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Rischia lo stravolgimento il provvedimento dell’assessore Anna Marson che tutela le Alpi Apuane minacciate dalle cave e le coste La sottosegretaria Borletti: “Il Mibact potrebbe non approvarlo”». La Repubblica, 13 marzo 2015

E il paesaggio? Nel gran rumore di soprintendenti che cambiano sede e nell’attesa che arrivino i super direttori di venti musei, in molti s’interrogano: e il paesaggio? La riforma del ministero per i Beni culturali avvia i motori, ma il paesaggio non sembra al centro degli interessi. In Toscana — un paesaggio italiano esemplare — in questi giorni si scaricano pericolose tensioni. Qui è in approvazione il piano paesaggistico messo a punto nell’assessorato di Anna Marson, urbanista, docente a Venezia.

Ma il testo originale più procede verso il varo più viene stravolto da emendamenti provenienti dal partito di maggioranza, il Pd (e in particolare dalla componente renziana) che in commissione vota di concerto con Forza Italia. Il presidente Enrico Rossi ha tentato una mediazione, che non ha sortito grandi effetti. La battaglia politica è serrata. Condizionata anche dalla campagna per le elezioni regionali di maggio. Ogni votazione riserva sorprese. Volano le accuse di «voler ingessare il territorio » e di «bloccare lo sviluppo». Sono state modificate persino le cosiddette “schede d’ambito”, le descrizioni, cioè, delle caratteristiche salienti di alcuni territori, e si è messo in evidenza, per esempio, il “valore identitario delle cave di marmo”. Ma una disciplina rigorosa per le attività di cava, tale da non manipolare il paesaggio delle Alpi Apuane, è proprio uno dei punti cardine del piano. Contro la quale disciplina si sono mobilitati coloro che invece vorrebbero estrarre quanto più possibile, squarciando montagne anche in aree protette.

I punti controversi sono tanti. In pericolo le dune e altre zone costiere, denunciano gli ambientalisti. Dove si parla di “evitare” certi interventi, si preferisce “limitare”. E poi: quanto il piano deve essere prescrittivo, quanto cioè esso deve dettare regole e non solo indicazioni di massima? Senza contare la salvaguardia di una caratteristica tipica del paesaggio rurale toscano, in specie dei vigneti, fatto di tante tessere diverse e sempre più minacciato da grandi estensioni uniformi.

Il Codice per i beni culturali (approvato fra 2004 e 2008) stabilisce che i piani paesaggistici siano redatti insieme dalle Regioni e dal Mibact, cioè dalle soprintendenze. I piani sono uno strumento fondamentale per conoscere un territorio, per evidenziarne i valori, ma soprattutto per stabilire che cosa si può fare e che cosa no. Ad essi devono adattarsi tutti gli altri documenti urbanistici, compresi i piani comunali. La riforma del Mibact, però, mette a soqquadro le soprintendenze, che ora tengono insieme arte, architettura e, appun- to, paesaggio, e declassa le direzioni regionali, che prima erano protagoniste della copianificazione.

Il futuro appare incerto. Ma il presente non è migliore. Di piani paesaggistici approvati ce n’è uno solo, quello della Puglia, faticosamente redatto sotto la guida di Angela Barbanente, assessore e docente a Bari, e dell’urbanista Alberto Magnaghi. Sono stati individuati come beni paesaggistici meritevoli di tutela masserie, pascoli, lame, gravine. E ci si è dati regole per la rimettere in sesto le aree degradate.

«Siamo maledettamente indietro», ammette Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario del Mibact con delega al paesaggio. «Abbiamo uno strumento unico, ma è poco amato». Poco amato proprio mentre altri rischi incombono per le procedure accelerate e commissariate previste per le Grandi Opere dallo Sblocca Italia. Ma neanche il ministero ha sciolto i suoi nodi. Il Codice stabilisce che esso debba fissare «le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio». Ma queste linee non sono mai state elaborate.

Nel fuoco delle polemiche di questi giorni Marson insiste sui punti-chiave del suo piano, sul bisogno di «superare il concetto della sola tutela» e di passare a «codificare nuove regole ». Altro punto qualificante: il piano non deve occuparsi solo dei paesaggi eccellenti, di cui la Toscana può menar vanto, «ma anche dei paesaggi delle periferie, delle campagne urbanizzate, delle lottizzazioni, delle zone industriali degradate, dei bacini fluviali a rischio».

La Toscana è il suo paesaggio, insiste Marson. E un paesaggio non è solo attrattività turistica, «ma un valore aggiunto per diverse iniziative economiche». Alcuni esempi: le zone rurali ricche di casali di altissima fattura; diversi sistemi di città e di borghi che attirano imprenditoriali innovativi; e poi la rete di cantine, «un esempio di ritorno alla magnificenza civile degli insediamenti industriali del primo Novecento».

Cosa succederà? Il voto è previsto la prossima settimana. Cosa farà Anna Marson? «Dirò in aula quel che penso, e se vogliono, mi cacceranno ». «Valuteremo il piano che uscirà dal Consiglio regionale, sperando che non venga stravolto», interviene Ilaria Borletti, «il ministero lo approverà solo se sarà conforme al Codice ».

Il professore è furibondo. E preoccupato per il futuro della sua terra.
«Se sarà approvato questo Piano del paesaggio, stravolto dalla raffica di emendamenti deleteri, tra qualche decennio il panorama toscano sarà sfigurato e banalizzato — denuncia — e la deregulation liberista, che è il pensiero dominante del partito della pietra e del mattone, trionferà sovrana».

