scirocco imbottiglia la Laguna. Ma stavolta sembra durare di più, la navigazione è semiparalizzata, stranieri aspettano alle fermate vuote dei vaporetti senza capire, sull'orlo di un mare che non c'è, inghiottito dal fango nero come la pece.

Riva de l'Oio: la Cà d'Oro, dicono, è di fronte. Ma non si vede niente. Tutta la riva Nord è inghiottita dalla nebbia viola della sera. Ti appare a pochi metri solo il fango tra le palizzate, pieno di copertoni abbandonati. Un pezzo di Canal Grande in secca. Non c'è solo l'acqua alta, a Venezia. Non c'è solo la sirena che urla come per annunciar bombardamenti, San Marco allagata, le passerelle piene di giapponesi, i vaporetti che non passano sotto i ponti.

C'è anche l'acqua bassa. Solo che questa arriva felpata, in silenzio, in bassa stagione, senza vento e senza far notizia. Non la annunciano con le sirene, ma con un ronzìo di Sms sui telefonini. E le bastano settanta centimetri - settanta sotto il livello medio - per trasformare in un'ombra la Vecchia Signora.


Con l'acqua alta, almeno, Venezia si culla nel suo elemento, si veste del suo mito. Venezia in secca, invece, è una città nuda, una gran dama coperta di cerone che svela le sue magagne. Emergono come dopo l'onda di ritorno di un maremoto. Lo sprofondamento - ventitré centimetri in un secolo - disegnato nella linea umida coperta di alghe che passa le fondamenta in pietra d'Istria e infradicia le rosse mura in mattoni. Le palizzate corrose dai vermi d'acqua. I canali minori non dragati. Le fogne che sboccano nei rii. Decenni di immondizie gettate in mare dalle case, la rugginosa carie che si mangia i palazzi antichi sotto il bagnasciuga. Nessuno fotografa Venezia con l'acqua bassa.

Basta uscire dal Canal Grande e comincia un viaggio all'inseguimento di ombre, come in una storia illustrata di Hugo Pratt. Pochi passanti frettolosi, un labirinto silenzioso di canali immobili. Il canale di San Nicolò dei Mendìcoli è un paesaggio da day after. Arsenali di barche in secca tra un ponte e l'altro. "Gozzi" di traverso, "sampierote" col timone schizzato dai cardini, "topi" incollati al fango nero del fondale come sulla plastilina.

In Rio Marin, nel sestiere di San Polo, una grossa "topa" è letteralmente appesa nel vuoto sulle sue gomene. In fondamenta Rimpeto Mocenigo, sotto il ponte de la Rioda una scialuppa piatta penzola di tre quarti, sgocciolando nell'acqua verdegrigia. "S'ciopòn si chiama" mi spiegano, "perché ci si andava con lo schioppo a caccia di anatre".

"Sono solo pochi anni che si è ripreso a dragare il fondo dei canali dopo decenni di incuria - spiega Pierpaolo Campestrini, direttore del Consorzio ricerche sulla laguna - e quest'opera non deve assolutamente fermarsi. Là dove si è dragato a dovere la piccola navigazione non si ferma con la bassa marea. Purtroppo sono due anni che nella Finanziaria non c'è un euro per questa manutenzione, e il rischio è che Venezia si impaludi di nuovo".

E se a Venezia non si naviga, la vita si ferma. Scarico merci, ambulanze, vigili del fuoco. La Fenice è andata a fuoco perché un canale, bloccato per lavori, sbarrava la strada ai pompieri. Due giorni fa una donna, che si era rotta il femore all'inaugurazione di una mostra, ha dovuto aspettare i soccorsi quasi un'ora perché i motoscafi non passavano.

A Campo San Polo scaricano fusti di birra da un "topo" da mercanzia, ma le rive son troppo alte, e per giunta coperte di limo. Alzare a braccia le botti è una fatica bestia, volano le bestemmie, i "va remengo", le maledizioni ai morti e al sindaco che non scava i canali. Entrare e uscire dalle barche più piccole richiede fenomenali equilibrismi. Funzionano bene solo le gondole-traghetto, con i loro pontili di legno a scalinata. Mezzo euro e sei oltre, ma poi ti accorgi che anche i pontili sono insicuri, hanno alcuni pali corrosi o ridotti a moncherini. Mandibole devastate dalla piorrea che filtrano il limo del fondale.

