loader
menu
© 2025 Eddyburg

Telefonare al Presidente: ecco l’idea. Ringrazio il presidente della Regione Toscana, Claudio Martini. Terrò presente la sua offerta, formulata nella lettera pubblicata mercoledì da Repubblica, anche se mi sembra preoccupante che nella pletora di Comuni, Province, Comprensori, Autorità e quant’altro si debba ricorrere a lui per avere informazioni elementari.

Resta il fatto che finora non si è trovata molta disponibilità da parte delle amministrazioni toscane, tutte schierate a difesa del famigerato "Accordo di programma" detto del Tubone e restie perfino a concederne in visione il testo. Ma può darsi che la decisione del Ministero dell’Ambiente – non della Regione Toscana, caro Presidente – di mettere un punto fermo sulla questione imponendo la costruzione di un depuratore per l’area Valdinievole ovest abbia cambiato il clima. Ci auguriamo comunque che l’autorevole presa di posizione del Presidente Martini venga meditata da tutti gli enti sottoscrittori dell’Accordo di Programma. Collaboreranno o saboteranno? Vedremo.

Ma ci sono altre cose che vorremmo sapere dal Presidente; per esempio, questa: se due milioni e mezzo di metri cubi di acqua invece di entrare nel tubo resteranno in Valdinievole per esservi depurati, che ne sarà dei rimanenti dieci milioni circa? A quanto pare, saranno sottratti ai depuratori comunali per i quali i cittadini pagano robuste tasse e portati altrove per venire definitivamente inquinati dalle lavorazioni chimiche delle industrie conciarie. Eppure tutti sanno quanto l’acqua sia preziosa e come sia destinata a diventarlo sempre di più.

Quanto al Padule di Fucecchio, non basta salvarne la sopravvivenza, bisognerebbe anche voltare pagina rispetto al vuoto amministrativo e politico che ha fatto di un territorio unitario uno spezzatino di realtà incompatibili e in conflitto. Perché qui c’è di tutto: dall’oasi ambientale alle postazioni di caccia, passando per coltivazioni inquinanti e quant’altro.

Quanto alla tutela delle bellezze della Toscana dobbiamo intenderci. È diventata fastidiosamente abituale l’espressione "patrimonio dell’umanità". Preferiremmo parlare dell’ambiente – di ogni ambiente - come patrimonio degli esseri umani in carne e ossa che ci vivono e di quelli che ci vivranno. Se un privato cittadino come lo scrivente ha partecipato a una campagna di opinione considerandola come cosa non estranea al suo mestiere di storico e di insegnante non è stato per difendere bellezze celebri ma perché ritiene diritto di ciascuno quello di vedere tutelati da autorità scelte per via democratica l’aria, l’acqua, il verde del suolo dove il caso o la necessità lo ha portato a vivere: fosse anche ai bordi di un Padule.

La regione più bella d’Italia è sulle pagine della stampa da parecchi mesi. I lettori hanno imparato a conoscere siti come quello di Monticchiello, la Val D’Orcia, Montegrossi, la Val di Magra, Fiesole, Capalbio, Bagno a Ripoli, san Macario, Lucca, più per gli interventi urbanistici in fase di attuazione in contrasto con la tutela del paesaggio che per la loro storia millenaria.

Il fenomeno sia ben chiaro è assai più ridotto di quello che si riscontra ormai in tutto il territorio nazionale, ma il problema resta.

Molti intellettuali autorevoli come Alberto Asor Rosa, Vittorio Emiliani, comuni cittadini, si sono riuniti in comitati e chiamano in correità la regione Toscana per l’assenza di controlli sui piani urbanistici e di vigilanza sugli usi del territorio locale in rapporto alla tutela ambientale e storico-artistica.

Le ragioni di questo processo di trasformazione che coinvolge in primo luogo le aree rurali, sono almeno quattro, sia di carattere giuridico-istituzionale che economico.

La principale è legata all’eliminazione – nella lr. 5/1995 – del sistema di controllo preventivo sui piani regolatori da parte regionale, in ossequio all’abolizione nazionale del sistema dei controlli sugli atti degli enti locali e ad una forzata interpretazione del principio di sussidiarietà – secondo il nuovo titolo V cost. – che considera la vicinanza delle istituzioni locali ai territori come la miglior cura dell’interesse pubblico. Teoria questa, che se applicata alla pianificazione del territorio riconoscerebbe implicitamente una “riserva” di piano regolatore cosicchè le popolazione locali – o meglio la rappresentanza politica di quelle collettività – avrebbero il diritto di disporre del proprio territorio come meglio credono. L’autoapprovazione dei piani regolatori e la mera verifica della loro coerenza agli atti di pianificazione sovraordinata come ad es. il piano territoriale di coordinamento provinciale – che di regola non detta prescrizioni ma solo indirizzi – hanno lasciato spazio a previsioni urbanistiche comunali spesso in contrasto con i principi dello sviluppo sostenibile. E questo sta accadendo in tutt’Italia. Di fronte a questo paradosso, basterebbe citare due sentenze del Tar Toscana con le quali prima la provincia di Lucca (6287/04) e poi la stessa Regione Toscana (98/05) hanno tentato inutilmente, come estrema ratio, di ottenere l’annullamento del Regolamento urbanistico del comune di Lucca perché in contrasto con il PTCP della provincia e con il PIT (piano d’indirizzo territoriale) regionale.

La lr 1/2005 “norme per il governo del territorio” prova a rimettere ordine nel sistema di controllo degli usi del territorio ma affidandosi ancora una volta all’autodeteminazione degli enti locali ancorché bilanciata da un sistema di concertazione che àncora le trasformazioni del territorio alla redazione degli statuti del territorio ed ai contenuti del PIT. Si tratta di modelli di pianificazione ancora in fase di elaborazione che pongono problemi interpretativi sull’efficacia delle disposizioni anche ad un giurista e che comunque richiederanno del tempo per arrivare a regime.

Il secondo motivo risiede in un sistema di partecipazione alle scelte pianificatorie comunali che non ha nulla a che fare con le inchieste pubbliche dei paesi anglosassoni, poiché l’amministrazione è restìa, ancor oggi, ad un’urbanistica effettivamente partecipata che potrebbe mettere in discussione la propria vision territoriale.

Il terzo è legato alla crisi fiscale dello stato che spinge i comuni a considerare gli usi edificatori del territorio come fonte di reddito per rimpinguare le casse comunali attraverso la riscossione dell’ICI e degli oneri di urbanizzazione che, sganciati, in base ad una legge finanziaria del 2002, da qualunque reimpiego nelle opere e servizi pubblici, possono essere utilizzati per finalità generali.

Il quarto motivo risiede nella perdita di senso – per le popolazioni locali – del paesaggio agricolo e nel progressivo omologarsi verso un non meglio definito paesaggio turistico fatto di seconde case, lottizzazioni intensive, e nell’abbandono progressivo del rapporto tra conduzione del fondo e attività edificatoria, tranne i casi di specializzazioni agricole gestite da veri imprenditori agricoli. La pressione speculativa tanto sulle coste come nelle colline interne distrugge le campagne italiane in funzione di una mal intepretata modernizzazione fatta prevalentemente di case con piscine abitate tre mesi l’anno.

Il paesaggio naturale ma anche quello “artificiale” opera dell’uomo, testimonianza avente valore di civiltà da tramandare alle generazioni future, non è più in grado di autogovernarsi diventando così in molti casi territorio in attesa di trasformazioni edificatorie.

Nel frattempo però, in molti piani regolatori vigenti dei comuni toscani vi sono previsioni urbanistiche che andranno in attuazione negli anni futuri e che presto potrebbero costituire oggetto di nuovi “scandali” edilizi, come già si sono affrettati a dire i responsabili regionali. Come dire il peggio deve ancora venire! Eppure quei piani regolatori sono comunque passati all’attenzione degli uffici regionali; possibile che una regione che svolge funzioni di programmazione e quindi di previsione degli sviluppi futuri non si sia resa conto, calcolatrice alla mano, che i volumi edificatori previsti in quei piani, specie di piccoli comuni, erano ben oltre i limiti dello sviluppo sostenibile e della loro potenziale crescita insediativa?

Che fare? Una soluzione ci sarebbe, quella del nuovo piano paesaggistico in fase di elaborazione, per di più oggetto di un protocollo d’intesa con il Ministero dei beni culturali come prescrive il Codice del paesaggio. Soluzione che, individuando nuovi beni paesaggistici di rango regionale o beni “identitari” sul territorio regionale, tra cui il paesaggio rurale, ponga limiti a queste nuove cementificazioni poiché le scelte del piano paesaggistico prevalgono, immediatamente, secondo la legislazione statale, sulle previsioni dei piani regolatori sottostanti.

Ma non pare che questa sia una strada promettente se la Regione Toscana intende redigere il contenuto del piano paesaggistico in collaborazione con comuni e province attraverso intese e accordi, lasciando poi agli enti locali la possibilità di una disciplina paesaggistica integrativa contenuta nel piano paesaggistico regionale (rectius piano d’indirizzo regionale).

Ora non vi è chi non sappia che le scelte sovraordinate non possono sempre essere ridiscusse con i destinatari di quelle tutele – a meno di non voler riprodurre anche qui la sindrome nimby (not in my back-yard) - poiché gli enti locali si muovono nell’ottica degli interessi particolari versus gli interessi generali di collettività anche più ampie di quelle regionali, come testimonia la risonanza internazionale di questa regione e le numerose presenze di cittadini stranieri che la frequentano per la qualità del paesaggio finora tutelato.

Mi domando se il presidente Soru, cui si deve il merito di aver sostenuto ad oltranza l’approvazione, un anno fa, del piano paesaggistico della Sardegna, avrebbe ottenuto lo stesso risultato di tutela, qualora si fosse messo a “contrattare” con i comuni costieri se era giusto o meno ridurre i 57 milioni di mc previsti sulle coste sarde dai vigenti strumenti urbanistici comunali!

La tutela del paesaggio non si “contratta” – come fossimo in un’area di riconversione urbana – poiché la sussidiarietà ambientale è spesso in contrasto con la ricerca del consenso. Il problema di fondo, a ben vedere, è tutto qui.

Sono in grado le regioni ed il ministero dei beni culturali di svolgere un’effettiva tutela e valorizzazione del paesaggio italiano? O dobbiamo ridurci ad intendere la sussidiarietà come un nuovo localismo dei territori locali? Il ruolo delle amministrazioni d’area vasta – le regioni – o centrali come il ministero dei bei culturali, può, quindi, essere decisivo per l’attuazione dei programmi di conservazione anche in funzione di accompagnamento come si usa dire oggi, e di controllo.

Nel rapporto tra regione e amministrazione centrale, lontane dagli interessi particolari, si gioca quindi la partita della tutela del paesaggio con i comuni, non perseguibile solo nella sua staticità (pena in qualche caso la perdita di significato della tutela) ma nel suo evolversi, sempre e comunque, tuttavia, nel rispetto della effettiva conservazione.

Postilla

Il primo errore del sistema toscano non è, come sostiene l’autore, quello di sostituire l’approvazione dei piani comunali con la verifica di conformità alla pianificazione sopraordinata, ma dall’assoluta intederminatezza di questa. L’errore è aver sostituito, a tutti i oiverllo sovracomunali, piani di chiacchiere a piani di prescrizioni. In contrasto anche con il codice dei beni culturali e del paesaggio. Non sembra che i due ministeri competenti alla “intesa” (Beni e attività culturali e Ambiente e tutela del territorio) se ne siano accorti.

Sull’argomento si vedano l'articolo di Luigi Scano e molti altri documenti nella cartella dedicata alla Toscana

Caro Direttore, da un anno la Toscana è all´attenzione di intellettuali, opinionisti, mass media. Tema: la difesa del paesaggio e di un ambiente considerati da tutti unici per la loro bellezza. Ciò è positivo, dà forza al territorio toscano e agli strumenti per la sua tutela e valorizzazione. Ma in troppi presentano la Toscana come terra di scempi, devastazioni, ecomostri. Siamo divenuti il problema paesaggistico del Paese? Quando lo racconto in Europa o nel mondo la gente sorride, incredula. Sì, Monticchiello è un errore urbanistico che oggi non si ripeterebbe. Ciò detto è assurdo scagliarsi contro un´intera esperienza di governo del territorio.

Di che Toscana si parla? Ricordo ad Asor Rosa, Erbani e Prosperi che la Toscana è stata la prima a respingere i condoni di Berlusconi, impedendo ai furbi di sanare tanti abusi, poi abbattuti. Da noi i volumi costruiti sono fra i più bassi in Italia (1,8 metri cubi per abitante contro i 3,4 del Veneto, i 3,0 della Lombardia, il 2,3 della media nazionale: dati 2004, e stabili dal 2000). Qui c´è la più alta superficie di aree protette, di foreste e aree marine (presto un´altra nascerà nell´Arcipelago), il 50% del nostro territorio è boschivo (dato in costante crescita), solo il 10% è urbanizzato.

Siamo la regione con più siti Unesco e premi ambientali, dalle bandiere blu (15 su 96) a quelle arancioni (32 su 119), fino al massimo di vele blu di Legambiente. La Toscana guida la rete europea contro gli Ogm, a tutela della biodiversità e del paesaggio. Recuperiamo borghi e palazzi storici, ville rinascimentali, teatri del ´700, pratiche e mestieri tradizionali, sempre con prevalenti risorse locali. E´ cresciuto un appeal internazionale fondato sull´eredità storica e su una moderna idea di sviluppo di qualità. Per questo abbiamo 41 milioni di turisti (il 7% in più dell´anno scorso).

Prosperi ha scritto allarmato per il Padule di Fucecchio. Se ci avesse telefonato avrebbe appreso della soluzione varata da regione, enti locali e ministero dell´ambiente: un nuovo impianto di depurazione nell´area del bacino imbrifero che garantirà 2,5 milioni di metri cubi di acqua pulita all´anno, la sistemazione del ciclo idrico e la realizzazione di bacini di accumulo. In ogni stagione il Padule avrà acqua sufficiente. Siamo la prima Regione che ha adottato con Rutelli il Codice del paesaggio e la nostra politica urbanistica è per gli specialisti fra le più avanzate e rigorose d´Italia, specie col nuovo Pit.

Insisto: di che Toscana si parla? Il bollettino di guerra diramato dai cento comitati esprime un´idea antagonista non a noi, ma alla storia, alla verità ed agli interessi della Toscana. Un solo esempio. Completare l´autostrada tirrenica è una necessità economica e di mobilità. Chiedetelo ai lavoratori del Porto di Livorno o del polo siderurgico di Piombino, oltreché ai distretti artigianali e rurali della costa! Si può fare col minimo impatto ambientale, con il consenso del 90% degli enti locali (una Val di Susa al contrario!) e a costo zero per lo Stato.

Ma fa più chic sparare contro e censire i comitati, quelli che Asor Rosa ora coordina e che dicono no a tutto: quelli contro le moschee, contro la geotermia, l´eolico, il solare; contro un´alta velocità in via di completamento. Eppure puntiamo entro il 2020 a produrre il 50% dell´energia da fonti rinnovabili; a ridurre del 15% i rifiuti prodotti e portare la raccolta differenziata al 55% così da diminuire gli inceneritori e chiudere tutte le discariche. Potenzieremo le ferrovie, tutte, per trasportare in treno mezzo milione di persone al giorno (oggi sono 200mila), riducendo traffico e smog. Chiedo ad Asor Rosa: questo è un programma di sviluppo di qualità o un manifesto cementificatore?

A me interessa un´alleanza, vera, tra istituzioni, università, mass media e comitati per arricchire la pratica dello sviluppo sostenibile. Spero interessi tutti. Leggo di una vertenza Toscana. Se punta ad una sintesi alta di dinamismo e qualità vertenza diventerà alleanza. Se invece si vuole colpire la cultura di governo - regionale e locale - che ha portato la Toscana fin qui, ovviamente, così non ci sto.

Postilla

Non abbiamo visto segni di congiura ai danni del governo della Regione Toscana. Abbiamo visto un disagio profondo, in molte persone che amano la Toscana e ammirano la sua storia, dovuto al contrasto tra due elementi.

Da un lato, il patrimonio di saggio governo del territorio che la Toscana esprime. Martini ha ragione quando ne celebra i fasti, e a nessuno che abbia un minimo di sale in zucca sfugge il fatto che, in merito alla tutela del paesaggio e alla buona urbanistica, la Toscana è una delle regioni italiane all’avanguardia. Non è merito solo dei gruppi dirigenti attuali, affonda le sue radici in storie antiche, ma è merito anche di chi quella storia ha saputo proseguire. Ed è proprio questa convinzione e questa stima che accresce le attese. Si vorrebbe che la Toscana fosse ancora all’avanguardia e insegnasse, con il suo esempio, al resto dell’Italia.

Ma dall’altro lato, molti episodi recenti testimoniano che oggi la politica urbanistica della Toscana è molto cambiata. Non è più un esempio positivo, corre il rischio di diventare il modello di un’Italia che non assume più la tutela delle sue risorse culturali e paesaggistiche come una “invariante strutturale”, ma come una ricchezza il cui impiego di può contrattare con chi è interessato alla “valorizzazione immobiliare” per ottenere così uno “sviluppo economico” insostenibile. Uno sviluppo economico del quale l’accrescimento e l’appropriazione privata della rendita immobiliare costituisce una componente di rilievo, nel quale realizzare una “marina” o un porto turistico vale più che conservare un pezzo di costa intatto, in cui un villaggio turistico vale di più di un paesaggio intatto da secoli.

Molti episodi di questo privilegio del “mercato” sulla “tutela” (del primato della ricchezza immediata per pochi sul patrimonio di tutti) sono stati segnalati, sulla stampa, nelle assemblee e su questo sito. In eddyburg abbiamo dimostrato come questi episodi si accrescano per effetto di una politica del territorio sbagliata. Ricordiamo gli articoli di Luigi Scano, gli eddytoriali dedicati a questo tema, e da ultimo l’articolo di Paolo Baldeschi che denuncia una Monticchiello in fieri . Abbiamo sostenuto che la Regione sbaglia, quando rinuncia alla sua responsabilità di governo del territorio, e di esercizio penetrante e “autoritativo” della tutela, e delega invece ai comuni responsabilità che questi non sono in grado di assumere, oggi ancora meno di ieri. E che sbaglia quando viola il Codice dei beni culturali e del paesaggio e interpreta illegittimamente i suoi precetti, in nome dell’ideologia di un autonomismo municipale fuorviante e in contrasto con l’equilibrio costituzionale.

E abbiamo anche criticato (non da soli, ma in compagnia di esperti di grande competenza e di associazioni e movimenti popolari rilevanti) la scelta sbagliata di completare l’autostrada tirrenica invece di utilizzate altre soluzioni più economiche e soprattutto meno devastanti per il territorio. Le cose a questo proposito non stanno come le racconta Martini. Concludere il tracciato stradale tirrenico con il proseguimento dell’autostrada è forse una necessità economica per la SAT, non per il territorio e neppure per la mobilità dei lavoratori.

Ciò che dispiace è che il Presidente della Toscana non comprenda che quelle che vengono mosse alla politica territoriale della sua regione sono critiche di merito, alle quali piacerebbe che motivatamente si rispondesse con argomenti, e non con anatemi o pettegolezzi, e neppure alludendo a improbabili complotti. Anche noi concludiamo questa postilla con la frase di Martini: se invece si volesse colpire la cultura di governo - regionale e locale - che ha portato la Toscana fin qui, ovviamente, così non ci sto. A condizione che con il “fin qui” ci si riferisca a tempi, logiche e pratiche anteriori a quelle che hanno prodotto i fatti fin qui denunciati.

ROMA - Dopo l'allarme per il Val di Noto, in parte rientrato anche grazie alla mobilitazione generale seguita all'appello dello scrittore Andrea Camilleri, un nuovo fronte 'trivellazioni' rischia di aprirsi in Toscana, nel Chianti e nella Val d'Orcia. La regione infatti, ha concesso, il 26 aprile scorso, tre permessi per effettuare "esplorazioni" e "autorizzazioni di ricerca" in tre aree del Sud della Toscana alla Heritage Petroleum plc, società con sede a Monaco specializzata nella ricerca e nell'estrazione di idrocarburi gassosi di tipo cmm (metano rilasciato dai filoni di carbone durante la sua estrazione) e cbm (metano prelevato da filoni di carbone che non devono o non saranno estratti).

In serata, la Regione Toscana ha fatto marcia indietro. L'assessore all'ambiente Marino Artusa ha dichiarato che proporrà una delibera di Giunta per bloccare i permessi.

La scelta della Regione Toscana ha suscitato la viva protesta del sottosegretario alle Politiche Agricole, Stefano Boco: "E' una follia ricercare l'oro nero sotto terra, quando l'unico grande tesoro sono il lavoro degli uomini, la bellezza paesaggistica, i valori naturali. Sarebbe un errore da pagare caro", ha detto Boco, che si è augurato che "sia possibile da parte delle autorità regionali rivedere i permessi".

Durissimo anche il commento di Legambiente: "Incredibile la decisione di autorizzare le trivellazioni. E' davvero assurdo - ha detto il presidente nazionale Roberto Della Seta - Non avremmo mai creduto che la regione Toscana sarebbe arrivata a prendere una decisione del genere. E se non fosse stata pubblicata sul bollettino ufficiale, stenteremmo a crederci". "Mi sembra una scelta assolutamente incomprensibile, non lungimirante", commenta il presidente della commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci.

"Non ne so niente, mi hanno solo detto che è successo" ma entro breve "verificheremo", assicura il ministro dei Beni Culturali, Francesco Rutelli.

Cone rivelato dall'agenzia Dire, le autorizzazioni riguardano un'area complessiva di 1.553 Km quadrati, di cui una parte classificata patrimonio dell'umanità dall'Unesco, proprio come il Val di Noto, e che tocca rinomate località come San Gimignano, la Valle del Chianti, Monticchiello e la provincia di Siena.

I tre permessi prevedono la possibilità di esplorare alcuni dei paesaggi più belli d'Italia senza la necessità di una valutazione di impatto ambientale (Via) nonchè il permesso successivo di trivellare e scavare per estrarre idrocarburi, in quel caso previa riserva di Via.

I permessi sono stati concessi per un periodo iniziale di 6 anni (i canoni annui per le licenze sono solo di 5 euro per km quadrato) e stabiliscono che possano passare anche 5 anni prima che sia richiesto alla società il permesso di trivellare.

I decreti regionali suddividono le zone di competenza. Il permesso "Cinghiano" (564 km quadrati) riguarda le località di Arcidosso, Roccalbenga, Castel del Piano, Civitella-Paganico, Roccastrada e Cinigiano in provincia di Grosseto, nonchè Buonconvento, Murlo, Monticiano, San Giovanni d'Asso e Montalcino. Mentre il permesso denominato "Siena" (478 km quadrati) investe Siena e zone famose del Chianti come San Gimignano, Asciano, Murlo, Castellina in Chianti e Colle Val d'Elsa.

Il terzo permesso riguarda infine un'area di 511 km quadrati e comprende per intero o in parte i territori comunali di Volterra, Pomarance, Montecatini, Val di Cecina e Castelnuovo Val di Cecina nella provincia di Pisa, Casole d'Elsa, Radicondoli e Chiusino nella provincia di Siena.

La diffusione della notizia coglie tuttavia impreparati molti dei comuni che, secondo il provvedimento, sarebbero coinvolti dalle trivellazioni: "Noi stiamo facendo un lavoro sullo sviluppo sostenibile, non credo che il nostro territorio sia coinvolto in queste autorizzazioni", spiegano all'ufficio stampa del comune di Castellina in Chianti.

Il sindaco di Montalcino Maurizio Buffi spiega: "Noi ci sentiamo piuttosto tranquilli, perché le zone interessate sono confinanti con il nostro comune, però noi non verremo coinvolti. Come credo che non lo saranno alcuni dei comuni e dei territori dichiarati Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco".

Postilla

La notizia non sembra sia stata smentita: i decreti di autorizzazione regionale ci sono stati. Invece, sembra che siano state ritirate le autorizzazioni inizialmente concesse. C’è però qualcosa che comunque colpisce.

Colpisce che qualcuno abbia potuto pensare di chiedere di trivellare tra la Maremma, il Chianti e la Val d’Orcia. Vuol dire che la Regione Toscana, e per l’estensione l’Italia, sono ritenuti all’estero una nazione che ai propri prestigiosi paesaggi non tiene affatto.

Colpisce che qualcuno, nello staff politico e in quello tecnico della Regione Toscana, abbia potuto concedere l’autorizzazione.

Colpisce che i comuni possano ritenersi tranquilli perché le trivelle oggi (e domani le torri di estrazione) non ricadono nel territorio del loro comune ma solo in quelli confinanti.



Questo evento preoccupa perciò non tanto per il danno emergente (esistono sufficienti anticorpi contro una prospettiva così bestiale), ma per la cultura del territorio che rivelano. È la stessa che induce a rendere edificabili aree solo per ripianare i deficit dei bilanci comunali. È la stessa che induce ad approvare qualsiasi previsione di opera che incrementi lo “sviluppo del territorio”. È lla stessa che induce a chdere ogni municipio in se stesso rinunciando a ogni responsabilità di area vasta. È la stessa, infine, che sollecita a privilegiare, nel governo del territorio, il “mercato” rispetto a qualunque altra dimensione.

