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AC nn. 153, 442, 677, 1065, 3627, 3810, 3860

Governo del territorio

Proposta di testo unificato

presentata dal relatore al Comitato ristretto

(21 gennaio 2004)

Testo proposto dal relatore

Art.1 (Governo del territorio)

1. In attuazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la presenta legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio. In attuazione dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, la presente legga disciplina gli usi del suolo per gli aspetti direttamente incidenti sull'ordinamento civile e penala, sulle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, sulla tutela della concorrenza nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Le disposizioni della presente legge fanno comunque salvi i principi e le norme dell'ordinamento comunitario.

2. Il governo del territorio consiste nell'insieme delle attività conoscitive, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità. Il governo del territorio comprende altresì l'urbanistica, l'edilizia, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati con le medesime materie.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, ad esclusione degli aspetti direttamente incidenti sull'ordinamento civile e penale, sulla tutela della concorrenza nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali..

Art. 2 (Compiti e funzioni dello Stato)

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso la predisposizione di politiche generali e di settore inerenti lo sviluppo economico-sociala, il territorio e l'ambiente.

2. Per l'attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta strumenti di indirizzo e di intervento e coordina la sua azione con quella dell'Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, in armonia con le politiche definite a livello nazionale e comunitario e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica, in ordine all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché la fissazione dei criteri per la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, per la difesa del suolo.

4. Le opere e gli interventi dichiarati di interesse nazionale sono individuati tramite un programma predisposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con i Ministeri competenti e con la Conferenza unificala di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il predetto programma è inserito nel Documento di programmazione economica-finanziaria, previo parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica. Le opere e gli interventi di cui al predetto programma sono automaticamente inseriti nelle intese istituzionali di programma e negli accordi di programma quadro.

Art. 3 (Interventi speciali dello Stato)

1. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio economico e sociale, di promuovere l'abbandono di insediamenti abusivi esposti al rischio di calamità naturali, di superare gravi situazioni di degrado ambientale, di favorire il recupero di aree urbane degradate, anche attraverso interventi di demolizione e ricostruzione, lo Stato predispone programmi dì intervento ed effettua i relativi interventi in determinati ambiti territoriali con l'obiettivo di promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostentile, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

2. I programmi e gli interventi speciali, di cui al comma 1, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata..

3. L'adozione degli strumenti di programmazione negoziata, a cui hanno partecipato gli enti competenti alla pianificazione, comporta l'automatico adeguamento dal piano urbanistico già approvato

Art. 4 (Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione)

1. Il principio di sussidiarietà ispira la ripartizione delle attribuzioni e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali e i rapporti tra questi e i soggetti interessati, secondo i criterì della autonomia, della responsabilità e della tutela dell'affidamento.

2. I soggetti istituzionali cooperano alla definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, sentiti i soggetti interessati, anche mediante intese e accordi procedimentali e l'istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell'unità della pianificazione.

3. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l'adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti istituzionali e fra questi e i soggetti interessati, ai quali va riconosciuto comunque il diritto dì partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

4. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l'attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

5. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stalo forme di collaborazione per l'esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l'attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni ambientali, nonché alle infrastrutture.

Art. 5 (Programmazione e pianificazione del territorio)

1. Le regioni individuano gli ambiti territoriali da pianificare e l'ente competente alla pianificazione, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell'ambito da pianificare e definiscono modalità d'uso del suolo tali da assicurarne la congruità con le condizioni di mobilità e qualità ambientale, nonché con i rapporti fra spazi aperti e coperti, pubblici e privati.

2. Fino alla individuazione degli ambiti territoriali da pianificare, e salva diversa disposizione legislativa regionale, l'ente competente alla pianificazione è il comune

3. L'ente preposto alla pianificazione è il soggetto primario della disciplina e del controllo dell'uso del territorio. Gli atti di governo del territorio assicurano, attraverso la partecipazione e il controllo degli usi dei suolo e della mobilità, la disciplina della totalità del territorio, il rispetto dei caratteri storici, culturali e sociali, la qualità urbana, l'integrazione delle funzioni, la riqualificazione e l'equilibrio fra aree urbanizzate e non urbanizzate, la difesa del suolo. Tali atti sono predisposti in conformità agli atti di programmazione economica e di pianificazione sovraordinati, nonché alle intese e agli accordi intervenuti.

4. Il piano urbanistico è l'unico strumento di disciplina della totalità del territorio e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione di settore concernente il territorio

5. Nell'ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all'agricoltura, aree di pregio ambientale e aree extraurbane a destinazione non agricola di riserva urbanistica..

6. Nelle aree destinate all'agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l'agricoltura, l'agriturismo e l'ambiente

7. La pianificazione urbanistica si attua attraverso modalità strutturati e operative. Il piano strutturale non ha efficacia conformativa della proprietà. Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli aì sensi dell'articolo 42 della Costituzione.

Art. 6 (Dotazioni territoriali)

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche attraverso la prestazione concreta del servizio non connessa ad aree e ad immobili. L'entità dell'offerta dì servizi è misurata in base a criteri prestazionali, con l'obiettivo di garantirne comunque un livello minimo anche con il concorso dei soggetti privati.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l'iniziativa dei soggetti interessati.

3. La previsione del piano urbanistico che abbia contenuti di inedificabilità o di destinazione pubblica decade se non attuata entro cinque anni, salvo che non si tratti di vincoli e destinazioni che il piano deve recepire.

Art.7 (Predisposizione e approvazione del piano urbanistico)

1. Nel procedimento di formazione del piano urbanistico sono assicurate adeguate forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali.

2. Nell'ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive, deve essere garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo ed adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l'indicazione delle motivazioni in merito all'accoglimento o al rigetto delle stesse. Nell'attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all'esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l'amministrazione procedente.

3. Gli organi istituzionali ed i responsabili amministrativi degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita ed adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle proposte presentate nell'ambito del procedimento ed ai principi di cui alla presente legge.

4. L'ente di pianificazione può concludere accordi con i soggetti interessati, per recepire nel piano urbanistico proposte di interventi, in attuazione degli obiettivi strategici indicati nel documento programmatico. L'accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione del piano urbanistico che lo recepisce,

5. Le regioni stabiliscono altresì le modalità del procedimento di formazione e dì approvazione del piano e delle sue varianti, fissano i termini perentori per la pubblicità e la consultazione., i casi in cui il piano è da sottoporre a verifica di compatibilita con gli strumenti di programmazione economica e di pianificazione sovraordinati, individuando il soggetto pubblico delegato alla funzione e stabilendone le relative modalità, nonché determinano analoghi termini perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

6. Con l'adozione dei piani gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni agli strumenti di pianificazione sovraordinati, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione. L'atto di approvazione del piano contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano sovraordinato, qualora sulle modifiche sia acquisita l'intesa dell'ente titolare dello strumento.

7. Gli enti locali possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto dei principi di imparzialità amministrative, di concorrenzialità e di partecipazione al procedimento, per la formazione degli atti di pianificazione anche attraverso procedure di confronto concorrenziale al fine di recepire proposte di interventi coerenti con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione.

Art. 8 (Attuazione del piano urbanistico)

1. Le disposizioni del piano urbanistico sono attuate con piano operativo o con intervento diretto, sulla base di progetti compatibili con gli obiettivi definiti nel piano strutturale. Le modalità di attuazione del piano strutturale sono definite dalla legge regionale. L'attuazione è comunque subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. Le previsioni della pianificazione urbanistica possono essere attuate anche sulla base dei criteri di perequazione e compensazione i cui parametri devono essere fissati nei piani strutturali.

3. La perequazione è realizzata con l'attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricomprese in ambiti territoriali omogenei oggetto di trasformazione urbanistica.

4. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in percentuale del complessivo valore della proprietà di ciascun proprietario, e sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali omogenei.

5. Al fine di mantenere il limite massimo complessivo di edificazione dei predetti ambiti omogenei è possibile individuare alcune aree da dotare di indici di edificabilità incrementabile.

6. A fronte di benefici pubblici aggiuntivi rispetto a quelli dovuti e comunque coerenti con gli obiettivi fissati nel piano urbanistico nel medesimo possono essere previste forme di premialità, consistenti nell'attribuzione di indici differenziati, determinati in funzione dei predetti obiettivi, per interventi di riqualificazione urbana e di recupero ambientale.

7. Nelle ipotesi di vincoli di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, in alternativa all'espropriazione, il proprietario interessato può chiedere il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell'area su altra area di sua disponibilità, la permuta dell'area con area di proprietà dell'ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l'amministrazione per la gestione di servizi.

8. Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-ftnanziarie per owiare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale.

9. Le leggi regionali disciplinano forme di perequazione intercomunale, quali modalità di compensazione e riequilibrio delle differenti opportunità riconosciute alle diverse realtà locali e degli oneri ambientali su queste gravanti

Art. 8 bis (Misure di salvaguardia)

1. Con legge regionale sono definite le misure di salvaguardia che possono essere deliberate nelle more dell'approvazione degli atti di contenuto operativo del piano urbanistico.

Art. 9 (Attività edilizia)

2. Le regioni individuano le attività di trasformazione urbanìstica ed edilizia soggette e quelle non soggette a titolo abilìtativo, le categorie di interventi e le condizioni ìn base alle quali il soggetto interessalo ha la facoltà di presentare una denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire, l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione totale o parziale dell'onerosità per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

3. Alla scadenza del termine previsto per il rilascio del permesso di costruire, l'istanza si intende favorevolmente accolta. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatoli degli abusi edilizi.

4. L'ente di pianificazione esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

5. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatoci degli abusi edilizi da parte del soggetto competente, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia

6. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civili per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento, nonché per le omissioni nell'esercizio delle funzioni di controllo

Art. 10 (Fiscalità urbanistica)

1. I trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l'attuazione del piano urbanistico ai sensi dell'articolo 8, sono in ogni caso irrilevanti agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dalla data di acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area come previsto dal piano urbanistico.

2. Le plusvalenze ed i ricavi conseguenti ai trasferimenti degli immobili o dei diritti edificatori di cui al precedente comma, in alternativa al regime ordinario, sono soggetti all'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito pari al 4 per cento del valore dichiarato in atto.

3. L'imposta sostitutiva di cui al comma 2, determinata all'atto del trasferimento dell'immobile o del diritto edificatorio finalizzato all'attuazione del piano urbanistico, è esigibile in sede di presentazione della dichiarazione successiva al presupposto impositivo. Nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da esercenti attività commerciali, l'imposta è accantonata in apposito fondo e risulta esigibile solo all'atto della successiva vendita dell'immobile o del diritto edificatorio così ottenuto.

4. Nel caso di localizzazione di attrezzature di interesse sovracomunale per la realizzazione di aree per insediamenti produttivi di beni e servizi a seguito della formazione di consorzi di Comuni, l'ICI può essere ridistribuita tra i predetti comuni, indipendentemente dalla ubicazione dell'area e in relazione alla partecipazione delle sìngole Amministrazioni comunali al consorzio.

5. Il Governo è delegato ad emanare, entro dodici mesi dell'entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a definire un regime fiscale speciale per il recupero e la riqualificazione dei centri urbani. Il regime fiscale speciale dovrà prevedere un quadro omogeneo di agevolazioni anche procedurali per tutti gli interventi di recupero di aree urbane degradate, di adeguamento antisismico degli edifici pubblici e privati, nonché di nuova edificazione o adeguamento degli edifici esistenti, secondo criteri di risparmio e di efficienza energetica e di bioedilizia.

Art. 11 (Disposizioni finali)

1. In materia di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici, di edilizia, di espropriazioni per pubblica utilità, si applicano, rispettivamente, le disposizioni di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, al DPR 6 giugno 2001, n. 380, al DPR 8 giugno 2001, n. 327, e successive modifiche.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - Com'è noto il nuovo testo dell'articolo 117 della Costituzione, assegna la materia del "governo del territorio" alla competenza concorrente tra Stato e regioni.

L'espressione usata dal legislatore del 2001 è del tutto nuova per il contesto costituzionale e politico italiano. In passato, infatti, siano stati abituati a misurarci con temi quali l'"urbanistica", l'"assetto del territorio", l'"edilizia", tali, infatti, erano le locuzioni utilizzate al fine di eliminare le competenze legislative e amministrative regionali.

Oggi, però, nel nostro ordinamento giuridico e istituzionale si pone una esigenza assolutamente non procrastinabile: quella di un intervento legislativo volto a chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata in Costituzione.

In questo senso, l'iniziativa che qui viene proposta ha un valore, senza timore d'enfasi eccessiva, di portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica n. 1150 del 1942.

Pienamente in accordo con l'evoluzione costituzionale avviata nel 2001 ed attualmente ancora in fase di attuazione e correzione, la presente proposta di legge ha l'obiettivo non solo di fissare i princìpi fondamentali della materia, ma anche di individuare il nuovo oggetto di questa competenza, definendo i soggetti, i mezzi e le procedure amministrative che guideranno le regioni nella determinazione delle norme disciplinanti l'oggetto del governo del territorio.

Altro elemento qualificante della proposta che si sottopone all'esame parlamentare è il profondo rispetto per il nuovo ruolo costituzionalmente fissato per le regioni in questo settore. Più volte si è assistito ad una legislazione statale di "ritaglio" delle competenze regionali, finalizzata a differenziare le discipline al solo fine di mantenere allo Stato centrale un ruolo di gestione e di dettaglio, non più coerente con il sistema costituzionale ed, altresì, foriero di duplicazioni e complicazioni burocratiche sempre crescenti.

Centrale, viceversa, dev'essere il ruolo dello Stato nel fissare i valori unificanti e gli elementi strutturali del sistema di azione e governo territoriale.

La scelta del progetto di legge è, dunque, chiaramente quella della legislazione statale di principio, aperta all'apporto ed alla integrazione normativa delle regioni. In questa direzione, essendo consapevoli delle interferenze tra materie concorrenti - quali il governo del territorio - e materie esclusive statali - quali ad esempio la tutela ambientale e degli ecosistemi - si è scelto di concepire unitariamente la regolazione attuativa, assegnando la potestà regolamentare in materia ambientale (che lo Stato avrebbe potuto riservare a sé) alle regioni, a completamento della devoluzione normativa di governo del territorio.

In tal senso, questa proposta di definizione dei princìpi e delle linee essenziali di assetto delle competenze legislative regionali e statali sul governo del territorio, muove da, e allo stesso tempo promuove, una rivoluzione culturale circa il rapporto tra autorità pubblica e territorio, fondato non più su visioni dirigistiche e "statocentriche" dell'azione pubblica ma su una vera e propria sussidiarietà territoriale.

In particolare, il progetto di legge che si propone all'approvazione prevede, nei singoli articoli, quanto segue.

Articolo 1.

La proposta di legge, in primo luogo, definisce il concetto di governo del territorio. Con l'espressione "governo del territorio", usato per la prima volta nella Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, si è voluto individuare una materia caratterizzata, come altre, da un forte grado di complessità: in essa rientra la regolamentazione dell'aspetto morfologico del territorio e la disciplina delle interazioni tra questo e gli interessi economico-sociali espressi dalla società civile.

Si tratta, quindi, di un insieme complesso di ambiti tra cui rientrano, volendo esemplificare, tanto lo statuto della proprietà immobiliare, quanto il riordino del sistema della fiscalità territoriale, tanto l'espropriazione, quanto i vincoli ricognitivi o quelli a contenuto sostanzialmente espropriativo, tanto i rimedi alle sovrapposizioni tra pianificazione ambientale e urbanistica, quanto l'integrazione delle varie politiche riguardanti il territorio, tanto il coordinamento tra disciplina urbanistica e lavori pubblici, quanto, infine, il rapporto tra servizi pubblici e territorio di riferimento.

Come in precedenza sottolineato, alla regione viene delegata la potestà regolamentare in materia di beni culturali e di tutela dell'ambiente.

La ragione di tale attribuzione è, evidentemente, quella di assicurare una unitarietà normativa, sul piano attuativo, essenziale per la reale efficacia operativa, e per rendere omogenea la disciplina globale del territorio.

Infine, l'appartenenza del nostro territorio nazionale a quello che si definisce lo "spazio comune europeo", oggetto di politiche e di azioni via via sempre più incisive da parte della Unione europea, impone di individuare un nuovo modo di governare l'assetto del territorio e l'uso del suolo, un tempo basato sulla netta ripartizione di poteri e competenze in materia di assetto del territorio - prevalentemente imputati allo Stato - e quello sull'uso del suolo - prevalentemente imputati agli enti territoriali e locali.

Il moderno processo di urbanizzazione ha fatto divenire irrilevante questa distinzione. Il rapporto tra assetto ed uso, un tempo evidente gerarchicamente definito e come tale governabile con attribuzioni di poteri e competenze nettamente ripartite anche per quanto riguardava la pianificazione del territorio e la programmazione degli interventi, oggi lo è molto meno.

Da qui anche le necessità di individuare una serie di politiche nelle quali appunto quella del territorio si sotanzia. Innanzitutto quella rivolta all'Unione europea per la costruzione della politica territoriale comune, ossia di un territorio federatore di Stati.

Quindi la politica di declinazione verso il locale di tale politica, che in questo caso è rappresentato dal territorio dello Stato. Da realizzare in forma coordinata oggetto di esplicita contrattazione con gli altri soggetti istituzionali.

Articolo 2.

La proposta di legge regola le modalità di esercizio delle funzioni amministrative di competenza statale, fissando il criterio che in materia di governo del territorio, è essenziale un'azione congiunta Stato-regioni, da attuare in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.

Ciò al fine di assicurare unitarietà ed efficacia all'azione amministrativa, spesso resa frammentaria ed improduttiva da contrasti istituzionali.

Inoltre la concertazione preventiva dell'attività di amministrazione costituisce sperimentando metodo di efficacia operativa.

Articolo 3.

La norma, regola, principalmente il rapporto tra pubblico e privato.

All'amministrazione, in tutti i suoi livelli, compete la definizione delle scelte fondamentali, degli obiettivi e dei mezzi per conseguirli; all'operatore privato la cooperazione nelle scelte attuative, in un logica di reciproca responsabilità, avendo ambedue come riferimento il cittadino e la persona, come utente del territorio e della città, che esprime esigenze da soddisfare in termini di vivibilità.

La pianificazione, quindi, deve delineare obiettivi da consesguire cui corrispondono progetti attuativi da confrontare in termini di bilancio socio-economico.

Si deve inoltre cominciare a parlare di negoziazione delle politiche territoriali tra Stato e regioni: ad esempio, gli aspetti localizzativi delle grandi infrastrutture devono essere una conseguenza dell'accordo raggiunto e non la premessa sulla quale scontrarsi.

Infine è di fondamentale importanza la previsione, del tutto innovativa, che l'attività amministrativa dovrà svolgersi, prioritariamente, secondo un modello negoziale anziché, come da secolare tradizione, secondo il consolidato schema autoritativo.

Articolo 4.

L'articolo 4 affaccia il principio dell'unitarietà del livello di pianificazione, secondo un criterio che, per chiarezza e sia pur in modo approssimativo, può essere così esplicitato: un territorio, una autorità, un piano.

E' di tutta evidenza l'importanza e la novità di siffatta previsione. Ovunque, ormai, sul medesimo territorio si sovrappongono piani diversi aventi frequentemente disposizioni incompatibili fra loro (piani urbanistici, piani paesistici, piani di bacino, piani dei parchi e così via). Una babele normativa che oggi genera conflittualità, incertezza applicativa, defatigante contenzioso, in una parola paralisi operativa.

Prevedere dunque che la disciplina degli interventi sul territorio debba trovar sede in un unico piano significa introdurre un profonda modificazione nel nostro sistema normativo dalla quale derivano rilevanti conseguenze.

Affinché, infatti, ciò sia possibile occorre procedere alla individuazione dell'ambito ottimale di pianificazione, non necessariamente coincidente con quello comunale e variabile a seconda delle caratteristiche naturali e socio-economiche dei luoghi, nonché delle esigenze di infrastrutture e servizi il più delle volte trascendenti lo stretto ambito comunale. Occorre poi individuare anche l'autorità cui attribuire il potere di effettuare tale rilevantissima scelta. Autorità alla quale, di conseguenza, competerà anche la determinazione del soggetto titolare del potere di pianificazione urbanistica. Si tratterà della figura soggettiva, fra quelle istituzionalmente presenti sul territorio (comuni, province, città metropolitane, consorzi di gestione, comunità montane ed altre forme associative) che verrà ritenuta maggiormente idonea ad assicurare l'obiettivo di tale unitarietà di pianificazione in relazione, ovviamente, ai criteri secondo i quali è stato determinato l'ambito ottimale di pianificazione stessa.

Secondo le previsioni dell'articolo 4 spetta alle regioni individuare sia l'ambito ottimale di pianificazione sia l'ente competente alla pianificazione territoriale. In attesa delle determinazioni regionali, la proposta di legge individua nel comune tale ente. Il piano urbanistico è redatto nel rispetto delle direttive nazionali e regionali ed è comprensivo di ogni altra previsione di contenuto territoriale, ponendosi come unico strumento di pianificazione del territorio di competenza. Tale caratteristica obbedisce ad una sentitissima esigenza di semplicità e chiarezza, per superare la tradizionale stratificazione dei piani urbanistici che è sicura fonte di incertezza, di paralisi operativa se non anche di abuso. Tale onnicomprensività richiede il raccordo con tutti gli strumenti di pianificazione incidenti su un dato territorio, in specie con quelli di natura settoriale assai numerosi e vari. A tal fine la proposta di legge attribuisce al piano urbanistico il potere di ricomprendere e coordinare le previsioni settoriali introducendo le necessarie modificazioni di adeguamento affinché tale recepimento sia coerente con le scelte di pianificazione locale, ed abbia effettività unificante. E' dunque in tal modo inequivocabilmente affermata la centralità e la unitarietà del piano urbanistico, caratteristiche che sole giustificano l'eventuale sacrificio della tradizionale competenza pianificatoria dei comuni. La proposta di legge, pur lasciando ovviamente alle regioni ampio spazio dispositivo in ordine alla strutturazione del piano urbanistico, ne delinea una generalissima articolazione in un documento di scelte strategiche ed in altro regolatore degli usi del suolo. E ciò in coerenza con i più recenti ed apprezzati sviluppi dell'elaborazione scientifica in materia. A ragione di assicurare uniformità dispositiva, almeno per le aree non urbanizzate, risponde l'obbligo di una loro suddivisione fra quelle destinate all'agricoltura, quelle di pregio ambientale e quelle destinate ad utilizzazioni ulteriori rispetto a quanto previsto dal piano urbanistico in atto. Una suddivisione, di certo non esaustiva di tutte quelle possibili, ma fondamentale per garantire, in particolare, rilevanza e tutela alle aree ad utilizzazione agricola ed a quelle ritenute, a vario titolo dal piano urbanistico stesso, come meritevoli di tutela e valorizzazione ambientali.

Articolo 5.

La disciplina delle dotazioni per servizi pubblici ha ricevuto, in anni recenti, copiosissima regolamentazione nelle varie legislazioni regionali, al punto che è parso opportuno limitare l'intervento del legislatore statale alla fissazione di essenziali princìpi, in parte già presenti in alcune disposizioni regionali e già oggetto di esperienze applicative locali.

In primo luogo si afferma il criterio della non necessaria "realità" delle dotazioni per servizi pubblici o di interesse pubblico, potendo le stesse dotazioni trovar traduzione, oltre che nelle tradizionali forme di fruizione di aree ed edifici anche, ad esempio, in servizi resi alla collettività, in base ad atto convenzionale, o in altra forma di prestazione idonea d assicurare il soddisfacimento di un pubblico bisogno.

Altro principio posto è quello del requisito necessario dell'accessibilità e della fruibilità delle dotazioni territoriali e, in ossequio al principio di sussidiarietà, di incentivazione dell'iniziativa dei soggetti interessati, privati e loro forme associative, affinché la individuazione di dette dotazioni nasca da un reale confronto tra soggetti pubblici e privati, questi ultimi valorizzati per gli aspetti propositivi e gestionali.

Infine l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 179 del 1999) ha trovato traduzione nella previsione della durata quinquennale dei cosiddetti vincoli non ricognitivi.

Articolo 6.

La regolamentazione del procedimento di formazione ed approvazione del piano urbanistico è certamente questione di pretta rilevanza regionale. Ne consegue che alla legge di principio compete unicamente la affermazione dei consueti e necessari criteri di partecipazione e di pubblicità, nonché la fissazione e disciplina dei casi di sottoposizione del piano a valutazione di compatibilità da parte di altro ente. Si tratta, quest'ultima, di disposizione che assume particolare rilevanza in quanto esclude ogni forma di approvazione del piano urbanistico da parte di ente diverso da quello cui compete l'approvazione stessa, e che inoltre circoscrive ogni successiva valutazione alla compatibilità del piano urbanistico con altri atti di pianificazione e programmazione escludendo ad esempio ogni riscontro di conformità.

Particolare rilievo è, poi, dato agli atti di programmazione negoziata la cui utilizzazione è via via cresciuta nel tempo come strumenti idonei a collegare, con la necessaria flessibilità, le esigenze delle istituzioni pubbliche con quelle degli operatori privati. A tali atti è riconosciuto un ruolo essenziale nell'attuazione delle scelte strategiche di intervento contenute nel documento programmatico del piano urbanistico.

All'esigenza di evitare vuoti normativi risponde, da ultimo, la previsione dell'obbligatorietà di ripianificazione, in tempi certi, a seguito del venir meno, anche per intervento giurisdizionale, di una previsione urbanistica.

Articolo 7.

Le disposizioni sulla perequazione e compensazione costituiscono la trascrizione normativa dei princìpi fondamentali in tema di regime o statuto della proprietà.

Da decenni si dibatte in merito al problema del contenuto minimo della proprietà in termini di diritto all'edificazione e di indennizzibilità dei vincoli e della loro attualizzazione.

Alla base vi è la finalità di rendere omogeneo il sistema delle prescrizioni urbanistiche relative all'edificabilità privata e dall'acquisizione di aree per il soddisfacimento dei servizi ed infrastrutture funzionali agli insediamenti urbani, evitando perciò situazioni di privilegio e di penalizzazione.

Si intende anche ridurre tendenzialmente il ricorso all'istituto dell'esproprio, fonte di contenziosi giudiziari e di aggravi finanziari per le amministrazioni.

Per conseguire tali finalità, si invitano le regioni ad introdurre nel loro ordinamento normativo i princìpi della perequazione, da utilizzare nella fase di programmazione delle scelte urbanistiche di carattere generale, e della compensazione, cui far ricorso nella fase della gestione urbanistica.

Ne discende che in ambiti omogenei i proprietari hanno gli stessi diritti e doveri in relazione ai diritti edificatori e agli obblighi di soddisfacimento di dotazioni urbanizzative, proprio in una logica di equa distribuzione in ossequi ai princìpi enunciati negli articoli 3 e 42 della Costituzione.

Nel contempo i titolari di aree non ricomprese negli ambiti ed incise da vincoli esporpriativi, potranno, ove l'amministrazione non intenda far ricorso comunque all'esproprio, permutare il proprio bene con uno pubblico, trasferire i diritti edificatori su un'area edificabile ovvero realizzare, previo convenzionamento per la gestione, l'opera privata di interesse generale che soddisfi l'esigenza del servizio individuato dal piano.

Al fine di attivare tali forme di compensazione, le amministrazioni potranno precostituirsi un patrimonio di aree da destinare alla permuta mediante acquisizione finalizzata delle stesse nell'ambito dei piani attuativi.

Le regioni potranno altresì destinare finanziamenti a favore dei territori nei quali ricadono vincoli che limitano lo sviluppo economico, proprio in una logica di compensazione territoriale.

Il ricorso a forme compensative sarà attivabile anche per la valorizzazione ambientale ovvero per la rilocalizzazione di funzioni urbane.