Nel rio de la Tana, a due passi dai gloriosi leoni marmorei dell'Arsenale, una delle ultime sacche della Venezia proletaria, solo la nebbia impedisce di vedere il riemergere di cessi, lavatrici, cestelli di plastica, ferraglia contorta. Dai boccaporti degli scoli sbucano rivoli color inchiostro, ricordano che Venezia, città inondata dai miliardi del turismo, è anche l'unica in Europa senza un sistema fognario. Con l'acqua bassa vien fuori tutto. La puzza, e meno male che non è estate. Le "pantegane", i ratti da fondamenta. Con l'alta marea, almeno, li trovi morti. Ma con quella bassa eccoli che trottano, vivissimi.

Molti pendolari protestano per la "vergogna" della paralisi del traffico. Ma molti indigeni sembrano godersi l'emergenza come una benedizione, una tregua prima della "catastrofe" del carnevale. I bambini invadono Campo San Giacomo dell'Orio per giocare a pallone sotto i lampioni. "Ocio, piera bianca culo nero!", grida uno di loro, per avvertirti che con l'umidità il lastricato in pietra d'Istria diventa scivoloso.

Anche l'acqua rivela le sue dinamiche arcane. "Basta guardare la direzione della corrente e trovi i punti cardinali", spiega Cristina Giussani, velista e titolare di una libreria di cose di mare. E' facile, con la marea che sale l'acqua va a Nord, con la marea che scende il flusso si inverte e va a Sud. Lo vedi dai "bòvoli", i piccoli vortici sotto i punti, attorno ai pali o dove i canali cambiano direzione.

Che silenzio. "Varda che bea Venezia" gode Alberto Fiorin, indigeno purosangue, e in mezzo ai colonnati deserti del mercato di Rialto, racconta delle voci dei venditori e del colpo secco con cui i pescivendoli decapitavano le anguille già alle cinque del mattino. "Lotrega, meciato, verzelata", una lapide parla di pesci dai nomi quasi estinti, definendone la lunghezza minima per lo smercio. Palizzate corrose, fondamenta fradicie, fogne a cielo aperto, tutto dimenticato.

Oltre il Canal Grande e le luminarie di Strada Nova col popolo che va e viene dalla stazione, il buio ci inghiotte di nuovo nei sotoporteghi del ghetto nuovo. La secca è al massimo, il deflusso in rio Cannaregio, deserto di vaporetti, è velocissimo come quello di un fiume. Venezia ce l'ha fatta ancora una volta.

Venezia, 30 aprile 2005. Le ferite aperte dal lacerante dibattito sull'Expo bruciano ancora. Parlare di grandi eventi per cambiare volto e mentalità alla città è come parlare di corda in casa dell'impiccato: un tabù. Eppure una quindicina di anni fa il professor Edoardo Salzano, urbanista dello Iuav, sembrava facile profeta salutando il fallimento del progetto Expo in laguna. «...Adesso, dopo aver perso cinque anni a contrastare una proposta sbagliata - scriveva Salzano nel 1990 - si può ricominciare a lavorare per risolvere i problemi, ma nella direzione opposta: per governare il turismo, anziché per esaltarlo, per difendere le attività ordinarie della città, per costruire le ragioni e le occasioni di uno sviluppo economico e e sociale non effimero».

La profezia non si è avverata. Il declino culturale e sociale di Venezia è stato inesorabile, il turismo non è stato governato, le attività ordinarie della città sono via via sparite. A cambiare le cose, ora, ci prova il Piano strategico, il cui obiettivo è proiettare la città e i suoi protagonisti nel futuro, con una mentalità e un metodo di pianificazione diversi. Nel 2003 la Datar (Delegation à l'Amenagement de Territoire ed à l'Action Regionale, organismo dello Stato francese) rese nota una classifica in base alla quale, su 180 città Europee, Venezia si piazzava al 51. posto alla pari di città come Bilbao, Rotterdam e Porto. Datar misurava la competitività internazionale di Venezia, la sua capacità di attrarre investimenti. E la cultura è una delle calamite per i grandi investitori internazionali. Tra i punti di eccellenza di Venezia la Datar citava proprio la presenza di beni culturali, ma senza progetti e attrattive gli investitori vanno altrove, la sola presenza di tesori dell'arte non basta. In uno degli incontri della commissione cultura del Piano strategico, Monica Da Cortà Fumei, in rappresentanza dei Musei civici, aveva messo in evidenza un dato allarmamante: Venezia è ormai fuori dal circuito internazionale delle grandi mostre, perchè soffocata dal turismo di massa. Dunque mentre esperti e politici discutevano, la città-museo si chiudeva su se stessa e perdeva terreno: solo il 10 per cento, dei 12 milioni di turisti che ogni anno arrivano a Venezia, visitano i musei; l'altro 90 si disperde per calli, osterie e ristorantini. Venezia, negli ultimi anni, si è lasciata scappare ad esempio l'occasione di inserirsi nel progetto Capitali europee della cultura.