Francesco Pardi, toscano di Pisa, detto Pancho, già docente di Analisi del Territorio alla facoltà di architettura dell’Università di Firenze e senatore dell’Idv, è convinto che sia iniziata una deriva pericolosa e che la Toscana sia uno degli ultimi baluardi di quella filosofia «del Bello e del Razionale» che ne ha fatto un esempio.

«Con amarezza, voglio avvertire che si sta distruggendo una delle cose più sensate fatte in Italia: il piano paesaggistico firmato dall’assessore Anna Marson. In commissione il Pd ha iniziato a votare una raffica di emenda-menti di Forza Italia. Gli stessi che i dem avevano presentato ma che, dopo essere stati frenati dal presidente Enrico Rossi, con grande ipocrisia hanno accantonato avallando però quelli dell’opposizione».

Il risultato, dice Pardi, rischia di provocare un effetto Attila.
«Si cede sull’estrazione del marmo delle Apuane, si arretra sul divieto di gettare cemento lungo la fascia costiera, si soccombe sulla gestione delle discariche, si indietreggia su identità geomorfologiche di assoluto valore mondiale come le Balze del Valdarno, depositi lacustri di straordinaria bellezza. E al grido “rottamiamo tutto” si rischia un effetto Liguria dove negli anni si è fatto scempio del territorio. Purtroppo il Pd è in prima fila a guidare questo processo suicida di abbatti-mento delle regole. Mi appello a Rossi perché intervenga ».

ccuse irrazionali?
«Perché, è ragionevole distruggere uno dei gruppi montagnosi più significativi d’Italia, quello delle Alpi Apuane, per estrarre carbonato di calcio per fare dentifrici e sbiancanti per la carta? Se aveste bisogno di un dentifricio andreste a scalpellare il Davide di Michelangelo? Per non parlare dei danni per le spiagge di Elba e Versilia, al litorale apuano, ai crinali, ai parchi»

chi lo accusa di appartenere alla categoria di blocca-sviluppo incapaci di trovare alternative alla disoccupazione, Pardi replica con i centinaia di milioni spesi per i danni provocati dal dissesto idro-geologico.
«Se quei soldi fossero stati investiti per mantenere gli argini di fiumi, torrenti e fossi, per evitare frane, smottamenti e alluvioni, lo Stato avrebbe risparmiato denaro e dato lavoro a tanti giovani».

Il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2015

Il Nazareno del cemento. Ora tocca alla Toscana affrontare l’assalto che Pd e Forza Italia stanno cercando di portare al paesaggio: dalla Lunigiana alla Garfagnana, da Lucca al Valdarno passando per la costa, le dune. Fino alle Apuane con le cave dove Michelangelo andava a cercare il marmo per i suoi capolavori.

Il braccio di ferro va avanti da settimane, sempre più duro mano a mano che ci si avvicina alle elezioni regionali. Al centro il Piano Paesaggistico della Regione Toscana voluto da Anna Marson, assessore all’Urbanistica. Un modello di tutela ambientale.

A un passo dall’approvazione ecco spuntare un mare di emendamenti. Da destra e, inaspettatamente, dal centrosinistra che sostiene Marson. Sono praticamente la fotocopia gli uni degli altri: si prevede che le “direttive” indicate nel piano siano trasformate in semplici “indirizzi”. Termini tecnici, in pratica così si lascerebbe ai comuni mano libera per fare i fatti propri. Ancora: le criticità indicate dal Piano sarebbero da considerare semplici valutazioni. Non tassative.

Insomma, il Piano diventerebbe un colabrodo. Cominciano polemiche, lotte di corridoio, perché qui ballano interessi di centinaia di milioni. Il governatore Enrico Rossi (nella foto), che non si sa esattamente cosa pensi in proposito, ha tentato una mediazione: “Lodo Rossi”, lo ha chiamato qualcuno. Dopo pochi giorni tutto da capo. Ricompaiono gli emendamenti che passeranno in commissione in queste ore. E che rischiano di mettere in pericolo paesaggi tra i più belli e delicati della Toscana. Quindi d’Italia.

Il meccanismo è affinato con il cesello, ma un occhio esperto lo “sgama”. Proprio com’è avvenuto quando i tecnici della Regione Toscana hanno letto i nuovi emendamenti. Dove era scritto che bisogna “evitare” ecco invece “contenere”. Lo stesso discorso vale per le piattaforme turistico-ricettive, gli enormi complessi in riva al mare che potreste trovare a Dubai. Insidiate anche le splendide corti lucchesi costruite nel tardo Medioevo.

Il Piano Marson mirava a evitare che fossero inglobate nella periferia che si espande. Ma gli emendamenti del Nazareno non ci stanno. In Valdarno l’obiettivo sono le balze e i calanchi. Poi le cave delle Apuane. Che devono avere molti sponsor. Gli emendamenti prevedono la loro riapertura praticamente senza limiti. Il testo degli emendamenti merita di essere letto, tocca punte di vera poesia mentre vuole dare il via libera alle ruspe: “Sono anche i macchinari che tagliano la pietra e che spuntano tra il verde delle montagne a ricordare al tempo stesso la potenza della natura e la capacità dell’uomo di inserirvisi”. Roba che nemmeno Carducci!