Potranno essere altresì individuati bonus o premialità per gli interventi di riqualificazione urbana a fronte del conseguimento di maggiori utilità anche in termini di servizi aggiuntivi, di qualità urbanistica ed ambientale nonché di edilizia sociale.

Articolo 8.

All'attribuzione della potestà di pianificazione dell'ambito di competenza dell'ente istituzionalmente preposto, è strettamente correlato l'obbligo per lo stesso di esercitare la vigilanza ed il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie realizzate sul proprio territorio, per poter reprimere tempestivamente le forme di illegalità, distinguendo tra abusi formali e sostanziali.

Al fine da rendere efficace e tempestiva tale attività di repressione, le regioni dovranno codificare gli opportuni interventi sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti al dovere di adozione dei provvedimenti cautelari e sostanziali.

In tema di titoli abilitativi, una volta chiarito, nelle disposizioni finali, che è inderogabile la disciplina sanzionatoria penale e civile statale e che la stessa non è ricollegata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla fattispecie di intervento da realizzare ed alla sua incidenza in termini di carico urbanistico, viene totalmente rimessa alla regione la determinazione dell'obbligo o meno dell'acquisizione del titolo abilitativo, dell'alternatività tra permesso di costruire e denuncia di inizio attività, nonché della spettanza o meno del contributo di edificazione.

Il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo abilitativo viene connotato dalla previsione di un termine perentorio alla cui scadenza l'istanza si intende accolta. In tal modo è assicurata così la certezza dei tempi per l'inizio dei lavori, in analogia con quanto disposto per la denuncia di inizio attività che acquista piena efficacia dopo il decorso del termine per l'espletamento del controllo da una parte dell'amministrazione.

Articolo 9.

Infine occorre risolvere la pregiudiziale fiscale che rallenta o impedisce i processi di attuazione di nuovi piani di gestione urbanistica, rendendo neutrali sotto il profilo fiscale i trasferimenti intermedi. A tal fine gli scambi di aree e fabbricati interessati all'intervento vengono detassati sia se realizzati da soggetti privati che da esercenti attività commerciale.

In particolare, per quanto attiene le imposte sull'acquisto è previsto che i trasferimenti di immobili e diritti edificatori sono in ogni caso soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dall'acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area.

Per quanto attiene alle imposte sulle plusvalenze, in alternativa al regime ordinario è prevista l'opzione per un regime a tassazione "separato" mediante l'applicazione di una imposta sostitutiva del 4 per cento da applicare sul valore dell'immobile determinato a seguito di una perizia, così come previsto dall'articolo 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002). In tale ambito, è previsto che nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da persone fisiche, l'imposta sia dovuta in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, mentre qualora la stessa sia conseguita da esercenti attività di impresa, la stessa è accantonata in un apposito fondo e risulterà esigibile solo all'atto del trasferimento dell'immobile realizzato (o del diritto edificatorio così ottenuto) in attuazione del piano urbanistico.

Articolo 10.

La disposizione di chiusura richiama gli altri princìpi generali complementari alla materia del governo del territorio e contenuti nelle leggi in materia di edilizia, con le specificazioni sopra evidenziate, espropriazione, difesa del suolo e tutela dei beni culturali ed ambientali in ossequio a quanto disposto dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.


In alto Û

Testo

Art. 1. (Governo del territorio).

1. In attuazione dell'articolo 117 della Costituzione, la presente legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio.

2. Il governo del territorio consiste nella disciplina degli usi del suolo e della mobilità, nel rispetto della tutela del suolo, dell'ambiente e dei beni culturali e ambientali.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, alle quali è delegata la potestà regolamentare sulla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione.

4. Le potestà dello Stato sono esercitate attraverso la predisposizione di politiche generali e di settore inerenti lo sviluppo economico-sociale, il territorio e l'ambiente.

5. Per l'attuazione delle politiche di cui al comma 4, lo Stato adotta strumenti di indirizzo e di intervento e coordina la sua azione con quella dell'Unione europea e delle regioni.

Art. 2. Funzioni amministrative dello Stato).

1. Le funzioni amministrative concernenti l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale, coerenti con le scelte di sostenibilità economica, e la fissazione dei criteri per la tutela dei beni culturali e ambientali, per la conservazione dell'ambiente, per la difesa del suolo e per l'equilibrio degli ecosistemi, nonché le funzioni amministrative relative all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, sono esercitate dallo Stato d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Art. 3. (Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione).

1. La ripartizione delle attribuzioni e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali e i rapporti tra questi e i soggetti interessati si svolgono secondo i criteri della autonomia, della responsabilità e della tutela dell'affidamento.

2. I soggetti istituzionali cooperano alla definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, sentiti i soggetti interessati.

3. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l'adozione di atti paritetici in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti istituzionali e fra questi e i soggetti interessati, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

4. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l'esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l'attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni ambientali, nonché alle infrastrutture.

Art. 4. Programmazione e pianificazione del territorio).

1. Le regioni individuano gli ambiti territoriali da pianificare e l'ente competente alla pianificazione, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell'ambito da pianificare.

2. L'ente preposto alla pianificazione è il soggetto primario della disciplina e del controllo dell'uso del territorio. Gli atti di governo del territorio assicurano la disciplina della totalità del territorio, il rispetto dei caratteri storici, culturali e sociali, l'integrazione delle funzioni, la riqualificazione urbana e l'equilibrio fra aree urbanizzate e non urbanizzate. Tali atti sono predisposti in conformità agli atti di programmazione economica e di pianificazione sovraordinati, nonché alle intese e agli accordi intervenuti.

3. Nell'ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree effettivamente destinate all'agricoltura, aree di pregio ambientale e aree per ulteriori utilizzazioni.

4. Il piano urbanistico è l'unico strumento di disciplina della totalità del territorio e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione di settore concernente il territorio.

5. Il piano urbanistico è articolato in un documento programmatico delle scelte strutturali e strategiche, e in un documento regolatore degli usi del suolo di interesse collettivo e dei diritti d'uso del suolo esistenti nonché in proposte di trasformazioni urbane attuative dello stesso documento programmatico.

6. Fino alla individuazione degli ambiti territoriali da pianificare, e salva diversa disposizione legislativa regionale, l'ente competente alla pianificazione è il comune.

Art. 5. (Dotazioni territoriali).

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche non connessi ad aree e ad immobili.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l'iniziativa dei soggetti interessati.

3. La previsione del piano urbanistico che abbia contenuti di inedificabilità o di destinazione pubblica decade se non attuata entro cinque anni, salvo che non si tratti di vincoli e destinazioni che il piano deve recepire.

Art. 6. (Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).

1. Nel procedimento di formazione del piano urbanistico sono assicurate adeguate forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali.

2. In sede di approvazione del piano urbanistico sono valutate le osservazioni dei soggetti interessati, e su di esse sono prese, previa motivazione, le relative decisioni.

3. L'ente di pianificazione può concludere accordi con i soggetti interessati per recepire nel piano urbanistico proposte di interventi, in attuazione degli obiettivi strategici indicati nel documento programmatico. L'accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione del piano urbanistico che lo recepisce.

4. Le regioni stabiliscono altresì le modalità del procedimento di formazione e di approvazione del piano e delle sue varianti, fissano i termini perentori per la pubblicità e la consultazione, i casi in cui il piano è da sottoporre a verifica di compatibilità, individuando il soggetto pubblico delegato alla funzione e stabilendone le relative modalità, nonchè determinano analoghi tempi perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

Art. 7. (Attuazione del piano urbanistico).

1. L'attuazione delle previsioni del piano urbanistico avviene con piano attuativo o con intervento diretto. Le regioni ne individuano presupposti e modalità. L'attuazione è subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. L'attuazione e la gestione del piano urbanistico possono avvenire attraverso strumenti e modalità di perequazione e di compensazione.

3. La perequazione è realizzata con l'attribuzione di diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica.

4. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in percentuale del complessivo valore della proprietà di ciascun proprietario, e sono liberamente commerciabili.

5. Nelle ipotesi di vincoli di inedificabilità o di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, il proprietario interessato può scegliere fra la cessione dell'area all'ente di pianificazione a un prezzo corrispondente al valore venale dell'area prima del vincolo, il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell'area prima del vincolo su altra area di sua disponibilità, la permuta dell'area con area di proprietà dell'ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l'amministrazione per la gestione di servizi.

6. Le regioni assicurano agli enti di pianificazione le adeguate coperture economiche-finanziarie per la realizzazione di aree comunali, per le permute e per ovviare eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio.

Art. 8. (Attività edilizia).

1. L'ente di pianificazione esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

2. Le regioni individuano le attività di trasformazione urbanistica ed edilizia soggette e le attività non soggette a titolo abilitativo, le categorie di interventi e le condizioni in base alle quali il soggetto interessato ha la facoltà di presentare una denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire, l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione totale o parziale dell'onerosità per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

3. Alla scadenza del termine previsto per il rilascio del permesso di costruire, l'istanza si intende favorevolmente accolta.

4. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi, salvo quanto previsto dall'articolo 9.

Art. 9. (Fiscalità urbanistica).

1. I trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l'attuazione del piano urbanistico di cui all'articolo 7, sono in ogni caso irrilevanti agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dalla data di acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area come previsto dal piano urbanistico.

2. Agli effetti delle imposte sul reddito, in alternativa al regime ordinario, le plusvalenze derivanti dai trasferimenti degli immobili e dei diritti edificatori finalizzati all'attuazione del piano urbanistico sono soggette all'imposta sostitutiva delle imposte sul reddito pari al 4 per cento del valore di perizia risultante da stime effettuate ai sensi dell'articolo 64 del codice di procedura civile.

3. L'imposta sostitutiva di cui al comma 2, determinata all'atto del trasferimento dell'immobile o del diritto edificatorio finalizzato all'attuazione del piano urbanistico, è esigibile in sede di presentazione della dichiarazione successiva al presupposto impositivo. Nell'ipotesi in cui la pusvalenza è realizzata da esercenti attività commerciali l'imposta è accantonata in apposito fondo e risulta esigibile solo all'atto della successiva vendita dell'area o del diritto edificatorio così ottenuto.

Art. 10. (Disposizioni finali).

1. Per quanto espressamente non previsto dalla presente legge, si applicano i princìpi generali stabiliti dalla normativa vigente in materia di edilizia, con particolare riferimento alla disciplina penale e civile dell'abuso edilizio, dell'espropriazione per pubblico interesse, della difesa del suolo e della tutela dei beni culturali e ambientali.

Eddytoriale del 20 maggio 2003

ART. 1.

(Governo del territorio)

1. In attuazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la presente legge stabilisce i princìpi fondamentali in materia di governo del territorio. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dai rispettivi statuti e norme di attuazione, anche con riferimento alle disposizioni del Titolo V, parte seconda, della Costituzione, per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. Sono fatte altresì salve le disposizioni del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio.

2. Il governo del territorio consiste nell'insieme delle attività conoscitive, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità. Il governo del territorio comprende altresì l'urbanistica, la localizzazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche, l'edilizia, la difesa del suolo, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati con le medesime materie, con esclusione della tutela dei beni culturali e del paesaggio.

Le politiche di governo del territorio sono improntate agli obiettivi della sostenibilità ambientale, con riferimento:

a) alla gestione del ciclo delle acque, quindi alla presenza di fabbisogni minimi, al contenimento dei consumi e alla completa depurazione;

b) alla limitazione del consumo di territorio;

c) alla gestione efficiente del ciclo energetico, alla riduzione dei consumi, alla promozione delle fonti energetiche rinnovabili.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, ad esclusione degli aspetti direttamente incidenti sull'ordinamento civile e penale, sulla tutela dei beni culturali e del paesaggio, sulla tutela della concorrenza nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

ART. 2.

(Compiti e funzioni dello Stato)

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso politiche generali e di settore inerenti la tutela e la valorizzazione dell'ambiente, l'assetto del territorio, la promozione dello sviluppo economico-sociale.

2. Per l'attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta strumenti di indirizzo e di intervento d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, e coordina la sua azione con quella dell'Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale in ordine all'articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, in armonia con le politiche definite a livello comunitario, nazionale e regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica e ambientale, nonché la fissazione dei criteri per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, e per la difesa del suolo.

3-bis. Sono altresì esercitate dallo Stato le funzioni relative al governo del territorio, in ordine alle esigenze di tutela delle competenze istituzionali delle Forze armate e delle Forze di polizia per l'espletamento delle attività operative ed infrastrutturali per la difesa nazionale e per la gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché delle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione allo svolgimento delle attività di difesa civile e delle competenze per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, da definire con il metodo della cooperazione, mediante intese, accordi procedimentali e comitati paritetici per la concertazione in materia di territorio fra i diversi soggetti istituzionali.

ART. 3.

(Interventi speciali dello Stato)

1. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale economico e sociale, di promuovere l'abbandono di insediamenti esposti al rischio di calamità naturali o di dissesto idrogeologico e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati, di superare situazioni di degrado ambientale e urbano, lo Stato predispone programmi di intervento in determinati ambiti territoriali con l'obiettivo di promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

2. I programmi e gli interventi speciali, di cui al comma 1, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata.

ART. 4.

(Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione)

1. I principi di sussidiarietà, della differenziazione e dell'adeguatezza ispirano la ripartizione delle attribuzioni e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali e i rapporti tra questi e i soggetti interessati, secondo i criteri della autonomia, della responsabilità e della tutela dell'affidamento.

2. I soggetti istituzionali cooperano alla definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, anche mediante intese e accordi procedimentali e l'istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell'unità della pianificazione, la semplificazione delle procedure e la riduzione dei tempi. Nella definizione degli accordi di programma e degli atti equiparabili comunque denominati, sono stabilite le responsabilità, le sanzioni e le relative modalità di attuazione in caso di inadempimento degli impegni assunti dai soggetti pubblici.

2-bis. Ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, le Regioni raggiungono intese con le Regioni limitrofe, ai sensi dell'articolo 117, comma 8 della Costituzione.

3. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l'adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti istituzionali e fra questi e i soggetti interessati, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

4. Le regioni disciplinano modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e delle informazioni cartografiche finalizzate alla realizzazione di un quadro del territorio unitario e condiviso ed assicurano le risorse necessarie. Lo Stato definisce, d'intesa con le regioni e le province, criteri omogenei per le cartografie tecniche di dettaglio di base o per la pianificazione del territorio.

5. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l'attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

6. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l'esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l'attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni ambientali, nonché alle infrastrutture.

ART. 5.

(Programmazione e pianificazione del territorio)

1. Il comune è l'ente preposto alla pianificazione urbanistica ed è il soggetto primario delle funzioni di governo del territorio.

2. Le regioni, nel rispetto delle competenze e funzioni delle province, individuano gli ambiti territoriali e i contenuti della pianificazione del territorio, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell'ambito da pianificare, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale e al fine di soddisfare le nuove esigenze di sviluppo urbano, privilegiando il recupero e la riqualificazione dei territori già urbanizzati. In considerazione della specificità di determinati ambiti territoriali ed in attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà e adeguatezza, le regioni promuovono forme di cooperazione fra enti territoriali finalizzate alla loro pianificazione ed alla programmazione e gestione integrate dei servizi. Favoriscono altresì l'aggregazione dei comuni e la pianificazione intercomunale. I piani relativi a tali ambiti non possono avere, con esclusione delle sole materie preordinate, un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali.

3. Il piano urbanistico è lo strumento di disciplina complessiva del territorio comunale e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione o piano settoriale o di area vasta concernente il territorio.

4. Nell'ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all'agricoltura, aree di pregio ambientale e aree extraurbane a destinazione non agricola di riserva urbanistica.

5. Nelle aree destinate all'agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l'agricoltura, l'agriturismo e l'ambiente. Nelle aree di riserva urbanistica la nuova edificazione è consentita solo se finalizzata al soddisfacimento delle esigenze del fabbisogno di edilizia sociale o qualora non esistano alternative alla riorganizzazione funzionale della edificazione esistente previa valutazione di compatibilità ambientale. Nella formazione del piano urbanistico priorità va riservata al recupero, alla ristrutturazione, all'adeguamento del patrimonio immobiliare esistente, anche attraverso adeguati incentivi fiscali.

6. La pianificazione urbanistica si attua attraverso modalità strutturali e operative. Il piano strutturale non ha efficacia conformativa della proprietà. Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione.

ART. 6.

(Dotazioni territoriali).

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche attraverso la prestazione concreta del servizio non connessa ad aree e ad immobili. L'entità dell'offerta di servizi è misurata in base a criteri prestazionali, con l'obiettivo di garantirne comunque un livello minimo anche con il concorso dei soggetti privati. Le regioni determinano i criteri di dimensionamento per i servizi che implicano l'esigenza di aree e relative attrezzature.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l'iniziativa dei soggetti interessati.

3. La previsione del piano urbanistico che abbia contenuti di inedificabilità o di destinazione pubblica per la realizzazione di opere e infrastrutture pubbliche, decade se non attuata entro cinque anni, salvo che non si tratti di vincoli e destinazioni che il piano deve recepire. Il vincolo preordinato all'espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico può essere motivatamente reiterato per una sola volta. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari ad un terzo dell'ammontare dell'indennità di esproprio dell'immobile, da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo.

ART. 7.

(Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).

1. Nel procedimento di formazione del piano urbanistico sono assicurate adeguate forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali.

2. Nell'ambito della formazione degli strumenti urbanistici, deve essere garantita la partecipazione al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo ed adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l'indicazione delle motivazioni in merito all'accoglimento o al rigetto delle stesse. Nell'attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all'esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l'amministrazione procedente. I soggetti responsabili degli strumenti di piano hanno obbligo di esplicita ed adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle proposte presentate nell'ambito del procedimento ed ai princìpi di cui alla presente legge.

3. Le regioni stabiliscono altresì le modalità del procedimento di formazione e di approvazione del piano urbanistico e delle sue varianti, fissano i termini perentori per la pubblicità e la consultazione, i casi in cui il piano è da sottoporre a verifica di compatibilità con gli strumenti di programmazione economica e con ogni disposizione o piano settoriale o di area vasta concernente il territorio, individuando il soggetto pubblico delegato alla funzione e stabilendone le relative modalità, nonché determinano analoghi termini perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

4. Con l'adozione dei piani urbanistici gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni ai piani settoriali o di area vasta, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione. L'atto di approvazione del piano urbanistico contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano settoriale o di area vasta, qualora sulle modifiche sia acquisita l'intesa dell'ente titolare del piano modificato.

5. L'ente di pianificazione urbanistica può concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto dei principi di imparzialità amministrativa, trasparenza, di concorrenzialità di pubblicità e di partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati all'intervento, per la formazione degli atti di pianificazione anche attraverso procedure di confronto concorrenziale al fine di recepire proposte di interventi coerenti con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione.

5-bis. L'ente di pianificazione urbanistica promuove l'adozione di strumenti attuativi che favoriscono il recupero delle dotazioni territoriali di cui all'articolo 6, anche attraverso piani convenzionati stipulati con soggetti privati e accordi di programma.

ART. 8.

(Attuazione del piano urbanistico).

1. Le disposizioni del piano urbanistico sono attuate con piano operativo o con intervento diretto, sulla base di progetti compatibili con gli obiettivi definiti nel piano strutturale. Le modalità di attuazione del piano strutturale sono definite dalla legge regionale. L'attuazione è comunque subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. Le previsioni della pianificazione urbanistica possono essere attuate anche sulla base dei criteri di perequazione e compensazione i cui parametri devono essere fissati nei piani strutturali.

3. La perequazione è realizzata con l'attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricomprese negli ambiti territoriali oggetto di trasformazione urbanistica.

4. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d'uso e in percentuale del complessivo valore della proprietà di ciascun proprietario, e sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali omogenei.

5. Al fine di mantenere il limite massimo complessivo di edificazione dei predetti ambiti omogenei è possibile individuare alcune aree da dotare di indici di edificabilità incrementabili.

6. A fronte di benefici pubblici aggiuntivi rispetto a quelli dovuti e comunque coerenti con gli obiettivi fissati nel piano urbanistico nel medesimo possono essere previste forme di premialità, consistenti nell'attribuzione di indici differenziati, determinati in funzione dei predetti obiettivi, per interventi di riqualificazione urbana e di recupero ambientale.

7. Nelle ipotesi di vincoli di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, in alternativa all'espropriazione, il proprietario interessato può chiedere il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell'area su altra area di sua disponibilità, la permuta dell'area con area di proprietà dell'ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l'amministrazione per la gestione di servizi.

8. Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-finanziarie per ovviare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale.

9. Le leggi regionali disciplinano forme di perequazione intercomunale, quali modalità di compensazione e riequilibrio delle differenti opportunità riconosciute alle diverse realtà locali e degli oneri ambientali su queste gravanti.

ART. 9.

(Misure di salvaguardia).

1. Con legge regionale sono definite le misure di salvaguardia che devono essere deliberate nelle more dell'approvazione degli atti di contenuto operativo del piano urbanistico.

ART. 10.

(Attività edilizia).

1. Le regioni individuano le attività di trasformazione urbanistica ed edilizia soggette e quelle non soggette a titolo abilitativo, le categorie di interventi e le condizioni in base alle quali il soggetto interessato ha la facoltà di presentare una denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire, l'onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione totale o parziale dell'onerosità per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

2. Alla scadenza del termine previsto per il rilascio del permesso di costruire, l'istanza si intende favorevolmente accolta. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi.

3. L'ente di pianificazione esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

4. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi in caso di mancata o di ritardata adozione dei provvedimenti repressivi e sanzionatori degli abusi edilizi da parte del soggetto competente, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia.

5. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civili per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento, nonché per le omissioni nell'esercizio delle funzioni di controllo.

ART. 11.

(Fiscalità urbanistica).

1. I trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l'attuazione del piano urbanistico ai sensi dell'articolo 8, sono in ogni caso irrilevanti agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto e sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dalla data di acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area come previsto dal piano urbanistico.

2. Le plusvalenze ed i ricavi conseguenti ai trasferimenti degli immobili o dei diritti edificatori di cui al precedente comma, in alternativa al regime ordinario, sono soggetti all'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito pari al 4 per cento del valore dichiarato in atto.

3. L'imposta sostitutiva di cui al comma 2, determinata all'atto del trasferimento dell'immobile o del diritto edificatorio finalizzato all'attuazione del piano urbanistico, è esigibile in sede di presentazione della dichiarazione successiva al presupposto impositivo. Nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da esercenti attività commerciali, l'imposta è accantonata in apposito fondo e risulta esigibile solo all'atto della successiva vendita dell'immobile o del diritto edificatorio così ottenuto.

4. Nel caso di localizzazione di attrezzature di interesse sovracomunale per la realizzazione di aree per insediamenti produttivi di beni e servizi a seguito della formazione di consorzi di Comuni, l'ICI può essere ridistribuita tra i predetti comuni, indipendentemente dalla ubicazione dell'area e in relazione alla partecipazione delle singole Amministrazioni comunali al consorzio.

5. II Governo è delegato ad emanare, entro dodici mesi dell'entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a definire un regime fiscale speciale per il recupero e la riqualificazione dei centri urbani. Il regime fiscale speciale dovrà prevedere un quadro omogeneo di agevolazioni anche procedurali per tutti gli interventi di recupero di aree urbane degradate, di adeguamento antisismico degli edifici pubblici e privati, nonché di nuova edificazione o adeguamento degli edifici esistenti, secondo criteri di risparmio e di efficienza energetica e di bioedilizia.

mese di febbraio, la Camera dei deputati potrebbe approvare la nuova legge urbanistica. Una proposta micidiale, che porta il nome di Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, negli anni passati assessore del comune di Milano e ispiratore dell’urbanistica contrattata di rito ambrosiano. A Milano non valgono più le antiche regole. Non è il piano regolatore che comanda le scelte edilizie. È vero il contrario, sono i progetti, una volta approvati, a determinare il piano regolatore. Che diventa così una specie di catasto dove si registrano le trasformazioni decise a scala edilizia. È la medesima impostazione della proposta di legge in discussione alla Camera. L’urbanistica non è più competenza esclusiva del potere pubblico, ma dipende dagli “atti negoziali” e dagli accordi fra i soggetti istituzionali e i “soggetti interessati”, che certamente non sono la pluralità dei cittadini ma solo i detentori della proprietà immobiliare.

Un’altra novità riguarda il campo di applicazione dei piani regolatori che non coprono più l’intero territorio comunale, com’è sempre stato dal dopoguerra, ma spetta alle regioni di individuare gli ambiti territoriali e i contenuti della pianificazione. C’è ancora di peggio, il disegno di legge Lupi ha snaturato la stessa disciplina urbanistica, scorporando da essa la tutela dei beni culturali e del paesaggio, che nella legislazione del nostro Paese erano state sempre organicamente intrecciate. Alcuni dei risultati più straordinari dell’urbanistica italiana non sarebbero più possibili se fosse approvata la legge in discussione. Mi limito a ricordare la destinazione pubblica dell’intero comprensorio (2.500 ettari) dell’Appia Antica, a Roma, deciso dal piano regolatore del 1965 proprio per tutelare l’enorme patrimonio d’arte e di storia formato dalla regina viarum e dai dintorni. Non sarebbe più possibile la formazione del gran parco delle mura a Ferrara, né la salvaguarda delle colline di Firenze, Bologna, Bergamo, Napoli sfuggite agli energumeni del cemento armato.

Un’altra funesta previsione della proposta riguarda la cancellazione dei cosiddetti standardurbanistici, che sono una sorta di diritto alla città, il riconoscimento a ogni cittadino italiano di disporre di una sufficiente quantità di spazio pubblico per servizi fondamentali: il verde, l’istruzione, i parcheggi, e altre attrezzature. Gli standard,frutto di vaste e prolungate rivendicazioni popolari,esistono nell’ordinamento italiano dal 1968, e da allora hanno rappresentato un riferimento irrinunciabile per l’azione di partiti, comitati, associazioni, movimenti che hanno preteso, e ottenuto, la realizzazione e la gestione di servizi essenziali. Con la legge Lupi non sarà più così, e in nome della flessibilità e della privatizzazione esulta la stampa confindustriale che scrive di “un vero e proprio sblindamento, quello previsto dall’articolo 6, che è destinato a far saltare una delle norme che più hanno irrigidito l’urbanistica italiana degli ultimi venti anni: la disciplina degli standard urbanistici”.

L’opposizione tace. Anzi, ampi settori del centro sinistra, quelli convinti che la modernità consista nell’asservimento dell’interesse pubblico all’interesse privato, collaborano al buon esito dell’iniziativa. La stampa non si occupa dell’argomento. Solo l’associazione Italia nostra, riunita a Roma in un convegno sul paesaggio, ha lanciato l’allarme e ha avviato una raccolta di firme sotto un appello all’opinione pubblica e ai partiti politici. Un appello preoccupato e severo: preoccupato per gli effetti del disegno di legge Lupi, severo nei confronti non solo di chi ha proposto ma anche di chi non l’ha contrastato.

Questa nota è stata pubblicata su Liberazione del 30 gennaio 2005

Cari De Lucia e Salzano, mi rivolgo a voi per l'amicizia e la grande stima che ho nei vostri confronti, ma è chiaro che l'apprezzamento per l'iniziativa della proposta di legge sulla pianificazione del territorio va esteso a tutti coloro che hanno contribuito alla stesura del documento.

Ho letto con molto interesse e piacere la proposta il cui approccio giudico, per quanto modesto possa essere il parere di un neofita della materia, molto utile per affrontare finalmente in modo corretto le questioni sul governo del territorio. Questioni che in questi anni hanno suscitato una scarsa attenzione, tanto scarsa che abbiamo rischiato seriamente che fosse approvata la controriforma urbanistica, contrastata dalla voce autorevole, ma purtroppo quasi isolata, di eddyburg; a cui, in questa sede colgo l'occasione per porgere il mio sentito ringraziamento.