Ora, dopo Genova (che anche grazie a quel "marchio" ha completato il rinnovamento iniziato con le Colombiadi) la lista delle città che aspirano al ruolo di capitale culturale è piena fino al 2020. Un treno perso, come tanti, per convogliare tutte le forze presenti in città su un obiettivo, su un progetto che portasse a Venezia capitali e idee. Un problema non solo veneziano, ma anche Veneto: l'ultimo grande evento che ha dato risalto mondiale alla Regione, sono state le Olimpiadi invernali di Cortina del 1956... Oggi che il fantasma dell'Expo aleggia ancora in maniera pesante, c'è la paura (forse anche la convinzione) che soldi e progetti vengano in realtà destinati a fare solo gli interessi di pochi, che la città non sia in grado di sopportare il peso di un avvenimento di rilevanza mondiale. La città è sospesa tra conservazione del passato e paura di voltare pagina. Aree come l'Arsenale o la Marittima, con i suoi "docks", farebbero la gioia di urbanisti e progettisti. Invece restano là, in un percorso di rinnovamento (?) lento e prudente. Per attuare le linee del Piano strategico ci vogliono anni e buona volontà di collaborare da parte dei tanti soggetti interessati. E forse ci vogliono menti giovani, fantasia e coraggio, che possono anche non contrastare con il rispetto della storia della Serenissima. Il simbolo del nuovo Rinascimento di Venezia non può essere il ponte di Calatrava.

Da www.aidanews.it

Manca ancora da limare qualcosa e da articolare i contenuti in un testo omogeneo, ma il programma elettorale del centrosinistra, riassunto per ora in sette schede, è praticamente pronto e mercoledì prossimo verrà sottoscritto dai partiti della coalizione dopo che lo scorso 4 gennaio i suoi contenuti erano già stati approvati al tavolo delle trattative.

Sulla carta, sono stati sciolti anche i tre nodi più grossi: Chimica, Salvaguardia, Sublagunare. Su Porto Marghera, il Centrosinistra punta alla riqualificazione, della quale l'Accordo sulla Chimica e il Master Plan per le bonifiche sono due pilastri, che devono rappresentare però non un punto d'arrivo ma un punto di partenza per nuove politiche. La sperimentazione in corso per la sostituzione del fosgene nelle produzioni di Tdi va rapidamente conclusa, per perseguire una nuova chimica, compatibile, mentre i nuovi scenari normativi dovranno permettere di completare le bomifiche, insediare nuove industrie, rafforzare la cantieristica, la portualità, la logistica, integrare Università, Ricerca, Produzione.

Il criterio guida per la Salvaguardia è la visione sistemica dei problemi e degli interventi, rovesciata invece dal Governo che concentra tutte le risorse sul Mose, un'opera che non convince né in vista di futuri scenari di innalzamento del livello marino, né in rapporto all'attività portuale (sia a regime che durante la sua costruzione), e che resta scollegata dal riassetto morfologico della laguna lasciando del tutto indifesa la città nei lunghi anni dei lavori. Prima di fare altri passi verso la realizzazione del Mose, il Centrosinistra chiede di ripristinare l'unitarietà delle opere di salvaguardia (bonifiche, disinquinamento, risanamento morfologico), puntando da subito per le acque alte a sperimentare vere opere dissipative, ridefinendo la soluzione per le maree eccezionali senza dimenticare il vincolo ineludibile dell'attività portuale.