Fino al capolavoro finale: l’assalto alla via Francigena – l’antica via dei pellegrini – che attraversa tutta la campagna Toscana più intatta. “Il piano – raccontano negli uffici regionali – prevedeva il divieto di nuove lottizzazioni che alterassero la “lettura”, cioè “la visione dei centri storici lungo i crinali”. Divieto cancellato, almeno nelle intenzioni. Ma ora si annuncia battaglia durissima. E Rossi dovrà dire da che parte sta.

La Repubblica, ed. Palermo ed ed. Firenze, 11 marzo 2015


PALERMO, CENTRI STORICI
STOP AL CEMENTO: LA LEGGEFA MARCIA INDIETRO
VINCONO SINDACI E AMBIENTALISTI
di Sara Scarafia


L’ARS blocca la legge che gli ambientalisti avevano già ribattezzato “rottama centri storici”: dopo le proteste di urbanisti, movimenti e associazioni — da Legambiente all’Anci, dal Forum delle associazioni ai Verdi — Sala d’Ercole rinvia il testo alla commissione Territorio e Ambiente. «La commissione ha fatto un grande sforzo, ma credo che il voto si stia caricando di tensione ideologica», aveva avvisato in aula il presidente Giovanni Ardizzone che negli ultimi due giorni è stato subissato di lettere e telegrammi di protesta da tutta Italia. Da Bologna ha scritto persino Pier Luigi Cervellati, che vent’anni fa firmò il piano particolareggiato esecutivo per il centro storico di Palermo.

A scatenare le polemiche lo snellimento delle procedure che la nuova legge prevedeva, sostituendo ai piani particolareggiati le “tipologie edilizie”, una classificazione degli immobili fatta sempre dai Consigli comunali ma senza il successivo passaggio al Consiglio regionale urbanistica insediato all’assessorato Territorio. Sarebbe stata la Soprintendenza l’unico organo a esprimersi. «Riducendo enormemente le tutele», denunciavano gli esperti. L’Anci, la settimana scorsa, attraverso alcuni deputati del Pd, dal capogruppo Baldo Gucciardi a Giuseppe Lupo, aveva presentato alcuni emendamenti che escludevano dal raggio di esecutività della legge i Comuni che avevano già approvato piani particolareggiati, ma che in Sicilia sono appena una decina, da Palermo a Siracusa e Ragusa. «Qui a Catania — dice il sindaco Enzo Bianco — la legge avrebbe avuto piena efficacia nonostante il Comune stia da tempo lavorando a una variante generale per il centro storico».

Dopo il rinvio — votato su proposta del capogruppo di Sicilia democratica, Salvatore Lentini — Bianco tira un sospiro di sollievo, maprecisa:«La ratio dellaleggeègiusta,però va salvaguardato il ruolo decisionale dei Comuni ». Critico nei confronti del disegno di legge è anche Ermete Realacci, presidente pd della commissione Ambiente alla Camera: «Fermarsi è stato saggio, la ricetta per salvare i centri storici è quella di dotarli di piani seguendo le procedure già indicate dal dipartimento regionale dell’Urbanistica dal 2000 e prevedere agevolazioni economiche e fiscali per chi realizza interventi di recupero». «Giusto lo stop — gli fa eco il leader dei Verdi, Angelo Bonelli — la sburocratizzazione non può diventare un alibi per autorizzare uno scempio ».

In aula il presidente della commissione Territorio e Ambiente, Giampiero Trizzino, del Movimento 5Stelle, aveva difeso il lavoro preparatorio: «Personalmente avrei preferito trattare la legge insieme con la riforma del governo del territorio, ma questo non significa che l’istruttoria non sia stata fatta con attenzione: in un anno abbiamo sentito tutti, dagli Ordini professionali alle Soprintendenze».

Dopo il rinvio, Trizzino annuncia l’impegno a riportare il testo in aula entro due o tre settimane: «Predisporrò subito un calendario di incontri con le associazioni e i docenti universitari che ci hanno chiesto di fermarci». Ma resta la rabbia dei deputati proponenti. A cominciare da Antony Barbagallo, sindaco di Pedara, piccolo comune nel Catanese, che definisce il rinvio «una volgare imboscata». Sul testo il Pd si è spaccato. Gli emendamenti Anci portavano la firma di Lupo e Gucciardi, della stessa corrente di Barbagallo, mentre in aula si è schierato per il rinvio Antonello Cracolici: «Non credo che questo testo sguinzagli gli Unni — ha detto in aula — ma le polemiche che si sono scatenate rischiano di danneggiare la legge stessa e il Parlamento. Su una materia come questa serve una larga condivisione».

Se il primo firmatario del ddl, l’ex sindaco di Ragusa Nello Dipasquale, aveva chiesto all’aula di bocciare la proposta «piuttosto che mortificare il lavoro della commissione», nel suo accalorato intervento l’ex sindaco di Trapani Girolamo Fazio, relatore del testo, è sbottato: «I siciliani sono costretti a fare abusi da norme troppo rigide. Ma ogni tentativo di cambiare le cose è impossibile».

Favorevole al rinvio, invece, Lino Leanza di Sicilia democratica: «Uno stop di qualche giorno per ascoltare la società civile non può rappresentare un problema». Contro il disegno di legge trentacinque associazioni avevano firmato un appello. Tra queste, Italia Nostra: «Alla fine è prevalso il buonsenso», dice il presidente regionale Leandro Janni.