Per ritornare al i contenuti della proposta, devo sottolineare il mio particolare apprezzamento per l'inserimento degli aspetti relativi alla valutazione e anche per quelli legati alla partecipazione. MI fa molto piacere che la disciplina della valutazione; di cui da lungo tempo mi occupo, sia entrata a pieno titolo e con un approccio corretto in una legge sul governo del territorio. La cosa mi fa ancora più piacere se vado con la memoria, e qui mi rivolgo in particolare a De Lucia, ai primi anni della nostra collaborazione in cui esprimeva più di qualche perplessità sull'utilità della valutazione. Il fatto che ora, in una proposta di legge, di cui è uno degli estensori, il ruolo della valutazione assuma una certa importanza, mi potrebbe indurre a pensare, con mal celata presunzione, che siano state le nostre continue discussioni, alle volte anche accese, a farle in un certo qual senso mutare il giudizio.

Oltre agli apprezzamenti vi inoltro alcune note sul contenuto della proposta, che potrebbero rappresentare, se volete, un modesto contributo alla discussione.

Mi sembrerebbe opportuno che una legge sul governo del territorio prendesse in considerazione gli aspetti relativi all'integrità fisica dei luoghi. Nella vostra proposta, mi pare, ma potrei anche sbagliarmi, che tali principi si ritrovino indirettamente laddove si accenna ai piani di settore (art. 4 comma 5) oppure dove si parla della tutela del territorio aperto (art. 7 comma 6); in questo secondo caso solo in termini di ulteriori limitazioni alla trasformabilità, evidentemente del solo territorio aperto. Penso, invece, che forse sarebbe utile trovare il modo di porre un accento più esplicito alla questione più generale della tutela delle risorse naturali, in termini anche di aria, acqua suolo e sottosuolo e non solo di beni direttamente discendenti dall'azione dell'uomo, quali appunto le attività agricole, il paesaggio e gli insediamenti storici. D'altro canto l'aver demandato ai piani di settore, come sembra, questo compito non risulterebbe una scelta efficace. Infatti, se da un lato i piani di bacino prendono in considerazione gli aspetti connessi con le problematiche geomorfologiche e idrauliche (e quindi con il potenziale rischio per le popolazioni e gli elementi ad esse collegati), non dappertutto sono stati predisposti i piani di tutela delle acque, che forniscono indicazioni sulle condizioni alla trasformabilità delle aree in cui la risorsa idrica risulti più esposta ai possibili impatti delle trasformazioni medesime. E' vero anche che le limitazioni alle trasformazioni derivanti da condizioni di fragilità geologiche (in senso lato) non possono solo riferirsi al territorio aperto, come mi sembra si possa evincere da una prima lettura non molto approfondita della proposta. In molti casi sono proprio gli insediamenti (soprattutto i più recenti, come ci insegna la cronaca) ad essere soggetti al rischio derivante dai fenomeni naturali.

Ringrazio, anche a nome di quanti hanno collaborato alla proposta di legge, per le valutazioni. A proposito delle proposte di precisazioni sulla “integrità fisica dei luoghi”, osservo che la questione è delicata almeno per un aspetto (di cui abbiamo già parlato rispondendo a Sergio Brenna): l’equilibrio tra competenze di una legge nazionale e la potestà legislativa delle regioni. Sono convinto che la questione vada approfondita, e personalmente ritengo che sia opportuno esprimere in modo più compiuto l’interesse nazionale a un uso corretto del territorio (riallacciandosi alla esigenza di una preliminare considerazione, in tutti gli atti di pianificazione, della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio). Non è detto che simili approfondimenti debbano far parte di una legge di principio, ma mi sembra evidente che dovrebbero far parte di un’attività di governo (nazionale,e magari d’intesa con le regioni) volta a orientare in modo più penetrante l’azione delle altre componenti istituzionali della Repubblica.

Che bel testo di proposta di legge, bravi ! Chiari e sani principi. Solo alcune domande di dettaglio.

A) comma 2 dell'art. 13, comma 2. Intendete riferirvi anche a: gasdotti, eletrodotti, impianti di tefonia-radio mobile, metanodotti, fasce di rispetto dei cimiteri, degli impianti di depurazione, delle sorgenti idriche, ecc. ?

B) art. 17. Perchè solo la pianificazione territoriale e urbanstica generale rappresenta l'unico riferimento per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia ? Sembra che tale verifica non debba essere effettuata con riguardo agli altri strumenti di pianificazione attuativa e di settore.

C) comma 5 dell'art. 19. Per modificazione dell'assetto del territorio si intende anche l'attività agricola (ad es.: impianti di vigneti, colture specializzate arboree, terrazzamenti, ecc.) ?

A domande precise, risposte precise:

A) l’elenco è esemplificativo, perciò sono usati i termini: "quali" e "e simili",

B) forse la formulazione potrebbe essere più precisa, ma il riferimento essenziale è alla “carta unica”, che dovrebbero riassumere e contenere tutte le scelte della pianificazione su un determinasto territorio

C) le trasformazione degli assetti agricoli implicanti radicali trasformazioni morfologiche, e non rientranti nel concetto di "ordinaria coltivazione del suolo", dovrebbero ricadere tra quelle transitoriamente inibite, ma è meglio lasciare la definizione di queste specificazioni alla legislazione regionale, se non addirittura alla pianificazione regionale e/o provinciale.

Caro Eddyburg, hai ragione: nella foga di denunciare il rischio di un ritorno della Mantini-Lupi, ho mancato di esprimermi nel merito del progetto di legge proposto. L'ho solo scorso celermente e mi riprometto di tornarci sopra con valutazioni più meditate dopo averlo letto più attentamente.

Una prima impressione: non mi pare che vi si affermi con la necessaria chiarezza l'obbligo delle regioni di prevedere nelle proprie legislazioni urbanistico-pianificatorie una fase strutturale a tempo indeterminato e una fase operativa quinquennale, come previsto a suo tempo nella proposta di articolato avanzata dall'INU nel 1995. E' vero che la situazione istituzionale è mutata dopo la modifica costituzionale del titolo V approvata nella penultima legislatura dal centro-sinistra, ma le regioni stanno tutt'ora procedendo in modo disordinato e divergente: la Lombardia, ad esempio, con la LR 12/05 ha scelto di fare solo piani operativi quinquennali- denominati Piani di Governo del Territorio (PGT) - sui quali è pressoché impossibile fare una seria Valutazione Ambientale Strategica (VAS), che necessariamente comporta una visione di lungo periodo. Anche la Super5 della Toscana, che pure prevede i piani strutturali, mi dicono abbia seri problemi a garantire un' effettiva coerenza tra piani operativi e piani strutturali. La legge quadro nazionale dovrebbe imporre strumenti e procedure che garantiscano tale corrispondenza.

Ma soprattutto mi pare che il progetto di legge non affronti il problema di chiudere definitivamente la stagione della cosiddetta "programmazione negoziata" apertasi coi PII dell'art. 16 della 179/92 (il cosiddetto emendamento Botta/Ferrarini) e dilagata coi vari PRU, PRUSST e via denominando in un'urbanistica occasionale che non mi pare tanto diversa dalla deprecata stagione delle "convenzioni" senza piano generale disastrosamente vissuta prima della legge Ponte del 1967. Come diceva Keynes, in economia la moneta cattiva scaccia quella buona: ecco, anche in urbanistica quella cattiva scaccia quella buona. Se continuerà a convivere con la "programmazione negoziata", una ripresa del progetto pubblico e condiviso di città e territorio continuerà a rimanere una pia illusione.

Sulla prima questione che poni (la distinzione della pianificazione in due componenti, una strutturale e una programmatica). Molti di noi ritengono che l’applicazione che è stata fatta di un principio giusto in se sia così confusa, e spesso discutibile, da non rendere opportuno imporre alle legislazioni regionali di adottare un simile modello di pianificazione. Ciò anche a prescindere dalle limitazioni che le modifiche al titolo V della Costituzione pongono alla capacità della legge nazionale di incidere, in materia, su quelle regionali. Io non escludo affatto che sulla questione si possa e si debba tornare, ma prima di farlo in via di proposta legislativa credo che si debba farlo a livello culturale. Perchè non prendi l0’iniziativa di organizzare un seminario sull’argomento? Eddyburg parteciperebbe con entusiasmo. Secondo me occorrerebbe ragionare a tutto campo: partendo dalle proposte iniziali di "articolazione della pianificazione in due componenti" (circa 1983), proseguendo con le proposte dell'INU, esaminando le legislazioni regionali e la loro applicazione.

Per quanto riguarda la seconda questione (gli strumenti della “programmazione negoziata”). È sembrato a noi che il vizio dei deprecati “strumenti urbanistici anomali”,avviati dalla Botta-Ferrarini e proseguiti negli anni successivi, sia nella loro capacità (vorrei dire genetica) di derogare alle procedure ordinarie. In tal senso interviene, nella nostra proposta, l’articolo 12, 2°comma, sugli accordi di programma, che sono lo strumento perverso grazie al quale si sono moltiplicati gli istituti e le occasioni di negoziazione derogatoria. Obbligando a stipulare gli accordi in conformità “alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente” contiamo di aver risolto il problema alla radice.

Ti riungrazio.

Caro Eddyburg, l'interessante progetto di legge che viene offerto alla valutazione del nuovo Parlamento si incrocia nelle stesse ore della formazione del nuovo Governo e con lo svolgimento della campagna elettorale in molti grandi comuni chiamati tra poco al rinnovo delle rispettive amministrazioni, dove il tema delle trasformazioni urbane è spesso argomento di confronto.

Tutto ciò non può non indurre a qualche valutazione e molte perplessità: nel Governo il tema dell'assetto del territorio e delle città appare quanto mai sfuocato, con Di Pietro svogliato ministro delle infrastrutture, quasi a garantire che non si ruberà sugli appalti, ma senza nessuna indicazione strategica chiara e con un incomprensibile sdoppiamento col ministero dei Trasporti (non sono forse infrastrutture ?) e sparito il Ministero dei Beni Comuni, dove poteva rientrare il tema città e territorio; le amministrazioni comunali di ambo gli schieramenti che vedono nelle trasformazioni urbane l'occasione per contrattare qualche contropartita finanziaria con cui tenere in piedi bilanci sempre più smagriti e traballanti, ma spesso a scapito di una qualità urbana considerata "corvéable a merci". Il ragioniere comunale di un piccolo comune del pavese dove con un project financing hanno ripianato il bilancio da sempre deficitario e messo da parte pure un attivo, mi ha scritto di sentirsi (vergognandosene) un piccolo Ricucci (senza la Falchi, purtroppo, mi dice) e chiedendosi se sul guadagno il Comune non dovesse almeno pagarci l'IVA e le tasse. Si sbaglia: depredare il territorio con il consenso del Comune non è più rendita parassitaria. Basta mettersi d'accordo su come ci si spartisce il malloppo. A Milano Albertini consegna alla nuova Amministrazione un Protocollo d'intesa con FS per ripetere su tutti gli scali ferroviari in dismissione (800.000 mq e 4 milioni di mc) la sciagurata operazione in corso su ex Fiera di Milano (50% dell'area a servizi, sull'altro 50% tutto il volume necessario alle aspettative finanziarie della proprietà: oltre 10 mc/mq fondiari; ma il progetto è firmato Hadid-Libeskind-Isozaki, vuoi mettere ?) e sia Letizia Moratti che Ferrante dicono che va bene così; a Roma Veltroni fa qualcosa di simile sulle aree FS attigue a Tiburtina e forse è un modello anche per il riuso dell'ex Fiera di Roma anch'essa migrata in periferia.

In questo clima di pareggio elettorale vorremo mica lasciare a Berlusconi il privilegio di auspicare dal Parlamento provvedimenti condivisi: e quale miglior occasione dopo la fallita legge Lupi- Mantini perché in commissione si discuta ed approvi la Mantini-Lupi che santificherà definitivamente ciò che Comuni di destra e di centro-sinistra stanno già facendo, con buona pace del progetto di città e di territorio ?

La vedo dura per il vostro progetto di legge.

Sono meno pessimista di te. Non solo perché “dum spiro spero ”, ma anche perché penso che gli uomini del centro-sinistra abbiano capito una cosa: come propagandisti (meglio,spacciatori) di una politica “modernizzatrice” e “market oriented ” alla Berlusconi sono certamente più bravi gli altri. Se nostri non l’hanno capito, allora … vuol dire che ci trascineranno in fondo al baratro, noi e il nostro povero Paese.

Ma non m’hai detto nulla del nostro progetto di legge? Lo condividi? Ci aiuterai? Purtroppo l’urgenza di chiudere prima che si formassero Governo ne Commissioni ha impedito una raccolta più ampia di contributi.

“Va bene, allora grazie di essere venuti, forse può essere utile spiegare con maggior dettaglio quello che sta accadendo attorno al centro commerciale di Sestu. Intanto vale la pena ricordare che non sono gli assessori o il presidente della Regione a fare atti amministrativi, sono i dirigenti della Regione, nella loro indipendenza, da questo punto di vista. In questo caso col nostro pieno sostegno e con la nostra piena approvazione per quanto stanno facendo.

Che cosa è accaduto? Siamo arrivati alla fine di un processo lungo, che noi abbiamo iniziato da tempo. Abbiamo cercato di capire, anche con la precedente amministrazione comunale, e abbiamo approfondito anche con la nuova amministrazione comunale. Informalmente anche da prima, con delle riunioni, ma poi, formalmente, con una nota del maggio del 2005, abbiamo chiesto spiegazioni su quello che stava accadendo: abbiamo chiesto di capire meglio il progetto, perché ormai a Sestu stava emergendo la possibilità o il pericolo che si stesse portando a compimento un progetto molto diverso rispetto a quello originariamente proposto.

Un progetto appunto non di un centro commerciale di 5.000 metri quadri, ma un progetto di un centro commerciale, unitario, di oltre 50.000 metri quadri, di 60.000 metri quadri. Quindi abbiamo iniziato a chiedere dettagli, spiegazioni, su che cosa sta accadendo. Si tratta di una semplice lottizzazione commerciale? Dove ci sono tante attività separate? O non si tratta per caso di un progetto unitario? Con servizi unitari? Collegato funzionalmente, pensato in maniera unitaria? Promosso in maniera unitaria? Commercializzato in maniera unitaria? Con impianti unitari?

Abbiamo chiesto questi dettagli, che sono tutti quei dettagli che qualificano un centro commerciale. Abbiamo assistito ad una resistenza strana di tutte le parti interessate, soprattutto dal Comune che non ci dava dei documenti. Li abbiamo chiesti il 31 maggio, è passato giugno, è passato luglio, il 4 agosto glieli abbiamo sollecitati, solamente un mese dopo ci hanno dato qualche informazione, a settembre, cioè con 4 mesi di ritardo, e questo segnala anche una carenza del potere di controllo della Regione in questo momento, una storia che occorrerà forse riprendere in altri momenti. Sono stati aboliti gli organismi di controllo e in questo momento la Regione non ha nemmeno la possibilità di controllare gli atti di un Comune.

Tale provvedimento si rendeva indispensabile, allora l’8 settembre, visto che continuavano a non mandarci i documenti, gli abbiamo detto che sospendevamo il parere rilasciato dalla Regione. Solamente dopo questo, il 29 settembre, quindi dopo 5 mesi, l’ufficio urbanistica del Comune di Sestu invia alla Regione una documentazione in parte attinente a quanto richiesto: una documentazione totalmente insufficiente. Pur da questa documentazione insufficiente risultava, poi è stata chiesta un’ispezione all’ufficio di vigilanza ed urbanistica. Risultato? Quel piano di lottizzazione originariamente approvato era stato assolutamente variato, o meglio, i lavori erano stati totalmente, di molto variati rispetto ai piani della lottizzazione approvata. E queste differenze determinavano un quadro di riferimento gravemente alterato, rispetto a quello esistente alla data della conferenza di servizio del dicembre del 2001, ed evidenziavano che di fatto si stava facendo un unico grande centro commerciale.

Qui siamo a fine settembre 2005, e quindi invitavamo il Comune di Sestu a tutti gli atti conseguenti. In realtà gli dicevamo: ‘Stai attento che questo è un unico centro commerciale. Il nulla osta che avevamo precedentemente dato era per 5.000 mq, poiché ne state facendo uno di 60.000 mq quel nulla osta è sospeso e viene avviato un procedimento per farlo decadere’.

Quindi si sta facendo un centro commerciale totalmente fuori dalla programmazione e dall’autorizzazione regionale. Se questo è vero, come la Regione ritiene sia vero, il Comune di Sestu deve adottare gli atti conseguenti e annullare le concessioni, le autorizzazioni amministrative, e prendere anche dei provvedimenti sulle concessioni edilizie.

Il Comune di Sestu ci ha risposto che a suo avviso non doveva far nulla, con una lettera che vi diamo in cartella, perché, spiega il Comune di Sestu che cosa è un centro commerciale. Dice… vi prego di leggerla perché vale più di qualsiasi mio parere. Dice, nel terzo capoverso: ‘…ad avviso di questo Comune le concessioni e autorizzazioni commerciali, rilasciate nell’agglomerato commerciale in argomento, non possono definirsi non conformi al dettato normativo. A norma della vigente legislazione in materia non può essere condiviso l’assunto che ci troviamo davanti a un'unica grande superficie di vendita’.

Qui, secondo il decreto legislativo del 1998, la cosiddetta legge Bersani, dice, definisce cos’è un centro commerciale: ‘…perchè una pluralità di attività commerciali possa essere identificata quale grande, unica struttura di vendita, occorre che congiuntamente più esercizi commerciali siano inseriti in una struttura a destinazione specifica, fruiscano di infrastrutture comuni, abbiano spazi gestiti unitariamente, abbiano spazi di servizi gestiti unitariamente. Quindi, perché sia un centro commerciale, una grande struttura di vendita, occorre che congiuntamente più esercizi commerciali siano inseriti in una struttura a destinazione specifica, fruiscano di infrastrutture comuni, abbiano spazi di servizi gestiti unitariamente’.

Poi, siccome non basta la legge Bersani, dice: ‘…in questo senso, anche la citata decisione del Consiglio di Stato del 2004, punto’. Questo è quello che dice la Legge Bersani e questo è quello che conferma il Consiglio di Stato nel 2004. Poi dice: ‘…nulla di tutto questo è presente nelle strutture commerciali in argomento. Ci troviamo di fronte a più esercizi commerciali, non solo formalmente, ma materialmente e di fatto assolutamente distinti tra loro’. E allora io dico che qualsiasi persona di buon senso può andare lì e vedere se ci troviamo davanti a strutture commerciali, non solo formalmente, ma materialmente e di fatto assolutamente distinte tra loro.

Io credo che lì, insomma, siano non solo formalmente assieme, ma di fatto e in tutte le maniere possibili. E come questo? Intanto, basta vedere la pubblicità che fanno: dal 7 aprile, usano dei nomi strani, shopping al nuovo centro dell’isola, la ‘Corte del Sole’, poi sotto, la ‘Corte del Sole’ è citata come centro commerciale, quindi, di fatto è un grande centro commerciale e mi sembra che sono tutti assieme, non mi sembra che si siano presentati da soli.

Poi abbiamo un po’ di spazi comuni: parcheggi, percorsi, gallerie, impianti di aria condizionata, impianti elettrici, servizi di tutti i tipi e un’unica infrastruttura. Non solo, le persone più indicate per dirci se è un progetto in comune o no sono quelle della la stessa impresa che l’ha sviluppato: il gruppo Policentro. Basta andare nel suo sito e c’è scritto: la ‘Corte del Sole: data di apertura 7 aprile’. E dicono ‘superficie’, non è che dicono: la ‘Corte del Sole è il supermercato di 5.000 mq’. No dicono: ‘Superficie 120.000 mq; posti auto: 3.000’. Non è che dice ‘quel signore ne ha dieci, io ne ho tre, quell’altro ne ha 7…., ma dicono: posti auto 3.000’. Numero attività? Non le distingue. Ci sono tutte queste attività: centro commerciale, 41 negozi, 107 negozi, Iperpan, Semeraro mobili, numero di ingressi… lo presentano assolutamente come un posto comune, un villaggio comune.

Non solo, presentano anche questa roba qui, che vi consiglio a tutti di vedere, non è che presentino cose separate. Che cos’è questo? Mi pare che sia un centro commerciale. Poi le chiamano: un pezzo ‘Shopping Center’, un pezzo ‘Ritey Park’, un pezzo ‘Factory Outlet’, però di fatto è un centro commerciale. Non solo, qui stesso loro scrivono: ‘completezza dell’offerta’, c’è tutto. E dicono: ‘Sestu Center è in grado di allargare il potenziale bacino di utenza a tutta la regione, quindi dicono loro stessi che stanno facendo una cosa regionale, che non riguarda Sestu, riguarda tutta la regione.

Ma la regione la programma la Regione, non il Comune di Sestu. Poi dentro, vedrete che ci sono le piantine di tutte queste cose, e naturalmente le presenta in maniera unitaria. Spazi comuni, parcheggi, percorsi, poi qualcuno cerca di dire adesso che le gallerie sono vie pubbliche. Io vie pubbliche di fatto coperte… non le ho mai viste insomma, o le piazze col tetto non le ho ancora viste in Italia, queste sono una novità… vabbè, quindi basta vedere queste robe qui.

Non solo, queste cose sono depliant che risulta siano stati presentati anche a una recente fiera internazionale di grandi operazioni immobiliari, fuori dall’Italia addirittura. Com’è che dice? ‘Esercizi commerciali non solo formalmente, ma unitariamente, di fatto, assolutamente distinti tra loro’. Non mi pare che i commercianti di Sestu si siano trovati per caso fuori dall’Italia a presentare, ognuno per proprio conto, un pezzo di attività commerciale di fatto assolutamente distinta tra loro. E’ evidente che è un unico progetto. Questi progetti qui si chiamano, come l’ha spiegato bene il Comune di Sestu: centri commerciali. E l’avrei detto anche al Consiglio di Stato. E i centri commerciali sono all’interno delle grandi strutture di vendita, all’interno della programmazione regionale. E la programmazione regionale, già nel 2001, aveva indicato per questo tipo di attività 5.000 mq e loro a quello si dovevano attenere.

Quindi non c’è nessuna attività persecutoria, però c’è unitamente la volontà di far rispettare le regole in questa Regione, perché se non si rispettano le regole allora ognuno va avanti per conto proprio. E scusatemi, noi, la Regione deve essere in grado di far rispettare le regole con i chioschi del Poetto o con il piccolo operatore commerciale o con il piccolo bar, al quale spesso magari mettiamo delle multe o gli facciamo chissà che cosa perché non rispetta le regole. Ma deve essere anche in grado di far rispettare le regole anche davanti ai grandi operatori.

Non è che se una infrazione diventa grande – e perché è grande - deve essere accettata. Le regole devono essere rispettate dai piccoli e dai grandi. E siccome glielo stiamo dicendo da maggio del 2005, è evidente che loro hanno voluto metter tutti quanti davanti al fatto compiuto. E dispiace che un comune abbia impiegato 5 mesi per dare delle indicazione alla Regione, per restituire un pezzo di carta.”

Mario Mossa (Rai):

“Presidente, mi scusi, quale é la situazione a questo punto? Perché per esempio loro dicono che la Regione non deve metter il naso in questa faccenda perché non le riguarda. Cosa accade se loro aprono?”

Presidente Soru:

“Io non so chi dica queste cose. Non lo so. In Italia ci sono dei tribunali. Ieri i dirigenti della Regione hanno emesso due provvedimenti che oggi sono stati notificati. Ho sentito parlare che qualcuno diceva: ‘Non facciamoci trovare; non ce li notificano, si notificano nella casa comunale’. Sarebbe alquanto irriguardoso che il sindaco di un comune si faccia notificare le cose nell’albo pretorio del comune, come fosse uno sconosciuto qualsiasi. Sarebbe un po’ assurdo e spero che questo non accada. Ci sono delle leggi in Italia: e le leggi in Italia si applicano e si rispettano. E se non c’è qualcuno che non rispetta le leggi, il 7 Aprile ci sarà qualcuno che le farà rispettare. Volevo dire una cosa: attualmente ci sono due procedimenti in corso: c’è il nulla osta regionale per le attività commerciali legate alle grandi strutture di vendita, che è in sospeso, e c’è il procedimento di revoca di quel nulla osta che è in corso. La revoca si potrà fare dal 7/8 aprile perché devono passare 15 giorni. In questo momento è aperto il procedimento di revoca del nulla osta regionale; nel frattempo sono sospese. In questo momento è aperto anche il procedimento di annullamento delle concezioni edilizie. Significa che nel frattempo sono sospesi i lavori: nel frattempo non si può più piantare un chiodo. E questo viene notificato al comune, all’impresa, al direttore dei lavori.”

Mario Mossa (Rai):

“Sta avvenendo in queste ore l’opera di notificazione?”

Presidente Soru:

“Credo di sì, non ci vogliono ore per notificare.”

Roberto Paracchini (La Nuova Sardegna):

“I lavori sono già terminati, nel senso che lì hanno già costruito.”

Presidente Soru:

“Mi scusi, noi avremmo fatto questa cosa prima, se avessimo avuto le risposte prima; però ci avevano detto che si trattava di lavori che potevano essere sanati. C’è stata presentata una variante di lottizzazione il 20 marzo. E abbiamo verificato che si tratta di lavori totalmente in difformità. E per questo motivo, ai sensi della legge regionale sull’urbanistica, la dirigenza regionale ha esercitato i poteri sostitutivi e ha avviato il procedimento di avviamento di annullamento alla concessione edilizia, ha sospeso i lavori. Sospendere i lavori significa che i lavori che sono stati fatti sono fatti, i lavori che devono essere ancora fatti non possono essere più fatti - compresi i lavori di ultimazione, di collaudo, di agibilità -.”

Giorgio Greco (Ansa):

“Dal punto di vista dell’iter significa che la Regione, dopo aver ricevuto il 16 gennaio questa risposta, ha dato corso ad un’attività che ha portato al 20 marzo, giusto?”

Assessore Sanna:

“No, come diceva il presidente c’è stata una difficoltà di accesso agli atti, più volte richiesta da noi, e mai ottenute nei termini fissati dalla legge. Dopodiché hanno attivato la vigilanza urbanistica, che è andata a fare i sopraluoghi e ha acquisito presso la sede comunale gli atti relativi all’intervento. Per cui era chiaro che quelle concessioni si configuravano all’interno di una variante che avevano valutato. La variante era difforme alla realizzazione e noi abbiamo notificato al comune che le concessioni si configuravano difformi rispetto alla variante.”

Presidente Soru:

“Quindi in palese contrasto con quello che diceva che si tratta di attività non solo formalmente… ”

Assessore Sanna:

“La prima variante era conforme all’autorizzazione regionale, cioè ottemperava al rispetto dei canoni fissati dalla legge Bersani. L’hanno realizzata difformemente, poi hanno presentato una variante cercando di sanare urbanisticamente le cose. Urbanisticamente non erano sanabili in quanto hanno violato i parametri della legge commerciale che individua le due categorie di autorizzazioni diverse: le competenze comunali e le competenze regionali. Non ci può essere sanatoria in continuità perché questa è una disciplina mista amministrativo-commerciale e urbanistica e la disciplina commerciale individua in un parametro urbanistico la distinzione delle competenze, e quindi si applica contemporaneamente.”

Presidente Soru:

“Forse dobbiamo chiarire che c’è una complessità in questa cosa. Attraverso la legge Bersani ad un certo punto la disciplina delle autorizzazioni commerciali, la disciplina delle concessioni edilizie e la disciplina dell’urbanistica si incontrano; per cui di fatto si dà contemporaneamente una concessione edilizia e una autorizzazione amministrativa convergenti in modo da dare certezza al diritto e alle imprese. Nel momento in cui cade il presupposto dell’attività commerciale, cade anche il presupposto per le concessioni edilizie. Poi non è detto che quei fabbricati in futuro non possano essere considerati apposto dal punto di vista meramente edilizio. Non possono essere considerati apposto dal punto di vista della legge commerciale.”

