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Vedi anche legge 20/2001

TITOLO I - URBANISTICA E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

Art. 1 (Finalità)

1. La presente legge, in attuazione dell'articolo 117 della Costituzione, dell'articolo 3 della legge 8 giugno 1990, n. 142 “Ordinamento delle autonomie locali” , nonché della legge 15 marzo 1997, n. 59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativo e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle Regioni e agli enti locali” , provvede a disciplinare l'articolazione e l'organizzazione delle funzioni attribuite in materia di urbanistica e pianificazione territoriale ed edilizia residenziale pubblica alla Regione, ovvero da questa conferite alle Province, ai Comuni o loro consorzi e alle Comunità montane.

Art. 2 (Oggetto)

1. Il presente titolo individua le funzioni trasferite o delegate agli enti locali e alle autonomie funzionali e quelle mantenute in capo alla Regione in materia di territorio, ambiente e infrastrutture e comprende tutte le funzioni e i compiti in tema di urbanistica, pianificazione territoriale ed edilizia residenziale pubblica, riguardanti la disciplina dell'uso del territorio nonché tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali afferenti alle operazioni di salvaguardia e di trasformazione dei suolo e alla protezione dell'ambiente.

Art. 3 (Funzioni della Regione)

1.La Regione mantiene le funzioni e i compiti conferiti dall'articolo 56 del d. lgs. 112/1998 e non attribuiti agli enti locali ai sensi dei successivi articoli 4, 6 e 7. In particolare la Regione esercita le seguenti funzioni:

a) concorso alla elaborazione delle politiche nazionali di settore mediante l'intesa con lo Stato e le altre Regioni;

b) attuazione, nelle materie di propria competenza, delle norme comunitarie direttamente applicabili;

c) definizione delle linee generali di assetto del territorio regionale;

d) formazione dei piani territoriali regionali e relativi stralci e varianti e controllo di conformità ai piani territoriali regionali dei piani regolatori comunali;

e) formazione del piano territoriale paesistico regionale e relative varianti;

f) verifica della compatibilità dei piani territoriali di coordinamento provinciali e loro varianti con le linee generali di assetto del territorio regionale di cui alla lettera b), nonché con gli strumenti di pianificazione e programmazione regionali;

g) apposizione di nuovi vincoli paesistici e revisione di quelli esistenti secondo le procedure del d.lgs 490/1999;

h) coordinamento dei sisterni informativi territoriali;

i) nulla-osta per il rilascio di concessioni edilizie in deroga agli strumenti urbanistici generali comunali;

j) repressione di opere abusive;

k) poteri sostitutivi in caso di inerzia degli enti locali nell'esercizio delle funzioni e compiti loro devoluti dalla presente legge ovvero dalla legislazione vigente in materia di pianificazione territoriale;

l) individuazione delle zone sismiche in armonia con le competenze statali;

m) redazione, attraverso i Consorzi per le aree e i nuclei di sviluppo industriale, dei piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale;

n) approvazione della convenzione-tipo per gli interventi di edilizia abitativa convenzionata;

o) produzione e gestione delle cartografie regionali nonché definizione di criteri, sulla base degli indirizzi statali, per la produzione cartografica degli enti locali, anche mediante utilizzazione dei supporti informatici di cui alla lettera h);

p) annullamento delle deliberazioni e dei provvedimenti comunali che autorizzano opere non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici generali o a norme del regolamento edilizio, ovvero costituiscono violazione delle prescrizioni o delle norme stesse;

q) designazione dei rappresentanti regionali, nominati dalla Giunta regionale, in seno alle Commissioni provinciali per la determinazione del valore agricolo medio;

r) definizione degli importi massimi e minimi degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e del costo di costruzione dei nuovi edifici;

s) elaborazione degli indirizzi regionali per il recupero edilizio, urbanistico e ambientale delle zone interessate dall'abusivismo e predisposizione dei programmi di intervento e opere finalizzati al recupero ambientale, paesistico e urbanistico delle zone maggiormente interessate dall'abusivismo;

t) determinazione del fabbisogno contributivo per la rimozione delle barriere architettoniche, sulla base delle determinazioni dei Comuni e ripartizione dei contributi fra i Comuni interessati;

u) individuazione dei Comuni tenuti alla realizzazione del programma urbano dei parcheggi;

v) individuazione delle bellezze naturali, di concerto con i Comuni interessati, nel rispetto delle linee fondamentali di cui all'articolo 52 del d.lgs. 112/1998 e secondo le procedure del d.lgs. 490/99;

w) rilascio degli atti di assenso relativi agli interventi sui beni soggetti a vincolo paesaggistico, nonché alle concessioni o autorizzazioni in sanatoria per opere eseguite su aree sottoposte allo stesso vincolo. Restano in vigore le deleghe già concesse.

2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, su proposta degli Assessori competenti, approva regolamenti di disciplina dei procedimenti amministrativi per le funzioni mantenute alla Regione, nonché atti di indirizzo nei confronti degli enti locali sulle modalità di esercizio delle funzioni delegate.

3. La Giunta esercita la potestà regolamentare, nonché quella di approvare i piani urbanistici, anche di settore, e/o i programmi di competenza regionale, ivi inclusi quelli i cui procedimenti non sono ancora definiti alla data di entrata in vigore della presente legge.

4. All'articolo 1, comma 1, della legge regionale 24 marzo 1995, n. 8, sono soppresse le parole “fino all'entrata in vigore del piano urbanistico territoriale tematico (PUTT) per il paesaggio e beni ambientali” .

Art. 4 (Funzioni delle Province)

1. Sono trasferite alle Province le seguenti funzioni amministrative:

a) formazione e approvazione del piano territoriale di coordinamento provinciale secondo le procedure individuate con successiva legge regionale;

b) nomina delle commissioni provinciali per la determinazione del valore agricolo medio.

Art. 5 (Piano territoriale di coordinamento provinciale)

1. In attuazione degli articoli 14 e 15 della L. 142/1990, nonché ai sensi dell'articolo 57 del d. lgs. 112/1998, il piano territoriale di coordinamento provvede, in base alle proposte dei Comuni e degli altri enti locali, nonché in coerenza con le linee generali di assetto del territorio regionale di cui all'articolo 2, comma 1, lettera. b) e con gli strumenti di pianificazione e programmazione regionali, a coordinare l'individuazione degli obiettivi generali relativi all'assetto e alla tutela territoriale e ambientale, definendo, inoltre, le conseguenti politiche, misure e interventi da attuare di competenza provinciale.

2. Il piano territoriale di coordinamento ha il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, a condizione che la definizione delle relative disposizioni avvenga nelle forme di intesa fra la Provincia e le amministrazioni regionali e statali competenti.

3. Il piano territoriale di coordinamento provinciale è atto di programmazione generale che definisce gli indirizzi strategici di assetto del territorio a livello sovracomunale, con riferimento al quadro delle infrastrutture, agli aspetti di salvaguardia paesistico-ambientale, all'assetto idrico, idrogeologico e idraulico-forestale, previa intesa con le autorità competenti in tali materie, nei casi di cui all'articolo 57 del d.lgs. 112/1998 e in particolare individua:

a) le diverse destinazioni del territorio in considerazione della prevalente vocazione delle sue parti;

b) la localizzazione di massima sul territorio delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;

c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica e idraulico-forestale e in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;

d) le aree destinate all'istituzione di parchi o riserve naturali.

4. Il piano territoriale di coordinamento provinciale, per quanto attiene ai contenuti e all'efficacia di piano paesistico-ambientale, oltre a quanto previsto dalla legislazione regionale (legge regionale 11 maggio 1990, n. 30), provvede a:

a) individuare le zone di particolare interesse paesistico-ambientale sulla base delle proposte dei Comuni ovvero, in mancanza di tali proposte, degli indirizzi regionali, i quali definiscono i criteri per l'individuazione delle zone stesse, cui devono attenersi anche i Comuni nella formulazione delle relative proposte;

b) indicare gli ambiti territoriali in cui risulti opportuna l'istituzione di parchi locali di interesse sovracomunale.

5. Nella fase di predisposizione del piano territoriale di coordinamento provinciale, la Provincia assicura la partecipazione attiva dei Comuni, delle Comunità montane, degli altri enti locali e delle autonomie funzionali e persegue la coerenza degli obiettivi di piano con le esigenze e le proposte manifestate da tali enti, acquisite in via preventiva.

6. Il piano territoriale di coordinamento provinciale è adottato dalla Provincia secondo la procedura prevista con successiva legge regionale urbanistica, da emanarsi ai sensi dell'articolo 15, comma 4, della L. 142/1990 e può essere adottato solo dopo l'approvazione dei piani territoriali regionali.

Art. 6 (Funzioni dei Comuni in materia di pianificazione territoriale)

1. Sono conferite ai Comuni le funzioni relative agli strumenti urbanistici comunali generali e attuativi e relative varianti; tali funzioni vengono esercitate sotto il controllo della Regione e secondo le procedure individuate con successiva legge regionale di settore.

2. Il Comune, nell'esercizio delle funzioni trasferite, deve assicurare un'adeguata informazione ai cittadini in merito alla definizione delle scelte urbanistiche e la trasparenza dell'azione amministrativa, disponendo in particolare la tempestiva comunicazione, anche mediante l'utilizzo di reti telematiche, dell'avvio del procedimento di formazione dello strumento urbanistico generale e delle varianti nonché dell'adozione e dell'efficacia, stabilendo il termine entro il quale chiunque ne abbia interesse può presentare istanze ai fini della determinazione delle scelte urbanistiche.

3. Il Comune promuove la consultazione con la Regione, la Provincia e le altre amministrazioni interessate, al fine di assicurare la contestuale ponderazione dei vari interessi pubblici nonché la partecipazione dei cittadini e il concorso delle organizzazioni sociali ed economiche alla formazione del piano regolatore generale e delle sue varianti mediante idonee forme di consultazione pubblica.

4. La Giunta regionale, mediante la nomina di un commissario ad acta, interviene in via sostitutiva, nei termini e con le modalità fissate con successiva legge regionale di settore, nel caso in cui sia stata denunciata la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 10, comma 2, lettere a), b), c) e d), della legge 17 agosto 1942, n. 1150, riguardanti:

a) la compatibilità del piano regolatore generale o delle sue varianti con gli strumenti pianificatori e programmatori di livello sovracomunale, a tal fine valutando, eventualmente, il parere espresso dalla Provincia;

b) il rispetto dei vincoli e delle norme di carattere paesistico-ambientale e idrogeologico;

c) il rispetto delle norme di tutela del patrimonio storico-artistico, acquisendo, in presenza di vincoli previsti dalla legge 1 giugno 1939, n. 1089 "Tutela delle cose di interesse artistico e storico", il parere della competente Soprintendenza.

Art. 7 (Funzioni dei Comuni in materia urbanistica)

1. Restano conferite ai Comuni le funzioni in materia urbanistica ed edilizia e in particolare:

a) l'adozione del regolamento edilizio;

b) la formazione dei comparti edificatori;

c) le autorizzazioni alle lottizzazioni;

d) l'espropriazione delle aree entro le zone di espansione dell'aggregato urbano per l'attuazione dello strumento urbanistico generale nonché delle aree incluse nei programmi pluriennali di attuazione;

e) la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nonché l'adozione dei provvedimenti repressivi;

f) il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni edilizie;

g) la determinazione dell'incidenza delle opere di urbanizzazione nonché l'aggiornamento degli oneri di urbanizzazione;

h) la determinazione del fabbisogno contributivo complessivo per l'eliminazione delle barriere architettoniche da trasmettere alla Regione;

i) la conservazione, l'utilizzazione, l'aggiornamento degli atti del catasto terreni e del catasto edilizio, nonché la revisione degli estimi e del classamento, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 65, comma 1, lettera h), del d. lgs. 112/1998;

i) la delimitazione di zone agrarie interessate da eventi calamitosi;

k) la rilevazione dei Consorzi di bonifica e degli oneri consortili gravanti sugli immobili;

l) il rilascio dell'autorizzazione per la realizzazione di aviosuperfici e campi di volo per aeromobili;

m) l'individuazione delle aree destinate alla circolazione fuoristrada, in sede di formazione dello strumento urbanistico generale o di sue varianti.

TITOLO II - EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA

Art. 8 (Oggetto)

1. Le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla materia “edilizia residenziale pubblica” attengono alla programmazione, alla localizzazione e alla vigilanza sull'attuazione degli interventi di edilizia residenziale e abitativa e ai relativi finanziamenti.

Art. 9 (Funzioni riservate alla competenza della Regione)

La Regione mantiene le funzioni e i compiti conferiti dall'articolo 60 del dlgs. 112/1998 e non attribuiti agli enti locali ai sensi degli articoli 10, 11 e 12 della presente legge. In particolare la Regione esercita le seguenti funzioni:

a) la determinazione delle linee di intervento e degli obiettivi nel settore dell'edilizia residenziale pubblica, di seguito denominata ERP, l'adozione dei piani annuali e pluriennali di intervento edilizio e il concorso, con la competente Amministrazione dello Stato nonché con gli enti locali interessati, nell'elaborazione di programmi di edilizia residenziale pubblica di interesse nazionale o regionale;

b) la ripartizione degli interventi per ambiti territoriali e la determinazione della quota dei fondi da ripartire per gli interventi di nuova edilizia e di recupero del patrimonio edilizio esistente nonchè la determinazione delle tipologie di intervento, compresi i programmi integrati, di recupero urbano e di riqualificazione urbana di iniziativa comunale e la definizione delle modalità di incentivazione, oltre alla destinazione dei fondi ai soggetti attuatori;

c) la determinazione delle procedure di rilevazione del fabbisogno abitativo;

d) la definizione dei costi massimi ammissibili per la realizzazione degli interventi;

e) l'individuazione dei soggetti incaricati della realizzazione dei programmi edilizi ammessi a finanziamento;

f) la vigilanza sull'esecuzione dei piani regionali;

g) l'emanazione dei bandi di concorso in relazione all'erogazione dei fondi per realizzazione degli interventi;

h) la concessione e l'erogazione i contributi pubblici anche attraverso il fondo regionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, nonché la regolamentazione dei flussi finanziari;

i) la determinazione dei criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di ERP, nonché la fissazione dei relativi canoni e del sistema di valutazione della situazione reddituale dei nuclei familiari;

j) la vigilanza sugli Istituti autonomi case popolari (IACP) e, in particolare, l'indirizzo e il coordinamento dell'attività, nonché la nomina degli organi di propria competenza;

k) la promozione della costituzione di consorzi regionali tra gli IACP aventi sede nella Regione;

l) la gestione, attraverso gli IACP, degli alloggi di ERP di propria competenza, ivi compresa la proposta dei relativi piani di cessione, nonché l'istituzione delle Commissioni per l'assegnazione degli alloggi;

m) l'adozione dei piani relativi alla cessione alloggi di ERP sovvenzionata;

n) la fissazione della percentuale spettante agli IACP e agli altri enti esecutori, quale rimborso delle spese sostenute per le funzioni da essi esercitate;

o) la promozione e il coordinamento della gestione delle anagrafi degli assegnatari di alloggi di ERP e degli inventari del patrimonio di ERP tenuti dagli enti gestori;

p) la fissazione dei limiti di reddito per l'accesso ai benefici di ERP;

q) la promozione di iniziative di studio e di ricerca nel settore;

r) la formazione e gestione dell'anagrafe dei soggetti fruitori di contributi pubblici; s) l'individuazione delle modalità di gestione del sostegno finanziario al reddito per favorire l'accesso al mercato della locazione dei nuclei familiari meno abbienti;

t) la determinazione dei tassi di interesse per i finanziamenti in conto interessi e delle quote di contributo in conto capitale;

u) la determinazione dei requisiti soggettivi dei beneficiari finali;

v) la determinazione dei requisiti oggettivi degli interventi;

w) l'esercizio della vigilanza sulle cooperative edilizie comunque fruenti di contributi pubblici, nonché l'autorizzazione alla cessione in proprietà del patrimonio edilizio delle cooperative a proprietà indivisa.

Art. 10 (Costituzione della Commissione mista per vigilanza sulle cooperative edilizie)

1. Con decreto del Presidente della Giunta regionale è istituita la Commissione mista per la vigilanza sulle cooperative edilizie comunque fruenti di contributi pubblici.

2. La Commissione è composta da cinque componenti, di cui tre designati dalla Giunta regionale, uno dall'UPI e uno dall'ANCI.

Art. 11 (Funzioni trasferite ai Comuni)

1. Sono trasferite ai Comuni le seguenti funzioni:

a) il rilevamento del fabbisogno abitativo nel territorio comunale, secondo le procedure determinate dalla Regione ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera c);

b) l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ivi comprese le relative procedure concorsuali, gli atti di annullamento e decadenza dell'assegnazione, sulla base dei criteri determinati dalla Regione ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera i);

c) la formazione e approvazione delle graduatorie per l'assegnazione degli alloggi;

d) la promozione della mobilità degli assegnatari;

e) le determinazioni inerenti la decadenza e la revoca nonché la comminatoria di sanzioni amministrative in tema di occupazione e detenzione senza titolo;

f) la gestione degli alloggi di ERP di competenza comunale ivi compresi la proposta alla Regione dei relativi piani di cessione e il parere agli IACP sulle proposte di piano di loro competenza;

g) la proposizione alla Regione delle autorizzazioni a variare il costo massimo ammissibile a vano o metro quadro utile abitabile;

h) la formulazione alla Regione di proposte per l'individuazione dei soggetti incaricati della realizzazione dei programmi edilizi ammessi a finanziamento.

Art. 12 (Funzioni delegate ai Comuni)

1. Nel rispetto dei criteri e delle modalità stabilite dalla Regione, ai Comuni sono delegate le funzioni riguardanti l'accertamento dei requisiti soggettivi per l'accesso ai benefici di ERP agevolata nonché l'autorizzazione alla cessione anticipata o locazione degli alloggi di edilizia agevolata.

La presente legge è dichiarata urgente ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 127 della Costituzione e 60 dello Statuto ed entrerà in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione.

La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge della Regione Puglia.

TITOLO I - PRINCIPI

Art. 1 (Finalità)

1. La Regione Puglia, in attuazione dei principi generali dell’ordinamento italiano e comunitario, nel rispetto delle leggi dello Stato, regola e controlla gli assetti, le trasformazioni e gli usi del territorio.

2. La Regione Puglia persegue gli obiettivi della tutela dei valori ambientali, storici e culturali espressi dal territorio, nonché della sua riqualificazione, finalizzati allo sviluppo sostenibile della comunità regionale.

Art. 2 (Principi)

1. La presente legge assicura il rispetto dei principi di:

- sussidiarietà, mediante la concertazione tra i diversi soggetti coinvolti, in modo da attuare il metodo della copianificazione;

- efficienza e celerità dell’azione amministrativa attraverso la semplificazione dei procedimenti;

- trasparenza delle scelte, con la più ampia partecipazione;

- perequazione.

TITOLO II - SOGGETTI DELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE E URBANISTICA

Art. 3 (Pianificazione del territorio pugliese)

1. La pianificazione del territorio si articola nei livelli regionale, provinciale e comunale.

2. Soggetti della pianificazione sono la Regione, le Province e i Comuni.

3. Partecipano, altresì, alla pianificazione gli enti pubblici cui leggi statali o regionali assegnano la cura di un interesse pubblico connesso al governo e uso del territorio.

TITOLO III - PROCESSO DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE REGIONALE

Art. 4 (Documento regionale di assetto generale)

1. La Giunta regionale, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, approva il Documento regionale di assetto generale (DRAG) in coerenza con i programmi, gli obiettivi e le suscettività socio-economiche del territorio.

2. Il DRAG definisce le linee generali dell'assetto del territorio, nonché gli obiettivi da perseguire mediante i livelli di pianificazione provinciale e comunale.

3. In particolare, il DRAG determina:

- il quadro degli ambiti territoriali rilevanti al fine della tutela e conservazione dei valori ambientali e dell'identità sociale e culturale della Regione;

- gli indirizzi, i criteri e gli orientamenti per la formazione, il dimensionamento e il contenuto degli strumenti di pianificazione provinciale e comunale, nonché i criteri per la formazione e la localizzazione dei Piani urbanistici esecutivi (PUE) di cui all’articolo 15;

- lo schema dei servizi infrastrutturali di interesse regionale.

Art. 5 (Procedimento di formazione e variazione del DRAG)

1. Per garantire il più ampio coinvolgimento della intera comunità regionale nella definizione dei programmi, obiettivi e suscettività socio-economiche del territorio, il Presidente della Giunta regionale convoca la Conferenza programmatica regionale, alla quale partecipano i rappresentanti dell’ANCI, dell’UPI e dell’UNCEM, le associazioni, le forze sociali, economiche e professionali.

2. Il Presidente della Giunta regionale, al fine della elaborazione dello schema di Documento, indice con proprio decreto una Conferenza di servizi, alla quale partecipano rappresentanti delle Amministrazioni statali, per acquisirne previamente le manifestazioni di interesse.

3. La Giunta regionale, tenendo conto delle risultanze della Conferenza di cui al comma 2 e sentito il Consiglio regionale, adotta lo schema di Documento.

4. Lo schema di Documento è pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia e dell'avvenuta pubblicazione è dato avviso sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana nonché su un quotidiano diffuso in ciascuna provincia.

5. I Comuni e le Province possono far pervenire alla Regione le loro proposte integrative sullo schema di Documento entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione dello stesso sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.

6. I soggetti pubblici di cui all’articolo 3, comma 3, nell’ambito delle rispettive competenze, possono far pervenire indicazioni sullo schema di Documento entro il termine previsto dal comma 5.

7. Le organizzazioni ambientaliste, socio-culturali, sindacali ed economico-professionali attive nel territorio regionale possono proporre osservazioni entro lo stesso termine di cui al comma 5.

8. La Giunta regionale, decorsi i termini di cui ai commi precedenti, approva il DRAG del territorio, con specifica considerazione delle proposte di cui al comma 5.

9. Il DRAG è pubblicato con le modalità di cui al comma 4.

10. Il Documento acquista efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.

11. Il periodico aggiornamento e le variazioni del Documento sono adottate con il procedimento di cui ai commi precedenti. I termini sono ridotti della metà.

TITOLO IV - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE PROVINCIALE

Art. 6 (Piano territoriale di coordinamento provinciale)

1. Ai sensi dell'articolo 20, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il Consiglio provinciale adotta il Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) in conformità e in attuazione del DRAG del territorio.

2. Ai sensi dell'articolo 57 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, il PTCP assume l’efficacia di piano di settore nell'ambito delle materie inerenti la protezione della natura, la tutela dell’ambiente, delle acque, della difesa del suolo, delle bellezze naturali, a condizione che la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la Provincia e le Amministrazioni, anche statali, competenti.

3. In mancanza dell'intesa di cui al comma 2, i piani di tutela di settore conservano il valore e gli effetti a essi assegnati dalla rispettiva normativa nazionale e regionale.

Art. 7 (Procedimento di formazione e variazione del PTCP)

1. Il Presidente della Provincia, al fine della elaborazione dello schema di PTCP, indice una Conferenza di servizi, alla quale partecipano i rappresentanti delle Amministrazioni statali, delle Amministrazioni comunali, delle Comunità montane, delle Autorità di bacino, dei Consorzi di bonifica, per acquisirne previamente le manifestazioni di interesse.

2. Il Consiglio provinciale, su proposta della Giunta provinciale, adotta lo schema di PTCP.

3. Lo schema di PTCP è depositato presso la segreteria della Provincia. Dell'avvenuto deposito è dato avviso sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia nonché su almeno due quotidiani a diffusione provinciale.

4. I Comuni possono presentare le loro proposte sullo schema di Piano entro sessanta giorni dalla data di avviso sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.

5. Le organizzazioni ambientaliste, socio-culturali, sindacali ed economico-professionali attive nel territorio provinciale possono proporre osservazioni allo schema di PTCP entro i termini di cui al comma 4.

6. Il Consiglio provinciale, entro i successivi sessanta giorni, si determina in ordine alle osservazioni pervenute nei termini e, con specifica considerazione delle proposte di cui al comma 4, adotta il PTCP e lo trasmette alla Giunta regionale per il controllo di compatibilità con il DRAG di cui all'articolo 4.

7. La Giunta regionale si pronuncia entro il termine perentorio di centoventi giorni dalla data di ricezione del PTCP, decorso inutilmente il quale lo stesso si intende controllato con esito positivo.

8. Il termine di cui al comma 7 può essere interrotto una sola volta qualora la Giunta regionale richieda alla Provincia chiarimenti o ulteriori documenti, nel qual caso il nuovo termine decorre dalla ricezione degli stessi.

9. Qualora la Giunta regionale deliberi la non compatibilità del PTCP con il DRAG, la Provincia ha facoltà di indire una Conferenza di servizi, alla quale partecipano il Presidente della Giunta regionale o suo Assessore delegato e il Presidente della Provincia o suo Assessore delegato. In sede di Conferenza di servizi le Amministrazioni partecipanti, nel rispetto del principio di copianificazione, devono indicare le modifiche necessarie ai fini del controllo positivo.

10. La Conferenza assume la determinazione di adeguamento del PTCP alle modifiche di cui al comma 9 entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data della prima convocazione, l’inutile decorso del quale comporta la definitività della delibera regionale di cui al comma 9.

11. La determinazione di adeguamento della Conferenza di servizi deve essere recepita dalla Giunta regionale entro trenta giorni dalla data della comunicazione della determinazione medesima. L’inutile decorso del termine comporta il controllo positivo da parte della Giunta regionale.

12. Il Consiglio provinciale approva il PTCP in via definitiva in conformità della deliberazione della Giunta regionale di compatibilità o di adeguamento di cui al comma 11, ovvero all’esito dell’inutile decorso del termine di cui ai commi 7 e 11.

13. Il PTCP definito ai sensi dei commi precedenti è pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia . Dell'avvenuta pubblicazione è data notizia su almeno due quotidiani diffusi nella provincia.

14. Il PTCP acquista efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.

15. Le variazioni del PTCP sono adottate con il procedimento di cui ai commi precedenti.

TITOLO VPIANIFICAZIONE URBANISTICA COMUNALE

Art. 8 (Strumenti della pianificazione urbanistica comunale)

1. La pianificazione urbanistica comunale si effettua mediante il Piano urbanistico generale (PUG) e i PUE.

Art. 9 (Contenuti del PUG)

1. Il PUG si articola in previsioni strutturali e previsioni programmatiche.

2. Le previsioni strutturali:

- identificano le linee fondamentali dell’assetto dell’intero territorio comunale, derivanti dalla ricognizione della realtà socio-economica, dell’identità ambientale, storica e culturale dell’insediamento, anche con riguardo alle aree da valorizzare e da tutelare per i loro particolari aspetti ecologici, paesaggistici e produttivi;

- determinano le direttrici di sviluppo dell’insediamento nel territorio comunale, del sistema delle reti infrastrutturali e delle connessioni con i sistemi urbani contermini.

3. Le previsioni programmatiche:

definiscono, in coerenza con il dimensionamento dei fabbisogni nei settori residenziale, produttivo e infrastrutturale, le localizzazioni delle aree da ricomprendere in PUE, stabilendo quali siano le trasformazioni fisiche e funzionali ammissibili;

- disciplinano le trasformazioni fisiche e funzionali consentite nelle aree non sottoposte alla previa redazione di PUE.

4. La redazione di PUE è obbligatoria per le aree di nuova urbanizzazione, ovvero per le aree da sottoporre a recupero.

Art. 10 (PUG intercomunale)

1. E’ facoltà dei Comuni procedere alla formazione di un PUG intercomunale.

2. Con delibere del Consiglio comunale, i Comuni di cui al comma 1 approvano e presentano alla Giunta regionale un documento congiunto, contenente uno studio di fattibilità dell’iniziativa e un quadro economico dei relativi oneri.

3. La Giunta regionale individua le modalità di sostegno ai Comuni che intendono procedere alla formazione di un PUG intercomunale.

Art. 11 (Formazione del PUG)

1. Il Consiglio comunale adotta, su proposta della Giunta, un Documento programmatico preliminare (DPP) contenente gli obiettivi e i criteri di impostazione del PUG. Nei Comuni ricadenti all’interno del comprensorio di una Comunità montana, il DPP deve prendere in considerazione le previsioni contenute nel piano pluriennale di sviluppo socio-economico in relazione al singolo Comune.

2. Il DPP è depositato presso la segreteria del Comune e dell’avvenuto deposito è data notizia mediante pubblicazione di avviso su almeno tre quotidiani a diffusione provinciale.

3. Chiunque può presentare proprie osservazioni al DPP, anche ai sensi dell’articolo 9 della l. 241/1990, entro venti giorni dalla data del deposito.

4. La Giunta comunale, sulla base del DPP di cui al comma 1 e delle eventuali osservazioni, propone al Consiglio comunale l’adozione del PUG. Il Consiglio comunale adotta il PUG e lo stesso è depositato presso la segreteria comunale; dell'avvenuto deposito è data notizia mediante pubblicazione di avviso su tre quotidiani a diffusione provinciale nonché mediante manifesti affissi nei luoghi pubblici.

5. Chiunque abbia interesse può presentare proprie osservazioni al PUG, anche ai sensi dell'articolo 9 della l. 241/1990, entro sessanta giorni dalla data del deposito.

6. Il Consiglio comunale, entro i successivi sessanta giorni, esamina le osservazioni proposte nei termini di cui al comma 5 e si determina in ordine alle stesse, adeguando il PUG alle osservazioni accolte.

7. Il PUG così adottato viene inviato alla Giunta regionale e alla Giunta provinciale ai fini del controllo di compatibilità rispettivamente con il DRAG e con il PTCP, ove approvati. Qualora il DRAG e/o il PTCP non siano stati ancora approvati, la Regione effettua il controllo di compatibilità rispetto ad altro strumento regionale di pianificazione territoriale ove esistente, ivi inclusi i piani già approvati ai sensi degli articoli da 4 a 8 della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56, ovvero agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale di cui all'articolo 5 del d. lgs. 267/2000.

8. La Giunta regionale e la Giunta provinciale si pronunciano entro il termine perentorio di centocinquanta giorni dalla ricezione del PUG, decorso inutilmente il quale il PUG si intende controllato con esito positivo.

9. Qualora la Giunta regionale o la Giunta provinciale deliberino la non compatibilità del PUG rispettivamente con il DRAG o con il PTCP, il Comune promuove, a pena di decadenza delle misure di salvaguardia di cui all’articolo 13, entro il termine perentorio di centottanta giorni dalla data di invio del PUG, una Conferenza di servizi alla quale partecipano il Presidente della Giunta regionale o suo Assessore delegato, il Presidente della Provincia o suo Assessore delegato e il Sindaco del Comune interessato o suo Assessore delegato. In sede di Conferenza di servizi le Amministrazioni partecipanti, nel rispetto del principio di copianificazione, devono indicare specificamente le modifiche necessarie ai fini del controllo positivo.

10. La Conferenza di servizi assume la determinazione di adeguamento del PUG alle modifiche di cui al comma 9 entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data della sua prima convocazione, l’inutile decorso del quale comporta la definitività delle delibere regionale e/o provinciale di cui al comma 9, con contestuale decadenza delle misure di salvaguardia.

11. La determinazione di adeguamento della Conferenza di servizi deve essere recepita dalla Giunta regionale e/o dalla Giunta provinciale entro trenta giorni dalla data di comunicazione della determinazione medesima. L'inutile decorso del termine comporta il controllo positivo da parte della Giunta regionale e/o della Giunta provinciale.

12. Il Consiglio comunale approva il PUG in via definitiva in conformità delle deliberazioni della Giunta regionale e/o della Giunta provinciale di compatibilità o di adeguamento di cui al comma 11, ovvero all’esito dell’inutile decorso del termine di cui ai commi 8 e 11.

13. Il PUG, formato ai sensi dei comma precedenti, acquista efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia della deliberazione del Consiglio comunale di cui al comma 12.

14. Il Comune dà avviso dell'avvenuta formazione del PUG mediante manifesti affissi nei luoghi pubblici e mediante la pubblicazione su almeno due quotidiani a diffusione provinciale.

Art. 12 (Variazione del PUG)

1. Il Comune procede alla variazione delle previsioni strutturali del PUG mediante lo stesso procedimento previsto dall'articolo 11.

2. La deliberazione motivata del Consiglio comunale che apporta variazioni alle previsioni programmatiche del PUG non è soggetta a verifica di compatibilità regionale e provinciale.

3. La deliberazione motivata del Consiglio comunale che apporta variazioni alle previsioni strutturali del PUG non è soggetta a verifica di compatibilità regionale e provinciale quando la variazione deriva da:

- verifica di perimetrazioni conseguenti alla diversa scala di rappresentazione grafica del piano;

- precisazione dei tracciati viari derivanti dalla loro esecuzione;

- modifiche di perimetrazioni motivate da documentate sopravvenute esigenze quali imposizioni di nuovi vincoli;

- adeguamento e/o rettifica di limitata entità delle perimetrazioni dei PUE di cui all’articolo 15, derivanti dalle verifiche, precisazioni e modifiche di cui alle lettere a), b) e c);

- modifiche alle modalità di intervento sul patrimonio edilizio esistente di cui all’articolo 31, comma 1, lettere a), b), c) e d), della legge 5 agosto 1978, n. 457.

Art. 13 (Misure di salvaguardia)

1. Per il periodo di due anni a decorrere dalla data di adozione del PUG, il Comune sospende ogni determinazione sulle domande di concessione edilizia in contrasto con il PUG stesso.

Art. 14 (Perequazione urbanistica)

1. Al fine di distribuire equamente, tra i proprietari interessati dagli interventi, i diritti edificatori attribuiti dalla pianificazione urbanistica e gli oneri conseguenti alla realizzazione degli interventi di urbanizzazione del territorio, il PUG può riconoscere la stessa suscettività edificatoria alle aree comprese in un PUE.

Art. 15 (Piani urbanistici esecutivi)

1. Al PUG viene data esecuzione mediante PUE di iniziativa pubblica o di iniziativa privata o di iniziativa mista.

2. In relazione agli interventi in esso previsti, il PUE può assumere le finalità e gli effetti di uno o più piani o programmi, anche settoriali o tematici, attuativi dello strumento urbanistico generale, oppure previsti dalla vigente normativa statale o regionale, ivi compresi i programmi integrati di cui all’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, i programmi di recupero urbano, di cui all’articolo 11 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e i programmi di riqualificazione urbana ex articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici del 21 dicembre 1994, che per la loro realizzazione necessitano di piano esecutivo.

3. Nella formazione dei programmi integrati di intervento di cui all’articolo 16 della l. 179/1992 i Comuni perseguono obiettivi di riqualificazione, con particolare riferimento ai centri storici, alle zone periferiche, alle aree e costruzioni produttive obsolete, dismesse o da sottoporre a processi di dismissione. Tali programmi definiscono la distribuzione delle funzioni, dei servizi e le loro interrelazioni, le caratteristiche planivolumetriche degli interventi, gli standards e l’arredo urbano. Il programma integrato si attua su aree, anche non contigue tra loro, in tutto o in parte edificate. I programmi possono essere presentati da soggetti pubblici e/o privati, singoli e associati e sono corredati di uno schema di convenzione e di una relazione che definisce l’inquadramento dell’intervento nell’ambito della riqualificazione urbana, di un programma finanziario e della indicazione dei tempi di realizzazione delle opere.

4. I programmi integrati, i programmi di recupero urbano e i programmi di riqualificazione urbana sono approvati dal Consiglio comunale con le modalità previste per i PUE ai sensi degli articoli 21 e seguenti della l.r. 56/1980. Qualora tali programmi non siano conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti e/o adottati, il Sindaco promuove la conclusione di un accordo di programma, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 34 del d. lgs. 267/2000, al quale partecipa il soggetto proponente. L’accordo sostituisce lo strumento urbanistico attuativo, ove prescritto dallo strumento urbanistico generale.

5. Fino alla formazione del DRAG la realizzazione di interventi riservati dalla pianificazione comunale all’iniziativa pubblica può essere affidata ai proprietari legittimati previo convenzionamento finalizzato a disciplinare e garantire il perseguimento del pubblico interesse.

Art. 16 (Formazione dei PUE)

1. I PUE possono essere redatti e proposti:

- dal Comune;

- dai proprietari che rappresentino, in base alla superficie catastale, almeno il 51 per cento degli immobili compresi entro il perimetro dell'area interessata. Il loro concorso è sufficiente a costituire il consorzio ai fini della presentazione al Comune della proposta di piano esecutivo e del relativo schema di convenzione;

- dalle società di trasformazione urbana previste dalla normativa vigente.

2. Decorso il termine eventualmente previsto dal PUG per la redazione del PUE su iniziativa del Comune, il PUE può essere rispettivamente proposto dai soggetti di cui alle lettere b) e c) del comma 1.

3. Qualora sia proposto dai soggetti di cui al comma 1, lettere b) e c ), il PUE è adottato dal Consiglio comunale entro novanta giorni dalla data di ricezione della proposta.

4. Entro trenta giorni dalla data di adozione, il PUE e i relativi elaborati sono depositati, per quindici giorni consecutivi, presso la segreteria del Comune, in libera visione al pubblico. Del deposito è dato avviso sull'albo comunale e su almeno due quotidiani a diffusione nella provincia.

5. Qualora il PUE riguardi aree sulle quali insistono vincoli specifici, contestualmente al deposito di cui al comma 4 il Sindaco, o l'Assessore da lui delegato, indice una Conferenza di servizi alla quale partecipano rappresentanti delle Amministrazioni competenti per l'emanazione dei necessari atti di consenso, comunque denominati.

6. Entro il termine di quindici giorni dalla data di scadenza del periodo di deposito di cui al comma 4, chiunque abbia interesse può presentare proprie osservazioni, anche ai sensi dell'articolo 9 della l. 241/1990.

7. Entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di acquisizione degli atti di consenso di cui al comma 5, il Consiglio comunale approva in via definitiva il PUE, pronunciandosi altresì sulle osservazioni presentate nei termini.

8. La deliberazione di approvazione è pubblicata, anche per estratto, sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia

9. Il PUE acquista efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione di cui al comma 8.

10. La variante al PUE segue lo stesso procedimento di formazione di cui ai commi precedenti. Qualora le variazioni non incidano sul dimensionamento globale del PUE e non comportino modifiche al perimetro, agli indici di fabbricabilità e alle dotazioni di spazi pubblici o di uso pubblico, la variante al PUE è approvata con deliberazione del Consiglio comunale, previa acquisizione di eventuali atti di consenso ove necessari.

11. In caso di inerzia e/o inadempienza nelle procedure di cui ai commi precedenti, si applicano le disposizioni dell'articolo 21.

Art. 17 (Efficacia del PUE)

1. La deliberazione di approvazione del PUE ha efficacia di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza degli interventi ivi previsti, ai fini della acquisizione pubblica degli immobili mediante espropriazione.

2. I PUE sono attuati in un tempo non maggiore di dieci anni, salvo specifiche disposizioni di leggi statali. Decorsi i termini stabiliti per l’attuazione rimane efficace, per la parte di PUE non attuata, l’obbligo di osservarne le previsioni mentre, ai fini espropriativi, decadono gli effetti della pubblica utilità delle opere previste.

Art. 18 (Rapporti fra PUG e PUE)

1. Il PUE può apportare variazioni al PUG qualora non incida nelle previsioni strutturali del PUG, ferma l'applicazione del procedimento di cui all'articolo 16.

2. Ai fini della formazione del PUE, non costituiscono in ogni caso variazione del PUG:

- la modificazione delle perimetrazioni contenute nel PUG conseguente alla trasposizione del PUE sul terreno;

- la modificazione delle localizzazioni degli insediamenti e dei relativi servizi che non comporti aumento delle quantità e del carico urbanistico superiore al 5 per cento.

TITOLO VI - DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

Art. 19 (Sospensione e revoca dei Programmi pluriennali di attuazione)

1. L'obbligo di formazione del programma pluriennale di attuazione dello strumento urbanistico generale è comunque sospeso sino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui all'articolo 20 della legge 30 aprile 1999, n. 136.

2. I Comuni che alla data di entrata in vigore della presente legge sono dotati di un programma pluriennale di attuazione hanno facoltà di revocarlo o di mantenerlo fino alla scadenza.

Art. 20 (Norme di prima attuazione)

1. Gli strumenti comunali di pianificazione urbanistica già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge sono approvati secondo le disposizioni stabilite dalla l.r. 56/1980.

2. Le varianti agli strumenti comunali di pianificazione urbanistica già adottate alla data di entrata in vigore della presente legge, fino all’approvazione delle stesse, seguono le disposizioni stabilite dalla l.r. 56/1980.

3. Le varianti agli strumenti comunali di pianificazione urbanistica non adeguate alla l.r. 56/1980 e/o non conformi alle prescrizioni della presente legge possono essere formate soltanto per la realizzazione di programmi di edilizia residenziale pubblica ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167 e di piani per gli insediamenti produttivi ai sensi della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e per la realizzazione di progetti di opere pubbliche e/o progetti di adeguamento agli standards urbanistici, così come definiti dalla vigente normativa, ai sensi della legge 3 gennaio 1978, n. 1 e successive modificazioni, nonché per la realizzazione di opere e interventi previsti dalla vigente legislazione statale e/o regionale.

4. Le varianti agli strumenti comunali di pianificazione urbanistica adeguati alla l.r. 56/1980 e non conformi alle prescrizioni della presente legge possono essere formate e seguono le disposizioni stabilite dalla vigente legislazione regionale e statale. Esse devono conformarsi al DRAG, ove esistente.

5. I PUE di cui al comma 1 dell’articolo 15, nelle more della definizione del DRAG di cui all’articolo 4, sono formati secondo le disposizioni stabilite dalla l.r. 56/1980.

Art. 21 (Poteri sostitutivi)

1. Al fine di assicurare celerità ed efficacia all’azione amministrativa, i poteri sostitutivi di cui all’articolo 22, comma 5, della legge 30 aprile 1999, n. 136 e di cui all’articolo 4, comma 6, del d. lgs. 398/1993, come modificato dalla l. 493/1993 e successive modifiche e integrazioni, possono essere delegati dal Presidente della Giunta regionale a un Garante della pianificazione nominato per ciascun ambito territoriale provinciale con decreto pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia. I criteri di nomina sono individuati con apposito regolamento dalla Giunta regionale.

2. I Garanti durano in carica per un periodo non superiore a un anno ed esercitano direttamente il potere sostitutivo, dandone notizia al Presidente della Giunta regionale entro quindici giorni dalla data di adozione dei relativi provvedimenti.

3. A tal fine, i Garanti si possono avvalere degli uffici di tutte le Amministrazioni locali interessate e gli oneri derivanti sono posti a carico dell'Amministrazione inadempiente.

4. Il decreto di cui al comma 1 è pubblicato per estratto sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia.

5. In caso di inerzia degli Uffici comunali nell'adozione dei provvedimenti e delle misure repressive o sanzionatorie previste dalla normativa vigente, il Presidente della Giunta regionale assegna un termine non superiore a trenta giorni per provvedere, decorso infruttuosamente il quale si avvale del Garante competente per territorio.

Art. 22 (Poteri di annullamento)

1. Entro dieci anni dalla data della loro emanazione e/o adozione, il Presidente della Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale all’urbanistica, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 7 della l. 241/1990, assegna un termine di trenta giorni al Comune per l’annullamento dei provvedimenti o delle delibere non conformi alla disciplina urbanistica e/o edilizia vigente.

2. In caso di inadempienza nel termine, il Presidente della Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale all’urbanistica, annulla, con decreto motivato, i provvedimenti e le deliberazioni comunali non conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente.

3. Il Presidente della Giunta regionale può delegare i poteri di cui ai commi precedenti al Garante di cui all'articolo 21 competente per territorio.

Art. 23 (Norme per il rilascio delle autorizzazioni in zone soggette a tutela paesaggistica)

1. L’articolo1 della legge regionale 24 marzo 1995, n. 8, come modificato dalla legge regionale 15 dicembre 2000, n. 25 è abrogato e così sostituito: "L’autorizzazione delegata alla Regione per la trasformazione degli immobili soggetti a tutela paesaggistica di cui all’articolo 151 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 è sub-delegata ai Comuni. L’autorizzazione paesaggistica di cui all’articolo 5.01 delle Norme tecniche di attuazione del Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio approvato con delibera della Giunta regionale n. 1748 del 15 dicembre 2000 è delegata ai Comuni.

Art. 24 (Sistema informativo territoriale)

1. La Giunta regionale istituisce, presso l’Assessorato all’urbanistica, il Sistema informativo territoriale (SIT) al fine di elaborare un quadro conoscitivo comune e accessibile, funzionale alla formazione e gestione degli strumenti di tutela del territorio e della pianificazione regionale, provinciale e comunale.

Art. 25 (Abrogazioni e disposizioni finali)

1. Sono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con la presente legge.

2. Per quanto non disciplinato dalla presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni statali e regionali vigenti.