FIRENZE, IL PIANO DEL PAESAGGIO

NUOVE MODIFICHE PD
AMBIENTALISTI IN RIVOLTA, ROSSI NON MEDIA

di Massimo Vanni
Piano del paesaggio, i consiglieri dem rimettono le mani sul testo in vigore. E se l’assessore all’urbanistica Anna Marson giudica inaccettabili le modifiche apportate, di nuovo il fronte ambientalista se la prende con il ‘partito del cemento’ che ritorna alla ribalta. Lo storico dell’arte Tomaso Montanari parla di «lenta morte del Piano». Solo che stavolta non ci sarà Enrico Rossi a fare da mediatore: «Il 99% di coloro che parlano del Piano del paesaggio non ne hanno letto una riga», taglia corto il governatore. Facendo intendere di non voler intervenire questa volta sul lavoro dei consiglieri regionali.

In compenso, il Consiglio dice sì al preludio del Piano, la legge sulle cave. Grazie a cui, dice Rossi, «poniamo le basi per un cambiamento reale delle Apuane». Una legge con alcuni obiettivi precisi, spiega il governatore: «Non scavare sopra 1200 metri, tutelare i crinali e il piano del paesaggio sono aspetti importanti ma Piano anche che la molla economica sia fondamentale per avere sulla realtà locale una ricaduta più positiva». Sul Piano però ancora si litiga.

«Nessuno può impedirci di dire la nostra, il Piano non è più una proposta della giunta», rivendica per il Pd Ardelio Pellegrinotti, protagonista della prima riscrittura poi mediata da Rossi e anche della seconda, arrivata adesso. Ma cambiare ora il testo non significa cambiare il ‘lodo Rossi’? «No, quello riguardava gli articoli 19 e 20 del Piano, quelli delle Apuane. Ora si è intervenuti in modo minimale altrove, sulle 20 schede d’ambito in cui è stata suddivisa la Toscana», dice Pellegrinotti. Che ieri è tornato ad incontrarsi con Rossi.

Secondo Montanari, sono state «stravolte le parti del piano che parlano ai Comuni e ai loro strumenti di pianificazione attraverso descrizioni, comprensive di valori e criticità, indirizzi, obiettivi di qualità e direttive: la parte che Enrico Rossi aveva provato a salvare dal maxi-emendamento iniziale del Pd. Tutto questo è avvenuto col sistematico voto Forza Italia– Pd: un ‘patto del Nazareno’ contro il paesaggio toscano». E Legambiente Arcipelago: «Con la scusa di non ingessare la Toscana si trasforma un Piano all’avanguardia nella solita marmellata di norme incoerenti per consentire di costruire ovunque ». Rossano Pazzagli della Società dei Territorialisti accusa invece il Pd di «tornare all’attacco dei litorali riaprendo alla cementificazione con la scusa del turismo». Mentre a nome di Sel Marco Sabatini ironizza sulla «nascita in Toscana del partito unico del cemento».

Niente di tutto ciò, ribatte Pellegrinotti: «Con Forza Italia non c’è accordo di nessun tipo, abbiamo accettato alcune loro proposte ma il grosso dei loro emendamenti l’abbiamo respinto ». Quanto alla cancellazione di parole come «evitare» o «limitare» e la loro sostituzione con «contenere» e «armonizzare », che per Montanari consegnerà un Piano fatto dei soli vincoli del ministero dei beni culturali, Pellegrinotti è netto: «Non sarà certo il ministero a dettarci cosa si può fare e cosa invece no in Toscana». (m. v.) © RIPRODUZIONE RISERVATA

L’assessore Marson giudica inaccettabili i ritocchi apportati Ok alla legge sulle cave

La Repubblica online, blog "articolo ", 9 marzo 2015

Queste ore convulse vedono la lenta, ma apparentemente inesorabile, morte del Piano Paesaggistico della Toscana.

Oggi i voti della commissione consiliare hanno stravolto le schede d'ambito del Piano: le parti del piano che 'parlano' ai Comuni e ai loro strumenti di pianificazione attraverso descrizioni, comprensive di valori e criticità, indirizzi, obiettivi di qualità e direttive: la parte che Enrico Rossi aveva provato a salvare dal maxiemendamento iniziale del Pd. Tutto questo è avvenuto col sistematico voto Forza Italia - Pd: un Patto del Nazareno contro il paesaggio toscano.

L'esito complessivo degli emendamenti presentati sarà chiaro solo nei prossimi giorni (la commissione è stata riconvocata giovedì e venerdì, dunque il piano non andrà in aula dopodomani), ma alcuni punto sono già tragicamente chiari.

Le tre schede che riguardano le Alpi Apuane sono state stravolte fin dalla descrizione sintetica iniziale del profilo di ciascun ambito, reso omogeneo (Lunigiana eguale alla Versilia, e alla Garfagnana) con la ripetizione di un testo 'precotto' che sostituisce interamente i testi originali, esaltando l'attività di cava come unico tratto significativo del paesaggio di questi territori (da Zeri, a Pontremoli, da Forte dei Marmi a Viareggio, e così via). Ecco un esempio inquietante dei nuovi testi-tipo: «L'ambito apuano...è interessato da alcuni siti estrattivi... In tali siti, le attività di coltivazione sono svolte in base ad autorizzazioni che compendiano, da oltre 30 anni, valutazioni di compatibilità ambientale e paesaggistica, emesse dagli enti competenti...Prendere coscienza del valore identitario delle cave di marmo è un'operazione necessaria, volta a riconoscere l'importanza storica e artistica di questi luoghi dai quali i grandi artisti hanno tratto materia prima per le loro opere. D'altro canto il marmo è uno dei biglietti da visita della Toscana nel mondo».