Innanzitutto, va rammentato che secondo la (relativamente) recente, ma ormai consolidata, giurisprudenza costituzionale [1], il “Codice dei beni culturali e del paesaggio", approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, e successivamente modificato e integrato, per quanto di interesse di questa comunicazione, con decreto legislativo 24 marzo 2006, n.157 (in prosieguio per brevità denominato semplicemente “Codice”), contiene, contestualmente, disposizioni riconducibili sia alla “materia” denominata “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, appartenente alla legislazione esclusiva dello Stato (comma secondo, lettera s., dell’articolo 117 della Costituzione come riscritto per effetto della legge costituzionale 3/2001), sia alle “materie” denominate “governo del territorio” e “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, appartenenti alla legislazione concorrente, in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (commi terzo e quarto del novellato articolo 117 della Costituzione).

Per cui, ha affermato la Corte, relativamente all’insieme delle disposizioni del “Codice”, le regioni “devono sottostare nell'esercizio delle proprie competenze, cooperando eventualmente a una maggior tutela del paesaggio, ma sempre nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato”[2]. Giacché “la tutela tanto dell'ambiente quanto dei beni culturali è riservata allo Stato […], mentre la valorizzazione dei secondi è di competenza legislativa concorrente […]: da un lato, spetta allo Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, e, dall'altro, le leggi regionali, emanate nell'esercizio di potestà concorrenti, possono assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato” [3]. Cosicché, ha concluso sul punto la Corte, “appare, in sostanza, legittimo, di volta in volta, l'intervento normativo (statale o regionale) di maggior protezione dell'interesse ambientale” [4]. Fermo sempre restando che le regioni debbono “conformarsi” alla “disciplina dettagliata” [5] della Parte III del “Codice”, per quanto essa intersechi la predetta materia denominata “governo del territorio”.

Tutto ciò premesso, si possono ora ricapitolare i prescritti connotati della pianificazione paesaggistica secondo il "Codice”, la dottrina interpretativa in merito sinora conosciuta, e le pronunce della Corte costituzionale. Il "piano paesaggistico" (per esso intendendosi sia la figura pianificatoria così denominata e tipizzata che il "piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici") deve essere formato dalla regione e riguardare “l'intero territorio regionale” [6]. Esso, conseguentemente, deve disciplinare sia gli immobili "vincolati" (a seguito di specifici provvedimenti amministrativi, ovvero ope legis) che ogni altro immobile, ivi compresi quelli ricadenti nelle aree gravemente compromesse o degradate [7].

Il piano deve riferire le sue disposizioni sia a elementi territoriali, individuati in base ai loro caratteri identitari distintivi (boschi, praterie, spiagge, dune, falesie, alvei fluviali, golene, paludi, colline, sommità montane, ecc. ecc.) [8] che ad ambiti (definiti con criteri olistici, in relazione ai profili fisiografici, vegetazionali, di sistemazione colturale, di modello insediativo, e simili, valutati anche in relazione alle dinamiche pregresse e previste, e soprattutto in relazione all'intensità specifica delle interrelazioni tra gli elementi territoriali in essi ricadenti) [9].

Le disposizioni del piano possono avere efficacia sia immediatamente precettiva e direttamente operativa (presumibilmente, buona parte di quelle riferite agli elementi territoriali) che efficacia di direttive necessitanti, per trovare applicazione, della mediazione di uno strumento di pianificazione sottordinato (presumibilmente, la più gran parte di quelle riferite agli ambiti)[10]. In ogni caso, tutte le disposizioni del piano sono tassativamente vincolanti per la pianificazione sottordinata (provinciale e comunale, nonché di qualsiasi altro soggetto, ivi compresi gli enti di gestione dei parchi e delle altre aree protette) [11].

Venendo alla Regione Toscana, va detto innanzitutto che il dianzi sunteggiato insieme di precetti del “Codice” non potrebbe trovare traduzione operativa nell’attività pianificatoria di tale Regione, e, susseguentemente, in quella, di adeguamento alla prima, degli enti locali subregionali, in assenza di una rivisitazione, magari non estesa, ma certamente profonda, della vigente legge regionale per il governo del territorio, la legge regionale 3 gennaio 2005, n.1.

Tale legge regionale, innanzitutto, definisce in termini alquanto diversi da quelli desumibili dagli obiettivi e dalle intenzionalità del “Codice” i contenuti dello strumento di pianificazione di competenza regionale, il Piano di indirizzo territoriale (e ciò al di là di talune stucchevoli trascrizioni letterali di parti di norme dello stesso “Codice”[12]). E soprattutto ne determina in modo tutt’affatto diverso le efficacie. Secondo la suddetta legge regionale, infatti, gli strumenti di pianificazione sovraccomunali (nonché il piano strutturale comunale) non hanno, sostanzialmente, mai efficacia immediatamente precettiva, e direttamente operativa. Né tampoco efficacia realmente cogente nei confronti della pianificazione sottordinata, in conformità a quel “modello rigidamente gerarchico” che, secondo la Corte costituzionale, costituisce un “principio fondamentale” in materia di “governo del territorio”, quantomeno per quanto afferisce ai contenuti della pianificazione riguardanti la tutela dell’”identità culturale” del territorio stesso. Ciò in quanto la legge regionale toscana 1/2005 è interamente e rigidamente improntata all’assunto per cui, a seguito dell’entrata in vigore del novellato Titolo V della Costituzione, comuni, province, città metropolitane, regioni, e Stato sarebbero soggetti “equiordinati”, e altrettanto “equiordinati” sarebbero gli strumenti di pianificazione di competenza di tali livelli e soggetti istituzionali. Con la conseguenza che il rimedio esperibile nei casi di strumenti di pianificazione comunali difformi (anche clamorosamente) dalla pianificazione della provincia territorialmente competente (o dalla pianificazione regionale), ovvero di strumenti di pianificazione provinciali difformi (anche clamorosamente) dalla pianificazione regionale, consiste nel rivolgersi a una “conferenza paritetica interistituzionale”, alle cui pronunce il soggetto pianificatore responsabile della formazione degli strumenti difformi può peraltro non adeguarsi, residuando al soggetto responsabile dello strumento di pianificazione contraddetto la potestà di approvare “specifiche misure di salvaguardia” che comportano la “nullità di qualsiasi atto con esse contrastanti”.

La Corte costituzionale è stata chiamata dal Governo [13] a pronunciarsi soltanto su tre norme della legge regionale toscana 1/2005, delle quali solamente una, a ben vedere, concerneva (anche) gli ora indicati elementi strutturali della pianificazione territoriale, di pretesa valenza (anche) di tutela “paesaggistica”. Assai più numerosi, a mio parere, erano, come sono, i contenuti della legge regionale toscana 1/2005 che potrebbero essere dichiarati costituzionalmente illegittimi, anche limitatamente a motivi di contrasto con il “Codice”, e ciò sia con riferimento ai profili “pianificatori” che ai profili “gestionali” della “tutela” dei “beni paesaggistici”. Essi non hanno costituito, a suo tempo, e nei termini, oggetto di ricorso governativo, il che non toglie che le relative questioni di legittimità costituzionale possano essere sollevate, in via incidentale, da chiunque vi abbia interesse. Ad ogni buon conto, la Regione Toscana si è ben guardata dal procedere a modificare le norme puntualmente dichiarate costituzionalmente illegittime [14].

Sulla base (anche) delle quali, nonché d’ogni altra norma della legge regionale 1/2005, la Giunta regionale della Toscana ha proceduto, con decisione del 15 gennaio 2007, n.9, a fare propri i predisposti elaborati del nuovo Piano di indirizzo territoriale, e a proporli al Consiglio regionale per l’adozione.

Tra tali elaborati, quello denominato “disciplina del Piano”, per dichiarazione dello stesso, “qualifica il Piano di indirizzo territoriale come strumento di pianificazione territoriale” [15], “definisce lo Statuto del territorio toscano e formula le direttive, le prescrizioni e le salvaguardie concernenti le invarianti strutturali che lo compongono e la realizzazione delle agende di cui lo Statuto si avvale ai fini della sua efficacia sostantiva” [16], “definisce lo Statuto del territorio toscano mediante l’individuazione dei metaobiettivi - unitamente agli obiettivi conseguenti - che ne compongono la agenda statutaria”, fermo restando che “la definizione quali invarianti strutturali dei suddetti metaobiettivi e delle invarianti attinenti alle infrastrutture e ai beni paesaggistici di interesse unitario regionale, insieme alle linee di azione necessarie a conferire effettività all’agenda statutaria, costituiscono il contenuto sostantivo dello Statuto del territorio [17]“, “definisce le invarianti strutturali e individua i principi cui condizionare l’utilizzazione delle risorse essenziali [18]“, e “contempla come sua parte integrante la disciplina dei paesaggi che assumerà valore di piano paesaggistico [19]“.

Gli altri elaborati del Piano di indirizzo territoriale sono denominati “documento di Piano” e “Quadro conoscitivo” (costituito, tra l’altro, da “quadri analitici di riferimento” e da un “Atlante ricognitivo dei paesaggi”[20]. Mentre è detto che “integrano […] la presente disciplina”, tra l’altro, “gli indirizzi e le prescrizioni per la pianificazione delle infrastrutture dei porti e degli aeroporti toscani”[21] [i corsivi sono miei. N.d.r.].

Da quanto riportato, si dovrebbe ordinariamente dedurre che quello denominato “disciplina del Piano” costituisca (con le integrazioni da ultimo dette) l’unico elaborato del Piano di indirizzo territoriale avente contenuto precettivo (essendo il valore degli altri, essenzialmente, oltre che espositivo, motivazionale e di supporto).

Conoscendo le modalità espressive consuete degli organi della Regione Toscana, non me la sento di asserire perentoriamente che così sia nelle intenzioni dei rappresentanti pro tempore di tali organi, sia tecnici che politici. Ma, per converso, ritengo che, invariate restando le espressioni utilizzate, nella loro singolarità e nel loro complessivo contesto, difficilmente eventuali intenzioni dei predetti organi radicalmente diverse dall’interpretazione da me appena sopra suggerita sarebbero avvalorate dalle istanze della giustizia amministrativa, nei casi di contenzioso.

Ad ogni buon conto, l’elaborato denominato “disciplina del Piano” proclama che “il presente Piano tutela i beni del paesaggio” [22] e specifica [23] che “la disciplina dei beni paesaggistici prevede”:

- “la ricognizione analitica dell’intero territorio nelle sue caratteristiche storiche, naturali, estetiche e nelle loro interrelazioni unitamente alla conseguente definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare, così come contemplata nell’elaborato intitolato I territori della Toscana che è allegato al quadro conoscitivo del presente Piano”;

- “l’analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, nonché l’analisi comparata delle previsioni degli atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo”, e “l’individuazione degli ambiti paesaggistici”, entrambe contenute “nell’Atlante dei paesaggi toscani che è parte degli allegati documentali [il corsivo è mio. N.d.r.] per la disciplina paesaggistica”;

- “la individuazione” delle aree “vincolate” ope legis “insieme alle norme per la loro tutela e valorizzazione”, “la definizione di prescrizioni generali ed operative per la tutela e l’uso del territorio compreso negli ambiti individuati”, “la determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge e dei criteri di gestione e degli interventi di valorizzazione paesaggistica degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico”, “l’individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione”, “l’individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico, alle quali debbono riferirsi le azioni e gli investimenti finalizzati allo sviluppo sostenibile delle aree interessate”, “la tipizzazione e l’individuazione […] di singoli immobili o di aree […] da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione”, le quali tutte “risultano dalla disciplina paesaggistica dei piani territoriali di coordinamento delle Province, assunta dal presente Piano e descritta nel documento intitolato Le qualità del paesaggio nei PTC, che è parte degli allegati documentali [il corsivo è mio. N.d.r.] per la disciplina paesaggistica.

L’elaborato intitolato I territori della Toscana, allegato, come detto, al quadro conoscitivo del Piano, ovvero, come parimenti detto altrove (sempre nella “disciplina del Piano”), costitutivo del quadro conoscitivo del Piano, in quanto “quadro analitico di riferimento”, associa a sintetiche descrizioni, sia sincroniche che diacroniche, di un rilevantissimo numero di articolazioni del territorio regionale, l’ancora più sintetica indicazione dei relativi “punti di forza” e “punti di debolezza”, escluso comunque restando qualsiasi suggerimento vagamente precettivo.

L’elaborato intitolato Atlante dei paesaggi toscani, che, come detto, è parte degli allegati documentali, ovvero, come parimenti detto altrove (sempre nella “disciplina del Piano”), è elemento costitutivo del quadro conoscitivo del Piano, denominandosi Atlante ricognitivo dei paesaggi, si configura come un abbastanza pregevole “album di cartoline”, riferito a un (diverso) rilevantissimo numero di articolazioni del territorio regionale, e corredato di notazioni, estremamente sintetiche, sia fotografiche che testuali (didascalie, in buona sostanza), afferenti le voci: geomorfologia, idrografia naturale, idrografia antropica, mosaico forestale, mosaico agrario, insediamento storico, insediamento moderno e contemporaneo, reti e impianti viari e tecnologici, alterazioni paesistiche puntuali profonde, alterazioni paesistiche indotte, emergenze paesistiche. Anche in questo caso, non è dato rintracciare qualsivoglia suggerimento vagamente precettivo.

L’elaborato intitolato Le qualità del paesaggio nei PTC, che, come detto, è parte degli allegati documentali, e che, altrove, nell’elenco degli elaborati costitutivi del Piano di indirizzo territoriale (sempre nella “disciplina del Piano”), non è neppure partitamente citato, costituisce un “florilegio”, come avrebbero detto ai tempi di mio nonno, ovvero un’”antologia”, delle disposizioni attinenti alla tutela del “paesaggio” (o, più latamente, dell’”identità culturale del territorio”) contenute nelle diversissime normative dei piani territoriali di coordinamento delle dieci province toscane.

La stragrande parte delle indicazioni che, secondo le dianzi letteralmente riportate espressioni della “disciplina del Piano”, dovrebbero “risultare dalla disciplina paesaggistica dei piani territoriali di coordinamento delle Province”, in realtà non risultano affatto in tale disciplina, e meno che mai in quella – selettivamente - “descritta nel documento intitolato Le qualità del paesaggio nei PTC”. In quest’ultimo documento, comunque, si evita scrupolosamente di riprodurre quei precetti, pur presenti nella disciplina dettata dai piani territoriali di coordinamento delle province, che abbiano corrispondenza biunivoca con specifiche categorie di elementi territoriali individuati in elaborati cartografici in scala adeguata, cioè le disposizioni puntualmente relazionate alle specifiche e peculiari caratteristiche conformative, meritevoli di tutela conservativa, dei concreti elementi territoriali considerati (non foss’altro che perché in tale documento non compaiono elaborati cartografici idonei a individuare tali elementi territoriali).

Quanto appena ora precisato è stato evidenziato in relazione all’assunto, ammesso per amor di dialettica, ma assolutamente non concesso, per cui a un documento qualificato come allegato documentale l’elaborato del Piano di indirizzo territoriale denominato “disciplina del Piano” potrebbe aver conferito efficacia precettiva, obbligante nei confronti dell’attività di pianificazione provinciale (che, sia detto per inciso, dovrebbe adeguarsi a sé medesima, venendo i suoi contenuti di molti anni addietro “congelati” nella nuova pianificazione regionale) e comunale.

Sempre ammesso e non concesso l’assunto predetto, esso ben difficilmente potrebbe ritenersi non confliggente con la dottrina della Corte costituzionale afferente alla pianificazione paesaggistica, la quale ha affermato [24] che il piano paesaggistico “deve essere unitario, globale, e quindi regionale”, e che a esso “deve sottostare la pianificazione urbanistica ai livelli inferiori”,e che “l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica” deve essere “assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme […]: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali” [i corsivi sono miei. N.d.r.].

L’elaborato denominato “disciplina del Piano” afferma quindi [25] che “la Regione […] provvede a implementare la disciplina paesaggistica contemplata nello Statuto di cui al presente Piano attraverso accordi di pianificazione […] con le Amministrazioni interessate”.

Ma, quantomeno in invarianza della legge regionale 1/2005, la definizione degli strumenti di pianificazione subregionali attraverso conferenze e accordi di pianificazione costituisce un possibile percorso procedimentale, alternativo a quello ordinario per cui ogni soggetto istituzionale competente procede alla formazione dei propri strumenti di pianificazione (e atti di governo del territorio) entro il circuito dei propri organi decisionali, essendo tenuto ad attivare la procedura della conferenza e dei susseguenti accordi di pianificazione “qualora emergano profili di incoerenza o di incompatibilità rispetto ad altri strumenti della pianificazione territoriale”, e non si intenda procedere a un mero adeguamento[26]. Altrimenti detto, qualsiasi soggetto istituzionale sub-regionale potrebbe tranquillamente ritenere, e agevolmente sostenere, che i contenuti dei propri strumenti di pianificazione (e atti di governo del territorio) non presentano alcun “profilo di incoerenza o di incompatibilità” con uno strumento di pianificazione regionale che non avesse, come emerge chiaramente essere nel caso del nuovo Piano di indirizzo territoriale della Regione Toscana, pressoché alcun reale contenuto precettivo. E conseguentemente non si vede perché dovrebbe attivare conferenze e accordi di pianificazione.

Sempre l’elaborato denominato “disciplina del Piano” stabilisce [27] che “l’autorizzazione [paesaggistica] è rilasciata sulla base della valutazione di compatibilità degli interventi rispetto al vincolo paesaggistico quale risulta dalla schede contemplate nel documento intitolato Schede dei vincoli paesaggistici, che è parte degli allegati documentali [il corsivo è mio. N.d.r.]., e che “costituiscono comunque riferimento per l’esercizio dell’attività autorizzativa […] le prescrizioni e le direttive contenute negli articoli 22, 23, 24, 25, 27 e 28 della presente disciplina”.

Premesso che è oscura la ragione per cui elaborazioni tanto – presuntivamente – rilevanti debbano costituire riferimento soltanto, a valle, per l’attività autorizzativa, e non, prioritariamente, a monte, per quella pianificatoria, occorre fare presente che le schede relative ai “vincoli paesaggistici” disposti con specifici provvedimenti amministrativi contengono esclusivamente sommarissime descrizioni dei valori riconosciuti nei siti interessati, così come i provvedimenti di istituzione del “vincoli”, ai quali provvedimenti soltanto il “Codice” ha imposto, a far data dalla sua entrata in vigore nel 2004, di recare anche precetti sostanziali [28]. Quanto alle prescrizioni e alle direttive contenute negli articoli puntualmente enumerati del medesimo elaborato denominato “disciplina del Piano”, si tratta delle disposizioni afferenti il “patrimonio collinare” e il “patrimonio costiero” della Toscana: disposizioni che i limiti quantitativi massimi imposti a questa comunicazione mi impongono di qualificare apoditticamente come rientranti in quella categoria di precetti che Bruno Visentini chiamava “norme che dispongono di volere bene alla mamma” (le quali, scontatamente, non vengono, in sede teorica, rifiutate neppure da Pietro Maso e da Erika Di Nardo).

Conclusivamente, trova ampia conferma, sulla base di una seppure ancora sinteticissima analisi critica dei suoi elaborati definitivi, il giudizio sommario sul nuovo Piano di indirizzo territoriale toscano pronunciato un paio di mesi or sono da Edoardo Salzano, dopo avere dato una veloce scorsa ai suoi elaborati provvisori: “un piano di chiacchiere”.

A chi voglia contestare questa mia conclusione, come a chi voglia confermarla, e soprattutto a chi voglia, laicamente, verificarla, propongo di effettuare la “prova della bontà del budino”, che, come dicevano i vittoriani inglesi, consiste nel mangiarlo.

Nella fattispecie, potrebbe consistere nel rintracciare, in tutti gli elaborati del nuovo Piano di indirizzo territoriale, un solo precetto che, domani, divenuto vigente tale piano, inibirebbe drasticamente la previsione e la realizzazione della famosa lottizzazione di Monticchiello (o di uno degli altri “schifi” che sono stati denunciati, e talvolta riconosciuti per tali dai vertici politico-istituzionali della Regione Toscana).

Che le inibirebbe, voglio dire, non a seguito di pressioni discrezionali, di contrattazioni tecniche e politiche, di scambi di varia natura, tra soggetti istituzionali e, concretamente, tra i loro reggitori pro tempore, il tutto sotto l’usbergo del vaniloquio sulla “equiordinazione” delle istituzioni, ma, invece, sulla base del (sacrosanto) principio fondamentale, introdotto nell’ordinamento repubblicano a far data dall’entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n.142, per cui la formazione degli strumenti di pianificazione non è più un “atto complesso ineguale”, ma, invece, vede subordinata la sua conclusione alla verifica della conformità degli strumenti, oltre che agli atti aventi forza di legge, alle disposizioni espressamente poste dai soggetti istituzionali sovraordinati nei propri strumenti di pianificazione.

[1] Si possono ricordare, per la loro precipua attinenza, le sentenze della Corte costituzionale 10 - 26 luglio 2002, n.407, 18 - 20 dicembre 2002, n.536, 19 dicembre – 20 gennaio 2004, n.26, 8 - 16 giugno 2005, n.232, 20 aprile – 5 maggio 2006, n.182; in http://www.cortecostituzionale.it..

[2] Sentenza della Corte costituzionale 182/2006, cit..

[3]Ibidem.

[4]Ibidem.

[5]Ibidem.

[6] Articolo 135, comma 1, del "Codice".

[7] Articolo 135, comma 3, lettera c), e articolo 143, comma 1, lettera g), del "Codice".

[8] Articolo 135, comma 3, lettera a), articolo 143, comma 1, lettere b) e f), nonché passim, del "Codice".

[9] Articolo 135, comma 2 e passim, e articolo 143, comma 1, lettere d) ed e), nonché passim, del "Codice".

[10] Articolo 142, comma 2, articolo 145, commi 3, 4 e 5, del "Codice dei beni culturali e del paesaggio".

[11] Articolo 145, comma 3, del "Codice dei beni culturali e del paesaggio".

[12] Si veda, per esempio, il comma 3 dell’articolo 33 della legge regionale 1/2005.

[13] Con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri in data 4 marzo 2005, notificato il 10 marzo 2005, e depositato il 15 marzo 2005.

[14] Con sentenza della Corte costituzionale 182/2006, cit..

[15] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 1, comma 1.

[16] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 1, comma 2.

[17] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 2.

[18] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 6, lettera b), primo “a linea”.

[19] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 6, lettera b), secondo “a linea”.

[20] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 6, lettere a) e c).

[21] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 7, lettera b).

[22] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 31, comma 1.

[23] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 31, comma 3.

[24] Proprio nella sentenza con cui ha censurato la legge regionale toscana 1/2005, cioè nella sentenza 182/2006, cit..

[25] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 33, comma 1.

[26] Legge regionale 1/2005, articolo 16, comma 4, articolo 17, articolo 18, articoli 21, 22 e 23.

[27] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 34, commi 2 e 3.

[28] Articolo 138, comma 2, e articolo 140, comma 2, del "Codice".

Ho molto apprezzato la disponibilità al confronto manifestata anche in questa occasione da Riccardo Conti e da Claudio Martini (“Il Tirreno” di venerdì 25 e di domenica 27 maggio), e soprattutto il tono dei loro interventi, qua e là comprensibilmente piccato (le critiche non piacciono a nessuno), ma pur sempre pacato e costruttivo.

La scintilla era stato un mio commento pubblicato la domenica precedente: spunto, a mo’ di emblema, un nuovo residence in costruzione sulla spiaggia di Talamone (45 appartamentini), ad appena 140 metri dal mare, e l’accesa discussione che ne era nata con “un importante uomo politico toscano” - Conti, appunto - che io avevo celato dietro un sipario di riservatezza, ma che si è sportivamente auto-svelato su queste pagine; domanda di fondo, che cosa faccia la Regione per evitare ferite edilizie e urbanistiche e come sia possibile limitare e mitigare quelle inferte in passato ma in via di realizzazione oggi.

Del resto, il problema c’è se architetti e amministratori hanno lavorato mesi e mesi per stendere un piano del territorio (il famoso Pit) che dettasse norme più stringenti, prevedendo addirittura la possibilità (articoli 36 e 37) di rivedere la congruità alle nuove regole di progetti depositati o in itinere.

Su molte delle cose dette dal presidente della Regione e dal suo assessore all’urbanistica, concordo pienamente. Ha ragioni da vendere Martini quando afferma, per esempio, che sarebbe sbagliato risolvere la questione dicendo sempre e solo “no” a tutto: l’immobilismo genera degrado. E come dargli torto quando ricorda che costruire poco non basta, ma che occorre farlo bene, secondo standard di qualità alti?

È nel vero anche Conti quando ricorda che la Regione si sta impegnando al massimo in campo urbanistico e che sta producendo uno sforzo legislativo senza precedenti. Da entrambi accolgo poi con soddisfazione l’invito a una grande alleanza tra amministratori, tecnici, mondo della cultura e dell’informazione a tutela del paesaggio: quando con il “Tirreno” denunciamo brutture, o diamo voce alle proteste dei cittadini, o stimoliamo l’amministrazione (forse con argomenti poco tecnici e molto tranchant, com’è nella natura stessa del nostro mestiere, ma sinceri) pensiamo di andare proprio in quella direzione. Però...

Però ci sono alcune cose che vorremmo riproporre ancora, con spirito niente affatto demolitorio. Non è esatto, per esempio, che dieci-venti anni fa nessuno osteggiasse piani e progetti per i quali invece si protesta oggi con sindaci e assessori che li hanno ereditati e che stanno correndo ai ripari con nuovi strumenti urbanistici.

No, la protesta c’era eccome, ma rappresentava la proverbiale “vox clamantis in deserto” perché non c’erano allora né coscienza ambientale diffusa, né amministratori disposti ad ascoltare, né le sensibilità di oggi. Basta parlare con i funzionari di un qualsiasi Comune toscano per averne conferme illuminanti.