Valerio Vargiu (Videolina):

“Quindi si esclude che possa essere la Punta Perotti della Sardegna?”

Presidente Soru:

“Non c’è necessità di questo. Escludo che possa essere un centro commerciale fuori da ogni legge. Vorrei suggerire una chiave di lettura interessante: tutta questa cosa come nasce? Dal cercare di trovare degli escamotage attraverso le pieghe della legge. La legge dice, come ha ricordato il sindaco, che le grandi strutture di vendita vanno approvate dalla Regione. La Regione aveva una sua pianificazione, ce l’aveva allora e ce l’ha tuttora; sulla base della pianificazione regionale è stato concesso il nulla osta per una grande struttura di vendita di circa 5000 mq. Poi loro dicono ‘Benissimo: questi 5000 mq mi vanno bene. Però ci aggiungo una media superficie di 2500 mq perché questa la può autorizzare il comune di Sestu'. Poi, anziché aggiungerne una, ne aggiungono 10. Tutte lo stesso momento, una appresso a l’altra. Ma un centro commerciale più un altro negozio, che cosa sono? Un centro commerciale più un altro negozio o un centro commerciale più grande? Un centro commerciale più 10 negozi non sono un centro commerciale più 10 negozi, sono un centro commerciale più grande. Soprattutto se si costruiscono assieme, se sono all’interno dello stesso edificio, se vengono presentati assieme, se hanno servizi comuni, se fanno parte di un progetto unitario, se hanno servizi comuni – compresi quelli di marketing comuni – e in più se fanno anche parte di un unico condominio. E qui è evidente che hanno anche accordi condominiali.”

Roberto Paracchini (La Nuova Sardegna):

“Loro sostengono che c’era un modus vivendi in precedenza accettato. Ad esempio anche Le Vele è stato fatto in questo modo.”

Presidente Soru:

“E’ possibile. Se qualche volta c’è stato un modus vivendi diverso, io non lo so. Noi abbiamo il modus vivendi di far rispettare le cose.”

Assessore Depau:

“Io ho da aggiungere qualcosa sull’inizio di questa procedura. Il primo incontro con il sindaco Taccori, il precedente sindaco di Sestu, è stato fatto nell’estate del 2004, quindi poco dopo il nostro insediamento. Lui è venuto in assessorato, con i suoi dirigenti, ha precisato che era una vicenda del comune, ha assicurato che le carte erano in regola, da lì abbiamo iniziato un’interlocuzione perché l’assessorato ha chiesto l’accesso alle carte ecc., e infine siamo arrivati fino al nuovo sindaco proprio perché noi avevamo di fronte un comune e abbiamo iniziato a trovare un modo di poter controllare una vicenda che già si identificava come ‘pesante’: c’erano già le denuncia degli altri commercianti, che venivano a lamentarsi di questa vicenda - per cui è un processo che è iniziato da subito dopo il nostro insediamento -. Poi con il nuovo sindaco, dopo che abbiamo visto che non arrivavano le carte, abbiamo incominciato a scrivere.”

Presidente Soru:

“Abbiamo iniziato a scrivere e ci hanno risposto dopo 5 mesi.”

Roberta Secci (Agenzia Italia):

“Questo ricorso al Tar, invece, questo è un ricorso contro il comune.”

Presidente Soru:

"Si è un ricorso che serviva contro la risposta del 16 gennaio che diceva che era tutto apposto e che non era obbligato agli atti conseguenti, alla revoca. Io voglio concludere. Per noi la cosa più importante è questa qui: non ci sono, non ci possono essere modus vivendi. L’unico modus vivendi è quello delle regole, è quello del puntale rispetto delle leggi. E noi abbiamo l’obbligo di farle rispettare a tutti. E le facciamo rispettare a tutti i piccoli operatori commerciali: agli ambulanti, ai chioschi sulle spiagge. E qualche volta siamo severi, a volte, perché la legge è qualche volta netta e severa con i piccoli commercianti. E dobbiamo essere netti e severi anche con le grandi imprese e non farci scoraggiare e intimidire. Io credo che la grande distribuzione, che è arrivata fino adesso, sia arrivata all’interno delle leggi: c’era una panificazione commerciale, c’erano dei metri quadri per le superficie di vendita e sono stati dati; ad un certo punto non ce n’erano più : ne erano rimasti 5000. E bisognava utilizzare quei 5000 e non inventarsene degli altri. Per fare una cosa che loro stessi dicono nel sito - e che raccontano nel loro materiale - non essere nemmeno provinciale. Per loro il bacino d’utenza è tutta la regione. Ma questo si può fare al di fuori di ogni regola? Vi volevo dire una cosa: la Regione sta facendo tutto il possibile per evitare lo spopolamento dei comuni, per rafforzare la crescita e la possibilità di vita dei piccoli comuni. È evidente che ciò che agisce sul bacino d’utenza regionale è del tutto contrario a questo tipo di interessi. Siamo interessati a far crescere la città; siamo interessati a far crescere la vivibilità e l’attrattiva turistica di Cagliari; siamo interessati a promuovere la crescita dei nostri piccoli operatori commerciali. Come sapete la nuova legge regionale, ma anche la legge finanziaria, mette a disposizione quasi 10 milioni di euro per i centri commerciali naturali. Quindi è vero che la politica regionale va assolutamente in senso opposto a questo tipo di strutture che sono un grande trasferimento di valori di immobiliari dal centro della città alle periferie. Sono tanti a perdere valore immobiliare e sono pochissimi quelli a guadagnare, in pochissime settimane, delle cifre molto importanti. Oltre a ciò il danno sociale che si fa nei piccoli comuni, nella città di Cagliari e ai tanti operatori commerciali. Un fatto emblematico: un negozio di via Garibaldi, che è stato fotografato, ha già un cartello: ‘Trasferito a Sestu’. Non se ne inventano altri, si chiude a Cagliari e si apre a Sestu. E noi non siamo interessati a svuotare la città.

Nota: a proposito di questo discusso progetto, qui su Mall si vedano anche gli interventi inediti di Sandro Roggio e Antonietta Mazzette, del Centro Studi Urbani dell'Università di Sassari (f.b.)

Carissime e carissimi,

molti di voi mi conoscono: ho insegnato “Fondamenti di urbanistica” e “Glossario e strumenti urbanistici” al corso di laurea PTUA, poi alla Facoltà di Pianificazione del territorio di cui sono stato preside.

L’attuale preside, il prof. Patassini, in occasione al mio pensionamento e chiedendomi di continuare a collaborare con la Facoltà, mi ha chiesto di ripartire dall’esperienza di eddyburg.it “costruendo insieme un palinsesto libero di seminari, conferenze, convegni sull'attualità dell’urbanistica in Italia e nel mondo”, che potrò gestire per la Facoltà con le risorse necessarie.

La proposta mi sembra interessante, e l’ho accettata. Spesso ho sentito ex studenti lamentarsi di aver perso – una volta laureati – ogni contatto con ciò che Ca’ Tron ha rappresentato per loro, chiedermi dove e cosa potessero fare per continuare a seguire gli interessi che nella Facoltà avevano maturato, lamentarsi per la mancanza d’ occasioni (non costose) di aggiornamento e di scambio d’esperienze. E ugualmente so (dagli studenti che mi scrivono come utenti di eddyburg.it, e da quelli che incontro) che qualcuno di quelli che ancora frequentano Ca’ Tron lamentano la scarsa apertura dei programmi comuni della Facoltà nei confronti di ciò che accade fuori delle sue mura.

La condizione che ho posto al Preside (e che il Preside ha accettato) è quella di costruire un programma di attività non da solo, ma con gli studenti ed ex studenti. E’ per questo che adesso vi scrivo: per proporvi alcune direttrici di lavoro, per sapere chi di voi (o dei vostri amici che non ho potuto raggiungere) è interessato nella proposta, sia come semplice potenziale utilizzatore, sia come collaboratore alla costruzione del programma, e chi addirittura alla sua gestione.

A me sembra che i temi da sviluppare e le persone di cui cercare la collaborazione vadano cercati in tre direzioni:

1) La condizione del laureato nel mondo del lavoro (non dico nel “mercato”, perché penso che le vostre capacità siano “beni” prima di essere “merci”). Sarebbe interessante su questo tema organizzare scambi d’esperienze tra quelli di voi che operano nei diversi settori d’attività, avere incontri con testimoni privilegiati sul versante della “domanda di lavoro”, organizzare piccole ricerche di carattere ricognitivo sulla condizione lavorativa dei laureati (magari utilizzando al proposito risorse della Facoltà).

2) L’aggiornamento della conoscenza. Le cose cambiano rapidamente nel quadro politico, sociale, istituzionale, culturale nel quale l’urbanista lavora. Esistono versanti (dei problemi, delle tecniche, degli strumenti) che sono sfuggiti dalla griglia del nostro ordinamento scolastico, o che sono emerse dopo. Esistono persone, che a Ca’ Tron non avete conosciuto e non conoscete, ma che da Ca’ Tron sono raggiungibili, che vi sembrano portatori di conoscenze ed esperienze di cui vorreste sentir parlare. Possiamo pensare a seminari, a incontri, a convegni piccoli o ad occasioni più ampie di confronto che sono organizzabili senza un grande sforzo.

3) Come si fa il nostro mestiere fuori dall’Italia. Occorre conoscere il quadro (storico, sociale, istituzionale) dei diversi paesi cui possiamo riferirci. Ma forse, più facilmente che attraverso studi sistematici, può essere utile approfittare dell’esperienza di persone (laureati da noi, o anche con altre provenienze) che, a partire da formazioni simili, si siano trovati a operare in altri contesti. E magari potremmo incaricare dei piccoli gruppi di lavoro di approfondire la situazione di una paese, o di una particolare articolazione del nostro mestiere.

Non è una elencazione di argomenti quella che ho delineato: solo alcune direttrici di lavoro possibili, alcune esigenze forse avvertite da molti. Il materiale raccolto in eddyburg.it potrebbe essere un punto di partenza per individuare i temi e le persone.. Ma quello che più conta, secondo me, è ciò che nasce dall’impatto di quanti si sono laureati a Ca’ Tron con il mondo esterno. E dall’incontro di queste esperienze con le domande che gli studenti attuali cominciano a formulare.

I formati che potremo utilizzare per le attività sono i più diversi. Ne ho già citato alcuni: seminari, conferenze, convegni, gruppi di lavoro su determinati temi. E magari - se individuiamo qualcuno che ha voglia di impiegarci un po’ di tempo – un piccolo blog ospitato dal web dell’IUAV o da eddyburg.it.

Concretamente vi propongo, dopo aver riflettuto sulla mia proposta:

1) di dirmi de siete interessati all’iniziativa (a) come semplici utenti, oppure (b) collaborando a distanza, oppure (c) anche partecipando a qualche incontro a Ca’ Tron;

2) di mandarmi una e-mail nella quale mi date il vostro recapito attuale (cognome; nome; indirizzo e-mail; indirizzo postale; telefono; data d’iscrizione all’IUAV; data di laurea): possibilmente in questo ordine, separati da punto e virgola;

3) di mandarmi, subito o più avanti nel tempo, vostre proposte sugli argomenti, le persone da invitare o utilizzare, le iniziative da organizzare.

A quelli di voi che sono interessati propongo di avviare una fase di lavoro di qualche mese per preparare una bozza di programma, che verrà presentata in un incontro pubblico nell’ambito della settimana di apertura del prossimo anno accademico, all’inizio di ottobre.

L’indirizzo che vi prego di utilizzare è questo:
edoardo@iuav.it.

A presto, spero

Edoardo Salzano

Il sito web della facoltà di Pianificazione del territorio

Vietato tutelare le coste. Il governo contro Soru

COSTANTINO COSSU

In Sardegna la Casa delle libertà apre la sua campagna elettorale di opposizione usando l'artiglieria pesante, quella del governo nazionale. Ieri il consiglio dei ministri ha impugnato la legge regionale che per un anno vieta qualsiasi costruzione sulle coste in una fascia di due chilometri dal mare. Berlusconi e soci sono ricorsi all'articolo 127 di quella stessa Costituzione che stanno alacremente lavorando a smantellare; articolo che dà all'esecutivo, quando ritenga che una legge approvata da un consiglio regionale ecceda la competenza della Regione o contrasti con gli interessi nazionali, di rinviare il testo allo stesso consiglio regionale. E visto che c'era, il governo impugna anche il blocco, votato dall'assemblea sarda, dei cantieri per la costruzione di centrali eoliche.

Il presidente della giunta sarda, Renato Soru, risponde con una nota dai toni molto duri: «Dalla lettura delle motivazioni non si capisce che cosa vuole dire il governo. La Regione tutela troppo o troppo poco il suo territorio? Può disporre di una delle sue risorse fondamentali, l'ambiente, oppure non deve farlo perché il governo pensa di poterne fare una tutela migliore? E in attesa che lo faccia, dobbiamo assistere impotenti alla distruzione definitiva di questo bene?».

Soru rivendica l'autonomia della Regione: «Mettono in discussione i poteri e la nostra autonomia speciale in maniera anacronistica, quando una Regione a statuto ordinario, la Toscana, solo pochi giorni fa ha avuto riconosciute le competenze in materia di tutela del patrimonio artistico e culturale, e ha ottenuto questo risultato nonostante l'opposizione del governo. Questo ci incoraggia nella rivendicazione del nostro diritto di programmare responsabilmente l'uso delle nostre risorse in funzione dello sviluppo».

Forte del sostegno della sua maggioranza, che va dall'Udeur a Rifondazione comunista, Soru dice che lui non mollerà: «Credo che siamo dalla parte giusta. E a leggere le motivazioni non mi viene nessun dubbio su quello che abbiamo fatto nei mesi scorsi. Il ricorso è così singolare in quella prima parte, che spinge a pensare che l'intento del governo sia quello di bloccare la norma che impedisce che la Sardegna diventi la piattaforma eolica del Mediterraneo. La Sardegna sta già facendo abbondantemente la sua parte e non può essere obbligata a fornire da sola la quasi totalità della produzione di energia eolica italiana.

Questo, in realtà, stava accadendo. Dopo le servitù militari non può esserci imposta anche la servitù eolica nazionale. E dopo, cos'altro?». Ieri a Cagliari c'era Fausto Bertinotti, che partecipava ad un'assemblea precongressuale di Rifondazione. Dal segretario del Prc è venuta una dichiarazione di sostegno alla giunta Soru: «Siamo in presenza di un tentativo di rivincita del partito del condono. Sono davvero curiosi questi federalisti, che non trovano di meglio», osserva il segretario del Prc, «che intervenire centralisticamente contro i pronunciamenti democratici di una comunità che difende l'integrità del suo territorio. In realtà non sarebbero intervenuti se i sardi avessero deciso di devastare le coste con la speculazione».

Sul fronte delle associazioni ambientalistiche, Legambiente si è fatta sentire con il segretario nazionale, Roberto Della Seta, e con il segretario sardo, Vincenzo Tiana: «E' l'ennesima dimostrazione di come il governo non abbia minimamente a cuore la tutela del paesaggio e del territorio della Sardegna ed è vergognoso che dopo aver reso possibile la sanatoria degli abusi edilizi, abbia il coraggio di impugnare l'unica legge in grado di tutelare il paesaggio e l'ambiente della regione. E' un atto grave e per di più paradossale, perché la legge regionale assume come riferimento per il piano paesistico della Sardegna proprio il codice Urbani, redatto da questo stesso Consiglio dei ministri».

BERLUSCONI

Uno stop interessato

SANDRO ROGGIO

Le questioni che riguardano le autonomie regionali sono materia delicata che non può essere trattata secondo gli interessi in gioco. Ma ormai è chiaro che la devolution funziona per il governo come meglio conviene, e se conviene ci si può contraddire quante volte serve. Tocca ora alla Sardegna subire l'ultimo tentativo di prevaricazione e su un aspetto delicato appunto. Se ne parlava da tempo e non stupisce, che il Consiglio dei ministri abbia deciso di impugnare per aspetti di legittimità costituzionale la legge regionale sulla tutela del territorio costiero in vigore dal novembre scorso.

Una legge importante per la Sardegna. La maggioranza che sostiene il presidente Soru ha dato con questo atto il primo segno concreto di cambiamento: ponendo un vincolo provvisorio per una fascia di due km dal mare, in attesa di un piano paesistico adeguato al valore dei paesaggi litoranei.

Un atto di grande civiltà, salutato da molti, anche fuori della Sardegna, con soddisfazione: un provvedimento che decide finalmente l'inclusione delle straordinarie coste isolane tra i grandi beni culturali del paese. E che consente di immaginare un uso turistico fondato sulla valorizzazione e non sul consumo di risorse limitate. Ma sono le argomentazioni dei vari detrattori di questa linea, tutti molto interessati a lasciare le cose com'erano, che spiegano la giustezza della misura. L'attacco del centrodestra, in prima fila i sindaci galluresi è nel nome dell'«autonomia comunale violata» da un provvedimento che, si dice, è «contro lo sviluppo». Una linea arretrata che i sardi che non hanno interessi da difendere hanno dimostrato di non condividere in questi mesi ( il programma elettorale di Soru - vincente - metteva ai primi punti e con evidenza questo argomento). Dopo avere perso al Tar i sindaci dei comuni costieri del centrodestra hanno chiesto aiuto a Berlusconi che di buon grado ha schierato il governo.

Avrebbe dovuto lasciar perdere. Sia per rispettare la decisione di una Regione (la cui autonomia ha più di cinquant'anni) e che è frutto di un dibattito faticoso e partecipato. Sia perché ancora una volta risalta e stride il suo conflitto d'interessi. La famiglia Berlusconi detiene, come tutti sanno, la proprietà di quella vasta area in comune di Olbia dove era previsto, molto vicino alla linea di battigia, un intervento edilizio di notevoli dimensioni che la nuova legge regionale sospende e che dovrà attendere al pari di altri progetti l'approvazione del piano paesistico. Lo statuto sardo prevede i poteri nelle materie dell'urbanistica e del governo del territorio. Me è bene non azzardare un'ipotesi sulla decisione della Corte che dovrà dire se il Consiglio regionale sia andato al di là delle proprie competenze invadendo quelle statali. E' il minimo dire però che anche questa volta il presidente Berlusconi non è stato elegante.

E' davvero singolare che la storia in qualche modo si ripeta. Nel 1989 il governo De Mita, sollecitato dalle proteste di alcuni imprenditori edili, rinviava con cinque rilievi la prima legge urbanistica che conteneva importanti norme per la tutela del territorio obbligando il Consiglio regionale ad apportare alcune modifiche non sostanziali. Una caso clamoroso, con reazioni di sdegno in Sardegna e prese di posizione fuori dall'isola tra cui quella di Antonio Cederna che denunciava la mentalità incolta e reazionaria del governo dell'epoca e degli imprenditori che avevano fatto pressioni. I lettori di questo giornale non faranno fatica a individuare almeno uno di quegli imprenditori.

DALLA PARTE DEL MATTONE

La mossa di Pisanu per riprendersi l'isola

CO. COS.

Tra pochi mesi in Sardegna si voterà per le amministrative. La Casa delle libertà, sconfitta nelle elezioni regionali del giugno 2004 da una coalizione di centrosinistra allargata a Rifondazione e ai movimenti, è in forte difficoltà. I sondaggi più recenti confermano la popolarità della giunta di centrosinistra e di Renato Soru, stabile nei livelli di consenso altissimo che gli hanno consentito di sconfiggere Mauro Pili, il candidato di Forza Italia. E' evidente che l'iniziativa politica del centrodestra a Cagliari, in Consiglio regionale, contro la maggioranza non ha sortito grandi effetti. Da giorni il tam tam delle indiscrezioni dava per sicuro ciò che poi è effettivamente accaduto. I dirigenti sardi di Forza Italia hanno fatto pressing su Silvio Berlusconi per ottenere una clamorosa bocciatura della legge salvacoste da utilizzare in campagna elettorale. Il calcolo della Casa della libertà, e di Forza Italia in particolare, è il seguente: in molte zone dell'isola la legge salvacoste solleva una fortissima opposizione, che bisogna cavalcare per tradurla in termini di consenso elettorale. Il partito della cementificazione ha ramificazioni vaste nella società sarda, muove interessi trasversali e compra sostegni. Su questo - anche su questo - punta il centrodestra sardo per recuperare voti. Uno dei tramiti della manovra di pressione della Cdl sarda verso il governo è il ministro dell'Interno, Beppe Pisanu. Ma un ruolo importante svolgono anche l'ex candidato governatore alle regionali, Mauro Pili, che ha rapporti personali strettissimi col Cavaliere, e il sindaco forzaitaliota di Olbia, Settimio Nizzi, che dalla legge sul blocco delle costruzioni si è visto annullare progetti urbanistici che avrebbero deturpato un vastissimo tratto di costa. Tra i piani di cementificazione approvati dalla maggioranza di centrodestra c'è anche quello di Costa Turchese, a sud di Olbia, un mega-villaggio turistico che doveva essere costruito da una società di cui è presidente Marina Berlusconi. Quindi, la legge impugnata dal governo affonda un progetto imprenditoriale di una impresa diretta dalla figlia del capo dell'esecutivo. Ma questo piccolo dettaglio sembra interessare poco e nulla Forza Italia e alleati. La legge che fissa a due chilometri dal mare il limite per nuovi insediamenti è stata approvata dall'assemblea sarda il 24 novembre 2004 dopo una maratona di un mese, tra mille polemiche e una battaglia dell'opposizione all'insegna di un duro ostruzionismo. Sindaci e amministratori del centrodestra, da subito in prima linea contro il provvedimento di salvaguardia varato a maggioranza dal Consiglio regionale, l'altro ieri hanno preso carta e penna e hanno scritto a Silvio Berlusconi: «La legge salvacoste è incostituzionale e arreca un grave pregiudizio economico-finanziario agli enti locali che perderanno svariati milioni di euro di entrate Bucalossi e Ici».

E' la riproposizione di un modello di sviluppo turistico di rapina, che devasta il territorio senza creare alcuna prospettiva stabile di crescita economica. La stessa filosofia che porta il centrodestra ad opporsi, dappertutto in Sardegna, all'istituzione di parchi e di aree protette. Due giorni fa il ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, ha annunciato che il governo cancellerà il parco del Gennargentu. Un altro spot elettorale della Casa delle libertà. Forza Italia ieri si è fatta sentire con Enrico La Loggia, ministro per gli Affari regionali, che ha bollato come «polemiche strumentali e becere» le contestazioni dell'opposizione. Perché il governo non poteva fare diversamente lo spiega bene il Verde Marco Lion, capogruppo alla Camera in commissione Ambiente: «Con questa decisione la Cdl si schiera dalla parte degli speculatori. E' gravissimo che questo governo, dopo aver impugnato cinque leggi regionali che cercavano di ridurre i danni dello sciagurato condono edilizio voluto dal centrodestra, aggredisca ora una norma di gestione del territorio capace di garantire prospettive di sviluppo in Sardegna».

IL CASO VILLA CERTOSA

Costruita proprio sul mare, in località Punta Lada (non proprio in Costa Smeralda ma quasi) ampliata grazie all'acquisto di 40 ettari di terreno, Villa la Certosa è la casa al mare dove Silvio Berlusconi riceve i suoi ospiti, presidenti e capi di stato. E' all'interno di una zona protetta eppure è sottoposta a lavori pesantissimi, gallerie sotterranee ma anche un anfiteatro, sui quali è calato il silenzio. Segreto di stato per esigenze di sicurezza del primo ministro: la Certosa, è stato detto ai magistrati di Tempio Pausania, deve considerarsi sede del governo. Una sanatoria ad hoc è prevista nella delega ambientale, approvata con la fiducia.

MA QUALE DEVOLUTION

«E' assurdo che un governo che parla tanto di devolution e autonomie locali si comporti in questo modo ogni volta che una regione mette in atto la propria indipendenza in maniera positiva». E' il commento di Italia Nostra alla decisione del governo di impugnare la legge salva coste della regione Sardegna. «Siamo indignati, è campata in aria la motivazione secondo cui la legge bloccherebbe il turismo, visto il recente calo di visitatori sull'isola non si capisce il bisogno di nuove strutture».

SMENTISCONO CIAMPI

«La legge sarda dava finalmente una risposta ferma e precisa, nel nome dell'interesse pubblico, a una miriade di piccoli e grandi progetti speculativi», dice il Wwf. Secondo l'associazione impugnando la legge il governo è in contrasto «con l'appello alla legalità lanciato poco fa dal presidente Ciampi».

CON GLI SPECULATORI

«Dopo aver impugnato 5 leggi regionali che cercavano di ridurre i danni del condono edilizio, il governo si schiera con gli speculatori e aggredisce una norma capace di garantire tutela e prospettive di sviluppo alla Sardegna».

«POLEMICHE BECERE»

Tante critiche fanno arrabbiare il ministro agli affari regionali Enrico La Loggia, l'unico del governo a reagire: «Polemiche becere e strumentali».

sull'argomento anche:

Eddytoriale 60 (17.12.2004)

Eddytoriale 55 (28.9.2004)

Eddyytoriale 53 (28.8.2004)

Sintesi della conclusione

Nove anni di applicazione della legge regionale 5 del 1995 sono sufficienti per tentare di tracciare alcune parziali conclusioni.

1. Grande mobilitazione amministrativa e politica

Il primo punto conclusivo è legato all’attenzione pubblica su un nuovo modo di governare che la legge ha portato nell’agorà del dibattito e della gestione del territorio: 255 comuni su 287, cioè l’89% dei comuni della Toscana, che avviano il procedimento con le nuove norme di legge portano ad una incredibile mobilitazione delle coscienze, del dibattito politico, della gestione dei fatti amministrativi, dell’esigenza del governo pubblico del territorio, che io definisco un vero e proprio successo amministrativo e politico della Regione Toscana e del sistema delle autonomie.

2. Tempi contenuti in un mandato amministrativo

Di questi 255 piani avviati, ben 136 cioè il 47% dei comuni della Toscana (interessanti il 40% della superficie e il 55% della popolazione) sono giunti all’adozione e ben 93 (interessanti il 26% della superficie e il 37% della popolazione) all’approvazione finale in tempi assolutamente contenuti: una media di 775 giorni per la costruzione del piano (dall’avvio all’adozione), quindi poco più di 2 anni, cui si aggiungono i tempi per l’approvazione: una media di altri 392 giorni, poco più di un altro anno. Quindi in circa 1.167 giorni (3 anni e 2 mesi) con le norme della 5/95 l’intenzionalità politica fatta all’avvio del procedimento si trasforma in governo del territorio.

Se poi aggiungiamo anche i tempi globali che servono per portare all’approvazione anche del Regolamento Urbanistico, a una media di 592 giorni (tra avvio, adozione, approvazione), cioè altri 18 mesi, possiamo dire che in un tempo medio di 4 anni e mezzo, quindi all’interno di un mandato amministrativo è possibile formalizzare un piano pubblico e dunque dare corso ai progetti pubblici e privati.

Questo lo chiamo successo politico e nuova intelligenza procedurale che ha portato ad una grande mobilitazione pubblica. Mai nella storia di questa Regione una legge sulla pianificazione aveva destato tanto interesse e applicazione.

La novità di questa mobilitazione è anche legata alla trasparenza della intenzionalità politica locale. Prima della Lr 5/95 non era possibile conoscere i tempi della discussione. Quando si diceva che un vecchio piano regolatore generale impiegava 7-8-9 anni per completare la procedura, i tempi erano calcolati dopo l’adozione del piano: l’unico tempo certo conosciuto.