E le modifiche non si sono limitate alle descrizioni, ma hanno interessato la descrizione delle criticità, nonché gli indirizzi, gli obiettivi e le direttive.

Sempre il PD ha fatto cancellare una serie di direttive finalizzate a salvaguardare ciò che resta della piana di Lucca, con particolare riferimento al sistema delle Corti lucchesi e alle relazioni tra queste, il centro storico e i beni architettonici presenti nel territorio.

Conseguentemente via libera a nuovi consumi di territorio agricolo: (dove il Piano si proponeva invece di evitarlo o limitarlo); via libera alle nuove espansioni che compromettono la leggibilità dei centri di crinale, via libera alle nuove espansioni lungo l'Arno, addirittura via libera alle discariche ed infrastrutturazioni edilizie nelle balze e nei calanchi del Valdarno.

E ovunque il Piano prevedesse di "evitare" o "limitare" i fenomeni di espansione dei centri, di frammentazione del territorio rurale, di saldatura delle urbanizzazioni, il testo è stato castrato sostituendo quei verbi con versioni inerti come "contenere" o "armonizzare".

Così i nuovi processi di artificializzazione della costa, delle dune, delle aree umide non vanno più evitate ma solo "contenute".

E via libera anche a nuove "piattaforme turistico-ricettive" sulla costa tra San Vincenzo e Follonica, nonché all'Elba: dove questi insediamenti erano invece segnalati come un modello da non ripetere.

Così sfigurata, la parte del Piano che si proponeva – senza prescrizioni ma soltanto con un quadro conoscitivo estremamente approfondito – con indirizzi e direttive, di 'qualificare' maggiormente la pianificazione locale perde gran parte della sua legittimità tecnico-scientifica, oltre alla sua efficacia normativa.

Paradossalmente il Piano che uscirà da questi emendamenti sarà un piano basato più sui vincoli del Ministero per i Beni culturali che sulla capacità della Toscana di darsi strumenti per un buon governo del territorio e del paesaggio.

È la vittoria della linea Renzi-Lupi-Pd toscano sul Piano Marson-Rossi? Sembra proprio di sì.

L'unico a poter ribaltare la situazione – in extremis, e ormai direttamente in Consiglio – sarebbe proprio Enrico Rossi.

Ma vorrà e potrà farlo?

Caro Presidente Enrico Rossi,

le scrivo perché, per quello che conosco di lei, sia direttamente, sia per sue dichiarazioni politiche, mi sembra impossibile che lei possa avallare la disciplina del Pit-Piano paesaggistico relativa alle Alpi Apuane così come emerge dagli ultimi emendamenti licenziati dalla sesta commissione. Non voglio qui dilungarmi sui molti aspetti negativi. Voglio solo richiamare la sua attenzione su uno che mi sembra peggiore di tutti e, addirittura, paradossale. Si tratta della facoltà concessa, nelle cave attive o riattivabili, di continuare l'escavazione con il 'limite' del 30% di quanto estratto storicamente, a partire, cioè, dalla prima autorizzazione: un vero e proprio regalo alle ditte di escavazione che vanifica il ruolo regolativo dei piani attuativi d'ambito. In sintesi il Piano paesaggistico che ha come compito istituzionale la tutela del territorio consentirebbe di scavare dalla montagna il 30% di quanto estratto nel passato senza alcuna valutazione preventiva, in modo automatico, come un diritto acquisito. Coloro che mirano a soddisfare le imprese di escavazione oltre ogni loro speranza se ne assumano la responsabilità politica, ma non si nascondano nel Piano paesaggistico. Mi auguro vivamente che lei non sia fra questi.

Paolo Baldeschi

Rifondazione comunista al compromesso che Enrico Rossi sta tentando trovare tra il PD toscano, fervido alleato dei proprietari delle miniere passate, presenti e potenziali delle Alpi apuane e i difensori della tutela dei beni comuni e delle prospettive d'un futuro migliore per tutti. Comunicato stampa del 3 marzo 2015

Firenze, 3 marzo. Gli emendamenti presentati da Pd e FI, e a quanto ci pare di capire ripresi sostanzialmente nel cosiddetto Lodo Rossi, stravolgono il piano del paesaggio toscano, lo svuotano nei punti qualificanti e aprono di fatto a una liberalizzazione delle attività estrattive sulle Alpi Apuane.

Oggi più che in millenni di storia si aprono prospettive funeste per tutte le Apuane e il paesaggio toscano. Il nostro impegno principale sarà dunque quello provare ad di azzerare gli emendamenti e con lo stesso spirito parteciperemo convintamente al presidio organizzato sabato prossimo a Firenze a difesa del piano paesaggistico e del paesaggio toscano.

Così Monica Sgherri – esponente di Rifondazione Comunista e capogruppo in Consiglio Regionale. Il divieto – prosegue Sgherri - di nuove estrazioni al di sopra dei 1200 metri di fatto non sarà altro che un mero paravento, una foglia di fico con cui farsi belli a livello nazionale senza però intaccare gli interessi locali che stanno dietro alle attività estrattive.

Infatti il combinato disposto che salva tutte le cave esistenti e quelle dismesse (cancellando il limite temporale -"da non oltre 20 anni"-) liberalizza di fatto l'attività estrattiva sopra i 1200 metri. E sia chiaro non è certo in nome della salvaguardia dei posti di lavoro perché le cave dismesse non occupano un lavoratore!