In quanto ai comitati di protesta che sorgono qua e là, è sbagliato temerli o demonizzarli. Se si invoca un’alleanza bisogna sapere che l’opinione pubblica è fatta anche di “no” decisi. Certo, la Regione non può governare realtà complesse e variegate dicendo solo “no” come molti comitati vorrebbero, ma è opportuno ascoltarli perché segnalano comunque situazioni di sofferenza.

E poi. È vero che in ogni borgo della Toscana c’è un qualche “lascito plausibile” (come lo chiama Conti) con il quale misurarsi. Rolando Di Vincenzo, assessore all’Urbanistica del Comune di Orbetello, ha rifatto la storia (complessa e contrastata, fatta di promozioni e bocciature) di quello di Talamone (“Il Tirreno” di giovedì) e avrà sicuramente ragione e tutte le carte in regola, e sarà pure legittimo - per carità - che sorga a 140 metri dal mare. Ma la Talamone del 2007 non è quella degli anni Sessanta e nemmeno quella del 1995, e se non si può fare niente per armonizzare 7500 metri cubi (per un residence i 4500 dell’inizio non potevano bastare) con le mutate condizioni locali ci deve essere - insisto - qualcosa che non va nella stessa normativa e negli strumenti di controllo.

Certo, ora c’è ben poco da fare. Una volta rilasciata, una concessione edilizia è pressoché intoccabile, qualche sindaco che ci ha provato è stato smentito prontamente dal Tar e talvolta costretto anche a pagare fior di danni. Ma Conti, Martini, credete davvero che tale indiscutibile dato di fatto basti a placare lo sconcerto se non l’indignazione di un toscano, di un inglese, di un tedesco che passi per Castelfalfi o Talamone, Capalbio o Castagneto Carducci, Monticchiello o l’Abetone?

Eppure è proprio questo il problema sul quale misurarsi oggi. Alberto Asor Rosa aveva provocatoriamente proposto, per esempio, l’istituzione di un fondo nazionale o regionale che servisse a risarcire coloro ai quali venisse bloccato un progetto approvato ma in palese contrasto con le attuali sensibilità in materia di ambiente, paesaggio, inquinamento.

Non so dire se l’idea sia giusta o bislacca, ma certo qualcosa ci si deve inventare perché le amministrazioni comunali si muniscano di regolamenti urbanistici più rigorosi per imporre non certo il blocco, ma almeno la modifica di costruzioni offensive per la storia, la cultura, le tradizioni locali.

Qui si sottolinea solo un’esigenza, non si indica una soluzione tecnica alla quale dovrebbero pensare giuristi e architetti. E si insiste anche per via di un particolare. Il Pit regionale consta di 857 pagine, e forse ce ne sono altrettante di norme accessorie, lettura impegnativa anche per il più ferrato degli avvocati.

Conoscendo tempi e usi della nostra burocrazia, e di quella urbanistica in particolare, occorreranno anni prima che ogni dettaglio sia stato sviscerato e applicato, e ogni tranello aggirato, e ogni scappatoia chiusa. Nel frattempo, che cosa accadrà? E se tra dieci anni dovessimo ritrovarci qui a piangere impotenti su qualche “lascito plausibile”? Forza, pensiamoci ora.

Postilla

Paolo Baldeschi e Alberto Magnaghi avevano proposto l’estensione alla costa di una norma di salvaguardia già prevista dal PIT per le aree collinari e montane ( è qui), ma Conti l’ha violentemente respinta. Del resto, se si teorizza che il “mercato” deve entrare nei processi di piano, non come fenomeno da governare, ma come protagonista, alla pari della mano pubblica (lo afferma spesso Massimo Morisi, ispiratore del PIT ed estensore delle sue più limpide pagine), e se si vede il territorio solo come contenitore di potenzialità di sviluppo (economico, naturalmente), allora è chiaro che la tutela è solo come una fastiidiosa richiesta di chi non capisce nulla.

Premessa: cronaca dell’incontro

Il documento che presentiamo è stato discusso l’11 maggio scorso, nell’ambito di un interessante incontro sul Piano d’inquadramento territoriale della Toscana. Si è trattato di un confronto tra un gruppo di docenti della Corso di laurea in Urbanistica e pianificazione territoriale e ambientale di Firenze, che aveva preparato un documento critico sul PIT, e l’assessore Riccardo Conti, accompagnato da funzionari ed esperti della Regione.

L’incontro è iniziato con un intervento di Alberto Magnaghi, che ha ampiamente illustrato il documento preparato - a conclusione di un’attività seminariale che aveva visto partecipare numerosi docenti della facoltà - da lui stesso e da Paolo Baldeschi (il documento è scaricabile utilizzando il link in calce). Nel documento erano espresse numerose critiche al PIT e alcune proposte alternative, sulle quali ci si aspettava una puntuale replica degli interlocutori regionali. Questi (Marco Gamberini, riccardo Baracco e Massimo Morisi) si sono limitati a ribadire le tesi e gli argomenti del PIT evitando di entrare nel merito delle proposte avanzate nel documento Magnaghi-Baldeschi. Le critiche al PIT sono state ribadite e accentuate negli interventi di altri docenti (Pardi Pizziolo, Sgrelli, Ventura).

Il dibattito veniva a questo punto riassunto da Paolo Baldeschi, il quale presentava un documento nel quale, a partire dalla critica sulla tutela dei beni paesaggistici, si propone di rendere operativi ed immediatamente efficaci alcuni articoli della Disciplina del PIT riguardanti le invarianti strutturali “patrimonio collinare” e “patrimonio costiero”. Si tratta dei territori più interessati dalle ‘aspettative e le conseguenti iniziative di valorizzazione finanziaria nel mercato immobiliare’, aspettative che il PIT si propone di disincentivare mediante una revisione degli strumenti urbanistici, rinviando però l’efficacia di questa espressa intenzione a un tempo indeterminato.

Intervenendo con molta durezza l’assessore Conti, pur dichiarandosi aperto al confronto per una revisione a lungo termine delle posizioni, delle scelte e delle procedure espresse nel PIT, ha ribadito con forza la validità dell’impostazione del PIT. Ha tratteggiato la linea politica regionale come caratterizzata da una forte regia pubblica (diversamente che in Lombardia, in Toscana si rivendica un primato della politica sull'impresa), una forte differenziazione dei ruoli (la regione usa la leva finanziaria-programmatoria, i comuni decidono l'uso del territorio), la scelta di una collaborazione invece che di un riscontro di conformità. Nessun ripensamento quindi, nessuna disponibilità a correggere il PIT, nessuna intenzione di porre limiti certi (condizioni, tutele, statuti) alle pratiche di concertazione istituzionale.

In particolare, Conti ha affermato che il PIT non può né vuole delimitare alcun ambito e quindi eventuali norme di salvaguardia sono impossibili (se non per i “beni paesistici” già perimetrati da atti amministrativi pregressi). Rovesciando il senso di una importante acquisizione culturale in merito alla tutela ha proposto di sostituire il termine “invariante strutturale” con l’espressione “capacità o potenzialità dei suoli” (sic). Infine, ha suscitato lo stupore degli urbanisti presenti affermando che in nessuna parte di Europa le trasformazioni territoriali sono il risultato di piani di area vasta, ma ovunque decidono i piani, comunali dimostrando di ignorare che in tutt’Europa (per non parlare delle esperienze degli anni Quaranta del secolo scorso, si sta individuando da oltre un decennio nella pianificazione sovracomunale uno strumento essenziale per la lotta al consumo di suolo e il controllo della diffusione urbana. Ultimo caso: il nuovo Schema directeur de la région Ile-de-France, che perimetra rigorosamente le aree rurali, rendendo efficace (opposable alla pianificazione comunale comunale) la direttiva“pérenniser l’espace agricole” (si veda l’articolo di Maria Cristina Gibelli per eddyburg)

UNA PROPOSTA PER RENDERE IMMEDIATAMENTE OPERATIVE ALCUNE NORME DEL PIT RELATIVE ALLA TUTELA DEL PAESAGGIO

La proposta che qui viene avanzata è integrativa di quella già formulata dal Corso di laurea in Pianificazione urbanistica territoriale e ambientale e dal Corso di laurea in Progettazione e pianificazione della città e del territorio con il titolo “Note sul Piano di Indirizzo Territoriale della Regione Toscana”. Mentre quest’ultima proposta ha un carattere strutturale e richiede un processo dialogico che porti alla revisione contestuale di parti del PIT e della LR 1/2005, il presente documento ne anticipa alcuni contenuti in forma di salvaguardia. E’ ovvio che, data la forma negativa delle prescrizioni di salvaguardia, esse dovranno essere superate in un arco ragionevole di tempo da disposizioni di tipo positivo nell’ambito del processo di revisione cui si è fatto cenno.

La proposta mira a rendere operativi ed immediatamente efficaci alcuni articoli della Disciplina del PIT riguardanti le invarianti strutturali “patrimonio collinare” (art.20 e sg.) e “patrimonio costiero” (art. 26 e sg.). Si tratta dei territori più interessati dalle ‘aspettative e le conseguenti iniziative di valorizzazione finanziaria nel mercato immobiliare’, aspettative che il PIT si propone di disincentivare mediante una revisione degli strumenti urbanistici (si veda: Disciplina del PIT, art. 21 comma 2, art. 27, comma 4)

Lo Statuto territoriale del PIT ha formulato una serie di prescrizioni volte alla tutela di tali invarianti strutturali, prescrizioni che tuttavia postulano (salvo pochissime eccezioni) un adeguamento degli strumenti urbanistici di Province e Comuni. Alcune di queste prescrizioni sono integrate o riformulate come “obiettivi di qualità” nelle schede del PIT riferite agli “ambiti paesaggistici” e tuttavia anche in questo caso gli obiettivi sono espressi come direttive o indirizzi agli enti locali con la formula “gli strumenti di pianificazione territoriale assicurano il perseguimento dei seguenti obiettivi .... ”, senza alcuna efficacia immediatamente cogente. Il rischio, ma si potrebbe dire la certezza, è che, una volta portato a termine il complesso iter di adeguamento degli strumenti urbanistici, buona parte del patrimonio territoriale che si vuole tutelare attraverso il piano paesaggistico sarà irrimediabilmente compromesso. Anzi, lo stesso piano paesaggistico può dare un’accelerazione alle operazioni speculative per i suoi effetti di tutela procrastinata.

La necessità e opportunità di rendere immediatamente operative alcune norme contenute nel PIT, in modo tale che esse assumano una funzione di salvaguardia rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti è supportata da solide ragioni sia di natura sostanziale sia di natura normativa.

Si è già accennato alle questioni di merito e, d’altra parte, è sufficiente prendere atto delle numerose “iniziative di valorizzazione immobiliare” in corso, per lo più costituite da lottizzazioni a villette destinate a seconde e terze case e comunque non rispondenti ad alcun fabbisogno abitativo solvibile. Le ragioni per cui i Comuni sono a parole virtuosi nei Piani Strutturali e nei fatti promotori o acquiescenti alla speculazione edilizia nei Regolamenti Urbanistici sono state ampiamente analizzate e qui sono date per acquisite. E’ tuttavia opportuno sottolineare che i Comuni hanno una debole capacità di resistenza rispetto ad un blocco di interessi che vede coinvolti capitali finanziari, imprese ed operatori edili, proprietari fondiari e come, in tali circostanze, assuma un’importanza vitale la “protezione” di un supporto normativo e pianificatorio meno sensibile alle pressioni locali.

Da un punto di vista giuridico norme di “salvaguardia” di immediata efficacia sono previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e pertanto giustificate dal fatto che lo Statuto territoriale del PIT ha valore di Piano paesaggistico, contenendo l’individuazione delle invarianti strutturali e la formulazione delle prescrizioni correlate.

Si ricorda a tale proposito che ‘le disposizioni del Piano paesaggistico possono avere efficacia sia immediatamente precettiva e direttamente operativa che efficacia di direttive necessitanti[1], per trovare applicazione, della mediazione di uno strumento di pianificazione sottordinato[2]. Si veda a questo proposito l’art. 3 dell’Intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Regione Toscana siglata il 23 gennaio 2007[3] . Particolarmente significativo in questo senso (cioè relativamente alla possibile immediata efficacia precettiva di punti cruciali della disciplina del PIT), l’art. 48, comma 4d della LR 1/2005 che recita: ‘Ai fini di cui al comma 3, il piano di indirizzo territoriale stabilisce: (....)

d) le misure di salvaguardia immediatamente efficaci, pena di nullità, di qualsiasi atto con esse contrastanti, sino all’adeguamento degli strumenti della pianificazione territoriale e degli atti di governo del territorio di comuni e province allo statuto del territorio.

Le norme di immediato valore precettivo

Riportiamo dalla Disciplina del PIT le norme di cui si propone un’immediata efficacia.

Articolo 20 – Il patrimonio “collinare” della Toscana quale terza invariante strutturale dello Statuto.

Definizione tematica.

2. Il lemma “patrimonio collinare” - di cui al paragrafo 6.3.3 (con riferimento al primo obiettivo conseguente ivi contemplato) del Documento di Piano - designa ogni ambito o contesto territoriale - quale che ne sia la specifica struttura e articolazione orografica (collinare, montana, di pianura prospiciente alla collina ovvero di valle) - con una configurazione paesaggistica, rurale o naturale o a vario grado di antropizzazione o con testimonianze storiche o artistiche o con insediamenti che nerendono riconoscibile il valore identitario per la comunità regionale nella sua evoluzione sociale o anche per il valore culturale che esso assume per la nazione e per la comunità internazionale.

Articolo 21 – Il patrimonio “collinare” della Toscana come agenda di applicazione dello statuto. Direttive ai fini della conservazione attiva del suo valore.

7. Nelle aree di cui all’art. 20 sono comunque da evitare le tipologie insediative riferibili alle lottizzazioni a scopo edificatorio destinate alla residenza urbana.

8. Nelle more degli adempimenti comunali recanti l’adozione di una disciplina diretta ad impedire usi impropri o contrari al valore identitario di cui al comma 2 dell’art. 20, sono da consentire, fatte salve ulteriori limitazioni stabilite dagli strumenti della pianificazione territoriale o dagli atti del governo del territorio, solo interventi di manutenzione, restauro e risanamento conservativo, nonché di ristrutturazione edilizia senza cambiamento di destinazione d’uso (ns corsivo).

Articolo 27 – Il patrimonio “costiero” della Toscana come agenda di applicazione dello statuto. Direttive ai fini della conservazione attiva del suo valore.

2. Il lemma “patrimonio costiero” - di cui al suddetto paragrafo 6.3.3 (sottoparagrafo 2) del Documento di Piano - designa il valore paesaggistico e funzionale del territorio - urbano ed extraurbano - che dipende dal mare e dalle relazioni organiche che con esso intrattengono le comunità e le attività umane insediate sul litorale toscano e nelle sue città, insieme alle testimonianze storico-culturali e alle specifiche funzioni portuali, ricettive e infrastrutturali che quelle comunità e quelle attività identificano e qualificano nell’insieme del territorio regionale sia per il passato sia per il futuro.

3. Sono da evitare nuovi interventi insediativi ed edificatorî su territori litoranei a fini residenziali e di ricettività turistica, se non in ottemperanza alla direttiva anticipata nel sottoparagrafo 2 del paragrafo 6.3.3 del Documento di Piano. (ns corsivo).

In sintesi, per ciò che riguarda il patrimonio collinare la disciplina del PIT prevede che nel tempo occorrente affinché gli strumenti urbanistici si adeguino alle sue direttive di tutela paesaggistica, siano permesse solo operazioni relative all’edilizia esistente (escludendo peraltro la ristrutturazione urbanistica). Si propone perciò di integrare l’agenda con una uguale disposizione riguardante il patrimonio costiero, tenendo conto delle analogie esistenti fra le due invarianti strutturali rispetto agli interventi di “valorizzazione immobiliare” e, conseguentemente, della necessità di simmetriche misure di salvaguardia.

Conclusioni

Rendere immediatamente efficaci le disposizioni precedentemente indicate non comporta alcuna modifica di poteri e competenze, né richiede varianti al PIT adottato se non per un comma che ripeta nell’art. 27, relativamente al patrimonio costiero, quanto già previsto dal comma 8 dell’art. 21 per il patrimonio collinare. Per rendere operative le norme di salvaguardia di colline e coste tuttavia è operazione essenziale e sostanziale definirne con precisione gli ambiti di applicazione, cioè quali siano i confini delpatrimonio collinare e dei territori litoranei. Si tratta di un compito che può essere svolto dagli organismi competenti della Regione (con l’eventuale collaborazione di istituti universitari) in un arco di tempo relativamente breve e tale da assicurare con la necessaria tempestività la tutela paesaggistica delle parti di territorio più soggette a pressioni speculative.

Allegato

Documento par 6.3.3 punto 2

Mutatis mutandis, anche per le coste la Regione adotta un indirizzo preciso. Che si può sintetizzare come segue: salvo che per i porti, …non si urbanizza a mare. Contestualmente, la Regione intende superare il “piano della portualità turistica” così come oggi configurato, e privilegiare una portualità in cui l’offerta turistico-diportistica adotti una nuova selettività: sia sul piano della qualità che della quantità degli interventi modificativi. Una selettività, in particolare, che sia comunque ancorata alla filiera cantieristica e manutentiva della industria nautica toscana e alle sue dislocazioni territoriali. Così, come per il patrimonio “collinare” e rurale della Toscana, anche per le coste la Regione ritiene necessario interrompere il proliferare di attività meramente orientate alla valorizzazione immobiliare e alla conseguente speculazione di breve periodo. Vogliamo privilegiare - invece - chiari e innovativi disegni imprenditoriali, capaci di far sistema con un’offerta turistica organizzata e integrata nella chiave di servizi plurimodali e coordinati. E che, al centro della sua attrattività, abbia un paesaggio costiero integro e pienamente riconoscibile nella varietà dei suoi fattori estetici, storici e funzionali. E’ a tali condizioni che la stessa offerta turistica costiera può ben avvalersi della liberalizzazione degli ormeggi. Mentre, più in generale - e sempre nel rispetto dei suddetti indirizzi -sono da incoraggiare le potenzialità attrattive connesse allo sviluppo di un armonioso waterfront che investa l’insieme del patrimonio costiero toscano e, mediante attente progettualità coordinate di conservazione attiva e di neoqualificazione funzionale, colleghi il fascino delle città e dei borghi di toscani, la suggestione dei porti, nelle loro infrastrutture demaniali così come nelle loro passeggiate a mare, entro una trama unitaria ove centri urbani ed entroterra costiero acquisiscano una nuova vitalità nell’abitare e nell’intraprendere18.

Ma la tutela e la valorizzazione del patrimonio costiero toscano ha anche il volto di una grande e specifica politica pubblica che persegue l’innovazione profonda del patrimonio territoriale della nostra Regione e delle sue potenzialità competitive e attrattive. Si tratta di quella “piattaforma logistica costiera” che occupa uno spazio cruciale nell’agenda del Piano regionale di sviluppo19 e nelle strategie regionali di sostegno alla dinamicità del sistema economico toscano, ma anche italiano e comunitario. E che riveste una posizione eminente nell’agenda delle opzioni strategiche di questo Piano20 e in quel “Quadro strategico regionale” con cui la Toscana ha contribuito alla definizione del Quadro nazionale ove si situano le principali linee di investimento europeo. E’ un disegno infrastrutturale decisivo che conferisce alla Toscana una posizione cruciale nel sistema nazionale della mobilità e nella progettualità nazionale ed europea in materia di reti portuali e logistiche, e di connessioni ferroviarie e viarie tra le sponde del Mediterraneo e i grandi snodi del trasporto internazionale. Perché investe anche la stessa collocazione funzionale della Toscana nella distribuzione internazionale dell’offerta organizzata di mobilità e di logistica per persone, merci e informazioni. E tutto ciò, proprio a far leva sulla sua costa e sulla capacità delle sue città marine e del loro entroterra di far sistema: sia tra sé che con l’insieme del territorio toscano. Ma proprio per questo consideriamo la piattaforma logistica costiera qualcosa “di più” di una pur grande politica infrastrutturale. E la riteniamo, ai fini di questo Piano, essa stessa una parte saliente dei nostri metaobiettivi.

[1] Articolo 142, comma 2, articolo 145, commi 3, 4 e 5, del "Codice dei beni culturali e del paesaggio".

[2] Scano L., “La tutela dei “beni paesaggistici” nel “Codice” e nei provvedimenti legislativi e pianificatori della Regione Toscana”

[3]Intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Regione Toscana del 23 gennaio 2007

Articolo 3

1. La disciplina paesaggistica regionale, ai differenti livelli di pianificazione territoriale, si estrinseca nelle prescrizioni di tutela dei beni paesaggistici e negli indirizzi per la valorizzazione e gestione dei paesaggi della Toscana. Essa si esprime attraverso le prescrizioni in attuazione del Codice ed attraverso azioni mirate alla tutela, alla conoscenza, alla divulgazione e alla didattica sul paesaggio, nonché, ove necessario, volte a indirizzare le trasformazioni del territorio verso obiettivi di qualità.

3.La valorizzazione del paesaggio è perseguita in modo specifico attraverso misure di riqualificazione delle aree rurali e urbane in condizioni di degrado ambientale, funzionale e relativo alla qualità edilizia.

4. L’elaborazione della pianificazione paesaggistica si adegua al dettato dell’art. 135 e si articola nelle fasi indicate dall’art. 143.

5.Tutti i soggetti istituzionali hanno il compito di tutelare il sistema dei beni paesaggistici al fine di garantirne la conservazione dei valori. Gli statuti degli strumenti di pianificazione provinciali e comunali dettano una specifica disciplina relativa ai beni paesaggistici, integrativa della disciplina paesaggistica contenuta nel piano di indirizzo territoriale regionale.

E’ preceduto da una nuova polemica l’esordio di Piero Fassino sulla tormentata scena del dibattito per lo sviluppo del territorio toscano. Comune di Fiesole e Fondazione Italianieuropei - quella di D’Alema e Amato - hanno organizzato per lunedì un convegno con folta partecipazione dell’establishment di Ds e Margherita, col presidente della Regione Claudio Martini, l’assessore regionale Riccardo Conti, il sindaco di Firenze Leonardo Domenici, il segretario regionale Ds Andrea Manciulli, alcuni parlamentari dell’Ulivo e eminenti accademici, conclusioni affidate appunto al segretario nazionale Ds. Non ci sono nel lotto dei relatori a Fiesole gli esponenti del Coordinamento regionale dei comitati toscani per la difesa del territorio, neonato sotto l’input di Alberto Asor Rosa proprio a Fiesole, uno dei terreni di battaglia del nuovo ambientalismo.

Il Coordinamento ha scritto una nota per rivendicare il desiderio di partecipare all’evento. «L’appuntamento si presenta, a detta degli organizzatori - scrive il Coordinamento - anche come occasione per una riflessione approfondita sulle politiche in atto. Non sarebbe quindi di cattivo auspicio per le istituzioni presenti e promotrici invitare il Coordinamento regionale dei comitati toscani per la difesa del territorio, al fine di dimostrare una effettiva volontà di dialogo con le organizzazioni ed i gruppi presenti sul territorio che esprimono forti critiche non solo sull’operato di specifiche amministrazioni comunali, e fra queste quella di Fiesole, ma anche verso il nuovo Piano d’indirizzo territoriale che a nostro avviso risulta inadeguato ad arginare sia l’attacco speculativo alle aree di pregio che il dilagare di una malintesa cultura dello sviluppo destinata a produrre danni irreversibili al territorio. Esprimiamo quindi l’auspicio che questo confronto avvenga affinché la volontà di dialogo esca dalle affermazioni di principio ed entri nel merito». Secca la risposta del sindaco di Fiesole Fabio Incatasciato. «Non è un evento organizzato per confrontarsi con Asor Rosa» replica il primo cittadino che negli ultimi tempi ha avuto più di un’occasione di scontro coi comitati. «Ben vengano ad ascoltare, se vogliono, ma non è un’assemblea pubblica che prevede il contraddittorio».

I lavori del convegno «Territorio Cultura Sviluppo», presso FiesoleArte in via Gramsci 19/a a Fiesole, saranno aperti alle 9 dai saluti di Incatasciato e Martini. Alle 9.30 la prima tavola rotonda su «Conservazione attiva e politiche di sviluppo», coordinata da Rita Borioni (Fondazione Italianieuropei) e introdotta da Silvia Viviani (Presidente Inu Toscana). Dell’argomento discuteranno Franco Ceccuzzi, deputato dell’Ulivo, Vittoria Franco, senatrice dell’Ulivo e presidente Commissione cultura del Senato, Pietro Giovanni Guzzo, sovrintendente di Pompei, Amerigo Restucci, università di Venezia, Mariella Zoppi, università di Firenze, Leonardo Domenici. Alle 11.30 la seconda tavola rotonda, sul tema «La Toscana insidiata?», con Massimo Morisi (università di Firenze), Patrizia Colletta (responsabile nazionale Ds sostenibilità e politiche del territorio), Daniele Mazzonis (sottosegretario Ministero beni culturali), Riccardo Varaldo (Scuola superiore Sant’Anna di Pisa), Manciulli e Conti. Alle 13.00 le conclusioni di Fassino.

Postilla

Lo scandalo Monticchiello, provvidamente sollevato da Alberto Asor Rosa, ha provocato un’attenzione al paesaggio che è di per sé positiva, tanto più se sollecita anche segretari di importanti partiti politici a muoversi. Speriamo che, dalla Toscana, quell’attenzione si rivolga anche altrove.