La Sublagunare, infine, viene inquadrata nel contesto dell'attuazione degli interventi previsti dal Piano urbano della mobilità, che prevedono la valorizzazione del trasporto via acqua, l'incremento del trasporto ferroviario, l'estensione delle aree pedonali in terraferma, il rafforzamento del trasporto pubblico e del sistema dei parcheggi. L'eventuale realizzazione del metrò, comunque, va subordinata a un confronto con tutta la città e a una decisione definitiva da parte del consiglio comunale, in vista dei quali vanno condotti tutti i necessari approfondimenti ambientali, socio - economici, urbanistici, comparando la sublagunare a soluzioni alternative, anche di navigazione, e verificando l'effettiva esistenza di finanziamenti pubblici, per evitare ricadute negative sui bilanci comunali.

Al di là del tema della Salvaguardia e fatte salve le diverse accentuazioni sulla Chimica, la bozza di programma sembra presentarsi con una linea di sostanziale continuità con l'amministrazione uscente, sottolineando la necessità della riorganizzazione istituzionale incentrata sulle Municipalità ma dando nel contempo un colpo di freno alla privatizzazione delle aziende, che dovranno continuare a rispondere a logiche e regie pubbliche. I livelli di welfare raggiunti vanno garantiti seppure ripensati e razionalizzati, offrendo in più opportunità e diritti ai migranti (voto amministrativo) e autonomia ai soggetti in crisi o precarizzati, con particolare attenzione ai minori (più nidi e materne). Il programma affronta poi i problemi della Salute, della Casa, della Cultura (sostenendo la produzione locale), dell'Istruzione (Venezia luogo della ricerca e dell'innovazione), del Turismo (passare dal "mordi e fuggi" all'ospite - cittadino attore di promozione di nuove attività e di nuovi servizi).

«I rossoverdi fuori dalla giunta, almeno per ora. Bisogna ricostruire l’Unione sul piano politico, senza inciuci e senza pasticci. La frattura c’è stata e non l’abbiamo voluta noi. Ma la giunta non c’entra. In caso contrario, i nostri elettori non capirebbero».

Alessio Vianello, ex candidato sindaco della Margherita, rompe il silenzio e lancia la sua proposta politica. Alle ultime elezioni è stato il più votato del suo partito, con oltre 600 preferenze, e ora si prepara a svolgere un ruolo politico di primo piano nella nuova amministrazione guidata da Cacciari.

Alessio Vianello farà l’assessore?

«Sarò in prima linea al fianco di Massimo Cacciari, ma non credo che assumerò ruoli gestionali, mi sentirei in profondo imbarazzo. Sono un professionista con uno studio di avvocato che dà lavoro a 30 persone, ci occupiamo anche di temi molto delicati e vicini all’amministrazione, tra i nostri clienti ci sono industrie chimiche, dei telefonini, aziende del Comune. Il problema esiste, sarei un facile bersaglio e non voglio assumere incarichi che mettano in imbarazzo Cacciari».

Se avesse fatto il sindaco c’era lo stesso problema.

«In quel caso, lo aveva detto chiaro, avrei dovuto rinunciare per cinque anni alla mia attività. Come si fa nei Paesi anglosassoni. Dal 3 marzo qualcosa è cambiato. Ma non c’è assolutamente nulla di politico, come qualcuno vuol far credere».

Un’altra ipotesi era quella di fare il vicesindaco. Non sarà che rinuncia perché il vicesindaco lo potrebbe fare Michele Vianello?

«A parte che nulla è deciso, e si tratta ancora di ipotesi, avrei detto di no anche se mi chiedevano di fare il vicesindaco. Ma è un rifiuto dettato da ragioni personali. C’è il rischio di un conflitto di interessi».

Altri suoi colleghi avvocati, ma anche architetti e commercialisti sono stati al governo pur continuando a lavorare nei loro studi.

«Quello che fanno gli altri non mi interessa, io credo che non sia giusto».

Che ruolo avrà nella prossima amministrazione?

«Lo ripeto, io metto a disposizione tutte le mie forze per aiutare il sindaco Cacciari, per aiutarlo soprattutto nei temi che conosco bene».

Si parla di Lei come capogruppo della Margherita. C’è da lavorare con 26 consiglieri, il gruppo più numeroso mai visto in Consiglio.