Data a Bari, addi’ 27 Luglio 2001

Raffaele Fitto

Senza Licinio Ferretti, senza la sua capacità di applicare l’intelligenza imprenditoriale all’amore per la conoscenza del territorio, senza la generosità e la costanza del suo impegno nell’utilizzare tutte le risorse della tecnologia e dell’impresa nella documentazione geografica del territorio, né noi né i nostri posteri conoscerebbero, con la precisione delle più evolute tecniche volta per volta disponibili, le configurazioni assunte dal suolo dell’Italia negli ultimi cinquant’anni. Questa è una prima ragione per cui è necessario essere grati a Licinio Ferretti.

La pianificazione territoriale e urbana e, più in generale, il governo del territorio hanno sempre avuto la necessità di poggiare le scelte su un sistema di conoscenze puntualmente riferite alla realtà fisica del suolo.

Lo aveva compreso la veneziana Repubblica Serenissima quando, nel 1460, disponeva che si provvedesse “perché nella nostra Cancelleria e nella sede del nostro Consiglio di Dieci vi sia, veridicamente disegnata, l'immagine di tutte le nostre città, terre, castelli, provincie e luoghi, talché chiunque voglia decidere e provvedere in merito ad essi ne abbia davanti agli occhi reale e precisa cognizione, e non debba affidarsi all'opinione di chicchessia”.

Lo ha compreso l’urbanistica moderna, da Patrick Geddes a Giovanni Astengo, quando ha posto l’analisi territoriale quale base necessaria della pianificazione urbanistica.

Lo hanno compreso, in Italia, le Regioni, quando nella prima fase della loro attività hanno costituito il Centro Interregionale di Coordinamento e Documentazione per le Informazioni Territoriali, in margine alla prima Conferenza Nazionale di Cartografia del 1979, e quando, più recentemente, hanno posto a cardine dei nuovi sistemi di pianificazione la “descrizione fondativa” del territorio come esplicito fondamento delle scelte di conservazione e di trasformazione.

Se oggi, in Italia, le amministrazioni pubbliche e gli altri soggetti impegnati nel governo del territorio hanno a loro disposizione strumenti di conoscenza adeguati (in molti casi all’avanguardia nel mondo) il merito è in gran parte di Licinio Ferretti, e questa è un’ulteriore ragione per essergli grati.

Licinio Ferretti ricorda quegli imprenditori del XIX secolo per i quali l’attività del capitalista era in primo luogo esplorazione delle strade del progresso scientifico come condizione per una evoluzione tecnologica capace di migliorare la produzione, e l’accumulazione era finalizzata a rendere possibile l’applicazione sempre più larga delle scoperte della scienza e della tecnica ai processi produttivi.

Ed egli può essere accostato a quei pochi, tra gli imprenditori dei secoli trascorsi, per i quali l’efficacia della propria azione non era misurata solo dal mercato, ma anche (e forse in primo luogo) dall’utilità sociale dei prodotti che erano capaci di inventare e di diffondere, dal contributo che essi davano all’accrescimento della conoscenza, della sicurezza e del benessere.

Al di là dei rischi impliciti nell’attività imprenditoriale, Licinio Ferretti ha saputo assumere quelli derivanti dall’incertezza del ritorno economico di talune iniziative che egli sapeva necessarie e (per quanto riguarda le capacità tecniche di cui si era fornito) possibili: come la realizzazione della monumentale impresa costituita dall’ortofotocarta digitale a colori in scala 1:10.000 dell’intero territorio nazionale, nota con la denominazione Programma “IT2000”™. In questa e altre circostanze Licinio Ferretti ha sostituito la sua azione a quella che – in più evoluti assetti politici e istituzionali – sarebbe stata propria dello Stato, esercitando nei confronti di questo una supplenza che solo tardivamente è stata riconosciuta.

Nei rapporti tra pubblico e privato Licinio Ferretti ha saputo testimoniare che il privato, quando la sua azione è alimentata da una tensione per la ricerca di un progresso finalizzato all’utilità sociale, può svolgere un ruolo di stimolo e finanche di guida dell’azione pubblica, invece di considerare questa la mansueta riparatrice e compensatrice dei propri errori e dei propri egoismi. E il cospicuo investimento dei profitti nell’attività di ricerca, orientata a un miglioramento non solo aziendale della qualità della produzione, testimonia della possibilità dell’impresa, anche in Italia, di svolgere un’attività di ricerca volta sia all’applicazione economica che all’evoluzione generale delle tecniche e delle conoscenze.

E’ per merito di Licinio Ferretti e dell’attività di produzione e di ricerca della sua Compagnia Generale Ripreseaeree che l’Italia è all’avanguardia nei campi dell’aereofotogrammetria, della cartografia ortofotografica a colori e del suo sviluppo ai fini della pianificazione e gestione territoriale. Lo testimoniano molte delle iniziative che ha sviluppato.

Con Licinio Ferretti, sembrano rivivere i tempi eroici dei pionieri italiani della fotogrammetria, ingegneri honoris causa Ermenegildo Santoni ed Umberto Nistri, che esponendo nei vari congressi internazionali le loro innovazioni ed apparecchiature fotogrammetriche avanzate, ottenevano allora attenzione e ammirazione dalle diverse assemblee di studiosi e specialisti dello stesso settore disciplinare. Proprio come avviene ancor oggi con la sua produzione fotocartografica innovativa ed accurata!

Ma c’è ancora di più, poiché trascorso il tempo degli sviluppi e dell’affermazione della metodologia fotogrammetrica, il suo attuale impegno imprenditoriale costituisce ormai un tangibile e concreto esempio di come l’innovazione tecnologica e metodologica possa garantire al lavoro italiano una competitività operativa senza confronti, in campo nazionale ed internazionale, suscettibile inoltre di prevenire e soddisfare sempre ogni nuova necessità o domanda del mercato dell’informazione territoriale.

Essenziale è risultato, a questo proposito, il suo contributo alla realizzazione negli anni 1982-85 del fotopiano degli insediamenti storici di Venezia alla scala 1:500, che ha costituito per l’epoca della sua formazione una completa innovazione nella descrizione degli edificati urbani e nell’analisi dei fenomeni di degrado ambientale della Laguna di Venezia, oltre a fornire affidabili elementi per lo studio dell’evoluzione urbanistica del centro storico.

Così come è risultato determinate il suo impegno scientifico ed imprenditoriale per lo sviluppo, in prosieguo di tempo, delle ortofoto digitali a colori del territorio italiano, con la possibilità di viste prospettiche tridimensionali, ottenute dalla combinazione delle stesse ortofoto digitali a colori col modello digitale del terreno (DTM), finalizzate sempre verso la protezione del paesaggio, verso la difesa civile e la salvaguardia ambientale.

Di grande interesse scientifico e sociale è poi risultato anche il suo impegno per la formazione di una regolare copertura aerofotografica del territorio nazionale mediante riprese ad alta quota relativa come: il Volo Italia 1988-89 ed il Volo Italia 1994, realizzati entrambi alla scala 1:75.000 con una risoluzione al suolo di 1 m, ed il Volo “it2000” 1998-99 alla scala 1:40.000, sviluppato nell’ambito del Programma “IT2000” inerente appunto la formazione di ortofoto digitali a colori di tutto il territorio italiano.

Notevole importanza ha avuto anche l’intenso e costante impegno delle Società del Gruppo CGR nel campo informatico e dei controlli agricoli integrati della comunità europea; in questo settore le Società hanno realizzato gli schedari oleicolo e viticolo del territorio nazionale e, successivamente, sviluppato un sistema integrato per la gestione e il controllo delle coltivazioni (seminativi) nell’ambito delle Politiche Agricole Comunitarie, applicando metodologie aerofotogrammetriche ed elaborazioni informatiche digitali. Questo sistema è stato proficuamente applicato con continuità dalla CGR non solo sin Italia per conto dell’AIMA, ma anche in Irlanda, Portogallo, Albania e Grecia per conto della Comunità Europea

Meritevoli di segnalazione risultano infine i suoi più recenti impegni professionali per sviluppare l’impiego di altri sensori tesi al monitoraggio delle Lagune di Orbetello; al rilevamento del fondale del Lago di Garda; al rilevamento e monitoraggio della frana del Corniglio; alla formazione dell’Ortofoto digitale della grande Genova alla scala 1:10.000, realizzata in occasione del G8 2002; all’applicazione del Laser Scanner e alle riprese aeree con Camera metrica digitale a colori associata a GPS, ecc.

Lodevole e benemerita è risultata comunque tutta la sua azione imprenditoriale per rendere sempre più aggiornate, efficienti e competitive le Imprese del Gruppo da lui formato e diretto, grazie anche all’adesione ad un Consorzio scientifico col CNR e l’Università di Parma, nell’intento di migliorare sempre più la qualità dei prodotti fotografici, ortofotografici e cartografici delle sue Imprese e di innovare i processi relativi alla loro formazione, mediante un armonico sviluppo eperfezionamento continuo, secondo gli intendimenti del “sistema qualità” e le specifiche di standardizzazione internazionale ISO TC 211, individuanti il reference model richiesto per l’interscambio dei dati geografici spaziali di interesse generale comune.

La consapevolezza della qualità della sua produzione e la sua volontà di svolgere un servizio a vantaggio della collettività sono infine testimoniati dalla organizzazione e gestione di un Archivio fotografico aereo di interesse scientifico e storico, che complessivamente annovera circa tre milioni di negativi relativi alle riprese eseguite sul territorio nazionale a varie scale e con diversi tipi di emulsione, dall’organizzazione di una esposizione museale di una raccolta personale di strumenti geodetici, topografici, fotogrammetrici e camere metriche dei secoli XIX e XX presso il Palazzo Ducale di Colorno (Parma), nonché dalle numerose pubblicazioni scientifiche.

Un complesso di iniziative dunque, che oltre a promuovere l’imprenditore Licinio Ferretti al ruolo di grande esperto delle scienze geotopocartografiche, proiettato verso le problematiche contingenti dell’informazione territoriale contemporanea, lo segnalano anche come un grande maestro preoccupato di assicurare il trasferimento culturale di cognizioni scientifiche, geografiche e storiche, alle nuove generazioni di tecnici ed esperti della pianificazione territoriale.

La pubblica amministrazione in Italia: le province. Leggi dello stato e provvedimenti di numerose regioni hanno attribuito compiti di pianificazione alle province. Di quali competenze ha bisogno la pianificazione provinciale? Il parere di un dirigente, l’esperienza di alcuni laureati di Ca’ Tron

Ne parlano il dirigente dell’ufficio del piano di Bologna, arch. Alessandro Delpiano e alcuni laureati a Ca’ Tron che vi hanno lavorato: Catia Chiusaroli, Graziella Guaragno, Marco Guerzoni, Alida Spuches

Giovedì 15/03 Ore 14,30-18,30

La costituzione di un sistema di parchi in Val di Cornia deriva dalle scelte urbanistiche compiute tra il 1975 e il 1980, quando i comuni di Piombino, Campiglia Marittima, San Vincenzo e Suvereto diedero avvio ad una delle più interessanti e felici esperienze di pianificazione intercomunale.

Una volta stabilita la decisione di sottrarre all’urbanizzazione e alle lottizzazioni turistiche alcuni lembi costieri di straordinaria bellezza, e una volta definite le aree dei cinque parchi della Val di Cornia, si è posto il problema della gestione di un comprensorio così vasto. Nel 1993, con la partecipazione di tutti i Comuni della Val di Cornia e di imprese private, è stata costituita la Parchi Val di Cornia spa alla quale è stato affidato il compito statutario di realizzare e gestire le strutture e i servizi necessari per promuovere la tutela e la valorizzazione sotto il profilo sociale, economico e territoriale delle aree in questione.

La storia di successo della Parchi Val di Cornia dimostra come sia stato possibile tradurre in una realtà concreta l’intuizione tecnico-politica contenuta nei piani redatti all’inizio degli anni settanta. Possibile e necessario al contempo: se i parchi non fossero tuttora un modello di gestione, un soggetto economico e un protagonista attivo sulla scena locale, è del tutto probabile che le stesse scelte di pianificazione potrebbero facilmente essere messe nuovamente in discussione. (m.b.)

Chi volesse conoscere più da vicino la storia e le attività della società Parchi Val di Cornia, può scaricare l’intervento che il presidente, Massimo Zucconi, ha tenuto nell’edizione 2005 della Scuola estiva di pianificazione di eddyburg.

In eddyburg, due interventi giornalistici, di Giovanni Valentini e di Francesco Erbani spiegano perché la Parchi val di Cornia spa possa essere annoverata tra i pochi difensori del paesaggio e dell’ambiente italiano, e un esempio di come si possa concepire uno sviluppo diverso dalla mera crescita quantitativa.


REGIONE

LEGGE URBANISTICA

NOTE

ABRUZZO

Legge Regionale del 12 aprile1983 n. 18

“Norme per la conservazione, tutela, trasformazione del territorio della Regione Abruzzo.”

BASILICATA

Legge Regionale 11 agosto 1999 n. 23

“Tutela, governo ed uso del territorio”

CALABRIA

Legge regionale 16 aprile 2002 n. 19

"Norme per la tutela, governo e uso del territorio - Legge urbanistica della Calabria”

CAMPANIA

Legge Regionale n. 17 del 20 marzo 1982

“Norme transitorie per le attività urbanistico - edilizie nei Comuni della Regione”
un disegno di legge è stato approvato dalla Giunta Regionale il 5 giugno 2001

EMILIA ROMAGNA

Legge Regionale 13 febbraio 2000 n. 20

“Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio”

FRIULI VENEZIA GIULIA

Legge Regionale 19 novembre 1991 n. 52

“Norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica”

LAZIO

Legge Regionale 22 dicembre 1999 n. 38

"Norme sul governo del territorio"

LIGURIA

Legge Regionale 4 settembre 1997 n.36

“Legge urbanistica regionale”

LOMBARDIA

Legge Regionale 15 aprile 1975 n. 51

“Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico”
È in fase di discussione la nuova legge “per il governo del territorio della regione Lombardia”

MARCHE

Legge Regionale 5 agosto 1992 n. 34

“Norme in materia urbanistica, paesaggistica e di assetto del territorio”

MOLISE

LR 24 1/12/1989 “disciplina dei piani territoriali paesistico ambientali”

PIEMONTE

Legge Regionale 5 dicembre 1977 n. 56

“Tutela e uso del suolo”

PUGLIA

Legge regionale 27 luglio 2001 n. 20,

“Norme generali di governo e uso del territorio” + Legge regionale 15 dicembre 2000, n. 25 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di urbanistica e pianificazione territoriale e di edilizia residenziale pubblica”

SARDEGNA

Legge Regionale 22 dicembre 1989 n. 45

“Norme per l' uso e la tutela del territorio regionale”

SICILIA

Legge Regionale 27 dicembre 1978 n. 71

“Norme integrative e modificative della legislazione vigente nel territorio della Regione siciliana in materia urbanistica”

TOSCANA

Legge Regionale 16 gennaio 1995, n. 5

"Norme per il governo del territorio"
È in corso di elaborazione una legge di modifica, nota come “Supercinque”

UMBRIA

Legge Regionale 10 aprile 1995 n. 28

“Norme in materia di strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica”

VALLE D'AOSTA

Legge Regionale 6 aprile 1998 n. 11

“Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d'Aosta”

VENETO

Legge regionale 27 giugno 1985 n.61 (B.U.R. n. 27/1985)

“Norme per l'assetto e l'uso del territorio”
è in discussione il Disegno di Legge n. 36 del 10 ottobre 2001 recante:“Norme per il governo del territorio”

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO

Legge regionale 11 agosto 1997 n. 13

“Legge urbanistica provinciale”

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

Legge Provinciale 5 settembre 1991 n. 22

“Ordinamento urbanistico e tutela del territorio”

Nell’ambito del programma “Il Mondo di Ca’ Tron” si svolgeranno quattro seminari volti a discutere, sulla base di concrete esperienze di lavoro, i rapporti tra la formazione dei pianificatori che hanno svolto il loro apprendimento a partire dalle aule di Ca’ Tron e la domanda di professionalità che viene dal mondo del lavoro.

Ciascun seminario. moderato da Edoardo Salzano, sarà aperto da alcune domande poste dagli studenti del 3° anno del Corso di laurea in Scienze della pianificazione urbanistica e territoriale, cui risponderanno, riportando dati delle loro esperienze, ospiti esterni.

Sulla base dei risultati dei seminari gli studenti del corso “Il mestiere dell’urbanista” organizzeranno il seminario conclusivo del corso, che si terrà nel mese di maggio.

Giovedì 08/03

Ore 14,30-18,30

La pubblica amministrazione in Italia: le province. Leggi dello stato e provvedimenti di numerose regioni hanno attribuito compiti di pianificazione alle province. Di quali competenze ha bisogno la pianificazione provinciale? Il parere di un dirigente, l’esperienza di alcuni laureati di Ca’ Tron

Ne parlano il dirigente dell’ufficio del piano di Bologna, arch. Alessandro Delpiano e alcuni laureati a Ca’ Tron che vi hanno lavorato: Catia Chiusaroli, Graziella Guaragno, Marco Guerzoni, Alida Spuches

Giovedì 15/03

Ore 14,30-18,30

La ricerca in Italia e all’estero. Anche senza precludersi altre opportunità, i laureati possono decidere di svolgere attività di ricerca o didattica. Quali sono le possibilità e i modi dell’accesso a questo segmento del mondo del lavoro? In Italia la situazione è difficile, altrove forse è migliore.

Ne discutono alcuni laureati a Ca’ Tron e dintorni che svolgono attività di ricerca in Italia e all’estero: Laura Fregolent (Università Iuav di Venezia), Ivan Blecic(Università di Sassari-Alghero), Elena Besussi (Bartlett School – University College of London)

Giovedì 22/03

Ore 14,30-18,30

La pubblica amministrazione in Italia: i comuni. Il settore nel quale l’impiego degli urbanisti storicamente e attualmente più elevato è quello della pubblica amministrazione. I comuni costituiscono la quota più rilevante. Com’è il lavoro dell’urbanista in un comune? I suoi rapporti con i decisori, con i cittadini e le loro organizzazioni, con le informazioni di base, con i professionisti ...

L’esperienza di tre dirigenti di comuni della Toscana ( Graziella Beni, Elisa Spilotros, Stefania Fanfani), e di alcuni laureati di Ca’ Tron che lavorano in comuni del Veneto

Giovedì 29/03

Ore 14,30-18,30

La libera professione in Italia. Quali sono i lavori che l’urbanista è chiamato a svolgere se lavora come libero professionista. Quali sono i suoi rapporti con i decisori, quali problemi ne nascono, in che modo il suo ruolo e la sua preparazione si integrano con quelli degli altri soggetti.

Ne parlano Daniele Rallo, presidente dell’Associazione degli urbanisti e pianificatori territoriali e ambientali e Vezio De Lucia, urbanista libero professionista e protagonista di rilevanti esperienze amministrative

Tutti gli incontri avverranno nella sede della Facoltà di pianificazione del territorio, Ca’ Tron, Santa Croce 1957, Venezia. Essi sono aperti a tutti

Titolo originale: Future Planners: Propositions for the next age of planning - estratti e traduzione a cura di Fabrizio Bottini



Il pianificatore del futuro

Quella del “ planner” è una professione moderna. Sin dal suo emergere negli anni ’20 ha avuto alti e bassi, a seguito di mutamenti nelle ideologie politiche e del contesto sociale. É possibile tracciare una storia professionale contemporanea a partire dagli anni ‘80, decennio contrassegnato da una fede politica nel libero fluire del mercato e nella deregulation. Il sistema di pianificazione era considerato un ostacolo all’incremento della crescita economica. Ma oggi assistiamo a un ritorno dell’idea di pianificazione come elemento chiave per consentire uno sviluppo sostenibile legittimato democraticamente.

Quanto emerge chiaramente dalla nostra ricerca è che le risposte per una pianificazione di successo non possono venire dai soli urbanisti, o cittadini, o dall’impresa, ma da tutti e tre. Un funzionario dell’ufficio tecnico di Middlesbrough ha commentato che “… la pianificazione non è l’inizio e la fine di tutto. Ma senza di essa, non si possono ottenere alcuni altri obiettivi economici e sociali”. Esiste un complesso intreccio di responsabilità e sostegno: far corrispondere le aspirazioni della comunità alla capacità di risposta degli urbanisti, e i diritti dei costruttori con le loro responsabilità rispetto all’ambiente e alle città in cui operano.

Centrale, l’impegno dei pianificatori alla creazione di valori pubblici, che comporta comprendere come gli urbanisti possano unire nella realizzazione di spazi sostenibili le forze dell’impresa privata, del terzo settore, e delle stesse comunità.



Un esperto indipendente: valori pubblici e professionali

Il planner dà molto peso alla propria neutralità. Ma il pianificare risulta sempre più politicamente orientato. Ci siamo convinti che non è sempre scontato, che gli organismi pubblici perseguano l’interesse pubblico. E dunque la posizione dell’urbanista in quanto dipendente dell’amministrazione locale, che ha un mandato politico, o come consulente di un soggetto privato, con interessi commerciali, può indebolirne l’immagine di indipendenza e neutralità. Ne può risultare di conseguenza compromessa la percezione pubblica dell’urbanista, indipendentemente dalla sua etica professionale. Molte persone identificano il planner con interessi e poteri apparentemente al di là della loro portata: vuoi attraverso la sua competenza professionale, vuoi per appartenenza politica.

Un’immagine pubblica ancora più importante in un contesto in cui emergono nuove identità professionali impegnate, eticamente consapevoli, orientate a valori pubblici. Come ci ha detto un funzionario municipale di Milton Keynes, “si percepisce davvero di poter fare del mondo un luogo migliore”.

Questi professionisti comprendono di essere inevitabilmente agenti morali, il cui lavoro per riuscire dipende dalla fiducia del pubblico. E si impegnano a svolgere questo ruolo; un funzionario di Middlesbrough ci ha detto: “Potrei guadagnare molto di più … se lavorassi nel settore privato. E molta gente non capisce quanto noi si vada oltre l’orario di lavoro, per l’impegno nel lavoro che stiamo svolgendo”. Gran parte degli urbanisti con cui abbiamo parlato – nel settore pubblico e in quello privato – avvertono istintivamente questa dimensione etica.

La storia dell’ Urbanista Futuro è quella dei nuovi modi in cui viene utilizzata e condivisa la sua conoscenza ed esperienza. I cambiamenti che abbiamo sottolineato, ridefiniscono i rapporti del planner con l’autorità e i decisori, ridimensionando la tendenza della delega, da parte del pubblico, ad una pura conoscenza tecnica. Per essere un soggetto indipendente di realizzazione di valori pubblici, l’urbanista ha bisogno di un modello aperto e collaborativo di consulenza. Deve sempre più “ascoltare in modo diverso”, con una disponibilità a domande varie e impegnative.

Lo spostamento formalizzato verso un sistema di pianificazione spaziale pone l’accento sulle capacità tecniche necessarie all’urbanista, che si tratti di progettazione urbana, della capacità di valutazione di sostenibilità, di mediare fra interessi diversi. Allo stesso tempo , come ha sottolineato Sir John Egan, i pianificatori devono anche sviluppare le capacità relazionali necessarie a guidare processi di “co-produzione”. Questo spirito collaborativo risulterà centrale nello sviluppo della figura del planner per il XXI secolo. Ad esempio, le persone con cui abbiamo parlato hanno tutte sottolineato l’importanza di individuare i limiti delle proprie conoscenze: sapere quando, dove e come rivolgersi a competenze che non possiedono.

A Tower Hamlets un tecnico ci ha detto che “… ci vuole la conoscenza necessaria a individuare un problema … Poi per costruire i collegamenti con le altre risorse adeguate”. Abbiamo rilevato questo ruolo molto ben compreso all’interno del nostro laboratorio: “gli urbanisti contribuiscono alla conoscenza comune portando il contributo di una consapevolezza spaziale”. A The Wash, la cosa è accaduta per la gestione della linea di costa. Il planner non doveva tanto essere un esperto ingegnere, ma “tenere insieme” in rappresentanza della pubblica amministrazione i contributi di altri e gli insegnamenti dell’esperienza locale di altri professionisti.



Nuovi ruoli per il pianificatore

Per comprendere il nuovo ruolo dell’urbanista, è centrale il bisogno di rafforzare la sua indipendenza, ovvero riconoscerne la posizione di esperto nel senso esposto sopra. Ciò comporta anche la comunicazione e lo sviluppo dei nuovi ruoli corrispondenti ai cambiamenti delineati.

Egualmente importante, è esprimere le competenze relative a questi ruoli. Il planner ha sempre più una funzione chiave nella redazione e gestione di progetti per realizzare valori pubblici. Per svolgerla, in futuro dovrà essere in grado di:

• negoziare

• essere indipendente

• mediare

• comunicare

• collaborare

• comprendere i bisogni delle comunità

• essere in grado di pensare per scenari

Nel corso della nostra ricerca abbiamo individuato quattro potenziali ruoli futuri per il pianificatore.

Probabilmente sarà necessario operare in senso trasversale rispetto ad essi; alcuni segnali di questi intrecci si possono già rilevare nel modo di lavorare attuale.



1 - Il planner come facilitatore

Gli urbanisti hanno una grande conoscenza di leggi e norme, nonché la capacità di leggere l’ambiente naturale e costruito: quanto potremmo definire ecologia urbana dello spazio. Essi sviluppano anche una enorme esperienza rispetto a come funziona il sistema. I pianificatori vedono sempre più il proprio ruolo nell’usare tutto questo nel facilitare l’emergere di una visione per una certa area: aiutare le persone ad esprimere aspirazioni, utilizzare le proprie conoscenze e reti per trasformarle in realtà. Ciò significa un uso efficace dei processi di gestione per costruire consenso fra pubblico, privato, cittadini; come i costruttori possono realizzare valori pubblici; come ci si rapporta all’interno delle amministrazioni. Questi processi collaborativi si inseriscono nel superamento del deficit democratico; ad esempio, il planner può giocare un ruolo chiave nell’integrare due livelli di pianificazione gestiti da due diverse autorità.



2 - Lo “scenario planner

La pianificazione per scenari, introdotta da compagnie come la Shell negli anni ‘70, deriva dall’aumento di incertezza e rischio nel mondo d’oggi, e dalla conseguente impossibilità di sapere esattamente cosa riserva il futuro. La serie di scenari è essenzialmente fatta di evoluzioni e simulazioni prodotte in modo collaborativi, pensate per rendere visibili diverse possibili linee di sviluppo, e di predisporre azioni nella prospettiva di un futuro auspicato.

Questa pianificazione per scenari diventerà sempre più importante nel futuro, dato che la nuova politica governativa per la casa la individua come strumento essenziale. In quanto leader nella costruzione degli scenari, il ruolo del pianificatore sarà quello di collegare cause ed effetti esplicitando le implicazioni dell’agire, responsabilizzando costruttori e cittadini nel riconoscere i rischi di lungo termine e i valori di un intervento. La pianificazione di scenario contribuisce ad affrontare la questione del deficit partecipativo, ponendo al centro dell’azione futura flessibilità e reattività.



3 - Il provocatore

Esiste un ruolo importante da giocare per un urbanista “rompiscatole”, nel mettere in dubbio gli assunti di partenza dei cittadini e offrire contesti e prospettive alternativi. Si tratta di un ruolo vitale che contrasta il dogmatismo per sostenere l’innovazione e il cambiamento, nella realizzazione degli spazi naturali e urbani. Mettendo in comunicazione ciò che avviene localmente con quanto cambia a livello nazionale e globale, il pianificatore si inserisce nel processo di sostegno ai cittadini, ai politici e all’impresa, nel comprendere le implicazioni del proprio agire.

Ciò è particolarmente vero, in campo urbanistico, in un contesto di progetti che potenzialmente possono dividere, dove risulta centrale comprendere lo scontro fra valori locali pubblici e non. In modo simile, il mettere in dubbio domande e assunti dell’impresa dal punto di vista dei cittadini, e viceversa, può rappresentare uno strumento vitale nella costruzione del consenso. Questo tipo di “provocazione”, attraverso la sfida costruttiva e la messa in discussione, può risultare importante nell’affrontare a questione del deficit di valori pubblici, già sottolineata, coinvolgendo in modo attivo la percezione dei valori, locali e pubblici, e i loro rapporti.



4 - Il pianificatore come giudice

In un mondo di democrazia multiforme, l’urbanista dovrà trovare un ruolo di arbitro indipendente fra valori globali, nazionali, locali, individuali, futuri. Un mondo che chiederà ai pianificatori di modificare i propri rapporti con le strutture dell’amministrazione locale, e il proprio livello di autonomia. Scollegarsi da quanto è percepito come interesse particolare, dimostrare indipendenza, è importante per riaffermare l’etica professionale e la neutralità di giudizio. Ciò comporta anche chiarezza sui limiti e potenzialità del proprio ruolo – la propria collocazione, il potere – e su cosa esattamente significhi indipendenza. Ciò significa anche essere aperti sui rapporti coi politici, l’impresa, la cittadinanza. Di conseguenza sosteniamo l’idea espressa nel Local Government White Paper e da Kate Barker, che debba diventare di livello più elevato la figura dell’Urbanista Capo nella pubblica amministrazione, come primo passo per affrontare questi problemi.

[… il rapporto originale integrale è allegato alla versione inglese di questi estratti - f.b.]

here English version

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La presente iniziativa legislativa è ispirata in via esclusiva da uno schema redatto da Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sul progetto di legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso, modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano e Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti del cosiddetto “progetto di legge Lupi” (atto Senato n. 3519, XIV legislatura) che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella presente proposta di legge. Tra questi hanno espresso il loro consenso o formulato proposte di correzione e integrazione Piergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi e Francesco Indovina.

La presente proposta di legge ha l’ambizione di determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale in merito alle finalità, agli obiettivi, alla titolarità, ai caratteri essenziali, alle facoltà e alla efficacia, nonché ai procedimenti decisionali dell’attività di pianificazione territoriale e urbanistica, la cui disciplina di dettaglio compete, fin dalle origini dell’assetto costituzionale repubblicano, alla legislazione regionale. Ciò sia al fine di tracciare alla produzione legislativa regionale un quadro di orientamenti unificanti, che garantiscano a tutto il territorio nazionale, alle sue risorse, ai suoi beni e valori, nonché a tutti i cittadini in esso dimoranti, l’eguaglianza dei livelli essenziali delle tutele e delle prestazioni offerte, sia al fine di supportare la medesima legislazione regionale, innanzitutto e soprattutto ove vi sia interferenza con questioni di riserva di legge nazionale, come, ad esempio, in merito alla “latitudine” delle facoltà connesse al diritto di proprietà. Già a norma del primo comma dell’articolo 117 della Costituzione, nel testo entrato in vigore il 1°gennaio 1948, spettava alle regioni emanare, per le “materie” ivi elencate, tra le quali l’”urbanistica”, “norme legislative nei limiti dei princıpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni”.

Al momento della concreta costituzione delle regioni, al fine di consentire alle stesse di iniziare immediatamente a legiferare nelle “materie” di competenza (senza attendere l’emanazione di leggi statali enuncianti i “principi fondamentali” della disciplina di ognuna di esse) la legge 10 febbraio 1953, n. 62, dispose che la produzione legislativa regionale poteva svolgersi “nei limiti dei princıpi fondamentali quali risultano da leggi che espressamente li stabiliscono per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti” (articolo 9, primo comma, come sostituito dalla legge n. 281 del 1970). Questa seconda possibilità implicò la necessità che le regioni si impegnassero a sceverare i contenuti ai quali riconoscere la natura di “principi fondamentali”, relativamente alla materia denominata “urbanistica”, nell’ambito delle disposizioni, essenzialmente, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni.

Con il tempo, l’accezione del termine costituzionale “urbanistica” è stata evolutivamente riconosciuta assai larga dalla dottrina, dalla giurisprudenza e anche dal diritto positivo: basti citare, per quest’ultimo, la definizione data dall’articolo 80 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, per cui l’”urbanistica” concerne “la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”. L’atto con forza di legge avvicinava il lemma “urbanistica” a quello di “governo del territorio”, ancorché esso potesse e può tuttora avere un significato ancora più vasto.

Nei fatti, relativamente a non pochi degli argomenti che la definizione riportata riconduce nell’ambito dell’“urbanistica”, la legislazione statale si è arricchita, dopo la concreta costituzione delle regioni, e ancora più dopo l’enunciazione della suddetta definizione, di provvedimenti più o meno integralmente innovativi: per esempio sulla difesa del suolo, sulle aree naturali protette, sulle trasformazioni edilizie, sulle espropriazioni di immobili e sulle opere pubbliche.

Per converso, ancora prima della concreta costituzione delle regioni (ma avendo ben chiara la sua imminenza), iniziarono i tentativi di definire leggi statali innovative, relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica; tentativi che si sono succeduti, fino a tempi recentissimi, seppure con variabile intensità di frequenza, senza successo. Fa eccezione la cosiddetta “legge ponte” n. 765 del 1967 (che, anziché costituire una tappa intermedia del percorso di costruzione di una nuova legge urbanistica, si risolse e si esaurì nella più incisiva integrazione e modificazione della legge n. 1150 del 1942), e fanno eccezione le leggi essenzialmente rivolte a innestare e a fondare sulla pianificazione le politiche finalizzate a dare risposta alle esigenze di edilizia abitativa economica e popolare, nonché la legge 28 gennaio 1977, n. 10 (che, per ricordare soltanto i suoi contenuti più significativi, generalizzava l’obbligo posto a carico degli operatori delle trasformazioni di immobili di contribuire alle spese di impiantistica del territorio e introduceva l’istituto della programmazione nel tempo degli interventi previsti e disciplinati dalla pianificazione).

La presente proposta di legge nasce quindi dalla convinzione dell’urgenza, non ulteriormente dilazionabile, di provvedere a determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale relativamente agli aspetti e ai profili della pianificazione territoriale e urbanistica di cui si è detto all’inizio di questa relazione, per i fini ivi enunciati, seppure sinteticamente.

Si avverte, infatti, forse più che nel periodo ultraquarantennale del quale dianzi si è tracciato il ricordo, la necessità, che si vorrebbe fosse riconosciuta tra le priorità nazionali, di rilanciare la cultura (e la prassi) della pianificazione territoriale e urbanistica, quale attività relativa a un patrimonio comune non negoziabile (in quanto, tipicamente, non riproducibile e non fungibile), di titolarità irrinunciabilmente pubblica, volta al perseguimento esclusivo, o almeno prioritario, di interessi collettivi, neppure essi tra loro “equiordinati”, ma piuttosto gerarchizzati secondo un ordine che veda la priorità della tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale dello stesso territorio, da preservare anche per le generazioni future.

È sufficiente l’enunciazione dei concetti espressi circa le finalità e i caratteri della pianificazione territoriale e urbanistica per evidenziare come i contenuti della presente proposta di legge siano radicalmente in controtendenza rispetto alla “cultura” (e alla prassi) via via sempre più protervamente affermatasi a partire dagli anni ’80, e che stava, nella scorsa legislatura, per ricevere la sua consacrazione in termini di “princıpi fondamentali della legislazione dello Stato” grazie al citato disegno di legge noto, dal nome del suo presentatore, come “legge Lupi”, approvato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005, trasmesso al Presidente del Senato della Repubblica il giorno successivo (atto Senato n. 3519), e in tale ramo del Parlamento fortunatamente (e grazie all’impegno di alcuni, pochi, senatori) arenatosi.

È, per converso, doveroso riconoscere che la presente proposta di legge rinuncia a priori a configurarsi come la legge statale organica nella materia che il terzo comma dell’attuale articolo 117 della Costituzione denomina “governo del territorio”. Ciò in ragione del fatto che una concezione adeguatamente matura della nozione di “governo del territorio” non può non comprendervi, in tutto o in parte, materie che lo stesso terzo comma del novellato articolo 117 della Costituzione enumera, assieme al suddetto “governo del territorio”, tra quelle parimenti di legislazione concorrente quali: protezione civile; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Come non può non ricomprendervi anche, almeno in parte, materie nelle quali lo Stato ha “legislazione esclusiva”, e cioè la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. Un provvedimento legislativo statale effettivamente “organico” dovrebbe quindi trattare unitariamente tutte le materie che sono state richiamate, dettando solamente “princıpi fondamentali“ in quelle “di legislazione concorrente“ (salvo stabilire anche disposizioni direttamente operative destinate ad avere vigore sino alla definizione di quelle correlative regionali), statuendo sia disposizioni immediatamente vincolanti erga omnes che precetti richiedenti l’intervento specificativo della legislazione regionale in quella che la ricordata dottrina della Corte costituzionale ha chiamato una “materia-attività”. È possibile si riesca a pervenire ad emanare un siffatto provvedimento legislativo statale, nonostante le gravosissime difficoltà tecniche (per non fare neppure cenno a quelle politico-istituzionali), ma oggi tale possibilità è remota.

La proposta di legge che qui si presenta concerne quindi il solo campo della pianificazione urbanistica e territoriale come, del resto, la medesima “legge Lupi” e gran parte delle leggi regionali che recano, invece, il titolo di “governo del territorio”. Ciò non significa peraltro che, nel definire finalità, strumenti e procedure della pianificazione non si sia tenuto conto di un insieme di princıpi che – si ritiene – dovranno ispirare l’insieme degli atti normativi relativi al “governo del territorio”.

Il governo del territorio, qualunque sia lo specifico campo al quale si riferisce, viene esercitato ponendo come obbiettivi di ogni atto di conservazione e di trasformazione il benessere dei cittadini, il miglioramento delle condizioni di qualità, sicurezza e fruibilità collettiva del territorio, dando priorità alla conservazione della natura, alla gestione prudente degli ecosistemi e delle risorse primarie, alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico, artistico e culturale, alla qualità degli spazi urbani, dell’architettura e delle infrastrutture. A tale fine gli obiettivi di conservazione, di tutela e di valorizzazione fanno parte irrinunciabile di ogni atto di governo suscettibile di incidere sulle condizioni dell’ambiente urbano, del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale.

Tutte le scelte relative alla conservazione e alla trasformazione del territorio devono, pertanto, essere informate ai seguenti princıpi:

a) prevalenza dell’interesse generale su quello particolare e dell’interesse pubblico su quello privato;

b) attribuzione alla risorsa ambientale di un valore primario per la collettività;

c) promozione di un uso del territorio che favorisca l’equità e l’estensione della partecipazione e della democrazia;

d) consapevolezza del fatto che il territorio è un bene comune e che ogni azione compiuta da soggetti pubblici e privati deve essere ispirata e compatibile con questo principio.

Le amministrazioni pubbliche che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

a) promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso: 1) l’offerta di spazi e di servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali; 2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi; 3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

b) sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura e dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

c) affermare il valore imprescindibile dell’unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali.

La presente proposta di legge, nel determinare i “princıpi fondamentali” della legislazione statale in merito alla pianificazione del territorio, provvede doverosamente a recepire, per quanto di competenza della legislazione statale e con esclusivo riferimento alla medesima pianificazione del territorio, la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Tale recepimento non rappresenta un adempimento formale di un obbligo comunitario, ma trova ragione nella profonda adesione allo spirito della direttiva.

Il recepimento della direttiva è realizzato grazie ad una duplice opera. Sottolineando l’obbligo, nel corso del procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione (articolo 11), di plurimi momenti di confronto con la cittadinanza, non limitandosi al tradizionale ricevimento delle osservazioni dei diversi soggetti ai documenti costitutivi dello strumento adottato, nonché dettando (articolo 16) specifiche disposizioni in merito all’effettuazione della valutazione degli effetti sull’ambiente.

È previsto, poi, che gli elaborati della pianificazione del territorio di competenza comunale, recepiti o specificati tutti i contenuti degli strumenti di pianificazione, e degli altri atti incidenti sulla disciplina del territorio, sovraordinati, ordinari, specialistici e settoriali, costituiscono la “carta unica del territorio”, cioè l’unico riferimento per la verifica di ammissibilità degli strumenti di specificazione attuativa e dei progetti delle trasformazioni (articolo 17). La citata direttiva comunitaria si realizza altresì con la previsione per cui i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato devono concorrere alla costruzione e alla gestione di un sistema informativo territoriale integrato (articolo 18).

Ribadito l’assunto fondamentale e irrinunciabile della titolarità pubblica della pianificazione del territorio (articolo 2, comma 1), si provvede: ad attribuire le competenze relative alla formazione degli strumenti di pianificazione ordinaria esclusivamente agli enti territoriali dotati di un organismo decisionale elettivo di primo grado nonché a ricondurre ai suddetti enti territoriali le competenze decisionali finali in merito agli strumenti di pianificazione specialistica e settoriale la cui predisposizione sia necessariamente affidata ad altre pubbliche autorità (articolo 2, commi 2 e 4).

È il caso di sottolineare (articolo 2, comma 3) che il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni – nonché delle province e delle città metropolitane – deve essere operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza legislativa esclusiva (a norma della lettera p) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione) di definizione delle funzioni fondamentali di tali enti territoriali. In conseguenza di ciò le regioni ordinarie sarebbero inibite nell’esercizio sostitutivo delle predette competenze pianificatorie rispetto a una delle indicate categorie di enti territoriali (essendo ciò invece legittimamente fattibile da parte delle regioni cui i relativi statuti speciali abbiano attribuito ogni determinazione in merito all’ordinamento e alle funzioni degli enti locali subregionali).

È inoltre, da altre disposizioni della presente proposta di legge (articolo 10, comma 1), ribadito e precisato il fatto che spetta alla legislazione regionale la puntuale specificazione delle pubbliche autorità competenti alla formazione dei diversi strumenti di pianificazione, nonché dei contenuti, della efficacia, degli archi temporali di riferimento e dei procedimenti di formazione dei predetti diversi strumenti di pianificazione. Vale la pena sottolineare come venga esplicitata un’accezione del principio di sussidiarietà effettivamente omogenea con quella presente nei trattati istitutivi dell’Unione europea. In forza di questa accezione, le competenze decisionali relativamente alle diverse scelte tipiche dell’attività pianificatoria devono essere attribuite al soggetto istituzionale che possa operarle con il massimo dell’efficienza e dell’efficacia, rispetto agli interessi dei cittadini amministrati, in ragione dell’ambito di incidenza delle scelte considerate e dei loro effetti (articolo 10, comma 2).

Quanto all’attività pianificatoria di competenza dello Stato, essa è sostanzialmente ricondotta a quella definizione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale” che era già prevista dalla lettera a) del primo comma dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 (successivamente abrogata dal decreto legislativo n. 112 del 1998) e relativamente alla quale vengono specificati sia i contenuti essenziali che la procedura decisionale (articolo 9).

Riaffermata la competenza degli strumenti di pianificazione a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, ivi comprese, salvo pochissime eccezioni puntualmente circoscritte, quelle indotte da atti e azioni delle pubbliche amministrazioni, si ribadisce il carattere, già riconosciuto dalla giurisprudenza pressoché costante, e certamente consolidata, nel sessantennio trascorso, di piena discrezionalità tecnica e politica dell’attività pianificatoria, comprensiva della possibilità di trasformazione precedentemente attribuita per determinati immobili o complessi di immobili o componenti territoriali, con l’unico limite di non incidere sulle facoltà riconosciute da un provvedimento abilitativo già rilasciato e, anche in questo caso, a condizione che tali facoltà siano state attivate entro un predeterminato periodo di tempo (articolo 3).

In piena coerenza concettuale con l’attribuzione in via esclusiva agli strumenti di pianificazione della competenza a regolare ogni trasformazione, fisica e funzionale, del territorio e degli immobili che lo compongono, l’istituto degli accordi di programma, previsto dall’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è ricondotto alla sua originaria, preziosissima funzione di strumento di coordinamento per l’attuazione di interventi che richiedano l’azione integrata e combinata di più soggetti pubblici, escludendo che essi possano comportare variazioni ai vigenti strumenti di pianificazione (articolo 12).

Si propone di riconoscere, per la prima volta nell’ordinamento legislativo della Repubblica, quali “diritti dell’uomo”: quelli all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali e del patrimonio culturale, nonché alla proprietà (articolo 4, comma 1).

La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (a norma della lettera m) del secondo comma del novellato articolo 117 della Costituzione), posta come fondamento dell’attribuzione alla legislazione statale del compito di determinare le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici e per la fruizione collettiva, per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni (articolo 4, comma 2).

Anche ai fini del soddisfacimento dei diritti citati, è ribadito il principio per cui ogni trasformazione urbanistica deve concorrere al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria (articolo 5).

La prima e fondamentale disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge riguarda la finalità di contenere al massimo l’utilizzazione del territorio non urbanizzato, per realizzarvi nuovi insediamenti di tipo urbano, ovvero ampliamenti di quelli esistenti, nuove infrastrutture, ovvero attrezzature puntuali, e comunque manufatti diversi da quelli strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale. Perciò viene perentoriamente affermato (articolo 7, comma 1) che “Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”. Vengono al contempo dettati (articolo 7, commi 2 e seguenti) i princıpi fondamentali da rispettare nella legislazione regionale per disciplinare le trasformazioni (fisiche e funzionali) ammissibili nel territorio non urbanizzato, riproponendo un modello di disciplina già sperimentato, seppure a diversi livelli di compiutezza e di rigore, ma comunque per consistenti periodi di tempo, in diverse regioni (Calabria, Campania, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto, provincia autonoma di Bolzano) e quindi assunto come ottimale.