Certo ci sono criticità che non vanno nascoste: ancora troppi comuni che hanno avviato il procedimento e non lo hanno concluso; come altri pur avendo approvato un piano strutturale non hanno dato corso al successivo Regolamento urbanistico.

3. Deciso freno all’espansione dell’urbanizzato

La ricerca dell’IRPET ha un grande merito: aver analizzato non un campione di Piani Strutturali, ma tutti i Piani strutturali che hanno concluso l’iter procedurale. Sono 93, la maggior parte dei quali ricadenti nelle aree più dinamiche della Regione: il valdarno e la costa settentrionale.

La 5 ha introdotto concetti e temi nuovi, tra cui il concetto di «carico massimo ammissibile»calcolato in funzione delle risorse territoriali.

Il concetto non sempre è stato declinato in modo innovativo. Molti professionisti lo hanno inteso come il vecchio e tradizionale «fabbisogno». Non è così, la 5 è più avanti e pone sfide di sostenibilità dello sviluppo del tutto nuove: sfide di censimento e riconoscibilità delle risorse; sfide di sostenibilità dello sviluppo; sfide di giustificazione della crescita; sfide di miglioramento delle condizioni di vivibilità per territori e per città; sfide di migliori alternative possibili e di priorità definite attraverso un sistema di valutazioni.

Dalla ricerca emerge che il cammino è ancora lungo, ma la sfida più forte da vincere: quella di un freno all’espansione dell’urbanizzato sembra evidente.

Il carico massimo ammissibile nei 93 Piani strutturali studiati è il 12% di incremento rispetto al patrimonio abitativo e il 13,7% rispetto alla popolazione al 2001.

Non bisogna dimenticare che si sta parlando di Piani strutturali, che per legge hanno tempi di validità indefiniti, e che hanno lo scopo specifico di tracciare le linee strategiche di lungo periodo, partendo dalle specificazioni strutturali del territorio.

Attenzione, fatto 100 il carico massimo ammissibile, ben il 25% (con punte del 36,7% nella Toscana dell’Arno) è rappresentato dal residuo di previsione urbanistica previste dai vecchi piani regolatori vigenti prima dell’entrata in vigore della 5.

La frenata dell’impegno di suoli è più evidente nei comuni con più di 40.000 abitanti, rispetto agli altri. Questo è un segno assai positivo.

Se andiamo a rivedere i tassi medi di crescita nei decenni precedenti e nei piani prima della 5, la distanza è netta, evidente e lampante. Nei casi in cui ciò è possibile: come a Prato dove il vecchio PRG era dimensionato per 386.000 abitanti teorici al 1987 (il comune, secondo il censimento del 2001 ha una popolazione di 172.000 abitanti). Il Piano strutturale di Prato ha un dimensionamento di 194.600 abitanti teorici, con un incremento rispetto ai dati del 2001 di appena il 12,8%.

Questi sono dati che non possono essere sottovalutati. L’incremento del 12% (che comunque si trascina dietro il residuo dei vecchi PRG) è utile e si spiega con le profonde trasformazioni socio-economiche (si pensi all’ampiezza media delle famiglie) che impongono nuove modalità residenziali che non sempre possono essere soddisfate all’interno del tessuto edilizio esistente.

4. Il Regolamento urbanistico è uno strumento operativo a tempo

Un punto ancora da rafforzare è il secondo segmento del nuovo piano regolatore della Toscana. I Comuni che hanno anche approvato il Regolamento urbanistico sono 57 (cioè il 61% di quelli che hanno approvato il Piano strutturale).

Il passaggio dal Piano strutturale all’approvazione del Regolamento urbanistico è un punto di criticità: è troppo lento una media di 592 giorni deve essere compattato.

Questa considerazione, tuttavia, mi porta ad affermare che se esiste una percezione diffusa che la legge 5 ha riavviato l’edilizia in Toscana, questa percezione non è legabile alla Pianificazione strutturale, né al Regolamento urbanistico, quanto ai residui dei vecchi piani regolatori vigenti avvalendosi delle nuove procedure dell’art. 40.

Un punto di ulteriore criticità è il prevalente utilizzo del carico massimo ammissibile nel primo Regolamento urbanistico. Non è sbagliato in assoluto, è forse inopportuno, perché le sue previsioni pubbliche decadono dopo cinque anni dall’approvazione. E’ dunque auspicabile che la quota di carico ammissibile del Regolamento segua e sia armoniosa con le previsioni pubbliche.

5. Le strategie vanno nella direzione di uno sviluppo attento alle risorse

Elemento di rilievo è il grande sforzo argomentativo che tutti i Piani strutturali tendono ad avere. Questo significa che ci si interroga molto e che i quadri conoscitivi tendono ad avere delle letture ampie.

Anche i temi prevalenti vanno in questa direzione, seppur emerge ancora una certa dispersione delle strategie locali in un numero alto di temi e di obiettivi. Ma la Toscana è ricca di localismi e di particolarità, e non ha bisogno di omologazioni.

6. I punti del Modello Toscana

Il modello Toscana di governo del territorio che è contenuto nella riforma della legge 5 e nei suoi sviluppi evolutivi ha questi punti:

- Il territorio è patrimonio collettivo indivisibile

- Nessuna risorsa del territorio può essere ridotta in modo significativo e irreversibile

- Sviluppo e qualità: valorizzazione delle diverse identità

- Superamento delle pianificazioni separate: il procedimento deve riunificare soggetti e competenze

- Stato, Regioni, Province, Comuni: sussidiarietà e pari dignità

- La valutazione a sostegno della responsabilità, la partecipazione a garanzia di trasparenza

- Tutti gli strumenti della pianificazione hanno un contenuto statutario e uno strategico

- Compete alle istituzioni definire preventivamente valori comuni non negoziabili

- Piano pubblico, progetti pubblico-privati: verso un piano capace di generare progetti

- Coincidenza tra programmazione generale dello sviluppo e strategie della pianificazione territoriale

- Ogni livello di piano contiene lo Statuto del territorio

- Lo Statuto del territorio proietta nel futuro regole non negoziabili e indirizzi per l’evoluzione del paesaggio

- La Toscana della qualità: il governo del territorio per una società coesa e solidale.

Caro Eddyburg,

con alcune amiche, dirigenti di uffici urbanistici comunali, ci siamo incontrati la sera dell’8 marzo scorso. La fortunata coincidenza di poter avere – a Firenze e dintorni – un gruppo di donne, funzionari pubblici, dirigenti nei rispettivi enti (talvolta anche a dispetto del ruolo formale loro assegnato), potrebbe avere un grande significato per dare voce ad una componente tanto importante quanto... silenziosa. Per queste ragioni ti scrivo queste poche righe, sperando che siano ospitate nel sito.

Crediamo che parlare del ruolo delle donne nell’urbanistica o, peggio ancora, di urbanistica al femminile sia una clamorosa sciocchezza. Diversamente, è molto sensato parlare degli urbanisti pubblici, i funzionari che ogni giorno con il loro tenace e competente lavoro sostengono il “mandato sociale” del mestiere di urbanista: la difesa degli interessi collettivi, delle ragioni dei cittadini presenti e futuri, della cultura, dell’ambiente. In poche parole, di tutto ciò che non sta negli interessi particolari di chi promuove le trasformazioni del territorio. Una funzione di garanzia che, per sua natura, non può che essere pubblica. In un tuo eddytoriale era riportato un piccolo episodio: a metà degli anni sessanta, l’ Unione Donne Italiane organizzò un convegno sul tema “Obbligatorietà della programmazione dei servizi sociali in un nuovo assetto urbanistico”, a Roma, il 21-22 marzo 1964. Una grande organizzazione di massa aveva organizzato e svolto una vasta campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica, aveva raccolto migliaia di firme in calce a una proposta di legge d’iniziativa popolare, e aveva posto al centro della sua iniziativa un convegno di studi. Quel lavoro ebbe uno sbocco: quattro anni dopo la rivendicazione di spazi maggiori per le cittadine e i cittadini diventò legge.

Mai come ora sarebbe utile ridare voce agli urbanisti pubblici, mettendo in rete le idee e le esperienze, provando ad alimentare il consenso attorno alle ragioni dell’urbanistica pubblica e, di conseguenza, portando ad un diverso riconoscimento del lavoro degli urbanisti che lavorano, stabilmente o temporaneamente, presso comuni, province, regioni e altri enti pubblici. Idee, dibattito e iniziative, nella speranza che queste possano trovare ascolto e – soprattutto – traduzione in migliori condizioni di lavoro nella pubblica amministrazione, mettendo quest’ultima in grado di assolvere pienamente alla propria funzione.

In conclusione, caro Eddyburg, ti chiediamo di ospitare, ogni tanto, qualcuna delle nostre riflessioni, mettendoci a disposizione il “megafono” del sito. Se poi qualcuno degli urbanisti pubblici che frequentano il sito fosse interessato a fornire un contributo, raccontando la propria esperienza o mettendoci a parte delle sue idee, ne saremmo ancor più felici.

Grazie.

Sarei felicissimo se questo tuo appello fosse raccolto. Un paio d'anni fa tentammo dimettere insieme un'associazione degli urbanisti pubblici, ma allora non funzionò: gli UP sono (o almeno erano) troppo occupati dalle loro routine per poter impiegare tempo in un'iniziativa diversa. Forse il tempo è maturo per riprovare, con energie più fresche e più ... femminili! Il bisogno c'è: lo testimonia del resto la lettera di Antonio Sciabica, appena inserita. Lo spazio di Eddyburg è vostro, occupatelo.

PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE: CONFERENZA STAMPA

CAGLIARI, GIOVEDÌ 23 FEBBRAIO 2006, ASSESSORATO ENTI LOCALI.

Assessore Sanna:

''Allora, cominciamo, grazie della vostra presenza. Abbiamo convocato un incontro con voi perché abbiamo appena ultimato il primo ciclo di conferenze che hanno avviato la co-pianificazione. Abbiamo tenuto complessivamente 24 conferenze, di cui 22 che hanno riguardato gli ambiti paesaggistici, che come voi sapete sono 27, e abbiamo aggiunto una conferenza esclusivamente attinente alle problematiche delle province.

Abbiamo incontrato le province l’altro giorno e ieri abbiamo concluso con tutte le associazioni degli industriali della cooperazione, del commercio e dell’artigianato, cercando di affrontare con loro le problematiche specifiche che riguardano quelle organizzazioni. I comuni interessati in questa fase sono stati 72, della fascia costiera, e hanno partecipato complessivamente alle conferenze 93 comuni. Ci sono stati una ventina di comuni che, per interesse e per conoscenza, si sono aggiunti ai 72. Alle 24 conferenze hanno partecipato circa 1.000 persone registrate, oltre quelle che ovviamente hanno partecipato a titolo personale e quindi non sono state registrate: una media di 70 persone a conferenza. Di queste persone, circa 300 erano amministratori comunali e provinciali, in rappresentanza delle 8 province e dei 93 comuni appunto. Hanno partecipato 160 dirigenti, tra funzionari, e funzionari tra comunali e provinciali, 30 consulenti dei comuni, 130 rappresentanti di enti e associazioni e società, 200 liberi professionisti e numerosi cittadini e studenti universitari.

Le conferenze hanno avuto una durata complessiva di circa 90 ore di lavoro e ci sono stati, da parte dei partecipanti, circa 320 interventi e depositi di altrettante memorie con le prime indicazioni sulle osservazioni e le precisazioni che hanno inteso portare. Nel corso delle conferenze tutti i partecipanti hanno sottolineato l’importanza di questo provvedimento: dell’esigenza che la Regione si doti di strumenti di tutela e soprattutto di certezza di diritto sull’uso del territorio; e tutti si sono impegnati a una collaborazione che porti a una migliore stesura, sia degli elaborati che degli elementi normativi. Per cui, a partire dalla conclusione delle conferenze, i responsabili delle singole conferenze che hanno appunto la funzione di raccordo con ogni singola amministrazione comunale e provinciale, stanno già cominciando a canalizzare - ne abbiamo già alcuni programmati - i singoli incontri che le strutture comunali e provinciali faranno con gli uffici del piano e con l’Assessorato. Questo perché, entrando nel merito specifico delle singole problematiche, si possa perfezionare la conoscenza, i dubbi interpretativi e le esigenze informative per quanto riguarda tutta la documentazione e la banca dati che noi, solo in parte, abbiamo potuto far vedere nel corso delle conferenze, ma che fanno parte del patrimonio conoscitivo abbastanza vasto che deteniamo nell’ufficio. Quindi, da ora e per i prossimi tre mesi, come abbiamo sempre detto in tutte le conferenze, affronteremo, Comune per Comune, tutti i passaggi singoli.

E’ stata fatta anche richiesta, da parte di Associazioni, ma anche di organizzazioni dell’Impresa (le ultime appunto le abbiamo avute ieri), richieste specifiche di incontri settoriali per affrontare, anche con le organizzazioni imprenditoriali, gli aspetti più di merito che riguardano le problematiche connesse al piano paesaggistico. E’ stata molto apprezzato il ciclo di conferenze, come si può desumere dai verbali, di cui noi abbiamo una parte, perché abbiamo inteso rendere trasparente questa procedura - e quindi sul sito Internet si trovano tutti i verbali che vedete lì e tutti li potranno leggere. E tutti i comuni hanno manifestato appunto l’apprezzamento per questa iniziativa che è servita certamente, rispetto alle informazioni molto episodiche e frammentate di cui disponevano, a entrare proprio nella conoscenza, in maggior dettaglio, del piano paesaggistico.

Il piano paesaggistico, come abbiamo detto nel corso delle conferenze, induce un cambiamento metodologico e anche culturale nell’approccio dell’uso del territorio, che non è una scelta, diciamo così, episodica, della Regione, ma il governo regionale ha inteso dare seguito coerente a quello che è un indirizzo, ormai internazionale, europeo, sull’adeguamento della strumentazione dell’uso del territorio, con riguardo ai caratteri dello sviluppo sostenibile.

Abbiamo anche preso atto che siamo la prima Regione che avanza una proposta compiuta di piano paesaggistico, e proprio per questo ci sentiamo impegnati a fare un lavoro che sia anche produttivo di un confronto positivo, anche con le esperienze che seguiranno nelle altre regioni. E’ un processo culturale che inizia e che cambia la visione nell’uso del territorio e tutti hanno rilevato, come per esempio, dentro il piano paesaggistico, sia molto importante questa scelta, che noi induciamo, di una visione sia del paesaggio, ma anche del ruolo che i comuni, che i centri urbani, anche non costieri, immediatamente costieri, devono svolgere nel processo di valorizzazione turistica. Un ruolo combinato, fra mare e interno, con la rivalutazione dei centri storici, con la ottimizzazione di questo immenso patrimonio di case vuote - che purtroppo abbiamo e che sono considerevoli: stiamo parlando di circa 208.000 abitazioni su 800.000 complessive in tutta la Sardegna - che non è un dato dal quale la Regione può sfuggire.

E’ un dato macroscopico sul quale si motiva e si sostanzia anche, la strategia che già a partire da questa finanziaria, come abbiamo detto, la Regione intende perseguire e che, complessivamente, tra fondi regionali, fondi comunitari, bandi e la legge 29, stiamo mettendo in campo già a partire da questo anno. Stiamo parlando di circa 150 milioni di euro, che è una cifra considerevole - credo mai messa a disposizione per un intervento così mirato nei confronti dei comuni nella loro totalità - perché ci sono azioni mirate a comuni di dimensione demografica elevata, quindi aree metropolitane, e interventi ancora più mirati per i piccoli comuni. Proprio perché lì riteniamo che debba essere fatto un forte investimento, proprio per creare le prerogative di un ripopolamento, perlomeno di un arresto di questo processo di ripopolamento e di connessione funzionale dei processi di sviluppo.

Mi sembra che possiamo dire che, anche a detta dei partecipanti, il bilancio sia positivo. E’ solo l’avvio. Abbiamo spiegato che le conferenze di co-pianificazione non fanno la co-pianificazione, ma avviano la co-pianificazione, nel senso che per poterla fare è indispensabile la conoscenza puntuale di ciò di cui si parla, in termini corretti, per poter poi da lì partire, come faremo nei prossimi tre mesi in un confronto chiaro, leale, disponibile, tra l’altro con l’ammissione dei limiti che tutti dobbiamo sempre dare al nostro lavoro.

Il piano paesaggistico è fatto in un anno di grandi sacrifici e di grande lavoro, ma sappiamo anche che possiamo produrre errori, imprecisioni, e il confronto lo riteniamo assolutamente indispensabile perché, non solo si bada al miglior prodotto possibile, ma anche perché è nostro preciso intendimento raggiungere il processo di condivisione più ampia di questo piano. Un piano paesaggistico che non sovverte assolutamente i principi di autonomia di tutti gli enti locali che vi partecipano, ma li riordina, secondo un processo di condivisione e di cooperazione, perché la concertazione, o la concertazione istituzionale, non può essere e non è un sistema nel quale si confondono le responsabilità. Ognuno ha assegnato dalla legge un suo compito, lo deve esercitare nel miglior modo possibile e questa volta dialogando l’uno con l’altro.

Voi pensate il lavoro immane che noi abbiamo dovuto fare solo per ricostruire lo stato di fatto dello sviluppo costiero, dal momento che era invalsa l’abitudine che i piani attuativi dei comuni non venivano neppure trasmessi alla Regione per le opportune documentazioni e conoscenze. Noi invertiamo questo, ci vuole trasparenza, conoscenza e capacità di tenere a governo tutto. Questo non toglie ai comuni la prerogativa di progettare, di ideare, di proporre, e quindi di esercitare compiutamente il loro ruolo alla luce di un piano paesaggistico che, intanto, produrrà come primo effetto - cosa che mi sembra stia già producendo - l’idea di un’attenzione certamente nazionale e internazionale su questo processo, che è ancora più motivato in una Sardegna che è ritenuta da tutti un bene naturale prezioso e sul quale dobbiamo investire.

Abbiamo avuto anche riconoscimento, da parte delle organizzazioni degli imprenditori, che hanno forse affrontato in maniera più precisa i contenuti del piano, avendo la consapevolezza che questo è un piano che non significa solo vincolo, ma significa l’uso corretto del vincolo per mettere in evidenza anche le buone pratiche che si possono e si devono realizzare. Quindi è un piano che dà una regolazione di funzionamento e viene usato questo esempio: se a Cagliari non funzionassero, non esistessero i semafori, alle otto del mattino, quando la gente entra per andare a lavorare, ci sarebbe un caos e i cittadini sarebbero certamente meno sicuri delle condizioni dove, invece, un elemento crea una regolazione, un ordine, un funzionamento armonico. Il piano paesaggistico è una sorta di semaforo che agisce all’interno dell’uso del territorio, imponendo dei vincoli, dando dei lasciapassare e indicando anche delle prudenze, degli atteggiamenti cautelativi nell’uso di un bene che non è di ciascuno, ancor meno dei comuni, ancor meno della Regione, ma è della collettività, in quanto - è stato ricordato anche dal decreto Urbani - che stiamo assolvendo a una delega di carattere costituzionale, compiuta nelle indicazioni che questo comporta. Io mi fermerei qua.

Filippo Peretti (La Nuova Sardegna):

''Su alcuni rilievi politici, che sono stati fatti, anche da settori della maggioranza, uno riguarda i comuni, il rischio cioè che i comuni possano, come è successo per i piani paesistici, alla fine ottenere l'annullamento del Piano paesaggistico, del piano regionale. Il secondo rilievo invece è, diciamo, sulla trasparenza e sulle volumetrie, sulle zone dove è possibile costruire. Cioè, evidentemente, per evitare speculazioni, così è stato detto, sarebbe opportuno conoscere già la situazione, in modo da rendere tutto già ancora più trasparente, anche sotto questo profilo degli acquisti, delle vendite, delle plusvalenze, eccetera, eccetera''.



Presidente Soru:

''La domanda sembra ben posta, interessante. Io credo che le polemiche nascano da una non puntuale conoscenza di quello che è il piano paesaggistico regionale e delle sue norme di attuazione e di quello che si sta facendo: ho riscontrato, insieme all’assessore, che tutte le volte che si è parlato, le persone sono andate via più consapevoli, più tranquille, e direi anche più convinte della bontà di questo processo in atto. Per questo non mi aspetto una grossa quantità di ricorsi dei comuni. Peraltro, erano stati già minacciati durante la discussione della legge 8. Qualcuno, motivato forse da appartenenze politiche piuttosto che da considerazioni di merito, ha presentato ricorsi, ha promosso la presentazione di ricorsi, e il risultato di quei ricorsi lo sappiamo tutti com’è andato, con una solenne dichiarazione da parte della Corte costituzionale, circa le prerogative della Regione e le sue responsabilità, con una sentenza talmente solenne, appunto, che incoraggia la nostra regione ad andare avanti, non solo in tema di tutela, non solo in campo urbanistico, ma in campo di tutela dei Beni culturali, e altri ancora.

Quindi, di fatto, è stata un’esperienza molto positiva, questo ricorso, che si è conclusa con la sottolineatura di tutti i diritti e tutti i doveri di questa nostra regione. E’ come una sollecitazione ad andare avanti, oltre a non trascurare le nostre responsabilità. Molto opportunamente, avviene in un momento in cui il Consiglio regionale sta per approvare la Consulta statutaria, in cui si parla di Statuto, in cui nei prossimi mesi come sapete, questa assemblea regionale vuole approvare una nuova proposta di Statuto dell’autonomia. I precedenti piani paesaggistici regionali sono decaduti, non perché eccessivamente severi, ma perché poco severi, e sono decaduti non per eccesso di tutela, ma sulla base di troppe deroghe alla tutela, o poche severità in alcune fasi. Quindi, non è un accostamento giusto quello dei precedenti piani paesaggistici, e noi stiamo cercando di essere appunto più attenti, e più severi, più conseguenti sulle cose che abbiamo detto, cercando di non inserire nelle norme del piano, dei meccanismi per cui alla fine si trovano le modalità per farle fuori.

Quindi non credo che ci saranno ricorsi da parte delle associazioni ambientaliste, che sono quelle che hanno fatto decadere i precedenti piani, e non credo nemmeno che ci saranno ricorsi da parte dei comuni, quantomeno non credo che ci saranno ricorsi motivati da parte dei comuni. Per questo motivo: perché non stiamo espropriando le competenze dei comuni, in alcun modo. A qualcuno può venir facile, tirare fuori questo slogan, siamo anche vicini alla campagna elettorale, sollecitare il malumore dei sindaci, o di amici dei sindaci. Ma in realtà non c’è nessuna espropriazione di prerogative da parte dei comuni.

Il Piano paesaggistico regionale si può riassumere in poche parole, per come la vedo io: ha definito una fascia costiera, la legge 8 nel momento in cui ha fatto una tutela temporanea questa fascia l’ha definita in due chilometri dalla costa ora più opportunamente, dopo un anno di lavoro, questa fascia abbiamo detto è come una sinusoide, si avvicina e si allontana dalla costa a seconda della natura del terreno, del paesaggio, dei dati storici, a seconda quindi della situazione particolare. C’è una linea che si avvicina e che si allontana dalla costa, forse mediamente è intorno ai due chilometri, ma qualche volta è di meno e qualche volta è di più. Questo è quello che chiamiamo l’ambito paesaggistico costiero e abbiamo detto che quello lì è un bene che non appartiene a nessuno, che appartiene a tutta la regione. E’ un bene che non appartiene ai proprietari dei terreni, non appartiene al singolo comune, appartiene a tutta la collettività regionale, e tutto quello che si fa lì dentro, deve essere fatto in considerazione degli interessi dell’intera collettività regionale, non negli interessi di un singolo privato, di una singola società, o di un singolo comune, ma in considerazione degli interessi di tutta la collettività regionale.

E abbiamo detto una cosa: in questo Ambito paesaggistico costiero non ci sono più le zone F, quelle che venivano considerate ‘le cubature’. Le cubature in zone F non ci sono più. Non è che ce ne sono di meno, ne sono state cancellate venti, ne rimangono quindici chissà dove. La risposta alla sua domanda è molto semplice: ne rimangono zero, da nessuna parte. Non ce ne sono, quindi non è che gli dobbiamo dire dove saranno. Questo è abbastanza chiaro: non c’è la lista delle cubature che rimangono, perché di cubature non ne rimangono nell’ambito costiero. Ce n’erano 45milioni, circa 15 milioni sono stati realizzati, 15 milioni erano ancora lì da utilizzare per chi li voleva utilizzare, quindi riguardavano progetti speculativi eccetera, che sono stati cancellati del tutto e altri 15 riguardano un po’ di cose, per cui alcune cubature che sono state fatte salve dalla legge 8, laddove appunto erano stati iniziati gli interventi di lottizzazione, erano state fatte: modifiche irreversibili dei luoghi, del reticolo stradale e così via.

Tutto il resto, quello che non è stato bloccato dalla legge 8 non esiste più. E non c’è nessuna discrezionalità, da parte della Regione o di qualsiasi ufficio regionale o di qualsiasi organo regionale, di dire in questo pezzo di territorio, prevediamo, mille o diecimila metri cubi. Non esiste, sono stati tutti cancellati.

Che cosa si fa nell’Ambito costiero, è scritto chiarissimo nel Piano paesaggistico, per chi lo vuole leggere, per quello che è, senza pregiudizi. Per quello che è, perché nel Piano paesaggistico, le norme di attuazione sono esattamente quello che c’è scritto lì. Nell’ambito costiero si possono fare solamente progetti di riqualificazione. Li abbiamo chiamati ‘a regia regionale’, per dire che c’è una visione complessiva da parte della Regione, che non vuol dire che la Regione comanda e impone quello che ci sarà. Ci dice che ci saranno conferenze di co-pianificazione coordinate dalla Regione. Per i motivi che dicevamo prima, perchè è un Ambito complessivo e anche dove entra nel particolare di un singolo territorio, lo fa comunque nell’interesse complessivo della collettività. Allora queste conferenze di co-pianificazione decideranno, loro, che tipo di riqualificazione si può fare: modificare un villaggio, risistemarlo, ristrutturarlo, magari dargli un premio di cubatura, perché trasforma seconde case in un albergo, oppure dargli un aiuto perché da un albergo di seconda categoria si fa un albergo di quattro o cinque stelle aperto tutto l’anno, ma lo decideranno le conferenze di co-pianificazione. Un altro punto determinante di questa conferenza, che evidentemente non è stato compreso, è che queste conferenze non decideranno per alzata di mano, per cui la Regione ha cinque voti e il Comune ha un solo voto; queste conferenze dovranno decidere assieme come si farà quell’intervento di riqualificazione. Quindi non ci sarà nessuna imposizione della Regione che dirà: ‘Lì si fa così e lì imponiamo un certo numero di cubature’. Insieme, d’intesa si deciderà su quella riqualificazione. Quindi aldilà dei numeri dei componenti, aldilà del fatto che magari c’è il Comune, c’è la Provincia, c’è la Regione, aldilà di questo il principio che noi vogliamo portare in queste conferenze di co-pianificazione è l’intesa: ecco perché non c’è nessun esproprio, né più né meno dello stesso principio che la Regione ha già adottato in materia di cave.

La Regione può dire che una cava può insistere in un certo territorio, ma se il Comune non la vuole, quella cava non si farà. Viceversa, un Comune può dire che vuole una cava nel suo territorio, ma se la Regione dice che quel territorio è soggetto a un vincolo paesaggistico, quella cava non si farà. Si fa solamente se c’è l’intesa, lo stesso varrà per gli interventi di riqualificazione urbana. Quindi: nessun esproprio perché sul dettaglio si va assieme, nessun mistero sull’elenco delle cubature semplicemente perché di cubature non ce ne sono.

Approfitto, per dire che la Giunta regionale non ha ricevuto nessuna lettera, non ne ricevuto neanche l’assessore e credo che non sia nemmeno mai stata spedita una lettera di questo genere''.