E speriamo che in Toscana faccia chiarezza, e qualcuno sottolinei quanta distanza separa le parole dai fatti e con quanta attenzione questi vadano seguiti e verificati, come abbiamo scritto in un recente eddytoriale. Molti hanno già segnalato quale abisso vi sia tra le intenzioni del PIT e la sua concreta efficacia (si veda, tra l’altro, il contemporaneo articolo di Paolo Baldeschi).

Poiché si parlerà del Codice del paesaggio, sarà opportuno ricordare come esso venga mistificato e falsificato nelle “intese” propagandisticamente firmate, a partire dalla Toscana, da presidenti regionali e segretari o sottosegretari di Stato. Basta leggere in proposito gli scritti del nostro Luigi Scano, ampiamente presenti nelle cartelle a lui dedicate in questo sito.

Il Piano di Indirizzo Territoriale della Regione Toscana (il PIT in corso di adozione) come descritto da Massimo Morisi è tutto collocato in una sfera di politica alta, tanto alta da rischiare di perdere il contatto con la realtà. Ad uno scienziato come Morisi certamente non sfugge il corposo intreccio di interessi per cui molti Comuni continuano ad inseguire uno sviluppo senza qualità, promuovendo edificazioni che non corrispondono a nessuna esigenza sociale. Di fatto il PIT è pieno di esortazioni a ben fare, ma l’attuale dispositivo dei poteri e competenze è tale che i Comuni, ottemperando ad una legislazione ambigua e sempre aperta a deroghe, possono fare quello che vogliono. Pensare che sia sufficiente una «coerenza politica» ad assicurare la coerenza dei fatti con gli obiettivi dichiarati è l’ipotesi che la Regione Toscana ha perseguito in questi anni, con i risultati che sono di fronte a tutti e che muovono le proteste dei comitati.

Cosa fare dunque? La proposta che viene da vasti settori del mondo universitario non è di tornare indietro ad un sistema di controlli gerarchici, bensì di procedere verso un reale trasferimento di poteri ai cittadini. Questo può essere fatto distinguendo gli aspetti statutari e invarianti del Piano da quelli programmatici e contingenti, così come nell’ordinamento giudiziario le norme costituzionali sono distinte dalle leggi ordinarie. Si faccia dunque, con un’ampia partecipazione, uno statuto regionale articolato in tanti statuti locali in cui siano definite le regole condivise di conservazione e trasformazione del territorio, regole rispetto alle quali ogni piano deve essere coerente: lasciando la possibilità ai cittadini di ricorrere ad una «corte costituzionale del territorio» laddove ritengano che i piani violino tali regole. Il resto, le norme del PIT citate da Morisi come esempi di buona amministrazione vanno benissimo, ma sono solo dispositivi di salvaguardia. Per perseguire uno sviluppo in cui la qualità faccia aggio sulla quantità ci vuole ben altro. Le critiche che da più parti sono rivolte al governo del territorio in Toscana non sono contro le istituzioni, ma significano al contrario volontà di partecipazione alla vita istituzionale. Sapere ascoltare, essere aperti al confronto, e disponibili a cambiare, non è politica tout court: è buona politica.

Postilla

La sintetica valutazione del PIT ci sembra totalmente condivisibile, così come le preoccupazioni sollevate e la sostanza della proposta formulata. È opportuno precisare (e crediamo di interpretare anche il pensiero di Baldeschi) che quando, nella sua proposta, si parla di “regole condivise di conservazione e trasformazione del territorio, regole rispetto alle quali ogni piano deve essere coerente”, non ci si riferisce a chiacchiere o principi, ma a precise regole precisamente riferite a specifici territori adeguatamente cartografati: regole valide erga omnes, che favoriscano trasformazioni coerenti con le esigenze di conservazione e ostacolino quelle distruttive o degradanti.

Già li chiamano i «Girotondi del paesaggio». Il tam-tam tra le associazioni ambientaliste toscane è sempre più intenso. Al raduno autoconvocato per domani mattina, domenica, a Firenze alle 10 nella sede del circolo culturale «II giardino dei ciliegi» in via dell'Agnolo potrebbero partecipare più di una cinquantina di gruppi che, da Firenze passando per Siena e Arezzo, si stanno battendo contro le diverse forme che sta prendendo la Villettopoli denunciata dal ministro Francesco Rutelli. Ovvero la progressiva invasione di tanti insediamenti simili a quelli di Monticchiello. Lo storico Alberto Asor Rosa, proprio dopo quella battaglia, è diventato un simbolo della lotta contro le brutture che sfigurano il paesaggio. E sarà infatti il professore a prendere le redini del nuovo Movimento ambientalista «spontaneo» toscano.

Uno dei principali animatori dell'assemblea eco-girotondina sarà Mario Bencivenni, docente di Teoria e storia del restauro alla seconda facoltà di Architettura a Milano, tra i fondatori del Comitato per la difesa delle Cascine, lo splendido parco fiorentino. Dice Bencivenni: «In molti comuni toscani c'è purtroppo una corsa a inventarsi insediamenti destinati a diventare autentiche nefandezze. Monticchiello è solo la punta di un iceberg, la spia di un fenomeno ben più vasto e preoccupante. Le colate di cemento sono impressionanti, anche nella stessa Firenze dove sono minacciate aree verdi di grande pregio naturalistico. Ormai dilaga l'idea di sviluppo che vede nella rendita fondiaria il motore principale. Per ora le amministrazioni ci hanno risposto poco e male. E ora, con la creazione della nostra rete, tradiscono segni di nervosismo».

Al raduno parteciperà anche il fotografo Oliviero Toscani, da tempo impegnato in una sua personale battaglia in difesa del patrimonio paesaggistico italiano insieme con lo scrittore Andrea De Carlo, il sociologo Domenico de Masi, il cantautore Lorenzo Cherubini (Jovanotti) e il presidente della commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci. Alla fine di maggio organizzerà alla Cantina Petra-Ter-ra Moretti di Suvereto, in provincia di Livorno, una mostra permanente sui disastri ambientali: nascerà una banca dati ordine degli scempi che sfregiano la penisola. Dice Toscani: «Sono favorevole a interventi che contemplino grande qualità architettonica contemporanea. Purtroppo in Toscana, come nel resto d'Italia, c'è l'invasione delle Case dei Puffi disegnate "in stile" dai geometri italiani, che per me restano i principali responsabili del disastro. Per fortuna in Toscana molti amministratori dimostrano sensibilità e attenzione. Ma non tutti...».

E c'è chi non è d'accordo. Ovvero Claudio Martini, presidente della giunta regionale toscana, reduce da Strasburgo dove ha messo a disposizione la villa medicea di Careggi come nuova sede del centro europeo per la difesa del paesaggio: «Se il messaggio di domenica sarà la massima attenzione per combattere l'aggressione speculativa, io ci sto. Se invece sarà una dichiarazione di guerra all'istituzione comunale, vista come responsabile di tutti i mali, allora non ci sto». Martini si riferisce alla ricorrente polemica ambientalista che individua nelle piccole amministrazioni cittadine, dopo la riforma del titolo V della Costituzione e l'assegnazione da parte delle regioni delle deleghe in materia di ambiente ai comuni, le responsabili dei massacri per i «permessi facili».

Sostiene Martini: «Se si procedesse ad un'analisi seria, si scoprirebbe che l'80% dei nuovi insediamenti così contestati in Toscana sono code di previsioni urbanistiche cominciate negli anni a cavallo tra gli '80 e i '90, quando vigeva il centralismo». Il presidente, che conferma il suo dissenso di fondo sull'operazione Monticchiello, avverte: «Definire quell'insediamento un ecomostro è un'esagerazione che fa torto al senso della misura delle parole. E anche l'espressione Villettopoli mi pare sbagliata, rimanda a un'atmosfera giudiziaria che non esiste». Ma la parola è un'invenzione di Francesco Rutelli... «Ho l'abitudine di dire ciò che penso, il mio giudizio non cambia. Le esasperazioni, la logica della contrapposizione non aiutano a risolvere i problemi. La mia proposta ad Asor Rosa e agli altri è semplice: solo con un'alleanza tra istituzioni nazionali e locali, mondo della cultura e dei movimenti si può individuare la strada per battere la speculazione. Dividersi è solo dannoso».

Cominciamo innanzi tutto col rimettere le cose coi piedi per terra. Nel corso del Convegno indetto del «Comitato per Fiesole», l´11 marzo scorso, allo scopo di dibattere i problemi urbanistici sorti in quella cittadina negli ultimi anni, è stata avanzata da più parti la proposta di costituire un Coordinamento dei Comitati di base che lottano in Toscana per 1´ambiente, il territorio, il paesaggio e la vivibilità dei grandi centri urbani. L´incontro organizzato a Firenze per il 25 marzo (ore 10, via dell´Agnolo, 5), dovrebbe servire a questo. E anche, ovviamente, a meglio precisare caratteristiche e obbiettivi di tale coordinamento.

Tutto qua. E´ un bene o un male che tale Coordinamento si realizzi? Quel che intanto di certo possiamo dire è che le situazioni di disagio, di tensione e di conflitto, e anche i veri e propri scempi sono più numerosi di quanto non si dica. Certo, non più numerosi che nel Veneto o nel Lazio o in Calabria. Ma il fatto che le risposte in Toscana siano più frequenti e appassionate non dovrebbe fare che piacere: sono infatti, la vivente testimonianza, che lo stato della società civile è migliore qui che altrove.

Dunque, io penso che sia un bene che tale Coordinamento si realizzi. Darà più forza a ognuna delle singole battaglie che attualmente si combattono. Affiancherà le organizzazioni ambientalistiche nazionali nella realizzazione dei loro programmi.

Consentirà uno scambio rapido delle informazioni. Renderà possibili grandi iniziative comuni. Metterà di fronte alle Istituzioni, locali e centrali, un interlocutore più autorevole.

A questo proposito. E´ del tutto scontato che il Coordinamento non possa non vedere nelle Istituzioni, locali e centrali, degli interlocutori, non certo degli avversari. Sarebbe auspicabile che avvenisse anche il contrario. Nella mia esperienza personale questo purtroppo non è accaduto. E´ bastato scrivere un articoletto, moderato nelle argomentazioni e nei toni, per scatenare un putiferio. A chi tornasse a ripetere che da parte di iniziative come la nostra non c´è che arroganza e negatività, sono pronto a esibire pubblicamente un nutrito dossier, fatto di prese di posizioni roventi, volantini (anonimi e no), articoli, tanto più indecenti in quanto siglati da firme autorevoli, tutto originato da una semplice «presa di parola». Episodi analoghi hanno riguardato parecchi dei singoli Comitati di lotta. Dunque, per abbassare i toni, bisogna essere in due. Noi lo faremo.

La Toscana è un bene prezioso, universale. In quanto bene, oggi è innegabilmente oggetto di una bramosa campagna di conquista. E´ la legge del mercato; un bene, quanto più è prezioso, tanto meglio si vende. E la speculazione è risalita impetuosamente dalle coste verso la collina e gli Appennini. Questo è lo stato della cose, con cui tutti ci misuriamo.

Sappiamo che le Istituzioni regionali toscane sono impegnate in uno sforzo per sostenere il confronto su questa base, su cui non è possibile chiudere gli occhi. Il PIT ne è certamente un´espressione. Il dibattito ferve, ma andando per ora molto sulle generali, pare a molti di noi che esso si presenti debole da un duplice punto di vista: non elabora un sistema di vincoli all´altezza della situazione; e non fa del paesaggio un bene da tutelare a prescindere (a prescindere da qualsiasi altra considerazione di tipo «sviluppistico»). Non voglio fare riferimento in questa fase a citazioni troppo impegnative, ne si direbbe, a giudicare dall´intervista resa recentemente al «Corriere della sera», che il Ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli, nutra al proposito preoccupazioni analoghe (ovviamente, a livello nazionale). Tenendo presente questa ampia base di attenzioni, ma al tempo stesso con grande spirito di prudenza, cerchiamo di fare una cosa nuova, che fonda insieme le presenze militanti di base con una forte intelligenza specialistica e disciplinare. Com´è noto, i «laboratori» sono una nostra passione. Questo toscano presenta le condizioni per diventare esemplare.

Il dibattito sui piani paesaggistici di nuova generazione, che nascono sotto la complementare articolazione degli indirizzi e delle prescrizioni espressi dalla Convenzione europea e dal Codice italiano del paesaggio, trova significativi spunti di riflessione dalla recente pubblicazione del nuovo piano territoriale della Regione Toscana. Si tratta evidentemente di uno strumento di preminente importanza, anche in quanto piano territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, equiparato dal Codice al piano paesaggistico prescritto alle Regioni in merito alla tutela, di esclusiva competenza legislativa dello Stato, e in merito al governo del territorio e alla valorizzazione del paesaggio e dei beni paesaggistici, ricadenti nel campo della legislazione concorrente.

Significativi sviluppi alla discussione sono scaturiti anche dalla approfondita disamina intorno alle questioni della tutela paesaggistica proposta da Luigi Scano al convegno di Fiesole, dello scorso 11 marzo, “Lo sviluppo in-sostenibile. Il governo del territorio in Toscana. Fiesole e l’area Fiorentina”.

Inserendosi dunque in questo contesto di riflessione, si crede utile proporre il presente contributo che si sofferma su alcuni elementi di coerenza che costituiscono essenziali requisiti di conformità della pianificazione territoriale regionale al disposto legislativo recato dal Codice. Avendo avuto il ruolo di consulenti della Regione Toscana per la redazione degli studi preliminari al PIT in merito agli aspetti paesaggistici, tali considerazioni partono proprio dalla osservazione dello strumento di pianificazione toscano attualmente in costruzione.

Ci si riferisce nello specifico alla parte del quadro conoscitivo del nuovo piano di indirizzo territoriale che riguarda il paesaggio e, in particolare, all’elaborato denominato “Atlante dei paesaggi toscani”.

La natura del documento e la stessa concezione di elaborazione del piano paesaggistico esplicitata dal Codice in attuazione delle disposizioni della Convenzione in merito alla definizione delle politiche per il paesaggio da riferirsi agli obiettivi di qualità paesaggistica, sollecitano un chiarimento relativo al significato e ai contenuti dell’Atlante all’interno del piano.

La valenza conoscitiva dell’Atlante ricognitivo dei caratteri strutturali dei paesaggi della Toscana, in quanto tale, non prevede nello stesso l’espressione di precetti normativi, che competono alla parte del piano recante la disciplina paesaggistica e che, nel contesto legislativo regionale, si ritiene debbano formare il cuore dello Statuto del territorio, con idonei contenuti di prescrizione e vincolo, oltre che di indirizzo.

Per quanto riguarda la natura dell’Atlante, in varie sedi pubbliche sono stati illustrati alcuni aspetti sostanziali che si crede utile riportare qui sommariamente. Nel convegno che Italia Nostra ha promosso nel 2005 sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica con il titolo “Italia da salvare. Il paesaggio tra storia e natura”, si affermava che “ogni strumento può funzionare nella misura in cui se ne faccia un uso corretto. L’Atlante (...) è basato sul rilevamento fotografico dei caratteri del paesaggio. Pertanto esso può concorrere al soddisfacimento della domanda conoscitiva che sta alla base della definizione spaziale delle politiche di tutela e conservazione del paesaggio in modo indiretto, mediato dalla considerazione delle sue indicazioni nell’ambito dei processi analitico-diagnostici e decisionali propri della pianificazione territoriale. Nato con la duplice finalità di supportare i processi di divulgazione insieme a quello di revisione del piano regionale di indirizzo territoriale, l’Atlante può costituire uno strumento di base a cui riferire l’attivazione di iniziative di partecipazione pubblica finalizzate a recuperare consapevolezza alla percezione del paesaggio (...). Essa è stata infatti progressivamente indebolita dalle importanti spinte di decontestualizzazione territoriale che caratterizzano pesantemente la contemporaneità e hanno le proprie radici nei decenni precedenti. Dal recupero di valori e equilibri nella percezione del paesaggio dipende l’efficacia dei processi di individuazione e di raggiungimento degli obiettivi di qualità paesaggistica (...), difficilmente separabili dal progressivo radicamento culturale del valore del paesaggio come bene di preminente importanza” (Paolinelli, Valentini, Roma, 28 gennaio 2005).

Il riconoscimento delle esigenze di strumenti di conoscenza e descrizione idonei a operare anche entro i processi di divulgazione rispondenti alle finalità di “sensibilizzazione” definite dalla Convenzione, ha esortato a privilegiare le descrizioni fotografiche rispetto a quelle cartografiche e a rendere i testi ad esse riferite didascalici e in linguaggio comprensibile anche al di fuori di un contesto tecnico specialistico. Ciò fa sì che un corretto impiego di tale elaborato è possibile, come già si affermava nel 2005, in termini divulgativi, nell’ambito dei suddetti processi di sensibilizzazione delle popolazioni, e in termini tecnici, nell’ambito dei processi di formazione tecnica (in associazione a altri supporti), nonché come riferimento di base negli studi della percezione sociale, entrambi previsti dalla Convenzione europea.

Di fatto, dunque, il documento costituisce un repertorio fotografico-critico, piuttosto che un atlante propriamente detto, in ragione dell’assenza della essenziale componente cartografica di livello regionale.

Inoltre, gli ambiti a cui sono riferite le schede di identificazione dei caratteri strutturali non risultano da un processo cartografico di analisi strutturale e funzionale del paesaggio, bensì da una individuazione storico-geografica che tiene conto soprattutto della componente identitaria che ogni parte del territorio toscano esprime e che, nell’indirizzo regionale dato al processo di formazione del quadro conoscitivo, hanno preceduto l’individuazione dei caratteri paesaggistici effettuata con l’Atlante.

In relazione a quanto sopra scritto e soprattutto in riferimento alla questione inerente la procedura di elaborazione del piano paesaggistico codificata dalla legislazione nazionale, emergono dunque alcuni elementi tecnici che si crede utile introdurre quali contributi al processo di completamento dei contenuti paesaggistici del piano toscano. Il Codice prescrive una definizione diagnostica dell’articolazione spaziale del territorio regionale. E’ infatti dalla identificazione qualitativa del paesaggio secondo le caratteristiche di “rilevanza” e “integrità” della “tipologia dei valori paesaggistici” che deve derivare l’individuazione degli ambiti di paesaggio, a cui la legislazione prevede debbano essere riferiti gli obiettivi di qualità e le relative politiche territoriali per il paesaggio. Poiché l’Atlante toscano non contiene tali diagnosi di qualità, né le descrizioni dei caratteri strutturali identificativi e ordinari del paesaggio sono state riferite a quadri cartografici regionali che ne abbiano informato la definizione secondo i medesimi indicatori di qualità, si trae una ulteriore conferma della necessità di leggere l’Atlante coerentemente alle finalità con cui è stato concepito. Tale coerenza, nella fattispecie, non prevede la possibilità di attribuire all’Atlante e agli ambiti di riferimento del processo ricognitivo che in base al quale esso è stato formato, requisiti di soddisfacimento delle disposizioni degli articoli 135 e 143 del decreto legislativo 42 del 2004 e successive modifiche e integrazioni.

Gli argomenti in discussione inducono inoltre a riflettere sulla collocazione del paesaggio nel quadro legislativo toscano come “risorsa essenziale”, insieme a “sistemi infrastrutturali e tecnologici”, “documenti della cultura”, “città e sistemi degli insediamenti”, “aria, acqua, suolo e ecosistemi della fauna e della flora” (art. 3 della legge regionale 1 del 2005 della Toscana). Si ritiene infatti tale collocazione limitante rispetto al corretto riconoscimento della natura del paesaggio come entità complessa comprensiva di quelle sopraccitate, così come definito dalla Convenzione europea. Tutto ciò fa sì che, ad esempio, nel piano toscano non si riconosca un organico disegno di politiche prescrittive per la conservazione delle reti ecologiche e per il controllo del consumo di suolo, efficaci nel definire alcuni ordinamenti regionali essenziali per un corretto indirizzo dei piani territoriali provinciali e comunali. La definizione della disciplina paesaggistica, recante precetti cogenti e prevalenti sugli strumenti di governo del territorio di ogni genere e livello, non è una facoltà delle Regioni, bensì una loro specifica e diretta competenza obbligatoria attribuita dalla legge e le eventuali e opportune forme di cooperazione degli altri enti territoriali negli adempimenti connessi a tale competenza non escludono in alcun modo l’esigenza generale e preminente di compiutezza e di conformità alla legge della struttura complessiva del piano regionale. Le importanti responsabilità e competenze di pianificazione e governo territoriale appena citate richiedono una rispondente declinazione analitico-diagnostica delle qualità strutturali e funzionali del paesaggio su tutto il territorio regionale e secondo quadri interpretativi ad esso estesi nel suo complesso. In un tale contesto, la definizione di contenuti strettamente integrati della disciplina paesaggistica regionale relativi al contenimento del consumo di suolo e alla conservazione delle reti ecologiche diviene una condizione ineludibile e sostanziale di garanzia delle possibilità effettive di tutela, di conservazione e di buona trasformazione del paesaggio. La loro considerazione in piani di settore, come in strumenti meramente strategici o, peggio, la loro delega alla pianificazione di diverso livello territoriale, rimettono tali aspetti cruciali esclusivamente al senso civile e alla buona fede del governo del territorio nelle sue espressioni locali e non garantiscono l’organicità del quadro regionale delle politiche per il paesaggio. In tempi nei quali ancora si devono argomentare gli effetti della dispersione insediativa e dell’abnorme sviluppo incrementale del sistema infrastrutturale per sostenere le più semplici ragioni di opposizione a tali fenomeni, l’assunzione delle due questioni sopraccitate in un quadro regionale di riferimento della disciplina paesaggistica può costituire un esplicito indirizzo culturale e un concreto strumento di base per reinnestare un processo di buon governo che conferisca al paesaggio la centralità corrispondente alla valenza di entità essenziale della qualità della vita delle popolazioni ad esso riconosciuta nella concezione europea.

In ragione della decisa componente di formazione culturale del paesaggio italiano e europeo in genere e in ragione delle dinamiche evolutive che lo caratterizzano, si deve aggiungere che occorre mettere mano davvero alla tanto nominata conservazione attiva, fattore essenziale nella protezione del paesaggio, complementare della tutela dei beni paesaggistici. Essa si fa con un corretto e lungimirante uso di progetti e danari, in quanto richiede lavoro, come lo ha sempre richiesto l’intervento umano che ha formato e conservato in modo dinamico i nostri paesaggi. Ma sappiamo anche quanto siano mutate le questioni di “chi fa cosa?” e “con quali risorse?”, rispetto alla società agricola che ci ha tramandato il paesaggio fino alla metà del secolo scorso. Oggi occorre riconoscere la necessità di agire in modo diverso e occorre farlo. Occorrono atti politici e amministrativi che riconoscano che il paesaggio costa, che su esso si deve investire, incentivando la presenza dei capitali privati, ma curando attentamente la presenza strategica e efficace dei capitali pubblici. Non è possibile, in modo urbanocentrico attribuire ogni onere all’agricoltura, riempiendoci la bocca di una multifunzionalità sociale e ambientale a suo esclusivo o prevalente carico. Si insiste a far notare l’assurda situazione, tanto più in Italia, per la quale nessuna Regione, insieme innanzitutto allo Stato, ha ancora fatto l’essenziale passo di riconoscere al paesaggio un capitolo di bilancio oppure quote vincolate di oneri per opere di paesaggio nell’ambito dei molti progetti strutturali e infrastrutturali pubblici e privati. La conservazione attiva del paesaggio è riconosciuta in disciplina come necessaria da alcuni decenni, ma anche su questo aspetto i piani rimarranno, in questo caso loro malgrado, “piani di chiacchiere” se non si provvederà a tali semplici provvedimenti di tipo legislativo, avendo preliminarmente maturato la necessaria volontà politica e pertanto un mutato e evoluto senso culturale dell’importanza del paesaggio.

Il paesaggio non muore, ma sappiamo e abbiamo ampiamente dimostrato negli ultimi decenni che a fronte dell’ormai frequente superamento dei suoi punti di snervamento, esso può mutare in modo irreversibile e diventare un altro paesaggio. A noi decidere quello che vogliamo. Indica questo percorso con molta coerenza e concretezza la Convenzione europea, quando afferma che le politiche territoriali per il paesaggio debbono discendere dagli obiettivi di qualità, definiti in base a processi partecipativi e nell’ambito di una pianificazione tecnicamente capace di analizzare la percezione sociale del paesaggio espressa dal territorio in cui interviene.

Potremmo dire che abbiamo il paesaggio che siamo, ma la responsabilità che hanno avuto i nostri predecessori, che abbiamo adesso noi e che avranno le generazioni future trascende questa visione, poiché è il paesaggio a trascendere nella dimensione tempo i disegni amministrativi contingenti e le percezioni generazionali superficiali. Tutto ciò dovrebbe suscitare un preminente senso etico di responsabilità nel trattarne l’evoluzione.

Se l'impazzimento edilizio in atto in Italia - incoraggiato dai condoni berlusconiani - procederà ai ritmi degli ultimi anni e con esso andrà avanti, ovviamente, il consumo di suolo libero e di paesaggio, regioni splendide come Lazio e Toscana saranno in pratica del tutto cementificate e asfaltate in capo al 2050. Nel periodo 1999-2002 quel consumo sconsiderato di superfici a prato, a pascolo, a bosco si è infatti accelerato, con percentuali vicine al 10 e più per cento. Contemporaneamente, in una città come Roma, l'area degli alloggi dati in locazione si è ristretta dal 50 per cento circa di 30-35 anni fa al solo 24 per cento.