E' una rendita di posizione inventata e offerta su un piatto d'argento ai proprietari delle cave in nome del "profitto", e aggiungo del profitto “parassitario”. Una rendita di posizione che fa diventare oro una cava dismessa da decenni proprio perché è sopra i 1200 metri.

A questo inoltre si aggiungerà - per baypassare la norma che dal 2020 impone di vincolare il 50% del marmo estratto alla sua lavorazione in loco (unica norma che tutela la risorsa e il lavoro qualificato) -, la possibilità di aumentare del 30% l’attività estrattiva rispetto a quella autorizzata.

Gli emendamenti posti in essere allentano anche le prescrizioni per le cave situate nei parchi e le riserve nazionali e regionali, anche se riguardano vette e crinali. Per concludere, un ultimo appunto sulla filosofia degli emendamenti presentati.

Non contenti della differenza tra prescrizioni e direttive, tra obiettivi generali, di qualità o specifici, si vorrebbe ridurre a niente il valore conoscitivo delle schede di ambito al fine dei raggiungimento degli obiettivi e per questo un emendamento proporrebbe un piccolo comma aggiuntivo che recita “le criticità contenute nelle schede di ambito costituiscono valutazioni scientifiche non vincolanti a cui gli enti territoriali non sono tenuti a fare riferimento nell’elaborazione degli strumenti di pianificazione territorio e urbanistica”.

Questo comma è esemplificativo della filosofia a cui si ispirano gli emendamenti presentati, potremmo dire che si tratta di una farsa ma in effetti è più propriamente una tragedia, perché si mira a ridurre e vanificare il piano del paesaggio.

Gli emendamenti contro il Piano Paesaggistico della Toscana rappresentano un attacco gravissimo a danno di uno strumento di pianificazione urbanistica regionale che non ha precedenti negli ultimi 20 anni. Le associazioni di tutela ambientale - CAI, FAI, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, Mountain Wilderness, ProNatura, Rete dei Comitati per la Difesa del Territorio, Slow Food Toscana, WWF – riunite oggi a Firenze, tutte concordi difendono il testo originario del piano dai continui emendamenti che, per come concepiti, appaiono chiaramente suggeriti da alcune lobby e che mirano a distruggerlo. Le associazioni vigileranno con molto scrupolo l’iter in corso per evitare che ciò accada. Il Piano che, per la prima volta, prende in esame il territorio nel suo insieme di natura, storia, società civile, è frutto di una straordinaria concertazione e co-pianificazione con il MiBACT che ora la politica, con un atto di arroganza, intende calpestare annientando quattro anni di lavoro di quanti, a questo strumento, hanno sapientemente lavorato con capacità, professionalità e rigore.

Gli emendamenti presentati in consiglio regionale dalla stessa maggioranza che lo scorso anno approvò il Piano, puntano, dunque, a stravolgere e demolire quella rete di protezione disegnata con
intelligenza e responsabilità. Il contenimento al consumo di suolo, di coste, di spiagge, le limitazioni all’estrazione del marmo, alla distruzione dei monti, la regolamentazione dell’agricoltura, così come posti nel testo originario, esprimono una gestione intelligente del territorio il cui sviluppo è possibile e sostenibile solo andando oltre lo sfruttamento di risorse ambientali. Un disegno che può diventare motore di sviluppo e dare ulteriore valore alla Toscana, con una visione strategica che non risponde più solo ad interessi e aspettative di breve respiro. “Se il piano dovesse passare snaturato rispetto alla sua origine, chiederemo al MiBACT di non approvarlo” dichiarano le associazioni.

“Con la nostra azione compatta abbiamo già ottenuto un primo importante risultato: il ritiro del maxi-emendamento del PD” afferma Fausto Ferruzza, Presidente Legambiente Toscana. “Chiediamo all’assessore Marson che non si dimetta e che combatta fino in fondo - sostiene il presidente di Italia Nostra -. Renzi difenda il piano della sua Regione e intervenga sul suo partito in Toscana perché lo conservi così come licenziato dalla giunta Rossi, in ragione della co- pianificazione avvenuta proprio fra Regione e MiBACT. Non immaginiamo che possa accettare un piano dannoso per il paesaggio, per l’agricoltura e per i beni culturali della Toscana e, quindi, per la sua immagine”.
Il FAI ha sottolineato l’importanza della difesa delle coste. “Vigileremo sull’iter di approvazione affinché non venga stravolto” ha detto Mountain Wilderness ribadiscono “l’assoluta necessità di difendere la tutela delle montagne e delle acque”. Mauro Chessa, presidente della Rete dei Comitati per la difesa del territorio ha ricordato Daniela Burrini, Lipu Toscana. CAI, ProNatura e come, “a fronte di tanta distruzione, la realtà è che il 50% delle cave è detenuto dalla famiglia di Bin Laden che controlla anche il 70% della produzione totale del marmo”. “A quanti ci accusano di mettere a rischio tanti posti di lavoro – afferma Antonio Dalle Mura, presidente Italia Nostra Toscana – si deve dire che i moderni metodi di lavoro, con l’uso di lame diamantate e alta tecnologia dei macchinari, permettono di velocizzare i processi di lavoro aumentando le quantità estratte ed escludendo di fatto molta manodopera. A questo si aggiunga che la maggior parte del marmo non viene lavorato in loco, ma trasportato all’estero con un danno economico sia per la comunità locale che per il fisco”.
Dichiara Marcello Demi, delegato WWF Toscana:“Il WWF ribadisce che ulteriori modifiche al piano, peraltro già fin troppo smussato nella fase delle osservazioni, ne inficerebbero i contenuti innovativi. Ricordiamo che oltre al paesaggio toccano il piano tutela ambienti unici come le Apuane e la biodiversità regionale nel suo complesso, capitale naturale sul quale si dovrebbe fondare l’economia di una Toscana sostenibile. E’ compito delle associazioni ambientaliste dare voce a chi voce non ha, ed è compito della politica ascoltarla e considerarla alla pari delle altre. Non verremo mai meno al nostro dovere, che la politica faccia altrettanto”. “Sosteniamo questo piano – dichiara Stefano Beltramini di Slow Food Toscana– a maggior ragione dopo aver manifestato già a Natale quando il Consiglio dei ministri ha impugnato la legge regionale toscana 65/14 dichiarando che alcune norme di indirizzo sui centri commerciali medio grandi contravverrebbero ai principi della libera concorrenza, in pratica sostenendo che la media e grande distribuzione sarebbe stata minacciata dalla tutela paesaggistica e ambientale della stessa legge”. Il Piano paesaggistico della Toscana coinvolge città storiche e periferie, pianure e rilievi con un assetto del territorio in cui la storia si connette al lavoro, alla cultura e alla natura. Le ragioni della tutela si affiancano alle istanze del lavoro e della sicurezza, l’agricoltura incide sull’economia e quindi sulla società e la cultura è volano del turismo. E sì che le scelte di Piano avevano trovato il loro fondamento e la loro legittimazione in un quadro conoscitivo ben impostato, dettagliato e approfondito, articolato in 20 “ambiti di paesaggio”.