L’operazione è rafforzata dalla proposta (formulata dal comma 1 dell’articolo 19) di aggiungere alle categorie di elementi e di componenti territoriali qualificati ope legis quali beni paesaggistici ai sensi del comma 1 dell’articolo 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, quella del “territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”.

La seconda disposizione a carattere “sostanziale” della presente proposta di legge concerne il patrimonio edilizio storico. Riprendendo suggerimenti avanzati già dalle Commissioni istituite dal Parlamento o dal Governo, negli anni ’60, per elaborare proposte relative alla riforma della legislazione sui beni culturali e paesaggistici, nonché l’istanza posta da uno specifico disegno di legge presentato, due legislature or sono, dal Ministro dei beni e delle attività culturali, e assumendo come modello procedimentale quello definito, con riferimento ai beni paesaggistici, dalla parte terza del citato codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, vengono previsti (ex articolo 8) come beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, purché d’intesa con la competente soprintendenza:

a) gli insediamenti urbani storici e le strutture storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentano, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi parte del territorio non comprese nella lettera a), aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

Si stabilisce altresì che, laddove le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili indicati siano oggetto di disposizioni immediatamente cogenti definite dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane o delle regioni, d’intesa con la competente soprintendenza, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengano luogo delle speciali autorizzazioni dell’amministrazione statale dei beni culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

La presente proposta di legge ribadisce la giurisprudenza della Corte costituzionale, definita a partire dalla storica sentenza 29 maggio 1968, n. 56, e brillantemente riassunta, in tempi relativamente recenti, dalla sentenza 20 maggio 1999, n. 179, relativamente ai casi in cui il problema di un indennizzo in conseguenza dell’apposizione di vincoli, cioè di limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, non si pone (articolo 13).

La presente proposta di legge si fa carico, altresì, di dare una soluzione reale e definitiva alla questione (si riportano virgolettate le espressioni della citata sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999) dell’”alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell’efficacia del vincolo” che si pone ove i vincoli “siano preordinati all’espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati”, i quali imprimano una destinazione di interesse pubblico a specifici immobili individuati discrezionalmente in un contesto di immobili aventi connotati sostanzialmente analoghi.

A tale questione si propone di dare una soluzione alternativa a quella individuata a partire dalla legge 19 novembre 1968, n. 1187, consistente nella fissazione di una “durata massima dell’efficacia del vincolo”. Si sostiene invece (articolo 14) che gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione e dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative devono essere utilizzati solamente per funzioni pubbliche o collettive. Si stabilisce altresì che valgano in tali casi le medesime disposizioni dettate per quelli di acquisizione pubblica secondo il modello dell’”espropriazione sostanziale” (assunte dai più maturi e organici approdi della giurisprudenza della Cassazione, alla quale si deve la definizione di tale modello, susseguente alla creazione giurisprudenziale della figura dell’”accessione invertita”).

È infine stabilito (articolo 15) che le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione di tipo attuativo specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni. Tali strumenti di pianificazione devono garantire la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono, essendo la partecipazione ai benefıci e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli e degli edifici esistenti.

Si stabilisce anche che, nel caso di interventi, previsti dalla pianificazione, di particolare rilevanza urbanistica ed economica, nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, si possa dichiararne la pubblica utilità quale premessa dell’acquisizione pubblica dell’insieme degli immobili interessati.

Nel corso della elaborazione della proposta di legge si è più volte posto l’interrogativo sulla possibilità di evitare, con una legge ordinaria, la pratica devastante (malauguratamente posta in atto reiteratamente nell’ultimo decennio) di condonare le trasformazioni del territorio avvenute in difformità alla strumentazione urbanistica. I condoni edilizi sono stati, infatti, una delle maggiori cause della delegittimazione della pianificazione del territorio e, insieme alla cattiva pianificazione, della devastazione del patrimonio comune. Che senso ha – ci si è domandati – costruire un sistema di norme garantista dell’interesse collettivo se poi subentrano ulteriori condoni a svuotarne l’efficacia?

Si è ragionato sulla possibilità di inserire in una “legge di princıpi” norme che rendessero più efficace la repressione dell’abuso e più tassativo l’obbligo di riduzione in pristino.

Una maggiore efficacia delle norme repressive non è peraltro sufficiente a impedire al legislatore ordinario di non modificare le proprie determinazioni. Si è però ritenuto necessario limitarsi, in questa sede, ad auspicare un intervento del legislatore costituzionale che introduca, nelle modifiche alla Costituzione, una norma che esplicitamente faccia divieto agli organi di governo a tutti i livelli di promulgare a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione provvedimenti di condono di uso del territorio in deroga ai piani territoriali.

Testo degli articoli

CAPO I

FINALITÀ

ART. 1.

(Pianificazione del territorio).

1. La presente legge reca norme in materia di pianificazione del territorio.

2. Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nell’ambito delle specifiche competenze.

3. La pianificazione del territorio è lo strumento fondamentale attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della materia oggetto di legislazione esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione denominata “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, nonché delle seguenti materie oggetto di legislazione concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo articolo 117 della Costituzione: protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, nonché di materie oggetto di legislazione esclusiva delle regioni, ai sensi del quarto comma dello stesso articolo 117 della Costituzione, quali viabilità e opere pubbliche di interesse regionale e locale.

4. La pianificazione del territorio è altresì lo strumento attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della tutela del paesaggio ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione.

5. Relativamente a ogni aspetto delle materie di cui ai commi 3 e 4 non disciplinato dalle disposizioni della presente legge valgono i relativi atti normativi, nel rispetto delle competenze costituzionalmente garantite dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato.

6. La presente legge provvede altresì al recepimento, per quanto di competenza della legislazione dello Stato e con esclusivo riferimento alla pianificazione del territorio, della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

ART. 2.

(Titolarità pubblica della pianificazione del territorio).

1. La pianificazione del territorio compete esclusivamente a pubbliche autorità.

2. La formazione degli strumenti di pianificazione del territorio spetta ordinariamente ai comuni, alle province, alle città metropolitane, alle regioni e allo Stato.

3. Il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, è operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza esclusiva di definizione delle funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane.

4. La legislazione dello Stato e quella regionale possono attribuire competenze nel campo della formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette, all’erogazione di servizi di interesse collettivo e similari, ad altre autorità pubbliche, con la concorrenza di diversi enti territoriali, fermo restando che anche in tali casi la competenza decisionale finale spetta all’ente territoriale nella cui circoscrizione rientra l’intero ambito oggetto dello specifico strumento di pianificazione.

5. La legislazione dello Stato e quella regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, specificano i casi di prevalenza degli strumenti di pianificazione specialistica o settoriale di cui al comma 4 sugli ordinari strumenti di pianificazione e le modalità di adeguamento di questi ultimi alle disposizioni specialistiche o settoriali. Sono altresì specificati i casi in cui il raggiungimento di intese con le autorità pubbliche competenti conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni le valenze e le efficacie dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

ART. 3.

(Strumenti di pianificazione).

1. Gli strumenti di pianificazione sono rivolti a regolare le trasformazioni, fisiche o funzionali, del territorio e degli immobili che lo compongono nonché a conferire loro coerenza, in relazione alla loro collocazione nello spazio e alla loro successione nel tempo.

2. Gli atti e le azioni delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni di cui al comma 1 devono essere conformi a strumenti di pianificazione. Fanno eccezione unicamente gli atti assunti nei casi di straordinaria necessità con interventi urgenti utili alla difesa del territorio nazionale, alla prevenzione di calamità naturali e di catastrofi o al ripristino dell’equilibrio preesistente a tali eventi.

3. Le facoltà di operare trasformazioni fisiche e funzionali degli immobili non possono essere annullate o modificate da sopravvenuti strumenti urbanistici quando le medesime trasformazioni sono state attuate sulla base di uno specifico provvedimento abilitativo e poste in essere secondo i tempi previsti dalla normativa in materia.

ART. 4.

(Diritto alla città e all’abitare).

1. La pianificazione assicura che l’impiego delle risorse territoriali non ne comprometta la consistenza. L’utilizzazione di tali risorse è garantita in condizioni equi- valenti a tutti i cittadini, in riferimento ai diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali e ambientali e del patrimonio culturale, nonché al diritto di proprietà.

2. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la legislazione dello Stato determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, per la fruizione collettiva e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni, che devono essere assicurati negli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze.

3. In particolare, il comune, per ridurre le condizioni di disagio abitativo, definisce, nell’ambito delle previsioni degli strumenti di pianificazione, le localizzazioni e le modalità realizzative per ampliare l’offerta di edilizia sociale.

ART. 5.

(Oneri della trasformazione urbanistica).

1. L’attività di trasformazione urbanistica presuppone l’esistenza o la contemporanea predisposizione delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, ivi comprese quelle necessarie per la mitigazione ambientale.

2. Ogni trasformazione urbanistica concorre alla copertura degli oneri relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria, in relazione all’entità delle opere necessarie e delle trasformazioni previste.

3. La legislazione regionale stabilisce le modalità e le garanzie per assicurare che, negli ambiti che ne sono sprovvisti, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano realizzate in modo da pervenire a un equilibrio tra somme introitate dal comune e oneri da sostenere. Le opere di urbanizzazione generale sono ripartite, sulla base di riferimenti parametrici, sulla base dell’insieme degli interventi ricadenti nel territorio comunale.

ART. 6.

(Partecipazione e condivisione delle conoscenze).

1. La partecipazione dei cittadini alla formazione delle scelte della pianificazione del territorio è condizione essenziale per la loro efficacia. Essa ha la sua necessaria premessa nella condivisione di tutte le informazioni riguardanti il territorio, la pianificazione e le trasformazioni.

2. Gli enti pubblici promuovono la costituzione di strutture atte a garantire la diffusione di esaurienti e adeguate forme di conoscenza continua e di monitoraggio attinenti ai processi di pianificazione e di trasformazione urbane, nelle loro premesse, formazione e attuazione.

ART. 7.

(Contenimento dell’uso del suolo e tutela delle attività agro-silvo-pastorali).

1. Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.

2. Le leggi regionali assicurano che, sul territorio non urbanizzato, gli strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, demolizioni e ricostruzioni o consistenti ampliamenti di edifici, se non strettamente funzionali all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri rapportati alla qualità e all’estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalla legislazione vigente in materia.

3. Le leggi regionali stabiliscono che le trasformazioni di cui al comma 2 sono assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali è prevista la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale è assentita la trasformazione.

4. Le leggi regionali stabiliscono l’impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici, o di loro parti, attivando utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente all’estensione richiesta per la trasformazione ammessa.

5. Le leggi regionali disciplinano, altresì, le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e di risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e di ricostruzione.

6. Le leggi regionali prevedono la demolizione senza ricostruzione dei manufatti edilizi già utilizzati come annessi rustici, qualora tali manufatti perdano la destinazione originaria.

7. Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono disporre ulteriori limitazioni, fino alla totale modificalità, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico e storico-testimoniale del patrimonio edilizio esistente.

ART. 8.

(Tutela degli insediamenti storici).

1. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, per effetto dell’individuazione operata dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, di intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, sono qualificati come beni culturali:

a) gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentano, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

b) le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi parte del territorio non compresa nella lettera a), aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

2. Resta ferma la competenza dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali di integrare le individuazioni operate dagli strumenti di pianificazione ai sensi del comma 1 con propri provvedimenti amministrativi.

3. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili indicati al comma 1 sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, definite ai sensi della legislazione regionale. Qualora tali trasformazioni siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive definite di intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni hanno luogo delle speciali autorizzazioni dei competenti organi del medesimo Ministero richieste ai sensi della legislazione vigente in materia.

CAPO II

STRUMENTI E PROCEDURE

ART. 9.

(Linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale).

1. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro delle infrastrutture, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Secondo la medesima procedura si procede al loro aggiornamento ogni tre anni, nonché quando se ne presenti la necessità.

2. Nella formazione delle linee fondamentali di cui al comma 1 è inserito e reso coerente il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale e, in particolare, il piano dei trasporti, il piano energetico, i piani delle aree naturali protette e i piani paesaggistici.

3. Ai fini della formazione delle linee fondamentali di cui al comma 1 si tiene altresı` conto della normativa e delle altre deliberazioni emanate dall’Unione europea comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.

ART. 10.

(Strumenti e atti di pianificazione).

1. Le leggi regionali stabiliscono l’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti e, in particolare, per ciascuno di essi:

a) la pubblica autorità competente, in base ai princıpi di sussidiarietà, adeguatezza e responsabilità;

b) i contenuti, l’efficacia, l’arco temporale di riferimento e le modalità di attuazione;

c) le procedure di formazione.

2. È attribuita alla pianificazione provinciale e regionale la competenza relativa alle scelte per le quali il livello comunale e, rispettivamente, provinciale, non è adeguato a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi. Il presente comma si applica, in particolare, per gli interventi di riordino delle aree conurbate, che devono essere attuati promuovendo il contenimento della dispersione insediativa.

ART. 11.

(Formazione partecipata degli strumenti di pianificazione).

1. Le leggi regionali, in relazione alla natura degli strumenti di pianificazione e delle trasformazioni da questi disciplinate, stabiliscono, oltre a quanto espressamente previsto dall’articolo 16, le procedure di formazione dei piani specialisti di settore di cui all’articolo 9, comma 2.

2. Le scelte oggetto degli strumenti di pianificazione devono essere basate su un adeguato quadro conoscitivo dello stato del territorio, dei vincoli derivanti da leggi e da atti amministrativi nonché dei contenuti degli altri strumenti di pianificazione inerenti l’ambito da pianificare. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli strumenti di pianificazione.

3. Precedentemente all’adozione degli strumenti di pianificazione, deve essere assicurata la partecipazione al processo di definizione delle relative scelte degli enti territoriali competenti alla definizione degli atti amministrativi, con particolare riferimento agli strumenti di pianificazione sovraordinati, nonché di qualsiasi altra autorità responsabile della tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

4. Deve essere altresì assicurata la consultazione dei cittadini in tutte le fasi del processo di formazione degli strumenti di pianificazione; a tale fine devono essere stabilite forme e modalità paritarie di accesso a tutti gli atti e di coinvolgimento nel processo decisionale.

5. Nel provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione, l’amministrazione procedente illustra il modo in cui ha tenuto conto dei pareri espressi dalle altre amministrazioni nonché dei risultati delle consultazioni dei cittadini previsti dal comma 4.

6. Successivamente al provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurato un congruo termine di tempo entro il quale chiunque possa prendere visione degli strumenti di pianificazione adottati e presentare una formale osservazione.

7. A decorrere dalla data di adozione degli strumenti di pianificazione non è ammissibile l’effettuazione di trasformazioni, fisiche e funzionali, in contrasto con i predetti strumenti, ovvero tali da comprometterne o da renderne più gravosa l’attuazione. Può essere previsto che, anche in fasi antecedenti del processo di formazione degli strumenti di pianificazione, gli atti amministrativi appartenenti a tale processo possano inibire l’effettuabilità di determinate trasformazioni suscettibili di contraddire le scelte che si intendano assumere.

8. Deve essere altresì conclusa la verifica di conformità con gli atti legislativi e amministrativi e con gli strumenti di pianificazione sovraordinati, mediante intesa con il soggetto istituzionale competente da raggiungere in sede di conferenza delle amministrazioni interessate.

9. Nel provvedimento di approvazione, l’amministrazione procedente deve controdedurre alle osservazioni pervenute, motivando le determinazioni assunte.

10. Le eventuali variazioni delle previsioni di piano devono essere adeguatamente giustificate in rapporto alla coerenza complessiva del processo di pianificazione.

ART. 12.

(Accordi di programma).

1. Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, di programmi di intervento, di opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, richiedano l’azione integrata e coordinata di comuni, province, città metropolitane, regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di un accordo di programma, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 34 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. Gli accordi di programma previsti dal comma 1 sono stipulati in conformità alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente.

3. Gli accordi di programma stipulati ai sensi del presente articolo che prevedono la partecipazione di soggetti privati devono rispettare i princıpi della trasparenza nelle condizioni contrattuali e della competizione fra attori e progetti, nonché dimostrare l’interesse pubblico alla loro realizzazione.

ART. 13.

(Vincoli di tutela).

1. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili considerati, sotto il profilo dell’interesse culturale, oppure sotto il profilo delle condizioni di fragilità o di pericolosità.

2. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovano in predefinite relazioni con altri immobili, ovvero con interessi pubblici preminenti, quali le fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti e di altri luoghi di pubblico interesse.

3. Non danno, altresì, luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze.

ART. 14.

(Vincoli a contenuto espropriativo).

1. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportano la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisiti dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle citate disposizioni.

2. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 1, gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente. I proprietari di tali immobili hanno diritto a una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi della legislazione vigente in materia, con riferimento al momento del perfezionamento del loro acquisto da parte del soggetto pubblico. Tale diritto si estingue ai sensi dell’articolo 2946 del codice civile. Tale somma è rivalutata di anno in anno con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati accertate dall’Istituto nazionale di statistica. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto, fino alla data di liquidazione.

3. Gli strumenti di pianificazione possono stabilire che non si applicano le disposizioni di cui al comma 2 quando l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili, anche se per funzioni pubbliche o collettive, non comporti necessariamente la loro preventiva acquisizione e la loro gestione, da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni gestibili nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, anche se regolata da convenzioni che garantiscono gli obiettivi di interesse generale.

ART. 15.

(Attuazione degli strumenti di pianificazione).

1. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specifica unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni.

2. Gli strumenti di cui al comma 1 garantiscono la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono. La partecipazione ai benefıci e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli nonché degli edifici eventualmente esistenti.

3. Al fine di favorire la realizzazione di interventi previsti dai piani relativi a complessi di immobili aventi particolare rilevanza urbanistica ed economica nei quali è coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, il comune può dichiararne la pubblica utilità finalizzata all’acquisizione.

ART. 16.

(Procedure di valutazione).

1. Gli strumenti di pianificazione sono soggetti alla valutazione ambientale durante il loro procedimento di formazione, ad esclusione di quelli destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile. Le leggi regionali specificano i casi in cui, previa dimostrazione dell’insussistenza di effetti ambientali significativi, la valutazione ambientale non è necessaria.

2. La valutazione ambientale è volta a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, assicurando che i prevedibili effetti sull’ambiente delle scelte contenute negli strumenti di pianificazione siano individuati, descritti e adeguatamente presi in considerazione durante l’elaborazione e prima dell’adozione dei suddetti strumenti.

3. Devono essere privilegiate le scelte che consentono di conseguire gli obiettivi fissati dagli strumenti di pianificazione con il minore impiego di risorse naturali e con il minore impatto negativo sull’ambiente. A tale fine, ove necessario, devono essere sottoposte a confronto le proposte alternative.

4. Le leggi regionali, nello stabilire le modalità di svolgimento della valutazione ambientale in relazione all’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti, tengono conto:

a) del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione raggiunti alla data di adozione dello strumento di pianificazione;

b) dei contenuti e del livello di dettaglio dello strumento di pianificazione;

c) della fase in cui gli strumenti di pianificazione si trovano nel processo decisionale;

d) della misura in cui taluni aspetti possano essere più adeguatamente valutati in altre fasi del processo decisionale ovvero da altri strumenti di pianificazione di maggiore dettaglio.

5. Le leggi regionali assicurano che:

a) qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione europea, siano previste adeguate forme di consultazione con tale Stato;

b) qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di una regione confinante, la consultazione sia allargata alle autorità responsabili della tutela dell’ambiente e agli enti territoriali della medesima regione.

6. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni assicurano il monitoraggio degli effetti ambientali degli strumenti di pianificazione. A tale fine le regioni, o gli enti da esse delegate, predispongono e divulgano, con cadenza programmata, rapporti sullo stato di attuazione degli strumenti di pianificazione, nei quali sono evidenziati gli effetti ambientali significativi determinati dall’attuazione delle scelte di piano.

7. Al fine di perseguire un’uniforme applicazione della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, e sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è adottato uno specifico atto di coordinamento recante criteri e linee guida per lo svolgimento della valutazione ambientale.

ART. 17.

(Carta unica del territorio).

1. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici e ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi o da disposizioni di legge. Essa costituisce la carta unica del territorio e rappresenta l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni e i vincoli sopravvenuti.

ART. 18.

(Sistema informativo territoriale).

1. I comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato, singoli o associati, partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione e per la verifica dei loro effetti.

2. Sono compiti del sistema informativo territoriale:

a) l’organizzazione della conoscenza necessaria alla pianificazione del territorio;

b) la definizione in modo univoco per tutti i livelli operativi della documentazione informativa a sostegno dell’elaborazione programmatica e progettuale dei diversi soggetti e nei diversi settori;

c) la registrazione degli effetti indotti dall’applicazione delle normative e delle azioni di trasformazione del territorio.

3. Il sistema informativo territoriale è accessibile a tutti i cittadini e vi possono confluire, previa certificazione, informazioni provenienti da enti pubblici e dalla comunità scientifica.

CAPO III

NORME TRANSITORIE E FINALI

ART. 19.

(Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).

1. Anche ai fini del contenimento dell’uso del suolo previsto dall’articolo 7 della presente legge e della conservazione del paesaggio aperto, per il contributo che esso fornisce a uno stabile assetto del territorio, al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 142:

1) al comma 1, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

“m-bis) il territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale”;

2) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

“4-bis. I comuni, di intesa con la competente soprintendenza, individuano, nell’ambito dei rispettivi strumenti di pianificazione, il territorio di cui al comma 1, lettera m-bis).

4-ter. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 4-bis, il territorio di cui al comma 1, lettera m-bis), coincide con l’insieme delle zone comprese nella lettera E) dell’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti.

4-quater. L’utilizzazione del territorio di cui al comma 1, lettera m-bis), al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali, può essere definita ammissibile, nei nuovi strumenti di pianificazione, di intesa con la competente soprintendenza, soltanto ove non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture o attrezzature esistenti”;

b) al comma 2 dell’articolo 143 è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

“i-bis) previsione degli obiettivi e degli strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato nel territorio di cui all’articolo 142, comma 1, lettera m-bis)”.

2. Nel territorio individuato ai sensi della lettera m-bis) del comma 1 dell’articolo 142 del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, introdotto dal comma 1, lettera a), numero 1), del presente articolo, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai princıpi fondamentali dettati dalla presente legge nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici ai sensi degli articoli 135 e 156 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici, è vietata ogni modificazione dell’assetto del territorio, fatta eccezione per le modificazioni finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La riforma del governo del territorio è tra le più urgenti e necessarie per la modernizzazione del Paese.

Con questa convinzione si presenta, come rappresentanti della maggioranza di centrosinistra, una nuova proposta di riforma nella attuale legislatura, che tiene conto dei tentativi di riforma maturati anche nella XIV legislatura.

Nella legislazione statale siamo infatti ancora fermi ai princıpi della legge n. 1150 del 1942, mentre la realtà delle cose è fortemente cambiata.

L’urbanistica di espansione si è arrestata, crescono le esigenze di recupero e di riqualificazione delle città esistenti (si pensi alla conversione delle aree industriali dismesse), aumenta l’esigenza di governare le trasformazioni con strumenti flessibili e non tramite rigide e impraticabili pianificazioni.

Anche alla luce del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione sussiste la competenza statale per una legge di soli princıpi che stabilisca contenuti generali e strumenti del governo pubblico del territorio. Princıpi che costituiscono appunto delle fondamenta, delle basi comuni, per l’esercizio dell’autonomia regionale, in una stagione in cui è ben avvertita l’esigenza di policies non stataliste, ma coerenti sul piano nazionale.

D’altra parte, l’ipotesi di una totale regionalizzazione delle competenze urbanistiche può ritenersi irrealistica e criticabile, anche alla luce dei lavori della Commissione parlamentare consultiva in ordine all’attuazione della riforma amministrativa e degli articoli 54-59 del decreto legislativo n. 112 del 1998, attuativo della "legge Bassanini” n. 59 del 1997.

In primo luogo, perché “i programmi innovativi in ambito urbano” nonché i grandi interventi infrastrutturali, i programmi di opere pubbliche statali, gli obiettivi principali di tutela ambientale e paesaggistica, culturale, di promozione dei valori dell’architettura e di difesa del suolo, richiedono certamente l’esercizio di funzioni statali. Occorre, al riguardo, considerare che l’ambiente e l’ecosistema sono attribuiti alla competenza esclusiva dello Stato unitamente alla materia “tutela della concorrenza”, il che, in una urbanistica sempre più procedimentalizzata e negoziale, non è certo irrilevante. Appartengono inoltre alla competenza esclusiva dello Stato il regime civilistico delle proprietà, oltre che il regime sanzionatorio.

In secondo luogo, perché tali competenze sussistono in tutti i Paesi europei, sebbene con differenti assetti organizzativi, e non vi è ragione per pervenire in Italia a diverse soluzioni. In terzo luogo, realisticamente, non è certo ragionevole lasciare alla scoordinata proliferazione di modelli regionali l’intero onere della riforma, con tempi e modi di attuazione inevitabilmente diversi: ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione vigente, il legislatore statale ha il dovere di offrire un quadro aggiornato e moderno di “princıpi” legislativi, abrogando la legislazione previgente, proprio per favorire l’esercizio consapevole delle prerogative regionali.

Non può poi essere trascurato che la riforma costituzionale del citato articolo 117 conserva nell’ambito della legislazione concorrente il “governo del territorio” e che, nonostante il fallimento della nuova riforma costituzionale della XIV legislatura, a seguito del referendum, vi è ampia convergenza tra le forze politiche e in Parlamento circa la necessità di riconoscere la competenza dello Stato sulle grandi reti infrastrutturali.

Per queste ragioni, non si può non essere favorevoli alla sollecita approvazione di una legge statale di soli princıpi per il governo del territorio con contestuale abrogazione delle leggi previgenti.

L’Italia deve individuare nella ricchezza e nelle peculiarità del proprio territorio, nelle bellezze naturali, nei giacimenti culturali, nelle filiere della qualità “glocale”, nella sinergia con il turismo, non già fattori di compatibilità con lo sviluppo economico, ma una vocazione centrale, un asset forte dello sviluppo del made in Italy.

L’Italia deve inoltre concentrare politiche, azioni e risorse in una grande opera di riqualificazione dell’esistente (dai centri storici alle aree industriali dismesse), frenando il consumo di nuovo territorio e perseguendo i fini primari della realizzazione delle grandi reti dei trasporti e della mobilità e delle nuove esigenze abitative proprie di una società aperta e integrata.

Nel merito della riforma legislativa un quadro di contenuti può dirsi da tempo definito e da più parti condiviso, come pure alcuni elementi di analisi.

D’altronde non sono mancati, nelle precedenti legislature, tentativi avanzati e maturi di riforma: tra questi è rilevante richiamare il testo elaborato del professor Paolo Stella Richter come pure, nella XIII legislatura, il “testo Lorenzetti”, sintesi di un articolato percorso di proposte di legge e di audizioni dei principali soggetti culturali, scientifici, istituzionali, economici operanti nel settore.

Nella XIV legislatura vi è stato un proficuo e comune lavoro intorno alla proposta di legge dell’onorevole Lupi (atto Camera n. 103) di cui tuttavia non abbiamo condiviso carenze e omissioni e un’inaccettabile equiparazione del ruolo del pubblico e del privato anche nelle scelte di programmazione.

Contributi rilevanti ai temi della riforma, sotto molti profili, sono negli anni recenti pervenuti dall’intensa attività dell’Istituto nazionale di urbanistica, con riflessi disciplinari e legislativi ampiamente sperimentati a livello regionale e comunale.

Si osserva, nel dibattito politico, che la legge nazionale di princıpi potrebbe essere di modesto rilievo perché, ormai, la riforma del governo del territorio è già stata fatta dai legislatori regionali.

Se si ha riguardo alla legislazione regionale recente in effetti l’obiezione può apparire fondata poiché molte regioni italiane si sono dotate di propri modelli spesso innovativi e non privi di una coerente sistematicità , sicché una legge nazionale di princıpi non può non avere una natura ricognitiva di princıpi già affermati a livello regionale e, anche, negli ambiti dell’autonomia comunale.

Ma, se si riflette più a fondo, questa natura “ricognitiva” della legislazione di princıpi non deve intendersi come un limite quanto piuttosto, ex adverso, come una conseguenza naturale dell’attuazione del principio di sussidiarietà verticale che predilige lo svolgimento delle funzioni di governo e dunque anche delle scelte legislative, al livello più basso nella scala territoriale.

Questa considerazione non si traduce però in un compiacimento per un certo, diffuso, “federalismo dell’abbandono”, in cui i diversi attori si muovono in solitudine secondo schemi autoreferenziali, meramente rivendicativi di competenze e spesso competitivi.

Nello svolgimento delle politiche di governo del territorio è anzi necessario che tutti gli attori siano in campo: tutti, anche lo Stato.

È agevole constatare l’utilità di questo diverso modello in materia di infrastrutture, di ambiente, di paesaggio e di regole generali sulle proprietà e sulla concorrenza.

Ciò significa che la legge di princıpi fondamentali deve farsi carico di questa visione nazionale, non statale, delle diverse questioni e non deve rinunciare, sulla base dell’assetto costituzionale, a scelte innovative e non meramente ricognitive di princıpi desunti dalla legislazione regionale.

In sintesi non è forse inutile ricordare che in Italia l’urbanistica e il governo pubblico del territorio hanno conosciuto, in specie negli anni sessanta e settanta, un forte scontro ideologico con connotati peculiari rispetto ad altri Paesi.

Si è affermata, in sostanza, una concezione dell’urbanistica come disciplina di tutte le trasformazioni, gestione e usi del territorio e degli interessi plurimi e diversi che in esso hanno sede (“panurbanistica”) e si è ampiamente ritenuto che gli strumenti urbanistici fossero deputati a perseguire fini politici generali.

Si è determinato un notevole conflitto sia all’interno dei diversi soggetti istituzionali titolari di interessi radicati sul territorio sia tra questi e i soggetti privati (basti pensare alle vicende irrisolte del regime giuridico delle espropriazioni, dei vincoli, della disciplina generale dei suoli edificabili).

Negli anni ottanta, a fronte di una crisi evidente anche sul piano disciplinare dell’urbanistica e ad un parziale arresto della logica dell’espansione edificatoria, si sono affermate le politiche di deregulation o, meglio, di deroga ai piani (localizzazione con legge di opere pubbliche, meccanismi di intese Stato-regioni ai sensi dell’articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, promozione delle “varianti automatiche” anche attraverso i nuovi istituti della "conferenza di servizi" e degli “accordi di programma”).

L’effetto di tali politiche, unitamente alle nuove tendenze legislative volte ad affermare la preminenza dell’ambiente sull’urbanistica (vedi leggi n. 183 del 1989, n. 305 del 1989, piani paesistici, eccetera), è stato quello di determinare la crisi irreversibile del sistema di pianificazione del territorio delineato dalla legge fondamentale n. 1150 del 1942, sostituendo surrettiziamente al criterio ordinatore della “gerarchia tra i piani” quello della “gerarchia degli interessi”, di volta in volta emergenti.

Peraltro, dinanzi alla stagnazione della riforma legislativa, occorre prendere atto di un fenomeno fortemente innovativo, nella forma e nella sostanza, degli anni recenti: l’affermazione di politiche governative finalizzate al recupero e alla riqualificazione urbana e ambientale, condotte attraverso decreti ministeriali anziché atti legislativi.

Trattasi delle politiche statali variamente intitolate ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio, ai patti territoriali, ai contratti di quartiere e ai programmi integrati di intervento (questi ultimi anche regionali).

In effetti queste politiche, caratteristiche dell’esperienza più recente, hanno in comune una accentuata eterogeneità dei fini (recupero, riqualificazione, nuove costruzioni) e dei mezzi (attivazione di risorse pubbliche e private).

Esse hanno il merito di affermare una visione integrata e sostenibile delle azioni sul territorio secondo una logica, per così dire, di "piano-progetto", innovando rispetto alla tradizionale scissione tra pianificazione territoriale e programmazione attuativa.

Pur tuttavia permangono molti e rilevanti punti di tensione irrisolti: primi tra tutti, il rapporto con il sistema di pianificazione ordinario e il rispetto dei princıpi di concorsualità e di trasparenza nella scelta dei partner privati per l’esecuzione delle opere pubbliche.

La stagione che potremmo definire dell’“urbanistica dal basso” o dell’”urbanistica per bandi” non sembra in grado di risolvere interamente i principali nodi concettuali e giuridici.

In particolare, occorre dare maggiore stabilità ed efficacia giuridica alle intese e agli accordi tra enti pubblici, evitando la proliferazione dei “piani per visioni”, spesso frustranti e dispersivi delle risorse pubbliche, e orientando le politiche alla selezione delle “azioni vincenti” e sostenibili nella realizzazione: le best practices sono utili, ma non sufficienti.

È necessario un nuovo approccio ai problemi del settore in grado di razionalizzare le principali esperienze regionali e comunali e di giovarsi della dottrina, delle competenze disciplinari e delle analisi che sono emerse nell’intenso dibattito degli anni recenti, pervenendo a un profondo rinnovamento di nozioni, teorie e istituti sul piano giuridico e disciplinare.

Occorre riaffermare la necessità, di principio e tecnico-operativa, di un razionale sistema di pianificazione del territorio senza indulgere in posizioni apologetiche del piano e correggendo gli eccessi statalisti (o comunali) del passato e del presente.

Un tale impegno, che non si attua solo in via legislativa, è ovviamente condizione indispensabile anche al fine del rilancio dell’economia nel settore edilizio e delle opere pubbliche e della promozione di uno sviluppo ambientalmente sostenibile.

La direzione di marcia emersa dalle esperienze degli anni più recenti e dalle proposte di riforma culturalmente più mature è ben chiara.

Legge di princıpi e revisione normativa; programmazione solo strategica e di coordinamento a livello regionale; principio di copianificazione, sulla scorta dell’esperienza francese, per rendere più efficace il coordinamento intersoggettivo; nuovo piano territoriale provinciale fondato sul sistema ambientale (invariante cogente) e sul sistema delle infrastrutture e dei servizi; incentivazione delle aggregazioni tra comuni e delle azioni di marketing territoriali; revisione della pianificazione comunale attraverso l’affermazione del principio della non obbligatoria estensione del piano regolatore all’intero territorio comunale e la nuova articolazione in piano strutturale-direttore, non vincolistico e di medio periodo, e piano-progetto operativo, vincolistico e, in alcuni modelli, legato al mandato politico-amministrativo; integrazione preventiva di tecniche di tutela ambientale nella pianificazione urbanistica (principio di sostenibilità ambientale); marginalizzazione, per quanto possibile, dell’esproprio e dei vincoli preordinati; perequazione tra le proprietà inserite nei comparti di trasformazione; una più netta distinzione tra regime degli interventi sull’edificato e opere nuove (le regole per gli interventi minori sul costruito non possono essere le stesse dell’urbanistica di espansione e di riqualificazione intensiva); abbandono dell’attuale logica quantitativa degli standard, in mille modi derogata, in favore di standard prestazionali o reali, ossia di volta in volta valutati nell’ambito del piano-progetto operativo o nel piano comunale dei servizi e delle infrastrutture; superamento dell’antica logica dello zooning monofunzionale; determinazione di regole per la disciplina del procedimento di negoziazione urbanistica, anche ai fini dell’attuazione del piano-progetto operativo, garantendo trasparenza, partecipazione e par condicio concorsuale tra gli operatori; eliminazione della commistione tra opere di urbanizzazione realizzabili direttamente e a scomputo degli oneri di concessione e le opere pubbliche maggiori, la cui progettazione e costruzione devono essere soggette, sopra soglie determinate, alle regole delle gare comunitarie degli appalti; semplificazione amministrativa delle procedure; un nuovo approccio basato su un’”amministrazione per risultati” e una “pianificazione per obiettivi” coerente con il principio della separazione delle funzioni tra organi politici e responsabili della gestione amministrativa; una più ampia previsione dei nuovi strumenti di partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche, superando sia il ristretto istituto delle “osservazioni” successive all’adozione sia il divieto di partecipazione posto dall’articolo 13 della legge n. 241 del 1990.

I temi indicati costituiscono elementi dell’esperienza di “riforma dal basso”, variamente praticata dalle regioni e dagli enti locali pur in presenza di una legislazione statale ormai antica e inadeguata.

Si tratta dunque di rinnovare la dogmatica dell’urbanistica di tradizione e di affermare i nuovi princıpi.

I princıpi di “sussidiarietà, adeguatezza, autonomia e copianificazione”, necessari per la definizione di efficaci sistemi di pianificazione e di adeguate procedure per la formazione degli strumenti; il principio di “equità” con la definizione di strumenti generali « strutturali », vale a dire non prescrittivi, non vincolistici (se non per i vincoli ricognitivi per i quali va confermata la atemporalità e la non indennizzabilità) e non conformativi dei diritti proprietari, e di strumenti “operativi” prescrittivi, vincolistici e conformativi, basati, in via ordinaria, su modalità attuative perequative e solo in via eccezionale su modalità espropriative; il principio di “sostenibilità”, a cui riferire ogni processo di trasformazione territoriale, con la limitazione del consumo di suolo extraurbano non accompagnato da adeguate misure di compensazione ecologica, la subordinazione delle trasformazioni ad una adeguata mobilità di massa e la limitazione del traffico automobilistico individuale, la diffusione della compensazione ambientale come strumento fondamentale della gestione territoriale; il principio della “partecipazione”, per garantire la massima trasparenza e democrazia nella formazione delle decisioni; il principio di “trasparenza” della concorsualità nei procedimenti di negoziazione urbanistica.

Siamo peraltro convinti che le amministrazioni che, ai differenti livelli, concorrono nell’azione di governo del territorio devono essere impegnate a:

a) promuovere la qualità della vita degli abitanti attraverso:

1) l’offerta di spazi e di servizi che soddisfino bisogni individuali e favoriscano relazioni sociali;

2) la riduzione del tempo destinato agli spostamenti individuali e collettivi;

3) la tutela della salute attraverso la riconversione dei fattori che producono agenti inquinanti;

b) sviluppare il senso e il valore della cura, della cultura, dell’identità dei luoghi generatori dei diritti di cittadinanza;

c) affermare il valore imprescindibile dell’unità del territorio nella globalità dei significati, ecologici, storici, culturali e sociali.

La presente proposta di legge nasce dunque dal contenuto della vasta sperimentazione riformistica degli anni recenti, perseguita da Governi di diversa connotazione politica, a dimostrazione della sussistenza di un campo di esigenze ampiamente condiviso tra le diverse forze politiche, pur nella diversità delle soluzioni.

Il capo I è dedicato ai diversi ambiti di competenza statale: esclusiva, in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e di regime delle proprietà, in materia di tutela della concorrenza nonché nella definizione dei livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali dei servizi; concorrente, nella definizione dei principi del governo del territorio e dei princıpi ispiratori di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, efficacia, efficienza, economicità, imparzialità e semplificazione dell’azione amministrativa.

Il capo II della proposta di legge puntualizza le competenze statali incidenti in materia urbanistica nell’intento di offrire un quadro unitario e realistico delle diverse politiche territoriali.

In coerenza con la legislazione più recente in materia di lavori pubblici, viene tuttavia affermata l’esigenza di una più specifica precisazione dell’esercizio coordinato delle funzioni statali, attraverso la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, e la necessità di valorizzare il ruolo tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici, da intendere quale conferenza di servizi ad impronta federalista.

Viene altresì affermato il principio, che deve essere svolto in coerenza dalle legislazioni settoriali, del raccordo delle tutele cosiddette "separate" (parchi, autorità di bacino, sovrintendenze e altri soggetti pubblici titolari di interessi pubblici) con gli atti di pianificazione urbanistica con l’obiettivo esplicito di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione.

È necessario affermare una visione unitaria del governo del territorio.

Il capo III specifica i princıpi fondamentali del governo del territorio con un’attenzione rilevante per le principali innovazioni culturali e disciplinari emerse negli anni recenti.

L’articolo 4 richiama il fondamentale principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, principio di rango costituzionale, nonché il criterio di riserva amministrativa degli atti di governo del territorio in capo ai comuni, definiti soggetti primari nel governo del territorio.

Viene in tale modo rimosso il principio di rigida gerarchia dei piani, che caratterizza la legge n. 1150 del 1942, lasciando agli enti territoriali e alla regione un’ampia libertà di autodeterminazione.

L’articolo 5 definisce il governo del territorio una “funzione pubblica” che si attua “attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica”.

Si evidenziano, in tale modo, la natura inevitabilmente pubblicistica della funzione e, nel contempo, la flessibilità e l’articolazione dei mezzi e degli strumenti (urbanistica negoziale, programmazione partecipata, società di trasformazione urbana, eccetera), superando gli anacronistici caratteri di unilateralità e di autoritativa tipici degli atti urbanistici tradizionali.

Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalle leggi e al perseguimento “dell’interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte”. Devono essere evidenziate altre due rilevanti innovazioni. La prima riguarda la pianificazione, definita “la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio”, con ciò superando le tradizionali nozioni. Vengono inoltre indicati due distinti livelli: gli atti di contenuto strategico strutturale che non hanno efficacia conformativa delle proprietà e gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, che disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà, ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione.

Il comma 5 del medesimo articolo 5 determina una scelta di grande rilievo: viene stabilito, risolvendo in larga misura una vexata quaestio, che il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l’agricoltura, l’agriturismo e l’ambiente e che le regioni stabiliscono i casi ulteriori di edificabilità , per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.

In coerenza con la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, e rinviando all’autonomia delle regioni le scelte più specifiche, viene in tale modo posto il principio della non edificabilità “naturale” del territorio non urbanizzato, che è conforme alle esigenze di salvaguardia del nostro territorio e del paesaggio, che costituiscono risorse fondamentali per lo sviluppo civile, culturale ed economico del nostro Paese.

È una scelta legislativa di grande rilievo che assicura basi più solide per la tutela del paesaggio e spinge verso l’azione di riqualificazione dei tessuti urbani esistenti.

L’articolo 6 stabilisce il metodo della cooperazione e della concertazione tra i diversi soggetti istituzionali nell’intento di perseguire il cosiddetto “principio di copianificazione”.

Si vuole così superare la logica dei controlli e delle “doppie fasi” procedimentali, che determinano sovraccarichi burocratici e conflitti, realizzando un coordinamento intersoggettivo già nella fase delle scelte più rilevanti che investono, inevitabilmente, una pluralità di interessi pubblici differenziati di cui sono titolari enti diversi.

È interessante evidenziare che in sede di conferenza di pianificazione possono essere previste forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti e dei territori che risultano penalizzati o comunque gravati dai maggiori oneri di impatto ambientale. Un tema di grande rilievo per la maggiore equità nelle azioni di ammodernamento infrastrutturale del nostro Paese.

L’articolo 7 stabilisce il fondamentale principio di partecipazione al procedimento di pianificazione. In una nuova logica di alleggerimento delle previsioni legislative di natura vincolante risulta evidentemente ampliata la discrezionalità amministrativa nelle scelte: la ricerca dell’interesse pubblico concreto si baserà, dunque, sul confronto trasparente tra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti che devono essere adeguatamente rappresentati nel corso del procedimento.

D’altronde gli istituti di partecipazione, che acquistano un rilievo anche maggiore nella nuova logica della “legalità procedimentale”, sono ampiamente diffusi nel contesto europeo ( enquête publique in Francia, encuesta previa in Spagna, public inquiry ed examination in public in Inghilterra, legge sul procedimento in Germania eccetera), e hanno una cospicua tradizione anche in Italia, che si è arricchita con la stagione degli statuti comunali che contemplano, in diversi casi, l’istituto dell’”udienza pubblica”. Saranno ovviamente le regioni e gli enti locali a definire l’articolazione più proficua dei diversi istituti nel rispetto del principio legislativo fondamentale.

L’articolo 8 disciplina gli accordi con i privati, assai rilevanti in materia urbanistica, nel rispetto del principio di pari opportunità e attraverso procedure di confronto concorrenziale.

L’urbanistica “negoziata” o “consensuale” è parte innegabile dell’attuale esperienza dell’ administration concertée: ma essa deve svolgersi nel contesto di princıpi di rango costituzionale e di competenza statale, quali la concorrenzialità , la par condicio, l’imparzialità amministrativa, la pubblicità delle scelte (con la conseguente partecipazione dei cittadini uti cives).

L’articolo 9 è di particolare rilievo poiché viene con esso riformato un antico ”idolo” della pianificazione urbanistica: quello dello standard quantitativo che è stato di sicura utilità (e può esserlo tuttora) nella storia dell’urbanistica italiana, ma che difficilmente può essere predefinito a livello statale. Si è registrata a riguardo una tendenza univoca, nella legislazione regionale e nelle esperienze comunali, in direzione di standard qualitativi o prestazionali ossia di attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessari alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonchè all’accessibilità e alla mobilità dei cittadini e degli utenti.

La proposta di legge affida alla pianificazione strutturale, con riferimento a un periodo non inferiore a dieci anni, la definizione della dotazione complessiva e alle diverse modalità tecnico-operative, individuate dalle regioni e dai comuni, la precisazione più specifica, anche sulla base della concreta offerta di servizi da parte dei privati.