E questo con disagi sociali crescenti e con speculazioni pesantissime sulla pelle dei giovani, degli anziani sfrattati, degli immigrati. Nella pubblicazione annuale del Comune di Roma si parla esplicitamente di «fallimento» della risposta di mercato rispetto alla domanda di alloggi. Eppure negli ultimi sei anni gli investimenti nazionali nella sola edilizia residenziale (quasi totalmente edilizia di mercato) sono balzati da 58 a oltre 71 miliardi di euro (+23 per cento). In tal modo il contributo al Prodotto Interno Lordo delle costruzioni è risultato fondamentale. Praticamente, esso ha puntellato il Pil che, diversamente, avrebbe avuto segno costantemente negativo. In tale situazione i permessi di costruzione hanno galoppato. Con cifre imponenti in Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia. Per l'intera Italia sono oltre 800.000 stanze nel solo 2002. Pochissime però di edilizia economica e popolare. Difatti, nelle città maggiori siamo ad una autentica emergenza-casa.

E la corsa continua: nel primo semestre del 2006 le costruzioni, già in crescita, hanno segnato altri aumenti, del 3,1-3,2 per cento sull'anno precedente. Una autentica «febbre» che ha portato il comparto dal livello 100 del 2000 al livello 129 del 2006. Nel decennio 1992-2002 sono volati come stracci gli sfratti e le compravendite di case hanno toccato un picco del 62 per cento. Il tutto con una popolazione nazionale che invece cresce pochissimo e quel pochissimo soltanto in forza dell'immigrazione. Per la quale non c'è però offerta edilizia, ma solo tanta speculazione.

In questo quadro segnaliamo un dato ancora recente: ormai la speculazione edilizia risale dal mare all'interno collinare. Il fenomeno dunque sta portandosi dalle coste, ormai largamente compromesse, o in pericolo mortale (basta viaggiare sull'Aurelia o sull'Adriatica), alla dorsale appenninica e pre-appenninica «mangiando» altri suoli liberi, erodendo altri paesaggi intoccati. La stessa verde Umbria registra, come la Toscana o le Marche, episodi sempre più diffusi e visibili di cementificazione (con una parallela espansione delle cave impressionante). Basta un nuovo insediamento edilizio a guastare, come nei pressi di Casole d'Elsa, un intero paesaggio collinare, per sempre.

Chi dovrebbe contrastare, regolare, disciplinare fenomeni tanto dirompenti che stanno dissipando l'ultima nostra risorsa, cioè il paesaggio interno?

1) Le Soprintendenze che però hanno scarsi mezzi, pochi tecnici e poteri di controllo indeboliti dal taglio feroce delle spese (anche di quelle di funzionamento) negli anni del governo Berlusconi. Soprintendenze che però usano poco e male anche i poteri e i mezzi di cui dispongono, e a volte chiudono letteralmente gli occhi di fronte a sconci e aggressioni. Basti pensare all'inutile e orrendo mega-parcheggio autorizzato a Capalbio proprio sotto le mura medioevali o agli incredibili lavori permessi nel foro etrusco e romano di Fiesole e nelle vicine necropoli, romana e longobarda.

2) Le Regioni le quali però, in maggioranza, hanno preferito liberarsi dell'incomodo sub-delegando "democraticamente" alla bisogna i Comuni divenuti così i controllori di se stessi. Eppure l'articolo 9 della Costituzione parla chiaro: "la Repubblica tutela il paesaggio", cioè Stato, Regioni, Enti locali, insieme, con un ruolo preminente dello Stato e delle Regioni ribadito da leggi e sentenze della Corte costituzionale. Ma la Regione Toscana, per bocca del suo presidente Claudio Martini, insiste nell'assegnare soprattutto ai Comuni il ruolo di tutori del paesaggio. Quasi che lo stesso fosse un fatto municipale e non più nazionale. Come possono i Comuni fronteggiare validamente un fenomeno di cui abbiamo appena descritto la dirompenza economico-finanziaria?

Oltre tutto, in anni di economia stagnante, questa «febbre» edilizia ha finito per surrogare altre attività, e per portare parecchi denari nelle esauste casse comunali. Lo riconosce per primo lo stesso Martini. Il Titolo V della Costituzione del 2001 (improvviso e affrettato pasticcio di fine legislatura) prevede, è vero, che Stato, Regioni, Enti locali siano «equiordinati». Ma è soprattutto in Toscana che si sostiene in modo esasperato questa "equiordinazione". In altre regioni si è legiferato dopo il Titolo V mantenendo alcuni valori gerarchici (ad esempio, la Provincia sui Comuni). Di recente poi, con la sentenza n.186, la Corte costituzionale è intervenuta a ribadire la sovraordinazione nella attività pianificatoria della Regione sulle Province e di queste ultime sui Comuni. Essa va rispettata, anche per ragioni funzionali. Come va rispettato il Codice per il paesaggio che prevede piani paesaggistici prescrittivi e non semplici e vaghi «piani di indirizzo».

3) i Comuni. Questi ultimi hanno avuto in un recente passato dalla Finanziaria la possibilità di utilizzare i proventi delle concessioni edilizie per tamponare le spese correnti, i «buchi» di bilancio. In tempi di stagnazione industriale e commerciale, l'edilizia è stata pertanto la «salvezza» dei Comuni. Una autentica «droga». Come pensare - che gli stessi Comuni siano i tutori del bene collettivo paesaggio e quindi gli attenti controllori dell'espansione edilizia se quest'ultima è per essi una risorsa vitale per una sorta di «doping» finanziario? Qui si tratta di pesare gli interessi in gioco e in quest'ottica non v'è dubbio che «pesino» di più gli interessi dal cemento rispetto a quelli della tutela paesaggistica. Dunque la sub-delega della tutela ai Comuni da parte della Regione appare insostenibile, da ogni punto di vista.

Insostenibile e pure a corta vista perché in tal modo, per gli interessi di pochi, viene manomesso e svilito un bene di tutti, quel paesaggio che, sedimentato nei secoli, rappresenta anche una formidabile carta di successo nel turismo internazionale di oggi e, ancor più, di domani. Persino un «asset» fondamentale nella promozione planetaria, per esempio, dei prodotti tipici di quel territorio, a cominciare dal vino. E invece il consumo di suolo (e quindi di paesaggio) procede, in Italia e anche in Toscana a ritmi accelerati. Nell'intero Paese nella seconda metà del Novecento siamo passati da 30 milioni di ettari di superfici libere da costruzioni e da infrastrutture a meno di 19 milioni di ettari. Ciò significa che asfalto e cemento hanno coperto un territorio vasto quanto l'intera Italia del Nord.

In Toscana, regione delicatissima, fra il 1999 e il 2003 la superficie ancora libera è scesa sotto il milione e mezzo di ettari, diminuendo - per effetto dell'espansione edilizia, residenziale e non e delle grandi infrastrutture - di ben 169.345 ettari nel quadriennio, con una erosione pari al 10,2 per cento.

Più forte della stessa media italiana che si colloca in quel periodo al 9,5 per cento. Più forte della stessa media del Lazio che, pur comprendendo Roma e il suo cemento continuo, si situa al 9,2 per cento. Se il consumo di suolo dovesse procedere in Toscana a questi ritmi, in meno di mezzo secolo l'intero territorio sarebbe urbanizzato e infrastrutturato, cioè «mangiato» dal binomio asfalto & cemento. Analogamente nel Lazio. A vantaggio della popolazione? No, la popolazione della Toscana, decisamente più vecchia della media italiana (indice 193,3 contro quello nazionale di 135,9), cresce infatti molto lentamente: nel 2004 ammontava a 3.598.269 unità; il saldo naturale era negativo in tutte le province collocandosi nella regione a - 2,1 ogni 1000 abitanti (Italia + 0,3).

Ci sembra che le cifre esposte parlino un linguaggio chiaro, inequivocabile, e che richiedano un ripensamento totale, a livello nazionale, regionale e locale, delle politiche sin qui seguite. Negli ultimi tempi invece alcuni influenti politici regionali si sono detti molto, ma molto preoccupati di tutt'altro effetto negativo, e cioè del cosiddetto «effetto-cartolina».

A loro dire, quanti chiedono rigorose salvaguardie per il paesaggio toscano sarebbero prigionieri di una idea cartolinesca del paesaggio stesso. Ad entrambi vorremmo rispondere con le parole di un grande studioso del paesaggio agrario il quale affermava: «Del paesaggio toscano non potremmo darci piena ragione, nella sua diversità da quello lombardo, diciamo, se considerassimo il processo della sua formazione avulso dalla realtà storica di una cultura toscana, nella quale il gusto del contadino per il "bel paesaggio" agrario è nato di un sol getto con quello di Benozzo Gozzoli per il "bel paesaggio" pittorico, e con quello del Boccaccio per il "bel paesaggio" poetico del Ninfale fiesolano». Altro che effetto-cartolina. Forse una rilettura di Emilio Sereni (è lui che abbiamo appena citato) e dei suoi splendidi saggi sul paesaggio agrario sarebbe altamente consigliabile ai nostri politici, nazionali, regionali e locali. Darebbe loro una qualche consapevolezza culturale in più ed eviterebbe, a tutti, altri guasti irreparabili nel paesaggio italiano e a quello toscano che nel mondo ha suscitato e suscita una incredibile ammirazione Altro che temere l'effetto-cartolina. Detto brutalmente: qui ci si frega con le proprie mani. E per sempre.

Postilla

Emiliani si è fatto ingannare dal presidente Martini. La Costituzione non parla affatto di “equiordinazione”. Essa afferma (nuovo articolo 114) che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, e che “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”. Ciò non significa affatto che siano “equiordinati”, cioè posti allo stesso livello, come la Corte costituzionale (Emiliani lo ricorda) ha costantemente ribadito.

La cronaca di Repubblica

di Massimo Vanni

Il paladino di Monticchiello Alberto Asor Rosa guiderà la rete dei comitati toscani che si battono per la tutela del paesaggio, contro «i danni che le amministrazioni comunali stanno producendo». Un coordinamento che già domenica 25 marzo potrebbe vedere la luce in una Convention alla quale parteciperanno, come richiesto da Nicola Caracciolo di Italia Nostra, anche le associazioni ambientaliste. E´ quanto è stato deciso ieri al convegno del Centro studi Cisl organizzato dal Comitato per Fiesole, dove per un´intera giornata urbanisti e esponenti dei comitati si sono avvicendati a denunciare gli «scempi edilizi» modello Monticchiello.

Fiesole anzitutto, per il quale il presidente del comitato Cosimo Mazzoni, con l´aiuto dell´archeologo Riccardo Francovich, punta il dito contro il progetto dell´area Garibaldi, dove la Fondazione Menarini «realizzerà 28 mini-appartamenti» e così facendo, dice Mazzoni, consumerà «un abuso a norma di legge». Ma anche Firenze, dove i «tanti interventi smantellano il territorio», dice Mario Bencivenni. Bagno a Ripoli, che secondo i conti di Sergio Morozzi, autorizza 150 villette. San Casciano e l´insediamento della Laika, ricorda Claudio Greppi. La Piana e l´inceneritore, aggiunge Valeria Nardi. Poi ancora, San Salvi, Montebeni, San Quirico d´Orcia. E quando Asor Rosa lancia l´idea di una rete dei comitati, «a cominciare dalla Toscana», tutti si dicono d´accordo.

E´ l´annuncio di un nuovo livello conflittuale. «Più maturo», dice Asor Rosa. Ma anche più efficace: «Cosa va cambiato? Il fatto è che lo Stato ha abdicato alla responsabilità urbanistica passando tutto alle Regione. E la Regione Toscana ha abdicato nei confronti dei Comuni - dice il presidente toscano di Italia Nostra Caracciolo - si deve ricostituire un sistema d´autorità a cui poter fare ricorso in caso di problemi». Col presidente toscano Piero Baronti però Legambiente prende le distanze: smentisce pure di essere tra gli organizzatori del convegno («Non siamo stati neppure interpellati, ci hanno messo nell´elenco senza avvertirci»). Come annunciato, in platea nessun rappresentante delle istituzioni. Si fa vedere solo il presidente del Consiglio regionale Riccardo Nencini all´inizio, ma se ne va poco dopo.

In calce potete scaricare l'intervento di Luigi Scano e il documento che ha costituito la base dell'intervento di Paolo Baldeschi, entrambi critici nei confronti del Piano d'indirizzo territoriale della Regione Toscana

Il bravo assessore all´Urbanistica della Toscana, Riccardo Conti, giustamente fiero del "suo" territorio, contesta (nelle Lettere a "Repubblica" del 24 us), in cortese polemica con la mia ultima rubrica, la validità dell´art. 9 della Costituzione ("La Repubblica.... tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione"). Quando mai – sembra dire – con tanti scempi che per cinquant´anni hanno devastato il Paese? Ora è pur vero che lo svuotamento degli strumenti urbanistici, la corruzione, la speculazione sfrenata hanno sovente avuto la meglio sui vincoli di legge e che in questo quadro la Toscana, a differenza di altre regioni, ha in buona misura saputo salvaguardare e saldare assieme, come dice Conti, "città, bellissimi borghi, attività produttive molteplici, grandi bellezze e tradizioni culturali". Ma questo non è un buon motivo per devolvere in toto le responsabilità della salvaguardia dallo Stato alle Regioni e, ancor peggio – Toscana docet –, da queste ai Comuni. Come si è appena visto, proprio il fatto che il completamento della speculazione di Monticchiello (vedi "Linea di Confine" del 22 us) sia stato bloccato da un intervento in extremis del ministro dei Beni culturali, nonché vice presidente del Consiglio, sta a comprovare l´esigenza di una autorità più alta di ultima istanza. Lo ha ribadito anche Rutelli ad "Italia Nostra". Del resto, a dispetto dei molti meriti, anche la Toscana annovera esempi pessimi, a cominciare dalla devastazione dell´Argentario. Una zona minacciata inoltre dalla paventata nuova autostrada. Infine, sempre a proposito della Val d´Orcia, se Rutelli è riuscito ad imporre la tardiva soluzione del "male minore", non potendo più far abbattere tutte le villette, nessuna garanzia è stata ancora data sul pericolo che una collina prospiciente Pienza, malgrado la protezione dell´Unesco, venga di bel nuovo scavata e sconciata dal cosiddetto "trasferimento" della vecchia cava, ora al di là dal dosso. Anzi non poca preoccupazione mi desta la lettera di Conti laddove esalta "le Crete senesi, attività storiche che fanno parte di una identità insieme ai paesaggi e ai campi coltivati" e conclude: "Quale tutela sarebbe possibile in un territorio inerte e imbalsamato?". La frase può essere interpretata a doppio senso: se per crete senesi s´intendono i celebri calanchi, cioè i dirupi argillosi e le conformazioni geologiche create dal ruscellamento delle acque, allora anche queste fanno parte del paesaggio da salvaguardare, ma se, di contro, con una abile traslitterazione, per crete si vuol intendere il "cotto", tratto dalla escavazione della argilla, per alimentare una fabbrica di foratoni di una grande impresa del settore, allora il discorso cambia. E non perché la Toscana non debba avere fabbriche, opifici, industrie ed anche nuovi manufatti edili, ma perché tutto questo va collocato in modo da non alterare e danneggiare una patrimonio ambientale, paesaggistico e artistico prezioso ed unico al mondo. E´ una stupida polemica quella che contrappone la validità e la modernità di una cosiddetta "tutela dinamica" del paesaggio ai "retrogradi difensori di una Toscana da cartolina". In realtà chi si nasconde dietro simili slogan è prigioniero di una cultura vetero-industrialista e non coglie come ormai, proprio nel contesto della globalizzazione, il "territorio" si è trasformato nel patrimonio più concorrenziale del nostro Paese. Non per farne una immagine museale ma la base creativa in cui nuove tecnologie, società dell´informazione, paesaggio, cultura, arte, agricoltura avanzata, accoglienza qualificata si combinino in un mix vincente e non rapidamente consumabile. Mi scrive, tra gli altri, il prof. Giorgio Pizziolo, ordinario di Urbanistica a Firenze: "In realtà la posizione arretrata è proprio quella di certi amministratori che dal Pit (Piano di indirizzo territoriale) alle pratiche correnti, trattano il paesaggio come "valore aggiunto" e come fattore di valorizzazione, aprendo così di fatto il territorio toscano all´ondata speculativa in atto, richiamata dalla sua fama e dalla sua immagine. Così la speculazione edilizia e le attività improprie, tenute finora distanti dai paesaggi di pregio unico, possono trovare numerosi canali di intervento, legalmente riconosciuti. Mentre, invece, per attuare la sostenibilità che si afferma di volere, sarebbe necessario cambiare profondamente modello di sviluppo e fare del paesaggio, in quanto tale, un elemento fondamentale della nuova programmazione, fulcro di orientamento di tutte le altre scelte, non un elemento di valorizzazione "aggiuntiva" e, di fatto, speculativa.

In eddyburg, l'analisi di Giorgio Pizziolo

SIENA - Distanze insufficienti dalle mura antiche, oltre a misure e altre caratteristiche degli edifici in costruzione ai piedi del borgo medievale, danneggiano la prospettiva e alterano il decoro della Rocca di Monticchiello. Dovrebbe essere questa la motivazione con cui nei prossimi giorni il ministero per i Beni e le attività culturali aprirà la procedura prevista dagli articoli 45 e seguenti del decreto legislativo 42 del 22 gennaio 2004, per sottoporre ad un nuovo vincolo, quello della tutela indiretta, l’area nel comune di Pienza oggetto di una lottizzazione discussa ma pienamente autorizzata. Risultato: stop d’autorità, almeno per ora, alla costruzione dei tre edifici del lotto D, per un totale di una ventina di appartamenti disposti su due piani i cui lavori devono ancora iniziare. Sono le villette giudicate a più pesante impatto dagli architetti paesaggistici nominati in base ad un accordo ministero-enti locali e che si punta a cancellare dalle previsioni di edificazione. Anche al costo, se la procedura non dovesse approdare ad un accordo tra privati e parti pubbliche, di dover pagare al costruttore fior di quattrini di penale. Il ministero, insomma, passa all’attacco. E ferma la costruzione di circa un quarto dell’insediamento, che è diviso in undici blocchi per complessivi 87 appartamenti, la maggior parte già in costruzione e venduti sulla carta.

Dai buoni propositi, dai bonari inviti all’impresa, si passa dunque ai provvedimenti ex lege e al braccio di ferro per evitare quello che è stato definito un «ecomostro», uno scempio in una delle zone più belle d’Italia, che mette a rischio il sigillo di patrimonio dell’umanità concesso dall’Unesco alla Val d’Orcia. La strategia è stata definita ieri in un incontro, che si è svolto presso la Provincia di Siena, e al quale hanno partecipato, oltre ai vertici e ai tecnici di Regione ed enti locali, il direttore generale per i beni architettonici e del paesaggio del ministero Roberto Cecchi e soprintendenti della Toscana. La riunione ha prodotto un protocollo d’intesa, i cui contenuti non sono stati resi noti in attesa di un annuncio ufficiale che il vicepremier Francesco Rutelli si è riservato di fare nei prossimi giorni. È trapelato però che il pezzo forte dell’intesa è la decisione di avviare «la procedura di tutela indiretta». Che sarà presto notificata dal soprintendente all’impresa di costruzioni. E avrà come effetto immediato il blocco dei lavori di realizzazione degli edifici finiti nel mirino dei consulenti nominati d’intesa da Ministero e Comune di Pienza per «correggere» e «mitigare» l’impatto della lottizzazione. Il comma 4 dell’articolo 46 del decreto legislativo 42 impone infatti, «in via cautelare, la temporanea immodificabilità dell’immobile». In questo caso si imporrà di non cominciare i lavori dei tre blocchi del lotto D.

Nuovi vincoli diretti saranno inoltre varati per tutelare la Rocca di Monticchiello da mire speculative. Mentre gli enti locali hanno ottenuto la promessa dal ministero di un sostegno allo sviluppo del territorio della Val d’Orcia attraverso l’apertura di linee di finanziamento «dedicate», che una Fondazione ad hoc canalizzerà verso iniziative nella quali si abbinino crescita e tutela dell’ambiente. «È stato definito un accordo equilibrato che garantisce maggiori e ulteriori azioni di tutela al patrimonio paesaggistico ma che, al contempo, tiene conto anche dei temi dello sviluppo sociale ed economico di quell’area» si è limitato a commentare, senza peraltro voler rivelare i contenuti dell’intesa, il presidente della Provincia di Siena Fabio Ceccherini. In sintonia il sindaco di Pienza, Marco Del Ciondolo, più volte nel mirino per aver autorizzato la discussa lottizzazione di Monticchiello. «Non è mettendo in contrasto sviluppo economico e tutela del paesaggio che si può affrontare la questione di Monticchiello e della Val d’Orcia - ha detto De Ciondolo - È quanto invoca la stessa motivazione del riconoscimento Unesco nel 2004 alla Valdorcia: trovare il giusto equilibrio tra tutela e antropizzazione».

Pochi sanno che il direttore del Centro del Patrimonio mondiale dell’Unesco, incaricato di iscrivere nella lista dei siti protetti le località più straordinarie e uniche di ogni continente, è un italiano, l’architetto Francesco Bandarin. L’ho incontrato recentemente a Parigi e mi ha espresso le preoccupazioni della organizzazione per quanto sta avvenendo in Val d’Orcia, prescelta, appunto, nel 2004 dall’Unesco come uno dei luoghi più emblematici per trasmettere e conservare l’immagine della Toscana (è proprio di qui la celebre foto di Robert Capa della strada che sale a zig zag, costeggiata da cipressi, icona internazionale della campagna senese). I nostri lettori sono stati messi al corrente dagli articoli di Alberto Asor Rosa, di Giovanni Valentini e di altri dello scempio edilizio inferto, reclamizzando addirittura l’avvenuto patrocinio, all’antico borgo fortificato di Monticchiello con la lottizzazione di 20.000 metri cubi a villette a due piani, autorizzata dal comune di Pienza. Neanche l’intervento in extremis del ministro per i Beni culturali è valso a bloccare l’operazione speculativa e Rutelli ha solo potuto promettere qualche palliativo per «mitigare» la visibilità dell’offesa. Ma il capitolo delle incursioni non si è fermato qui. Si è aperto subito dopo quello della cava di Malintoppo, da cui dal 1920, quando la sensibilità ambientale era di là da venire, si estrae l’argilla per la fabbricazione del cotto toscano, prodotto da una vicina fornace. Scava che ti scava, una parte della collina, quella che guarda verso Montalcino e San Quirico, è ormai ridotta ad un grande buco grigio. Nel frattempo la vecchia cooperativa ha venduto a un gruppo industriale del settore che ha fortemente incrementato la produzione con conseguente intensificazione delle escavazioni e, secondo l’Agenzia dell’Ambiente, delle emissioni inquinanti.

Contemporaneamente la nuova impresa ha acquistato 18 ettari di terreni adiacenti a un prezzo triplo di quello di mercato, così da impedire la prelazione dei contadini confinanti. Questi terreni, sui quali ricade il vincolo protettivo dell’Unesco, superano il crinale della collina e si aprono verso Pienza. Sono destinati in un prossimo futuro ad "ospitare" una nuova cava al posto della vecchia in esaurimento, deturpando anche da questo lato il paesaggio. Il comune di San Quirico appare intenzionato a dare parere favorevole, superando le obiezioni fin qui espresse dalla Regione. Di fronte alle prime proteste il sindaco si è inalberato e in una recentissima intervista dichiara che «sta valutando le vie legali per la diffamazione». Par di capire che la sua reazione nasca dal fatto che la nuova cava, dal punto di vista del perimetro, non dovrebbe essere più ampia della vecchia. Che male c’è ad autorizzare un trasloco? Ed aggiunge, con una «spiegazione» che più rivelatrice non si può: «È giunto il momento di preoccuparsi non solo delle tematiche ambientali ma delle persone che abitano, lavorano e sentono proprio questo territorio... reso Patrimonio dell’umanità grazie al loro duro lavoro».

Quasi si trattasse di difendere un centro siderurgico e non un paesaggio unico al mondo, "patrimonio", appunto, di tutti e non solo di chi localmente lo amministra. Ora è in corso il complicato iter tra Regione, Provincia ed altri enti, in base a una farraginosa procedura che vede il sovrapporsi di diversi Piani di intervento (dal Pit – Piano d’indirizzo territoriale – al Praer – Piano attività estrattive e di recupero per finire con la Vpr, Variante al Piano regolatore). Alla fine, però, sarà il Comune, come per Monticchiello, ad avere l’ultima parola, in base alla Legge 1/2005 della Regione Toscana che subdelega ai Comuni il potere di autorizzazione paesaggistica nelle zone vincolate, riservando alla Regione un ruolo puramente programmatorio e d’indirizzo. È il frutto di una teorizzazione estremizzata del governo "partecipato" del territorio e di una visione angelicata delle "virtù" dell’ente locale. Si sottovaluta, per contro, che questa delega verso il basso – apparentemente più democratica – è destinata ad alimentare un devastante conflitto d’interessi poiché i Comuni, in nome di una malintesa idea di "sviluppo", sono a volte più sensibili all’introito dei cospicui cespiti delle concessioni edilizie che al fascino del paesaggio. Del resto si tratta del punto di arrivo della dissennata riforma del Titolo V della Costituzione: ormai non è più «la Repubblica (che) difende il paesaggio», poiché questo grande valore di principio è stato spezzettato in quote condominiali locali.

Un altro atto che segna l’abdicazione suicida di una classe dirigente.