«E’ probabile che vada così».

«Non c’è lo stesso problema del conflitto di interessi?

«No, perché non si gestisce nulla. Se ci sono delibere che mi riguardano, posso sempre astenermi».

Otto anni fa lo studio lo aveva tenuto, quando da assessore lavorava per risolvere il problema degli sgravi a Bruxelles.

«Allora eravamo in due una piccola realtà. Oggi è diverso».

Niente giunta, allora.

«Credo di no, ma non è che il mondo finisce in giunta. Ci sono tanti modi per lavorare per la città.

Cosa succederà nelle prossime ore?

«Voglio dire a Massimo che è ora di rompere gli indugi. Deve scegliere gli uomini migliori e fare la squadra. I veneziani si aspettano grandi cose da lui. Ha i numeri per governare e deve farlo, distinguendo il mandato degli elettori veneziani dalle dinamiche politiche nazionali. Ed evitando pasticci con i rossoverdi. I veneziani non capirebbero».

Postilla

Qualcuno (compreso Michele Serra, su la Repubblica del 20 aprile 2005) sosteneva che Casson non poteva essere candidato perché, come magistrato che conosceva i segreti della città, c’era una incompatibilità sostanziale. Il candidato tenacemente proposto da Cacciari aveava e ha uno studio legale che lavora per le aziende chimiche (a Venezia, Porto Marghera).

Cacciari e le nomine, ora è spuntato l'asse con An

Pagamento per merce non richiesta? La notizia è da il Coriere della sera del 23 aprile 2005

Il neosindaco di Venezia affiderebbe una municipalizzata a un uomo di Alleanza nazionale? « È prematuro dare indicazioni, ma non escludo nulla, non ho pregiudizi » . Massimo Cacciari sembra dare corpo alle proposte di collaborazione di Raffaele Speranzon, giovane leader veneziano di An, che escludeva un impegno diretto degli uomini del centrodestra nella nuova giunta, ma prospettava la possibilità di « contributi di altro genere, qualche incarico di secondo grado » . Potrebbe essere un riconoscimento del ruolo svolto dagli elettori della Casa delle Libertà nella sfida che al ballottaggio ha visto prevalere Cacciari su Felice Casson.

Prove tecniche di alleanze incrociate per l'Amministrazione laboratorio. Massimo Cacciari, ormai con la fascia tricolore di sindaco della Serenissima, ha in mano il boccino. Ora deve lanciarlo, per cominciare la partita.

« Mi muoverò senza pregiudizi » , avverte, consapevole però che il gioco non è facile, neppure per un tipo abile come lui. Va ricordato, infatti, che tra i suoi sostenitori al ballottaggio c'è una nutrita schiera di veneziani che, a bocce ferme, si sarebbero riconosciuti nella Casa delle libertà. Poi, rimasti orfani del candidato di riferimento, scartato l'ex pm Felice Casson, hanno premiato il filosofo. Allora? « Siamo solo agli inizi dell'avventura, comunque non escludo nulla, che sia esplorabile — dice Cacciari — . Ma è ovvio che farò una giunta di centrosinistra, sperando che il centrosinistra si riconosca in me » aggiunge. Anche l'altro giorno, quando Romano Prodi l'aveva tirato per la giacca, era stato sarcastico: « Chiedermi di varare una giunta di centrosinistra è scoprire l'acqua calda » . Ieri Francesco Rutelli, leader della Margherita e sodale del neosindaco, è tornato sull'argomento: « A Venezia, certo, non faremo una giunta monocolore della Margherita, anche se, con 26 consiglieri acquisiti, sarebbe possibile » .

Dunque, amministrazione di centrosinistra. Eppure, questi proclami non combaciano con le trame sotterranee, che si compongono e scompongono e che sembrano innervosi re il doge dal ciuffo corvino, pur essendo lui il fulcro della ragnatela. Da una parte ci sono i Ds spaccati, che tentano ricuciture e fanno avances esplorative. Perfino Gianfranco Bettin, capo del cosiddetto polo rosso verde destinato all'opposizione ( sarà davvero così?) è uscito allo scoperto, rilanciando l'invito di Prodi per una giunta unitaria del centrosinistra.