È evidente che, anche per effetto dell’abrogazione normativa della zonizzazione, le regioni e i comuni saranno più liberi di definire, attraverso la "lettura" dei propri territori, i rapporti che necessariamente intercorrono tra sviluppo o riuso edilizio e infrastrutture, opere viarie, parcheggi, servizi ambientali e servizi per l’habitat, nel rispetto del principio fondamentale posto dalla legislazione statale.

L’articolo 10 affronta il delicato tema dei vincoli urbanistici e della perequazione.

Il primo profilo risulta notevolmente depotenziato, poiché la scelta compiuta all’articolo 5, con cui si attribuisce l’edificabilità tramite atti comunali solo nell’ambito del territorio urbanizzato, depotenzia notevolmente la problematica dei vincoli “larvatamente” espropriativi di contenuti e di valori delle proprietà.

Anche la sostanziale eliminazione della sistematica dei piani con effetti immediatamente conformativi delle proprietà , ed aventi valore di implicita dichiarazione di pubblica utilità , indifferibilità e urgenza dei lavori, converge nella medesima direzione alleggerendo di molto i vincoli sulle proprietà.

Viene tuttavia mantenuta, pur nel nuovo e più definito contesto, la previsione del vincolo preordinato all’espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico che ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta (in tale caso è previsto per il proprietario un particolare indennizzo).

Sono inoltre previste ipotesi di permuta dell’area e di trasferimento dei diritti edificatori, nel rispetto del piano comunale.

La perequazione, ampiamente sperimentata nelle esperienze urbanistiche più recenti, è definita il metodo ordinario della pianificazione operativa con l’espresso fine dell’attribuzione dei diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche omogenee.

I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli ambiti urbanistici individuati e, innovazione assai rilevante sul piano operativo, i trasferimenti di cubature sono esenti da imposte.

L’articolo 11, dedicato ai titoli abilitativi e alla negoziazione di iniziativa pubblica, recepisce il recente indirizzo legislativo, regionale e statale, che ha progressivamente esteso la denuncia di inizio attività (dichiarazione di avvio dei lavori e certificazione tecnica di conformità) di interventi edilizi dapprima in funzione sostitutiva delle “autorizzazioni edilizie” e, in seguito, anche di interventi edilizi in precedenza soggetti a concessione edilizia.

La materia è oggetto di revisione nell’ambito del testo unico sull’edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) sicché la presente proposta di legge si limita a ribadirne i princıpi e le relative competenze regionali.

Merita di essere evidenziata la previsione secondo cui “al fine di favorire il confronto concorrenziale il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell’effettivo valore dell’intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato”.

Per rendere più razionale e operativo tale sistema, in gergo definito dell’”asta delle licenze” riferita solo a progetti di trasformazione intensiva, viene previsto che i comuni hanno la prelazione civilistica nell’acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico da reimmettere, conseguentemente valorizzate, nel mercato.

Si tratta di un principio ampiamente previsto in altri ordinamenti europei e che offre una possibilità in più ai comuni in grado di esercitarla, quella di farsi promotori dei processi di trasformazione urbana svolgendo un ruolo di regia e di promozione.

L’articolo 12 ribadisce i poteri di vigilanza e di controllo dei comuni sulle trasformazioni urbanistico-edilizie nel proprio territorio. Sono fatte salve le sanzioni penali, amministrative e civili previste dalle leggi statali, ferma la potestà delle regioni di prevedere ulteriori e diverse sanzioni amministrative di natura pecuniaria e interdittiva. Vengono inoltre stabiliti gli interventi di natura sostitutiva di competenza delle regioni sulla base delle esperienze consolidate nell’ordinamento.

L’articolo 13 è di notevole rilievo poichè indica le norme statali oggetto di abrogazione. Le leggi indicate sono di stretto riferimento urbanistico poiché occorre coordinare la legislazione vigente in materia edilizia e di espropriazione con i nuovi princıpi urbanistici.

Il comma 3, infine, stabilisce che la legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, allo scopo di consentire un congruo termine, in specie alle regioni, per l’attuazione consapevole dei nuovi princıpi.

La presente proposta di legge, ispirata alla cultura e alle esperienze dell’"urbanistica riformista", al mutato contesto costituzionale e al lavoro svolto nella XIV legislatura, intende promuovere una riforma essenziale per la maggiore equità e competitività dell’Italia, nella convinzione che sussistano tutti i presupposti, di natura politica e disciplinare, per una sollecita approvazione nell’attuale legislatura.

Testo degli articoli

CAPO I

DISPOSIZIONI PRELIMINARI

ART. 1.

(Oggetto).

1. In attuazione dell’articolo 117 della Costituzione la presente legge stabilisce i princıpi fondamentali in materia di governo del territorio nel rispetto dell’ordinamento comunitario e della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, in materia di ordinamento civile e penale e del regime delle proprietà , nonché in materia di tutela della concorrenza. La presente legge disciplina, altresì, i livelli minimi essenziali dei sistemi delle infrastrutture, delle attrezzature urbane e territoriali nonché dei servizi.

2. Il governo del territorio, oggetto di legislazione concorrente ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, consiste nell’insieme delle attività conoscitive, valutative, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi, nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione a obiettivi di sviluppo del territorio. Il governo del territorio comprende altresì l’urbanistica, l’edilizia, i programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie.

3. La presente legge attua i princıpi di sussidiarietà, sostenibilità ambientale ed economica, concertazione, partecipazione, pari opportunità nella negoziazione, perequazione, semplificazione, efficacia, efficienza, economicità e imparzialità dell’azione amministrativa.

4. Ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, le regioni emanano norme in materia di governo del territorio in conformità ai princıpi fondamentali della legislazione statale stabiliti dal capo III della presente legge. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione, nonché le forme e le condizioni particolari di autonomia previste ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

5. La presente legge stabilisce altresì le principali competenze e funzioni statali in materia di infrastrutture e di grandi reti di trasporto incidenti nella materia del governo del territorio e le modalità di esercizio allo scopo di garantire il migliore coordinamento con le regioni e con le autonomie locali.

ART. 2.

(Compiti e funzioni dello Stato).

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso politiche generali e di settore inerenti la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, l’assetto del territorio, la promozione dello sviluppo economico-sociale, il rinnovo e la riqualificazione urbana, le grandi reti di infrastrutture.

2. Per l’attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, programmi di intervento, coordinando la sua azione con quella dell’Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, prevalentemente attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale in ordine alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla difesa del suolo e all’articolazione delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, in armonia con le politiche definite a livello comunitario, nazionale e regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica e ambientale.

4. Sono altresì esercitate dallo Stato le funzioni amministrative connesse al governo del territorio relative alla difesa e alle Forze armate, all’ordine pubblico e alla sicurezza, alle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione alla difesa civile, nonché quelle relative alla protezione civile concernenti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quelle relative alla tutela dei beni culturali, alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale nel rispetto del principio di leale collaborazione, all’individuazione in via concorrente dei beni paesaggistici e alla partecipazione alla gestione dei vincoli paesaggistici, previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni.

5. Allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, di promuovere la rilocalizzazione di insediamenti esposti al rischio di calamità naturali o di dissesto idrogeologico e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati, di superare situazioni di degrado ambientale e urbano, lo Stato predispone programmi di intervento in determinati ambiti territoriali volti a promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

6. I programmi di intervento speciali, di cui al comma 5, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata.

ART. 3.

(Esercizio delle tutele separate da parte dello Stato).

1. Le competenze degli enti parco, delle autorità di bacino, delle sovrintendenze competenti per i beni storico-artistici e ambientali nonché dei soggetti titolari di interessi pubblici incidenti nel governo del territorio sono definite dalla legislazione statale e regionale ed esercitate in raccordo con gli atti di pianificazione di cui alla presente legge, con l’obiettivo di coordinare, attraverso sedi di codecisione e intese procedimentali, le tutele settoriali con gli atti di pianificazione urbanistica e territoriale.

CAPO III

PRINCIPI FONDAMENTALI DEL GOVERNO DEL TERRITORIO

ART. 4.

(Sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza).

1. Il principio di sussidiarietà ispira la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i diversi soggetti istituzionali, nonché i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell’affidamento, della responsabilità e della concorsualità.

2. I comuni, soggetti primari nel governo del territorio ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione, le regioni, le province, le città metropolitane e le associazioni di comuni cooperano ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, secondo il criterio di differenziazione e di adeguatezza nell’esercizio delle funzioni. Sulla base di tali princıpi sono, altresì, individuati gli ambiti territoriali di riferimento, favorendo la collaborazione e la competizione tra territori.

ART. 5.

(Natura e contenuti della pianificazione).

1. Il governo del territorio è funzione pubblica, esercitata nelle forme stabilite dalla legge, che si attua attraverso una pluralità di atti, istituti e tecniche di diverso contenuto disciplinare, di natura pubblicistica e privatistica, con il fine della promozione di progetti di sviluppo sostenibile, in relazione alle risorse sociali, ambientali ed economiche.

2. La pianificazione disciplina il territorio, con atti amministrativi generali, procedendo all’individuazione di ambiti territoriali di riferimento. Il governo del territorio è ispirato al rispetto degli interessi pubblici primari indicati dalla legge e al perseguimento dell’interesse pubblico concreto individuato attraverso il metodo del confronto comparato tra interessi pubblici e privati, sulla base dei criteri della partecipazione e della motivazione pubblica delle scelte.

3. La pianificazione è la principale, sebbene non esclusiva, forma di governo del territorio, che si attua attraverso modalità strategiche, strutturali e operative. Gli atti di contenuto strategico strutturale non hanno efficacia conformativa delle proprietà . Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli e hanno efficacia conformativa delle proprietà , ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione. Gli atti di pianificazione concorrono nel garantire le prestazioni minime dell’insediamento anche attraverso idonee misure di salvaguardia.

4. Il piano territoriale di coordinamento previsto dall’articolo 20, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è di competenza delle province, salve diverse previsioni della legge regionale allo scopo di favorire la pianificazione delle aree metropolitane. La regione, con propria legge, in considerazione della specificità di determinati ambiti sovracomunali e omogenei e in attuazione dei princıpi costituzionali di sussidiarietà e di adeguatezza, può disciplinare e incentivare la pianificazione urbanistica intercomunale.

5. Il territorio non urbanizzato è edificabile solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l’agricoltura, l’agriturismo e l’ambiente. Le regioni stabiliscono i casi di edificabilità, attraverso l’individuazione, per categorie generali, degli ambiti del territorio non urbanizzato.

6. La pianificazione è ispirata al principio dell’integrazione delle funzioni e della qualità urbana.

ART. 6.

(Concertazione istituzionale).

1. I soggetti titolari di funzioni relative al governo del territorio perseguono il metodo della cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali nell’elaborazione delle scelte fondamentali riferite al territorio, sulla base del principio di competenza, anche mediante intese e accordi procedimentali e l’istituzione di sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell’unicità del piano territoriale.

2. I soggetti pubblici cooperano nella definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, anche mediante intese e accordi procedimentali, privilegiando le sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell’unità della pianificazione, la semplificazione delle procedure e la riduzione dei tempi. Nella definizione degli accordi di programma e degli atti equiparabili comunque denominati, sono stabilite le responsabilità e le modalità di attuazione, nonché le sanzioni in caso di inadempimento degli impegni assunti dai soggetti pubblici.

3. Ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, le regioni raggiungono intese con le regioni limitrofe, ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della Costituzione.

4. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, anche attraverso forme di coordinamento fra i soggetti pubblici, nonché, ai sensi dell’articolo 7, comma 3, fra questi e i cittadini, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

5. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l’esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l’attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché alle infrastrutture.

6. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l’attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

7. Le regioni disciplinano modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e delle informazioni cartografiche finalizzate alla realizzazione di un quadro del territorio unitario e condiviso. Lo Stato definisce, di intesa con le regioni e le province autonome, criteri omogenei per le cartografie tecniche di dettaglio e di base ai fini della pianificazione del territorio.

8. Gli atti di pianificazione sono approvati da parte dell’ente competente previa certificazione e verifica di compatibilità con il sistema dei vincoli di natura ambientale e paesaggistica, relativi a tutti gli interessi tutelati, nonché verifica di congruenza con la pianificazione vigente e interagente con particolare riferimento alle opere pubbliche e alle infrastrutture per la viabilità.

9. Le verifiche di compatibilità e di coerenza, ove comportino conflitto di previsioni, sono svolte attraverso un’apposita conferenza di pianificazione, con la partecipazione degli enti pubblici competenti e dei soggetti concessionari dei servizi pubblici interessati. Fatta salva l’autonomia delle funzioni amministrative di controllo, le decisioni relative al mutamento degli assetti vigenti sono assunte, in difetto di unanimità, a maggioranza dei soggetti partecipanti.

10. In sede di conferenza di pianificazione sono previste, di regola, forme di compensazione economico-finanziarie a favore degli enti locali ricadenti in ambiti oggetto di previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo o che sopportano particolari impatti negativi.

ART. 7.

(Partecipazione al procedimento di pianificazione).

1. Nei procedimenti di formazione e approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica sono assicurati:

a) il coinvolgimento delle associazioni economiche e sociali, in merito agli obiettivi strategici e di sviluppo da perseguire;

b) le forme di pubblicità e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi, in ordine ai contenuti degli strumenti stessi.

2. Nell’ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive deve essere garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti e dei documenti comunque concernenti la pianificazione, assicurando il tempestivo e adeguato esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l’indicazione delle motivazioni in merito all’accoglimento o meno delle stesse. Nell’attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all’esproprio deve essere garantito il contraddittorio degli interessati con l’amministrazione procedente.

3. Le scelte relative alla localizzazione di opere e di infrastrutture di rilevante impatto ambientale e sociale devono essere precedute da udienze pubbliche con la partecipazione dei cittadini e delle associazioni territorialmente radicate e, ai sensi della legislazione vigente, da procedure di valutazione di impatto ambientale.

4. Il responsabile del procedimento, di cui all’articolo 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, cura tutte le attività relative alla pubblicità , all’accesso agli atti e ai documenti nonché alla partecipazione al procedimento di approvazione.

5. Gli organi politici e i funzionari professionali responsabili degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita e adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle osservazioni o alle proposte presentate nell’ambito del procedimento e ai princıpi di cui al presente capo.

ART. 8.

(Accordi con i privati).

1. Gli enti locali possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto del principio di pari opportunità e di partecipazione al procedimento per le intese preliminari o preparatorie dell’atto amministrativo e attraverso procedure di confronto concorrenziale per gli accordi sostitutivi degli atti amministrativi, al fine di recepire negli atti di pianificazione proposte di interventi, in attuazione coerente degli obiettivi strategici contenuti negli atti di pianificazione e delle dotazioni minime di cui all’articolo 9, la cui localizzazione è di competenza pubblica.

2. L’accordo è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione dell’atto di pianificazione che lo recepisce.

3. I procedimenti di negoziazione urbanistica sono retti dai princıpi di trasparenza e di pari opportunità concorsuale. Nei piani strutturali sono indicati i criteri e i metodi per l’individuazione dei corrispettivi richiesti nella negoziazione urbanistica.

4. Per quanto non disciplinato dalla presente legge trovano applicazione le disposizioni in materia di partecipazione al procedimento amministrativo, di accordi con i privati e di tutela giurisdizionale, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

ART. 9.

(Infrastrutture e prestazioni minime).

1. Gli atti di pianificazione devono prevedere adeguate dotazioni di viabilità, di parcheggi, di aree verdi e di servizi, avendo cura delle effettive esigenze prestazionali.

2. La pianificazione di contenuto strutturale definisce, con riferimento a un periodo non inferiore a dieci anni, la dotazione complessiva delle attrezzature urbane e territoriali e dei servizi locali necessaria alla soddisfazione dei fabbisogni civili e sociali delle collettività interessate nonché delle infrastrutture che garantiscano l’accessibilità e la mobilità dei cittadini e degli utenti.

3. La pianificazione di contenuto operativo specifica e localizza, con atti di perimetrazione, le attrezzature e i servizi relativi agli ambiti specifici di intervento nonchè le reti delle infrastrutture generali e locali, sulla base delle analisi dei fabbisogni di cui al comma 2.

4. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio comunale, gli atti di pianificazione devono documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri reali di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e di fruibilità nonché incentivando l’iniziativa dei privati.

ART. 10.

(Vincoli, perequazione e compensazione).

1. Le previsioni della pianificazione di contenuto operativo sono attuate sulla base dei criteri di perequazione, compensazione ed espropriazione.

2. Il vincolo preordinato all’espropriazione per la realizzazione di opere e di servizi pubblici o di interesse pubblico ha la durata di cinque anni e può essere motivatamente reiterato per una sola volta. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari a un terzo dell’ammontare dell’indennità di esproprio dell’immobile da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo.

3. In alternativa all’ipotesi di cui al comma 2, il proprietario dell’area vincolata può richiedere di trasferire i diritti edificatori su un’altra area di sua proprietà o su un’area pubblica in permuta, edificabili ai sensi del piano urbanistico comunale, previa cessione gratuita al comune dell’area di sua proprietà.

4. La perequazione è il metodo ordinario della pianificazione operativa ed è finalizzata all’attribuzione di diritti edificatori a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica e con caratteristiche territoriali omogenee. I diritti edificatori sono attribuiti indipendentemente dalle destinazioni d’uso e in misura percentuale rispetto al complessivo valore detenuto da ciascun proprietario.

5. I diritti edificatori sono liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti individuati con la pianificazione comunale.

6. I negozi relativi alle permute di cui al comma 3 e ai diritti edificatori di cui al comma 5 non sono soggetti a imposte e tasse.

ART. 11.

(Titoli abilitativi e negoziazione di iniziativa pubblica).

1. Le principali attività di trasformazione urbanistica e edilizia sono in ogni caso soggette a titolo abilitativo rilasciato dal comune.

2. Le regioni stabiliscono: le attività edilizie non soggette a titolo abilitativo; le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai quali l’interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio di attività in luogo della domanda di permesso di costruire; l’onerosità del permesso di costruire e i casi di esenzione per il perseguimento di finalità sociali ed economiche.

3. Al fine di favorire il confronto concorrenziale, il piano comunale individua le tipologie degli interventi per i quali la determinazione degli oneri dovuti è libera nel massimo ed è stabilita sulla base dell’effettivo valore dell’intervento individuato tramite libera contrattazione di mercato, nell’ambito di procedure di confronto concorrenziale.

4. I comuni hanno la prelazione, da esercitare nelle forme previste dal codice civile e sulla base dei valori di mercato, nell’acquisto delle aree ritenute di rilievo strategico e inserite nei piani operativi. Il piano strutturale può prevedere indici volumetrici premiali nelle negoziazioni di iniziativa pubblica.

ART. 12.

(Vigilanza sul territorio e regime sanzionatorio).

1. Il comune esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

2. La violazione della disposizione di cui al comma 1 è soggetta alle sanzioni penali, civili e amministrative previste dalle leggi statali vigenti in materia, ferma restando la potestà delle regioni di prevedere sanzioni amministrative di natura pecuniaria e interdittiva.

3. Le regioni determinano gli interventi sostitutivi e le sanzioni nel caso di mancata adozione dei provvedimenti repressivi, ferme restando le disposizioni stabilite dalle leggi statali vigenti in materia.

4. In caso di sostituzione del permesso di costruzione con la denuncia di inizio di attività resta fermo il regime sanzionatorio penale, amministrativo e civilistico previsto per la concessione edilizia dalle leggi statali vigenti in materia.

5. Restano ferme le sanzioni penali, amministrative e civilistiche per gli interventi compiuti in violazione delle disposizioni di legge, di piano e di regolamento nonché per le omissioni nell’esercizio delle funzioni di controllo.

ART. 13.

(Disposizioni finali).

1. I testi unici in materia di edilizia e di espropriazione per pubblica utilità devono essere coordinati con le disposizioni della presente legge anche ai fini della delegificazione e della semplificazione della materia.

2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono abrogate le seguenti disposizioni:

a) legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) legge 3 novembre 1952, n. 1902, e successive modificazioni;

c) articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni;

d) legge 6 agosto 1967, n. 765;

e) legge 19 novembre 1968, n. 1187, e successive modificazioni;

f) articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni;

g) articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;

h) articoli 27, 28, 29, 30 e 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni;

i) articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179;

l) articolo 11 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, e successive modificazioni.

3. La presente legge entra in vigore il centottantesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Relazione

Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge – che riproduce il testo già approvato dalla Camera dei deputati (atto Camera n. 3860 e abbinati; atto Senato n. 3519) nella scorsa legislatura dopo un lungo lavoro in Commissione Ambiente e in Aula – risponde all’esigenza di chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata dalla riforma dell’articolo 117 della Costituzione in materia di “governo del territorio”.

In questo senso l’iniziativa che viene qui riproposta, con l’autorevolezza dell’approvazione di un ramo del Parlamento nella scorsa legislatura, ha una portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica del 1942.

Testo degli articoli



ART. 1.

(Governo del territorio).

1. In attuazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la presente legge stabilisce i principi fondamentali in materia di governo del territorio. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione, nonché le forme e le condizioni particolari di autonomia previste ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Sono fatte altresì salve le disposizioni della legge 18 maggio 1989, n. 183, recante norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo.

2. Il governo del territorio consiste nell’insieme delle attività conoscitive, valutative, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi, nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione a obiettivi di sviluppo del territorio. Il governo del territorio comprende altresì l’urbanistica, l’edilizia, l’insieme dei programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie.

3. La potestà legislativa in materia di governo del territorio spetta alle regioni, salvo che per la determinazione dei princıpi fondamentali e ad esclusione degli aspetti direttamente incidenti sull’ordinamento civile e penale, sulla difesa, sulle Forze armate, sull’ordine pubblico, sulla sicurezza, sulla tutela dei beni culturali e del paesaggio, sulla tutela della concorrenza, nonché sulla garanzia di livelli uniformi di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

ART. 2.

(Definizioni).

1. Ai fini della presente legge si intendono per:

a) "pianificazione territoriale": la pianificazione di area vasta, che ne definisce l’assetto per quanto riguarda le componenti territoriali fondamentali;

b) "pianificazione urbanistica": la pianificazione funzionale e morfologica del territorio che disciplina le modalità d’uso e di trasformazione e comprende il piano strutturale, il piano operativo e la regolamentazione urbanistica ed edilizia;

c) “piano di settore”: il piano di uno specifico settore funzionale con effetti sul territorio;

d) “piano territoriale”: il documento che rappresenta l’esito del processo di pianificazione territoriale;

e) “piano strutturale”: il piano urbanistico con il quale vengono operate le scelte fondamentali di programmazione dell’assetto del territorio di un comune o di più comuni in coordinamento fra loro;

f) “piano operativo”: il piano urbanistico con il quale vengono attuate le previsioni del piano strutturale, con effetti conformativi del regime dei suoli;

g) “dotazioni territoriali”: la misura adeguata del complesso delle attrezzature, infrastrutture e reti di cui deve essere dotato un ambito territoriale;

h) “rinnovo urbano”: l’insieme coordinato di interventi di conservazione, ristrutturazione, demolizione e ricostruzione di singoli edifici o di intere parti di insediamenti urbani, finalizzato alla rigenerazione, riqualificazione, riabilitazione, nonché all’adeguamento dell’estetica urbana.

ART. 3.

(Compiti e funzioni dello Stato).

1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso politiche generali e di settore inerenti la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, l’assetto del territorio, la promozione dello sviluppo economico-sociale e il rinnovo urbano.

2. Per l’attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato adotta, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, programmi di intervento, coordinando la sua azione con quella dell’Unione europea e delle regioni.

3. Sono esercitate dallo Stato, attraverso intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le funzioni amministrative relative all’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale in ordine alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla difesa del suolo e all’articolazione delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, in armonia con le politiche definite a livello comunitario, nazionale e regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità economica e ambientale.

4. Sono altresì esercitate dallo Stato le funzioni amministrative connesse al governo del territorio relative alla difesa e alle Forze armate, all’ordine pubblico e alla sicurezza, alle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione alla difesa civile, nonché quelle relative alla protezione civile concernenti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quelle relative alla tutela dei beni culturali, alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale nel rispetto del principio di leale collaborazione, all’individuazione in via concorrente dei beni paesaggistici, alla partecipazione alla gestione dei vincoli paesaggistici, previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

ART. 4.

(Interventi speciali dello Stato).

1. Lo Stato, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, effettua interventi speciali in determinati ambiti territoriali, ai sensi del quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, superare situazioni di degrado ambientale e urbano, promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, promuovere la rilocalizzazione di insediamenti esposti ai rischi naturali e tecnologici e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati.

2. Gli interventi speciali, di cui al comma 1, sono attuati prioritariamente attraverso gli strumenti di programmazione negoziata.

ART. 5.

(Sussidiarietà, cooperazione e partecipazione).

1. I princıpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza ispirano la ripartizione delle competenze fra i diversi soggetti pubblici e i rapporti tra questi e i cittadini, secondo i criteri della responsabilità e della tutela dell’affidamento, fatti salvi i poteri sostitutivi previsti dalle norme vigenti.

2. I soggetti pubblici cooperano nella definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, anche mediante intese e accordi procedimentali, privilegiando le sedi stabili di concertazione, con il fine di perseguire il principio dell’unità della pianificazione, la semplificazione delle procedure e la riduzione dei tempi. Nella definizione degli accordi di programma e degli atti equiparabili comunque denominati, sono stabilite le responsabilità e le modalità di attuazione, nonché le conseguenze in caso di inadempimento degli impegni assunti dai soggetti pubblici.

3. Ai fini della definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio, le regioni raggiungono intese con le regioni limitrofe, ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della Costituzione.

4. Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l’adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi, e attraverso forme di coordinamento fra i soggetti pubblici, nonché, ai sensi dell’articolo 8, comma 7, fra questi e i cittadini, ai quali va riconosciuto comunque il diritto di partecipazione ai procedimenti di formazione degli atti.

5. Le regioni possono concordare con le singole amministrazioni dello Stato forme di collaborazione per l’esercizio coordinato delle funzioni amministrative, compresi l’attuazione degli atti generali e il rilascio di permessi e di autorizzazioni, con particolare riferimento alla difesa del suolo, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, nonché alle infrastrutture.

6. Le regioni, nel disciplinare le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle altre amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio, assicurano l’attribuzione in capo alla sola amministrazione procedente della responsabilità delle determinazioni conclusive del procedimento.

7. Le regioni disciplinano modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e delle informazioni cartografiche finalizzate alla realizzazione di un quadro del territorio unitario e condiviso. Lo Stato definisce, d’intesa con le regioni e le province autonome, criteri omogenei per le cartografie tecniche di dettaglio e di base ai fini della pianificazione del territorio.

ART. 6.

(Pianificazione del territorio).

1. Il comune è l’ente preposto alla pianificazione urbanistica ed è il soggetto primario titolare delle funzioni di governo del territorio.

2. Le regioni, nel rispetto delle competenze e funzioni delle province stabilite dalle leggi dello Stato, individuano gli ambiti territoriali e i contenuti della pianificazione del territorio, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell’ambito da pianificare, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale e al fine di soddisfare le nuove esigenze di sviluppo urbano, privilegiando il recupero e la riqualificazione dei territori già urbanizzati e la difesa dei caratteri tradizionali. I piani relativi a tali ambiti non possono avere, con esclusione delle sole materie preordinate, un livello di dettaglio maggiore di quello dei piani urbanistici comunali. Il piano territoriale di coordinamento, di cui all’articolo 20, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è di competenza delle province, salve diverse previsioni della legge regionale allo scopo di favorire la pianificazione delle aree metropolitane. La regione, con propria legge, in considerazione della specificità di determinati ambiti sovracomunali ed omogenei e in attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà e di adeguatezza, può disciplinare e incentivare la pianificazione urbanistica intercomunale. Le regioni stabiliscono idonee misure per la compensazione tra comuni limitrofi dei costi sociali generati dalla realizzazione di infrastrutture pubbliche che potrebbero causare squilibri economici o ambientali sul territorio.

3. Il piano urbanistico è lo strumento di disciplina complessiva del territorio comunale e deve ricomprendere e coordinare, con opportuni adeguamenti, ogni disposizione o piano di settore o territoriale concernente il territorio medesimo. Esso recepisce le prescrizioni e i vincoli contenuti nei piani paesaggistici, nonché quelli imposti ai sensi delle normative statali in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio.

4. Il piano urbanistico privilegia il rinnovo urbano, la ristrutturazione, l’adeguamento del patrimonio immobiliare esistente.

5. Nell’ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all’agricoltura, aree di pregio ambientale e aree urbanizzabili.

6. Nelle aree destinate all’agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi per l’agricoltura, l’agriturismo e l’ambiente. Nelle aree urbanizzabili gli interventi di trasformazione sono finalizzati ad assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale.

7. La pianificazione urbanistica è attuata attraverso modalità strutturali e operative. Il piano strutturale non ha efficacia conformativa della proprietà . Gli atti di contenuto operativo, comunque denominati, disciplinano il regime dei suoli ai sensi dell’articolo 42 della Costituzione.

ART. 7.

(Dotazioni territoriali).

1. Nei piani urbanistici deve essere garantita la dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, anche attraverso la prestazione concreta del servizio non connessa ad aree e ad immobili. L’entità dell’offerta di servizi è misurata in base a criteri prestazionali, con l’obiettivo di garantirne comunque un livello minimo anche con il concorso dei soggetti privati. Nel rispetto di quanto stabilito ai sensi della lettera m) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, le regioni determinano i criteri di dimensionamento per i servizi che implicano l’esigenza di aree e relative attrezzature.

2. Al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio interessato, il piano urbanistico deve documentare lo stato dei servizi esistenti in base a parametri di utilizzazione e precisare le scelte relative alla politica dei servizi da realizzare, assicurandone un idoneo livello di accessibilità e fruibilità e incentivando l’iniziativa dei soggetti interessati.

ART. 8.

(Predisposizione e approvazione del piano urbanistico).

1. Le regioni disciplinano il procedimento di formazione, le modalità di approvazione e gli eventuali poteri sostitutivi, la durata e gli effetti dei piani urbanistici e territoriali e delle loro varianti, nonché l’attività edilizia consentita in assenza di piano urbanistico, ovvero nelle more dell’approvazione del piano operativo.

2. Nel procedimento di formazione degli atti di pianificazione sono assicurate adeguate forme di pubblicità e di partecipazione dei cittadini e delle associazioni e categorie economiche e sociali, nonché l’esame delle osservazioni dei soggetti intervenuti e l’obbligo di motivazione in merito all’accoglimento o al rigetto delle stesse.

3. Nell’attuazione delle previsioni di vincoli urbanistici preordinati all’esproprio è comunque garantito il contraddittorio degli interessati con l’amministrazione procedente. I soggetti responsabili degli atti di pianificazione hanno obbligo di esplicita e adeguata motivazione delle scelte, con particolare riferimento alle proposte presentate nell’ambito del procedimento.

4. Le regioni determinano i casi in cui il piano urbanistico è sottoposto a verifica di coerenza con gli strumenti di programmazione economica e con ogni disposizione o piano concernente il territorio, individuando il soggetto responsabile e stabilendone le relative modalità.

5. Le regioni determinano termini perentori per una nuova previsione urbanistica in caso di decadenza, annullamento, anche giudiziale, o revoca della precedente previsione.

6. Con l’adozione dei piani urbanistici gli enti competenti possono proporre espressamente modificazioni ai piani territoriali o di settore, al fine di garantire la coerenza del sistema degli strumenti di pianificazione. L’atto di approvazione del piano urbanistico contenente le proposte di modifica comporta anche la variazione del piano territoriale o di settore, qualora sulle modifiche sia acquisita l’intesa dell’ente titolare del piano modificato.

7. Gli enti competenti alla pianificazione urbanistica possono concludere accordi con i soggetti privati, nel rispetto dei princıpi di imparzialità amministrativa, di trasparenza, di concorrenzialità, di pubblicità e di partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati all’intervento, per la formazione degli atti di pianificazione anche attraverso procedure di confronto concorrenziale, al fine di recepire proposte di interventi coerenti con gli obiettivi strategici individuati negli atti di pianificazione.

8. L’ente di pianificazione urbanistica promuove l’adozione di strumenti attuativi che favoriscono il recupero delle dotazioni territoriali di cui all’articolo 7, anche attraverso piani convenzionati stipulati con soggetti privati e accordi di programma.

ART. 9.

(Attuazione del piano urbanistico).

1. Le disposizioni del piano urbanistico sono attuate con piano operativo o con intervento diretto, sulla base di progetti compatibili con gli obiettivi definiti nel piano strutturale. Le modalità di attuazione del piano strutturale sono definite dalla legge regionale. L’attuazione è comunque subordinata alla esistenza o alla realizzazione delle dotazioni territoriali.

2. Il piano urbanistico può essere attuato anche con sistemi perequativi e compensativi secondo criteri e modalità stabiliti dalle regioni.

3. La perequazione si realizza con l’attribuzione di diritti edificatori alle proprietà immobiliari ricomprese in determinati ambiti territoriali, in percentuale dell’estensione o del valore di esse e indipendentemente dalla specifica destinazione d’uso. I diritti edificatori sono trasferibili e liberamente commerciabili negli e tra gli ambiti territoriali.

4. Anche allo scopo di favorire il rinnovo urbano e la prevenzione di rischi naturali e tecnologici, le regioni possono prevedere incentivi consistenti nella incrementabilità dei diritti edificatori già attribuiti dai piani urbanistici vigenti.

5. Nelle ipotesi di vincoli di destinazione pubblica, anche sopravvenuti, su terreni non ricompresi negli ambiti oggetto di attuazione perequativa, in alternativa all’indennizzo monetario previsto per la procedura di espropriazione, il proprietario interessato può chiedere il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza dell’area su altra area di sua disponibilità, la permuta dell’area con area di proprietà dell’ente di pianificazione, con gli eventuali conguagli, ovvero la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale previa stipula di convenzione con l’amministrazione per la gestione di servizi.

6. Le regioni possono assicurare agli enti di pianificazione le adeguate risorse economico-finanziarie per ovviare ad eventuali previsioni limitative delle potenzialità di sviluppo del territorio derivanti da atti di pianificazione sovracomunale.

7. Le leggi regionali disciplinano forme di perequazione intercomunale, quali modalità di compensazione e riequilibrio delle differenti opportunità riconosciute alle diverse realtà locali e degli oneri ambientali su queste gravanti.

ART. 10.

(Misure di salvaguardia).

1. Le regioni definiscono le misure di salvaguardia che devono essere deliberate nelle more dell’approvazione degli atti di pianificazione.

ART. 11.

(Attività edilizia).

1. Fatte salve le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, le regioni individuano le attività di trasformazione del territorio non aventi rilevanti effetti urbanistici ed edilizi e non soggette a titolo abilitativo. Le regioni individuano altresì le categorie di opere e i presupposti urbanistici in base ai quali l’interessato ha la facoltà di presentare la denuncia di inizio attività in luogo della domanda di permesso di costruire.

2. Le regioni definiscono la disciplina della natura onerosa del permesso di costruire, ivi incluse le ipotesi di esenzione totale o parziale dal pagamento del contributo di costruzione per il perseguimento di finalità sociali, economiche ed urbanistiche.

3. Il comune esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie ricadenti nel proprio territorio.

4. Gli abusi edilizi sono soggetti alle sanzioni penali, civili e amministrative previste dalle leggi statali vigenti in materia, ferma la potestà delle regioni di prevedere sanzioni amministrative di natura reale, ripristinatoria, pecuniaria, interdittiva dell’attività edilizia nei confronti dei responsabili degli abusi più gravi.

5. In caso di sostituzione del permesso di costruire con la denuncia di inizio attività resta fermo il regime sanzionatorio penale, amministrativo e civilistico previsto per la concessione edilizia dalle leggi statali vigenti in materia.

ART. 12.

(Fiscalità urbanistica).

1. Ai fini dell’avvio delle misure di cui al comma 2, è istituito, a decorrere dall’anno 2006, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Fondo per gli interventi di fiscalità urbanistica, con una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2006 e di 20 milioni di euro per l’anno 2007.

2. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a definire un regime fiscale speciale per gli interventi in materia urbanistica e per il recupero dei centri urbani, nel rispetto dei seguenti princıpi e criteri direttivi:

a) previsione di agevolazioni in forma di credito d’imposta, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, con riferimento ai trasferimenti di immobili o dei diritti edificatori per l’attuazione del piano urbanistico ai sensi dell’articolo 9, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di imposta sul valore aggiunto;

b) possibilità, nel caso di localizzazione di attrezzature di interesse sovracomunale per la realizzazione di aree per insediamenti produttivi di beni e servizi a seguito della formazione di consorzi di comuni, di redistribuire l’imposta comunale sugli immobili tra i predetti comuni, indipendentemente dalla ubicazione dell’area e in relazione alla partecipazione delle singole amministrazioni comunali al consorzio;

c) previsione di una procedura per l’accesso alle agevolazioni di cui alla lettera a) mediante presentazione, da parte dei soggetti interessati, di apposita istanza all’amministrazione finanziaria e successivo esame da parte dell’amministrazione stessa delle istanze secondo l’ordine cronologico di presentazione;

d) possibilità di rideterminazione, anche in riduzione, delle agevolazioni di cui alla lettera a), nonché definizione delle modalità di applicazione delle medesime;

e) previsione dell’obbligo del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di trasmettere una relazione semestrale al Parlamento sull’utilizzo del credito d’imposta, sul numero dei soggetti che se ne sono avvalsi e sulla misura entro la quale ciascun soggetto ne ha fruito.

3. I decreti legislativi di cui al comma 2 sono adottati esclusivamente nel limite delle risorse del Fondo di cui al comma 1 e non possono, in ogni caso, avere efficacia prima della data del 1°ottobre 2006.

4. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 2, ciascuno dei quali deve essere corredato di relazione tecnica sugli effetti finanziari delle disposizioni in esso contenute, sono trasmessi alle Camere per l’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario.

5. Entro i trenta giorni successivi all’espressione dei pareri, il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni ivi eventualmente formulate, esclusivamente con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dai necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti, che sono espressi entro trenta giorni dalla data di trasmissione.

6. All’onere derivante dall’attuazione del comma 1, pari a 10 milioni di euro per l’anno 2006 e a 20 milioni di euro per l’anno 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2006- 2008, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2006, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 10 milioni di euro per l’anno 2006, l’accantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole e forestali e, quanto a 20 milioni di euro per l’anno 2007, l’accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

7. A decorrere dall’anno 2008, al finanziamento del Fondo di cui al comma 1 si provvede ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

8. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

ART. 13.

(Abrogazioni e disposizioni finali).

1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogate le seguenti disposizioni:

a) articoli 1, 4, 7, 18, 29, 35, 42 e 43 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) articolo 2 della legge 6 agosto 1967, n. 765;

c) legge 19 novembre 1968, n. 1187.

2. Le seguenti disposizioni perdono efficacia nel territorio della regione ove questa abbia emanato o emani normative sul medesimo oggetto:

a) articoli 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 20, 21, primo comma, 22, 23, 28, 30, 34 e 41-quinquies, commi sesto, ottavo e nono, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni;

b) legge 3 novembre 1952, n. 1902, e successive modificazioni;

c) articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 18 aprile 1962, n. 167;

d) decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444;

e) articoli 3 e 4 della legge 19 novembre 1968, n. 1187;

f) articolo 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865;

g) articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;

h) articoli 27, 28, 29 e 30 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni;

i) articoli 6, 8, 16, 17 e 22 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

3. All’articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 3 è sostituito dal seguente:

“3. Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano ai vincoli e alle destinazioni che il piano deve recepire”;

b) il comma 4 è sostituito dal seguente:

“4. Il vincolo preordinato all’esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato per una sola volta, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1, e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard. In tale caso, al proprietario è dovuto un indennizzo pari ad un terzo dell’ammontare dell’indennità di esproprio dell’immobile, da corrispondere entro sessanta giorni dalla data di reiterazione del vincolo”.

4. All’articolo 20 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, il comma 9 è sostituito dal seguente:

“9. Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, la domanda di permesso di costruire si intende favorevolmente accolta”.

Premessa

Un testo storico, di grande rilevanza culturale: la proposta elaborata dalla Commissione nominata dal Consiglio direttivo nazionale dell’INU, composta da Camillo Ripamonti, Giovanni Astengo, Enzo Cerutti, Gianfilippo Delli Santi, Luigi Piccinato, Giuseppe Samonà e Umberto Toschi: esponenti di una cultura urbanistica che, politicamente, copriva tutta l’area tra liberali di destra, democristiani, socialisti, area comunista. Il Codice dell’urbanistica fu presentato con questo titolo all’VIII Congresso nazionale di urbanistica, Roma 16-18 dicembre 1960. Abbiamo scandito il testo pubblicato in appendice al n. 33, aprile 1961 della rivista Urbanistica; poichè siamo artigiani, il testo è certamente pieno di errori: saremo grati a chi ce li segnalerà.

Fa una strana impressione rileggerlo oggi. Si scopre che – al di là dell’impostazione abbastanza tecnocratica che pervade soprattutto l’ingegneria degli organismi previsti – quel testo è stata la miniera cui hanno attinto tutte le leggi della “piccola riforma” urbanistica faticosamente ottenute negli anni successivi: dal 1962 (aree per l’edilizia residenziale sociale), al 1967-68 (pianificazione urbanistica, standard urbanistici, oneri di urbanizzazione, lottizzazioni convenzionate), al 1971 (intervento pubblico nell’edilizia, espropriazioni), al 1977 (oneri di concessione, programma pluriennale di attuazione) e al 1978 (piani di recupero). Poi cominciò la controriforma, che prosegue.

PROPOSTA DI LEGGE GENERALE

PER LA PIANIFICAZIONE URBANISTICA

Sommario

Principi generali

Titolo I - Ordinamento amministrativo statale, regionale e locale della pianificazione

Titolo II - Programma nazionale e programmi regionali

Titolo III Pianificazione comprensoriale

Titolo IV - Pianificazione comunale

Titolo V - Attuazione dei piani comunali

Titolo VI - Norme regolatrici dell’attività costruttiva edilizia

Titolo VII - Disposizioni finali

Titolo VIII - Disposizioni transitorie.

Art. 1 - Principi generali.

La previsione e il coordinamento nel tempo e nello spazio degli interventi pubblici sul territorio e delle destinazioni d’uso del suolo, la disciplina urbanistica e la propulsione degli interventi privati su di esso si realizzano con la formazione e l’attuazione di programmi a lungo e medio termine e di piani generali ed esecutivi.

TITOLO I

ORDINAMENTO AMMINISTRATIVO STATALE, REGIONALE E LOCALE DELLA PIANIFICAZIONE

Art. 2 - Comitato Nazionale di Pianificazione.

Tutti gli investimenti pubblici sul territorio devono essere periodicamente predisposti e coordinati secondo le previsioni di un programma nazionale a lungo termine, formulato da un Comitato di Ministri e rappresentanti regionali.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, è formato dai Ministri del Bilancio, Finanza e Tesoro, Industria e Commercio, Agricoltura, Partecipazioni Statali, Lavoro e Previdenza Sociale, Lavori Pubblici, Pubblica Istruzione, Trasporti, Sanità, Turismo e Difesa. Ne fanno parte, altresì, con voto consultivo, i Presidenti delle Regioni.

Esso ha il compito di definire ed aggiornare le linee programmatiche a lungo termine della politica economica e degli interventi di interesse nazionale sul territorio, di indicare le linee fondamentali del loro coordinamento in sede regionale, di formulare il programma annuale degli investimenti statali, di proporre l’inserimento nel bilancio dello Stato degli stanziamenti ad essi relativi, di esaminare ed approvare i programmi delle singole Regioni e di vigilare sulla loro attuazione.

Art. 3 - Consiglio Tecnico Centrale.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione è affiancato da un Consiglio Tecnico Centrale per la pianificazione urbanistica, presieduto dal Ministro dei LL.PP. e costituito da una rappresentanza dei Consigli Superiori dei vari Ministeri, di cui all’art. 2, del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro e delle Associazioni Nazionali delle Province e dei Comuni ed integrato da esperti, fra cui non meno di sei architetti ed ingegneri urbanisti.

Il Consiglio Tecnico Centrale effettua gli studi e le ricerche di carattere economico ed urbanistico del territorio nazionale occorrenti al Comitato Nazionale di Pianificazione per la formazione delle linee programmatiche di cui al precedente articolo, procede all’istruttoria ed all’esame tecnico dei programmi e dei piani sottoposti all’ approvazione del Comitato Nazionale di Pianificazione, ed esprime il proprio parere nei casi previsti dalla presente legge

Art. 4 - Organo di Pianificazione Regionale

In ciascuna Regione elencata nell’art. 131 della Costituzione è istituito, con decreto del Presidente della Regione, un Organo di Pianificazione Regionale.

Esso ha il compito di formare il programma ed il piano d’insieme degli interventi su tutto il territorio regionale individuare il perimetro dei comprensori di Pianificazione territoriale e di definirne il carattere, di proporre all’Assemblea Regionale le leggi istitutive dei relativi Enti Comprensoriali di pianificazione territoriale, di esaminare coordinare i programmi ed i piani degli Enti Comprensriali e locali e di vigilarne l’attuazione.