Sul caso Monticchiello sbagliate

Il 5 gennaio scorso è comparso su il manifesto un articolo di Stefano Chiarini («Disfida di Monticchiello») che, al di là delle opinioni, esige alcune precisazioni. 1. Chiarini afferma che gli amministratori locali non erano stati invitati al convegno di fine ottobre. Non è vero. Se fosse stato presente o avesse assunto doverose informazioni, avrebbe visto o saputo che hanno preso la parola al convegno, oltre all'assessore regionale Riccardo Conti, l'assessore al Turismo del comune di Pienza, Claudio Serafini che ha portato, fra l'altro, un saluto ai convegnisti, il sindaco di San Quirico d'Orcia, Marileno Franci; il sindaco di Capalbio, Lucia Biagi; il sindaco di Mantova, Fiorenza Brioni; l'ex sindaco di Pienza e altri. Tutti i principali esponenti della amministrazione comunale di Pienza erano stati invitati, ma il sindaco Del Ciondolo non ha ritenuto opportuno partecipare.

2. Chiarini sostiene che, nonostante «il linciaggio mediatico» promosso da quanti erano, e sono, contrari alla lottizzazione di Monticchiello le istituzioni «chiamate in causa» non hanno condiviso quegli atteggiamenti critici. Anche questo non è vero: il ministro Rutelli, subito accorso in zona, ha valutato la lottizzazione in modo pesantemente negativo e proposto, quanto meno, di limitarne i danni; il presidente della regione, Claudio Martini, l'ha definita «uno schifo» (da non ripetere); il direttore dell'Unesco arch. Francesco Bandarin, ha scritto alla Società Iniziative Toscane srl e ai giornali: «L'iniziativa di costruzione di una lottizzazione edilizia in comune di Pienza, a Monticchiello, non ha in alcun modo l'approvazione dell'Unesco, che anzi la considera lesiva dell'integrità del sito del Patrimonio mondiale della Val d'Orcia» chiedendo che qualsiasi riferimento all'Unesco venisse subito tolto dalla pubblicità di quella immobiliare.

Nulla racconta Chiarini del tono aggressivo usato, nel proprio sito, imitando le Iene televisive, dalla immobiliare Iniziative toscane contro i suoi critici, persino contro il parroco «colpevole» di aver espresso un'opinione negativa in merito. Nulla racconta del volantino anonimo contro Alberto Asor Rosa chiamato il «vero ecomostro della Val d'Orcia», e distribuito in tutte le cassette postali del paese, né di altri spiacevoli episodi.

Infine, sulla legislazione urbanistica toscana, tanto lodata da Chiarini, ci limitiamo a far notare come la sub-delega ai comuni della tutela paesaggistica sia stata criticata dalla Conferenza nazionale per il paesaggio e dall'allora ministro dei Beni culturali, Giovanna Melandri, fin dal 2000 e come essa confligga con lo stesso articolo 9 della Costituzione «la Repubblica (e non i comuni, n.d.r.) tutela il paesaggio» e pure con il Codice dei beni culturali e paesaggistici. Del resto, in quale modo possono i comuni da una parte incassare somme decisamente consistenti dalle concessioni edilizie, come è avvenuto negli ultimi anni, e dall'altra svolgere efficacemente il ruolo di tutori unici del paesaggio? Senz'altri controlli che quelli (nel caso in questione gravemente assenti) della Soprintendenza ai Beni architettonici e paesaggistici? Essere al tempo stesso controllori e controllati è sempre sbagliato, antidemocratico e fonte di pasticci senza fine. Il caso Monticchiello ha fatto emergere in Toscana una serie di lottizzazioni per le seconde case e di pesanti scempi paesaggistici a Fiesole, a Bagno a Ripoli, a Donoratico, a Bagnaia, a Rigutino, a Casole d'Elsa, a Capalbio, a Magliano in Toscana, a Campagnatico, ecc. Alla faccia dell'urbanistica «partecipata». Sinceri saluti.

N. Criscenti; V. Emiliani, Com. per la Bellezza; L. Menchini, Legambiente Chianciano; Violante Pallavicino

«Scandalo» nella Val d'Orcia

Marco Del Ciondolo *

Come possiamo tornare a parlare dei problemi della Val d'Orcia in modo «normale» e costruttivo? Il nuovo grido di allarme uscito sulla stampa nazionale a firma di Alberto Asor Rosa, «Una cava minaccia la Val d'Orcia» ripropone purtroppo ancora una volta il metodo utilizzato nel più famoso articolo sulla lottizzazione di Monticchiello del 24 agosto 2006, «Il cemento assale la Val d'Orcia». Anche in questo caso si utilizzano dati e fatti, distorcendoli, o peggio, per amplificare il punto di partenza di un ragionamento che trova terreno fertile per suscitare una facile attenzione mediatica mentre elude la complessità della realtà, costringendo a una difficile operazione di difesa i malcapitati amministratori locali da tempo impegnati in una coerente difesa del territorio.

Nel caso della cava di S. Quirico - dal nome di «Malintoppo» - Asor Rosa sostiene che si stia procedendo a un ampliamento di diciotto ettari di una cava esistente, con conseguente compromissione del paesaggio; in realtà, quello di cui si sta discutendo nelle sedi istituzionali appropriate (e su proposta del comune di San Quirico d'Orcia) è la semplice traslazione di circa tre ettari della cava in una zona più a valle, con finalità esplicite di salvaguardia del paesaggio e della vegetazione locale.

E' evidente che anche in questo caso, così come in precedenza per quello di Monticchiello, l'obiettivo di queste critiche sembra quindi quello di voler colpire la pianificazione complessiva dell'area delegittimando la credibilità del percorso tecnico e istituzionale in atto.

L'articolo allarga la polemica denunciando una presunta mancanza di sensibilità delle istituzioni locali, che sarebbero incapaci di garantire la tutela del buon nome della Val d'Orcia. Viene in un primo momento plaudita l'iniziativa del sindaco di S. Quirico, Marileno Franci (apparsa sulla stampa nazionale) che ha chiesto alla Monsanto di non utilizzare l'immagine dei «cipressini» - icona internazionale della val d'Orcia e della Toscana tutta - per pubblicizzare i suoi Ogm (organismi geneticamente modificati, antitesi evidente della genuinità dei prodotti locali) ma subito dopo il professor Asor Rosa si domanda il perché di tanto zelo, affermando che nulla sarebbe stato fatto per impedire alla immobiliare che sta costruendo l'ecomostro di Monticchiello di pubblicizzare in maniera analoga la sua iniziativa.

In verità l'utilizzo pubblicitario da parte della Società iniziative toscane, realizzatrice della lottizzazione di Monticchiello, delle dizioni «provincia di Siena», «comune di Pienza», «Parco artistico naturale e culturale della Val d'Orcia» e «Patrimonio mondiale dell'umanità» è apparsa da subito ai soggetti istituzionali interessati come inopportuna, ma si configura sostanzialmente come un'azione legittima. I soggetti chiamati in causa da Asor Rosa (non essendo dotati di potestà legislativa), pur avendolo tentato, non sono quindi riusciti ottenere la cancellazione dei prestigiosi simboli dal materiale pubblicitario. La provincia di Siena e la Commissione italiana per l'Unesco avevano provveduto a diffidare, per quanto riguarda la provincia e a invitare per quanto riguarda la Commissione Unesco, la Società iniziative toscane dal loro utilizzo. Per quanto riguarda il comune di Pienza - e questo Asor Rosa lo sa per certo avendoglielo io stesso raccontato in un colloquio risalente alla scorsa primavera - l'intervento sulla questione si è dispiegato in una duplice direzione: dapprima diffidando la Società medesima e invitandola al ritiro di una prima edizione del materiale pubblicitario cartaceo che conteneva i loghi degli enti interessati (cosa che è avvenuta immediatamente) e successivamente, visionata la seconda versione dei depliant e dei manifesti, attraverso l'interessamento di un legale di fiducia, che ne ha tuttavia confermato la legittimità (estate 2005).

«Anno nuovo, vizi vecchi» verrebbe da dire; e purtroppo siamo sempre nel campo di un'informazione non corretta, per quanto autorevolmente supportata (viene da pensare: l'autorevolezza è data una volta per tutte o, come accade per tutte le azioni umane, dovrebbe essere anch'essa soggetta a qualche forma di verifica?).

Con queste premesse dovremmo ora occuparci del problema vero che è stato sollevato, e cioè quello della tutela del territorio, questione che vede costantemente impegnati da un ventennio gli amministratori di questa valle, con risultati positivi che sono evidenti a chi ha voglia di posarvi uno sguardo non viziato da pregiudizi. Ma come si fa? Credo che il confronto sia francamente difficile, se non impossibile, almeno fino a quando non sarà restituita oggettività e giusta dimensione ai fatti, e soprattutto fino a quando si continuerà a ignorare le sedi e i percorsi democraticamente legittimati. Auspico allora che partendo da un «Malintoppo» possiamo sgombrare il campo dai malintesi, dalle esagerazioni e dalle delegittimazioni sentenziate a priori. Buon anno e che Iddio ci salvi dai salvatori della Val d'Orcia...

* sindaco di Pienza e pres. Conf.za sindaci Val d'Orcia

Tra borghi antichi e sciacchetrà

Francesco Ferrante *

Cari amici de il manifesto, la lettura incrociata - lettura che voi stessi invitate a fare nell'occhiello del secondo articolo - dei pezzi usciti venerdì 5 gennaio su Monticchiello e sabato 6 sul Parco delle Cinque Terre, dipingono un pezzo di realtà che francamente mi riesce difficile riconoscere. Conoscendo bene quelle due zone e le storie relative permettetemi di provare a spiegare perché a mio parere leggete male ciò che lì sta succedendo. Secondo Stefano Chiarini a Monticchiello un professore (Asor Rosa) con la complicità delle associazioni ambientaliste (tutte) ha scatenato un'ingiustificata campagna mediatica contro la regione Toscana e amministrazioni locali della Val d'Orcia su un intervento alle porte di Montichiello tutto sommato poco impattante e che sarebbe invece necessario per dare risposta alla richiesta di case della popolazione locale. Ciò che si tace nell'articolo è che però la supposta pressione demografica che giustificherebbe tale espansione edilizia è smentita (ovviamente) dagli stessi documenti programmatori del comune. Al contrario quell'intervento è figlio di un'impostazione - cemento, brutto cemento per seconde case - che tanti scempi ha causato in tutta Italia, specie al sud dove ciò è avvenuto fuori da ogni regola e con diffuso abusivismo, ma anche al centro e al nord dove molto spesso si sono fatti danni «legalizzati». Anche nella splendida Val d'Orcia e nella meglio amministrata Toscana (anche se mi pare eccessivo definire la regione che si batte con forza per la realizzazione dell'inutile autostrada tirrenica come un modello «non solo in Italia») quella «cultura» urbanistica ha colpito: basta andare in giro per quelle splendide lande e dare un'occhiata anche alle espansioni che negli scorsi decenni sono cresciute attorno ai borghi antichi. Oggi finalmente qualcuno riesce a mettere uno stop, e la protesta degli ambientalisti ottiene che il ministro Rutelli ponga attenzione alla vicenda e insieme alle amministrazioni locali provi a mitigare l'impatto di una scelta rovinosa e sbagliata qualche anno fa. Credo che chi si batte per cambiare questo paese e contro gli interessi dei pochi (costruttori) e a favore dell'interesse generale dovrebbe essere felice di questo processo e non criticarlo. Invece Alessandra Fava il giorno dopo dipinge la situazione del Parco delle Cinque Terre come un luogo dove la democrazia sarebbe addirittura sospesa - da un presidente-faraone - e dove i «dissidenti» avrebbero persino paura di incontrarsi al bar. Addirittura! Con tutta evidenza non è così e anzi l'esperienza del Parco nato nel 1999, innanzitutto grazie alla passione di chi ci lavora, è un modello positivo che andrebbe approfondito, quello sì che meriterebbe un'inchiesta, grazie alla quale si sta recuperando un territorio splendido che correva il rischi dell'abbandono completo e dello spopolamento. Oggi la fatica e la passione di quegli uomini e di quelle donne sta recuperando le terrazze, dove si producevano e si tornano a produrre vino e sciacchetrà (vino passito, ndr), che stavano franando anche sotto il peso di quei pini che niente c'entrano con la storia e la biodiversità di quei luoghi e dei quali alcuni oggi si ergono a strenui difensori. Oggi quasi 200 persone (in un territorio dove ne vivono circa 5 mila) lavorano grazie al Parco e alle cooperative che sono nate attorno ad esse. Tutta l'economia della zona ne ha tratto beneficio (e questo tenendo bassi i prezzi di alberghi e ristoranti contro ogni tentazione di turismo d'élite e invece promuovendo culture e prodotti locali) e tornano a nascere bambini qui e quindi servono scuole. E' un successo straordinario non qualcosa di cui lamentarsi. Poi sui singoli progetti è ovviamente legittimo il dibattito. Io continuo a pensare che il progetto sul Villaggio Europa sia una riqualificazione importante e che la scuola sia utile e bella realizzata con i criteri della bioarchitettura. Ma anche se sbagliassi su quelle due cose ritengo che è ben più grave non cogliere quanto sia «rivoluzionario» il progetto complessivo del Parco. Comunque la Val D'Orcia e le Cinque Terre sono posti talmente splendidi che valgono certamente un viaggio dei lettori de il manifesto per verificare quale è la lettura della realtà più corretta.

* Direttore generale Legambiente

Mi chiamo Franco Matteoni, sono un ingegnere di 57 anni, libero professionista a Pistoia. Da molti anni faccio parte del partito dei Verdi,( sono anche Consigliere comunale a Sambuca Pistoiese, piccolo comune montano), del WWF e di Legambiente. Da tre anni sto partecipando ad una battaglia di civiltà contro un'enorme danno paesaggistico che sta per abbattersi sulla mia bella città. A questa battaglia partecipano tutte le Associazioni ambientaliste pistoiesi, i Verdi,( che per questo sono stati espulsi dall Giunta comunale), cittadini ed una libera Associazione, chiamata Osservatorio sulle politiche urbanistiche sanitarie e sociali, di cui fanno parte le stesse Associazioni, cittadini ed alcuni professionisti, qualche architetto, geologo, ingegnere. Nell'ultima area rimasta libera a sud della città, destinata dal Piano strutturale a Parco urbano, "Presidio delle Mura Verdi" sta per essere costruito il nuovo ospedale che fa parte del Project financing per la realizzazione di 4 ospedali: di Pistoia, Lucca, Massa e Prato. L'area scelta a Pistoia è l'ex-campo di volo, già classificata dall'Autorità di bacino, come area "di pertinenza fluviale", perché, per la sua altimetria e la posizione, adatta ad essere invasa dalle piene del torrente Ombrone: il prof.Menduni scrisse a proposito in un documento del 2003; ½l'area deve essere salvaguardata, in generale, per la mitigazione del rischio idraulico, nonché di altri rischi, in particolare idrogeologici e ambientali.… . L'area è inoltre classificata dal Piano Comunale di classificazione acustica come zona 4 a causa dell'elevato livello del rumore trasmesso dall'adiacente circonvallazione e dall'autostrada Firenze-Mare: gli ospedali, secondo le Norme vanno costruiti in zone di classe 3 e 2. Gli Amministratori pistoiesi hanno adottato, per superare questo ostacolo, una variante al Piano che riporta l'area in classi idonee, ipotizzando la costruzione di barriere fonoassorbenti alte anche 6 m lungo gli assi viari.

Non è finita. Nella zona si trovano importanti pozzi che alimentano l'acquedotto, fornendo una portata che copre circa il 30% del fabbisogno della città: i pozzi dovranno essere dismessi con la costruzione dell'ospedale e la preziosa risorsa idrica andrà perduta. E ancora: la falda idrica è presente a quote prossime a quella di campagna per cui anche la falda rischia di essere inquinata e danneggiata dalla costruzione. Nella battaglia per la difesa dell'ex campo di volo sembrava che la Sovrintendenza fosse dalla nostra parte, infatti nel settembre scorso il Ministero per i Beni e le Attività culturali ha dichiarato l'area " di notevole interesse pubblico", accogliendo la proposta fatta dalla Sovrintendenza,( decreto del 7/09/2005). E' stata grande la delusione e lo sconcerto quando, nella Conferenza di servizi, la Sovrintendenza non ha difeso il vincolo paesaggistico, da lei stessa richiesto ed appena introdotto. Il Decreto, che La prego di leggere, dichiara: "mantenere le caratteristiche di area verde di notevole pregio naturalistico ancora possedute dalla zona e di fascia di rispetto tra la città e l'antistante paesaggio collinare e pedecollinare"; " costituisce un'area di belvedere verso quadri naturali di grande pregio a sud verso le colline del Montalbano, ad ovest verso la valle dell'Ombrone,..." ed ancora" la zona in questione, ancora salvaguardata da insediamenti, collega mirabilmente dal punto di vista ambientale la città di Pistoia con le colline del Montalbano, risultando così luogo di grande valore paesaggistico anche per la sua conformazione territoriale". Sembrava che questa Dichiarazione appassionata bastasse a mantenere integra l'area e realizzarvi il Parco urbano previsto da più di trent'anni, invece...

Anche le procedure autorizzative sono tutte improntate alla velocizzazione dei percorsi burocratici e a negare la partecipazione. Siamo stati costretti a ricorrere al Tar visto che, contrariamente a quanto disposto dalla legge regionale i del 2005, l'Accordo di programma tra regione, provincia, Comune, Asl, ecc. che ha variato gli Strumenti di pianificazione urbanistica, è stato ratificato dal Consiglio comunale senza ammettere la presentazione di Osservazioni. Infine, la situazione di Pistoia si riproduce quasi fedelmente a Lucca e Massa: anche qui i nuovi ospedali sono stati previsti in aree con grosse criticità, dismettendo nosocomi ancora efficienti ed in cui sono in corso ingenti investimenti di ammodernamento. Ho cercato di sintetizzarLe dati e considerazioni su situazioni che a noi, cittadini normali, sembrano incredibili per l'evidente disprezzo delle regole, dei compiti istituzionali, della partecipazione, di valori fondamentali come il paesaggio e l'economicità e logicità delle scelte politico-amministrative.

Grazie per l’ospitalità.

In grandissima parte d’Italia le aree vincolate per verde pubblico, oppure tutelate per ragioni aventi a che fare con l’integrità fisica e l’identità cuturale (l’area cui si riferisce a entrambi le ragioni di tutela, mi sembra), sono considerate aree in attesa di trasformazione a scopi edilizi. A New York, nel 1835, per costruire un grande servizio pubblico, il Central Park, tolsero l’edificabilità privata a un centinaio di grandi isolati; in Italia mai che per realizzare un servizio pubblico si tolga l’edificabilità a suoli privati: si colpiscono sempre, e solo, gli interessi pubblici più deboli.

In molte regioni e città ciò succede a causa di oggettive preferenze di chi governa per alcuni interessi (quelli immobiliari), o per ignoranza. In Toscana ciò succede, a parere di eddyburg, a causa di alcuni seri equivoci a proposito del ruolo dei diversi livelli istituzionali e, di conseguenza, alle caratteristiche del sistema di pianificazione.

Bene ha fatto, anzi, molto bene ha fatto il sindaco di S. Quirico d´Orcia, Marileno Franci, a denunciare per «appropriazione indebita» la Monsanto, grande produttrice internazionale di Ogm, perché sul suo sito usa a scopi pubblicitari foto di paesaggi indimenticabili della Val d´Orcia. L´importanza di tale denuncia sta nell´acquisita consapevolezza che paesaggio e territorio, essendo patrimonio di tutti, non possono essere sfruttati in senso speculativo da nessuno: neanche quando si tratti di quel bene, più astratto e forse più difficilmente definibile dal punto di vista giuridico, che è 1´ «immagine del territorio». Farei due osservazioni, una procedurale, 1´altra più sostanziale.

Per più di un anno sono apparse su grandi quotidiani nazionali e su quotidiani locali e minori, vistose inserzioni pubblicitarie dell´impresa Iniziative toscane, le quali, oltre a pubblicizzare i cosiddetti "Casali di Monticchiello", portavano in alto a sinistra, in bell´evidenza, la dizione: "Provincia di Siena", in alto a destra "Comune di Pienza", e in bella vista nel corpo del messaggio "Parco artistico naturale e culturale della Val d´Orcia" e "Patrimonio Mondiale dell´Umanità", con chiara allusione all´Unesco. Sullo sfondo la foto della strada contornata di cipressi che scende verso Monticchiello, e che è una di quelle che ora il sindaco Franci contesta alla Monsanto.

Si direbbero forme di appropriazione dell´immagine e del messaggio non meno pesanti di quelle operate dalla Monsanto. Non risulta che i vari Enti chiamati in causa - se si esclude una tardivissima iniziativa dell´Unesco, del resto inesplicabilmente inerte in tutta la vicenda - abbiano mai formulato nei confronti delle Iniziative toscane richieste analoghe a quelle del sindaco Franci. Se non è così, sarebbe interessante sapere come e quando esse si siano manifestate, e con quali reazioni ed effetti.

Secondariamente (ma non tanto): è del tutto ovvio che la "difesa dell´immagine del territorio" è importante, ma ancor più importante è la "difesa del territorio".

Ora, giunge notizia dalla stampa (a partire da un articolo del Corriere di Siena del 22 settembre u.s. seguito da diversi altri) che nel territorio del comune di San Quirico, presieduto dal suddetto sindaco Franci, sono state avviate le procedure per estendere di ben diciotto ettari la cava di argilla, da cui trae la materia prima una nota fabbrica di laterizi del luogo, la cosiddetta «cava di Malintoppo» (nome, si deve convenire, poco beneaugurante). Esaminata de visu, la cosa, se realizzata, si presenterebbe catastrofica: il fronte della cava, infatti, risulterebbe prospiciente, senza più alcuna copertura, proprio ad alcuni fra i poderi e fra le colline più belli dell´intera Val d´Orcia.

E´ facile rendersi conto che la situazione di San Quirico, dove è interessata un´attività produttiva che dà lavoro a svariate decine di dipendenti, non è paragonabile a quella puramente speculativa dei "Casali di Monticchiello". Tuttavia, proprio questa maggiore complessità dovrebbe spingere a cercare soluzioni che non siano ancora una volta a danno del paesaggio valdorciano, il quale, non c´è ombra di dubbio, non è in grado di sopportare altre offese dopo quelle recentemente subite. Se è vero quello che scriveva (2 gennaio) su questa colonne il presidente della Commissione regionale Territorio e Ambiente, Erasmo D´Angelis, e cioè che il problema toscano consiste oggi nel tentare di coniugare virtuosamente il "vecchio" modello di sviluppo con quello "nuovo" e potenzialmente prevalente, il caso di San Quirico d´Orcia è uno di quelli con cui il personale politico del centro-sinistra deve da subito misurarsi per dimostrare che è in grado di farcela (cosa di cui, sulla base delle esperienze passate, sarebbe lecito dubitare). Aggiungo che, per restare al caso Val d´Orcia (ma forse il ragionamento varrebbe in generale per il caso Toscana), siamo andati avanti recentemente a colpi di casi singoli, il che non solo è sbagliato ma è anche improduttivo dal punto di vista degli obbiettivi da raggiungere. Bisognerà tornare ad affrontare l´argomento in maniera globale: non mancherà il modo di farlo in tempi anche brevi.

Contributo a seguito del Convegno di Italia Nostra

“Dopo Monticchiello, paesaggio toscano da salvare: ripensare il governo del territorio - Firenze, 09.12.2006

Il nuovo PIT : un efficace strumento per il governo del territorio toscano, oppure un manuale di buoni consigli?”

A seguito del Convegno di cui all’oggetto e che ha visto una così ampia partecipazione di esperti e di pubblico, il Consiglio Regionale di Italia Nostra desidera trasmettere ufficialmente le proprie considerazioni e il proprio parere per rendere più efficace la disciplina del governo del territorio e la tutela dei valori paesaggistici, anche in riferimento alle bozze del nuovo PIT che la Giunta sta elaborando e che sono al momento consultabili.

Sul progetto di “Super 5” (divenuta poi LR1/2005 “Norme per il governo del territorio”) Italia Nostra organizzò a Firenze il 4 dicembre 2004 un convegno di studio con la partecipazione di esperti delle scienze del territorio e dell’assessore Riccardo Conti. Nel corso di quel convegno e nei giorni successivi, attraverso scambi con gli uffici regionali preposti, furono evidenziati oltre ad un insieme di aspetti positivi della legge - soprattutto se paragonata ad altre leggi regionali assolutamente devianti rispetto alla titolarità pubblica della pianificazione (come ad esempio la legge lombarda) - anche altri aspetti sicuramente non secondari che Italia Nostra non condivideva e rispetto ai quali furono avanzate precise osservazioni e proposte di varianti specifiche all’articolato.

Queste riserve e proposte riguardavano (e riguardano ancor oggi) da un lato le competenze di Regione, Province e Comuni, con la rinuncia a precisi compiti e poteri di coordinamento e controllo da parte della Regione, a nostro parere con uno sbilancamento eccessivo verso le autonomie locali, e dall’altro lato la richiesta di una più rigorosa ed efficace disciplina del territorio agricolo che tanto peso ha nel paesaggio toscano. Pochissime e solo marginali sono state le nostre richieste accolte poi dalla Regione nel testo definitivo approvato di questa legge.

E’ da rilevare che il modello di governo territoriale proposto dalla L.R. 1/2005 è stato oggetto, per quanto attiene la disciplina e la gestione dei beni paesaggistici, di rilievi da parte della Corte Costituzionale che con la propria sentenza n° 182 del 20 aprile-5 maggio 2006 ha dichiarato la illegittimità costituzionale di due disposizioni contenute nella L.R .n° 1/2005 (comma 3 dell’art:32 e comma 3 dell’art:34) in quanto in contrasto con il ’Codice dei beni culturali e del paesaggio’ (Dlgs 42/2004)….e questo confermando in qualche modo la giustezza di quelle nostre osservazioni.