A una condizione: « Non far entrare nessuno della Casa delle libertà » . Per Cacciari il nodo cruciale è proprio qui: come « dialogare » , in concreto, con il centrodestra? Come ricambiare per l'appoggio ottenuto da quell'area politica diversa dalla sua? Non è un mistero, per esempio, che tra Raffaele Speranzon, giovane leader di Alleanza nazionale, e il filosofo c'è feeling. E che i due, in questi giorni, si sono parlati. Tema delle conversazioni? « La collaborazione possibile — ammette Speranzon — . Sia chiaro, per An un posto in giunta è assolutamente da escludere.

Non mischiamo le carte. Cac ciari sta facendo la rivoluzione, anche se resta di centrosinistra » . Però... « Però, non escludo contributi di altro genere. Qualche incarico di secondo grado. Per esempio nelle aziende municipalizzate.

Non per me, che mi autoesclu do da qualsiasi carica amministrativa e neppure per i candidati che erano nella mia lista.

Mi riferisco piuttosto a personaggi di qualità e capacità della mia area politica. Se Cacciari riterrà di avvalersi della collaborazione di qualcuno di lo ro, sarei onorato » . Del resto, Raffaele Speranzon non teme i rimbrotti del suoi capi nazionali. « Vado avanti per la mia strada — confida — . An è una forza che può giocare a tutto campo, non la ruota di scorta di Forza Italia » . Insomma, quella freddezza che Maurizio Gasparri ha dimostrato di fronte alla vittoria del filosofo cade nel vuoto. Per contro, Gianni Alemanno sta con il giovane leader veneziano.

Cacciari affiderebbe una municipalizzata a un uomo di Alleanza nazionale? « È prematuro dare indicazioni, ma non escludo nulla, non ho pregiudizi » risponde. Le voci, in Laguna, si rincorrono. C'è in ballo la presidenza del consiglio comunale. « È normale che vada a un eletto dell'opposizione » dice il sindaco. I nomi più gettonati: lo stesso Speranzon e forse, con maggiori chance, Michele Zuin di Forza Italia, vice di Cesare Campa, il candidato che si piazzò terzo al primo turno, dopo Casson e Cacciari.

«Non ho nessuna intenzione di entrare in giunta con Massimo Cacciari, che si arrangi con il centro-destra che lo ha fatto vincere». Felice Casson, l’ex magistrato candidato dei Ds, Rifondazione e Verdi alla carica di sindaco di Venezia mette in chiaro che non appoggerà nella nuova giunta il suo sfidante. Nel ballottaggio Massimo Cacciari l’ha spuntata per appena 1.340 voti e ha incassato subito i complimenti di Margherita e Udeur, i partiti che l’hanno sostenuto spaccando l’Unione.

Il neo eletto ha dichiarato che «Il centrosinistra ha un futuro di governo solo se saprà davvero aprire, dialogare e interloquire con tutte le forze di questo paese. E a Venezia si potrebbe aprire un piccolo laboratorio anche su questo». Di certo pescando in mezzo ai 27.000 voti in più rispetto al primo turno ci saranno quelli di elettori del centrodestra. «Da qualche parte questi voti dovevano pur venire - ha detto Cacciari - non credo che Casson li abbia rifiutati». L’ex filosofo chiarisce che al secondo turno si è presentato senza apparentamenti o accordi con altri partiti «Al ballottaggio mi sono presentato con il programma di prima, che evidentemente è appetibile anche per altre tendenze politiche diverse dalla mia». Cacciari si era rivolto esplicitamente agli elettori di centro-destra e ne aveva chiesto l’appoggio in questi giorni di campagna elettorale. Adesso riceve attestati di stima da molti esponenti di quei partiti di riferimento. Una battuta a caldo del ministro leghista Castelli: «Sono contento che abbia vinto. Cacciari mi è simpatico, Casson un po’ meno». Poi arrivano i complimenti del governatore del Veneto Giancarlo Galan, anche lui da due settimane riconfermato al governo della regione. Il sottosegretario forzista Sacconi considera quella di Cacciari come una vittoria contro l’estremismo dell’altro contendente. «La maggioranza moderata e riformista della città ha saputo andare oltre gli schieramenti e vincere sul massimalismo e sull'opportunismo».