Le funzioni attribuite dalla presente legge ad organi rappresentanze regionali sono demandate, nelle Regioni non costituite con statuto ordinario o speciale e finchè non lo siano, a Consorzi obbligatori fra le Province da fomarsi entro 6 mesi dalla promulgazione della presente legge, mentre l’emanazione dei relativi decreti o provvedimenti legislativi spetta al Presidente della Repubblica. La pubblicazione ne è fatta sulla Gazzetta Ufficiale

Art. 5 - Composizione dell’Organo di Pianificazione Regionale.

L’Organo di Pianificazione Regionale è formato:

a) dagli assessori regionali o, in mancanza, dai presidenti delle Provincie;

b) dal Provveditore regionale alle OO. PP., dai Soprintendenti ai Monumenti della Regione e da un rappresentante di ognuno degli altri Ministeri facenti parte del Comitato Nazionale di Pianificazione;

c) da due architetti o ingegneri urbanisti, designati dalla Regione su proposta dell’Istituto Nazionale di Urbanistica.

Istituiti gli Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale, i relativi presidenti sono chiamati a fare parte dell’Organo di Pianificazione Regionale della Regione cui appartengono.

L’Organo di Pianificazione Regionale è presieduto dal Presidente della Regione. Esso istituisce un ufficio tecnico esecutivo e può avvalersi dalla consulenza anche continua di esperti per la redazione dei programmi e dei piani.

Art. 6 - Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale.

Gli Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale sono Enti di diritto pubblico, istituiti dall’Assemblea Regionale ed interessanti ciascuno il territorio di un gruppo di Comuni. Organi dell’Ente Comprensoriale sono

1. - un’assemblea formata da:

a) non meno di sette consiglieri provinciali, di cui almeno due rappresentanti di minoranza, designati dalle Provincie interessate;

b) non meno di quindici rappresentanti dei Comuni interessati, eletti dai Consigli comunali in base a criteri di proporzionalità, che saranno stabiliti nella legge istitutiva;

c) un rappresentante per ognuno dei Ministeri dei LL.PP., dei Trasporti, dell’Agricoltura, dell’Industria, della Pubblica Istruzione e del Turismo, designati dai rispettivi Ministeri;

d) un rappresentante della Camera di Commercio interessata.

L’assemblea elegge il suo Presidente tra i rappresentanti dei Comuni facenti parte dell’assemblea stessa.

2. - Un organo tecnico esecutivo, formato da un urbanista, direttore dell’ufficio di pianificazione comprensoriale, nominato dall’Organo di Pianificazione Regionale e da non meno di due tecnici laureati, scelti dall’assemblea fra quelli proposti dal direttore.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale si avvale della consulenza e dell’opera di esperti esterni: urbanisti, economisti, sociologi, geografi, funzionari comunali e provinciali ecc., designati dall’assemblea. La sede dell’Ente è presso la residenza comunale del Presidente.

Art. 7 - Compiti degli Enti Comprensoriali.

Gli Enti Comprensoriali per la pianificazione territoriale sono sottoposti alla vigilanza e tutela della Regione, nei modi stabiliti dalla legge istitutiva. Essi hanno il compito di realizzare la cooperazione fra le Amministrazioni pubbliche locali e decentrate dello Stato, ai fini della pianificazione del territorio comprensoriale; di fissare, in base alle direttive regionali, i programmi a lungo termine; di formare i piani regolatori territoriali e di promuovere la formazione dei Consorzi per la loro attuazione; di coordinare e controllare l’attività urbanistica comunale; di formulare periodicamente agli Organi regionali criteri e proposte per l’aggiornamento ed il perfezionamento delle direttive programmatiche. I perimetri della giurisdizione degli Enti Comprensoriali possono essere modificati dalla Assemblea Regionale su proposta dell’Organo di Pianificazione Regionale o degli stessi Enti interessati.

TITOLO II

PROGRAMMA NAZIONALE E PROGRAMMI REGIONALI

Art. 8 - Funzionamento e bilancio.

Le modalità per il funzionamento dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e per il suo finanziamento, con congruo apporto degli Enti rappresentati nell’assemblea, e per la formazione del relativo bilancio saranno stabilite dalla stessa legge istitutiva.

Art. 9 - Programma annuale degli investimenti statali.

Il programma annuale degli investimenti statali sul territorio nazionale ha il carattere di un quadro di insieme articolato per Regioni e per settori, che dovrà essere annualmente predisposto dal Comitato Nazionale di Pianificazione, sentito il proprio Consiglio Tecnico Centrale, in base alle linee programmatiche a lungo termine e sulla scorta dei programmi regionali.

Esso è sottoposto all’approvazione del Parlamento unitamente al bilancio dello Stato. I singoli dicasteri interessati a programmi di intervento sul territorio nazionale dovranno coordinare ed adeguare i propri bilanci, e quindi la dimensione ed il carattere degli interventi, alle linee del programma nazionale anche in sede regionale e locale.

Art. 10 - Programmi e piani regionali.

In relazione alle direttive del programma nazionale e sentiti gli Enti Comprensoriali, l’Organo di Pianificazione Regionale formula nel programma regionale le previsioni generali degli investimenti pubblici, in relazione ai fabbisogni per settore ed all’utilizzazione delle risorse, e traccia in un piano le grandi linee della trasformazione del territorio regionale con la successione degli interventi ed il coordinamento delle fasi di attuazione.

Art. 11 - Approvazione dei programmi e dei piani regionali.

Il programma regionale ed il piano degli interventi, entro un anno dall’istituzione dell’Organo di Pianificazione Regionale, sono sottoposti all’adozione dell’Assemblea Regionale ed entro i 3 mesi successivi trasmessi al Comitato Nazionale di Pianificazione per l’approvazione.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione, entro i 6 mesi successivi, emana il decreto di approvazione con gli eventuali emendamenti.

Programma e piano sono annualmente aggiornati dall’Organo di Pianificazione Regionale e presentati all’Assemblea Regionale ed al Comitato Nazionale di Pianificazione con la stessa procedura.

Il Comitato Nazionale di Pianificazione, sentiti gli Organi di Pianificazione Regionale, emanerà disposizioni generali per la formazione tecnica dei programmi e dei piani alla scala regionale.

TITOLO III

PIANIFICAZIONE COMPRENSORIALE

Art. 12 - Programma poliennale.

Il programma poliennale, stabilito di norma per un decennio dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, contiene per tutto il territorio comprensoriale:

a) l’indirizzo generale per le fondamentali operazioni di trasformazione e di salvaguardia del territorio e degli insediamenti urbani e per lo sviluppo e la propulsione delle principali attività economiche, pubbliche e private;

b) le previsioni sull’ampiezza, la distribuzione territoriale e la successione . degli investimenti ed interventi statali, regionali e degli enti locali;

c) la suddivisione del territorio comprensoriale ai fini della formazione di piani regolatori territoriali, in relazione al programma degli investimenti pubblici, con l’indicazione in prima approssimazione dei caratteri e degli scopi di tali piani e dell’ordine di urgenza della loro formazione ;

d) l’elenco dei Comuni obbligati alla formazione dei piani comunali e l’ordine d’urgenza della loro formazione in relazione ai corrispondenti piani regolatori territoriali.

Art. 13 - Formazione e approvazione.

Il programma poliennale dei comprensori deve essere formato entro un anno dall’istituzione dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e sottoposto all’esame dell’Organo di Pianificazione Regionale che lo propone all’approvazione del Presidente della Regione, che lo sancisce con proprio decreto pubblicato sul Bollettino Ufficiale Regionale.

Esso è annualmente aggiornato ed integrato in stretta collaborazione con l’Organo di Pianificazione Regionale, tenendo conto dei piani di investimento annuale del Comitato Nazionale di Pianificazione.

Coll’aggiornamento annuale il programma poliennale viene prorogato nella sua scadenza di anno in anno.

Art. 14 - Piani regolatori territoriali.

Il programma poliennale approvato si attua mediante piani regolatori territoriali.

Essi sono formati dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, in collaborazione con tutti i Comuni interessati, salvo i disposti dell’art. 28.

L’Ente Comprensoriale mediante il piano regolatore territoriale:

1. - fissa le principali destinazioni d’uso del territorio;

2. - individua e localizza le conseguenti opere pubbliche egli interventi di trasformazione e di sviluppo;

3. - promuove le opere di miglioramento fondiario e di razionale coltivazione del suolo e fissa i criteri per la suddivisione o ricomposizione particellare del suolo in unità poderali;

4. - coordina e adegua l’attività degli Enti di riforma e bonifica agraria e ne promuove l’iniziativa nelle zone suscettibili di valorizzazione;

5. - promuove e coordina le iniziative per la formazione di zone industriali, ne indica ubicazione e dimensione, determinando l’applicazione delle agevolazioni di carattere fiscale, in base ai criteri generali della distribuzione regionale delle iniziative industriali, private e di partecipazione statale, forniti dall’Organo di Pianificazione Regionale;

6. - attribuisce l’attuazione degli interventi agli Organi statali ed agli Enti locali e ne fissa l’ammontare in base ad una previsione di larga massima dei costi delle opere, da allegare al piano;

8. - sovrintende alla formazione dei piani comunali per i Comuni obbligati alla loro redazione ed all’adeguamento di quelli esistenti, ne enuclea le linee programmatiche di insieme, e fissa i tempi delle varie operazioni. Il piano regolatore territoriale è formato da rappresentazioni cartografiche, da norme di attuazione e da una relazione esplicativa.

Art. 15 - Adozione ed approvazione dei piani regolatori territoriali.

I piani regolatori territoriali e i loro aggiornamenti sono adottati dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e, dopo il parere dell’Organo di Pianificazione Regionale, posti in pubblicazione per giorni 30 negli albi della Regione e delle Provincie e Comuni interessati. Entro i 30 giorni successivi, le Amministrazioni pubbliche e gli Enti morali hanno facoltà di presentare osservazioni all’Ente Comprensoriale il quale, nei successivi 90 giorni, formula le controdeduzioni e trasmette il tutto all’Organo di Pianificazione Regionale.

L’Organo di Pianificazione Regionale, qualora confermi il proprio parere favorevole sul piano, lo sottopone all’approvazione del Presidente della Regione.

In caso di parere negativo rinvia il piano all’Ente Comprensoriale per gli emendamenti.

Il piano emendato dovrà essere riadottato e ripubblicato secondo la precedente procedura.

Dalla data dell’adozione fino a quella del decreto di approvazione non è consentita alcuna costruzione, trasformazione o lottizzazione in contrasto con le prescrizioni del piano adottato.

Art. 16 - Validità dei piani regolatori territoriali; controllo dell’Ente Comprensoriale.

Prescrizioni e vincoli del piano regolatore territoriale hanno validità a tempo indeterminato e carattere di obbligatorietà per tutte le Amministrazioni centrali e locali e per i privati.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale ne coordina e vigila l’attuazione nel tempo e nello spazio e promuove la formazione di Consorzi misti tra Comuni, Provincie, Regioni e Stato, ai fini della realizzazione di determinati interventi ed opere di comune interesse, comprese quelle per la valorizzazione agricola e lo sviluppo industriale.

Eventuali varianti al piano regolatore territoriale devono essere preventivamente autorizzate dall’Organo di Pianificazione Regionale e sono formate ed approvate seconde la procedura stabilita per i piani regolatori territoriali

Art. 17 - Piani assorbiti dal piano regolatore territoriale.

Tutti i programmi e piani di intervento vigenti all’atto di entrata in vigore della presente legge, quali i piani regolatori comunali generali e particolareggiati, quelli di tu tela ambientale e paesistica, di riforma agraria, di bonifica di sviluppo industriale, di viabilità a carattere statale, regionale, provinciale e comunale, approvati o in corso di elaborazione, saranno assorbiti dal piano regolatore territoriale con gli eventuali opportuni adeguamenti.

TITOLO IV PIANIFICAZIONE COMUNALE

Sezione 1 - Piano generale

Art. 18 - Piano comunale generale.

Il piano comunale generale disciplina l’intero territorio comunale e consta di due elementi: un piano d’insieme e un piano di trasformazione e di sviluppo.

Art. 19 - Piano d’insieme:

Il piano d’insieme, esteso a tutto il territorio comunale., contiene obbligatoriamente:

a) le indicazioni per l’espansione del capoluogo e degli altri centri abitati, oltrechè per l’eventuale formazione di nuovi insediamenti, in rapporto alle varie esigenze di carattere storico-ambientale e paesistico, demografiche ed economiche del Comune e del territorio circostante;

b) le indicazioni per le soluzioni di viabilità principale in collegamento con la viabilità regionale;

c) le indicazioni per la valorizzazione del territorio agricolo e per lo sviluppo industriale e per i nuovi impianti ad esso relativi, in connessione con i programmi comprensoriali e con le prescrizioni dei corrispondenti piani regolatori territoriali formati o in formazione;

d) le modalità di compartecipazione del Comune ai Consorzi di cui all’articolo 16.

Art. 20 - Adozione ed approvazione del piano d’insieme.

II piano d’insieme è deliberato dal Consiglio comunale entro un anno dall’approvazione del programma poliennale del comprensorio e trasmesso per l’approvazione all’Organo di Pianificazione Regionale per il tramite e sentito il parere dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale.

L’Organo di Pianificazione Regionale, constatato che i criteri del piano d’insieme corrispondono a quelli dei programmi regionali e comprensoriali, convalida i principi in esso contenuti e dispone che il Comune completi il piano generale con la formazione del corrispondente piano di trasformazione e di sviluppo degli insediamenti.

Art. 21 - Piano di trasformazione e di sviluppo.

Il piano di trasformazione e di sviluppo, esteso a tutti gli insediamenti ed attrezzature di qualunque tipo compresi nel territorio comunale, stabilisce e contiene obbligatoriamente:

a) la destinazione d’uso del suolo per le aree urbanizzate e da urbanizzare con i relativi caratteri ,e vincoli;

b) le attrezzature e gli impianti di uso pubblico e la loro ubicazione;

c) la rete delle comunicazioni;

d) la indicazione di immobili singoli e di zone a carattere storico-ambientale e paesistico, distinguendoli in immobili e zone soggette a vincolo di intangibilità, e suscettibili di parziali trasformazioni con particolari vincoli, ivi compreso il risanamento conservativo, ed i relativi elenchi catastali;

e) la suddivisione del territorio interessato in zone soggette ad obbligatoria formazione di piani esecutivi, il loro carattere e la successione in relazione all’ordine di priorità;

f) lo stato di previsione di larga massima dei costi per la realizzazione del piano, per quanto compete agli investimenti pubblici e l’indicazione della presumibile partecipazione dell’iniziativa privata alle operazioni di espansione, risanamento e rinnovamento urbano;

g) le norme di attuazione del piano;

h) una relazione generale esplicativa dei criteri e delle soluzioni adottate.

Art. 22 - Adozione del piano comunale generale.

Il piano comunale generale, comprensivo dello stato di previsione dei costi e delle norme di attuazione, elaborato di concerto con gli Enti pubblici interessati facenti parte dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale e dell’Organo di Pianificazione Regionale, oltrechè con gli Enti ed Istituti per l’edilizia popolare e sovvenzionata, è adottato dal Consiglio comunale entro un anno dall’autorizzazione data dall’Organo di Pianificazione Regionale a norma dell’articolo 20.

Art. 23 - Pubblicazione, osservazioni e controdeduzioni.

Il piano adottato è integralmente posto in pubblicazione per giorni 30 e nei 30 giorni successivi saranno raccolte le osservazioni di carattere generale presentate da Enti e da privati e le opposizioni relative agli elenchi catastali di cui all’art. 21 d).

Alle osservazioni presentate il Comune controdeduce con deliberazione consigliare. Entro 6 mesi dalla data di adozione, il piano, unitamente alle controdeduzioni, è trasmesso dal Sindaco all’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale che, dopo averlo esaminato, in relazione anche al corrispondente piano regolatore territoriale, lo sottopone, congiuntamente a questo, all’Organo di Pianificazione Regionale, non oltre i 6 mesi dal ricevi. mento di esso.

Art. 24 - Approvazione:

L’Organo di Pianificazione Regionale, esaminato il piano comunale generale e constatata la rispondenza al relativo piano regolatore territoriale ed ai programmi di sviluppo regionale, esprime il giudizio di merito e, in caso di parere favorevole, sottopone il piano all’approvazione del Presidente della Regione. L’Organo di Pianificazione Regionale ha facoltà di respingere il piano o di stralciarne delle porzioni da rinviare, per emendamento, ai Comuni.

Gli emendamenti saranno successivamente adottati, pubblicati ed approvati con la stessa procedura del piano. Nel caso in cui i piani comunali generali non ricadano in territorio dotato di piano regolatore territoriale formato, l’Organo di Pianificazione Regionale li esamina ponendoli in relazione alle indicazioni di prima approssimazione, relative ai piani stessi, contenute nel programma comprensoriale poliennale, secondo il disposto del comma c) dell’articolo 12.

Qualora in sede di Organo di Pianificazione Regionale il giudizio di merito sul piano non raggiunga una maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea, o su ricorso, avverso il deliberato dell’Ordine di Pianificazione Regionale, presentato dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale od anche da Associazioni nazionali a carattere culturale erette in Ente morale, il piano deve essere sottoposto al parere del Consiglio Tecnico Centrale. Il Consiglio Tecnico Centrale, entro 60 giorni dal ricevimento di esso, esprime il proprio parere, che ha carattere vincolante per l’Organo di Pianificazione Regionale, il quale predispone l’approvazione secondo le modalità dei commi precedenti.

Art. 25 - Validità dei piani comunali generali; vincoli su immobili; decadenza di licenze e di lottizzazioni in contrasto; varianti.

Le Amministrazioni comunali delle città, che per la loro dimensione e per la dinamica dei fenomeni demografici ed economici investono e caratterizzano un intorno che si estende notevolmente oltre i confini comunali, possono richiedere all’Organo di Pianificazione Regionale la costituzione di un Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, esteso a tutto il territorio interessato.

Di analoga facoltà possono fruire gruppi di Comuni che ne facciano collegialmente motivata domanda. In ogni caso, l’Organo di Pianificazione Regionale, istruite le domande, si pronuncia inappellabilmente su di esse entro il termine di sei mesi.

Le prescrizioni del piano generale hanno validità tempo indeterminato e carattere di obbligatorietà per tutte le Amministrazioni centrali, ivi comprese quelle demaniali, per le locali e per i privati.

I vincoli relativi alla conservazione degli immobili di carattere storico ed ambientale e paesistici, sono notificati dal Comune ai singoli proprietari entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto di approvazione sul Bollettino ufficiale della Regione e trascritti, nei successivi 30 giorni, nei registri immobiliari.

Le licenze edilizie e di lottizzazione e le altre concessioni e autorizzazioni materia edilizia comunque rilasciate dai Comuni prima dell’approvazione dei piani comunali generali, se ed in quanto in contrasto con questi, decadono dalla data dell’approvazione stessa.

Le eventuali varianti al piano devono essere preventivamente autorizzate dall’Organo di Pianificazione Regionale su proposta dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, in relazione a mutate esigenze nell’ambito territoriale; esse devono essere formate ed approvate secondo la stessa procedura stabilita per il piano comunale generale.

Art. 26 - Norme di salvaguardia.

Dalla convalida rilasciata a norma dell’art. 20 dall’Organo di Pianificazione Regionale sul piano d’insieme e fino al decreto presidenziale di approvazione del piano generale, non potranno essere rilasciate licenze per trasformazioni e costruzioni in contrasto con le previsioni del piano in progetto.

Analogo divieto è operante anche nelle zone stralciate a norma dell’art. 24.

Art. 27 - Provvedimenti economici e finanziari.

L’Organo di Pianificazione Regionale, in base allo stato di previsione dei costi per i piani in tutto o in parte approvati, invia annualmente al Comitato Nazionale di Pianificazione l’elenco delle opere pubbliche che ritiene debbano effettuarsi, indicandone i costi presunti e l’ordine di priorità.

Il Comitato Nazionale inserisce annualmente. nel bilancio dello Stato, le spese a carico dei Ministeri interessati, emana disposizioni per gli stanziamenti a carico degli Enti o Società a partecipazione statale, e stabilisce un fondo di anticipazioni e contributi per la realizzazione dei piani e lo ripartisce per Regioni, Comprensori e Comuni.

Art. 29 - Piani esecutivi; obbligatorietà.

I piani comunali generali, là dove prevedano trasformazioni d’uso per espansioni, per risanamento o per altri interventi, si attuano esclusivamente a mezzo dei piani esecutivi nel quadro del programma di attuazione redatto dai Comuni interessati a norma del successivo art. 30.

Art. 30 - Programma di attuazione.

Entro due mesi dal decreto di approvazione del piano generale, il Consiglio comunale delibera il programma di attuazione, per la durata del suo periodo amministrativo, in conformità ai disposti del piano generale e in base alle proprie risorse ed agli stanziamenti, alle anticipazioni ed ai contributi assegnatigli, e ne inserisce le previsioni nel bilancio comunale.

Il programma comprende essenzialmente:

a) l’indicazione dei piani esecutivi formati o da formare., da attuarsi in tutto o in parte nel periodo amministrativo ;

b) l’elenco e la distribuzione di tutte le opere, le attrezzature e gli impianti pubblici da realizzare o da iniziare nel detto periodo;

c) la specificazione delle aree da acquisire per le trasformazioni previste dal piano generale e da quelli esecutivi e, in particolar modo, delle aree destinate ad edilizia popolare e sovvenzionata e di quelle per la formazione del patrimonio immobiliare comunale di cui all’art. 47.

Art. 31 - Approvazione e aggiornamenti del programma di attuazione.

Il programma di attuazione è operante quando abbia ottenuto dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale il parere di conformità al piano generale.

Esso può essere annualmente integrato e revisionato con le stesse modalità.

A ciascun rinnovo di Amministrazione, il Consiglio comunale, entro due mesi dal suo insediamento, delibera il programma di attuazione per il proprio periodo amministrativo.

Sezione 2° - Piani esecutivi

Art. 32 - Piani esecutivi; principi generali.

Il piano esecutivo contiene tutte le prescrizioni tecniche per l’utilizzazione del suolo con le specificazioni planimetriche e volumetriche degli edifici, i progetti di massima delle opere e delle attrezzature pubbliche, e quanto altro necessario alla disciplina edilizia, oltrechè il piano finanziario di attuazione.

A seconda delle finalità, i piani esecutivi possono caratterizzarsi in piani di espansione, di trasformazione o di risanamento.

L’approvazione del piano esecutivo, a norma dei successivi articoli, comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere da eseguire entro i termini di tempo in esso fissati. Le prescrizioni del piano esecutivo relative alle trasformazioni d’uso ed i vincoli sulla proprietà immobiliare hanno validità a tempo indeterminato. Le aree destinate ad attrezzature pubbliche saranno acquisite dalle Amministrazioni interessate entro i tempi previsti dal piano finanziario.

A. Piani esecutivi di espansione e di trasformazione.

Art. 33 - Piani esecutivi di espansione.

1 piani esecutivi di espansione riguardano le zone di ampliamento dei centri abitati ed i nuovi insediamenti. Essi contengono:

a) la rappresentazione planimetrica ed altimetrica dello stato di fatto catastale;

b) il tracciato della rete stradale pubblica, comprensiva del piano viario, dei posteggi, delle canalizzazioni, dell’arredo di superficie ecc., i progetti di massima degli edifici pubblici e la specificazione delle zone a verde;

c) la caratterizzazione delle ione residenziali, con la eventuale suddivisione in comparti e lotti di edificazione o di trasformazione, ivi compresi quelli riservati all’edilizia popolare e sovvenzionata, con la rispettiva attribuzione di volumi e con la specificazione delle opere di urbanizzazione primaria (strade residenziali, passaggi pedonali, piazzuole, fognatura, acquedotto, illuminazione pubblica ecc.);

d) la caratterizzazione planivolumetriea ed architettonica delle zone direzionali e dei centri civici di nuovo impianto e le modalità per l’utilizzazione di aree edificate da trasformare per tale destinazione;

e) la caratterizzazione delle zone industriali, comprendente essenzialmente la suddivisione in lotti con i relativi vincoli, come l’indicazione del tipo di industria e gli inombri massimi planivolumetrici degli stabilimenti, oltrehè la specificazione degli edifici di servizio generale alla zona stessa;

f) un quadro dei tempi di attuazione suddiviso in periodi amministrativi;

g) l’indicazione dei progetti esecutivi di tutti gli edifici, delle attrezzature e degli impianti pubblici da eseguire nel periodo amministrativo in corso;

h) l’elenco delle proprietà vincolate dal piano, o dal Ministero della Pubblica Istruzione a norma dell’art. 77, ai fini della tutela dell’ambiente e del paesaggio;

i) il piano dell’eventuale ricomposizione particellare e delle rettifiche dei confini;

l) il piano finanziario esecutivo di tutte le opere del periodo amministrativo in corso e quello di massima dei periodi successivi;

m) le norme particolareggiate di attuazione;

n) una relazione esplicativa di tutti i punti precedenti.

Il piano esecutivo, al subentro di un nuovo Consoglio comunale, è integrato con l’indicazione dei progetti esecutivi di cui al comma 1) e con il piano finanziario esecutivo per il successivo periodo amministrativo.

Art. 34 - Piani esecutivi di trasformazione.

I piani esecutivi di trasformazione concernono le zone urbane non contemplate negli artt. 33 e 35., e che il piano comunale generale destina a trasformazione, sia per ragioni di risanamento igienico-edilizio, sia per diversa destinazione d’uso con ristrutturazione planivolumetriea.

Essi contengono

a) l’indicazione planivolumetriea dello stato di fatto con le indicazioni catastali e dei vincoli esistenti;

b) il piano d’insieme planivolumetrieo delle trasformazioni, con le destinazioni d’uso;

c) il progetto della rete viaria e dell’arredo stradale, compresi autoposteggi ed autorimesse;

d) il progetto della rete di impianti;

e) il progetto dei giardini pubblici e l’indicazione di quelli privati;

f) l’eventuale suddivisione della zona in comparti e l’indicazione di quelli per i quali è obbligatoria la formazione di consorzi tra i proprietari con l’elenco dei medesimi;

g) il piano delle eventuali ricomposizioni particellari e rettifiche di confine;

h) l’elenco delle proprietà vincolate ai fini della tutela dell’ambiente e del paesaggio;

i) il piano finanziario;

l) le norme tecniche e i tempi di attuazione;

m) una relazione esplicativa di tutti i punti precedenti.

B. Piani esecutivi di risanamento conservativo.

Art. 35 - Definizione.

I piani di risanamento conservativo riguardano le zone storico-ambientali intangibili o suscettibili di parziali tra. sformazioni con gli speciali vincoli di cui all’art. 21, d).

Art. 36 - Contenuto.

Il piano di risanamento conservativo consta di

a) una relazione programmatica, accompagnata da grafici, compilata a cura della commissione di esperti, di cui all’art. 37, e preventivamente approvata dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale;

b) la planimetria catastale d’insieme con l’indicazione dei vincoli esistenti;

c) il rilievo dello stato di fatto di tutti gli edifici compresi nella zona interessata dal piano, alla scala non inferiore ad 1:200;

d) il piano d’insieme delle trasformazioni, alla scala non inferiore ad 1:200., contenente:

1. l’indicazione delle opere di consolidamento delle strutture essenziali;

2. le modalità di restauro interno ed esterno degli elementi originari;

3. l’eliminazione delle sovrastrutture recenti dannose all’ambiente ed all’igiene;

4. la ricomposizione delle unità immobiliari per miglioramento funzionale ed igienico-edilizio;

5. le demolizioni;

6. la sistemazione a terra degli spazi liberi;

e) la distribuzione delle destinazioni d’uso per le aree inedificate e per gli immobili nella zona risanata, con particolare riguardo alle pubbliche attrezzature che possono essere ospitate in edifici storico-ambientali ;

f) il progetto dell’arredo stradale, della rete degli impianti e dell’illuminazione pubblica;

g) l’eventuale piano di rifusione particellare;

h) l’eventuale formazione di consorzi obbligatori;

i) l’elenco catastale degli edifici vincolati dal piano ad intangibilità e delle aree non edificabili;

l) il piano finanziario delle opere pubbliche suddiviso per quadrienni;

m) le norme tecniche ed i tempi di attuazione secondo una graduatoria d’urgenza.

Art. 37 - Commissione regionale di esperti.

Il risanamento conservativo è programmato e diretto da una commissione di esperti, nominata dall’Organo di Pianificazione Regionale, e comprendente:

- il Soprintendente ai Monumenti, Presidente;

- due urbanisti, di cui uno docente universitario ;

- un docente di storia dell’arte o dell’architettura;

- un igienista;

con il compito di definire i caratteri, i limiti ed i tempi di elaborazione dei singoli piani di risanamento conservativo.

Ognuno di tali piani è elaborato da uno o più architetti o ingegneri scelti dal Consiglio comunale su proposta della commissione di esperti.

Art. 38 - Obblighi e facoltà dei proprietari.

Entro i tempi fissati dalla notifica secondo la graduatoria d’urgenza di cui all’art. 36, m), i proprietari degli immobili compresi nel piano di risanamento conservativo e gli eventuali consorzi obbligatori dovranno presentare al Comune il progetto esecutivo di risanamento eseguito secondo le prescrizioni notificate e corredate dalle stime del valore degli immobili prima e dopo la trasformazione e dei costi di trasformazione.

È in facoltà dei proprietari o dei consorziati richiedere, entro 60 giorni dalla notifica, la compilazione d’ufficio del progetto esecutivo, da parte di progettista scelto dalla commissione di esperti, e di proporre, entro lo stesso termine, la cessione dei diritti di proprietà.

Trascorso il termine fissato dalla notifica per la presentazione del progetto, per i proprietari che non abbiano provveduto a detta presentazione, il Comune procede d’ufficio alla compilazione del progetto, all’esproprio degli immobili ed all’esecuzione delle opere.

Art. 39 - Commissione di periti.

In ogni comprensorio, l’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale nomina una commissione di periti per la stima degli immobili da risanare.

La commissione è composta da

- il Provveditore regionale alle 00. PP., Presidente;

- l’ingegnere capo del Genio civile;

- l’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Erariale;

- un tecnico designato dalla commissione provinciale delle imposte dirette;

- un ingegnere o architetto designato dagli ordini.

Per ogni tipo di risanamento sono aggregati alla commissione dei periti due ingegneri o architetti designati dall’assemblea dei proprietari che hanno ricevuto notifica, entro 60 giorni da tale data, su convocazione del Comune; in caso di mancata designazione, il Comune procede di ufficio..

Art. 40 - Compiti.

La commissione dei periti ha il compito di accertare il valore dichiarato nelle stime di cui all’art. 38, in base a verifiche eseguite dall’Ufficio Tecnico Erariale per quanto concerne i valori dell’immobile e dal Genio Civile per quanto riguarda i costi di trasformazione.

In tutti i casi in cui la trasformazione comporta una diminuzione di valore rispetto al valore iniziale più i costi di trasformazione, la commissione delibera modalità ed importi per compensare la perdita subita, secondo i disposti dell’articolo seguente.

Art. 41 - Agevolazioni ai privati proprietari.

Sono ammesse le seguenti agevolazioni ai proprietari degli immobili di cui all’articolo precedente:

a) sgravio fiscale dell’immobile trasformato, fino alla durata massima di 30 anni;

b) sgravio totale o parziale dall’imposta sul dazio per i materiali da costruzione occorrenti per la trasformazione;

c) contributi a fondo perso, per i casi in cui la trasformazione comporti una diminuzione di valore o particolari oneri per opere di consolidamento e di restauro in edifici storici o artistici di notevole importanza.

Art. 42 - Ricorso contro le deliberazioni della commissione dei periti.

Tutte le deliberazioni della commissione dei periti sono sottoposte all’approvazione dell’Organo di Pianificazione Regionale; le deliberazioni approvate sono pubblicate sull’albo regionale e di esse è data notizia sui quotidiani locali.

Avverso alle deliberazioni della commissione dei periti è ammesso, entro 30 giorni dalla pubblicazione, il ricorso alla magistratura ordinaria.

Il ricorso non sospende la procedura di trasformazione.

Art. 43 - Ente nazionale per il finanziamento del risanamento conservativo.

Nel termine di un anno dalla promulgazione della presente legge sarà istituito; con apposito provvedimento legislativo, un Ente nazionale per il finanziamento del risanamento conservativo dotato di congrui fondi per l’erogazione di crediti a lungo termine a favore dei Comuni per le operazioni di risanamento conservativo, per le anticipazioni ai privati e per l’erogazione dei contributi a fondo perso di cui all’art. 41, c).

Ai crediti ed ai contributi possono accedere i proprietari di immobili ricadenti in zona soggetta a piano di risanamento conservativ, muniti di licenza di trasformazione e della relativa deliberazione dei periti, e che ne facciano domanda al Comune

C. Approvazione dei piani esecutivi

Art. 44 – Termini

I piani esecutivi sono adottati dal Consiglio comunale e posti in pubblicazione per la durata di 30 giorni. Qualora essi prescrivano obblighi di costituzione di comparti, l’avvenuta pubblicazione sarà notificata ai proprietari interessati entro i primi 10 giorni dalla pubblicazione stessa. Nel termine di 30 giorni dall’avvenuta pubblicazione, i proprietari interessati potranno chiedere al Comune la variazione del perimetro del comparto.

Nel termine dei successivi 30 giorni possono essere presentate osservazioni e opposizioni.

Le osservazioni e le opposizioni, oltrechè le richieste di modifica del perimetro dei comparti, sono trasmesse all’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale unitamente alle deduzioni del Comune deliberate in Consiglio comunale.

Art: 45 - Procedura.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale, entro e non oltre 30 giorni dal ricevimento delle osservazioni ed opposizioni e delle relative deduzioni comunali, esprime il parere di merito e lo trasmette, assieme al piano, all’Organo di Pianificazione Regionale che entro i successivi 60 giorni delibera l’accoglimento o il rigetto totale o parziale del piano stesso, delle osservazioni ed opposizioni e delle modifiche di perimetro.

Il piano è approvato dal Presidente della Regione con decreto pubblicato sul Bollettino Ufficiale.

Qualora in sede di Organo di Pianificazione Regionale il giudizio di merito sul piano non raggiunga una maggioranza dei due terzi dei componenti dell’assemblea, o su ricorso, avverso il deliberato dell’Organo di Pianificazione Regionale, presentato dall’Ente Comprensoriale od anche da Associazioni nazionali a carattere culturale erette in Ente morale, il piano deve essere sottoposto al parere del Consiglio Tecnico Centrale. Il Consiglio Tecnico Centrale, entro 60 giorni dal ricevimento di esso, esprime il proprio parere, che ha carattere vincolante per l’Organo di Pianificazione Regionale, il quale predispone l’approvazione secondo le modalità dei commi precedenti.

I vincoli imposti dai piani esecutivi sono notificati dal Comune ai singoli proprietari entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto di approvazione sul Bollettino Ufficiale della Regione.

I piani esecutivi di risanamento conservativo, oltrechè all’Albo comunale, saranno pubblicati contemporaneamente, per uguale periodo, agli Albi provinciale e regionale. Per essi l’Organo di Pianificazione Regionale, prima di proporli all’approvazione del Presidente della Regione, dovrà sentire il parere del Consiglio Tecnico Centrale.

I vincoli relativi alla conservazione degli edifici di carattere storico ed ambientale e quelli paesistici sono trascritti a cura del Comune nei registri immobiliari entro 30 giorni dalla notifica.

D. Lottizzazione

Art. 46 – Piani di lottizazione.

Nei Comuni dotati di piano generale possono essere presentati, dagli interessati, progetti di oottizzazione limitatamente alle zone di espanzione indicate dal piano. Il progetto di lottizzazione ha, in tal caso, le stesse caratteristiche tecniche dei piani esecutivi previsti per dette zone ed è approvato con le stesse procedure..

Nei Comuni sprovvisti di piano generale comunale, il frazionamento di aree a scopo di trasformazione d’uso è subordinato alla formazione di un piano di lottizzazione, conforme alle indicazioni del relativo piano regolatore territoriale vigente o in formazione. Esso consta di:

a) un grafico dimostrante l’ubicazione della lottizzazione ed il suo inserimento nel P.R.T.;

b) un piano planivolumetrico comprensivo delle opere edilizie con la loro destinazione, della rete stradale e degli impianti primari;

c) una relazione indicativa dei costi delle opere di urbanizzazione e dei tempi di attuazione.

Il piano di lottizzazione deve essere redatto da un architetto o ingegnere; esso è un piano esecutivo a tutti gli effetti e segue la procedura di approvazione dei piani esecutivi.

TITOLO V

ATTUAZIONE DEI PIANI COMUNALI

Art. 47 - Patrimonio comunale di aree.

Il Comune forma, in base al piano e conformemente ai programmi di attuazione, un patrimonio comunale di aree da urbanizzare, destinandovi obbligatoriamente un’aliquota dei contributi concessigli in base all’art. 27, fissata nello stesso decreto di concessione.

Al medesimo fine deve essere investita un’aliquota delle somme a qualunque titolo rivenienti al Comune dalla attuazione del piano.

Realizzata l’urbanizzazione, il Comune può cedere il diritto di superficie dei lotti edificabili ad Enti e privati che si impegnino a realizzare l’edificazione secondo le prescrizioni del piano. Può altresì cederne la proprietà nei casi previsti dagli artt. 58 e 60.

Art. 48 - Cessione gratuita di aree da parte dei privati. Assunzione dei costi di urbanizzazione. primaria.

Nelle zone di espansione entro il perimetro di ciascun piano esecutivo grava sul complesso delle proprietà, escluse quelle vincolate a carattere monumentale o paesistico. l’obbligo di cessione gratuita al Comune di un’aliquota del 30% dell’area totale per le attrezzature pubbliche (articolo 33, b), mentre le spese per quella parte di esse che costituisce urbanizzazione primaria (art. 33, c) gravano sulle aree edificatorie interessate.

L’esecuzione di dette opere può essere fatta dal Comune stesso con rimborso rateato delle relative spese, oppure essere dal Comune affidata ai proprietari singoli, o riuniti in consorzio, mediante convenzione.

Art. 49 - Consorzi coattivi per l’attuazione del piano esecutivo.

I comparti di cui agli articoli precedenti costituiscono unità comprensive di aree destinate all’edificazione, alla viabilità ed alle altre indispensabili attrezzature pubbliche e degli eventuali edifici e manufatti esistenti.

I proprietari di tutte le aree ed edifici ricadenti nel comparto, sono tenuti a costituirsi in consorzio per l’attuazione del piano, compresa la realizzazione e la manutenzione delle relative opere di urbanizzazione primaria.

Entro i 45 giorni successivi alla notificazione di cui all’art. 44, i consorzi stabiliti dal piano debbono essere giuridicamente costituiti.

A costituire il consorzio basterà il concorso dei proprietari rappresentanti, in base alla consistenza immobiliare, i due terzi del valore dell’intero comparto. I consorzi così costituiti conseguiranno la piena disponibilità del comparto mediante l’espropriazione delle aree e costruzioni dei proprietari non aderenti.

Quando sia decorso inutilmente il termine stabilito nell’atto di notifica, il Comune procederà, secondo le stesse norme dell’art. 58, all’espropriazione del comparto.

Per l’assegnazione di esso, in blocco o in parti, con l’obbligo di provvedere ai lavori di edificazione e di trasformazione a norma del piano esecutivo, il Comune indirà una gara fra i proprietari espropriati sulla base del prezzo di espropriazione maggiorato del 5%.

In caso di diserzione della gara, il Comune potrà procedere all’assegnazione mediante gara aperta a tutti od anche, previa la prescritta autorizzazione, mediante vendita a trattativa privata, a prezzo non inferiore a quello posto a base della gara fra i proprietari espropriati.

Art. 50 - Consorzi volontari.

È ammessa la formazione di consorzi volontari raggruppanti il complesso delle proprietà ricadenti in un determinato perimetro per la realizzazione di piani esecutivi su progetti elaborati secondo le norme degli artt. 33, 34, 36, 48 e 49.

Analoga facoltà è concessa all’eventuale unico proprietario dell’area di un intero comparto.

I relativi progetti, presentati al Comune, sono esaminati, entro 60 giorni, da una commissione formata dal Sindaco, presidente, da tre consiglieri comunali, di cui uno di minoranza, e da tre esperti urbanisti designati dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale. La commissione provvede all’istruttoria del progetto e, con gli emendamenti eventualmente concordati con i proponenti, lo sottopone, assieme col proprio parere, al, Consiglio comunale.

L’approvazione avviene secondo le modalità degli articoli 45 e 46.

Art. 51 - Agevolazioni.

I consorzi, comunque costituiti, i quali operino trasformazioni con carattere di prevalente risanamento igienicosociale, non costituenti in complesso operazioni economicamente attive, possono fruire delle agevolazioni di cui agli artt. 41 e 43, facendone richiesta alla commissione dei periti del relativo comprensorio.

Nei casi in cui il Comune o altri Enti pubblici si sostituiscano ai privati ed ai Consorzi per l’attuazione di opere di risanamento conservativo e di risanamento non economicamente attivo, in esecuzione all’art. 38, i subentranti usufruiscono delle stesse agevolazioni.

Art. 52 – Ricomposizione particellare.

Alla ricomposizione particellare di sui agli artt. 33 i), 34 g), si precede là dove la ripartizione attuale delle aree non consenta la realizzazione delle prescrizioni c piano esecutivo.

Il Comune invita i proprietari delle singole partite a concordare, entro un termine fissato, una ricomposizio aderente alle prescrizioni stesse, mediante permute o compravendite. Decorso inutilmente il termine stabilito, Comune procede nei loro confronti secondo le norme d l’art. 49.

Art. 53 - Rettifica dei confini.

Nei casi in cui l’andamento dei confini di proprietà ostacoli la strutturazione edilizia prevista dai piani esecutivi, il Comune invita i proprietari limitrofi a rettificare linee di confine. Trascorso il termine all’uopo assegnato il Comune promuove l’espropriazione delle necessarie porzioni di area a favore e per conto delle proprietà che tal modo si regolarizzano.

Art. 54 - Diritti reali, servitù, ipoteche.

Nella formazione dei comparti, nella ricomposizione particellare e nella rettifica di confini, i diritti reali, servitù ed ipoteche esistenti sulle precedenti particelle, graveranno, nello stesso ordine, sulle nuove particelle att buite al medesimo proprietario, salvo per quanto concerne le servitù, per le quali il piano può disporre diversamen

Art. 55 - Perequazione dei volumi edificabili.

Entro il perimetro dei piani esecutivi, di espansione e di trasformazione, tutti i proprietari ed i titolari di diri di superficie compresi nei diversi comparti del pian hanno diritto alla perequazione dei volumi edificabili.

Tale perequazione verrà computata, per ogni particella, dalla differenza tra il volume effettivamente attribuito dal piano esecutivo ed il volume teorico-medio, ottenuto dall’uniforme distribuzione del volume edificati complessivo ammesso sull’intero territorio incluso nel perimetro.

Le particelle cui è attribuito un volume effettivo inferiore a quello teorico-medio, riceveranno, a perequazione, un compenso di diritto di volume da parte delle particelle cui è stato attribuito dal piano un volume maggiore quello teorico-medio.’

La localizzazione dei volumi spettanti alle particelle in difetto viene definita, mediante sorteggio da parte del Autorità comunali, secondo le forme di legge, entro 60 giorni dal decreto di approvazione del piano esecutivo e notificata al proprietario entro i 30 giorni successivi. Il diritto di volume è commerciabile.

Art: 56 - Addebito ai proprietari delle spese p opere di urbanizzazione primaria.

Le spese per eventuali opere di urbanizzazione primaria, in tutto o in parte già eseguite a spese del Comune, saranno dal Comune stesso addebitate, in relazione al relative spettanze, ai proprietari singoli o riuniti in consorzio; essi sono tenuti a completare tali opere entro e non oltre i due anni a partire dalla notifica dell’addebito,

Non sono in ogni caso addebitabili le opere di urbanizzazione primaria eseguite anteriormente a 10 anni dal l’entrata in vigore della presente legge.

Art. 57 - Lottizzazioni sprovviste di opere di urbanizzazione primaria.

Nelle lottizzazioni, iniziate entro il periodo di cui all’ultimo comma dell’articolo precedente, tuttora sprovviste delle opere di urbanizzazione primaria, queste dovranno essere eseguite a carico del consorzio, secondo le modalità dell’art. 48, entro e non oltre i due anni dalla entrata in vigore della presente legge.

Per gli intasati urbani e per le lottizzazioni completamente edificate anteriori al detto periodo e sprovviste in tutto o in parte delle opere di urbanizzazione primaria, il Comune, entro due anni dall’entrata in vigore della presente legge, dovrà provvedere a proprie spese alla dotazione di tali opere.

Art. 58 - Acquisizione degli immobili per l’attuazione dei piani.

Il computo del valore delle aree, edifici e manufatti la cui proprietà debba essere trasferita a norma degli articoli precedenti per l’attuazione dei piani generali ed esecutivi e per la formazione del patrimonio immobiliare comunale, di cui all’art. 47, è effettuato sulla base del prezzo di mercato degli immobili stessi, nella loro destinazione d’uso precedente all’approvazione dei piani, con esclusione di qualsiasi incremento o decremento derivante dalle differenti destinazioni stabilite dai piani stessi.