La Corte ha sostenuto, infatti, che la disposizione legislativa regionale – il riferimento è al terzo comma dell’art. 34 della LR n° 1/2005 – sottrae “la disciplina paesaggistica dal contenuto del piano, sia esso tipicamente paesaggistico, o anche urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, che deve essere unitario, globale, e quindi regionale, al quale deve sottostare la pianificazione urbanistica ai livelli inferiori”.

Inoltre la Corte ha argomentato che l’art.135 del “Codice” è “tassativo, relativamente al piano paesaggistico, nell’affidarne la competenza alla Regione”, che il successivo articolo 143 elenca dettagliatamente i contenuti dello stesso piano e che l’articolo 145 definisce i rapporti con gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province “ secondo un modello rigidamente gerarchico ( immediata prevalenza del primo, obbligo di adeguamento dei secondi con la sola possibilità di introdurre ulteriori previsioni conformative che risultino utili ad assicurare l’ottimale salvaguardia dei valori individuati dai piani )”.

Infine la Corte ha concluso che la legislazione regionale non può porsi “in contraddizione con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale a tutela del paesaggio, che costituisce un livello uniforme di tutela non derogabile”.

Il nuovo PIT è figlio della LR 1/2005 e per questo lascia ancora irrisolti la precisa argomentazione della Corte Costituzionale e l’adeguamento alle norme del Codice della L.R. stessa.

Anche rispetto a questo strumento applicativo della pianificazione territoriale (ancora in bozza) una valutazione intellettualmente onesta deve considerare la complessità e la contraddittorietà della proposta.

Se lo consideriamo dal punto di vista strettamente disciplinare e accademico, il PIT (ultima formulazione finora conosciuta è quella del 15 dicembre 2006) si presenta, nel suo complesso, dal Quadro Conoscitivo, al Documento di Piano, alla parte normativa, assai ricco, stimolante, culturalmente aggiornato: basta scorrere gli indici ed esaminare l’articolato per rendersi conto della impostazione interdisciplinare delle argomentazioni. Di questo dobbiamo dare atto e tenere conto.

Diversa è la valutazione del PIT se lo si considera dal punto di vista dell’efficacia e dell’incidenza concreta nella pianificazione e nel governo del territorio regionale, sotto il profilo della salvaguardia attiva e di un coerente sviluppo realmente sostenibile.

Innanzitutto e per evitare equivoci, ribadiamo subito che il nuovo PIT (nella bozza attuale) non presenta i contenuti di piano paesaggistico prescritti al capo III, art. 143 e seguenti del DLGS 42/2004 "Codice dei beni culturali e del paesaggio" .

Il “giallo” dell’art. 31 (bozza del 15 dicembre 2006) appare irrisolto: il piano paesaggistico, che secondo lo stesso articolo sarebbe stato già elaborato congiuntamente da Regione, Ministero dei Beni Culturali, Ministero dell’Ambiente, si presenta all’improvviso come un fantasma e come tale subito si dilegua. Rileviamo inoltre che la formazione del piano paesaggistico non è in alcun modo richiamata in altri elaborati del PIT; in particolare il piano paesaggistico non è ricompreso nella tabella che indica i piani e i programmi regionali da attivare.

A ribadire questo indirizzo, la disciplina del PIT si limita a stabilire che la Regione provvede alla implementazione progressiva della disciplina paesaggistica anche attraverso accordi di pianificazione con le Amministrazioni interessate e mediante la successiva acquisizione delle determinazioni dei Ministeri per i BB. CC. e dell’Ambiente.

Altra cosa quindi rispetto all’intesa di cui all’art. 143 del “Codice del paesaggio” che richiede che, in tale intesa, sia “stabilito il termine entro il quale deve essere completata l’elaborazione del piano (paesaggistico).

Così operando la Regione Toscana testimonia di voler continuare ad operare all’interno del proprio indirizzo di lavoro che è stato attivato per dare attuazione alla Legge Galasso: quello di non procedere alla formazione di una specifica disciplina per il paesaggio!

Ma così operando…. la Regione Toscana non soddisfa un preciso obbligo di legge.

A oltre due anni dall’entrata in vigore del “Codice Urbani” si è forse persa un’occasione per integrare organicamente lo strumento di pianificazione territoriale con il piano paesaggistico. Questa mancata integrazione pone ancora una volta problemi di efficacia rispetto ai contenuti dei due strumenti, ai tempi e ai modi di attuazione.

Nel PIT viene consolidata, anzi esaltata, la pratica toscana della collaborazione pattizia tra Regione ed Enti Locali che si manifesta nella paziente ricerca della convergenza verso comuni obiettivi. Anche l’interesse regionale – comprensivo di quello in materia di paesaggio – è esercitato nel quadro di questa cooperazione limitandosi ad essere un momento della filiera delle responsabilità inter-istituzionali.

Eppure questo modello ha mostrato segni evidenti di mancata efficacia nel governare, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, le trasformazioni urbanistiche e territoriali; in particolare quelle che vengono ad interessare aree paesaggisticamente rilevanti quali sono quelle agricole che connotano significativamente l’identità della Toscana.

Questo è implicitamente riconosciuto dal “Documento di Piano”, dove trattando del patrimonio collinare ( ma non solo, anche delle realtà rurali di pianura e di valle) segnala che questo patrimonio, oggi, è a forte rischio di erosione in quanto assistiamo ad una pervicace e diffusa aggressione di questi territori da parte della rendita immobiliare che agisce indifferente ai luoghi alterando così le caratteristiche strutturali dei luoghi stessi.

A questa corretta analisi non corrisponde nel PIT l’individuazione di scelte conseguenti che abbiano efficacia nella riduzione del rischio. Sostanzialmente ci si limita a dare buoni consigli, ad esortare l’adozione di linee di intervento più attente alle specificità dei luoghi….e ad auspicare che, dove necessario, gli strumenti di governo del territorio (e cioè Piani Strutturali e Regolamenti Urbanistici comunali e, per quanto di competenza, i PTC provinciali) ridefiniscano, in coerenza con l’indirizzo regionale, le proprie acquisite opzioni pianificatorie.

In questo auspicio c’è il rischio, reale, che il nuovo PIT si riveli del tutto ininfluente a modificare – sia nelle quantità che nelle localizzazioni – le previsioni contenute negli strumenti di governo del territorio vigenti.

Non solo, ma questa ininfluenza si manifesta anche sulla formazione dei Regolamenti Urbanistici comunali da definirsi in attuazione di Piani Strutturali vigenti e sulle molteplici varianti ad essi.

Tornando allo specifico del nuovo PIT ed esaminando il “Documento di Piano” si riscontra una concezione del territorio e del paesaggio molto letteraria e poco “materiale”, una sorta di lunga premessa al Piano caratterizzata però da un taglio sostanzialmente economicistico, quasi espressione di una volontà di modernismo a tutti i costi.

Con la “rappresentazione del patrimonio comune”, con le “agenzie statutarie”, con lo “statuto del territorio toscano”, con una “agenda programmatica”, con le “scelte di indirizzo, condizioni, strumenti e procedure, metaobiettivi”, in sostanza con un insieme formalmente articolato, elegante, di buoni consigli….. riteniamo non sia possibile governare efficacemente il territorio, né a livello regionale, né a livello provinciale, né a livello comunale. Il governo viene lasciato sostanzialmente alla “capacità politica” dei politici-amministratori ai vari livelli istituzionali. E’ immaginabile la forza che potranno avere i “buoni consigli” di fronte al potere economico grande e piccolo: dalla SAT dell’autostrada tirrenica, alla Fondiaria della piana fiorentina, al piccolo speculatore immobiliare di paese?

Nel PIT non si riscontrano, anzi si rifiutano nettamente, le definizioni di quantità, di localizzazioni, di perimetrazioni, definite un po’ sprezzantemente “zonizzazioni” e sostituite da “sistemi territoriali funzionali”. Il concetto di “sistema territoriale funzionale” ben esprime la complessità dei diversi ambiti, ma la pianificazione e il governo del territorio rischiano di diventare concetti evanescenti di fronte alla pressione dei poteri forti.

Innovazione, sussidiarietà e autonomie locali, patto fra i diversi livelli di governo, governance, costituiscono concetti e lessico che percorrono tutto il documento.

Perfino la definizione di “obiettivi del piano” sembra essere troppo “vincolante”, pertanto vengono indicati “metaobiettivi” con l’evidente scopo di proporre un piano non rigido, duttile, elastico, che non “ingessi” il territorio, per usare un’espressione cara ai settori economico-politici che aborrono i “lacci e lacciuoli” di una politica di programmazione-pianificazione. Dove va a finire quel “senso del limite” giustamente affermato e conclamato?

Rispetto poi alle misure di salvaguardia che dovrebbero scattare all’approvazione del PIT, consideriamo che, nella definizione dei regolamenti urbanistici in attuazione dei piani strutturali vigenti, è facoltativa l’applicazione delle disposizioni contenute nel PIT e comunque è lasciata alla singola Amministrazione comunale la verifica della congruità delle proprie previsioni alle prescrizioni del PIT.

Nella normativa del PIT emerge una concezione che vede il territorio e il paesaggio essenzialmente come fattori costitutivi del sistema economico: il territorio inteso come patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale è presente, ma sembra essere quasi un corollario del sistema economico.

E le aree economicamente deboli e in cui scarsa è l’attività edilizia sono trascurate dal documento regionale: si consideri che nella struttura del territorio toscano non è compresa la montagna che presenta proprie peculiarità sociali, territoriali e paesaggistiche e pertanto non può essere ricondotta all’interno della schematica dizione del lemma di “universo rurale della Toscana”. Si consideri il significativo ruolo che hanno le Alpi Apuane, la Dorsale Appenninica e l’Amiata nel connotare l’identità toscana e che in questo contesto sono localizzati due Parchi nazionali (Appennino Tosco-Emiliano e delle Foreste Casentinesi) e uno regionale (Alpi Apuane).

La “moderna Toscana rurale” che costituisce il corpo del paesaggio e dell’ambiente toscano sembra essere un mero complemento delle “città della toscana”.

Le “invarianti strutturali” sono indicate e descritte in una elencazione che ne evidenzia tanto la complessità quanto il rifiuto di scelte definite, quindi emerge la difficoltà di gestione concreta e vincolante da parte della pubblica amministrazione.

Un esempio: fra le invarianti strutturali rientrano anche i siti UNESCO e le ANPIL. Il “caso Monticchiello” e le decine di altre “villettopoli” ed “ecomostri” che sono diventati concreti anche se sorgevano in territori indicati come invarianti strutturali. Se poi si considera che il territorio attorno al centro storico di Monticchiello, e tanti altri, è anche collinare ..... e le colline sono anch’esse indicate nel PIT come “’invarianti strutturali”, allora qualcosa non torna in tutta questa catena di riconoscimenti di valore, di tutele e di controlli.

Altro esempio: le risorse del territorio rurale come possono essere definite anch’esse fra le “invarianti strutturali” a fronte delle devastazioni del territorio rurale maremmano da Grosseto a Civitavecchia che sarebbero prodotte dall’autostrada tirrenica voluta dalla Regione Toscana? E, sempre rispetto allo stesso esempio, come la mettiamo con quanto indicato all’art. 56.9 “la realizzazione di nuove infrastrutture è consentita quando le alternative di utilizzo o riorganizzazione non siano sufficienti e previa valutazione integrata degli effetti”? Dove sono la valutazione integrata e l’analisi costi-benefici applicate ai progetti presentati a partire dal 2000: il progetto ANAS di messa in sicurezza dell’Aurelia e quello autostradale proposto dalla SAT?

Si rileva che nella ‘bozza’ di PIT non si riscontrano né azioni, né efficaci disposizioni, né l’individuazione di strumenti e/o di procedimenti finalizzati a contrastare – al di là delle belle parole– la crescita edilizia diffusa e dispersa nei mille rivoli che portano alla rozza occupazione di significativi paesaggi toscani.

Questo in particolare si manifesta per quegli ambiti dove il fenomeno della diffusione urbana e della dispersione insediativa si manifesta con maggiore intensità: nel sistema policentrico della Toscana ( Firenze-Prato-Pistoia-Lucca e Firenze-Empoli-Pontedera-Pisa) e nel sistema della costa nelle sue diverse articolazioni.

Manca una chiara, precisa ed esplicita scelta che persegua la conservazione attiva e l’accrescimento delle dotazioni ambientali proprie di questi vasti territori. Si ritiene che la disciplina del PIT debba contenere una precisa ed efficace disposizione – che produca effetti anche in regime di salvaguardia – che esplicitamente richieda, per questi territori, l’individuazione delle discontinuità di valenza territoriale e di quelle insediative e una disciplina volta al loro mantenimento al fine di garantire la qualità ambientale dei contesti considerati.

A seguito di quanto sopra premesso e descritto, con questa nota siamo ad osservare e richiedere:

Che la normativa regionale in materia paesaggistica e del territorio e in particolare la L.R. 1/2005 (assieme alla strumentazione conseguente e in particolare la L.R. 26/2006) sia integralmente e legittimamente adeguata a quanto prescrive il Codice del Beni Culturali e del Paesaggio (D. lgs. 42/2004 e succ. modifiche) sia per quanto concerne la sub-delega ai Comuni che l’aspetto particolare della composizione delle Commissioni di Programmazione e quelle di Controllo (v. allegato 1);

Che la scelta regionale di inserire il Piano Paesaggistico all’interno dello strumento del PIT non debba avvenire a scapito della cogenza, dell’efficacia e della dettagliata normazione della tutela paesaggistica perché, come ha ribadito la Corte Costituzionale nella sentenza sopra citata “il paesaggio va rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali”;

che la ‘bozza’ di PIT manca dei contenuti e, soprattutto, delle efficacie che il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” richiede alla disciplina paesaggistica regionale comunque questa venga denominata; pertanto la disciplina paesaggistica del PIT al momento conosciuta potrebbe correttamente configurarsi come documento contenente le ‘linee guida’ regionali per poi procedere alla elaborazione del piano paesaggistico (comunque lo si voglia denominare) attraverso le collaborazioni e le intese di cui all’art. 143, comma 3, del Dlgs 42/2004. Ma questo dovrebbe essere esplicitato con chiarezza nel documento.

che il PIT dovrà contenere una precisa disposizione che con chiarezza garantisca la conservazione attiva e l’accrescimento delle dotazioni ambientali del sistema policentrico della Toscana centrale e del sistema della costa anche attraverso il mantenimento delle discontinuità territoriali ed insediative presenti in questi contesti.

che il PIT dovrà contenere reali misure di salvaguardia attraverso prescrizioni aventi diretta efficacia oltre che per la realizzazione di interventi puntuali anche sulla formazione sia degli strumenti urbanistici attuativi che dei Regolamenti Urbanistici da definirsi in attuazione di Piani Strutturali adottati precedentemete all’entrata in vigore della nuova disciplina. L’accertamento comunale della verifica di coerenza con le direttive e le prescrizioni del PIT dovrebbe essere equiparato, in regime di salvaguardia, agli atti urbanistici e come tale da sottoporre a pubblicazione e poter essere oggetto di osservazioni.

si ritiene che il PIT non debba introdurre “meccanismi perequativi” alla scala territoriale e alla qualità del paesaggio in quanto l’attivazione di questi meccanismi “che consentano il trasferimento delle sollecitazioni all’urbanizzazione in aree diverse da quelle di maggior pregio o di maggior fragilità ambientale” (come si esprime il ‘Documento di Piano’ nel trattare della conservazione attiva del valore del patrimonio “collinare”) porta inevitabilmente a dover riconoscere tali ‘sollecitazioni’ (immobiliari) e a dare ad esse una qualche risposta. Così operando si rischia di vulnerare il principio fondamentale – in più occasioni richiamato dalla Corte Costituzionale – che i vincoli ambientali e paesaggistici non sono indennizzabili. Il PIT dovrebbe stabilire con chiarezza che il paesaggio costituisce un valore e una qualità non negoziabile.

che nella ‘bozza’ di PIT manca la montagna quale elemento fondante e strutturale del territorio e del paesaggio toscano

Si ritiene inoltre che quanto fino ad ora contenuto nella pur complessa articolazione del PIT (sia per quello che concerne il Documento di Piano, il variegato Quadro Conoscitivo e soprattutto la Disciplina di Piano) ci sembra ben lontano dai caratteri di una precisa normativa quale quella prescritta dal Codice .

Ribadiamo che la tutela paesaggistica non può essere gestita alla scala comunale, e che scempi come quelli, emblematici, di Monticchiello (ma in realtà sparsi in tutto il territorio regionale) sono il frutto di autorizzazioni comunali e delle Soprintendenze locali e che se vogliamo evitare per il futuro questi pessimi risultati è indispensabile e urgente una precisa e sovraordinata assunzione di responsabilità alla scala regionale.

In calce è scaricabile il testo completo di appendici. I documenti del Piano d’inquadramento territoriale della Regione Toscana sono scaricabili qui

Contributo di Giorgio Pizziolo al Convegno di Italia Nostra: Dopo Monticchiello, paesaggio toscano da salvare: ripensare al governo del territorio, Firenze 9 dicembre 2006

Il Pit, com'è noto, rappresenta nell'organizzazione normativa delle leggi sul "governo del territorio" della Regione Toscana il momento regionale ed in esso appunto vengono definite le linee, le scelte e gli indirizzi delle politiche territoriali regionali. Tale Piano è ormai in una fase di elaborazione quasi definitiva.

Questa versione del Pit, come risulta dai documenti finora apparsi, ci desta gravi preoccupazioni.

Quello che maggiormente ci preoccupa è l'impianto stesso del documento, la sua filosofia, a cominciare fino dal PUNTO 1 (e seguenti ) del "Documento di Piano", che ne rappresenta la relazione programmatica. Vi si afferma infatti che la Toscanasta bene, ma è in una fase di stagnazione e che di fronte si hanno due alternative: o la conservazione dei vantaggi acquisiti, o la sviluppo verso l'innovazione e la crescita.

Scelta, ovviamente, la seconda opzione, si individua nel territorio e nello "stile di vita" toscano sul territorio stesso, la chiave per la crescita: "il territorio come fattore della crescita".

Anzi, questo porterebbe alla possibilità di inserire la Toscana nella competizione della globalizzazione, "sviluppando la competitività del sistema", in particolare della "Città Toscana", ovvero della "Città regionale" composta dalla "rete di città", alla quale sarebbe complementare la "moderna ruralità".

Questo ragionamento, peraltro non giustificato da una documentazione e da una ricerca adeguate, è assolutamente inaccettabile. Già al primo punto si può fare notare che si sarebbe potuto considerare anche una terza alternativa, quella di una dinamica evolutiva della condizione toscana che si sviluppasse dal suo stesso interno. Ma questo avrebbe contrastato con l'idea di sfruttare il territorio, sia fisicamente, sia nelle sue caratteristiche più strutturali e più "intime", compreso il rapporto con i suoi abitanti, sull'altare della globalizzazione.

L'idea di piegare quanto di più profondo e di più originale c'è nell'esperienza toscana, sia quella storica che quella attuale, ad un disegno di competizione globale, senza che i suoi cittadini siano nemmeno informati, negando invece automaticamente la possibilità di ritrovare nel territorio, non un fattore esterno di valorizzazione, ma suoi propri valori che portassero la Toscana a percorre una propria originale esperienza, è operazione terribile, politicamente estremamente pesante e sul medio termine, suicida.

Si tratta di un'appropriazione indebita del territorio toscano, dei suoi valori e della sua storia, di un'appropriazione di quanto di più sacro possiede la popolazione, per di più fatta "per decreto" pianificatorio.

Si ha un bello scrivere in varie parti del documento che il Territorio è considerato un "bene pubblico", per poi finalizzarlo meglio alla competizione globale. Questa operazione è tanto più sottile in quanto molte parti del testo, se estrapolate, potrebbero anche essere condivisibili, ma proprio per questo l'insieme fa del testo complessivo un elemento di "perfidia" strategica.

Così anche lo slogan del Pit "reddito non rendita" non significa altro che una maniera diversa di mettere sul mercato il territorio e tutti i suoi valori, compresi quelli immateriali ma qualitativamente significativi . Certamente non il mercato grossolano della rendita, ma quello più lucrativo dell'innovazione e delle merci immateriali.

Con tutto che poi, quando si va a vedere la normativa o si vola nelle "meta/astrattezze" (i "metaobiettivi dell'agenda statutaria del Pit", "l'agenda strategica del Pit", e simili)) o si ritorna bruscamente al pratico, come del resto suggerisce il secondo motto della nuova pianificazione toscana "quando si può, si fa", che se non capiamo male, è come dire "liberi tutti!".

Questa considerazione è pesantemente aggravata dal fatto che nei regolamenti urbanistici dei comuni si sollecita esplicitamente l'intervento dei privati, fin dalla fase di redazione del Regolamento stesso, così che in qualche modo ci ritroviamo il privato non solo legittimato ad intervenire sulla redazione urbanistica, ma di fatto cooptato nelle scelte sulla città. Del resto il comune di Firenze sempre all'avanguardia delle "innovazioni" urbanistiche ci aveva già mostrato il coinvolgimento diretto di Ligresti nella definizione delle decisioni urbanistiche sulla Fondiaria….).

Qui si chiude il cerchio di questa nuova urbanistica toscana che da un lato vede il territorio subalterno e strumentale alle scelte programmatiche (e non già come valore proprio in un coordinamento di scelte con la programmazione stessa), e dall'altra vede la solita subalternità della popolazione e degli interessi comuni alle scelte dei poteri forti e della politica delegata, senza il benché minimo spazio lasciato alla "Partecipazione", completamente assente dal documento, dalle norme e da qualsiasi riferimento significativo.

Così come assenti, nel loro significato reale e non nelle formule di rito, sono gli aspetti ambientali (la montagna non è mai citata, come se non fosse, per la Toscana, la sua ossatura fondamentale ed una straordinaria risorsa), così come è assente ogni idea ormai indispensabile di "processualità" di Piano, con la stessa VAS (la valutazione ambientale strategica richiesta dal governo europeo) sostituita in Toscana da una Valutazione Integrata, tutta schiacciata sulla pianificazione ordinaria e senza alcuna valenza partecipativa, che così non può avere nessun effetto di retroazione sistemica in una procedura processuale.

Altro che "Territorio come bene comune", qui il territorio è "delegato" e funzionale alle manipolazioni dell'innovazione e dell'eccellenza, che spesso, come poi è successo a Monticchiello ricadono, invece, proprio in quella "rendita" che si diceva di volere evitare.

Si tratta di un progetto "neosviluppista" e di un "riformismo neoliberista" che vorrebbe sottrarre alla popolazione toscana alcuni dei suoi beni più preziosi, il suo territorio e , più che altro, il suo modo di viverlo e di gestirlo. Non credo che la popolazione sia disponibile per questa mercificazione estrema.

Post scriptum

E non ci si venga a dire che non esistono alternative. Riteniamo viceversa che il territorio toscano ed i suoi abitanti siano ancora, nonostante i rischi di una pesante infiltrazione speculativa, nella condizione di sviluppare modelli economici e di insediamento ecologico del tutto originali, probabilmente verso la realizzazione di prospettive di costruzione di Bioregioni, integrate sia socialmente che ambientalmente che territorialmente.

L’appello del ministro Rutelli a un rinnovato impegno per l’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole italiane di ogni ordine e grado ha avuto un riscontro ampiamente positivo: buon segno, se dalle intenzioni si vorrà passare ai progetti concreti. Ne sarebbe contento Gombrich: in un’intervista rilasciata poco prima della morte disse che «i guardiani del patrimonio artistico italiano, il più ricco del mondo, devono essere i cittadini italiani; perciò studiare storia dell’arte è più importante per gli italiani che per chiunque altro». Ma quale storia dell’arte va insegnata in Italia all’alba del XXI secolo? I manuali tradizionali, con le loro sfilze di quadri e sculture e architetture in ordine cronologico, non bastano più. Se l’educazione all’arte serve alla formazione del cittadino (di una coscienza civica attenta alla conservazione), bisogna prender atto che il centro del problema si è spostato: alla storia delle arti belle va aggiunta, e in posizione centrale, quella del paesaggio e dell’ambiente, del loro delicato innestarsi sul tessuto urbano. Perché è qui, nella non-tutela del paesaggio e dei tessuti urbani, che si compiono i maggiori scempi, ed è qui che la coscienza civica deve farsi adulta. Anche la percezione dello spazio urbano come spazio della socializzazione e della civiltà è stata data per scontata per secoli, oggi non più. È necessario un grande sforzo di ricerca e di educazione sull’identità della città contemporanea, sul suo sfumare (attraverso periferie oggi così desolate) nella campagna.