6 febbraio 2015

Se gli emendamenti proposti in Commissione Ambiente dal PD al Piano Paesaggistico della Regione Toscana fossero approvati nella loro maggiore qualificata parte dal Consiglio Regionale ci troveremmo di fronte ad un altro Piano Paesaggistico rispetto a quello predisposto dall’Assessore all’ambiente Marson.

Un Piano Paesaggistico notevolmente diverso, anzi, addirittura ad una norma non cogente per le rispettive amministrazioni comunali e non condiviso con il Ministero dei Beni Culturali, con tutte le possibile conseguenze del caso. Impressiona l’emendamento che permetterebbe di non ritenere vincolanti le osservazioni tecnico-scientifiche da parte delle amministrazioni locali, in spregio al ruolo ed al valore delle competenze specialistiche ed al coinvolgimento dell’intellettualità.

Si perderebbe altresì ogni ruolo di indirizzo e controllo dell’Ente Regione, proprio quel ruolo alto della politica che si vorrebbe recuperare a fronte dei particolarismi territoriali e degli interessi spesso scarsamente preveggenti di gran parte degli imprenditori privati, soprattutto di quanti godono di rendite di varia natura.
Come CGIL Toscana abbiamo espresso in tutte le sedi di confronto - Tavolo regionale di concertazione ed Audizioni della Commissione regionale – il nostro parere positivo e favorevole al Piano proposto dall’Assessore Marson, punto avanzato di sintesi tra esigenze del lavoro, dell’ambiente e di un concetto alto di paesaggio e di beni culturali, frutto di un impegno di anni che ha coinvolto le migliori intelligenze e passioni sul tema.

Siamo di fronte al fondato rischio che gli interessi corporativi di potentati economici locali rompano tale equilibrio, non a favore del lavoro a fronte dell’ambiente sia chiaro: ai lavoratori ed alle lavoratrici da tali emendamenti nulla verrà, né dal punto di vista delle condizioni di lavoro e salario, né come cittadini che vivono e animano i luoghi soggetti alle minor tutele.
La norma che imporrebbe infatti che una quota significativa del marmo estratto venga lavorato in loco verrebbe infatti differita in un lontano ed imprevedibile futuro.
Non gli interessi generali, ma gli interessi particolari di proprietari di pubbliche concessioni come quelle delle cave e dei bagni.
Come CGIL Toscana riteniamo che l’attuale Piano Paesaggistico sia il punto più avanzato di sintesi tra lavoro ed ambiente e che gli emendamenti in questione ne stravolgano, ove accolti, il senso ed il valore. Il valore di uno sviluppo basato sul rispetto e la valorizzazione del nostro straordinario territorio, che sia lungimirante e non predatorio, che redistribuisca la ricchezza prodotta ai lavoratori ed alle lavoratrici, ai territori direttamente interessati, che non distrugga irreparabilmente l’ambiente ed i beni culturali.

Che indichi una via alta dello sviluppo, basata sul riconoscimento dei diritti dei lavoratori e del diritto a tutti i cittadini del godimento di beni comuni come ambiente e beni culturali.
Una via diversa da quella indicata dal Governo Nazionale con l’approvazione del Jobs Act e dei decreti attuativi, diversa ma possibile. Diversa, migliore ed auspicabile.

Maurizio Brotini, Segretario CGIL Toscana
Roberto Bardi, Dipartimanto Ambiente e territorio CGIL Toscana


L'Unità online, blog "Città e città", 20 febbraio 2015

Cosa vuol dire “cambia verso”, il fortunato slogan del premier Renzi? Pian piano cominciamo a capirlo.

Vuol dire annunciare una cosa e fare l’esatto contrario. Il lavoro a tutele crescenti sarebbe un bel progresso, soprattutto se di parla di lavoro giovanile. Peccato che nel jobs act le tutele siano calanti, e che la licenziabilità sia a discrezione totale del datore di lavoro almeno per tre anni. E uno.