Per la procedura di stima .e di corresponsione del relativo prezzo si applicano le norme degli artt. 24 e seguenti della legge 25 giugno 1865, n. 2359, con reciproca facoltà, per il Comune e per gli interessati, di compensazione meliante cessione di proprietà di lotti edificabili nelle aree li cui all’art. 47.

Art. 59 - Occupazione temporanea.

Nei casi in cui il Presidente della Regione, su proposta dell’Organo di Pianificazione Regionale, consenta eccezionalmente l’occupazione temporanea o d’urgenza degli imnobili da acquisire, il decreto che autorizza l’immissione in possesso dovrà stabilire un congruo indennizzo per il periodo di occupazione da corrispondersi anticipatamente ,1 proprietario degli immobili stessi.

Contro la determinazione dell’ammontare dell’indennizzo è ammesso gravame innanzi alla magistratura ordinaria.

Art. 60 - Perequazione dei valori.

Le proprietà immobiliari che, per effetto dell’attuazione dei piani esecutivi, durante un periodo amministravo beneficiano di un incremento di valore, sono tenute a orrispondere al Comune, entro il successivo periodo e seondo modalità da stabilirsi, la metà di esso, dedotto il alore delle aree cedute a norma dell’art. 48, e le spese er le opere di urbanizzazione, sopportate a norma dello ‘esso articolo e salve le perequazioni già effettuate in base all’artiicolo 54.

I valori d’incremento o decremento vanno computati rieptto al valore d’uso degli immobili precedente alla data di adozione del piano d’insieme, di cui all’art. 20.

Le proprietà immobiliari che subiscano un decremento di valore per effetto di mutamenti di destinazione rispetto a precedenti piani regolatori particolareggiati, formati in base a leggi precedenti alla presente, o piani esecutivi formati ai sensi della presente, o piani di lottizzazione, tutti regolarmente approvati secondo le rispettive procedure, hanno diritto ad un indennizzo pari al danno subito. Tale indennizzo, è corrisposto dal Comune o mediante corrispettivo in danaro secondo modalità da stabilirsi, o mediante cessione di proprietà di lotti edificabili nelle aree di cui all’art. 47, e comunque entro un periodo non superiore a 5 anni dalla data dell’accertamento.

L’accertamento è promosso dalle parti ed eseguito dall’Ufficio Tecnico Erariale, per quanto concerne le aree, e dall’Ufficio del Genio Civile per gli edifici e manufatti.

Avverso l’accertamento è ammesso gravame innanzi alla magistratura ordinaria.

Art. 61 - Aree destinate . ad edilizia popolare statale o sovvenzionata.

Le aree destinate ad edilizia popolare statale o sovvenzionata, specificate nel programma di attuazione, di cui all’art. 30, sono acquistate dagli Enti interessati alle stesse condizioni contemplate dall’art. 58. Le cessioni di dette aree è obbligatoria; l’obbligo è notificato dal Sindaco entro 30 giorni dall’approvazione del programma stesso.

Art. 62 - Fondo regionale per l’urbanizzazione.

La Regione provvede alla costituzione di un Fondo regionale per l’urbanizzazione, formando un consorzio fra Enti pubblici ed Istituti di Credito, al fine di anticipare ai privati ed Enti obbligati alle opere di urbanizzazione primaria, di cui agli articoli precedenti, le somme occorrenti, con rimborso decennale ed al tasso ufficiale maggiorato del 2% per spese di gestione. Analoghe anticipazioni potranno essere consentite ai Comuni per le opere di urbanizzazione di loro spettanza.

Art. 63 - Termini per l’attività edilizia privata.

I proprietari delle aree comprese in un piano esecutivo, o in un piano di lottizzazione approvato, sono obbligati ad eseguire le opere di trasformazione nel tempo fissato dai piani. I proprietari inadempienti, al termine del periodo fissato dal piano, sono messi in mora dal Comune per un periodo non superiore a mesi 12, trascorso il quale, il Comune procede all’esproprio dell’area attribuendole un valore inferiore del 25% a quello di mercato, con ulteriore deduzione delle spese per l’urbanizzazione primaria di loro competenza non ancora corrisposte. L’area espropriata viene messa all’asta per l’edificazione. Gli eventuali ricavi dall’operazione sono devoluti al fondo di cui all’articolo 47.

Art. 64 - Poteri di vigilanza dell’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale.

L’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale ha potere di vigilanza sulla fedele attuazione dei piani generali ed esecutivi; esso si sostituisce all’Autorità comunale nei casi in cui questa operi in contrasto o in deroga con le prescrizioni dei piani approvati.

TITOLO VI

NORME REGOLATRICI DELL’ATTIVITÀ COSTRUTTIVA EDILIZIA

Art. 65 - Licenza di costruzione e di trasformazione edilizia.

Su tutto il territorio nazionale la costruzione di edifici e la trasformazione di quelli esistenti non potrà iniziarsi senza il preventivo rilascio di apposita licenza edilizia da parte delle Autorità competenti.

Ogni demolizione di immobile o di alberatura vincolata ai fini paesistici, a norma dell’art. 33 h), deve essere preventivamente autorizzata.

Art. 66 - Rilascio della licenza edilizia.

Il rilascio della licenza è subordinato all’accertamento del pieno rispetto delle prescrizioni dei piani generali ed esecutivi, ove esistano; nel qual caso essa è di competenza del Sindaco su conforme parere della commissione edilizia comunale, sentito altresì il parere vincolante della commissione degli esperti, di cui all’art. 37, nel caso di progetti ricadenti nelle zone di risanamento conservativo.

Nei Comuni non obbligati a redigere i piani comunali e facenti parte di un comprensorio, essa è rilasciata dall’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale per i nuovi insediamenti di edilizia popolare e sovvenzionata, per le lottizzazioni e le nuove costruzioni in zone soggette a vincolo storico. ambientale e paesistico, per i nuovi insediamenti industriali e per gli ampliamenti superiori al 30% del volume degli edifici industriali esistenti, per l’appoderamento agrario di estensione pari o superiore alle 10 unità poderali minime; dal Sindaco per le restanti opere pubbliche e private, sentito il parere della commissione edilizia competente.

La licenza è rilasciata, in ogni caso, entro e non oltre 90 giorni dalla domanda; entro la stessa data sono notificate, con motivazione, le domande respinte o sospese in attesa di emendamento o per effetto di salvaguardia, ai sensi dell’art. 26.

I progetti sottoposti all’Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale per il rilascio di licenza debbono raggiungere l’unanimità di giudizio; in caso contrario il progetto, unitamente al giudizio espresso dall’Ente Comprensoriale, è sottoposto all’esame dell’Organo di Pianificazione Regionale; in caso di particolare importanza l’Organo di Pianificazione Regionale ha facoltà di rimettere il giudizio definitivo al Consiglio Tecnico Centrale.

Art. 67 - Licenza di abitabilità.

Nessun edificio di nuova costruzione o trasformato ricadente nel perimetro dei piani esecutivi potrà avere alcuna utilizzazione se non dopo il rilascio della licenza di abitabilità che dovrà attestare la rispondenza dell’edificio al progetto e l’avvenuta esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria ad esso connesse.

Per gli immobili non ricadenti nel perimetro dei piani esecutivi e fuori dalle lottizzazioni approvate può essere concessa la licenza di abitabilità soltanto se siano garantiti almeno la provvista di acqua potabile ed uno smaltimento igienico delle acque luride.

Art. 68 - Regolamento edilizio comunale.

Ciascun Comune dotato di piano generale provvede. entro 6 mesi dalla pubblicazione del decreto di approva zione, alla compilazione di un proprio regolamento edili zio, in armonia con le disposizioni contenute nella presente legge e nel testo unico delle leggi sanitarie R. D. 27 lu glio 1934, n. 1265, e suoi aggiornamenti, oltrechè con le prescrizioni del piano generale.

Esso detta norme essenzialmente sulle seguenti materie:

1. - formazione, attribuzioni e funzionamento della commissione edilizia comunale;’

2. - procedura di presentazione delle domande di licenza per costruzione o trasformazione edilizia e lottiz zazioni;

3. - caratteristiche tecniche dei progetti, di cui alla domanda precedente, e degli elaborati obbligatori (plani metria quotata; rilievo degli eventuali edifici da trasfor mare; piante, prospetti e sezioni degli edifici in progetta con i particolari costruttivi ed architettonici e l’indica zione dei materiali e dei colori; impianti tecnici ecc.);

4. - particolari prescrizioni dimensionali costruttive ed estetiche ad integrazione delle norme dei piani generali ed esecutivi per determinate zone urbanizzate o da urba nizzare ;

5. - norme igieniche di interesse edilizio;

6. - arredo stradale e sistemazione a terra dello sco perto pubblico e privato e loro manutenzione;

7. - occupazione temporanea di suolo pubblico, lavori nel sottosuolo, garanzia per la pubblica incolumità;

8. - vigilanza sull’esecuzione dei lavori per assicurare l’osservanza delle disposizioni di legge, dei regolamene e dei piani.

Art. 69 - Regolamento edilizio comprensoriale.

A cura dell’Ente Comprensionale per la pianificazioni territoriale saranno redatti regolamenti edilizi, da valere per i Comuni del comprensorio non dotati di piano o non obbligati a redigerlo. Esso, oltre a dettare norme sulle materie di cui al precedente articolo, salvo i punti 1 e 4, determina i tipi edilizi e ne fissa le caratteristiche. L’Ente Comprensoriale, sentite le Amministrazioni interessati provvede alla costituzione di una o più commissioni edilizie competenti per gruppi di detti Comuni.

Art. 70 - Approvazione dei regolamenti edilizi.

I regolamenti edilizi comunali sono adottati dal Consiglio comunale e trasmessi al competente Ente Comprensoriale per la pianificazione territoriale che li presenta con il proprio parere all’approvazione dell’Organo di Pianificazione Regionale.

I regolamenti edilizi comprensoriali sono adottati dall’assemblea dell’Ente Comprensoriale e, dopo la pubblicazione nei Comuni interessati per un periodo di 30 giorni, sono trasmessi, con le eventuali osservazioni, all’Organo Pianificazione Regionale per l’approvazione.

Gli uni e gli altri sono resi esecutivi con decreto e Presidente della Regione.

Art. 71 – Vigilanza sulle costruzioni nel territorio comunale.

CAPO 1. FINALITà

Articolo 1. La pianificazione del territorio

1. La presente legge detta norme relative alla pianificazione del territorio.

2. Il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune. Le autorità pubbliche ne sono i custodi e i garanti nel quadro delle specifiche competenze.

3. La pianificazione del territorio è lo strumento fondamentale attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della materia oggetto di legislazione esclusiva dello Stato ai sensi del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione denominata: tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Nonché delle seguenti materie oggetto di legislazione concorrente a norma dei commi terzo e quarto del medesimo articolo 117 della Costituzione: protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali. Nonché infine di materie oggetto di legislazione esclusiva delle Regioni, ai sensi del quarto comma dello stesso articolo 117 della Costituzione, quali viabilità e opere pubbliche di interesse regionale e locale. La pianificazione del territorio è altresì lo strumento attraverso cui si realizzano gli obiettivi propri della tutela del paesaggio ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione.

4. Relativamente a ogni aspetto delle materie di cui al comma 3 non disciplinato dalle norme della presente legge valgono i relativi atti aventi forza di legge, nel rispetto delle competenze costituzionalmente garantite dei Comuni, delle Province; delle Città metropolitane, delle Regioni, dello Stato.

5. La presente legge provvede altresì al recepimento, per quanto di competenza della legislazione dello Stato e con esclusivo riferimento alla pianificazione del territorio, della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

Articolo 2. La titolarità pubblica della pianificazione del territorio

1. La pianificazione del territorio compete esclusivamente a pubbliche autorità.

2. La formazione degli strumenti di pianificazione spetta ordinariamente agli enti territoriali: Comuni, Province o Città metropolitane, Regioni, Stato.

3. Il riconoscimento delle competenze pianificatorie dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, è operato dalla legislazione dello Stato anche con riferimento alla sua competenza esclusiva di definizione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province, Città metropolitane.

4. La legislazione dello Stato e quella regionale possono attribuire competenze nel campo della formazione di strumenti di pianificazione specialistica o settoriale, attinenti alla difesa del suolo, alle aree naturali protette, all’erogazione di servizi di interesse collettivo, e simili, ad altre autorità pubbliche, con la concorrenza di diversi enti territoriali, fermo restando che anche in tali casi la competenza decisionale finale deve spettare all’ente territoriale nella cui circoscrizione rientri l’intero ambito oggetto dello specifico strumento di pianificazione.

5. La legislazione dello Stato e quella regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, specificano i casi di prevalenza dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale sugli ordinari strumenti di pianificazione e le modalità di adeguamento di questi ultimi alle disposizioni dei primi. Sono altresì specificati i casi in cui il raggiungimento d’intese con le autorità pubbliche competenti conferisce agli ordinari strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni le valenze e le efficacie dei suddetti strumenti di pianificazione specialistica o settoriale.

Articolo 3. La pianificazione come metodo

1. Gli strumenti di pianificazione sono rivolti a regolare le trasformazioni, fisiche o funzionali, del territorio e degli immobili che lo compongono, e a conferire loro coerenza, in relazione sia alla loro collocazione nello spazio che alla loro successione nel tempo.

2. Gli atti e le azioni delle pubbliche amministrazioni concernenti le trasformazioni di cui al comma 1 devono essere conformi a strumenti di pianificazione. Fanno eccezione unicamente gli atti assunti nei casi di straordinaria necessità di provvedere, con interventi urgenti, alla difesa militare o alla sicurezza della Nazione, ovvero a prevenire il verificarsi di calamità naturali, di catastrofi e di altri eventi calamitosi, o a rimediare ai suddetti eventi, e comunque nel rispetto delle specifiche norme legislative.

3. Le facoltà di operare trasformazioni fisiche e funzionali degli immobili non possono essere annullate o modificate da sopravvenuti strumenti urbanistici unicamente ove sia intercorso l’ottenimento del provvedimento abilitativo a operare le trasformazioni, e le relative attività abbiano avuto inizio entro un periodo di tempo predeterminato dalle leggi.

Articolo 4. Il diritto alla città e all’abitare

1. La pianificazione assicura che l’impiego delle risorse territoriali non ne comprometta la consistenza. La loro utilizzazione è garantita in condizioni equivalenti a tutti i cittadini, in riferimento ai diritti fondamentali all’abitazione, ai servizi, alla mobilità, al godimento sociale delle risorse territoriali ed ambientali e del patrimonio culturale, alla dignità umana nonché al diritto di proprietà.

2. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, la legislazione dello Stato determina le quantità minime di dotazioni di opere di urbanizzazione, di spazi per servizi pubblici, per la fruizione collettiva, e per l’edilizia sociale, nonché i requisiti inderogabili di tali dotazioni, che devono essere assicurate negli strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze.

3. In particolare, il Comune, per ridurre le condizioni di disagio abitativo, definisce, nell’ambito delle previsioni degli strumenti di pianificazione, le localizzazioni e le modalità realizzative per ampliare l’offerta di edilizia sociale.

Articolo 5. Onerosità della trasformazione urbanistica

1. L’attività di trasformazione urbanistica presuppone l’esistenza o la contemporanea predisposizione delle opere delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale, ivi comprese quelle necessarie per la mitigazione ambientale.

2. Ogni trasformazione urbanistica concorre al pagamento delle opere di urbanizzazione generale, primaria e secondaria, in relazione all’entità delle opere necessarie e delle trasformazioni previste. La legislazione regionale stabilisce le modalità e le garanzie per assicurare che, negli ambiti sprovvisti, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria siano realizzate in modo da pervenire ad un equilibrio tra somme introitate dal comune e costi da sostenere e che le opere di urbanizzazione generale siano ripartite, sulla base di riferimenti parametrici, sull’insieme degli interventi ricadenti nel territorio comunale.

Articolo 6. La partecipazione e la condivisione delle conoscenze

1. La partecipazione dei cittadini alla formazione delle scelte della pianificazione è condizione essenziale per la loro efficacia. Essa ha la sua necessaria premessa nella condivisione di tutte le informazioni riguardanti il territorio, la pianificazione e le trasformazioni.

2. Anche al fine di cui al precedente comma 1, gli enti pubblici promuovono la costituzione di strutture atte a garantire la diffusione di esaurienti ed adeguate forme di conoscenza continua e di monitoraggio attinenti ai processi di pianificazione e di trasformazione urbana, nelle loro premesse, formazione e attuazione.

Articolo 7. Il contenimento dell'uso del suolo

e la tutela delle attività agro-silvo-pastorali

1. Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.

2. Le leggi regionali assicurano che, sul territorio non urbanizzato, gli strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, né demolizioni e ricostruzioni, o consistenti ampliamenti, di edifici, se non strettamente funzionali all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri rapportati alla qualità e all'estensione delle colture praticate e alla capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalle leggi.

3. Le leggi regionali stabiliscono che le trasformazioni di cui al comma 2 siano assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle quali sia prevista la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della superficie fondiaria per la quale viene assentita la trasformazione, nonché l'impegno a non operare mutamenti dell’uso degli edifici, o delle loro parti, attivando utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, e a non frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente all'estensione richiesta per la trasformazione ammessa.

4. Le leggi regionali disciplinano altresì le trasformazioni ammissibili dei manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a quelle di manutenzione, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di demolizione e ricostruzione.

5. Le leggi regionali prevedono la demolizione senza ricostruzione dei manufatti edilizi già utilizzati come annessi rustici, qualora perdano la destinazione originaria.

6. Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono disporre ulteriori limitazioni, fino alla totale intrasformabilità, in relazione a condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del paesaggio, dell'ambiente, dell'ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse storico-artistico, storico-architettonico, storico-testimoniale, del patrimonio edilizio esistente.

Articolo 8. La tutela degli insediamenti storici

1. In forza della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali, per effetto dell’essere individuati dagli strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, d’intesa con il competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, sono qualificati come tali:

- gli insediamenti urbani storici e le strutture insediative storiche non urbane, le addizioni urbane aventi un impianto urbanistico significativo, le strutture insediative, anche minori o isolate, che presentino, singolarmente o come complesso, valore di testimonianza di civiltà, nonché le rispettive zone di integrazione ambientale;

- le unità edilizie e gli spazi scoperti, siti in qualsiasi altra parte del territorio, aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.

2. Resta ferma la competenza dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali di integrare le predette individuazioni con propri provvedimenti amministrativi.

3. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni compatibili degli immobili suindicati sono disciplinate dagli strumenti di pianificazione dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, come definite dalla legislazione regionale. Laddove siano oggetto di disposizioni immediatamente precettive e operative definite d’intesa con i competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali, i provvedimenti abilitativi comunali conformi a tali disposizioni tengono luogo delle speciali autorizzazioni dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali richiesti dalle vigenti norme di legge.

CAPO II. GLI STRUMENTI E LE PROCEDURE

Articolo 9. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale

1. Le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per l’ambiente e la tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, e acquisiti i pareri delle competenti commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, entro diciotto mesi dall’approvazione della presente legge. Secondo la medesima procedura si procede al loro aggiornamento, e alla loro eventuale variazione, almeno ogni tre anni, nonché, comunque, ove se ne presenti la necessità.

2. Nella formazione delle linee suddette è inserito e reso coerente il complesso dei piani specialistici e di settore riguardanti il territorio nazionale quali: il piano dei trasporti, il piano energetico, i piani delle aree naturali protette, i piani paesaggistici.

3. Si tiene altresì conto degli atti ufficiali dell’Unione europea, comunque incidenti sull’assetto del territorio nazionale.

Art. 10. Gli strumenti e gli atti di pianificazione

1. Le leggi regionali stabiliscono l’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti e, per ciascuno di essi:

- la pubblica autorità competente, in base ai principi di sussidiarietà, adeguatezza e responsabilità;

- i contenuti, le efficacie, l’arco temporale di riferimento, le modalità di attuazione;

- le procedure di formazione, nel rispetto dell’articolo 11.

2. E’ attribuita alla pianificazione provinciale e, rispettivamente, regionale, la competenza relativa alle scelte per le quali la scala del comune e, rispettivamente, della provincia, non è adeguata a governare la localizzazione, il dimensionamento e gli effetti delle trasformazioni e degli interventi. Ciò vale, in particolare, per il riordino delle aree conurbate, promuovendo il contenimento della dispersione insediativa.

Articolo 11. Formazione partecipata degli strumenti di pianificazione

1. Le leggi regionali, in relazione alla natura degli strumenti di pianificazione e delle trasformazioni da questi disciplinate, stabiliscono, oltre a quanto espressamente previsto nel successivo articolo 16, le procedure di formazione nel rispetto delle disposizioni di cui ai seguenti commi.

2. Le scelte oggetto degli strumenti di pianificazione devono essere basate su un adeguato quadro conoscitivo dello stato del territorio, dei vincoli derivanti da leggi e atti amministrativi, dei contenuti degli altri strumenti di pianificazione inerenti l’ambito da pianificare. Il quadro conoscitivo è elemento costitutivo degli strumenti di pianificazione.

3. Precedentemente all’adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurata la partecipazione al processo di definizione delle relative scelte degli enti territoriali competenti alla definizione degli atti amministrativi, con particolare riferimento agli strumenti di pianificazione, sovraordinati, nonché di qualsiasi altra autorità responsabilie della tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.

4. Deve essere altresì assicurata la consultazione dei cittadini in tutte le fasi del processo di formazione degli strumenti di pianificazione; a tal fine devono essere stabilite forme e modalità paritarie di accesso a tutti gli atti e di coinvolgimento nel processo decisionale.

5. Nel provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione, l’amministrazione procedente illustra in che modo ha tenuto conto dei pareri espressi dalle altre amministrazioni nonché dei risultati delle consultazioni dei cittadini.

6. Successivamente al provvedimento di adozione degli strumenti di pianificazione deve essere assicurato un congruo termine di tempo entro il quale chiunque possa prendere visione degli strumenti di pianificazione adottati e presentare una formale osservazione.

7. A decorrere dalla data di adozione degli strumenti di pianificazione non è ammissibile l’effettuazione di trasformazioni, fisiche e funzionali, che siano in contrasto con i predetti strumenti, ovvero tali da comprometterne o renderne più gravosa l’attuazione. Può essere previsto che anche in fasi antecedenti del processo di formazione degli strumenti di pianificazione, atti amministrativi appartenenti a tale processo possano inibire l’effettuabilità di determinate trasformazioni suscettibili di contraddire le scelte che si intende assumere.

8. Deve essere altresì conclusa la verifica di conformità con gli atti legislativi e amministrativi e gli strumenti di pianificazione sovraordinati, mediante intesa con il soggetto istituzionale competente da raggiungere in sede di conferenza di amministrazioni.

9. Nel provvedimento di approvazione, l’amministrazione procedente deve controdedurre alle osservazioni pervenute, motivando le determinazioni assunte.

10. Le eventuali variazioni delle previsioni di piano devono essere adeguatamente giustificate in rapporto alla coerenza complessiva del processo di pianificazione.

Articolo 12 Gli accordi di programma

1. Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, programmi di intervento, opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, richieda l’azione integrata e coordinata di Comuni, Province o Città metropolitane e Regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di un accordo di programma, secondo quanto disposto dall’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. Gli accordi di programma sono stipulati in conformità alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente.

3. Gli accordi di programma con la partecipazione dei privati devono rispettare i principi della trasparenza nelle condizioni contrattuali e della competizione fra attori e progetti, e devono dimostrare l’interesse pubblico alla loro realizzazione.

Articolo 13. I vincoli di tutela

1. Non danno luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, per finalità di tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica del territorio, nonché in conseguenza del riconoscimento delle caratteristiche intrinseche degli immobili considerati, sotto il profilo dell’interesse culturale, oppure sotto il profilo delle condizioni di fragilità o di pericolosità.

2. Non danno parimenti luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le limitazioni alle trasformazioni fisiche ammissibili e alle utilizzazioni compatibili degli immobili, anche comportanti totale immodificabilità, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, con riferimento a intere categorie di immobili che si trovino in predefinite relazioni con altri immobili, ovvero con interessi pubblici preminenti, quali le fasce di rispetto delle strade, delle ferrovie, degli aeroporti, e simili.

3. Non danno infine luogo a obbligo di corrispondere indennizzi le regole conformative delle trasformazioni fisiche ammissibili e delle utilizzazioni compatibili degli immobili, disposte dagli strumenti di pianificazione, ovvero da altri atti amministrativi producenti effetti sul territorio, dei Comuni, delle Province o Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato, nell’ambito delle rispettive competenze.

Articolo 14. I vincoli a contenuto espropriativo

1. Gli immobili esattamente individuati dagli strumenti di pianificazione che siano dagli stessi assoggettati a disposizioni immediatamente operative che comportino la loro utilizzazione solamente per funzioni pubbliche o collettive, attivabili e gestibili soltanto dal soggetto pubblico competente, devono essere acquisite dal predetto soggetto pubblico entro il termine perentorio di dieci anni dalla data di entrata in vigore delle suindicate disposizioni.

2. Decorso inutilmente il suddetto termine, gli immobili sono acquisiti in forza di legge al patrimonio del soggetto pubblico competente. I proprietari di tali immobili hanno diritto a una somma pari all’indennità di espropriazione determinata ai sensi delle leggi con riferimento al momento del perfezionamento del loro acquisto da parte del soggetto pubblico. Tale diritto si estingue a norma dell’articolo 2946 del codice civile. La somma suindicata è rivalutata di anno in anno con riferimento alla data della sua liquidazione, in base alle intervenute variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertate dall’ISTAT. Sulla somma rivalutata di anno in anno sono dovuti gli interessi in misura pari a quella del tasso di sconto, fino alla data di liquidazione.

3. Gli strumenti di pianificazione possono stabilire che non abbia applicazione quanto sopra sancito, laddove l’attivazione delle destinazioni d’uso imposte agli immobili, anche se per funzioni pubbliche o collettive, non comporti necessariamente la loro preventiva acquisizione, e la loro gestione, da parte del soggetto pubblico competente, trattandosi di utilizzazioni e gestibili nell’ambito dell’ordinaria iniziativa economica privata, pur se regolata da convenzioni che garantiscano gli obiettivi di interesse generale.

Articolo 15. Attuazione degli strumenti di pianificazione

1. Le trasformazioni degli assetti morfologici del sistema insediativo, quali i nuovi impianti urbanizzativi ed edificatori, le ristrutturazioni urbane e significative variazioni funzionali devono essere disciplinate da strumenti di pianificazione specificamente e unitariamente riferiti agli ambiti territoriali interessati dalle predette trasformazioni.

2. Gli strumenti di cui al comma 1 garantiscono la perequazione tra gli eventuali diversi proprietari degli immobili compresi negli ambiti ai quali si riferiscono. La partecipazione ai benefici e ai gravami conferiti ai predetti immobili dagli strumenti di pianificazione è definita in misura proporzionale alle superfici e ai valori dei suoli, e degli edifici eventualmente esistenti.

3. Al fine di favorire la realizzazione di interventi previsti dai piani relativi a complessi di immobili aventi particolare rilevanza urbanistica ed economica nei quali sia coinvolta una pluralità di soggetti pubblici e privati, il Comune può dichiarane la pubblica utilità finalizzata all’acquisizione.

Articolo 16. Le procedure di valutazione

1. Gli strumenti di pianificazione sono soggetti alla valutazione ambientale durante il loro processo di formazione, a esclusione di quelli destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile. Le leggi regionali specificano i casi in cui, previa dimostrazione dell’insussistenza di effetti ambientali significativi, la valutazione ambientale non è necessaria.

2. La valutazione ambientale è volta a garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, assicurando che i prevedibili effetti sull’ambiente delle scelte contenute negli strumenti di pianificazione siano individuati, descritti e adeguatamente presi in considerazione durante l’elaborazione e prima dell’adozione dei suddetti strumenti.

3. Devono essere privilegiate le scelte che consentono di conseguire gli obiettivi fissati dagli strumenti di pianificazione con il minore impiego di risorse naturali e il minore impatto negativo sull’ambiente. A tal fine, ove necessario, devono essere sottoposte a confronto le proposte alternative.

4. Le leggi regionali, nello stabilire le modalità di svolgimento della valutazione ambientale in relazione all’articolazione della pianificazione nei suoi diversi strumenti, tengono conto:

- del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione attuali;

- dei contenuti e del livello di dettaglio dello strumento di pianificazione;

- della fase in cui i suddetti strumenti si trovano nel processo decisionale;

- della misura in cui taluni aspetti possano essere più adeguatamente valutati in altre fasi del processo decisionale ovvero da altri strumenti di pianificazione di maggiore dettaglio, onde evitare duplicazioni della valutazione.

5. Le leggi regionali assicurano che:

- qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione Europea, siano previste adeguate forme di consultazione transfrontaliera;

- qualora gli strumenti di pianificazione possano avere effetti significativi sull’ambiente di una regione confinante, la consultazione sia allargata alle autorità responsabili della tutela dell’ambiente e agli enti territoriali della regione confinante.

6. Il Ministero per l’ambiente e la tutela del territorio e le Regioni assicurano il monitoraggio degli effetti ambientali degli strumenti di pianificazione. A tal fine le Regioni, o gli enti da esse delegate, predispongono e divulgano, con cadenza programmata, rapporti sullo stato di attuazione degli strumenti di pianificazione, nei quali siano evidenziati gli effetti ambientali significativi determinati dall’attuazione delle scelte di piano.

7. Al fine di perseguire un’uniforme applicazione della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, è emanato, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, e sentita la Conferenza unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, uno specifico atto di coordinamento recante criteri e linee guida per lo svolgimento della valutazione ambientale.

Articolo 17. La carta unica del territorio

1. La pianificazione territoriale e urbanistica generale comunale recepisce e coordina le prescrizioni relative alla regolazione dell’uso del suolo e delle sue risorse ed i vincoli territoriali, paesaggistici e ambientali che derivano dai piani sovraordinati, da singoli provvedimenti amministrativi o da previsioni legislative. In tal modo, essa costituisce la carta unica del territorio e rappresenta l’unico riferimento per la pianificazione attuativa e per la verifica di conformità urbanistica ed edilizia, fatti salvi le prescrizioni e i vincoli sopravvenuti.

Articolo 18. Il sistema informativo territoriale

1. I Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato, singoli o associati, partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale per la definizione degli strumenti di pianificazione per la verifica dei loro effetti.

2. Sono compiti del sistema informativo territoriale:

- l’organizzazione della conoscenza necessaria alla pianificazione del territorio, articolata nelle fasi della individuazione e raccolta dei dati riferiti alle risorse essenziali del territorio, della loro integrazione con i dati statistici, della georeferenziazione, della diffusione, conservazione e aggiornamento;

- la definizione in modo univoco per tutti i livelli operativi della documentazione informativa a sostegno dell’elaborazione programmatica e progettuale dei diversi soggetti e nei diversi settori;

- la registrazione degli effetti indotti dall’applicazione delle normative e delle azioni di trasformazioni del territorio.

3. Il sistema informativo territoriale è accessibile a tutti i cittadini e vi possono confluire, previa certificazione, informazioni provenienti da enti pubblici e dalla comunità scientifica.

CAPO III. NORME TRANSITORIE E FINALI

Articolo 19. Modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio

1. Anche ai fini del contenimento dell’uso del suolo di cui articolo 7 e a quelli della conservazione del paesaggio aperto, per il contributo che esso fornisce a uno stabile assetto del territorio, si stabiliscono le seguenti modifiche al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

2. All'articolo 142, comma 1, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

"n) il territorio non urbanizzato sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale".

3. All'articolo 142 sono aggiunti i seguenti commi:

“5. I comuni, d'intesa con la competente soprintendenza, individuano, nell'ambito dei rispettivi strumenti di pianificazione, il territorio di cui al comma 1, lettera n)”.

“6. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 5 il territorio di cui al comma 1, lettera n), coincide con l’insieme delle zone di cui alla lettera E) dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 aprile 1968, n. 97, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti”.

“7. L’utilizzazione del territorio di cui al comma 1, lettera n), al fine di realizzare nuovi insediamenti di tipo urbano o ampliamenti di quelli esistenti, ovvero nuovi elementi infrastrutturali, nonché attrezzature puntuali può essere definita ammissibile, nei nuovi strumenti di pianificazione, d’intesa con la competente soprintendenza, soltanto ove non sussistano alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture o attrezzature esistenti”.

4. All'articolo 143, comma 2, è inserita la seguente lettera:

"d) per il territorio di cui al precedente articolo 142, lett. n), il piano paesaggistico prevede obiettivi e strumenti per la conservazione e il restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato".

5. Nel territorio di cui al comma 1, lettera n), dell’articolo 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come modificato e integrato per effetto dei commi 2, 3 e 4, fino all’adeguamento delle leggi regionali ai principi fondamentali dettati dalla presente legge nonché fino all’entrata in vigore dei piani paesaggistici ai sensi degli articoli 135 e 156 del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e all’eventuale adeguamento degli strumenti urbanistici, è vietata ogni modificazione dell’assetto del territorio, eccezione fatta per quelle finalizzate alla difesa del suolo e alla riqualificazione ambientale.

Crediti

L’iniziativa di questa proposta di legge è di Paolo Berdini, Giancarlo Storto e Giulio Tamburini, ai quali si deve la prima stesura del testo, elaborato sulla base di documenti presentati al Parlamento dalle associazioni Polis e Italia Nostra in occasione della discussione sulla legge “per il governo del territorio”. Il testo venne successivamente discusso,modificato e integrato da Mauro Baioni, Vezio e Luca De Lucia, Edoardo Salzano, Luigi Scano. Il testo così definito venne inviato ad alcuni autori di testi critici nei confronti della “Legge Lupi” che avevano espresso posizioni analoghe a quelle contenute nella proposta. Tra questi hanno espresso consenso e/o formulato proposte di correzione e integrazionePiergiorgio Bellagamba, Luisa Calimani, Roberto Camagni, Pierluigi Cervellati, Antonio di Gennaro, Maria Cristina Gibelli, Maria Pia Guermandi, Francesco Indovina; delle loro proposte si è tenuto conto nell’ultima stesura del testo e,dove ciò non è stato ritenuto possibile od opportuno, se ne è fatto cenno nella relazione.

La degradazione delle città e del territorio può essere combattuta solo rifondando il piano, ciò che impone un radicale ripensamento nella sinistra. Alcune idee per il risanamento conservativo dei centri storici e per impedire l’ennesimo sacco di Roma

Gli anni Ottanta sono stati i peggiori per le nostre città, per il territorio e l’urbanistica in generale. Sono stati gli anni in cui si è smantellato quel tanto di strumentazione urbanistica che ci aveva dato il periodo della solidarietà nazionale (legge Bucalossi sul regime dei suoli, legge 457 sul piano decennale per la casa, equo canone): gli anni dell’abusivismo condonato, delle leggi per emergenze artificiose (mondiali di calcio) e per cementificare alla cieca le regioni colpite da calamità naturali, terremoti e alluvioni; gli anni della rinuncia a pianificare, della deregulation, dell’urbanistica «contrattata», quella cioè imposta dai privati ai comuni in nome della mappa catastale e della rendita fondiaria. Il caso più clamoroso è stato la variante Fiat-Fondiaria a Firenze, dove i due colossi pretendevano di costruire, a dispetto del piano regolatore, quattro milioni di metri cubi (tre volte la piramide di Cheope) nella piana a nord-ovest della città: operazione fortunatamente fallita per l’intervento della segreteria nazionale del Pci, con grave imbarazzo per la giunta comunale di sinistra che l’aveva approvata. Anni, infine, in cui è continuato il consumo del suolo e, nonostante l’arresto della crescita demografica, lo spreco edilizio, che ha ormai raggiunto dimensioni paradossali. Ci sono in Italia circa 100 milioni di stanze per 57 milioni di abitanti, per una media teorica di quasi 2 stanze per abitante, la più alta d’Europa: uno stock edilizio che si è triplicato nell’ultimo mezzo secolo (nel ‘36 le stanze erano 34 milioni per 42 milioni di abitanti). Solo che si è costruito per lo più l’inutile e il superfluo, seconde e terze case invece della prima per chi ne aveva bisogno: tra i censimenti del 1971 e del 1981 le stanze sono aumentate di 22 milioni mentre gli italiani sono aumentati solo di due (dal 1951 a oggi le seconde e terze case sono aumentate di sette volte, da 655 mila a 4 milioni e 750 mila). E questo, insieme al proliferare di strade e autostrade, zone industriali eccetera, ha contribuito in modo determinante a quell’altro fenomeno rovinoso che è lo spreco di territorio: nell’ultimo trentennio più di tre milioni di ettari (un decimo cioè dell’Italia) sono andati distrutti, da far temere che entro poche generazioni tutta l’Italia sarà consumata e finita, ricoperta da un’ininterrotta crosta di cemento e asfalto.

Perché la degradazione di città e territorio non diventi irreversibile è dunque necessaria, in quest’ultimo decennio del secolo, un’autentica rifondazione della pianificazione: che metta fine alla crescita quantitativa e punti invece sulla riqualificazione-trasformazione delle città, sul ricupero-risanamento dei centri storici, sulla ristrutturazione delle periferie e sulla rigorosa salvaguardia del territorio non ancora urbanizzato (e tutto questo presuppone, da parte della sinistra, un radicale ripensamento delle proprie posizioni).

Anni di esperienze, riflessioni e studi ci hanno insegnato che i centri storici (forse 15 milioni di stanze) sono un patrimonio che va conservato nella sua integrità e nel suo assetto unitario, e che ogni intervento basato su giudizi discrezionali va bandito: “Uno dei presupposti della modernità è appunto quello di sapersi adeguare alle scelte urbanistiche e quindi di rinunciare, ove occorra, a costruire”, questo era scritto in un documento pubblicato sul primo numero del bollettino di Italia Nostra, dell’aprile 1957, a firma di una ventina di architetti (assai giovani allora), tra cui Leonardo Benevolo, Italo Insolera, Vittoria Calzolari, Carlo Melograni eccetera, che poi da illustri studiosi ed urbanisti si sarebbero sempre battuti per le giuste ragioni della pianificazione. L’unico trattamento legittimo per i centri storici è dunque il recupero, il restauro, il risanamento, basato sulla conoscenza scientifica delle antiche compagini edilizie.

Risanamento conservativo significa rigoroso rispetto del tessuto edilizio, mantenimento della residenza e delle attività tradizionali, allontanamento delle funzioni intollerabili. L’esempio nei primi anni Settanta fu Bologna (assessore Pier Luigi Cervellati), che nel 1974 ebbe il diploma del Consiglio d’Europa per il risanamento di alcuni complessi edilizi degradati usando i fondi di solito impiegati per la costruzione di quartieri-ghetto periferici: ma poi la stessa amministrazione rossa, spaventata dal dover attuare i necessari espropri, come racconta Vezio De Lucia nel suo lucido compendio del quarantennale fallimento urbanistico italiano (V. De Lucia, 1989), fece marcia indietro. E da allora quello che era il vero contributo italiano alla cultura urbanistica europea ha segnato il passo, anche se qualche altra operazione è stata poi avviata (centro storico di Taranto, inizio dopo decenni di contrasti del risanamento dei Sassi di Matera). Ma intanto a Napoli sono tornati alla carica gli sventratori di sempre: un progetto redatto dai costruttori prevede infatti di radere al suolo un terzo del centro storico (unico fatto positivo il piano particolareggiato del centro storico di Palermo redatto, per incarico della giunta “anomala” di Palermo, da Leonardo Benevolo, Pier Luigi Cervellati, Italo Insolera).

Risanare i centri storici significa rimuovere le cause della loro inabitabilità, soffocamento e congestione, mettendo fine alla terziarizzazione selvaggia che elimina le residenze e le sostituisce con uffici pubblici e privati. Per questo a Roma (dove gli abitanti del centro storico negli ultimi decenni sono stati ridotti da 420 mila a 130 mila), si impone la realizzazione del Sistema direzionale orientale – il famoso Sdo – quella complessa struttura viaria, edilizia e di servizi nel settore est, dove trasferire alcuni milioni di metri cubi di attività direzionali e terziarie, a cominciare dai ministeri: allo scopo di decongestionare il centro, nel quale ogni giorno entrano, per ragioni di lavoro, più persone di quante ancora ci abitano, e insieme arricchire di attività e quindi riqualificare la derelitta periferia.

Al recupero del centro storico deve accompagnarsi la ristrutturazione delle periferie, la trasformazione qualitativa di tutto quanto è stato edificato dal dopoguerra in poi, e che non ha il minimo interesse storico. L’intervento di ristrutturazione riguarderà quanto è stato edificato negli anni Cinquanta e Sessanta dall’edilizia legale di tipo speculativo col massimo sfruttamento dei suoli; l’edilizia economica e popolare costruita su aree pubbliche, dove verde e attrezzature sono rimaste in gran parte solo sulla carta; e nel Centro-Sud quanto è stato costruito dall’abusivismo (Roma in testa, con le sue ottanta borgate fuori legge e condonate). Essenziale, nelle periferie come nei centri storici, il rispetto rigoroso dei vuoti superstiti, e l’utilizzazione a fini pubblici degli impianti militari e industriali che non servono più e vengono dismessi. Terzo impegno della rinnovata politica di pianificazione dovrà essere l’arresto della crescita urbana indiscriminata, e la rigorosa salvaguardia del territorio non ancora urbanizzato: che corre il rischio di essere occupato e privatizzato da una disseminazione edilizia a bassa densità, trasformato in un sistema urbanizzato continuo, quello che viene detto “rur-urbanesimo”. A Roma negli ultimi vent’anni, oltre 20 mila ettari sono così andati perduti (circa 2-3 ettari al giorno), con l’irreparabile compromissione di territorio agricolo, oltre che di grande valore paesistico, storico, archeologico. Ora si tratta di creare sistemi e cinture di verde, indispensabili per impedire l’ulteriore soffocamento della città, per la salvaguardia dei valori culturali della campagna, per la pubblica ricreazione e quindi per la stessa salute pubblica: Roma è ancora ricca (ancora è l’avverbio su cui si regge la provvisoria topografia dell’Italia) di comprensori verdi che penetrano nelle maglie del costruito (campagne di Veio, Appia Antica, Litorale eccetera). Se venisse attuata la legge 431 del 1985, detta legge Galasso (unica legge di pianificazione in quarant’anni di Repubblica), potrebbe essere salvaguardata l’integrità fisica e l’identità culturale del nostro territorio.

Se questi sono, in breve, i criteri che dovrebbero ispirare nell’ultimo decennio del secolo la rinnovata urbanistica italiana, di tutt’altro genere è la strada su cui il nostro governo intende marciare: in direzione, ora e sempre, dell'ulteriore cementificazione delle città, dell’ulteriore violazione dei vincoli di piano regolatore, paesístici e culturali, della crescita insensata, della deroga da ogni principio ragionevole che assicuri un minimo di qualità abitativa. Il ministro dei Lavori pubblici Prandini ha presentato un disegno di legge che stanzia 8 mila miliardi per la costruzione di 53 mila alloggi nelle aree “ad alta tensione abítativa”: case nuove, dunque, e niente recupero né risanamento del patrimonio esistente degradato e sottoutilizzato, e niente riqualificazione, ma case nuove da immettere sul mercato in massima parte in vendita, quando l’Italia ha già la più alta percentuale di case in proprietà (oltre il 70 per cento rispetto alla media europea del 50 per cento).

Non pago di questo, il ministro ha presentato un altro provvedimento, uno schema dì disegno di legge, un “pacchetto” per 1’edilizia residenzìale ancora peggiore. Riduce gli spazi pubblici previsti dai piani regolatori, aumenta le cubature, “liberalizza” le destinazioni d’uso per cui ad esempio, senza bisogno di autorizzazioni o concessione, un convento può essere trasformato in albergo, un quartiere residenziale in un quartiere di uffici eccetera. Nelle zone vincolate, se le soprintendenze non si pronunciano entro quaranta giorni, il progetto è approvato (si sancisce così il deleterio principio del silenzio-assenso), e comunque ogni decisione finale è demandata al presidente della giunta regionale e al ministro dei Lavori pubblici. Si opera così (osserva Edoardo Salzano, presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica) il definitivo scardinamento della pianificazione: il potere passa dal pubblico al privato e si riporta in onore l’urbanistica “contrattata”.

Altro siluro contro le città italiane è il disegno di legge n. 1897 del governo che prevede l’alienazione, ossia la svendita al miglior offerente, delle proprietà demaniali dello Stato. Può anche darsi che, quando questo articolo sarà pubblicato, questo insano provvedimento, collegato alla legge finanziaria, sia stato accantonato, viste le proteste che ha suscitato. Ma, in fatto di provvedimenti che riguardano il territorio, quel che conta sono le intenzioni, e ad esse va fatto il processo: perché sono l’espressione di propensioni viziose ben radicate, pronte a rifarsi vive alla prossima occasione.