Giuseppe Mereu (L’Obiettivo):

''Tornando alle conferenze di co-pianificazione e a questo metodo dell’intesa a cui ha appena accennato, io ho avuto modo di vedere il disegno di legge urbanistica della Giunta, lì se non vado errando si parla esplicitamente di decisioni prese con un voto di maggioranza in cui in caso di parità il presidente della Giunta vale doppio''.

Presidente Soru:

''Quello è un disegno di legge, che naturalmente ora andrà in commissione e verrà discusso. Io l’ho detto, l’orientamento della Giunta è quello di fare in modo che non ci sia esproprio nel governo di un territorio e che ci sia l’intesa, perché, come dicevo prima, l’Ambito paesaggistico costiero appartiene a tutta la Regione. Lo dobbiamo trattare con cura e devono essere presenti tutti gli interessi: gli interessi dei privati, gli interessi dell’intera comunità e gli interessi della comunità regionale. E d’intesa riusciremo a salvaguardare tutti questi interessi.

Poi, è chiaro, una possibilità, per concludere, ci deve essere sempre. Il principio dell’intesa vale anche sulla nomina delle Autorità portuali, oppure sulla nomina dei presidenti dei parchi nazionali, per cui c’è un intesa e si prova e si riprova fintanto che non si raggiunge. Occorre anche salvaguardarsi dall’immobilismo e quindi qualche possibilità deve essere immaginata e deve essere studiata''.

Jacopo Onnis (Rai3):

''Molti dei giornalisti presenti a questa conferenza stampa, stanno venendo da un’altra conferenza stampa tenuta da tutta la Commissione urbanistica, presieduta dall’onorevole Pirisi che ci ha detto: ‘Ci apprestiamo a fare una serie di audizioni con gli enti locali, ci sposteremo in tutte le otto province, non saranno delle contro conferenze di co-pianificazione che sta portando avanti la Giunta’. Ha rimarcato però con molta decisione il ruolo del Consiglio. ‘Spetta al Consiglio – ha detto - fare le leggi, non siamo una camera di compensazione, non faremo inutili minuetti, perché procederanno tra l’altro, loro, con uno stralcio, collegato alla finanziaria, recante norme urbanistiche, che serve come copertura legislativa, supporto legislativo, al Piano paesaggistico regionale’. In questa delicata materia dell’urbanistica, qual è il ruolo della Giunta? E qual è il ruolo del Consiglio? Poiché traspare una certa sottolineatura polemica di competenze. E’ una Giunta anche che, chiedo all’assessore Gian Valerio Sanna, ci ha detto l’onorevole Pirisi: ‘Abbiamo letto alcuni verbali delle conferenze di co-pianificazione e mi è parso di rilevare alcune espressioni irriguardose nei confronti della Commissione e nei confronti del Consiglio. Inviteremo a una maggiore ottemperanza verbale nei confronti dell’assemblea regionale’. Tutto qui, la cronaca è sin qui''.

Presidente Soru:

''E’ chiaro che è un tema importante, dove ci sono gli interessi di semplici cittadini, che vogliono una Regione che cresca, che sia capace di creare sviluppo, lavoro; semplici cittadini che vogliono vivere in un ambiente non devastato, che vogliono mantenere alta la loro qualità della vita, anche vivendo in un ambiente bellissimo, come quello che abbiamo, gli interessi delle amministrazioni comunali, ma anche gli interessi di chi vuole fare tanti soldi. Purtroppo in un’economia molto povera come la nostra, in cui in pochissimi hanno fatto industria e in cui in tanti hanno fatto gli immobiliaristi, togliere un settore in cui in molti si sono arricchiti facilmente, crea qualche perplessità. E quindi ci sono un po’ di nervi scoperti.

Su chi faccia le leggi non c’è alcun dubbio. La Giunta applica le leggi che fa il Consiglio quindi non occorre nemmeno ribadirlo. Noi abbiamo fatto il nostro lavoro e faremo un disegno di legge e di proporlo al Consiglio per la discussione e per l’approvazione. Per la discussione, per il miglioramento, per l’approvazione.

Poi io mi ricordo anche che questa Giunta non è che sia calata da Marte; questa Giunta è l’espressione della maggioranza, della maggioranza in Consiglio regionale, della maggioranza nella commissione urbanistica. L’Assessore è un signore che ha avuto autorevoli responsabilità politiche, nel suo partito; io rappresento quella maggioranza di centrosinistra che è stata eletta alle scorse elezioni. Quindi siamo due pezzi della stessa maggioranza che vogliono lavorare assieme per fare la migliore legge possibile. Ognuno col suo ruolo, ognuno con le sue capacità e dobbiamo lavorare assieme, e aldilà delle tensioni, aldilà delle battute, aldilà delle cose, il dato di fatto è che stiamo andando avanti molto bene. Il dato di fatto è che pochi giorni fa abbiamo approvato la legge finanziaria, abbiamo messo l’elenco dei collegati alla legge finanziaria. Nell’elenco dei collegati c’è anche la norma, la legge urbanistica per quel tanto che serve ad approvare speditamente il Piano paesaggistico regionale. Ed è stato votato quell’ordine del giorno con otto votazioni segrete: in otto votazioni segrete non abbiamo perso neanche un voto. Non è che non abbiamo perso una votazione, non abbiamo perso neanche un voto in otto votazioni segrete.

Questo è lo stato della maggioranza sul piano paesaggistico regionale, perché in quella stessa giornata la maggioranza ha discusso se la legge urbanistica doveva andare dentro o doveva andare fuori e io mi sono ritrovato tutta la Giunta.. ci siamo ritrovati pienamente a condividere la decisione di approvare come legge, come collegato la parte necessaria per approvare immediatamente il Piano paesaggistico regionale avendolo operativo. Prevedendo la possibilità di discutere maggiormente il resto delle norme che regolano il territorio regionale. La legge urbanistica. La nuova legge 45 sono felice di discuterla più a lungo. Perché sarà un tema su cui la maggioranza si confronterà, potrà essere creativa, potrà essere innovativa rispetto al passato, rispetto anche a quello che accade nelle altre regioni italiane. Ci sarà un momento in cui potranno essere richiamati dei principi importanti; essere conseguenti rispetto alla legge Bucalossi, ormai di molti decenni fa, che aveva iniziato a separare tra diritto di proprietà e diritto di edificabilità. Forse questa maggioranza di centrosinistra può iniziare a dire qualcosa, che c’è una specie di diritto imprescindibile delle persone alla casa e quando la casa non gliela possiamo costruire, forse una specie di diritto imprescindibile ad avere una cubatura e legare il diritto alla cubatura più alle persone che ai proprietari di terreni, ad esempio. Ci sono delle cose che posso essere affrontate, discusse; per cui siamo tutti più contenti di discutere più a lungo la nuova legge 45.

Così come ringrazio ancora una volta, l’ho fatto l’altro giorno in Consiglio regionale, questa maggioranza che pure su argomenti così importanti, così delicati, alla fine ha votato otto volte a scrutinio segreto e non ha perso neanche un voto. Anche sulla legge urbanistica”.

Assessore Sanna:

''Ma se posso aggiungere, ne approfitto perché ricordo quello che ho detto e se sono apparso irriguardoso ne approfitterò per chiarirlo e per scusarmi eventualmente. Io ho molto chiaro, ho alle spalle un pochino di esperienza per capire che il processo di governo è un processo complicato e faticoso e che ha bisogno di tutti, non di una parte. E io ho solamente fatto riferimento al fatto che era assolutamente legittimo che la Commissione facesse le sue attività, nella distinzione delle competenze, nel senso che noi abbiamo un mandato di legge approvato da quel Consiglio regionale a fare quello che stiamo facendo, né più e né meno. Stiamo cercando di ottemperare con fatica anche alle tempistiche, che non sono facili, e che al Consiglio regionale spettano anche altre cose. Infatti ho comunicato, Presidente, che io parteciperò come rappresentante della Giunta a queste loro attività, così come io in Consiglio regionale a dicembre in sede di discussione della mozione del piano paesaggistico ho formalmente invitato tutto il Consiglio nella sua interezza a partecipare alle conferenze. Molti consiglieri regionali l’hanno fatto, anche più volte. Siamo stati lieti di averli tra noi: il rapporto è questo, e non mi sembra che si debba accentuare di più un tono che è solo quello che deve portare al rispetto dei ruoli reciproci, sapendo che ci sono dei punti sui quali noi dobbiamo assolutamente collaborare.

Abbiamo presentato un disegno di legge pensando che forse la strumentazione necessaria per far funzionare il Piano paesaggistico potesse anche dare l’idea attraverso una legge che non facesse riferimento alla 45, a una nuova fase dell’urbanistica, abbiamo accolto l’idea che forse la riflessione più generale ha bisogno di più tempo, questo però non toglie che gli strumenti che sono necessari a dare compiutezza a questo processo devono essere.

Io l’altro giorno sono stato in Commissione, abbiamo parlato di questo, affronteremo prima la discussione generale e poi io proporrò per conto della Giunta una proposta di sintesi a quel disegno di legge col quale ci confronteremo con la Commissione per vedere qual è la sintesi di quello''.

Giuseppe Meloni (Unione Sarda):

''Presidente, lei ha difeso molto chiaramente i principi del Piano. Alcuni ambienti della maggioranza, non solo i Ds, dicevano: ‘Nessuno discute la filosofia generale del Piano, magari sul rapporto con i comuni, su queste cose, ci sarà bisogno di qualche correzione’. Lei ritiene che questo sia possibile o che vada sostanzialmente bene già così com’è il rapporto delineato dal Piano paesaggistico?''.

Presidente Soru:

''No. Ho detto che alcune cose possono essere sicuramente migliorate, per esempio le regole di funzionamento delle conferenze di co-pianificazione possono essere chiarite. Possiamo chiarire che ci sarà un rapporto reciproco, un rapporto dove si cerca l’intesa innanzitutto, secondo il principio di reciprocità. La Regione non imporrà nulla ai comuni e i comuni non imporranno nulla alla pubblica ...” .

Assessore Sanna:

“Posso aggiungere una cosa Presidente… Su questo punto, si vedrà da qui a poco quando approveremo lo stralcio, proprio il livello di continuità che c’è tra il nuovo regime e il ruolo dei comuni e delle province. I soggetti della pianificazione contenuti nella legge 45 sono i comuni, la Provincia e la Regione. Gli strumenti della pianificazione territoriale contenuti nella 45 sono quelli segnati nella 45 e noi siamo in condizioni di poter dire che nella nuova dimensione sia i soggetti che gli strumenti rimangono inalterati.

Però qualcuno nella ricerca costante del ruolo dei comuni deve fare uno sforzo per capire quale è il ruolo della Regione. Credo che il Presidente l’abbia spiegato bene, limitatamente a quella che è la verifica e la salvaguardia degli interessi collettivi demandati da una legge dello Stato alle funzioni della Regione, la Regione li assolverà d’intesa con i comuni ai quali è chiesto un di più di partecipazione, di condivisione delle scelte che fino a oggi sono state fatte. Per esempio tra comuni, io credo che sia un vantaggio per tutti. Nella migliore delle ipotesi, quella che poteva essere una lottizzazione in una zona marina, fino a ieri poteva essere noto alla comunità di quel comune alla sua amministrazione e al soggetto interessato. La comunità regionale non ne era a conoscenza. Io credo che intervenendo in un’area di appartenenza, e la Corte costituzionale dice sempre che i diritti collettivi prevalgono e vengono prima dei diritti individuali, io credo che sia un’azione di trasparenza, di arricchimento complessivo che questo elemento diventi di dominio pubblico attraverso delle procedure che siano note e che di per sé garantiscano pari opportunità e pari diritti da parte di tutti”.

Presidente Soru:

''Volevo ricordare una cosa brevissima. Esiste un ufficio del Piano che ha fatto il Piano paesaggistico regionale; l’ha fatto con grande competenza e con capacità di usare tutti gli strumenti di conoscenza, tecnologia. Io credo che sia utile per tutti quanti che questo ufficio del Piano continui a essere utilizzato anche nella pianificazione territoriale di dettaglio del singolo comune. Io sento solamente sindaci che si lamentano di avere un solo geometra nell’ufficio tecnico, o sindaci di città importanti che dicono di avere un solo ingegnere nell’ufficio tecnico; ne vogliamo tener conto. La norma costituzionale parla del principio di sussidiarietà ma anche di quello di adeguatezza, di efficacia. Io credo che sia più adeguato che ci lavoriamo assieme ai progetti di riqualificazione urbana. Ci lavoriamo assieme, ognuno con le sue competenze, e assieme produrremo i progetti migliori per la comunità comunale e per la comunità regionale''.

Fabbricati agricoli che diventavano ville con tanto di sauna e lavanderia. Succede anche questo a Capalbio. Il Comune della cittadina maremmana, in accordo con la Regione Toscana, ha deciso di stoppare queste speculazioni edilizie attraverso l’adozione di nuove regole in materia di costruzioni agricole. Le speculazioni in questione, come hanno spiegato ieri a Firenze il sindaco Lucia Biagi (eletta con una lista civica nel giugno 2004) e l'assessore regionale all’urbanistica Riccardo Conti, si sono verificate per un'applicazione di comodo della legge regionale 64 del 1995 che regolava le costruzioni rurali. La legge era stata emanata per permettere agli agricoltori di costruire opere per migliorare il proprio fondo agricolo, consentendo agli agricoltori e alle loro famiglie di proseguire la loro attività.

In realtà, come ha spiegato il sindaco Biagi, molti imprenditori avrebbero chiesto di edificare ville in zone di pregio, spacciandole per ristrutturazioni agricole. Secondo la legge regionale bastava possedere tre ettari di terreno coltivato o avere un impianto floro-vivaistico per costruire un’abitazione.

Per porre fine a questi abusi edilizi l’amministrazione capalbiese ha quindi approvato nuove regole in materia. Che prevedono il divieto di costruire nuovi fabbricati nel centro storico o in altre aree di particolare pregio paesaggistico come zona della grande uliveta o la zona di Poggio Capriolo. Le nuove norme vietano anche la costruzione di nuovi impianti floro-vivaistici. Il provvedimento del Comune è passato con i voti della lista civica che comprende anche esponenti di centro-destra, ma non sono mancate sorprese politiche. Infatti il centro-sinistra a Capalbio è spaccato perché alcuni esponenti come Luigi Bellumori sostengono la giunta, i Ds e la Margherita sono all'opposizione. I consiglieri di centro-sinistra al momento del voto sono usciti dall'aula; perché, pur condividendo l'obiettivo del provvedimento, contestano il metodo scelto dal primo cittadino. «Con questo provvedimento - spiega il sindaco - Capalbio ha messo delle regole certe contro una gestione un po’ anarchica del territorio. Noi non siamo contro gli agricoltori ma contro coloro che vogliano speculare nel nostro comune». «La Regione sostiene questa iniziativa del comune maremmano - dice l’assessore Conti - perché dobbiamo fermare l'edilizia selvaggia in Toscana. Deve esser chiaro che qui non esiste nessun territorio senza limiti dove i privati possono costruire dove vogliono. Siamo per la collaborazione tra pubblico e privato ma con regole certe».

Nello stato fallimentare dell'urbanistica italiana, la crisi della città attuale è il simbolo di molti aspetti della crisi della società. Poniamoci una prima domanda: chi conosce la città, come e quanto la si conosce? Dobbiamo rispondere che, al di fuori di una percezione sommaria e in certo modo esterna, nella quale non si ravvisano neanche le prospettive meramente quantitative prescritte dai piani, tutto quello che intercorre all'interno di questo indeterminato tessuto ed è soggetto a una dinamica di movimenti e di situazioni in continua modificazione umana, sociale, economica, tutto questo non è studiato, non è controllato, non è seguito, quindi è ignoto. Se ci domandiamo chi comanda nella città, ancora non sappiamo rispondere. Quali forze siano responsabili della spoliazione sistematica ed ufficializzata dello spazio della città, è fin troppo evidente, almeno nella distruzione dei valori originari e fondamentali del paesaggio urbano e dell'ambiente. Nessuno potrebbe però descrivere il complesso interferire di forze e di interessi, di connessioni e di complicità che l'infinito numero di strumenti ed enti pubblici e privati sostengono e conducono ognuno per proprio conto. È una diagnosi che nessuno fa anche perché le risultanze che potrebbero scaturirne non convengono alle forze e ai personaggi in giuoco.

Da: Edoardo Detti, Firenze scomparsa, Ed. vallecchi, 1970.

Postilla

Il Bollettino di Italia Nostra n. 255/1995 nel quale viene ripubblicato questo passaggio di Edoardo Detti era dedicato alla vicenda Fiat-Fondiaria, la grande trasformazione della periferia di Firenze promossa dagli operatori immobiliari che, in un certo senso, possiamo definire la "madre" dell'urbanistica contrattata, se non altro per l'entità delle opere previste (diversi milioni di metri cubi) e per l'importanza dei proponenti. Il bollettino monografico fu curato da Antonio Cederna che chiuse l'editoriale con le parole seguenti:

"Da noi si contratta e si concerta mentre si rinuncia a qualsiasi potere contrattale e concertatore, che invece viene delegato e regalato ai privati. ... Sull'urbanistica italiana cala la tela".(m.b.)

1. Con particolare intensità, a partire dall’inizio degli anni ’90, si è sviluppata una critica (a più livelli) dei processi decisionali in materia di urbanistica e pianificazione territoriale, cosiddetti gerarchici o “a cascata”.

A questi processi decisionali era associato sia un modello gerarchico politico/amministrativo (dal generale al particolare – dal più grande, cioè, al piccolo, in termini di scala territoriale di riferimento) sia un modello di piani, programmi e progetti a scatola cinese sia un conseguente modello normativo: la legge statale, quella regionale e le norme locali (comunali).

In tema di Urbanistica e di Pianificazione Territoriale, questo modello si può così sintetizzare: lo Stato, con le sue leggi generali per il governo del territorio, le Regioni con proprie leggi ispirate a quelle nazionali, i Comuni con la propria attività normativa e regolamentare alla scala locale, soggetta al controllo regionale.

Questo impianto normativo è stato declinato nel corso del secondo novecento secondo due fasi: una prima fase, dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni ’70, caratterizzata da una forte centralizzazione e da un rapporto, sostanzialmente, diretto tra Stato e Comuni; una seconda fase, dalla seconda metà degli anni ’70 in poi, caratterizzata dalla nascita della legislazione regionale (conseguente alla istituzione delle Regioni) con un rapporto diretto tra ogni singola Regione ed ogni Comune.

2. A partire dall’inizio degli anni ’90, poi, si è sviluppato un “movimento” (una “lobby”) nazionale di istituzioni accademiche, culturali e professionali, che ha sviluppato una persistente e forte critica alla pianificazione urbanistica fondata sul modello delineato dalla legislazione regionale.

Parte attiva, trasversale dal punto di vista dei referenti politici ed egemone culturalmente. è stata svolta dall’Istituto Nazionale di Urbanistica, in discontinuità con le “campagne progressiste” che a partire dai primi anni ’60 e, con qualche sussulto, ancora fino ai primi anni ’90, hanno caratterizzato l’impegno culturale e politico per la riforma urbanistica nazionale.

Da questo punto di vista è paradigmatico il caso piemontese: le critiche di questa lobby si sono concentrate sulla sistematica demolizione (fondata su una rappresentazione macchiettistica della attività pianificatoria piemontese e del ruolo svolto dai tecnici regionali) della legge regionale 56/1977 ispirata e voluta da Giovanni Astengo: la legge urbanistica regionale, cioè, più fortemente radicata nel clima Olivettiano di Comunità e che nell’INU aveva un referente privilegiato.

Questa critica fondata sulla vulgata della rigidità del modello a cascata (dal Piano Territoriale regionale, al Piano Territoriale di Coordinamento, ai Piano Regolatori Generali), si è, infine, innervata sui due filoni della “SUSSIDIARIETA’” e della “CONCERTAZIONE”.

3. Il primo filone, quello della SUSSIDIARIETÀ, è stato preso in prestito dal nobile principio “europeo” secondo cui ad ogni campo dell’agire umano, a seconda del livello delle questioni e dei problemi, è riservata una forte autonomia di azione.

Questo principio è stato declinato nel nostro Paese in vari modi e con versioni anche estremiste (“ padroni a casa nostra”), che hanno trovato emuli anche nel campo della pratica urbanistica ed edilizia: tra i confini del Comune che io, Sindaco, amministro o tra i confini della mia proprietà, faccio quel che voglio senza alcuna ulteriore autorizzazione.

La declinazione urbanistico/pianificatoria piemontese è stata la legge n. 41/1997, con la quale, tra l’altro, è stato riscritto l’art. 17 della legge urbanistica Astengo (la L.R. 56/1977); con tale articolo è stata introdotta la possibilità di approvazione diretta, da parte dei Comuni, di varianti cosiddette “parziali” e di modifiche (le cosiddette “varianti non varianti”) ai piani regolatori: dietro queste due teste d’ariete si è collocata una innumerevole produzione (migliaia) di modificazioni dei Piani Regolatori, fuori da ogni controllo e da ogni forma di coordinamento da parte della Regione.

4. Il secondo filone, quello della CONCERTAZIONE, è stato, a sua volta, mediato dal mondo delle cosiddette relazioni industriali: anche in questo caso, cioè, il padre è nobile. Anche in questo caso, però, la declinazione urbanistica che se ne è fatta è stata, sostanzialmente, quella di dare dignità a ciò che, in tempi meno sospetti, si sarebbero chiamati “ interessi privati in atti d’ufficio”.

Nel caso del Piemonte, poi, il modello concertativo è stato promosso per svuotare di significato la fase, così centrale nella legge urbanistica astenghiana, delle “osservazioni” ai progetti preliminari degli strumenti urbanistici.

Nel modello astenghiano, cioè, la fase metaprogettuale (la delibera programmatica del PRG) e quella progettuale preliminare degli strumenti urbanistici sono affidate alla mano pubblica che, attraverso delibere del Consiglio Comunale (fino a prova contraria massima espressione della democrazia elettiva), portano alla conoscenza di tutti le proposte sulla tutela e sull’uso del territorio: attraverso le osservazioni, i cittadini, le associazioni, i partiti, tutti quelli che hanno proposte od osservazioni da fare nel pubblico interesse, possono proporre migliorie al Consiglio Comunale attraverso un processo trasparente e, soprattutto, codificato.

Il modello concertativo, come appare essere stato declinato fino ad oggi e come appare trasfuso nelle proposte di legge sia regionali sia nazionali (legge Lupi) in materia di urbanistica, si fonda, viceversa su:

(a) una sostanziale equidistanza della Pubblica Amministrazione dagli interessi privati e dal pubblico interesse , non come bene scarso da tutelare

(c) una delega al Sindaco o alle maggioranze politiche delle decisioni, da fare ratificare dai Consigli Comunali.

5. Si ricava, in conclusione, da un esame dell’attuale stato dell’arte quanto segue:

(1) la critica al cosiddetto modello gerarchico (la pianificazione a cascata) ha prodotto, nel corso degli anni ’90, un progressivo logoramento dell’apparato normativo ed una produzione senza controllo di varianti urbanistiche parziali e di modifiche che hanno “gratificato” interessi particolari

(2) coesistono nel nostro Paese più modelli di pianificazione urbanistica: quello centralistico, con riferimento, soprattutto, alla proliferazione di piani e programmi di nuova generazione (a partire dalla legge Botta/Ferrarini), in cui permane l’antico rapporto diretto tra Stato e Comuni; quello gerarchico in cui permane la potestà autorizzativa della Regione (vale per i PRG, le varianti strutturali, i PTC ecc.); quello ispirato alla sussidiarietà, in cui il Comune adotta ed approva proprie varianti e modifiche

(3) la competizione tra questi modelli, non avviene sul terreno dell’innovazione culturale o politica o disciplinare, ma soltanto sul versante della ricerca della minimizzazione dei controlli di merito e della partecipazione democratica

(4) il dibattito sulla riforma urbanistica sia nazionale sia, nel caso piemontese, regionale dovrebbe, rispetto ai modelli che si stanno affacciando (ad es. la legge Lupi recentemente approvata dalla Camera ed in discussione al Senato), acquisire il tema della inclusione sociale e della conoscenza diffusa quali linee guida contro ipotesi legislative che trasferiscono le decisioni “altrove” rispetto alle sedi democratiche proprie (i Consigli Comunali).

Torino, 20 gennaio 2006

ANSA) -TRIESTE, 14 FEB- Il Governo ha impugnato la legge regionale del Friuli-Venezia Giulia che fissa le norme per la definizione del Piano territoriale regionale. Il provvedimento e' stato preso per presunta illegittimita' costituzionale, in quanto - si legge nel ricorso, approvato dal Consiglio dei ministri il 10 febbraio e illustrato oggi dal presidente della Provincia di Trieste, Scoccimarro - 'ignora sistematicamente l'esistenza dell'Ente provincia'. Il provvedimento e' 'condiviso da tutte le province italiane'

Quando quest’articolo sarà pubblicato, il disegno di legge Lupi (dal nome del deputato firmatario Maurizio Lupi, di Forza Italia) denominato tanto enfaticamente quanto impropriamente “Principi in materia di governo del territorio” sarà stato, si spera, archiviato per via della fine della legislatura [1].

L’argomento merita comunque ulteriori riflessioni anche in vista della riproposizione del tema da parte del nuovo parlamento, che si spera possa occuparsi in maniera più convincente e più qualificata dell’argomento. Al riguardo non si può sottovalutare la posizione dei vertici dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, che, hanno fatto da sponda alla redazione del ddl, manifestando una notevole condivisione dei suoi contenuti. [2] Atteggiamenti critici sono stati espressi invece dalle Sezioni dell’INU di quelle regioni dove c’è una maggiore tradizione di pianificazione e di buon governo supportate da una sistematica produzione di leggi urbanistiche regionali. [3] Per completare il quadro delle posizioni registrate all’interno dell’INU si deve anche segnalare il documento fortemente critico presentato all’ultimo congresso dell’Istituto da autorevoli soci di varie regioni, dal quale è scaturito un vivace dibattito come non accadeva da anni. [4] Dibattito che l’Istituto si è impegnato ad alimentare.

Le critiche e le contestazioni più radicali da parte di architetti, economisti, urbanisti e giuristi, si trovano tutte sul sito diretto da Edoardo Salzano (eddyburg.it) e su un volumetto curato da M. Cristina Gibelli “La controriforma urbanistica” edito da Alinea e presentato a Roma il 15 dicembre 2005. [5]

Gli autori dei contributi pubblicati nel volume concordano nel considerare il ddl un testo raffazzonato e rozzo, privo dei principi fondamentali di interesse nazionale, di connessioni con le più importanti direttive europee in campo ambientale e con gli indirizzi internazionali finalizzati a incrementare la partecipazione dei cittadini e la coesione sociale. Che interpreta riduttivamente il governo del territorio come disciplina degli usi del suolo, senza curare l’integrazione con i temi ambientali, con la tutela del paesaggio, con la protezione della natura, con l’assetto idro-geologico, che, con incredibile arretratezza culturale, vengono invece intesi come ambiti rigidamente separati.

Un provvedimento sostanzialmente inutile a risolvere qualunque problema serio di assetto del territorio che sancisce la vocazione edificatoria del suolo nazionale, enfatizzando la problematica dei diritti edificatori e la loro commerciabilità, che entra in conflitto con le normative regionali e che consacra la “negoziazione” con il privato come metodo esclusivo di individuazione delle scelte urbanistiche.

Passiamo a un rapido esame del testo.