Per An parla il ministro Alemanno che vede nell’affermazione del “filosofo” un nuovo modo di intendere la politica «È la dimostrazione che gli elettori oggi premiano non posizioni di scontro ideologico, ma proposte di merito e di contenuto». Meno abbottonato il commento di Raffaele Speranzon, candidato sindaco di An al primo turno che dice «Ho festeggiato e sono assolutamente contento di come è andata. Sono contentissimo di come hanno lavorato An per ottenere questo risultato». Renato Brunetta, responsabile programma di Forza Italia, fa una dichiarazione forte che scuoterà i due poli «Venezia può diventare un laboratorio politico per il superamento del “bipolarismo bastardò”».

Nel centro-sinistra il giudizio è spiazzante. Perché ci sono subito le congratulazone dei partiti sostenitori della candidatura dell’ex sindaco di Venezia. Per Mastella l’Udeur è stato fondamentale per la vittoria di «una persona di grande intelligenza che stimo molto». Anche la Margherita si sente indispensabile e il suo peso come forza di centro ha avuto un ruolo nella vicenda, secondo le parole di Lamberto Dini «non si vince con candidature troppo radicali». Tocca poi a Rutelli raffreddare subito le polemiche «Venezia è stata l'unica città in cui il centrosinistra si è presentato diviso e questo mi è dispiaciuto molto ma Cacciari merita questo successo e questo riconoscimento». Il, leader della Margherita è comunque convinto che da subito il sindaco si metterà a ricomperre la coalizione. È quello che si augura anche Di Pietro, auspicando una ricucitura veloce per evitare il ripetersi di vicende simili. Poi ci sono reazioni via via più critiche. Per Fausto Bertinotti l’Unione se è compatta vince, è una tendenza ormai inarrestabile e un chiaro messaggio delle forze alternative a Berlusconi. Questa la lezione da trarre, secondo il segretario di Rifondazione, che definisce la vittoria di Cacciari come «la vittoria di Pirro, per realizzare la quale si sono mobilitate, oltreché le forze moderate, tutte quelle di destra».

La caricatura è di Francesco Natali, dal sito del Museo della satira e della caricatura. Fatti e commenti precedenti nella cartella Venezia e la Laguna

Un appello al voto, o meglio un appello al voto per Cacciari, per scegliere «l’uomo migliore» e non i partiti. Il regalo collettivo per il filosofo è arrivato dagli altri candidati sindaco - tutti tranne Mazzonetto della Lega - rimasti esclusi dal ballottaggio e che già nei giorni scorsi, chi più chi meno, si erano dichiarati a suo favore. Ieri pomeriggio, in una saletta del Sofitel, l’annuncio ufficiale e corale, anche se tutti hanno spiegato prudentemente che parlavano a titolo personale, come cittadini e non come politici, con motivazioni diverse ma legate dallo stesso obiettivo:sostenere Cacciari «non perchè Cacciari sia diventato il candidato del centrodestra ma perchè è il candidato migliore, l’uomo che segna lo stacco netto dalla giunta Costa». L’idea era venuta ieri mattina a Vittorio Salvagno quando si è acceso la prima sigaretta. Uno dopo l’altro ha contattato gli altri ex candidati e li ha riuniti al Sofitel per dare l’annuncio. Cesare Campa di FI, Raffaele Speranzon di An, Maurizio Crovato di Uno di noi, l’autonomista Giampaolo Pighin, Andreina Zitelli per Carlo Ripa di Meana dei Verdi Colomba, bloccato in udienza Augusto Salvadori, atteso (ma mai arrivato) Mario d’Elia, presente anche il senatore Ugo Bergamo. Un potenziale regalo di 58 mila voti perchè, come ha spiegato Salvagno, «al secondo turno non c’entra più la politica, c’entra chi è il migliore». Nessun dubbio, per gli ex candidati sindaco, anche se le spinte sono state diverse. Per Campa «è non votare chi ha l’appoggio dei centri sociali», per Speranzon «Cacciari è la discontinuità dall’amministrazione degli ultimi anni», per Crovato «è la possibilità di scegliere tra un sindaco dei partiti e un sindaco dei cittadini», i Verdi Colomba avevano già deciso ufficialmente da una settimana. E Cacciari? Era a una conferenza a San Vidal e non ne sapeva niente. (m.pi.)

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