È sul fronte del paesaggio che il sistema della tutela rivela le sue maggiori debolezze, anzi è assai mal definito sin dalla legge 1497 del 1939, secondo cui la tutela si esprime con atti generici che "vincolano" sì un determinato paesaggio, ma non specificano che cosa, in ciascun caso, non può essere a nessun costo modificato. Il progressivo slittamento delle competenze dallo Stato alle istanze locali ha segnato il tracollo delle procedure di salvaguardia, già iniziato quando il DPR 616/1977 delegò alle regioni la "protezione delle bellezze naturali", con facoltà di subdelega ai Comuni, pur mantenendo un finale giudizio di conformità da parte delle Soprintendenze. Nel nuovo Codice dei Beni culturali, al contrario, l’art. 135 prescrive sì l’obbligo di piani paesaggistici regionali, ma il ruolo del controllo statale è capovolto anche rispetto alla legge Galasso (431/1985): le Soprintendenze perdono il potere di annullare "a valle" le autorizzazioni edilizie dei Comuni, possono solo partecipare, "a monte", alla redazione dei piani paesaggistici regionali. Possibilità peraltro teorica, perché secondo l’art. 143 del Codice le regioni «possono» (e non «devono») stipulare «accordi col Ministero per l’elaborazione d’intesa dei piani paesaggistici»; ma soprattutto perché le regioni mostrano gran riluttanza a redigere i loro piani paesaggistici, e lasciano di fatto mano libera ai Comuni. Al giudizio di un funzionario dello Stato con le debite competenze tecniche e piena indipendenza da ogni potere politico si è così sostituito il pulviscolo di una serie di decisioni sconnesse di singoli amministratori comunali, che troppo spesso ahimé (dalle Alpi alla Sicilia) sono inclini a svendere il paesaggio pur di raccattare qualche voto.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, grazie al "caso Monticchiello": Rutelli dichiara pubblicamente (convegno FAI del 10 novembre) che «la realizzazione di quei villini dozzinali fa vergogna alla capacità progettuale del Paese», l’assessore regionale Conti (Il Tirreno, 31 agosto) chiosa che «quell’insediamento fa schifo», e via con invettive d’ogni sorta; ma il presidente della regione Toscana dichiara alla Repubblica (9 novembre) che il triste villaggetto non si può abbattere perché le licenze rilasciate dal Comune sono in regola, e d’altronde il piano paesistico per la Toscana manca. Insomma, il disastro è fatto ma la colpa non è di nessuno.

Il caso Monticchiello (ma ce ne sono, in Toscana e altrove, di ancor peggiori) è istruttivo. Prima si fa campagna perché la Val d’Orcia venga inserita nella lista dei siti Unesco in grazia del suo paesaggio meraviglioso e intatto. Una volta ottenuto il "marchio" Unesco, si progettano i "villini dozzinali" a duecento metri dal borgo, e si lancia sui giornali una campagna acquisti: compratevi la villetta a schiera in un sito Unesco! Bel capovolgimento dei valori: il riconoscimento Unesco, un sigillo di qualità che dovrebbe comportare l’impegno a difendere quel paesaggio, diventa un incentivo a svenderlo, viene esso stesso mercificato. Che la speculazione edilizia prediliga i siti più intatti, più prestigiosi, più ricchi di valori paesaggistici e ambientali, è un fatto: il progetto che vorrebbe installare sulla riva del lago Inferiore di Mantova (uno straordinario paesaggio plasmato dall’uomo, e intatto da mille anni) 185.000 metri cubi di cemento è mirato a "usare" lo skyline urbano di Mantova, fra i più celebrati del mondo, come la veduta da offrire ad acquirenti e inquilini, trasformando la mirabile città in una cartolina da quattro soldi. Peccato che dal castello di San Giorgio, dalle stanze dei Gonzaga affrescate da Mantegna, si debba poi vedere la squallida cartolina del neo-ecomostro mantovano.

Quel che sta accadendo non è colpa solo del Codice né delle altre leggi, ma anche dell’infelice riforma del titolo V della Costituzione (1999), che anziché risolvere la ripartizione dei poteri fra Stato e regioni, l’ha resa ardua e impraticabile, sollevando davanti alla Corte Costituzionale decine di conflitti. Secondo l’art. 117, la potestà legislativa su tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (ivi compreso il paesaggio) spetta, in via esclusiva, allo Stato. Quanto alla valorizzazione, allo Stato spetta fissare i principi, alle regioni (ivi comprese quelle ad autonomia speciale) la regolamentazione di dettaglio. L’esercizio della valorizzazione, ha chiarito una sentenza della Corte (26/2004) è in capo al possessore del bene, che sia lo Stato o la regione. Infine, secondo l’art. 118, leggi dello Stato devono regolare forme di intesa e di coordinamento fra Stato e regioni «nella materia della tutela dei beni culturali». Ma la stessa distinzione fra "tutela" e "valorizzazione" è confusa e contraria alla buona amministrazione, produce frammentazione dell’azione amministrativa e dispersione delle responsabilità.

Ognun vede quanto insidiosa possa essere l’interpretazione di questo groviglio inestricabile, e lo illustrano bene tre casi di questi giorni. Il Friuli-Venezia Giulia (regione a statuto speciale) ha creato con propria legge una Fondazione per la gestione del patrimonio archeologico di Aquileia, in massima parte statale, senza minimamente coinvolgere gli organi dello Stato, che naturalmente ha subito avviato un procedimento impugnativo. Lo stesso sta accadendo con due altre regioni ad autonomia speciale: la Sardegna si è attribuita la competenza esclusiva a delineare nel Piano regionale "gli obiettivi e le priorità strategiche, nonché le relative linee d’intervento per la conservazione dei beni culturali, per la ricerca archeologica e paleontologica"; la Val d’Aosta prova a legiferare in materia di archivi senza coordinarsi con gli organi dello Stato. In questi tre casi, non è l’interesse delle regioni, per sé encomiabile, che è in discussione, bensì il loro ruolo: a quel che pare, anziché cercare forme di leale intesa, sta prevalendo la tendenza a cavillare, sfruttando la crisi delle Soprintendenze (per mancanza di assunzioni) e le ambiguità del nuovo Titolo V per "allargare lo spazio" delle regioni a detrimento di una concezione unitaria della tutela in tutto il territorio nazionale, prescritta dall’articolo 9, non a caso fra i principi fondamentali della Costituzione. Questa guerra di logoramento non avrà né vinti né vincitori, ma ha già le sue vittime: il nostro patrimonio e il nostro paesaggio, che anziché essere concepiti come un preziosissimo bene comune diventano la posta di un defatigante conflitto, di un continuo "fuoco amico" fra i poteri pubblici. E’ tempo di lanciare in questo Paese, come ha proposto il FAI al termine del suo recente convegno, un grande patto nazionale per la tutela che includa Stato, regioni, enti locali, privati, e che parta non dalla suddivisione dei ruoli né dalla spartizione delle torte, ma dalle esigenze vitali e ineludibili del nostro patrimonio e dalla necessaria unità del Paese, vigorosamente richiamata dal presidente Napolitano. In questo patto anche l’educazione all’arte, al paesaggio, all’ambiente, deve avere un ruolo essenziale, pena la devastazione dell’Italia che amiamo.

Postilla

Tra le molte considerazioni giuste di Settis qualcuna merita precisazioni, soprattutto per il ruolo che il presidente del Consiglio superiore dei beni culturali riveste.

Intanto, la tutela del paesaggio è, secondo la nostra Costituzione, impegno della Repubblica, non solo dello Stato. Se a questo spettano le responsabilità maggiori, ci sembra che la “assidua riconsiderazione del territorio nazionale alla luce e in attuazione del suo valore estetico-culturale “, cui rinvia sistematicamente la Corte costituzionale (cost 151/1987, cost. 327/1989) sottolinei la necessità di un impegno altrettanto rilevante delle regioni, delle province, dei comuni. Ciascuna istituzione con le proprie specifiche responsabilità. Così ci aspettiamo che lo Stato eserciti i propri poteri (e non faccia come a Monticchiello, dove ha dimenticato di pronunciarsi in tempo utile). Anche, e oggi soprattutto, in attuazione all’ottimo Codice dei beni culturali e del paesaggio, che costituisce il punto più avanzato dell’evoluzione culturale, avviata dal decreto Galasso e dalla legge 431/1985; che ci ha portati ben lontani dalla legge del 1939. Alle logica della quale invece Settis sembra ancora legato, visto che ritiene ancora che si possano applicare oggi le pecette del vincolo procedimentale, forse utili quando il territorio tutelato era del 2 o 3%, mentre oggi, grazie alle leggi e ai codici degli ultimi 20 anni, è certamente oltre il 50%.

E’ certamente da condividere il giudizio di Settis sulla “infelice riforma del titolo V della Costituzione (1999), che anziché risolvere la ripartizione dei poteri fra Stato e regioni, l’ha resa ardua e impraticabile, sollevando davanti alla Corte Costituzionale decine di conflitti”. E sarebbe davvero una buona cosa se dall’organo presieduto da Settis, e dal leader dell’Ulivo attualmente anche titolare del dicastero dei Beni e delle attività culturali, partisse una vigorosa iniziativa per correggere il grave errore compiuto dal Parlamento nel 2001 (e non nel1999). Ma nell’attesa, non adoperiamo la pistola scacciacani del 1939, ma gli strumenti difensivi foggiati in tempi più recenti.

Oggi lo strumento è l’applicazione rigorosa, integrale, consapevole, e in primo luogo informata del Codice del paesaggio. Questo dispone che le regioni formino un piano paesaggistico di cui vengono precisati con ampiezza i contenuti. Non potranno essere piani di chiacchiere (come quelli preanniunciati nelle 99 pagine del documento preliminare al PIT della Toscana), ma piani che censiscano con accuratezza, su una base cartografica adeguata e per tutto il territorio regionale, i beni paesaggistici prescritti o ritenuti d’interesse nazionale e regionale, che dispongano per ciascuna categoria di essi specifiche regole di tutela di ciò che c’è da tutelare, e che indirizzino i comuni a concorrere nella “assidua considerazione” proseguendo alla scala locale l’individuazione di ulteriori beni.

Le regioni sono obbligate, dalla legge, a fare ciò. Se lo fanno d’intesa con le amministrazioni dello Stato (Beni e attività culturali e Ambiente e tutela del territorio e del mare), allora le procedure abilitative degli interventi nelle aree tutelate sono semplificate e snellite, e la garanzie della tutela è fornita dal rispetto formale e sostanziale del piano paesaggistico. Altrimenti le procedure restano definite nell’attuale modo, da tutti giudicato complicato e farraginoso.

Certo, concorrere con le regioni a redigere i piani paesaggistici non è compito che gli organi dei ministeri possano fare rimanendo organizzati così come lo sono ora. Ma è certo incomparabilmente meno pesante, e certamente più efficace, la riorganizzazione da compiere per assolvere i compiti nuovi, che quella che sarebbe necessaria se si volessero rincorrere centinaia di migliaia di autorizzazioni paesaggistiche o altri simili atti discrezionali.

Lavorerà in questa direzione il Ministero del quale Settis è autorevolissimo consigliere? C’è da augurarselo. Altrimenti gli “ecomostri”, ben peggiori di quello di Monticchiello, continueranno ad accumularsi sul nostro territorio. E si dovrà additare come complice la miopia di chi oggi guarda unicamente all’apprendimento dell’arte del passato (certo utilissimo), e trascura l’applicazione delle buone leggi attuali.

l'Unità, Firenze

9 novembre 2006

Cemento nel Chianti, tocca a Rutelli

di Osvaldo Sabato

Quella dell’ex soprintendente Antonio Paolucci è un “j’accuse” a tutto tondo. «Il vero bene culturale che si sta distruggendo, non sono i quadri o gli affreschi, ma il paesaggio» dice. Dopo Monticchiello, la Toscana è ancora in prima pagina per il rischio di una cementificazione nel cuore del Chianti classico, fra gli olivi e i vigneti pregiati. Il caso dell’annunciata costruzione di 83 villette a Palaia, a pochi passi da Greve in Chianti, fa discutere. E come era prevedibile non mancano le polemiche. L’ex soprintendente punta il dito sulla mancanza di leggi che possano bloccare queste lottizzazioni «con le nuove norme i comuni fanno ciò che vogliono» dice. Sotto accusa, per il professore, è la Riforma del Titolo V della Costituzione fatta nel 2001 «da allora lo Stato non può più dire: qui non si può costruire». Da allora, infatti, tutta la competenza è passata alle Regioni e ai comuni. Intanto il sindaco di Greve, Marco Hagge, continua a polemizzare a distanza con il capo dell’opposizione in consiglio comunale, ed ex sindaco, Giuliano Sottani. Una svolta potrebbe giungere da Roma? Il Comune, infatti, nel 2002 ha chiesto al ministero di porre il vincolo paesaggistico nella zona di Palaia. Ma finora da Roma non c’è stata nessuna risposta.

OCCUPARSI di quadri e musei? «A questo punto, è tempo perso». Quella dell’ex soprintendente Antonio Paolucci, non è una provocazione «ma una constatazione» dice il professore. «Il vero bene culturale che si sta distruggendo non sono i quadri o gli affreschi, ma il paesaggio», insiste «il guaio è che nessuno lo vuole capire». Dopo Monticchiello, in Toscana è scoppiato il caso dell’annunciata colata di cemento vicino a Greve in Chianti, che tradotto significa centinaia di case a Palaia, nella frazione Chiocchio. Il sindaco di Greve, Marco Hagge, parla di una eredità, di una tendenza urbanistica che la sua amministrazione si è portata dietro dagli anni ‘70. «Tutto è cominciato da quando, sindaci, assessori, architetti, geometri, intellettuali e urbanistici hanno sostituito la parola paesaggio, considerata arretrata, se non addirittura reazionaria, con la parola territorio» osserva Paolucci. «Perché il paesaggio, per la sua stessa parola, va tutelato, mentre il territorio va lottizzato» insiste l’ex soprintendente, nominato recentemente Direttore delle Scuderie del Quirinale. Non è solo una questione di mutazione linguistica, dunque «ma di un cambio di rotta concettuale e politico, che poi ha portato a quello che vediamo andando in giro». È il federalismo urbanistico il grimaldello che poi avrebbe permesso tutto ciò, Paolucci non ha dubbi: «Tutto nasce con la Riforma del Titolo V del 2001» dice, «fino a quel momento si era inteso che spettasse allo Stato, con le soprintendenze, difendere il paesaggio. Da allora è stato detto che le Regioni e i comuni hanno la titolarità concorrente - spiega Paolucci - che in un linguaggio più chiaro vuol dire che il Comune fa ciò che vuole». Insomma, «la potestà dello Stato, che poteva dire: qui non costruisci, non esiste più» dice Paolucci «perché la tutela per essere efficace deve essere indifferente e lontana». Sarebbe questo l’unico presupposto per conservare il paesaggio «altrimenti, come si è visto a Monticchiello e come potrebbe succedere a Greve, faranno macelli inenarrabili». E il ruolo della Regione? «Annaspa di fronte all’autonomia dei comuni» dice Paolucci. Insomma quello in atto è una sorta di cannibalismo paesaggistico? «Finché c’è territorio da consumare, lo consumeranno» rincara Paolucci. A Palaia, infatti, non è stato possibile fermare quello che Giuliano Sottani definisce «scempio», ma che, come ricorda Hagge, «è partito da un suo macroscopico errore urbanistico». «Noi - prosegue il sindaco - ci apprestiamo a rimettere insieme i cocci». «Lo conosco Hagge e lo so che non è colpa sua» afferma Paolucci. Il sindaco si è sempre difeso dicendo di non avere gli strumenti giuridici per cancellare questa lottizzazione: il rischio è dover pagare risarcimenti milionari a Triaca, produttore della Valtellina, che costruirà le villette a Palaia «certo è così» spiega Paolucci. Ed ora? Non resta che sperare in Rutelli. Infatti nel gennaio del 2002 l’ex sindaco Paolo Saturnini, come ricorda Hagge, chiese al ministero dei Beni culturali, tramite la Soprintendenza di Firenze, di porre il vincolo paesaggistico sulla zona. Da Roma però non è giunta nessuna risposta. «Questo non abolisce i diritti dei privati, ma fornirà all'amministrazione nuovi strumenti per controllare l’operazione» assicura il sindaco di Greve. «spero che il ministro Rutelli dia una risposta positiva, che anzi ho intenzione di sollecitare».

l'Unità, Firenze

9 novembre 2006

Residenze turistiche, miracoli della destra

di Giuseppe di Teresa

OGNUNO fa i miracoli che gli competono. Il Centrodestra grossetano è stato bravissimo nella moltiplicazione delle residenze turistiche alberghiere (Rta) e delle ca-

se albergo vacanze (Cav). Nel solo comune di Grosseto, fra il 2002 ed il 2004, sono state presentate 70 richieste di autorizzazione per complessive 1.341 unità abitative, vale a dire appartamenti.

Da allora, quasi tutte le strutture sono state concessionate. Di queste, 28 hanno ottenuto anche l’autorizzazione ad iniziare l’attività, e altre 42 sono in attesa del completamento dell’istruttoria.

Ai sensi della Legge regionale 42/2000, Rta e Cav sono considerate “strutture alberghiere” che vanno gestite in modo unitario, perchè attività produttive di tipo turistico ricettivo. Di fatto, in molti casi, gli appartamenti sono venduti ad acquirenti che li utilizzano come residenza abituale, accendendo anche mutui prima casa. Un escamotage che, per le agevolazioni fiscali su oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, consente all’acquirente di comprare a prezzi più bassi ed al costruttore di trovare con facilità dei compratori.

Solo pochi giorni fa, la magistratura grossetana ha sequestrato una settantina di appartamenti in Cav ed Rta, parte dei quali abitati tutt’altro che da turisti o frequentatori occasionali della Maremma.

Residenze turistiche alberghiere e Case albergo vacanze come funghi, dunque. Ma non spuntate per caso. Con l’approvazione della Variante del territorio aperto, qualche anno fa, l’allora giunta Antichi introdusse un elemento che ha scardinato la programmazione urbanistica nelle aree rurali, rendendo possibile la realizzazione di “alberghi, Rta e strutture di ristorazione” ovunque ci fossero volumi da ristrutturare. Quella scelta ha scatenato la corsa all’oro, e chiunque avesse un edificio da recuperare ha presentato richiesta di realizzare queste due tipologie ricettive, contando sui costi di costruzione più bassi, sulla facilità di collocare sul mercato miniappartamenti per lo più localizzati in campagna, e, in molti casi, sull’assenza di controlli.

La Legge regionale 42/2000, d’altra parte, affida ai Comuni poteri ispettivi e di controllo. «La situazione - spiega l’assessore all’urbanistica del comune di Grosseto - è evidentemente sfuggita di mano, o si è lasciato che ciò avvenisse. In questa fase, i nostri vigili urbani stanno effettuando controlli a tappeto, anche su precise segnalazioni, sia rispetto alla gestione delle strutture, sia rispetto ad eventuali difformità edilizie rispetto ai volumi concessionati. Parallelamente la magistratura sta svolgendo una propria indagine. Anche se tardi rispetto ai danni prodotti in passato, ritengo che dovremo intervenire per modificare lo strumento urbanistico relativo al territorio aperto, in modo da lanciare un segnale politico preciso».

il Riformista

10 novembre 2006

Monticchiello vittima del decentramento: se la tutela è affidata ai Comuni

di Vittorio Emiliani

L’articolo che Roberto Barzanti ha scritto per il Riformista sulla vicenda di Monticchiello, o meglio della intera regione Toscana, non può che essere largamente condiviso. Poiché al convegno del 28 novembre - dov'ero fra i relatori - si è allargato il discorso alla regione e all'intero Paese, vorrei sintetizzare come e perché.

Intanto va detto che la marea di costruzioni che sta invadendo l'Italia (mille cantieri nella sola Vigevano), e quindi pure la Toscana, ha molti padri: la bolla speculativa, la febbre del mattone (da seconda casa), la debolezza delle soprintendenze, l'inerzia delle regioni, l'acquiescenza dei comuni. Questi ultimi, privati di parecchi trasferimenti centrali, si arrangiano come possono assecondando una edilizia che frutta loro buoni incassi (poi si vedrà chi, alla fine, pagherà gli oneri urbanizzazione). Gli investimenti nella sola edilizia residenziale sono balzati in pochi anni da 58 a 71 miliardi di euro. Possono (e vogliono) i comuni fronteggiare validamente con una mano la dirompente febbre edilizia che sta alzando gru ovunque, visto che, con l'altra mano, incassano fondi cospicui dalla medesima?

Ma, ecco il punto-chiave, la regione Toscana è stata e rimane fermissima nell'assegnare ai comuni, sub-delegandoli, il ruolo di tutori del paesaggio. Quasi che esso fosse un fatto municipale e non nazionale (articolo 9 della Costituzione). Questa autotutela municipale è costituzionalmente corretta? A me pare di no. Soltanto la regione Toscana sostiene che il Titolo V della Costituzione del 2001 (improvviso e affrettato pasticcio di fine legislatura) ha previsto che Stato, regioni, enti locali siano «equiordinati», cioè che nessuno possa interferire negli atti dell'altro. In altre regioni invece si è legiferato dopo il Titolo V mantenendo alcuni chiari valori gerarchici (ad esempio, la provincia sui comuni). Di recente poi, con la sentenza n. 182/06 e con altre successive, la Corte costituzionale ha ribadito la sovraordinazione nella attività pianificatoria della regione sulle province e di queste ultime sui comuni, testualmente «secondo un modello rigidamente gerarchico». Sentenze da rispettare, anche per ragioni funzionali, oppure trascurabili "grida"?

V'è di più. Il codice dei beni culturali e paesistici prescrive alle regioni di redigere piani paesaggistici dettagliati. Sempre la Corte ha stabilito che essi devono essere formati dalla regione, in collaborazione coi ministeri dei Beni culturali e della tutela dell'ambiente e del territorio, e riguardare l'intero territorio regionale. E ammessa la sub-delega ai comuni soltanto laddove i piani paesaggistici regionali siano stati formati d'intesa coi due ministeri, e gli strumenti urbanistici comunali siano stati adeguati a tali piani paesaggistici. Anche in quel caso resterà peraltro vincolante il parere della soprintendenza statale circa il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche.

Fino a quando la pianificazione paesaggistica regionale non sarà stata pienamente adeguata alle disposizioni del Codice - per contenuti, efficacie, ambito di riferimento - le soprintendenze possono "annullare" (per motivi non soltanto di legittimità, ma anche di merito) le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dalle regioni, ovvero dai soggetti istituzionali da queste sub-delegati.

Infine, ai sensi del codice, resta intatta la competenza sia del ministero per i Beni e le attività culturali che della regione di ordinare la sospensione di qualsiasi lavoro iniziato su qualsiasi immobile, anche non previamente "vincolato", che risulti «capace di recare pregiudizio al paesaggio». Tali regole sembrano non valere -ecco uno dei problemi-chiave - in Toscana. Chi le sostiene viene considerato, e subito bollato, come "neo-centralista". Ha ragioni Barzanti a sostenere che il paesaggio, anche quello toscano, ha subito numerose modifiche e però esse, nei secoli, sono state spesso migliorative. Emilio Sereni sosteneva che il contadino toscano avesse in testa il paesaggio di Benozzo Gozzoli e quello del Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio. Oggi dietro il grido «II paesaggio ai Comuni! Il paesaggio non è un museo!» c'è la voglia di tirar su tante lottizzazioni (brutte, proprio brutte) come quella di Monticchiello-Pienza. Magari a Mantova, sui laghi, in faccia al Castello di San Giorgio, come ha denunciato Fiorenza Brioni, sindaco ds della città, la quale ha osato cancellare, fra accuse e minacce, le 200 villette e le due torri condominiali volute dal suo predecessore, pure ds. Ce ne fossero di Fiorenze Brioni.

l'Unità, Firenze

10 novembre 2006

Un vincolo fantasma contro il cemento a Greve

di Valeria Figlioli

La richiesta è partita, ma non se re è saputo più niente. Quella della proposta di vincolo per la zona di Palaia, nel Comune di Grevi : in Chianti, dove saranno costruite le 84 villette che hanno scatenato le polemiche degli ultimi giorni, sta assumendo le sfumature di un piccolo giallo. La proposta di tutela è partita il 3 gennaio 2002, dalla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Firenze, Pistoia e Prato, allora guidata da Mario Lolli Ghetti: era indirizzata al dipartimento delle politiche territoriali e ambientali della Regione, altre che, per conoscenza al Ministero dei Beni culturali, alla Provincia di Firenze e al sindaco del Comune di Greve. L'allora Soprintendente indicava i confini fisici della zona e comunicava che l'ente aveva avviato l'iter per l'imposizione del vincolo di tutela. E qui la faccenda si complica. Secondo le prescrizioni del Testo unico del '99 (per la tutela dei beni culturali e ambientali), il Comune avrebbe dovuto provvedere alla pubblicazione della proposta e della relativa planimetria. Ma la pubblicazione non c'è stata. «Perché - spiega l'allora sindaco di Greve Saturnini - non c'era nulla da pubblicare, non c'era né la delimitazione né una planimetria, si trattava dell'avvio della procedura». Dopo di che sono passati 4 anni, pare che non sia più successo niente e al Comune di Greve non è arrivata alcuna risposta. «So che si tratta di procedure lunghe - dice l'attuale sindaco, Marco Hagge - ma spero che con il cambiamento al vertice del Ministero si muova qualcosa: conosciamo la disponibilità di Rutelli» Intanto il sindaco ha chiesto (e ottenuto) all'impresa costruttrice «che ogni singola unità abitativa possa essere esaminata dai nostri uffici per veri-ficare che le prescrizioni generali siano state rispettate e valutarne l'impatto». Ma Hagge sottolinea anche come sia già in atto una prima modifica: «II progetto prevedeva una serie di villette di buona qualità, ma un po'omologate; abbiamo chiesto che materiali colori e dimensioni fossero più consoni al paesaggio, in una linea di massima semplicità, che per lo stile toscano vuoi dire attenzione ai dettagli. Al momento sto aspettando il prototipo modificato». E a Hagge arriva il sostegno del presidente della Regione: «Trova il nostro consenso l'iniziativa del sindaco, che si è rivolto al ministro Rutelli per ottenere il vincolo per la zona di Palaia, peraltro già chiesto dalla Soprintendenza». Per Martini «tale richiesta di vincolo può interessare tutte le zone paesaggistiche di pregio, contribuendo a dirimere le vertenze urbanistiche in corso. Siamo certi che il ministro Rutelli riserverà a questo tipo di richieste un'accoglienza più attenta rispetto ai suoi predecessori».

© 2025 Eddyburg