All’art. 1 (Governo del territorio), richiamando la riforma del titolo V della Costituzione (l. 3-2001), dovrebbero essere enunciati i famosi “principi fondamentali in materia di governo del territorio”, precisando subito che sono fatte salve le competenze delle regioni e delle province autonome. Tali principi fondamentali non sono affatto enunciati né chiaramente elencati; sono enunciate invece una serie di attività che identificano (secondo il legislatore) il governo del territorio (attività conoscitive, urbanistica, edilizia, programmi infrastrutturali, etc…) ma che non costituiscono sicuramente “principi fondamentali”. Doppio problema: i principi fondamentali non ci sono, ma se ci fossero non riguarderebbero le autonomie speciali. Il che meriterebbe una seria spiegazione.

In sintesi il ddl ripropone pedissequamente le modifiche al titolo V della Costituzione; indica il governo del territorio come la somma di varie attività di trasformazione del territorio stesso, per altro di competenza regionale, e non esplicita i “principi fondamentali” di competenza statale.

All’art. 2 (Definizioni) con qualche confusione tra pianificazione territoriale e pianificazione urbanistica, viene proposto un glossario con varie definizioni tratte frettolosamente dalle leggi regionali. Viene consacrato il doppio binario del “piano strutturale” e del “piano operativo”, che secondo alcuni operatori, dopo anni di sperimentazione, andrebbe rivisto perché i due strumenti tendono a identificarsi. Viene individuato (e ascritto incredibilmente alla competenza statale) il “rinnovo urbano” comprensivo dell’”adeguamento dell’estetica urbana”. Su quest’ultimo punto non riusciamo a immaginare che cosa abbia avuto in mente il legislatore se non un dialogo ravvicinato con la grande proprietà immobiliare al riparo di qualsivoglia interferenza. In linea generale, se è vero che la produzione delle leggi urbanistiche regionali, ha provocato la proliferazione di strumenti e di termini che indicano con nomi diversi le stesse cose, o con termini uguali, cose diverse, il metodo per riordinare terminologia e contenuti dovrebbe essere meno estemporaneo.

All’art. 3 (Compiti e funzioni dello Stato) si ribadisce ulteriormente la competenza statale sul “rinnovo urbano” e sulle residenze delle forze dell’ordine (v. art. 81 del DPR 61671977), argomento che dovrebbe essere attribuito senza ombra di dubbio alle competenze locali.

All’art. 4 (Interventi speciali dello Stato) si dice che per rimuovere condizioni territoriali di grave degrado, pericolo, e a rischio di calamità si ricorre a interventi speciali “attuati prioritariamente attraverso gli strumenti della pianificazione negoziata”. Il meno che si può dire è che la negoziazione non sembra la formula più adatta per intervenire nella casistica individuata.

Nell’art. 5 (Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione) molti commentatori hanno identificato la parte più eversiva del ddl, la dove si afferma che “le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l’adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi………..”. In questa frase è stata letta la rinuncia al governo pubblico delle trasformazioni territoriali finalizzato a garantire l’interesse collettivo e quindi lo scardinamento di uno dei principi storici della pianificazione. Anche se il ddl non chiarisce chi siano gli attori della negoziazione si sospetta realisticamente che essi siano i portatori di interessi economici forti, non certo i semplici cittadini o le associazioni portatrici di interessi diffusi. La sussidiarietà, la cooperazione e la partecipazione servono solo a titolare l’articolo; sono enunciate ma non circostanziate, e nel testo non c’è alcuna misura finalizzata alla loro incentivazione. In estrema sintesi, il ddl demolisce il principio fondamentale dell’urbanistica: quello di tutelare l’interesse pubblico e di controllare le pressioni della proprietà immobiliare, cui viene offerto invece un ruolo da protagonista in una negoziazione senza regole [6].

L’art. 6 (Pianificazione del territorio) è un capolavoro di superficialità e di pressappochismo; non si riconosce identità e ruolo alla pianificazione di area vasta, presente in tutta la legislazione regionale, la cui utilità è indubitabile specie nel rapporto con la pianificazione comunale. Si precisa però (incredibilmente) che i piani territoriali …….”non possono avere un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali”. Ma chi proporrebbe il contrario? L’art. 6, in controtendenza con molte leggi regionali, incentiva insensatamente il consumo di suolo proponendo che il territorio non urbanizzato sia distinto (in maniera assai discutibile) in aree “destinate all’agricoltura, aree di pregio ambientale e aree urbanizzabili”, disconoscendo per es. il valore ambientale delle aree agricole e prevedendo comunque che si possa costruire dappertutto nonostante i continui richiami allo sviluppo sostenibile.

L’art. 7 e l’art. 8 sono dedicati rispettivamente alle “Dotazioni territoriali“ e alla “Predisposizione e approvazione del piano urbanistico“. Si tratta di argomenti ampiamente trattati nelle leggi regionali; anzi alcune regioni hanno dedicato molta attenzione al tema delle “Dotazioni territoriali”, specificando quantità e qualità di attrezzature e servizi, o prevedendo in alcuni casi i “Piani dei Servizi” (Lombardia, Emilia Romagna, Umbria). Nel ddl nazionale manca qualunque indicazione innovativa che garantisca anche una dotazione minima inderogabile di “Dotazioni territoriali” ai cittadini dell’estremo nord e dell’estremo sud. Si aggiunga poi che il ddl, all’art. 13, prevede l’abrogazione del D. Int. 1444 del 1968 sugli standard urbanistici; si aggiunga ancora che nelle città del mezzogiorno i cittadini non hanno ancora a disposizione lo standard minimo di servizi e attrezzature previsto dal predetto Decreto. Il tema avrebbe meritato ben altra attenzione.

L’art.9 (Attuazione del piano urbanistico) è dedicato essenzialmente alla perequazione e alla compensazione, considerate come strumenti cui si può ricorrere per l’”attuazione del piano urbanistico” secondo criteri e modalità stabilite dalle Regioni. Si afferma anche che la perequazione si realizza con l’attribuzione di “diritti edificatori” liberamente commerciabili dappertutto. Autorevoli commentatori di formazione giuridica sostengono che l’argomento, di per sé ostico e antipatico, perché considera il territorio come produttore potenziale di metri cubi, è pure trattato peggio che nelle leggi regionali. [7] Inoltre i diritti edificatori potranno essere incrementati “allo scopo di favorire il rinnovo urbano e la prevenzione dei rischi naturali e tecnologici”….. Nella sostanza, nessuno sarà più in grado di fare un bilancio e una valutazione complessiva dei metri cubi, virtuali e non, che aleggeranno su ogni parte del territorio comunale e di verificare la sostenibilità delle previsioni edificatorie.

L’art. 11 (Attività edilizia) propone sostanzialmente alcune modifiche al T. U. dell’Edilizia (DPR 380/2001).

L’art. 12 (Fiscalità urbanistica) prevede la definizione di “un regime fiscale speciale per gli interventi in materia urbanistica e per il recupero dei centri urbani” attraverso la redazione di decreti legislativi da emanare entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge. Anche ai commentatori più benevoli la complessità della materia sembra trattata in modo troppo semplicistico [8].

Conclude il testo l’art. 13 con l’elenco delle abrogazioni e le disposizioni finali. Per essere precisi il ddl propone due tipi di abrogazioni. Al comma 1 l’abrogazione tout-court di una serie di norme pre-vigenti; all’art. 2 una abrogazione “a tempo”: le norme elencate “perdono efficacia nel territorio della regione ove questa abbia emanato o emani normative sul medesimo oggetto”. L’abrogazione del Decreto nazionale sugli standard rientra in questa fattispecie.

Il ddl Lupi, secondo M. C. Gibelli e altri risulta anche in evidente controtendenza con quanto sta avvenendo in Europa, in realtà, sottolinea Gibelli, il ddl costituisce una vera e propria anomalia nazionale nel quadro europeo: infatti in Europa, dopo le esperienze deregolative degli anni ’80 e dei primi anni ’90 si sta assistendo a un rinnovato impegno riformatore e ad un deciso ritorno alle regole, anche se le regole vengono ovunque riattualizzate sulla base delle problematiche e delle sfide emergenti [9].

Nei contributi pubblicati nel volume curato da Gibelli emergono alcuni principi che potrebbero essere inseriti in una legge di riforma urbanistica nazionale e che sono comunque enunciati nelle migliori leggi regionali [10]. Tra questi l’integrità fisica e la stabilità del territorio, inteso come “bene comune”, la salvaguardia della cultura del territorio, il controllo dell’uso delle risorse ambientali, il blocco del consumo di suolo, il contrasto alla dispersione insediativa, il risparmio energetico; la coesione sociale, perseguibile attraverso una adeguata politica della casa e dei servizi; il recupero del patrimonio edilizio storico; una adeguata attenzione alla partecipazione dei cittadini.

Sarà possibile concordare politicamente un simile scenario? Non sarà facile perché come dice Salzano [11]: Se la legge Lupi è morta, non è morto il “lupismo”: cioè quella ideologia così largamente condivisa che ha potuto far esclamare all’onorevole Lupi, all’indomani dell’approvazione della legge, che essa è il prodotto di un lavoro bipartisan. Frase che non ha potuto essere contestata,poiché tutto il lavoro parlamentare testimonia il sostanziale accordo tra i parlamentari della destra e larga parte di quelli dell’opposizione su alcuni punti nodali del provvedimento…………La tesi di Salzano è che la legge Lupi esprime una cultura ormai diffusa, di cui si trovano tracce rilevanti in più d’una legislazione regionale e nel comportamento di molte amministrazioni locali di destra, di centro e di sinistra………In quest’ottica gli interessi immobiliari sono diventati veri protagonisti a attori delle trasformazioni territoriali che meritano un occhio di riguardo; il ruolo del potere pubblico si è trasformato: da regista e garante delle trasformazioni territoriali e urbane, a facilitatore delle negoziazioni; il sistema delle regole è considerato un impaccio fastidioso da cui liberare i portatori di interessi economici forti . Il quadro delineato diventa ancora più allarmante se lo riferiamo a quelle regioni dove gli interessi economici sono fortemente condizionati dalla malavita organizzata.

Palermo, 26 gennaio 2006

[1]Il ddl era stato approvato dalla Camera dei Deputati il 28 giugno 2005 con la frettolosa introduzione di numerosi emendamenti e inviato alla XIII Commissione permanente del Senato (Territorio, ambiente, beni ambientali); la Commissione del Senato, nel mese di novembre 2005 aveva effettuato un ciclo di audizioni di varie associazioni interessate (tra cui ANCSA, Italia Nostra, Legambiente, Urbanistica Democratica, Città Amica) che avevano messo in evidenza gli aspetti più perniciosi e le lacune del ddl, tanto da convincere alcuni senatori della maggioranza della necessità di apportare consistenti modifiche al testo. Si sarebbe quindi palesata la necessità di rinviarlo alla Camera dei deputati.

[2]V. gli articoli di Giuseppe Campos Venuti, Carlo Alberto Barbieri, Federico Oliva, sul n. 203/2005 di Urbanistica Informazioni.

[3] V. l’articolo di Pietro Maria Alemagna sul n. 203/2005 di Urbanistica Informazioni.

[4]Si tratta del XXV Congresso dell’Istituto Infrastrutture, città e territori tenuto a Roma i giorni 1 e 2 dicembre 2005.Questi i passi salienti del documento a proposito del ddl Lupi. …. L’Istituto deve saper ritrovare la capacità di indicare i “principi” che debbono essere inseriti in una Legge nazionale sul governo del territorio, senza accettare come ineluttabile la resa al “mercato immobiliare”, che comporta la perdita di un effettivo controllo delle trasformazioni dei suoli urbani e rende irreversibile il processo di distruzione delle nostre città.

Deve contribuire a superare gli equivoci che hanno suggerito indicazioni preoccupanti nel testo di Legge sul governo del territorio in discussione in Parlamento, in merito a:

- limitazione del principio della attribuzione dei poteri di governo del territorio agli Enti locali, attraverso l’assegnazione di uno spazio privilegiato per le scelte relative alle trasformazioni, a partire dal momento delle scelte strutturali, ad “atti negoziali” tra Enti pubblici e soggetti portatori di interessi connessi alla proprietà di beni, terreni e risorse finanziarie;

- conseguente divisione dei cittadini in due categorie, quelli che posseggono beni per trattare atti negoziali e quelli che chiedono “solo” risposte collettive ai diritti che qualificano l’uso delle città e dei territori;

- perdita del concetto di città - bene collettivo -, attraverso la soppressione del principio che impone una quantità di aree pubbliche destinate a servizi;

- mantenimento di una settorialità di approccio al tema del governo del territorio, che non pone con forza la “tutela dei beni storico-architettonici e del paesaggio” tra i principi fondanti della Legge stessa, né lo addita come strumento per coinvolgere le collettività locali, protagoniste consapevoli della tutela dei valori comuni.

……Il piano urbanistico deve tornare ad essere lo strumento fondamentale per assicurare la preminenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del mercato, che può e deve essere da esso guidato. L’adozione di procedure di tipo prestazionale deve far considerare ogni intervento non soltanto in rapporto ai riflessi diretti ed immediati, ma in rapporto agli assetti complessivi della città.

L’Istituto non può rimanere silente: deve mettere nel proprio programma una solida riflessione sulla stagione che ci attende, additando l’urbanistica come strumento per comprendere ed indirizzare i mutamenti che investono le nostre città e territori. Non può accettare che l’urbanistica resti esclusa dalla competizione culturale, relegata ad una dimensione prettamente tecnica, separata dalla cultura ambientale e da quella architettonica, alle quali è affidata la sopravvivenza di una sensibilità per l’uso del territorio…… (Giuseppe Abbate, Imma Apreda, Roberta Angelini, Piergiorgio Bellagamba, Teresa Cannarozzo, Piero Cavalcoli, Alessandro Dal Piaz, Luisa De Biasio Calimani, Umberto De Martino, Rosalba D’Onofrio, Roberto Gambino, Maurizio Garano, Tommaso Giura Longo, Daniele Iacovone, Manlio Marchetta, Walter Meneghelli, Loredana Mozzilli, Mauro Parigi, Antonio Perrotti, Camillo Pluti,Bernardo Rossi Doria, Domenico Santoro, Massimo Sargolini, Giulio Tamburini, Alessandro Tutino, Maria Rosa Cittadini, Livio Viel).

[5] V. Maria Cristina Gibelli (cura di), La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge "Principi in materia di governo del territorio". Contributi di Roberto Camagni, Luca De Lucia, Vezio De Lucia, Antonio di Gennaro, Alberto Magnaghi, Anna Marson, Edoardo Salzano, Luigi Scano, Paolo Urbani; Firenze, Alinea Editrice, 2005. Era presente il senatore Cesare Salvi (DS), vice presidente del Senato, che, dopo avere ascoltato gli interventi, ha detto di condividere le contestazioni e ha assicurato un impegno politico conseguente.

[6] Questa disposizione è stata in assoluto la più contestata e il commento più diffuso è stato quello di escludere del tutto la negoziazione dalla fase di impostazione dei piani, ma di farvi ricorso solo nella fase attuativa. Anche i vertici dell’INU hanno preso le distanze dalla formulazione contenuta nel ddl.

[7] V. Luca De Lucia La perequazione nel disegno di legge sui “Principi in materia di governo del territorio” in Maria Cristina Gibelli (a cura di), La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge "Principi in materia di governo del territorio", op. cit.

[8] V. Simone Ombuen Elementi per la valutazione del Progetto di Legge statale per il governo del territorio, Seminario INU del 15 settembre 2005 “Un nuovo passo per la riforma urbanistica” (mimeo).

[9] Gibelli cita due leggi recentissime emanate in Francia e Spagna: la legge “Solidarité et rénouvellement urbains” approvata in Francia nel 2000, durante il governo Jospin, e la Ley de urbanismo para el fomento de la vivienda asequible, e la sostenibilidad territoriale y de la autonomìa local approvata dal governo socialista catalano nel 2005 sottolineando la distanza abissale di queste leggi dall’ipotesi di riforma urbanistica proposta in Italia. Si tratta infatti di leggi che affrontano alcun problemi che sono cruciali anche per il nostro paese: l’eccessivo consumo di suolo, la crescente doppia velocità urbana, la debolezza della pianificazione di area vasta, etc, e che propongono con coerenza principi volti a dotare i poteri pubblici dei nuovi strumenti necessari per orientare l’attività di pianificazione in difesa dell’interesse generale e, in particolare, per la razionale utilizzazione delle risorse territoriali e la solidarietà sociale. Entrambe le leggi introducono alcune innovative regole non contrattabili in materia di sostenibilità e di risposta alla domanda abitativa dei gruppi più deboli. Cfr. Introduzione di Maria Cristina Gibelli alla presentazione del volume La controriforma urbanistica, Roma, 15 dicembre, ex-albergo Bologna.

[10] Per una puntuale trattazione del tema relativamente ai “principi fondamentali” di competenza statale” e al governo del territorio di competenza regionale rinvio al contributo del giurista Paolo Urbani Osservazioni sul testo di riforma in materia di principi fondamentali del governo del territorio, in Maria Cristina Gibelli (a cura di), La controriforma urbanistica. Critica al disegno di legge "Principi in materia di governo del territorio", op. cit.

[11]Edoardo Salzano Relazione al convegno “Elementi imprescindibili di una legge urbanistica regionale”, Gruppi consiliari regionali Verdi, Rifondazione conunista, Comunisti italiani, Torino, 21 gennaio 2006; pubblicato su eddyburg il 22.01.2006.

CAGLIARI. La giunta Soru ha istituito la Conservatoria delle coste. Un organismo sul modello del National Trust inglese e del Conservatoire du littoral francese che ha il compito di promuovere acquisizioni di terreni lungo i 1.850 chilometri di costa anche attraverso sottoscrizioni, lasciti, permute, da privati e da altri enti, e di tutelare questo patrimonio dai rischi ai quali è sottoposto.

Naturalmente l'istituzione del «conservatore» delle coste da solo così non è sufficiente e pertanto, per l'attuazione pratica, servirà una legge organica che sarà fatta a breve scadenza. Secondo la delibera della giunta regionale, la Conservatoria delle coste sarde potrà agire su più livelli. Gestirà i beni immobili costieri di rilevante interesse paesaggistico e ambientale facenti già parte del patrimonio e del demanio regionale, ma potrà anche acquisire i territori costieri più fragili o a rischio di degrado e compromissione: sia attraverso accordi con Stato, enti e amministrazioni locali, sia attraverso donazioni, sia attraverso l'acquisto mediante sottoscrizioni pubbliche. Nel caso di

donazioni o lasciti, i terreni verranno acquisiti al demanio regionale con specifico vincolo di destinazione alla Conservatoria. Dopo l'acquisizione, la Conservatoria potrà attuare i lavori di ripristino naturale delle località e poi predisporre i piani di gestione, che saranno successivamente affidati a enti e comunità locali, a cooperative, società o associazioni ambientaliste che assicureranno l'accesso al pubblico.

Coerentemente con la linea dell'amministrazione — si legge nella deliberazione della giunta — la Conservatoria non sarà un nuovo ente, ma avrà una struttura agile che vedrà nel presidente della Regione il garante del coordinamento delle politiche paesaggistiche e ambientali.

Il Comitato d'indirizzo, con competenze politiche e programmatiche, sarà formato dallo stesso presidente della Regione, dagli assessori dei Beni culturali, degli Enti locali, della Difesa dell'Ambiente, della Programmazione, del Turismo, affiancati da tre esperti che saranno nominati dalla giunta con incarico triennale. La struttura tecnica e operativa verterà su un nuovo servizio interassessoriale che verrà istituito nella presidenza della Regione e che si avvarrà di risorse degli assessorati interessati. Questo secondo livello si occuperà dell'attività giuridico-amministrativa (ad esempio acquisizione delle aree, istruttorie, predisposizione delle sottoscrizioni pubbliche); curerà e attuerà i piani di gestione delle aree costiere; predisporrà i monitoraggi paesaggistici, ambientali e naturalistici; curerà le campagne di informazione e di educazione su paesaggio e ambiente; promuoverà il turismo sostenibile nelle aree interessate. Per proteggere e valorizzare i 1.850 chilometri costieri della Sardegna, la Conservatoria dovrà raccordarsi con uffici di tutela del paesaggio, Corpo Forestale, con l'agenzia per l'ambiente, l'Arpas, e, più in generale, con tutte le strutture regionali competenti in materia di ambiente e paesaggio.

Pierre Vilar, storico francese della scuola delle Annales, era solito ammonire che “nel mercato delle idee, come in quello dei detersivi, spesso la novità del marchio è fatta passare per innovazione per sostenere in un mercato stagnante prodotti altrimenti destinati ad essere declinanti nella capacità di penetrazione”.

E’ una considerazione che spesso mi torna alla mente quando vedo proporre come modalità di intervento che pretendono di accreditarsi per innovazioni risolutive ed inedite rispetto ad una condizione precedente di cui spesso ci scordiamo il quadro delle esperienze passate e il percorso attraverso cui si è arrivati alla condizione attuale.

Con un lessico volutamente dimesso, ma allusivo di un atteggiamento di concretezza pragmatica, Mazza ha intitolato il suo più recente libro, in cui sistematizza l’esperienza svolta attorno al Documento di Inquadramento urbanistico del Comune di Milano, “prove parziali di riforma urbanistica”. Io credo, invece, riprendendo il titolo di un intervento di Mario Viviani su un numero di Urbanistica Informazioni del 2003, che quelle prove parziali siano già in atto da oltre un trentennio e siano prove parziali di controriforma, ormai accumulatesi in modo implementare e cui le riflessioni più recenti tentano solo di dare una etichetta di innovazione, dando loro una sistemazione organica.

In questo quadro vanno iscritte tutte le modificazioni legislative introdotte dopo il 1977, dal DPR 616/77, alla 1/78, all’art 16 della 179/92, ai vari provvedimenti su PRU, PRUSST, STU e quant’altro.

Nel 1966 la frana di duecentomila metri cubi di edifici malamente accumulati sul fianco di una collina di Agrigento da una serie di episodiche contrattazioni fra Amministrazione comunale e proprietà fondiarie, colpì talmente l’opinione pubblica da indurre le forze politiche, sino ad allora in maggioranza renitenti a porre regole ai criteri di utilizzo della città e del territorio da parte di proprietari fondiari ed imprenditori edili, ad approvare l’anno successivo in Parlamento la cosiddetta Legge Ponte, che riportava le “convenzioni” con i privati ad un orizzonte di un minimo di coerenza di disegno urbanistico, obbligando i Comuni a dotarsi di un Piano regolatore in cui fossero indicate quantità e localizzazioni delle aree edificabili e dotazioni minime di attrezzature pubbliche.

Dal 1967 al 1992, pur con una serie di difficoltà e contraddizioni (durata quinquennale dell’attuabilità dei vincoli pubblici, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 1968), la subordinazione delle scelte private ad una programmazione pubblica di quantità, localizzazioni e dotazioni di attrezzature attraverso il Piano regolatore, divenne senso comune. Tanto che quando, nel 1992, due oscuri deputati, Botta e Ferrarini, un democristiano e un socialista, quasi come i Rosenkranz e Guildestern dell’Amleto shakespeariano, introdussero avventurosamente in un provvedimento di rifinanziamento dell’edilizia pubblica un emendamento che consentiva ai privati di proporre edificazioni in quantità e localizzazioni diverse da quanto prescritto dai Piani regolatori, la cosa apparve così lontana dal senso comune che si era consolidato, che per diverso tempo i privati non si attivarono a farne proposta né i Comuni a promuoverne attraverso i cosiddetti Programmi Integrati di Intervento (PII).

Solo a partire dal 1995 l’Emilia e nel 1999 la Lombardia iniziarono ad introdurre legislazioni regionali che stabilivano criteri molto larghi cui quelle proposte dovevano ispirarsi (pluralità di funzioni, una certa maggiorazione delle dotazioni pubbliche rispetto ai criteri del PRG); nel contempo lo Stato, con una serie di provvedimenti congiunturali, ha esteso la possibilità di quelle proposte “in deroga” alle previsioni di Piano regolatore, motivandole con estemporanee finalità di incentivo alle trasformazioni urbane (Piani di riqualificazione urbana PRU, Piani di riqualificazione urbana socialmente e territorialmente sostenibili PRUSST, Società di trasformazione urbana STU, eccetera).

Si è così andato consolidando un nuovo senso comune che, a fianco dei vecchi Piani regolatori, ma anche di nuove e più articolate forme di programmazione pubblica dell’assetto complessivo della città e del territorio (piani strutturali/operativi; piani di governo del territorio, ecc.), vede passare le operazioni più consistenti dal punto di vista dimensionale, strategico e di lucrosità economica attraverso trattative caso per caso, nobilitate talvolta dalla denominazione di “programmazione negoziata”.

In queste trattative tra Amministrazioni comunali (spesso ristrette alla figura del Sindaco e della Giunta, anche se poi i consigli comunali debbono “ratificare” le decisioni prese, sotto il ricatto di non poter praticare una smentita del loro operato, tale da provocarne le dimissioni e il conseguente scioglimento del Consiglio) e privati proponenti, ogni criterio di oggettività è travolto: se cambio la destinazione di un’area da industriale ad area residenziale e terziaria, debbo attribuirle un’edificabilità paragonabile a quella delle aree previste a destinazione simile in PRG ? No - sostengono i fautori della flessibile modernità della programmazione negoziata - anche doppia o tripla delle altre aree: basta che il progetto - meglio se infiocchettato dai lustrini di qualche gran nome dello star-system global-mediatico dell’architettura nazionale e internazionale ci paia convincente ! Ma questi progetti debbono almeno garantire la dotazione di aree pubbliche proporzionate secondo i criteri di un piano generale alle grandi quantità volumetriche che propongono ? No, che volgare banalità, che mentalità arretrata: standard qualitativi (in pratica meno aree pubbliche, ma opere pubbliche più fantasmagoricamente rutilanti e costose: palazzi della moda, musei del design, centri congressi e chi più ne ha più ne metta) e monetizzazioni (che non sono più garantite debbano tornare ad impiegarsi in aree od opere pubbliche), consentono di approvare qualunque progetto che a Sindaco, Giunta e maggioranza consiliare del momento paia convincente, indipendentemente dalle dotazioni di aree pubbliche previste. Anzi, sempre più spesso, l’effetto di “scoop” dell’immagine di queste opere pubbliche affidate all’indiscutibilità della fama mediatica dei grandi nomi dello stilismo architettonico viene usata da amministratori in vena di cavalcare una sempre più pervasiva politica-spettacolo per giustificare con la necessità di volumetrie adeguate a sostenere il loro costo, tanto da indurre a riflettere se non sia giunto il momento di chiedere un’estensione delle rivendicazioni no logo anche al campo delle manifestazioni della creatività architettonica !

E se qualcuno osa chiedere dove ci sta portando la sommatoria di queste trattative caso per caso, e se ha un senso complessivo tutto ciò, che progetto di città e di territorio stiamo perseguendo, si risponde che sono domande oziose, che ci stiamo muovendo verso un futuro radioso di cambiamento e modernità, e non importa dove arriveremo !

Tutta quest’inedita e flessibile modernità a me pare assomigli tanto a quella stagione di “convenzioni” senza progetto generale che condussero nel 1966 all’episodio simbolico della frana di Agrigento e indusse, infine, persino i partiti moderati del centro-sinistra a voltare pagina. Abbiamo bisogno di aspettare una nuova frana di Agrigento (che magari questa volta non sarà una frana edilizia, ma ecologico-ambientale: Sarno e i suoi 200 morti nel 1998, la quotidiana emergenza di smog e traffico sono segnali altrettanto gravi e preoccupanti, ma forse molti sono diventati più insensibili) perché si debba essere indotti a riflettere ?

Eppure, oggi, la linea di un arretramento della decisionalità pubblica subordinata alla sussidiaria consensualità con le proposte degli interessi privati retti dalle aspettative del libero mercato, passa nella proposta di legge sul governo del territorio in discussione in Parlamento attraverso uno schieramento trasversale tra maggioranza ed opposizione che va dal ciellino Maurizio Lupi, già assessore comunale a Milano, al deputato milanese della Margherita Pierluigi Mantini, sino a raccogliere il consenso di un urbanista già di sinistra come Campos Venuti, che giudica il loro disegno di legge più interloquibile che neanche quello proposto dai DS !