Questo disegno di legge dice che tutto il demanio e il patrimonio pubblico può essere alienato, ad eccezione (meno male) del demanio idrico (lido e spiaggia, rade e porti, laghi, fiumi e torrenti): per il resto, lo Stato è autorizzato a dìsfarsì di terreni e immobili, foreste demaniali, miniere e cave, beni del demanio militare, immobili destinati a pubblico servizio, e persino (poiché non è detto niente in contrario) dei beni culturali: se non del Colosseo o della Torre di Pisa, certo di ampie porzioni di musei e collezioni archeologiche, come da anni vanno proponendo le teste fine che giudicano esorbitante il patrimonio storico-artistico che la storia ha avuto il torto di lasciarci in eredità.

Una commissione istituita dal governo Craxi nel 1984 ha perfino calcolato quanto renderebbe allo Stato la svendita di quelli che con allegra metafora vengono chiamati “i gioielli di famiglia”. Comprendendo tutto, beni di Stato, comuni e regioni, l’introito sarebbe di 600 mila-2 milioni di miliardi, coi quali ridurre il debito pubblico. La mala intenzione è ricorrente: nel 1972 un altro governo Andreotti (ministro del Tesoro era Malagodi) propose di mettere all’asta 351 immobili del demanio militare, e poi sono seguite altre proposte di legge, anch’esse felicemente naufragate. Oggi il governo ci riprova, sempre in vista dell’ulteriore cementificazione e soffocamento delle città.

I primi ad essere sacrificati alla speculazione sarebbero gli immobili militari (circa 4 mila ettari), caserme, vecchi aeroporti, batterie, forti, magazzini, depositi, poligoni di tiro, terreni eccetera: immobili che spesso (come i forti e le batterie costiere) sorgono in zone di grande valore paesistico, oppure, come le caserme, sono situati nei centri urbani, il tutto finora scampato alla distruzione-ricostruzione speculativa proprio in virtù della loro appartenenza al demanio. Ebbene, sono proprio questi immobili che, quando vengono dismessi, non devono essere alienati, ma ceduti ai poteri locali per essere destinati a usi di esclusivo interesse pubblico.

Un’analoga destinazione va riservata agli impianti industriali che vengono abbandonati, che vanno strappati ai privati che vorrebbero trarne il massimo profitto utilizzandoli per destinazioni lucrose: si tratta di milioni e milioni di metri quadrati (3 milioni a Genova, 3,3 a Torino, 700 mila a La Spezia, 4 milioni a Milano, pari a 170 piazze del Duomo). Le nostre città congestionate hanno un disperato bisogno di spazi pubblici, quindi gli impianti militari e industriali devono essere trasformati in centri sociali e culturali, piazze, attrezzature, servizi collettivi, giardini, scuole, musei e via dicendo, e così gli spazi ancora esistenti. Perché la difesa dei vuoti, delle pause urbane, l’utilizzazione nell’interesse generale di quanto non serve più agli scopi per cui fu costruito dev’essere l’impegno di fondo di una pianificazione urbanistica che renda meno invivibili le nostre città.

Perché l’urbanistica possa essere rifondata nell’interesse generale, una cosa soprattutto è necessaria: che finalmente sia varata la legge sul regime dei suoli e degli immobili di cui l’Italia, unico paese in Europa, è ancora vergognosamente priva; la legge che consenta ai comuni di espropriare, senza svenarsi, terreni e immobili per fini di pubblica utilità. Ne siamo ancora privi per l'opposizione delle forze politiche reazionarie, per un esasperato culto della proprietà privata di cui si è fatta interprete anche la Corte costituzionale, che ha così contribuito in modo decisivo all'affondamento della pianificazione. “Un giorno maledirete la Corte costituzionale”, esclamò una volta (sarebbe bene sapere quando e dove) Francesco Saverio Nitti.

Delle sue numerose, micidiali sentenze ricordiamo la n. 55 del 1968, che ha definito illegittimi i vincoli espropriativi a tempo indeterminato(facendo quindi un passo indietro rispetto alla legge urbanistica fascista del 1942), e ha sostenuto che il diritto di edificare è “connaturale”, ovvero insito, inerente, connaturato col diritto di proprietà (come se la terra, fu osservato, producesse “naturalmente” cemento armato, oltre a ortaggi e piante); la sentenza n. 5 del 1980, che negava che la legge Bucalossi del 1977 avesse separato (com’era giusto) il diritto di proprietà dal diritto di edificare, e considerava illegittimo il criterio dell’esproprio che quella legge aveva basato sul prezzo agricolo aumentato di determinati coefficienti; la sentenza n. 223 del 1983, la quale annullava un’altra legge varata nel frattempo dal parlamento, che dava ai proprietari espropriati un acconto da assoggettare in seguito a conguaglio. Il risultato è che oggi tutti i vincoli espropriativi di destinazione pubblica sono decaduti, e le aree destinate a esproprio dai piani regolatori sono relegate in una specie di limbo, da considerarsi prive di qualunque destinazione urbanistica. Di qui la completa paralisi dei comuni e un inestricabile contenzioso che si risolve di regola a vantaggio dei privati. Va ricordato il caso di Modena, che aveva pagato un esproprio 90 milioni e, dopo anni di contenzioso, ha dovuto liquidare, per scandalosa sentenza della Cassazione, un prezzo quattordici volte superiore a quello richiesto dall’espropriato.

Il nostro paese non è dunque in grado di praticare la via maestra dell'urbanistica moderna, quella politica fondiaria che consiste nell’acquisizione pubblica preventiva dei terreni da destinare sia ai nuovi insediamenti sia alla realizzazione di parchi, e degli immobili da destinare ad attrezzature e usi pubblici: ponendosi così fuori del consorzio civile. La politica fondiaria è infatti pratica costante di ogni altra nazione avanzata. La Gran Bretagna nel ‘46, subito all’indomani della guerra, demanializzò oltre centomila ettari per la costruzione di una trentina di new towns, e quella che allora venne giudicata una socialist madnessè oggi una splendida realtà (due milioni di abitanti insediati, 400 mila alloggi costruiti, 3.500 industrie, 700 scuole). Il costo dei terreni (un sesto dell'investimento pubblico globale), nonostante inflazione eccetera, è stato mediamente di 2-300 lire al metro quadrato. I fondi prestati dallo Stato sono stati tutti rimborsati, le nuove città si sono autofinanziate, il loro bilancio è in pareggio.

In Olanda, Rotterdam rinasce dalle ceneri della guerra grazie agli espropri decisi dai suoi amministratori riuniti nelle cantine mentre cadono le bombe tedesche. Sono demaniali le terre prosciugate dell’ex Zuidersee, ad Amsterdam l’ottanta per cento del territorio comunale è demanio pubblico, in parte concesso in diritto di superficie ai costruttori, in parte trasformato in parco. L’esproprio avviene a valore di mercato, ma agricolo.

Stupefacente il caso della Svezia: a Stoccolma (che è grande come Milano, 18.000 ettari) oltre diecimila ettari sono di proprietà comunale. La lungimiranza è stata tale che si è man mano provveduto all’acquisizione di estensioni di terreno nei comuni vicini, così che oggi Stoccolma possiede un demanio di 55 mila ettari: il prezzo di acquisizione è stato mediamente di poche centinaia di lire al metro quadrato. E la politica fondiaria cominciò nel 1904 quando la maggioranza al comune era dei conservatori (!).

L’esempio più recente è la Francia dove, nel quarto di secolo tra de Gaulle e Mitterrand, sono stati espropriati o acquisiti 30 mila ettari, di cui 20 mila nella regione di Parigi (a un costo medio di cinque-dieci franchi il metro quadrato), dove sono state costruite cinque villes nouvelles, grazie a un ammirevole meccanismo amministrativo. Protagonisti gli Etablissements publiques d’aménagement (Epa), composti pariteticamente di rappresentanti dello Stato e dei comuni, che hanno provveduto all’urbanizzazione dei terreni e alla dotazione dei servizi essenziali: e hanno poi riceduto i terreni così urbanizzati agli operatori a prezzi maggiorati delle spese sostenute, e differenziati a seconda delle destinazioni urbanistiche. Così, il plusvalore creato dagli investimenti pubblici torna alle casse pubbliche anziché, come da noi, finire nelle tasche dei privati. E sono città completamente funzionanti (già costruiti 200 mila alloggi, aree industriali per 1.800 ettari, 170 mila i posti di lavoro): superfluo, qui, come negli esempi inglesi, olandesi, scandinavi, dilungarsi sull’eccelsa qualità urbanistica e ambientale (aree pedonali, dotazione di centri culturali, biblioteche, teatri all’aperto, impianti sportivi, parchi e verde in generale eccetera). La proprietà pubblica del suolo ha consentito una pianificazione ispirata finalmente ed esclusivamente alla cultura urbanistica e quindi all'interesse pubblico. E se errori sono stati fatti saranno quelli inseparabili dall’agire umano, non certo quelli imposti dalla taglia della rendita fondiaria. Qualcosa va pur detto, anche sommariamente, sull’aspetto che più colpisce chi visita queste realizzazioni straniere, la dotazione, la qualità, la distribuzione del verde pubblico e poi fa un confronto con i quartieri costruiti nelle nostre città, che sono, come è noto, le più povere di verde pubblico d’Europa. Nonostante i servizi giardini calcolino anche le aiole spartitraffico, Roma e Milano non superano, ad essere generosi, i 5-6 metri quadrati per abitante, con Palermo e Napoli si precipita a 1-2: mentre, ad esempio, Monaco di Baviera supera i 40, Amsterdam i 50, Stoccolma i 100. Ma quel che più conta è che il verde a Roma, essendo composto in buona parte da ville storiche, decresce man mano che si procede verso la periferia, costruita negli ultimi decenni con particolare sadismo urbanistico, dove il verde pubblico pro capiteassume spesso le dimensioni di una foglia d’insalata o di prezzemolo: al contrario di quanto succede ad Amsterdam o a Stoccolma o dovunque gli sviluppi urbani sono stati preceduti dall’acquisizione pubblica del suolo.

A Roma, non un solo metro quadrato di campagna dell’Appia Antica è stato ancora espropriato, nonostante che per 2.500 ettari sia vincolato da un quarto di secolo a verde pubblico (quanto alle aree archeologiche del resto d'Italia, solo un terzo dell’antica Paestum è demaniale, mentre l’abusivismo invade la Valle dei Templi di Agrigento). E nei quartieri romani di edilizia popolare, pur costruiti su terreno pubblico, gli spazi destinati a verde superano gli 800 ettari, ma solo un decimo è sistemato dal comune, il resto è sterpaglia abbandonata: a dimostrazione dell’inettitudine, dell’incapacità, da noi, anche semplicemente di gestire l’ordinario.

Ma a Roma capita anche dell’altro, che cioè un privato si comperi pezzi di parco pubblico. È successo con Villa Ada ex Savoia, lo splendido parco di 150 ettari di cui solo una parte (64 ettari) sono passati allo Stato e quindi al comune: il resto è andato agli eredi di Vittorio Emanuele III, che due anni fa l'hanno venduto a un intraprendente imprenditore, per quanto Villa Ada sia vincolata a parco fin dal piano regolatore del 1962. Chi si compra per svariati miliardi un pezzo di parco pubblico, non lo fa certo per destinarlo alla ricreazione all'aria aperta di bambini, ragazzi e anziani: lo fa sperando in qualche variante di piano a proprio favore o per ottenere dal comune lucrose contropartite, sempre in danno dell’interesse generale. E per quel che riguarda i beni culturali è pure capitato che un privato, Alessandro Torlonia, abbia trasformato in novantatre miniappartamenti le settantasette sale del museo che i suoi avi avevano costruito un secolo fa, accatastando 600 sculture greche e romane, ossia la più importante collezione privata d'arte antica del mondo, negli scantinati, come rifiuti di magazzino (e amnistia e prescrizione lo hanno benignamente mandato assolto).

Questi i misteri, gli scandali di Roma. Eppure, un apporto decisivo alla sua riqualificazione può venire proprio dalla valorizzazione del suo più illustre patrimonio storico e paesistico. Una proposta di legge (n. 3858) della Sinistra indipendente prevede la realizzazione del parco storico-archeologico dei Fori Imperiali e dell’Appia Antica: smantellamento graduale dell’ex via dell'Impero per riportare integralmente in luce le antiche piazze di Cesare, Traiano, Augusto, Nerva (ricavando così il maggior vantaggio possibile dagli sciagurati sventramenti degli anni Trenta) e quindi creazione di un parco unitario Fori Imperiali-Foro Romano; riassetto ambientale e pedonalizzazione di gran parte della zona prestigiosa tra il Colosseo e le Mura (Celio, Circo Massimo, Terme di Caracalla eccetera, zona salvata con l’esproprio di una quarantina di ettari dall'Italia giolittiana); fino alla realizzazione extra moenia del gran parco della campagna romana lungo la via Appia Antica. Questa la grande prospettiva urbanistica per il Duemila: il patrimonio storico, culturale, paesistico, che diventa la struttura portante (complementare allo Sdo) della nuova Roma, da piazza Venezia ai piedi dei Castelli. Il progetto è stato commissionato a un’équipe di esperti coordinata da Leonardo Benevolo dalla Soprintendenza archeologica di Roma, ed è stato pubblicato (cfr. L. Benevolo e F. Scoppola, a cura di, 1988).

Sia per le aree del Sistema direzionale orientale che per una buona parte del parco dell’Appia Antica si impone ovviamente l’esproprio (e testi di legge sul regime dei suoli e l’indennità di espropriazione sono stati predisposti dal governo e dal Senato), cioè quella politica fondiaria che è stata finora ignorata. Ignorata a tal punto che solo ora, grazie a un’accurata indagine di tre giovani architetti, conosciamo chi sono i proprietari del più grande comune d'Italia (R. Persieri, G. De Vito, G. L. Goletta, 1989). Due o tre cifre sono sufficienti: dei 120 mila ettari esaminati, circa 93 mila sono di proprietà privata, persone fisiche e giuridiche, e di questi 63 mila sono in mano al 2,9 per cento dei proprietari; mentre il comune possiede solo 4 mila ettari. Un abisso dunque ci separa dai paesi stranieri che abbiamo citato. E quel che è peggio, da qualche anno i terreni e gli immobili di Roma sono oggetto di uno spietato accaparramento da parte dei più noti speculatori d’Italia e dei più grossi gruppi finanziari pubblici e privati, coi prezzi che vanno alle stelle (l’Italstat si è comprata terreni della periferia sud-orientale a circa 200 mila lire il metro quadrato!). Se le cose non cambiano radicalmente, e tutto sta a dimostrare che non cambieranno, un nuovo Sacco è in vista, e sulla Roma del Duemila cala la tela.

OPERE CITATE:

L. Benevolo e F. Scoppola (a cura di), (1988), Roma, l’area archeologica centrale e la città moderna, Roma: De Luca.

V. De Lucia, (1989), Se questa è una città, Roma, Editori Riuniti.

R. Persieri, G. De Vito, G. L. Coletta, (1989), La proprietaria fondiaria a Roma, “Urbanistica informazioni”, n. 106.

Due indagini recentissime sul posizionamento strategico delle grandi città hanno, ancora una volta, evidenziato i punti di forza e i punti di debolezza delle città italiane rispetto alle loro più dirette competitrici in ambito internazionale. Ci riferiamo al rapporto annuale di Cushman&Wakefield che valuta l’attrattività di 32 grandi città relativamente alla offerta di spazi ad uso uffici, ed allaTerritorial Review sull’area metropolitana milanese realizzata dall’OCSE per conto della Provincia di Milano[1].

Dalla prima indagine, molto specifica ma anche molto apprezzata dagli operatori economici internazionali, emerge un risultato chiaro e inequivoco: nella graduatoria delle migliori città europee quanto ad offerta di uffici, l’Italia è presente nelle posizioni alte di classifica con due sole città, Milano e Roma. Entrambe risultano nell’ultimo anno aver perso competitività, sia per quanto riguarda il rapporto prezzo/qualità che l’offerta di superfici ad uso terziario-direzionale: Milano scende dal 26° posto in graduatoria al 29° per quanto riguarda il primo indicatore e dal 20° al 25° per il secondo; Roma rispettivamente dal 28° al 30° e dal 26° al 29°. Sempre di Kushman&Wakefield, un’altra graduatoria delle “migliori città per gli uffici” in Europa dal 1990 al 1996 vede Milano passare dal 9° al 12° posto. Monaco di Baviera nello stesso intervallo di tempo si riposiziona, in maniera esattamente speculare, dal 12° al 9°.

La Territorial Review dell’OCSEsu Milano restituisce i risultati di un’indagine molto più articolata e complessa dedicata ad evidenziare i punti forza e di debolezza della regione urbana milanese. Fra questi ultimi, l’OCSE ha sottolineato due principali fattori di criticità:

- la particolare gravità della questione ambientale ed, in particolare, della congestione del traffico (nella graduatoria europea delle 30 città meno inquinate, Milano si colloca al 29° posto, seguita soltanto da Mosca) e

- la elevata frammentazione amministrativa.

Senza una governance alla scala della regione urbana, senza un progetto di lungo periodo ed una strategia condivisa, senza la promozione di una “immagine di marca” non effimera e quindi capace di attrarre investimenti e professioni qualificate dall’estero (che richiederà, appunto, di avviare coraggiosi progetti attenti al miglioramento della città pubblica e misure decise per la riduzione della congestione e dell’inquinamento), Milano, sottolinea il rapporto dell’OCSE, potrebbe soccombere nei confronti delle sue dirette concorrenti in ambito europeo (Vienna, Lione, Barcellona e Monaco di Baviera) rispetto alle quali appare già oggi in grave ritardo.

Quale lezione trarre in particolare da Monaco di Baviera, una metropoli che con il capoluogo lombardo condivide una posizione di eccellenza nella funzione fieristica, ma che gode però di indiscutibili vantaggi competitivi sia nella struttura economica, molto più specializzata in settori avanzati e di eccellenza, sia per la qualità della vita e la efficienza del sistema di trasporto pubblico, sia in termini di virtuosa “propensione alla governance”?

Monaco ha molte affinità con Milano ma, rispetto a Milano, appare avanti anni luce. Ha realizzato in tempi brevi la rilocalizzazione del quartiere fieristico nell’area aeroportuale dismessa di Riem, ma ha collocato questo grande progetto in una strategia organica di riqualificazione urbana e territoriale rappresentata dal piano “Perspektive Munchen” del 1998, elaborato dalla municipalità in stretta sinergia con il governo bavarese, l’associazione volontaria dei comuni della regione metropolitana e le rappresentanze degli interessi[2]. Ha riutilizzato l’area molto centrale precedentemente occupata dalla fiera (Theresienhöe) secondo il modello “compatto-urbano-verde” privilegiato dalla municipalità: vale a dire, densità in linea con quelle esistenti nelle zone più centrali della città, buona diversificazione funzionale, una offerta di abitazioni che per il 27% è di edilizia sociale e per il 20% è in accordo con il “modello Monaco” (destinata cioè alle famiglie giovani e con figli), servizi pubblici di quartiere (fra cui un nido, una scuola materna ed un centro per i giovani) e servizi di rilevanza urbana (il Museo dei trasporti e della mobilità) realizzati in parallelo alla concessione ai privati dei permessi di costruire, 11,2 ettari di aree dedicate a verde pubblico e strutture per il tempo libero su un totale di 47 ettari.

A 7 anni dall’avvio di quel piano strategico, il Dipartimento di Pianificazione Urbanistica della città ha pubblicato un bilancio accurato dei risultati ottenuti e proposto un aggiornamento alla luce delle nuove sfide e di nuovi obiettivi (City of Munich, 2005)[3].

Shaping the future of Munich è un documento interessante per la sua autentica natura strategica: non è, come spesso avviene in Italia, un documento puramente qualitativo e descrittivo di elencazione di “buone intenzioni” e di “grandi progetti”; fornisce anzi dati quantitativi e valutazioni sui risultati sia in termini di coerenza con i principi generali del piano strategico del 1998, che di compatibilità/conformità con gli obiettivi specifici a suo tempo individuati.

Ciò è stato possibile poiché si è realizzato un processo di monitoraggio e valutazione continua del piano, alimentato da indicatori di prestazione disaggregati a livello locale e da surveys periodiche dedicate a verificare il livello di gradimento da parte dei cittadini.

Gli ambiziosi e lungimiranti principi di base che hanno guidato il piano strategico di Monaco di Baviera fino dai suoi inizi sono ulteriormente ribaditi con laconica assertività nella prima parte dedicata alla messa a fuoco delle sfide future: “ sustainable, permanently environmentally friendly development and urbanity in keeping with times, based upon the fundamental values of the European city – openness, tolerance and integration”.

La seconda parte affronta le questioni dei principi e delle associate azioni e progetti in maniera molto articolata e con una valutazione approfondita degli esiti e delle ulteriori iniziative da promuovere.

Qui ci soffermeremo soltanto sulle tematiche relative alla pianificazione spaziale e trasportistica: quelle in cui le ricerche comparative più sopra citate hanno segnalato la debolezza relativa delle grandi città italiane.

Il primo tema cruciale, sintetizzato nel principio “qualified internal development”, è riferito al riuso delle aree dismesse o sottoutilizzate che è ormai da anni sintetizzato nella parola d’ordine “compatto, urbano, verde”. La elevata offerta di spazi per uffici e la recente caduta relativa della domanda (la quota di uffici vacanti è passata dall’1% del 2001 all’11% del 2005), e la persistente elevata domanda di abitazioni (malgrado la cospicua realizzazione di edilizia residenziale che ha rispettato gli obiettivi fissati dalla Municipalità: 7.000 alloggi/anno con una significativa quota di edilizia sociale) stanno rafforzando l’impegno a favore della diversificazione del mix locale (“ socially compatible land use”). Inoltre, in tutti i progetti di riuso di aree dismesse, fino a 2/3 dell’incremento di valore dei suoli determinato dal cambiamento di destinazione d’uso devono essere destinati alla realizzazione di infrastrutture e servizi pubblici: si applica dunque un principio di redistribuzione della rendita a favore della realizzazione di capitale fisso sociale urbano che si traduce operativamente in una regola perentoria di tipo quantitativo (di principi analoghi non si ha traccia nella pianificazione per grandi progetti all’opera ad esempio nel contesto milanese, e ciò ci fornisce già qualche indizio significativo per spiegare la differente qualità urbana e, in ultima istanza, il diverso posizionamento delle due metropoli).

Un secondo tema cruciale riguarda la “mobilità urbana compatibile”. Il problema della efficiente gestione del traffico su gomma, che è in continuo aumento, viene affrontato alla scala territoriale pertinente, integrando cioè il piano dei trasporti municipale con quello della regione metropolitana. La direttiva “risolvere insieme i problemi del traffico” ha visto Monaco, il governo bavarese, le amministrazioni locali dell’hinterland costituite in associazione volontaria intercomunale e le rappresentanze degli interessi privati convenire sulla impossibilità di consentire ulteriori incrementi di traffico automobilistico e sulla necessità di investire sui sistemi di modalità ecocompatibili (potenziamento delle metropolitane e del sistema ferroviario regionale, park+ride, bike+ride, rete di piste ciclabili a scala metropolitana, etc.).

Il terzo tema si riferisce ai rischi associati al crescente consumo di suolo e alla compromissione di risorse ambientali e di territorio agricolo. La strategia di controllo dello sprawl ( “housing development and mobility”) ha privilegiato il policentrismo: nella regione metropolitana le nuove opportunità di realizzazione di quartieri residenziali in aree greenfield si stanno concentrando esclusivamentesui centri dell’hinterland inseriti nella rete del sistema ferroviario regionale e dotati di una rete locale efficiente di trasporti pubblici. Per realizzare questa strategia, di nuovo è stato necessario costruire un accordo intergovernativo stabile fra le authority preposte ai trasporti, il comune di Monaco e le amministrazioni locali dell’hinterland. Ma occorre sottolineare che alla scala della regione urbana si sta consolidando una buona propensione alla cooperazione intercomunale i cui obiettivi di sviluppo spaziale sono strettamente coordinati con quelli del piano strategico di Monaco: si veda al proposito il piano “Munich Region 2030” a cura della associazione volontaria di comuni appartenenti alla Munich Regional Planning Association.

Per quanto riguarda il soddisfacimento della elevata domanda abitativa, l’obiettivo formulato nel piano strategico del 1998 poneva al centro il tema della coesione sociale. Esso si è tradotto nel programma di azione “Living in Munich II” lanciato nel 2001 che ha introdotto incentivi economici ma anche elementi prescrittivi, sia di carattere quantitativo che qualitativo, per gli interventi privati nel settore delle nuove abitazioni: l’obiettivo quantitativo è di 7.000 nuovi alloggi/anno, di cui 1.800 alloggi/anno di edilizia sociale; sono stati erogati incentivi anche per l’edilizia residenziale destinata alle famiglie a medio reddito con due o più figli, così da garantirne la permanenza in città (il cosiddetto “modello Monaco”), e incentivi alle iniziative immobiliari che operino nel comparto delle abitazioni in affitto. Il rapporto conferma che gli obiettivi sono stati pienamente realizzati.

Il documento si conclude con il quesito classico del piano strategico: dove vogliamo andare da questo punto in poi?

Perspective Munich non sembra avere dubbi o perplessità: “occorre saper affrontare le sfide del futuro in un quadro di azioni certamente condizionato dalle problematiche demografiche, economiche e sociali, ma anche da principi normativi e finanziari dettati dalla azione della municipalità in sinergia con gli altri enti territoriali. In questo contesto, la pianificazione urbana deve assolvere al compito precipuo di ‘difensore del bene comune’ ”.

La costruzione progressiva di un modello di governance metropolitana associato ad un piano strategico realizzato alla scala territoriale pertinente e finalizzato alla crescita della città pubblica ha in definitiva certamente costituito un fattore importante nel migliorare la qualità della vita e potenziare l’attrattività della capitale bavarese.

E’ guardando avanti ed elaborando strategie condivise, piuttosto che praticando esclusivamente la strada della semplificazione e della flessibilizzazione urbanistica in una dimensione confinata all’ambito comunale, che anche le grandi città italiane potranno aspirare a salire di rango, anziché scendere come inesorabilmente continuano a fare da ormai troppi anni.

[1] Cushman&Wakefield (2006), Office Space Across the World; OECD (2006), OECD Territorial Reviews – Milan, Italy, OECD Publishing, Paris; OECD (2006), OECD Territorial Review – Milan, Italy, OECD Publishing Company, Paris

[2] Camagni R., Gibelli M. C. (2003), “Strategie di lungo periodo e riqualificazione urbana a Monaco di Baviera: il progetto Messestadt Riem”, in Sviluppo&Organizzazione, n. 195, 2003

[3] City of Munich, Department of Urban Planning and Building Regulation (2005), Shaping the Future of Munich, Perspective Munich . Strategies, Principles, Projects, Munich

Chiunque può usare o riprodurre questo articolo, alla condizione di citare l’autore, così come compare nel sito, e la fonte originaria in modo visibile e con la seguente dicitura: “tratto dal sito web eddyburg.it”.

Nel suo Pensiero meridiano, Franco Cassano scrive: «Ci si è modernizzati rendendo tutto vendibile e rendendo sistematico l'osceno, prostituendo il territorio e l'ambiente, i luoghi pubblici e le istituzioni». Si pensa che questa vendita all'incanto sia il prezzo da pagare per l'ingresso nel flusso della ricchezza mondiale. Esperti di marketing, piazzisti del commercio della città girano nel mondo con foto di strade, paesaggi e territori in offerta speciale, in analogia con l'organizzazione della prostituzione ed il catalogo di corpi esibiti. Di fronte ad un'economia che ha ripudiato i legami sociali (se mai li ha avuti), abbacinati dalla cosiddetta modernità, si è abbracciato il mito della competizione tra città, che offrono il possibile e l'impossibile per la transnazionale o l'immobiliare di turno, tendendo in tal modo a rapportarsi fra loro come imprese private in concorrenza. Ma l'innescare una competitività fra aree urbane ha determinato che l'istituzione locale sia cooptata nell'intensificazione dello sfruttamento del territorio. Così l'ente locale, mentre diventa sempre più liberista sul terreno sociale, è fervente interventista sul piano dell 'economia e dei mercati, anche attraverso nuovi piani regolatori o piani strutturali, vere e proprie «offerte» al mercato di aree edificabili. Di fronte all'assalto cementizio che procede senza sosta, il soggetto è confinato in zona periferica rispetto alla rendita e alle immobiliari con una profonda ferita alla democrazia perché si nega l'eguale condivisione dei poteri fra tutti i membri di una comunità. La capacità di escludere gli altri era una volta il privilegio di quelli veramente ricchi. Poi la nostra sola libertà è diventata la rincorsa di quel modello che «ha prodotto la strage degli incontri e delle solidarietà collettive, la trasformazione del pubblico in un'entità residuale». Non abbiamo certo raggiunto coloro che hanno sempre più potere escludente ma si è «imparato a pensare come loro, perdendo anche l'orgoglio di non essere come loro» (Cassano). Questa corruzione / deculturazione alimenta la distruzione del paesaggio, del territorio, delle città: in tal modo si distrugge la storia non solo con negazionismi e neo-revisionismi, ma anche devastando il territorio, le città che sono carne e memoria. Le scelte in materia di governo del territorio fanno capire con quali settori della società l'ente locale preferisce dialogare (Erbani): tutto questo ha un rilievo non solo nel disegno futuro di una città, ma anche nel tipo di democrazia che circola nelle nostre strade. Antonio Cederna insisteva sull'urbanistica come tutore degli interessi collettivi, sostenendo che il suo compito è di impedire che il vantaggio di pochi si trasformi in danno di molti. Queste parole cinquant'anni dopo, recuperano senso se messe in relazione con l'assalto cementizio. Di fronte a questo, nel chiedersi se è possibile che le istituzioni s'impegnino a contrastare la rendita invece che auspicare un suo tariffario, la Libera Università «Ipazia», il Giardino dei Ciliegi, i Comitati dei cittadini e Italia Nostra hanno organizzato a Firenze per questo martedì 6 febbraio, presso il Giardino dei Ciliegi in via dell'Agnolo 5 (ore 21) la presentazione della nuova edizione del libro di Cederna I vandali in casa, a cura di Francesco Erbani.

Ipazia (nell'immagine è ritratta da Raffaello Sanzio nella Scuola di Atene) fu filosofa, astronoma e matematica ad Alessandria d'Egitto (370-415). Uccisa da monaci cristiani in seguito all'editto di Teodosio contro il paganesimo.

Il Consiglio regionale ha approvato la legge Illy-Sonego per il governo del territorio. Una brutta legge, criticata non solo da eddyburg.it e dal WWF, da Italia nostra e da Lega ambiente, ma anche da osservatori più “moderati”, come la sezione friulano-giuliana dell’INU. Una legge scollacciata e ricca di elementi di incostituzionalità, che è stata ulteriormente impasticciata dagli emendamenti accolti a destra e a manca.

I partiti di destra hanno votato contro, pur esprimendo in varie occasioni valutazioni favorevoli. Forza Italia è arrivata a concedere libertà di voto ai suoi consiglieri motivando questa scelta con il “recupero di due punti importanti come la specialità e il piano strutturale, che andrà però verificato assieme a tutti gli altri contenuti della legge”. Il consigliere di FI Daniele Galasso “ha preannunciato la sua astensione perché, pur permanendo il giudizio severo, quello uscito dall'Aula è un provvedimento profondamente cambiato, di molto migliorato rispetto al testo uscito dalla Commissione anche grazie all'accoglimento di diversi suoi suggerimenti come relatore di minoranza”.

Analogo, e simmetrico, il giudizio dei consiglieri di Rifondazione comunista. Secondo il comunicato stampa emesso dal PRC sono stati accolti emendamenti che hanno introdotto “concetti che ne modificano profondamente l’impianto”. Precisamente. “le risorse essenziali del territorio sono riconosciute come bene comune della collettività e si introducono in più parti il riuso e la riqualificazione dell’esistente, prima di arrivare a pensare a nuovi insediamenti”, non c’è più “la parola ‘equiordinate’, che metteva sullo stesso piano sviluppo e paesaggio”, si sono reintrodotte “forme democratiche di consultazione nei comuni” e “norme per rendere più facili i controlli sulla regolarità dei contratti di lavoro delle imprese edili”.

Ha votato contro il rappresentante dei Verdi e si è astenuta la rappresentante del Partito dei comunisti italiani, dichiarando che “convintamente voterei contro il provvedimento”, e che quindi il suo voto di astensione”viene determinato dalla valenza politica che ha il voto su una legge come questa per la tenuta della maggioranza”.

Tenuta della maggioranza: chi ha seguito da vicino la vicenda parla di fortissime pressioni del “governatore” Illy, che avrebbe assicurato la rottura della maggioranza (e la prospettiva dello scioglimento del Consiglio) in caso di voto contrario di parti di essa. A chi ha votato a favore occorrerebbe ricordare il rischio espresso dall’adagio latino, “propter vitam vivendi perdere causa”: per sopravvivere, perdere la ragione della propria vita.

In risposta alla richiesta di commenti sul ddl di riforma urbanistica, un documento dell'INU incentrato su tre punti essenziali:

- il carattere del PTR, debole come progetto di territorio ma autoritativo nelle scelte che interessano la Regione, privo di strumenti di condivisione, e caratterizzato dalla previsione delle soglie, che non è accettabile nè in linea teorica nè per gli aspetti pratici;

- l'assenza di una vera pianificazione sovracomunale;

- la mancata indicazione di una validità temporale limitata per il POC, che vanifica il carattere innovativo della pianificazione comunale.

Il recente disegno di legge sulla “Riforma dell’urbanistica e disciplina dell’attività edilizia e del paesaggio” si sta avviando all’esame del Consiglio regionale nella formulazione sostanzialmente approvata dalla Giunta regionale nello scorso mese di novembre; in contemporaneo gli uffici regionali stanno lavorando alla formazione del PTR.

La proposta legislativa si caratterizza in modo particolare per alcuni aspetti sostanzialmente dissonanti rispetto alla “koinè normativa” delle altre regioni, che possono essere così del tutto sinteticamente enunciati:

- la Regione si riserva alcuni ambiti di esclusiva competenza sui temi territoriali, prefigurando delle soglie quali-quantitative, al disopra delle quali pianifica e decide senza coinvolgere il sistema delle istituzioni locali;

- al di sotto di tali soglie la competenza della pianificazione, sia comunale che sovracomunale è dei Comuni, senza “interferenze” regionali;

- non è previsto il livello della pianificazione provinciale;

- per il livello comunale viene correttamente previsto lo sdoppiamento dello strumento di piano, attribuendo però durata illimitata anche al Piano Operativo.

L’articolato proposto induce nel Consiglio Direttivo dell’INU e nei soci non poche perplessità e preoccupazioni, sia per gli aspetti sopra enunciati che per l’eccessiva schematicità e imprecisione di molti dei contenuti legislativi, e non da ultimo per il rinvio di molte delle disposizioni normative (in molti casi di indiscutibile rango legislativo) a successivi provvedimenti regolamentari. Un approccio questo che rischia di riproporre il confuso intreccio di norme di matrice statale e regionale, nonché di disposizioni legislative e regolamentari, che caratterizzava anche il Friuli Venezia Giulia negli anni Ottanta, prima appunto del “testo unico” di cui alla legge regionale n. 52.

Per quanto riguarda le attribuzioni riservate alla Regione e i contenuti del Piano Territoriale Regionale, la Sezione regionale dell’INU ha già espresso varie osservazioni critiche in sede di approvazione della legge n. 30/2005 che ha dato avvio alla formazione del PTR.

Esse riguardano in particolare il fondato dubbio sulla capacità del PTR, come è stato pensato e come in concreto si va configurando nel suo ormai avanzato processo di formazione, di costituire un effettivo momento di definizione di politiche generali e di adeguato respiro temporale sia per le tutele che per le trasformazioni territoriali, definendo regole e modelli di assetto riconosciuti e condivisi. Da questo punto di vista la separazione di competenze sulla base di soglie (per le quali peraltro resta evidente la difficoltà di una definizione) tra Regione e Comuni costituisce una scelta non condivisibile né sul piano concettuale né su quello operativo. Manca inoltre la possibilità di una interazione dei vari livelli istituzionali, titolari di competenze e conoscenze diversificate, già nella fase di formazione del PTR. Va rimarcato infine come la natura del PTR ne faccia uno strumento, almeno teoricamente, assai autoritativo nei confronti dei Comuni i quali, al di là dell’istituto dell’“intesa”, dovranno comunque conformarsi ad esso diventando, per i temi di competenza regionale, meri terminali. Nella sostanza, pertanto, non sembrano veramente superati i meccanismi della pianificazione gerarchica Regione-Comuni, secondo le consuete logiche caratterizzanti anche il “vecchio” PURG del 1978.

Il livello della Pianificazione sovracomunale, inteso con riferimento all’area vasta, resta sostanzialmente non risolto nell’articolato proposto.

Al di là della questione su quale debba essere il soggetto titolare di tale livello (argomento su cui la Regione ha espresso una decisa scelta di campo in controtendenza con le altre realtà regionali, escludendo di fatto le Province), il presidio dei temi di area vasta dovrebbe venir assicurato da strumenti di respiro e scala adeguati. Quella che è prevista nell’articolato pare invece sia meglio definibile come “pianificazione intercomunale”, e in tal senso va considerata positivamente, anche se devono essere messi a punto strumenti concretamente operativi e ben finalizzati agli obiettivi indicati.

La speranza nei meccanismi di concertazione e di copianificazione di area vasta rimane invece sostanzialmente delusa. Una vera concertazione sulle strategie territoriali locali non è mai prevista in quanto gli istituti previsti dalla norma (conferenza di pianificazione, l’intesa Comune-Regione ecc.) sono affidati a meccanismi burocratico-istruttori che rischiano di ingenerare non solo incertezze giuridiche o eccessi di rigidità nell’autorizzare preventivamente scelte territoriali ma anche separazione tra sviluppo d’area vasta e pianificazioni comunali. Tutto ciò lascia la scala territoriale intermedia sostanzialmente priva di veri strumenti di dialogo, di partecipazione e di progettazione del territorio.

Rispetto a queste scelte, ma anche a queste forti incertezze, la Sezione regionale dell’INU invece ha ribadito che il piano sovracomunale è l’anello fondamentale di raccordo tra previsioni regionali e comunali e che la sua dimensione non va definita solo in base alle intese tra amministrazioni locali, ma deve essere anche individuata nel PTR, partendo dalla identificazione di ambiti territoriali significativi. In altri termini la scala sovracomunale va intesa come la dimensione alla quale si opera una concertazione delle strategie territoriali locali cui poi farà riferimento il livello decisionale comunale.

Lo sdoppiamento della Pianificazione comunale nelle due componenti strutturale (con contenuti esclusivamente programmatici e quindi con valenza non conformativa) e operativa (con previsioni prescrittive e conformative) è da tempo auspicato dall’INU nazionale ed è stato esplicitamente sollecitato dalla nostra Sezione nel corso del convegno di Villa Manin svoltosi nello scorso mese di giugno. In tal senso si muove anche l’articolato approvato dalla Giunta Regionale, sebbene in più parti non persegua le medesime finalità, in particolare non indicando una durata limitata nel tempo per il piano operativo.

Un’ulteriore sollecitazione che si è ritenuto di sottolineare riguarda la necessaria equiparazione dei diritti pubblici (vincoli espropriativi) e dei diritti privati (edificabilità), il tutto connesso alla assoluta opportunità di stabilire una scadenza quinquennale della componente operativa, con l’obiettivo di attribuire al piano l’effettivo valore di guida nell’evoluzione (e non di congelamento) di un determinato territorio, con previsioni tempestive e ancorate coerentemente alle dinamiche sociali, economiche, infrastrutturali in atto o ragionevolmente ipotizzabili.

Gli strumenti e i contenuti della Pianificazione comunale, così come sono definiti nell’articolato (e tenendo in debito conto che molti aspetti procedurali dovranno essere completati e chiariti dal regolamento di attuazione della legge), configurano un percorso di formazione del piano non sempre ben conseguente e organizzato.

L’attivazione - ad esempio – dei momenti di partecipazione previsti secondo le metodologia di Agenda 21 o il monitoraggio per la Valutazione Ambientale Strategica non è rapportata a corrispondenti fasi di elaborazione progettuale.

Come pure il buon funzionamento delle Conferenze e delle Intese di Pianificazione presuppone un carattere del previsto “Documento Preliminare di Piano”, cui queste faranno riferimento, dai maturi ed espliciti contenuti progettuali. In sostanza sembra necessaria una seria verifica, anche in termini di tempi e di costi, di come i vari pezzi da cui è costituito il nuovo piano comunale possano concretamente funzionare e relazionarsi tra di loro per raggiungere gli obiettivi della legge e soprattutto della pianificazione comunale. Va rilevato infine che la nuova impostazione di progettazione e gestione del Piano potrebbe trovare una significativa semplificazione nei comuni di piccola dimensione (numericamente e territorialmente rilevanti nella realtà della regione) liberando così le amministrazioni da incombenze gravose e non sempre efficaci.

Il pensiero corre spesso ad Antonio Cederna quando le cronache registrano che a Monticchiello una società immobiliare costruisce una novantina di appartamenti ai piedi del borgo medievale o quando a Mantova si propone di edificare su trenta ettari di fronte alla sagoma rinascimentale della città. Corre a lui, archeologo di formazione, giornalista sulle pagine del Mondo, del Corriere della Sera, dell´Espresso e di Repubblica.

Corre a lui, urbanista onorario, perché fin dagli anni Cinquanta, quando raccoglie i suoi articoli in I vandali in casa, prova a rispondere al quesito sul perché in Italia si costruisca tanto e male e perché lo si faccia dove e come fa comodo a qualcuno e non dove e come serva.

Cederna, di cui è da poco ricorso il decennale della morte, è stato spesso rinchiuso in una definizione "conservazionista", come se la sua attitudine esclusiva fosse quella di tutelare l´antico e la storia a qualunque costo. In un paese come l´Italia un atteggiamento del genere ha una dignità che difficilmente può essere discussa. E infatti Cederna è stato questo, ma non è stato solo questo. La conservazione dell´antico è una conquista della modernità, scrive, e soltanto conservando l´antico si può costruire una città che funzioni e una città bella. Le due questioni gli appaiono indissolubilmente intrecciate. La logica che gli sembra domini negli anni Cinquanta è un´altra: si distrugge un centro storico perché la città si sviluppi seguendo una direttrice tutta privata e tutta speculativa.

Il meccanismo che ai suoi occhi regola questa disfunzione è di diversa natura. Culturale, intanto: l´Italia è un paese in cui la consapevolezza della qualità del proprio patrimonio non è adeguata all´entità e alle valenze di esso. Economica, in secondo luogo: in Italia la rendita pesa moltissimo, e la rendita fondiaria e immobiliare, in particolare, assorbono tante risorse che altrimenti sarebbero destinate a un più corretto sviluppo (non è difficile leggere le denunce di Cederna sul Mondo contro la Società Generale Immobiliare, che a Roma possiede milioni di metri quadrati, incrociandole con gli interventi che sullo stesso settimanale pubblica Ernesto Rossi contro i monopoli). Politica, infine: una buona parte della politica negli anni Cinquanta non intende né progettare né regolare l´assetto di un territorio, è come inibita dalla forza che esprimono il mondo dell´edilizia e della rendita e si adegua ai suoi desideri, convinta che nel possesso di un suolo sia in qualche modo iscritta la possibilità di una sua trasformazione in senso cementizio e che questa possibilità vada al massimo contrattata, mitigata, ma non condizionata dalla tutela di interessi generali.

Negli anni Cinquanta, scrive Cederna, si costruisce dove e come si vuole purché lo esiga chi possiede un suolo. Non si costruisce perché c´è bisogno, o almeno non solo per questo, ma perché c´è qualcuno che ha la forza di imporlo (una quota consistente di senzacasa continuerà a restare in questa condizione, perché le case che si costruiscono sono in gran parte al di fuori della loro portata e l´edilizia pubblica in Italia resterà sempre marginale). Si spiega così l´andamento prima parallelo e simmetrico e poi sempre più squinternato fra la crescita demografica e la crescita delle abitazioni. Nel 1931, 41 milioni di persone abitavano e lavoravano in 31 milioni di stanze. E si stava indubbiamente strettissimi. Vent´anni dopo, nel 1951, quando Cederna comincia a scrivere sul Mondo, gli italiani sono diventati 47 milioni e le stanze sono arrivate a 37 milioni. E si stava ancora stretti. Ma nel 2001 gli italiani sono cresciuti di appena 10 milioni e sono arrivati a essere 57 milioni: le stanze, però, sono quasi triplicate e sono schizzate a 121 milioni. Venendo a dati più prossimi, nel 1991 c´erano in Italia 23 milioni di ettari di superficie agricola. Nel 2001 questa porzione di territorio si è ridotta a poco più di 19 milioni 700 mila ettari. Tre milioni in meno, un´estensione pari al Piemonte e alla Liguria messi insieme.

Questo incessante procedere del cemento, che ha le dimensioni di uno spreco, a giudizio di molti osservatori rappresenta un´anomalia italiana rispetto al resto d´Europa, dove ai fenomeni di consumo di suolo si tenta da tempo di porre un qualche rimedio. A Londra, per esempio, invertendo la deregulation thatcheriana, sono stati rinnovati i fasti della pianificazione urbanistica: per ospitare i settecentomila abitanti che si prevede arriveranno entro il 2016 non verrà edificato neanche un centimetro quadrato della green belt, la cintura verde che avvolge la città. In Italia, invece, il settore delle nuove costruzioni galoppa: nel primo semestre del 2006 c´è stato un incremento del 3,2 per cento rispetto all´anno precedente. Si calcola che ci sia una produzione di 800 kg di cemento ogni abitante, contro i 350 della Germania. Le cave si espandono e le cronache raccontano di quanto siano vulnerabili territori fino ad alcuni anni fa molto tutelati, come la Toscana, l´Emilia Romagna o l´Umbria. Sotto il peso del cemento cadono territori di pregio, per i quali la tutela paesistica viene esercitata sempre più debolmente, a causa dello smantellameneto delle Soprintendenze e delle norme che limitano i loro poteri di intervento.

I nodi culturali, politici ed economici che rendono possibile questo fenomeno sono modificati e si sono aggrovigliati nel corso dei decenni. Ma nella loro natura essenziale li troviamo descritti negli articoli che Cederna raccolse in I vandali in casa, un libro che sembra suoni il controcanto della storia italiana di questi cinquant´anni e che viene presentato oggi alle 17 da Vezio De Lucia, Antonio di Gennaro e Giuseppe Galasso nella sede dell´Istituto italiano per gli studi filosofici in via Monte di Dio, 15; e domani a Caserta sempre alle 17 nella sala consiliare della Provincia in corso Trieste 133.

Lo conobbi quarant’anni fa, nel mio primo giorno di lavoro al servizio studi e programmazione del ministero dei Lavori pubblici dove ero stato destinato dopo aver vinto un concorso per urbanista del genio civile. Avevo deciso di intraprendere la carriera ministeriale avendo seguito con appassionato interesse l’inchiesta condotta dal ministero sulla frana di Agrigento dell’estate del 1966. L’architetto Fabrizio Giovenale era il capo del servizio, veniva dall’Ina casa, l’ente benemerito che, a partire dal 1950 realizzò alcuni dei migliori interventi di edilizia pubblica del primo dopoguerra (e dissennatamente sciolto all’inizio degli anni Settanta). Ministro dei lavori pubblici era il socialista Giacomo Mancini, erano gli anni d’oro del primo centro sinistra, una stagione attraversata da un’autentica e operativa volontà di riforma in campo sociale ed economico. Il servizio studi era incardinato nella direzione generale dell’urbanistica, regno incontrastato di Michele Martuscelli, uomo potentissimo che controllava l’attività urbanistica ed edilizia di tutti i comuni italiani. Era diventato famoso per aver curato, per conto di Mancini, l’indagine sulla frana di Agrigento provocata dalla turpe speculazione edilizia che aveva snaturato la città dei templi. Il dibattito che si sviluppò alla Camera mise sotto accusa la Democrazia cristiana e, più in generale, la sordida alleanza fra speculatori e amministratori che non era una prerogativa di Agrigento ma riproponeva la situazione di tutte le città italiane, con l’eccezione di Bologna e dintorni e di pochi altri luoghi.

Al termine del dibattito parlamentare, Mancini mise mano al provvedimento poi noto come “legge ponte”, che doveva avere carattere temporaneo: un ponte verso quell’organica e compiuta riforma che ancora stiamo aspettando. Giovenale partecipò attivamente alla stesura della legge ponte, che non fu una misura marginale, anzi, con il passare degli anni, ha assunto un rilievo cruciale nella vicenda urbanistica nazionale. Obbligò tutti i comuni a dotarsi di un piano, moralizzò l’istituto della lottizzazione e inventò i cosiddetti standard urbanistici, quelli che, trentotto anni dopo, la controriforma proposta da Maurizio Lupi, deputato milanese di Forza Italia, intendeva condannare a morte. A Giovenale si devono in particolare le norme puntuali ed efficaci relative alla tutela dei centri storici, tema allora non certo popolare. Se in Italia, a differenza degli altri paesi europei (e di questo dovremmo essere fieri), i centri storici sono stati conservati, anche se ormai prevalentemente occupati da funzioni improprie, lo si deve a quelle rigorosissime prescrizioni e all’indiscussa competenza di Giovenale: è un suo grandissimo merito di cui credo che pochi siano informati.

Alla successiva stesura degli standard urbanistici, con Martuscelli, Giovenale e il presidente del Consiglio superire dei lavori pubblici, Vincenzo Di Gioia, partecipò il meglio della cultura urbanistica italiana, Mario Ghio (che si impegnò moltissimo), Giovanni Astengo, Edoardo Detti, Luigi Piccinato, Giuseppe Campos Venuti, Alberto Todros, Marcello Vittorini, fra i più giovani Edoardo Salzano. Mi colpì il fatto che Campos, Salzano, Todros e altri erano comunisti, esponenti dell’opposizione, eppure perfettamente integrati nell’attività ministeriale. Era consociativismo? In un certo senso, sì. Ma penso che raramente l’interesse pubblico sia stato così efficacemente perseguito come in quelle circostanze. Il nostro lavoro era seguito da un gruppo di giornalisti che potrei definire specializzati, fra i quali Antonio Cederna, Vittorio Emiliani, Vito Raponi. L’approvazione del decreto sugli standard (forse l’atto più importante dell’urbanistica italiana contemporanea) fu preceduta da ripetute riunioni, caratterizzate da aspri scontri, in particolare con alcuni sindaci e costruttori che contestavano l’obbligo di prevedere negli strumenti urbanistici congrui spazi per il verde pubblico, considerato un lusso, uno spreco che l’Italia non poteva permettersi.

Dopo l’esperienza del servizio studi del ministero, per qualche tempo Giovenale fu direttore generale dell’Ises – istituto per lo sviluppo dell’edilizia sociale, un ente pubblico che si occupò in particolare della ricostruzione dei comuni della valle del Belice distrutti dal terremoto del gennaio del 1968 – dove lavorava anche Marcello Fabbri, un altro importante protagonista dell’urbanistica progressista, recentemente scomparso – e so della sua partecipazione alle vivaci assemblee che si svolgevano nei consigli comunali dei comuni disastrati per discutere della forma dei nuovi abitati. Si occupò a lungo d’Italia nostra, di cui fu anche vicepresidente, ma non tollerava il disimpegno politico che prevaleva allora in quell’associazione. Partecipò alla fondazione della Lega per l’ambiente (che ebbe origine da una costola dell’Arci). Poi si dedicò all’ambientalismo a tempo pieno, a mano a mano estendendo il campo dei suoi interessi e del suo proselitismo dall’urbanistica all’ecologia, scrivendo moltissimo, soprattutto su Avvenimenti e poi su Liberazione, fino a pochi giorni prima della morte, contestando con determinazione l’economicismo della sinistra, affrontando anche i temi terribili della crisi ecologica terminale e del destino dell’umanità.

Giovenale, anzi Fabrizio (appena lo conobbi, mi disse subito di darci del tu, cosa che mi parve stupefacente, venivo da un’attività privata dove vigevano rapporti molto formali) fu dunque il mio primo e impareggiabile maestro di urbanistica. L’urbanistica era tutt’uno con la politica (che l’urbanistica è una parte della politica l’ho imparato da lui). Mi fece capire che non si può non essere schierati. Era un militante socialista della sinistra di Riccardo Lombardi, severamente critico verso l’inclinazione ai compromessi e ai vantaggi personali che cominciava a dilagare nel Psi, ma non fu mai anticomunista come succedeva a tanti suoi compagni. Il lavoro ministeriale non era chiuso nelle stanze di Porta Pia ma si dilatò subito al mondo dall’associazionismo, del volontariato, dei poteri locali: l’Arci, l’Uisp (indimenticabile il rapporto con Giuliano Prasca), le Acli, l’Udi (che fornì un contributo importantissimo per la definizione degli standard), la Cgil e alcuni sindaci e assessori che sperimentavano l’urbanistica partecipata furono nostri interlocutori abituali. Mi fu anche maestro di scrittura, un maestro severissimo. Leggendo la mia prima relazione, disse che dovevo impegnarmi con zelo per raggiungere un livello accettabile per un funzionario dello Stato. Insisteva per la semplicità e la chiarezza del linguaggio. In seguito, lavorando con altri, ero stupito del fatto che non mi correggessero con pignoleria, come faceva Fabrizio, ogni riga delle cose che scrivevo.

Se ho raccontato di me medesimo è solo per testimoniare la straordinaria attitudine di Fabrizio nella formazione dei giovani, che è il modo migliore, come ha ricordato eddyburg, di operare “per il futuro di noi tutti”.

L’italia possibile di Manlio Rossi-Doria

Il "finito di stampare" reca la data del 17 gennaio 1981. Appena due mesi dopo il tremendo terremoto del 23 novembre 1980, il Centro studi di Portici diretto da Manlio Rossi-Doria aveva già pronto un volume con un’indagine puntigliosa dell’area investita dal sisma – quasi trecentomila ettari fra Campania e Basilicata – , una sua descrizione geografica, economica e antropologico-culturale, un’indagine che si chiudeva indicando una serie di direttrici da seguire per la ricostruzione.

È in questa esperienza di studio militante, di analisi e di concretezza politica rigorosamente concepita sui campi lunghi della storia, che si condensano il metodo e la personalità stessa di Rossi-Doria, economista agrario, meridionalista e uomo di battaglie civili di cui in questi giorni ricorre il centesimo anniversario della nascita (ieri la sua figura è stata commemorata a Roma da Giorgio Napolitano durante un convegno organizzato dal Senato e dall’Animi, Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia).

Rossi-Doria nasce a Roma, figlio di un assessore della giunta radicale di Ernesto Nathan, ma a diciannove anni le sue passioni lo conducono verso il Mezzogiorno, dove si iscrive alla facoltà di Agraria di Portici. È il luogo dove il Sud viene indagato al riparo dalle grandi sintesi storiche e ideologiche che lo descrivono come un universo compatto: Rossi-Doria studia chimica, botanica, entomologia, microbiologia, mineralogia e geologia. In Val d’Agri, in Lucania, impara da Eugenio Azimonti, un grande agronomo, come si conduce un’azienda, quali sono le pratiche colturali e zootecniche. Azimonti è anche autore di un libro, Il Mezzogiorno qual è, che contiene già nel titolo un programma d’azione avverso alle fumisterie o alle illusioni che deformano la percezione della realtà.

Il Mezzogiorno e la sua arretratezza. I paesaggi coperti di immensi possedimenti fondiari in mano a poche persone, incolte e incapaci di migliorare. I terreni abbandonati, la miseria contadina, una natura ostile: sono questi gli spezzoni d’immagine che si stampano nei suoi occhi e che il giovane studioso porta con sé nel carcere fascista, dove resta dal 1930 al 1935, nel confino in Basilicata – dove partecipa alle discussioni che conducono Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli a scrivere il Manifesto di Ventotene – nel partito d’Azione e poi nella Resistenza romana.

Nel ‘44 al Nord la guerra continua, ma Rossi-Doria ha lo sguardo concentrato sugli elementi di fondo che attraversano la società italiana, con o senza il fascismo. E ammonisce quei compagni azionisti convinti che nel ventre del Sud vibri un fermento rivoluzionario: «Ormai», scrive in una lettera a Leo Valiani, «camminavo tenendo davanti agli occhi la diversa prospettiva che la rivoluzione non ci sarebbe stata, che il vecchio avrebbe preso il sopravvento sul nuovo, che la sinistra sarebbe stata sempre sconfitta sino a quando non avesse imparato a fare i conti con la realtà e ad acquistare le doti dei cavalli dal fiato lungo».

L’argomento razionale, la sua verificabilità, la costante messa in discussione dei dati acquisiti sono i cardini della sua mentalità di studioso e di politico. L’analisi e la passione civile. Rossi-Doria partecipa al dibattito sulla riforma agraria, alla fine degli anni Quaranta, spinge affinché lo Stato rompa gli assetti proprietari, distribuendo le terre a chi le avesse fatte fruttare. Critica l’opposizione dei comunisti e fra il ‘49 e il ‘52 lavora in Calabria, cura gli espropri e gli accorpamenti delle particelle fondiarie. Ma poi rimane molto scettico quando constata che la Democrazia Cristiana oltre che avviare lo sviluppo dell’agricoltura, agevolando la formazione di moderne aziende, intende soprattutto creare una truppa di piccoli contadini proprietari del solo terreno, incapaci però di renderlo produttivo, perché senza mezzi e senza cultura, una truppa che avrebbe ingrossato l’elettorato clientelare e le file dell’emigrazione (non è un caso che qualche anno dopo Rossi-Doria sarà l’autore di un rapporto-denuncia sugli scandali di quel grande baraccone che era la Federconsorzi).

Rossi-Doria rifiuta di chiudersi entro confini specialistici e anzi pratica un dialogo fitto fra i saperi tecnico-scientifici e quelli umanistici. Prima della guerra ha collaborato con i grandi artefici delle bonifiche, fra i quali Arrigo Serpieri, e ha appreso quanto fosse difficile riportare fertilità in luoghi paludosi senza indagare, oltre che le condizioni fisiche dei suoli, anche la storia degli uomini e delle loro pratiche, i rapporti sociali, le abitudini culturali.

È la stessa attitudine che ispira l’indagine nelle zone colpite dal terremoto dell’80. Rossi-Doria ha settantacinque anni, è ancora mentalmente agilissimo e non sopporta i luoghi comuni che si abbattono sulle regioni piagate, quasi un secondo sisma. Sente dire che quella è una civiltà che andava estinguendosi, infetta dalla miseria e ormai senza storia, senza destino se non quello di distruggere e sbaraccare tutto, gli uomini e le bestie, di trasferire i paesi altrove e di avviare uno sviluppo industriale tutto incentivato e che non avesse alcun rapporto con i saperi locali: una specie di tabula rasa urbanistica e sociale. È il solito Mezzogiorno di cui molti parlano, che pochi conoscono, salvo le sue classi dirigenti che lo conoscono bene ma hanno l’occhio lungo sugli affari e sui modi per conservare potere.

Le frasi del rapporto (il volume si intitola Situazione, problemi e prospettive dell’area più colpita dal terremoto del 23 novembre 1980 ed è edito da Einaudi) sono dettate da limpidità di stile, dall’umile e ironica consapevolezza del sapiente rispetto allo sfoggio magniloquente: «Il dato che deve far meditare di più coloro che all’improvviso sono venuti in contatto durante l’ultimo mese con questi luoghi e questa gente, è di trovarsi in una regione antica, di antica e solida civiltà». Qui le popolazioni hanno vissuto per secoli «con la durezza e la modestia delle migliori società contadine d’Europa, accompagnate da un tenore di vita e da una dignità superiori a quelle allora esistenti altrove». Altro che civiltà in coma, che attende l’eutanasia delle ruspe: «Si è avuto, negli ultimi anni, un notevole consolidamento e rinnovamento dell’agricoltura, una diffusione delle attività terziarie tipica di una società in sviluppo e persino il sorgere (sia pure nelle forme sommerse tanto frequenti oggi anche altrove) di nuove piccole iniziative industriali». La ricetta di Rossi-Doria e dei suoi collaboratori, detta molto sinteticamente, esclude trasferimenti di popolazione e prevede interventi capillari, molto dettagliati e aderenti allo statuto dei luoghi, seguendo il motto: "per problemi diversi, politiche diverse".

La strada che viene intrapresa è tutta diversa: il cemento invade colline e vallate, i centri storici (non tutti, ma quasi) si svuotano, le aree industriali sono allestite su terreni golenali, le aziende nascono già morte, le opere pubbliche sono inservibili, i paesi senz’anima. E, dopo una pausa che durava da decenni, i più giovani tornano a emigrare. Le terapie proposte da Rossi-Doria, una specie di cura omeopatica che facesse perno sulle risorse di un organismo debilitato, ma non morente, restano sul fondo, ma non pietrificate, avvolte dalla nebulosa delle politiche e degli affari, eppure capaci di of

Un grande merito del libro di Marco Biraghi (Progetto di crisi: Manfredo Tafuri e l’architettura contemporanea, Edizioni Marinotti, pagg. 318, euro 22) è certamente quello di aver dedicato un lavoro di trecento pagine al più intrigante e geniale storico dell’architettura italiano dell’ultimo mezzo secolo: Manfredo Tafuri. Scomparso undici anni or sono e rapidamente dimenticato, dopo il numero doppio di Casabella da me diretta del gennaio 1995.

Tafuri era nato a Roma nel 1935 ed ha insegnato all’Istituto Universitario di Venezia dal 1968. Collaboratore della rivista Contropiano ed autore di una monografia sul suo maestro Ludovico Quaroni, i suoi testi, a partire da Teoria e storia dell’architettura del 1968 (una delle analisi più acute ed inventive della nozione di avanguardia in architettura), Progetto ed utopia (1973), La storia dell’architettura italiana dal ‘44 all’85, La sfera e il labirinto (1980), sino a Raffaello architetto del 1984, a Venezia ed il Rinascimento (1985) ed a Ricerca del Rinascimento sono analizzati da Biraghi con acutezza critica, che, giustamente, soggiace anche al fascino del modo di scrivere per ribaltamento e rotture del grande storico.

Dopo l’introduzione dedicata all’idea tafuriana di storia come progetto in opposizione sia allo storicismo positivista sia alla critica prescrittiva («Il modo con cui guardo ai fenomeni storici può dirsi progettuale anche se continuo a rifiutare qualsiasi categoria operativa», scriveva Tafuri nel 1980), l’interpretazione di Biraghi del lavoro storico-critico di Tafuri (la distinzione tra le due attività era per lui impossibile e la critica non deve porsi come semplice ornamento delle opere) si concentra, come propone il titolo del libro, sull’idea di "progetto di crisi", come incessante costruzione di ipotesi critiche sugli avvenimenti dell’architettura interconnessi con il mondo storico delle mentalità e delle condizioni di produzione, che hanno il compito di lavorare sullo spazio di relazione e quindi sulle divergenze e le contraddizioni ideologiche della stessa architettura.

Il metodo storico di Manfredo Tafuri gli permette di parlare sempre delle questioni del presente anche quando, o forse specialmente quando, egli parla con grande rigore investigativo del Sansovino a Venezia o delle vicende della chiesa di San Giovanni dei Fiorentini a Roma (le poche pagine introduttive del libro sul Rinascimento a Venezia ne sono un esempio).

Biraghi percorre nel suo studio (con abbondanza di citazioni filosofiche) le varie fasi del percorso di Tafuri, con i giudizi critici su Louis Kahn e Robert Venturi, sulla linguistica strutturale, sui temi delle tecniche e delle politiche della realtà; concludendo giustamente con un giudizio di decisa appartenenza del pensiero di Tafuri alla cultura ed al progetto moderno. Un’appartenenza senza illusioni, ma credo, per quello che l’ho conosciuto, senza disperazioni.

Giustamente Biraghi si chiede però ad un certo punto se «la crisi che scuote incessantemente l’analisi storico-critica è la medesima a cui è stato sottoposto il reale» e se, aggiungo io, proprio negli anni recenti, dopo la sua morte non abbiamo fatto coincidere le due cose e che quindi, proprio il lavoro storico di Tafuri abbia (non tanto inconsciamente) previsto come, a partire dal piano inclinato delle nuove condizioni, l’architettura sarebbe finita nel cinismo del "gioco delle perle di vetro"; anche se dobbiamo constatare che le perle sono diventate false e persino il vetro è fatto di materia plastica, cioè la finzione dell’arte è divenuta finzione del suo stesso essere pratica artistica.

La "crisi del referente" di cui Tafuri ha sovente scritto (a partire da Robert Klein) con tanta acutezza, dopo cinque secoli di contraddizioni irriducibili si è finalmente risolta incollandosi entusiasticamente, e con vantaggi, alla condizione postsociale, e mettendo in questione l’ontologia stessa della nostra pratica artistica.

«Non è compito della storia», scriveva Tafuri in Ricerca del Rinascimento, «ricomporre l’infranto ma neanche identificarsi con i vincitori e con l’apologia del presente».

L'immagine è tratta da www.archfranzine.fiume10

Relazione ufficiale preparata per il ciclo di seminari Verso il Piano di indirizzo territoriale 2005-2010 , organizzati dalla Regione Toscana e dalla Sezione toscana dell’Inu. Primo incontro su “La buona urbanistica”, Capalbio 15 settembre 2006.

Non esiste l’urbanistica buona, esistono i buoni amministratori.

Se alla Toscana è stato riconosciuto qualche merito negli assetti e negli usi del territorio, si deve agli uomini e alle donne che fin dalla Ricostruzione seppero governare con capacità e lungimiranza prima le trasformazioni dello sviluppo economico e sociale, poi il consolidamento di una struttura territoriale che è ancora il patrimonio più prezioso su cui contare.

E’ a questo progetto politico e culturale, a cui contribuirono partiti, intellettuali, settori professionali, funzionari pubblici, sindacati, che ci si dovrebbe riferire quando si parla di modello toscano di pianificazione territoriale: non uno schema da riprodurre meccanicamente.

Ci chiediamo ancora se il cosiddetto modello toscano di pianificazione territoriale possa ambire a divenire riferimento per l’intero Paese, quanto meno utile indirizzo di riforma nazionale.

Ci dobbiamo confrontare con altre domande.

La prima: questo modello, che ha fatto della Toscana un territorio di eccellenza, può contare su capacità politiche, culturali, amministrative e tecniche – malgrado la proliferazione degli strumenti e delle procedure, la pervasività burocratica, il continuo mutamento di disposizioni e indirizzi – per contrastare – se contrastare si deve! – le iniziative di un’economia nuova che proprio su quella eccellenza fa aggio per piazzare sul mercato mondiale insediamenti ricadenti in zone dichiarate patrimonio culturale dell’umanità?

Si deve prendere atto della divaricazione tra gli strumenti che pretendono essere di governo del territorio – tuttavia mi chiedevo nel librino dello scorso anno: Chi governa, cosa? Chi effettivamente governa? – e il valore che il nuovo capitalismo (appunto globale) annette a territori (a luoghi, a città) come quello toscano, per strategie che non possono essere definite (unicamente) rendita immobiliare, tanto meno speculazione edilizia – quella che la politica urbanistica combatteva 50/40 anni fa – e che si avvalgono di progetti di qualità (anche su questo fronte la battaglia risulta persa)?

Il territorio deve costituire una vertenza nazionale per la nuova compagine governativa che fino ad oggi ha dimostrato scarso interesse per questo fronte di scontro economico e sociale?

Sussistono le condizioni e le capacità politiche, amministrative, economiche e sociali generatrici di quel modello? Quali suoi fondamenti risultano “esportabili”, se non è un fenomeno “locale” prodotto da quelle particolari condizioni? Se la pianificazione territoriale non è separabile dalla conquista e dalla gestione del potere, a seguito delle trasformazioni politiche e culturali il modello è destinato al collasso (ma non lo riteniamo un esito scontato)?

Pretendere di innovare e di progredire senza cambiamenti radicali è illusorio: per quanto possa dispiacerci, dobbiamo congedarci dal modello toscano di pianificazione territoriale?

Nondimeno l’operatività della pianificazione non è mai stata pre-stabilita, imposta, calata dall’alto; si è fatta nell’esperienza politica, amministrativa e tecnica, da cui scaturiva la condivisione di criteri, indirizzi, convinzioni, regole, che nel tempo hanno dato luogo a una riconoscibile figura di piano.

E’ emersa da questo piano la forma del territorio toscano: la Toscana dell’odierno immaginario collettivo, la Toscana come è percepita universalmente, non solo dal turista ma anche dalla popolazione autoctona.

Se il successo di un’operazione si giudica dai risultati, si può definire urbanistica buona il risultato di una parte consistente della storia del territorio che copre i 50 anni dal 1945 al 1995, durante i quali l’urbanistica pretende la propria autonomia dalla programmazione economica, in quanto tesa a realizzare il disegno del territorio regionale.

La separazione della pianificazione territoriale dall’urbanistica, già presente nella legge regionale del 1995, sancita definitivamente dalla 1/2005, se da un lato ha dato luogo ad un proficuo chiarimento, ben individuando le finalità e i contenuti degli strumenti di pianificazione, ha contemporaneamente disperso l’urbanistica, annullando il piano come forma, figura del territorio, come disegno, strumento compositivo dello spazio che ha rappresentato la grande tradizione degli architetti-urbanisti italiani: Giovannoni, Piacentini, Piccinato, Quaroni.

Edoardo Detti soleva dire che un piano bello è necessariamente un piano buono.

La crisi è anche di una figura professionale, divaricando il solco tra architettura, sempre più autoreferenziale e l’urbanistica che ne era il presupposto (nel 1935, Piccinato sosteneva la “netta subordinazione dell’architettura al fatto urbanistico”).

Quando si immagina la Toscana – il grande porto, la piattaforma logistica, le fasce infrastrutturali nord-sud, est-ovest, gli interporti, le ferrovie metropolitane, le città –, si sta disegnando il territorio regionale, si propone una forma territoriale, si rilancia sul tavolo l’assetto urbanistico.

Ma nella 1/2005 gli atti conformativi – che danno luogo all’assetto, al disegno, alla forma –, sono presenti solo a livello comunale (regolamento urbanistico, piani attuativi, piani complessi di intervento).

Quanto tempo c’è voluto per creare la cultura, inscindibilmente urbana e rurale, del territorio toscano? Un artefatto prezioso da conservare, pur senza pretesa di verità.

Quando può dirsi conclusa l’evoluzione del territorio toscano? Quando la cultura del territorio toscano si stabilizza in un patrimonio indisponibile? Quando la società regionale, nel suo insieme, trascurando aspetti e situazioni pur rilevanti, assume la conservazione integrale come riferimento stabile della politica territoriale?

La rottura del secolare legame città/campagna, dopo il termine della mezzadria e l’esodo dalla campagna, per un momento profila un collasso territoriale e sociale che la stabilizzazione della cultura del territorio, pur privata dei suoi motivi strutturali, per cause fortuite ma soprattutto per la scelta responsabile della classe dirigente toscana, in breve evita.

Più che in termini economici e sociali, quanto accade e si consolida attiene a una coscienza collettiva diffusa, trasfusa in un patrimonio politico e culturale che caratterizzerà da allora in poi la società toscana, delineandone una figura riconoscibile nel complessivo panorama italiano, le cui trasformazioni territoriali avrebbero allontanato il resto del Paese dalla Toscana.

Ricorrerà da allora l’immagine di isola, inevitabilmente felice in contrapposizione alle vicende cariche di traumatismi e di costi che investono le altre regioni italiane.

Tanto più la situazione è eccezionale o almeno tale la si giudica, tanto più viene difesa con l’energia che a volte sfiora l’arroganza, pur necessaria a fronte di interventi di puro sfruttamento dell’eccellenza ambientale; l’allarme di documenti recenti di varia provenienza, in merito ai mutamenti economici, sociali e territoriali che vengono avvertiti come una minaccia alla quiete e al benessere finora assicurati, provano quanto si fosse convinti di vivere in un isolamento dei cui vantaggi possono godere i toscani ma anche coloro che provengono da altrove, confidenti di una felicità territoriale in gran parte reale ma in qualche misura dovuta anche a un mito astutamente creato.

Le reazioni, a volte scomposte, di chi ha perso un progetto, invece di insistere sulle peculiarità regionali e di affermare l’eccezionalità di una cultura, sembrano rivolgersi verso prospettive estranee, lasciando in un contenzioso diretto, senza pervasive mediazioni politiche, coloro – in primo luogo gli amministratori locali –, che si trovano a dover decidere in merito all’irruzione sui propri territori di iniziative nei cui confronti possono avvertire di essere privi di tale progetto; per altro verso non indifferenti sia per migliorare i magri bilanci comunali sia per affidarsi a una speranza di sviluppo. Dover contare esclusivamente sulle proprie capacità negoziali, concentrate necessariamente sulla contingenza, può aprire brecce nelle condizioni di minore avvertenza e comunque distrae dalla necessità di un progetto politico complessivo di cui si avverte l’insufficienza se non la mancanza.

Appunto un modello: per questo motivo, il riferimento al dialogo.

Il dialogo non è praticabile in presenza di una pretesa di verità assoluta; è altrettanto necessario che gli interlocutori riconoscano un patrimonio comune di diritti e di valori, pur nella convinzione che ciascun individuo è responsabile del suo progetto di vita.

Esiste tuttavia un limite oltre il quale comprensione e tolleranza decadono in rinuncia (ai diritti) e dispersione (dei valori).

Distratti dagli aspetti procedurali, non abbiamo colto la innovazione contenuta nella legge regionale del 2005 sul governo del territorio: la netta separazione tra pianificazione territoriale e urbanistica, tra piano e progetti, l’abbandono del modello di piano suddiviso tra parte strutturale e parte operativa, presente nella legge regionale del 1995, che nel passaggio in corso tra piani strutturali e regolamenti urbanistici, sta identificando il regolamento urbanistico con un piano, se non con il piano regolatore generale di cui ripete contenuti e fisionomia.

Un’ambiguità rintracciabile nella legge del 2005, vuoi perché ripropone il regolamento urbanistico come piano, vuoi perché non libera il piano strutturale dalla parte strategica, dando modo di confondere ancora una volta piano e progetti.

I tre strumenti di pianificazione territoriale (regionale, provinciale, comunale) sono inoltre simili: nei tre compaiono una parte statutaria e una strategica e nei tre lo statuto del territorio ha gli stessi contenuti, come matriosche.

Cosa si propone? Di togliere dagli strumenti di pianificazione territoriale (piano di indirizzo territoriale regionale, piano territoriale di coordinamento provinciale, piano strutturale comunale) il contenuto strategico, spogliando inoltre il regolamento urbanistico dalla connotazione di piano, assimilato a un testo di regole urbanistiche e edilizie.

Lo strumento di pianificazione territoriale si riconosce esclusivamente nello statuto del territorio: quel qualcosa di immutabile, identificabile con la cultura del territorio toscano, nella consapevolezza della sua storicità.

Malgrado la complessità, non sempre evidente, della definizione e dei contenuti dello statuto del territorio negli articoli della legge regionale, lo statuto del territorio risulta essere compiutamente uno strumento di pianificazione territoriale.

Lo statuto contiene le invarianti strutturali che sono elementi cardine della identità dei luoghi, di cui lo statuto stabilisce le regole d’uso, i livelli di qualità e le relative prestazioni; persegue la tutela del territorio ai fini dello sviluppo sostenibile e a questo fine si compone di un nucleo di regole, vincoli e prescrizioni.

Individua inoltre i sistemi territoriali e funzionali che definiscono la struttura del territorio, e ha valore di piano paesaggistico.

Lo statuto del territorio è il contenuto della pianificazione territoriale regionale, provinciale, comunale; l’urbanistica opera esclusivamente in ambito comunale. Come è noto, negli strumenti di pianificazione territoriale non risultano localizzazioni edificatorie, non si conoscono le aree ma nemmeno gli intorni (le utoe) di edificazione; determinate aree divengono edificabili solo al momento del progetto (indifferentemente d’iniziativa pubblica o privata): è il progetto che rende edificabile un’area e quindi soggetta a regime fiscale (Dl 223/2006, art. 36, comma 2).

Le strategie degli strumenti di pianificazione sono confutabili, controvertibili, soggette a mutamenti anche in tempi brevi, non lo statuto del territorio.

Solo lo statuto del territorio è pubblico, attiene alla totalità sociale.

Lo statuto del territorio (il piano pubblico) è per così dire, bendato nei confronti delle iniziative, dei programmi, dei progetti, degli usi delle risorse a fini di sviluppo e delle prestazioni che da esse si attendono: in generale dei propositi e delle azioni dei soggetti pubblici e privati che operano sul territorio (è qualcosa di simile alla “posizione originaria” di Rawls, nella quale gli individui, all’oscuro della loro posizione nella società), stabiliscono le regole.

I progetti (programmi d’impresa, pubblica o privata) non sono predisposti, non fanno parte del piano: rispondono alle esigenze e agli interessi (alle strategie) di coloro (indifferentemente soggetti pubblici o privati) che li promuovono, in modi anche concorrenziali. Essi fanno i conti non tanto con la disponibilità di beni e risorse, quanto con la capacità (Amartya Sen), con le funzioni che si è in grado (si è capaci di) esercitare effettivamente con quei beni e quelle risorse.

I progetti presuppongono la fiducia nei confronti di coloro che li attivano e la loro responsabilità personale: questo indirizzo limita la pervasività burocratica, ostacolo all’innovazione, fonte di formalismi e moltiplicatrice di strumenti e procedure.

Queste conclusioni non pretendono una terza legge regionale dopo che due leggi si sono succedute in breve tempo sottoponendo amministratori, tecnici, operatori a un notevole impegno di risorse, scelte e decisioni; nondimeno non acquietano la domanda essenziale: quanto l’apparato di strumenti di pianificazione territoriale e di atti di governo del territorio, oltre che di procedure, risponde, è adeguato alla nuova tipologia di sviluppo?

Si avverte che la legge dello scorso anno non ha determinato quel sussulto politico e culturale che seguì la precedente legge.

Indubbiamente non ci si poteva attendere una reazione paragonabile a quella di dieci anni fa: la stagione dei nuovi strumenti urbanistici avviata dalla 5, non è affatto conclusa (è noto che mancano ancora alcuni piani strutturali e molti regolamenti urbanistici, mentre viene dato fondo alle previsioni dei precedenti piani regolatori). Inoltre la 1 è stata considerata modifica e integrazione della precedente legge: per questo motivo non è considerata il riferimento per le nuove linee di sviluppo (i contenuti del PIT in circolazione profilano – o no? - un congedo dalla 1, malgrado le affermazioni di coerenza).

La pianificazione ha tempi lunghi: c’è voluto mezzo secolo per sostituire la 1150 con le leggi regionali di riforma della pianificazione; gli assetti e gli usi del territorio toscano sono stati governati per 50 anni con utensili poveri: la legge del 1942, le zone omogenee e gli standard del Dm. 1444.

Di nuovo, gli strumenti di pianificazione definiti dalla legge vigente sono adeguati alla governance della città globale? Sono capaci di governarne le contraddizioni? Rispondono alle esigenze del cittadino-produttore (produttore politico, economico, culturale)? Sono utilizzabili da parte della società del rischio?

La domanda è tanto più plausibile se si “visiona” l’intera regione come città globale - non una sua parte -, in cui urbano e rurale sono connessi, inscindibili, ovunque presenti contemporaneamente. L’urbano storico – le città, i borghi, i nuclei, persino i casolari sparsi - non sopravvivrebbe se non fosse emergenza di un contesto rurale, della campagna: Anghiari è, insieme, l’edificato entro le mura e la collina di cui fa parte, fino a comprendere la piana della famosa battaglia: la collina è indisponibile.

La piana di Bagno a Ripoli è altrettanto indisponibile della collina di Anghiari!

La collina a sé stante, non esiste; separarla dal territorio e sottoporla come tale, a tutela, a salvaguardia – tutt’altra cosa dalla conservazione –, non ne garantisce l’incolumità; la salvaguardia può essere disattesa (accade, e questa non è buona urbanistica), anche in nome di un’equivoca architettura di qualità.

Il metaobiettivo della collina è la metafora (l’allusione) del territorio (della cultura del territorio toscano): la norma di PIT che lo riguarda darebbe corpo al divieto di ulteriore impegno di suolo per insediamenti, contenuto già nella 5, ma rimasto inascoltato.

Un criterio di pianificazione che per altro prende atto dell’assenza di una grande capitale regionale, di un forte baricentro urbano, dovuta alla costante, a mio giudizio voluta ma anche per motivi storici, estraneità di Firenze nei confronti del territorio regionale.

I comuni toscani sono molto più di centri politico-amministrativi: per un verso sono un patrimonio di democrazia, di appartenenza civica, per altro verso i depositari della cultura urbana, di formazione storica, costituenti con le loro identità la fisionomia della città globale toscana, definibile come un insieme piuttosto che un sistema.

Già Foscolo aveva paragonato la Toscana tutta a un giardino: è pacifico che nessuno vuole morire giardiniere, ma l’immagine illumina uno stato di eccellenza, oggi piazzato sul mercato mondiale, a volte con risultati insoddisfacenti. La conservazione del territorio è un dovere per la società toscana: la premessa dell’innovazione e della creatività del nuovo corso di sviluppo.

Il modello toscano di pianificazione territoriale che qui si ripropone in quanto espressione di un’irrinunciabile cultura del territorio, non è il procedimento unico o il quadro conoscitivo, la valutazione integrata o la perequazione: è anche questo certo, ma è oltre. È ancora un progetto politico e culturale per una possibile classe dirigente.

In ricordo di Romano Viviani

di Giuseppe De Luca

«Fare Urbanistica? Prima di tutto cultura e poi politica». E’ con queste parole che Romano chiudeva una lunga lettera di risposta ad alcuni miei rilievi epistolari fatti in occasione dell’uscita di uno dei suoi numerosi asciutti e densi “libricini” (Postposturbanistica della casa editrice Alinea) nell’inverno del 1997. In queste poche parole può racchiudersi l’esperienza di vita e di lavoro accademico, professionale e politico di Romano Viviani. Scomparso improvvisamente, martedì 21 novembre all’età di 79 anni, nel pieno di una intensa attività di lavoro come pianificatore. Aveva appena visto adottare il Piano strutturale e relativo Regolamento edilizio e urbanistico di Gioia Tauro, era occupato all’aggiornamento del Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Siena, alla redazione dei Piani strutturali e relativi Regolamenti Urbanistici di Sassetta, Capoliveri, Monteverdi, del Regolamento Urbanistico di Signa, all’avvio del Quadro conoscitivo di Palmi; ma anche di una selezionata attività di progettista, l’ultimo in ordine di tempo l’ampliamento della Fiera di Massa Carrara (inaugurata qualche settimana addietro); nonché di una altrettanto intensa attività di esploratore “sul campo” – come amava definirla – sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo.

Non frequentava più le aule universitarie da molti anni, un po’ le mancavano, ma continuava a dare assistenza a studenti e giovani laureati, convinto com’era che il sapere tecnico oltre ai percorsi formativi accademici trovasse ninfa rigenerante soprattutto nell’incrocio con le pratiche del reale quando, ponendo interrogativi e prospettando soluzioni, si libera dall’aureola elitaria, per miscelarsi, contaminandosi fino a mettersi in discussione, nelle comunità e nei territori della quotidianità. Di questo sua attività di indagatore amava parlare e discutere a lungo, quasi a voler testare la sua capacità di interpretazione, condividendola, e confrontandola con l’altrui pensiero. Non ho avuto mai l’occasione di lavorare direttamente con lui professionalmente. Ho lavorato molto, moltissimo intellettualmente e su diverse ricerche, facilitato in questo dall’aver diviso e condiviso da molti anni lo spazio di lavoro e il desinare giornaliero. Questo suo “giovanile” spirito irrequieto emergeva in maniera istintiva, nel commento di letture o documenti di piano, nello scambio di numerose lettere (pur avendo le stanze attigue), negli schizzi e schemi che affidava alla provvisorietà del tovagliolo di carta, ma soprattutto dalla consuetudine di trasferire le sue riflessioni in documenti, molti dei quali destinati alla stampa.

«Urbanistica è politica» continuava a ripetermi; e «il piano lo strumento per darle senso». Concepiva il piano come un processo cooperativo interistituzionale che tramite azioni specifiche doveva tendere a correggere il tessuto economico e sociale esistente, più che la forma della città e del territorio. Rivendicando, in tal modo, una sorta di “politicità” essenziale nell’operare tecnico, di “olivettiana” memoria. Se urbanistica è politica, di conseguenza, il piano non può che essere pubblico. Questo il suo più forte messaggio che lo accosta ai grandi pensatori del Novecento, proiettandolo al futuro. Solo il piano pubblico, infatti, può affrontare le questioni dell’equità distributiva e della regolamentazione del mercato, di quello edilizio prima di tutto. Il piano pubblico, nella visione di Romano, non era altro che un progetto implicito di governo del territorio, non solo di urbanistica. Un piano atto a indicare i solchi da seguire e al contempo la matrice con la quale controllare quanto avviene nella quotidianità, lasciando alla libera estrinsecazione dell’azione privata la trasposizione del progetto implicito in progetto di trasformazione esplicito.

Proprio per questo, continuava a dire, l’attenzione deve essere rivolta verso «la cultura politica e l’apparato amministrativo», sono loro infatti che svolgono un ruolo essenziale nella costruzione del progetto implicito, che danno cittadinanza alle idee di trasformazione, che «conservano attivamente» e «costruiscono» i paesaggi e il territorio. La disciplina, gli strumenti, il sapere tecnico stratificato hanno certo un peso e un ruolo significativo nella definizione delle politiche pubbliche e nel loro trasferimento in piani, programmi e progetti. Ma è la sensibilità della cultura delle classi dirigenti, dei politici e degli amministratori che dà vibrazione e gambe al governo pubblico delle città e dei territori.

Questo è il percorso che Romano ha praticato e che lascia a noi, alla maniera dei grandi maestri, come insegnamento.

“Lucio Gambi è il più grande geografo italiano, il primo dell’Italia democratica”, così me lo definì, molti anni fa, un addetto ai lavori qual era Francesco Compagna, direttore di “Nord e Sud”. Ebbene, questo scienziato di straordinario valore è scomparso senza che i grandi giornali, in tutt’altre faccende affaccendati, gli abbiano dedicato, a quanto ne so, una riga di ricordo. Così va l’Italia. Eppure Gambi, legato ai geografi francesi, curatore dei volumi sulla megalopoli americana di Jean Gottmann, impresse ai nostri studi di geografia umana un’autentica svolta, a partire dagli anni ’50. “La polemica che da vari anni sto conducendo contro le impostazioni tradizionali di una geografia calcificata in un antiquato schematismo…”, scrisse nei primi anni ’60 parlando delle trasformazioni di Ravenna dove era nato nel 1920. Nemico quindi di una geografia come “disciplina puramente descrittiva e misurativa di oggetti e fenomeni”.

Lucio – posso chiamarlo così per aver avuto lunga consuetudine con lui – veniva dall’esperienza formativa della Resistenza alla quale aveva partecipato come azionista. Di lui si ricorda, prima che s’incamminasse verso gli alti studi, la creazione in Romagna di una radio popolare che seguiva in diretta i processi ai gerarchi fascisti. Un impegno politico che, sia pure espresso in termini culturali, non venne mai meno. Negli anni cruciali e febbrili del Movimento, dopo il ’68, Gambi fu, con Marino Berengo e Franco Catalano, il docente che più si espose, alla Statale di Milano, nel partecipare al tentativo di dare un altro senso all’Università sin lì “baronale”, con la cattedra lontana, a volte lontanissima, dagli studenti.

Poi – pur mantenendo sempre casa a Firenze - tornò nella sua terra, cioè in Emilia-Romagna avendo cattedra a Bologna. Dove fu anche il primo presidente dell’Istituto Regionale dei Beni Culturali, che negli intendimenti dei fondatori doveva essere un organismo di alta qualità scientifica al servizio della programmazione e della pianificazione regionale. Uno dei dati di fondo della vita e del magistero di Lucio Gambi, fra l’altro oratore suadente e lucido scrittore, rimase sempre la visione larga, planetaria, dei problemi della geografia umana e, insieme, l’interesse puntato sui problemi della storia e dell’esistenza, individuale e collettiva. Convissero in lui gli studi sulla megalopoli e quelli sulla casa rurale dell’Appennino o della pianura, la vasta monografia sulla Calabria, oppure il lavoro di gran mole su Milano (una delle fatiche più recenti) e la partecipazione al convegno locale, per esempio sulla marineria romagnola, adriatica in generale, dal quale, grazie anche alla sua regìa, doveva poi scaturire, a Cesenatico, il solo museo galleggiante dedicato alla gente del mare, alle sue barche con le vele giallo ocra e rosso scuro, a losanghe, coi simboli di famiglia.

Una volta disse che “difronte alla complessità della realtà umana, la ricostruzione di un paesaggio topografico è poco più di un elementare schizzo”. Un’idea, quest’ultima, che riprese mentre componeva il magistrale affresco della introduzione alla Storia d’Italia di Einaudi. Un modo laico di porsi di fronte alla storia. Lucio Gambi aveva speso molte delle proprie energie nello studio del paesaggio umano, osservandolo, studiandolo in una fase di trasformazione tanto profonda - per esempio, la estirpazione della “piantata” di pianura, risalente agli Etruschi e ai Celti - da prefigurarne la scomparsa. Specie in quella pianura resa dalle macchine sempre più piatta e pelata. Era uomo di improvvise accensioni, con gli umori tipici delle sue origini. Un anno, al premio Cervia per l’Ambiente, dove lui era in giuria, dopo la cerimonia nel piccolo, delizioso teatro della città delle saline e delle pinete, proprio in un enorme magazzino dei “pignaroli”, alla Bassona, si tenne una cena affollatissima. Siccome faceva già un freddo autunnale, il sangiovese corse generosamente. Alla fine, insomma, un coro intonò la famosa canzona degli “scariolanti” ravennati, i braccianti della bonifica, che già nella notte si avviano al lavoro con le carriole (“A mezzanotte in punto/ si sente un gran rumor”) e, nell’attacco, il noto geografo Lucio Gambi, alzatosi in piedi, esibì, da solista, una nitida voce tenorile.

Nota: Di Lucio Gambi, su eddyburg_Mall un contributo sul tema delle circoscrizioni amministrative (f.b.)

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