Questo orizzonte non è stato contraddetto neppure dalla direzione indicata dalla L. 12/2005 della Regione Lombardia che con il Piano di Governo del Territorio (PGT), articolato nei tre strumenti del Documento di Piano, Piano delle regole e Piano dei servizi ha scelto un indirizzo solo apparentemente collocato nel solco della proposta INU del 1995 di un’articolazione del PRG in una fase strategica complessiva a tempo indeterminato e Piani operativi quinquennali che le dessero corpo attuativo, ponendosi piuttosto nella prospettiva di una gestione per sommatoria di Piani quinquennali operativi (o peggio, secondo alcune interpretazioni più lassiste, per sommatoria di Documenti di Inquadramento Urbanistico, ancor più vaghi ed evanescenti nei loro effetti applicativi) il cui risultato finale è del tutto imprevedibile. Alcuni esempi di contraddizioni in questa delega alla conformazione urbana affidata alla progettualità privata sono già individuabili: possibilità che il 51% delle proprietà presenti un attuazione degli obiettivi quantitativi di edificazione e spazi ed attrezzature sulle proprie aree escludendo le altre; impossibilità di discutere impostazioni progettuali radicalmente alternative a quelle concordate tra proprietà fondiaria e attuatori immobiliari (cfr. PII ex Fiera), permanenza delle proposte contingenti di PII in programmazione negoziata, ecc.

A Milano questa stagione di allegre contrattazioni sull’orlo del baratro, si è data il nome di Nuovo Rinascimento Urbano. Se si intende sottolinearne il carattere di decisioni élitarie ed antidemocratiche, garantite unicamente dal placet del “principe”, la denominazione mi pare quanto mai appropriata (anche se é lecito dubitare che si tratti di prìncipi ed artisti altrettanto “illuminati” di quelli rinascimentali, quando comunque si poteva essere “grandi” nelle ambizioni e anche negli errori, senza con ciò provocare catastrofi irreversibili).

A me piacerebbe che le forze politiche ed intellettuali che non condividono la fiducia in queste concezioni succubi di un’abdicazione al ruolo di indirizzo e propositività pubblica, vi contrapponessero una denominazione ispirata dal titolo di un libro che Giuseppe De Finetti iniziò a scrivere nel 1943, sotto i bombardamenti, in vista del programma della futura Italia liberata e democratica: Milano Risorge.

Ecco: forse Risorgimento urbano sarebbe una denominazione più appropriata per un’idea di governo della città orientato da proposte pubblicamente partecipate e condivise.

Occorre tornare all’essenza della proposta INU del 1995: un Piano strategico che definisca quantità di edificazione, di aree ed attrezzature pubbliche e beni comuni non disponibili, senza porre vincoli legati alla proprietà, ma che definisca gli obiettivi del “progetto di città” che la collettività intende perseguire e che, in quanto carta costituzionale del territorio, sarebbe auspicabile venisse approvato o modificato a maggioranza qualificata e con procedure più che garantiste della partecipazione allargata. Un piano quinquennale che articoli quelle scelte strategiche in fasi operative che le legano alle proprietà, fissandovi anche i vincoli espropriativi da attuare in quel periodo. In quell’orizzonte temporale non si potrà certo sostenere che gli obiettivi indicati dalla programmazione pubblica svolgano un ruolo troppo statico od obsoleto, come spesso si é detto di quelli di PRG lasciati troppo a lungo invecchiare, e, quindi, si può proporre di abrogare tutti gli strumenti derogatorio/negoziali di vario genere venuti in auge da un quindicennio a questa parte.

Ritengo indispensabile porre come discriminante l’assunzione di un tale punto di vista, che faccia giustizia di oltre un decennio di “programmazione negoziata” risoltasi per lo più in una servile “negoziazione programmatica”.

Si potrebbero, a quel punto, introdurre alcuni miglioramenti procedimentali lasciati insoluti dalla grande stagione riformista degli anni Sessanta e Settanta: estensione ai permessi edificatori singoli della partecipazione agli oneri di esproprio delle aree pubbliche, obbligo di destinare le monetizzazioni di aree all’acquisizione di nuove aree, reintroduzione dell’obbligo di destinare gli oneri urbanizzativi alla realizzazione e manutenzione delle attrezzature urbane e non a spese correnti, rigida separazione dell’uso del contributo commisurato al costo di costruzione, da destinare anche a nuove finalità sociali (risparmio energetico, bioedilizia, ecc.), in aggiunta a quelle originarie di contenimento del costo abitativo. E con ciò anche gran parte delle fumisterie sulle politiche di “perequazione edificatoria”, motivate dalla carenza di risorse per le acquisizioni di aree - ma spesso, in realtà, veri e propri premi aggiuntivi alla rendita che stravolgono le previsioni insediative -, verrebbero ampiamente ridimensionate !

CAPO I - NORME IN MATERIA DI PIANO TERRITORIALE REGIONALE

Art. 1 - Finalità

1. La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia svolge le proprie funzioni di pianificazione territoriale attraverso la formazione del nuovo piano territoriale regionale (PTR). Per tale scopo ripartisce le attribuzioni della pianificazione territoriale tra la Regione e i Comuni, stabilisce che la funzione della pianificazione intermedia è svolta dai Comuni, nonché determina le finalità strategiche e i contenuti del PTR, che includono anche la valenza paesaggistica.

2. La disciplina del presente capo esercita la sua efficacia nelle more del riordino organico della normativa regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica, in attuazione dell’articolo 4, primo comma, n. 12), dello Statuto speciale adottato con la legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, e successive modificazioni, nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Art. 2 - Definizioni

1. Nella presente legge:

a) l’espressione “risorse essenziali di interesse regionale” indica:

1) aria, acqua, suolo ed ecosistemi

2) paesaggio;

3) edifici, monumenti e siti di interesse storico e culturale;

4) sistemi infrastrutturali e tecnologici;

5) sistemi degli insediamenti;

b) l’espressione “piano territoriale regionale” (PTR) indica l’insieme degli elaborati conoscitivi, programmatici, normativi e cartografici tramite i quali la Regione svolge le proprie funzioni di pianificazione territoriale regionale.

Art. 3 - Attribuzioni della Regione

1. La funzione della pianificazione della tutela e dell’impiego delle risorse essenziali di interesse regionale è della Regione.

2. La legge regionale stabilisce i criteri per individuare le soglie oltre le quali la Regione svolge le funzioni di cui al comma 1 per mezzo del PTR.

3. La legge regionale stabilisce, altresì, le procedure attraverso le quali la Regione assicura che la tutela e l’impiego delle risorse essenziali siano garantiti dagli strumenti urbanistici di livello subordinato.

Art. 4 - Attribuzioni del Comune

1. La funzione della pianificazione territoriale è del Comune che la esercita nel rispetto dei principi di adeguatezza, interesse regionale e sussidiarietà, nonché nel rispetto delle attribuzioni riservate in via esclusiva alla Regione in materia di risorse essenziali di interesse regionale e in coerenza alle indicazioni del PTR.

2. Il Comune, in forza del principio di sussidiarietà e di adeguatezza, esercita anche con enti pubblici diversi dal Comune, la funzione della pianificazione territoriale a livello sovraccomunale quando gli obiettivi della medesima, in relazione alla portata o agli effetti dell’azione prevista, non possano essere adeguatamente raggiunti a livello comunale.

3. La legge regionale stabilisce i casi nei quali il Comune svolge la funzione della pianificazione territoriale a livello sovraccomunale e le forme di cooperazione istituzionale con cui la esercita, quali le associazioni intercomunali previste dall’ordinamento in materia di autonomie locali.

4. Nei territori di cui all’articolo 4 della legge 23 febbraio 2001, n. 38 (Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia), la pianificazione territoriale deve tendere alla salvaguardia delle caratteristiche storico-culturali della collettività locale.

5. Il piano regolatore generale del Comune è assoggettato alle procedure di cui alla direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, e alle successive norme di recepimento, nonché alle metodologie di Agenda 21.

Art. 5 - Finalità strategiche del PTR

1. Il PTR persegue le seguenti equi-ordinate finalità strategiche:

a) la conservazione e la valorizzazione del territorio regionale, anche valorizzando le relazioni a rete tra i profili naturalistico, ambientale, paesaggistico, culturale e storico;

b) le migliori condizioni per la crescita economica del Friuli Venezia Giulia e lo sviluppo sostenibile della competitività del sistema regionale;

c) le pari opportunità di sviluppo economico per tutti i territori della regione;

d) la coesione sociale della comunità, nonché l’integrazione territoriale, economica e sociale del Friuli Venezia Giulia con i territori contermini;

e) il miglioramento della condizione di vita degli individui, della comunità, degli ecosistemi e in generale l’innalzamento della qualità ambientale;

f) le migliori condizioni per il contenimento del consumo del suolo e dell’energia, nonché per lo sviluppo delle fonti energetiche alternative;

g) la sicurezza rispetto ai rischi correlati all’utilizzo del territorio.

Art. 6 - Contenuti ed elementi del PTR

1. Il PTR è costituito da:

a) un documento che analizza lo stato del territorio della regione, ivi incluse le relazioni che lo legano agli ambiti circostanti, le principali dinamiche che esercitano un’influenza sull’assetto del territorio o da questo sono influenzate, nonché lo stato generale della pianificazione della Regione e dei Comuni;

b) un documento che stabilisce gli obiettivi del PTR, generali e di settore, sulla base delle finalità strategiche indicate dalla legge, descrive i programmi e i metodi di pianificazione stabiliti per conseguire gli obiettivi;

c) supporti grafici in numero adeguato e scala conveniente per rappresentare l’assetto territoriale stabilito dal PTR e assicurare la cogenza del medesimo;

d) norme di attuazione, integrate con i supporti grafici, con prescrizioni che disciplinano tutta l’attività di pianificazione e assicurano la cogenza del PTR.

e) Il PTR esprime altresì la valenza paesaggistica di cui all’articolo 135 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 37), e contiene prescrizioni finalizzate alla tutela delle aree di interesse naturalistico e paesaggistico di cui alle direttive comunitarie e relativi atti di recepimento, nonché alle norme di legge nazionale e regionale.

Art. 7 - Formazione del PTR

1. La formazione del PTR avviene in conformità alla direttiva n. 2001/42/CE e alle successive norme di recepimento, nonché con le metodologie di Agenda 21.

Art. 8 - Adozione e approvazione del PTR

1. La Giunta regionale predispone il progetto di PTR e lo sottopone al parere del Consiglio delle Autonomie locali.

2. La Giunta regionale, anche sulla base delle valutazioni e delle proposte raccolte in esito al parere del Consiglio delle Autonomie locali, elabora il progetto definitivo di PTR.

3. Il progetto definitivo di PTR è sottoposto al parere della competente Commissione consiliare che si esprime entro trenta giorni dalla data della richiesta ed è adottato con decreto del Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale.

4. Il PTR adottato è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione e depositato per la libera consultazione presso la Direzione centrale pianificazione territoriale, energia, mobilità e infrastrutture di trasporto. Entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione possono formulare osservazioni:

a) gli enti ed organismi pubblici;

b) le associazioni di categoria ed i soggetti portatori di interessi diffusi e collettivi riconosciuti in ambito regionale;

c) i soggetti nei confronti dei quali le previsioni di PTR adottato sono destinate a produrre effetti diretti.

5. Esperite le procedure di cui ai precedenti commi e tenuto conto delle osservazioni di cui al comma 4, il PTR è approvato, previa deliberazione della Giunta regionale, con decreto del Presidente della Regione e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione. L’avviso dell’avvenuta approvazione è pubblicato contestualmente sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica e su due quotidiani a diffusione regionale.

CAPO II - NORME IN MATERIA DI LOCALIZZAZIONE DI INFRASTRUTTURE STRATEGICHE

Art. 9 - Finalità

1. Le norme del presente capo hanno lo scopo di preservare la possibilità di realizzare infrastrutture strategiche ovvero di dotare la Regione di strumenti che ne facilitino la realizzazione.

Art. 10 - Sospensione temporanea dell’edificabilità

1. La Giunta regionale è autorizzata a sospendere per un periodo massimo di tre anni ogni determinazione sulle domande di concessione o di autorizzazione edilizia in contrasto con progetti che siano stati dichiarati di interesse regionale.

2. La Giunta regionale delibera la dichiarazione di interesse regionale dei progetti d’intesa con i Comuni interessati previo espletamento delle procedure di Agenda 21; la deliberazione è pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione.

3. La deliberazione di cui al comma 2 include gli elaborati tecnici necessari alla localizzazione nello strumento urbanistico comunale degli interventi previsti dal progetto di interesse regionale e prevale sulle destinazioni d’uso previste dal piano regolatore generale comunale.

4. L’approvazione del progetto definitivo delle opere costituisce accertamento di conformità urbanistica e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei relativi lavori.

Art. 11 - Società di Trasformazione Urbana Regionale

1. La Regione, a seguito di intesa preventiva con i Comuni, è autorizzata a promuovere e costituire Società di Trasformazione Urbana Regionale (STUR) per attuare progetti di particolare rilievo. Gli enti locali territoriali, le società controllate dagli enti pubblici e gli enti pubblici economici possono partecipare alla STUR in relazione alle rispettive competenze istituzionali. L’adesione del Comune alla STUR è condizione affinché la stessa operi nel Comune medesimo.

2. La STUR provvede all’acquisizione degli immobili interessati dall’intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione degli stessi. Le acquisizioni possono avvenire consensualmente o tramite procedure di esproprio. La partecipazione di azionisti privati è subordinata all’espletamento di una procedura ad evidenza pubblica e i proprietari delle aree interessate dall’intervento rivestono la qualità di socio ove conferiscano i relativi beni.

3. Ulteriori nuovi soci diversi da Regione e enti locali territoriali possono essere individuati fra le società controllate da Regione ed enti locali territoriali medesimi.

4. La STUR è costituita in forma di società per azioni e per la valutazione dei beni conferiti si applicano le regole del codice civile; ai soci spetta il diritto di prelazione in caso di alienazione di partecipazione da parte di altri soci.

5. La Regione e gli enti locali territoriali indicano la maggioranza dei consiglieri di amministrazione della STUR.

6. Per quanto non previsto trovano applicazione le disposizioni dell’articolo 120 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), se e in quanto non in contrasto con la presente disciplina.

7. Le presenti disposizioni si applicano anche alla società di cui all’articolo 4, comma 121, della legge regionale 26 gennaio 2004, n. 1 (Legge finanziaria 2004), e successive modifiche.

8. La legge regionale individua le risorse finanziarie necessarie alla Regione per la costituzione della STUR.

CAPO III - NORME TRANSITORIE

Art. 12 - Norme transitorie

1. Le disposizioni contenute nell’articolo 4 sono efficaci dalla data di entrata in vigore della legge regionale di riordino del titolo IV della legge regionale 19 novembre 1991, n. 52 (Norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica).

2. Nelle more dell’entrata in vigore del PTR, e comunque non oltre novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale definisce indirizzi per la salvaguardia delle aree assoggettate a vincolo paesaggistico, anche tenendo conto degli orientamenti di cui alla deliberazione della Giunta regionale 5 giugno 1998, n. 1921, previa acquisizione del parere della competente Commissione consiliare che si esprime entro trenta giorni dalla richiesta.

Caro Eddyburg, Ho letto con grande attenzione l’intervento di Luigi Scano, dal titolo “ non mitizziamo le misure di salvaguardia”, in cui sono evidenziati spunti interessanti, in merito ai quali ritengo utile contribuire con alcune riflessioni.

Nell’intervento relativo alle “misure di salvaguardia” così come strutturate dalla L.R. della Campania n. 16/2004, volevo porre l’attenzione su alcuni aspetti applicativi delle innovazioni introdotte, di cui forse non ho evidenziato con la giusta chiarezza le ricadute e gli aspetti più problematici.

La L.R. n. 16/2004, prevede che nelle procedure di formazione ed approvazione dei piani generali comunali, le “misure di salvaguardia” non sono efficaci, in un momento molto delicato, quale l’esame delle osservazioni inoltrate alla Pubblica Amministrazione e l’elaborazione delle controdeduzioni. Infatti, la legge campana, prevede che l’atto deliberativo della Giunta Comunale, da inizio alla fase di pubblicazione, mentre successivamente il Consiglio Comunale “adotta” il Piano con atto deliberativo, in cui esamina anche le osservazioni ed in relazione ad esse controdeduce. Quindi la delibera di Giunta Comunale non propone semplicemente al Consiglio l’adozione del “Piano”, ma da inizio alla fase di pubblicazione e recepimento delle osservazioni. In pratica nella fase della pubblicazione, ed esame delle osservazioni, e quindi approvazione dell’atto deliberativo, da parte del Consiglio Comunale con cui si “adotta” il Piano, non sono efficaci le “misure di salvaguardia”.

Non ho mai creduto che le norme abbiano virtù salvifiche, meno che mai nelle materie urbanistiche, ma anzi esse, oltre ad essere espressione di una “visione del mondo” da parte di una maggioranza che legifera, hanno valore temporaneo, proprio perché modificabili sulla base dell’esperienza diretta applicativa, ed in conseguenza del modificarsi degli obiettivi che una collettività si prefigge.

Credo, che i “Piani” debbano essere patrimonio di una maggioranza, la più ampia possibile; essi per loro natura sono atti pubblici, nel senso più profondo, e le Amministrazioni Comunali che li elaborano, hanno l’obbligo, non solo normativo, di cercare la massima condivisione e partecipazione alla collettività, sia nella fase di elaborazione che nelle procedure di formazione ed approvazione. In merito a questi ultimi aspetti, nessuna norma impedisce alle Amministrazioni Comunali di cercare di attuare le più efficaci forme di partecipazione, di scelte importanti, come quelle riguardanti il territorio in cui vive una comunità, e questo dovrebbe avvenire, ed avviene in molti casi, dopo aver deciso di elaborare un nuovo “Piano”, nelle fasi precedenti al momento in cui un’amministrazione decide formalmente di iniziare l’iter di approvazione di uno strumento urbanistico generale.

Nelle fasi di partecipazione e condivisione di uno strumento urbanistico generale, spesso con difficoltà e pazienza si forma una maggioranza, che condivide delle scelte di assetto territoriale, e penso, nelle esperienze migliori, cerca di porre un argine alle spinte più retrive della speculazione. Nei casi in cui, dopo aver ricercato la massima partecipazione, si decide di iniziare l’iter di approvazione del “Piano”, con l’adozione dell’atto deliberativo, da parte della Giunta Comunale, si da inizio alla fase di pubblicazione (L.R. n. 16/2004), ed a questo punto, l’impianto della Legge n. 1150/1942 prevedeva che con la delibera che dava inizio alla fase di pubblicazione, iniziasse anche l’efficacia delle “misure di salvaguardia”, mentre il legislatore campano, ha spostato in una fase ancora successiva le necessarie “salvaguardie”. Non si comprende la necessità dell’innovazione introdotta, anche perché non risponde ad un principio di semplificazione delle procedure, infatti il procedimento non avrebbe subito alcun “appesantimento” dall’efficacia delle misure di salvaguardia, nel momento in cui si inizia la fase di pubblicazione, in pratica sarebbe rimasto inalterato, sia nei tempi che negli adempimenti amministrativi.

In relazione alla possibilità di “secretare” le previsioni di uno strumento urbanistico, ritengo che oltre ad essere impossibile, sia anche esercizio inutile e dannoso; però non capisco quale utilità abbia, alla fine di un tortuoso percorso di partecipazione delle scelte di Piano, eliminare una semplice forma di garanzia, nella fase in cui l’amministrazione comunale recepisce e controdeduce rispetto alle osservazioni.

Prevedere che le misure di salvaguardia siano efficaci solo dopo che l’amministrazione ha pubblicato il Piano, recepito ed esaminato le osservazioni, provoca la possibilità che una minoranza portatrice di interessi “altri” e “minoritari” potrà far sentire, ancora, il proprio peso, con tutte le conseguenze immaginabili, a discapito di una maggioranza che si è formata nel dibattito e nella partecipazione delle scelte operate; anche perché il legislatore dovrebbe prevedere le forme più chiare e corrette di interventi da parte di soggetti interessati, mentre in questo caso , si provoca a mio parere una dannosa sinergia tra le motivazioni che potranno formare le osservazioni, ed istanze di Permessi di Costruire non conformi al Piano in corso di approvazione. Le norme, credo che devono tendere ad evitare “zone” di pressione al di fuori dei procedimenti formali, e probabilmente il legislatore del 1942, a questo tendeva “garantendo” la fase in cui l’amministrazione esamina le osservazioni al “Piano”.

L’aspetto che qui evidenzio penso che non sia trascurabile, soprattutto nella Regione Campania dove la presenza pervasiva della “criminalità organizzata”, si esplica anche incidendo sulle dinamiche territoriali. In merito a quest’ultimo punto, sono convinto, che in ampie zone della Regione Campania, la “forma” attuale del territorio è l’espressione, anche della “storia delle organizzazioni criminali”, e non sembri paradossale ma ritengo che si potrebbe scrivere una “storia dell’urbanistica della criminalità organizzata”, che riserverebbe molte sorprese interessanti.

Quindi, senza “mitizzare” le misure di salvaguardia, mi sembra poco proficuo che esse non siano efficaci, ripeto, in una fase delicata e cioè nel momento in cui si esaminano le osservazioni e si decide in merito ad

esse.

Sono auspicabili tutte le innovazioni normative che tendono a semplificare i procedimenti ed a ridurre i tempi di approvazione degli strumenti urbanistici, ma a volte sembra che alcune novità vadano solo nella direzione di ridurre le già scarse forme di garanzia di affermazione di un interesse generale, rispetto agli interessi di “pochi”, ma economicamente rilevanti, e trovano la massima giustificazione nel “liberare” gli operatori economici da “lacci e laccioli”, come il “Cavaliere” definisce le norme che prevedono qualche forma di garanzia per la maggioranza dei cittadini.

Le norme regionali, in tutte le materie, ma in particolare per quelle che riguardano la programmazione del territorio, credo che debbono avere nella giusta considerazione le condizioni della società nella quale saranno applicate, ed esplicheranno effetti; quindi in Campania il legislatore non può ignorare quello che ha permesso al legislatore nazionale, in alcuni momenti, di emanare norme per rendere più efficace la lotta alle “mafie”, e cioè una profonda consapevolezza delle reali forze che incidono sull’evoluzione degli assetti del territorio.

Nel ringraziarvi per aver letto questa nota, vi saluto con stima e ammirazione.

Risponde Luigi Scano

Ritengo inutile postillare cavillosamente il nuovo intervento di Salvatore Napolitano sul tema dell'applicazione delle misure di salvaguardia secondo i dettati della legge regionale campana 16/2004, anche perchè l’intervento nella sua sostanza è del tutto condivisibile. Nel mio scritto (Non mitizziamo la salvaguardia) volevo semplicemente, a partire dal precedente intervento di Salvatore Napolitano, indurre a riflettere sull'insanabile contraddizione tra l'obiettivo di realizzare anche il primo momento sub-procedimentale della formazione di uno strumento di pianificazione, cioé l'adozione, con la più ampia partecipazione democratica, istituzionale e magari non soltanto, e l'obiettivo di impedire che, nelle more delle discussioni e dei confronti sulle scelte più innovative proposte dal nuovo strumento, i soggetti interessati alle rendite e ai profitti ricavabili dall'attuazione delle trasformazioni ammesse dallo strumento tuttora vigente, e che si ritengano penalizzati dai nuovi precetti pianificatori proposti, chiedano e ottengano (come "atti dovuti") i provvedimenti abilitativi a operare quelle predette trasformazioni, vanificando di fatto, in tutto o in parte, l'applicabilità di questi nuovi precetti.

Avanzo una proposta provocatoria (peraltro adombrata in vecchie leggi sia del Friuli-Venezia Giulia che del Veneto) : non sarebbe il caso di sancire che alla deliberazione, di competenza dell'organo esecutivo dell'ente territoriale, della proposta dell'atto di avvio di un procedimento di formazione di uno strumento pianificatorio (lo si chiami così, o "atto di indirizzo", o "documento preliminare", o come accidenti si voglia), sia conferita la possibilità di stabilire delle speciali misure di salvaguardia, consistenti nella sospensione (rigorosamente a tempo determinato, ragionevolmente commisurato a quello di presumibile redazione materiale e adozione, da parte dell'organo democratico rappresentativo dello stesso ente territoriale, del nuovo strumento) dell'efficacia di talune previsioni trasformative, afferenti a taluni ambiti territoriali, dello strumento tuttora vigente.

Sia chiaro: questa ipotesi di disposto legislativo non porrebbe rimedio al rischio che qualche dipendente pubblico, o consulente o contrattista privato, addetto alla formulazione tecnica della proposta dell'atto di avvio del procedimento, e delle collegate speciali misure di salvaguardia, ovvero lo stesso assessore competente, ovvero qualche suo collega, ovvero ancora un usciere origliante dietro le porte, informi proprio i portatori degli interessi che sarebbero più incisi delle determinazioni in corso di elaborazione, o di decisione. Ma questa è questione che rimanda, ove si riesca a provare la natura di reato di siffatti comportamenti, alla legislazione penale e all'amministrazione della relativa giustizia, e, per il restante, alla tendenziale propensione al peccato dell'essere umano, derivante, almeno per le culture di radice giudaico-cristiana, al peccato originario, nell'Eden, dei progenitori dell'umanità: alla quale, fortunatamente, negli stati secolarizzati e più o meno soddisfacentemente liberali e laicizzati, non è più da un pezzo richiesto alla produzione legislativa di porre rimedio.

(Luigi Scano)"

La pianificazione della deregulation, viene teorizzata e utilizzata inizialmente a Milano per poi trovare a Roma il luogo di sistematica sperimentazione. Era prevedibile che alcune proposte di deroga urbanistica si sarebbero venute a trovare in aperta contraddizione con quanto previsto dalla pianificazione paesistica o dagli altri strumenti della tutela del territorio. In tre casi specifici dei “Programmi di recupero urbano” previsti dall’articolo 11 della legge 493/93, in aree localizzate all’interno di alcuni parchi urbani, le indicazioni della tutela paesistica rendevano impossibile la concretizzazione delle ipotesi di trasformazione urbanistica. Quando il rischio del blocco dei programmi di recupero urbano si è fatto più concreto, sono arrivate nuove norme legislative.

Nella legge 18 del 2004, la Regione Lazio ha variato la legge fondamentale della tutela del territorio regionale (n. 24/98) ed ha stabilito (art. 36 ter) che “…gli accordi di programma aventi ad oggetto programmi di recupero urbano di cui all’articolo 11 del dl 5 ottobre 93, n. 398 ed altri interventi di edilizia residenziale pubblica finanziati dalla Regione possano comportare variazioni ai Piani territoriali paesistici vigenti.”.

Nel 1985, con l’approvazione della legge 431 “Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale“ veniva, come noto, riconosciuto il principio che la tutela del paesaggio non riguarda singole bellezze naturali o culturali, ma attiene all’intero ambiente come segno e testimonianza della cultura. Veniva confermato il principio che la tutela dell’ambiente è elemento che dal punto di vista logico e procedurale precede la redazione degli strumenti di pianificazione urbanistica: questi sono dunque subordinati alle più generali ragioni della tutela, ne recepiscono i vincoli e le indicazioni di salvaguardia.

La regione Lazio capovolge questo ragionamento e afferma la prevalenza dei contenuti della pianificazione locale sugli strumenti di tutela, e cioè alla subordinazione degli interessi generali rispetto a quelli particolari. A differenza del trattamento riservato ad altre Regioni per fattispecie di ben minore rilevanza giuridica, il Governo non ha impugnato la legge.

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