Il decreto legge “Misure urgenti per l’emergenza abitativa” invece di occuparsi di dare casa a chi non ce l’ha, come pure annuncia, prevede la vendita del grande patrimonio pubblico di case popolari, e per chi occupa c’è il divieto di allacciamento di acqua e luce, o di avere un certificato di residenza. Né documenti né condizioni di vita decenti, come stare sotto i ponti. E due.

Il decreto “Sblocca Italia” consegna alla finanza la gestione della realizzazione delle grandi oopere, con i project bond, più sconti fidcali, più allargamenti della platea dei beneficiari, i cartelli dei grandi costruttori. E tre.

Il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi ha presentato una proposta di legge per contrastare la diminuzione del valore degli immobili, prodotto dalla crisi mondiale ma anche dall’enorme stock di costruito e invenduto in tutte le città italiane. E la ricetta sarebbe l’abolizione degli standard: la quantità di verde, scuole, servizi sanitari e amministrativi decente perché un quartiere sia vivibile. Per dare valore alle case degli italiani – d’accordo una bella fetta di Pd – basterebbe abolire gli spazi a verde e servizi e incrementare ancora il costruito, complimenti. Quartieri senza servizi che valgono di più: in quale mercato? E quattro.

La quinta storia è semplicemente incredibile. Avviene che nella civile regione toscana un assessore, Anna Marson, abbia presentato – unico esempio in Italia, le altre regioni sono inadempienti – il piano paesaggistico della Toscana. Un piano rigoroso, anche se contemperato con le esigenze delle escavazioni sulle Alpi Apuane, e con quelle di agricoltori e allevatori. Grande dibattito, tante discussioni e incontri con i cittadini. Alla vigilia dell’approvazione definitiva in consiglio regionale ecco una raffica di emendamenti che lo demoliscono, articolo per articolo. E non è solo l’opposizione a farlo, come è comprensibile. Il lavoro sporco lo fa il Pd, nella persona del consigliere Ardelio Pellegrinotti ma a nome di tutto il partito. Un partito che non si è neppure degnato di accettare la riunione chiesta con insistenza dall’assessore che sembra pronta a dimettersi se passeranno quegli emendamenti demolitori. In sostanza, resterebbero inviolabili solo le vette oltre i 1.200 a patto che non siano già state intaccate dalle cave. Per il resto, dall’ampliamento alle discariche di cava, via libera all’escavazione: che serve un piano paesistico se non incrementa la demolizione delle montagne?

Il paesaggio è cosa delicata, coinvolge la vita e la sua qualità. Sarà forse per questo che è così complesso varare un piano paesistico. Quello della Regione Toscana è d’avanguardia, e per i contenuti oltre che per i tempi. Certo, se si cancella dal testo anche l’obbligo di salvaguardia della «qualità percettiva dei luoghi» e l’obbligo di evitare «l’impermeabilizzazione permanente del suolo», consentendo di adeguare e ampliare ogni struttura turistica esistente, forse quel piano diventa inutile. Inutile anche un assessorato all’ambiente, in una regione che pure su ambiente e cultura basa la sua fortuna. E una discreta rendita economica.

La Repubblica, ed. Firenze 22 febbraio 2015

NELLA reprimenda che Enrico Rossi ha riservato al migliore dei suoi assessori, Anna Marson, si legge che il presidente toscano si adopererà «per trovare le soluzioni più avanzate per conciliare ambiente e lavoro». Rossi ce l'ha già in mano quella soluzione: è l’avanzatissimo Piano Paesaggistico, che il suo partito sembra deciso a inabissare.

Perché è importante chiarire un punto. Non siamo di fronte a uno scontro tra ambientalisti radicali e uomini di governo, o tra tecnici e politici. Siamo di fronte allo scontro tra una politica che crede in uno sviluppo sostenibile, e una politica che vuole perpetuare in eterno l'insostenibile stato delle cose. Come ha scritto lo stesso Enrico Rossi (nel suo Viaggio in Toscana), «il Piano offre una cornice di regole certe, finalizzate a mantenere il valore del paesaggio anche nelle trasformazioni di cui esso è continuamente oggetto». È verissimo: il Piano non avrebbe l'effetto di imbalsamare il paesaggio toscano, ma darebbe finalmente gli strumenti per governarne la trasformazione in modo responsabile. La sua approvazione sarebbe la vittoria di chi crede che il paesaggio non si salva con i vincoli, cioè con le (pur necessarie) proibizioni delle soprintendenze, ma con la capacità di immaginare un futuro condiviso. Sarebbe il successo di una democrazia matura: il Ministero per i Beni culturali ha accettato di rinunciare a una serie di vincoli perché convinto della qualità del Piano.

Ma ora tutto questo rischia di saltare, perché il pacchetto di emendamenti presentato dal Pd svuota il Piano al punto tale da renderlo inerte. Basterebbe questo comma: «Le criticità contenute nelle schede di ambito costituiscono valutazioni scientifiche non vincolanti a cui gli enti territoriali non sono tenuti a fare riferimento nell’elaborazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica». Se il Piano non è vincolante, se i Comuni non sono tenuti ad osservarlo: ebbene, quello non è più un piano, ma un auspicio. E il Mibact non lo firmerebbe. Insomma, il Piano morirebbe prima di nascere.

La cosa inquietante è che negli emendamenti di Forza Italia troviamo non solo la stessa volontà, ma le stesse identiche parole presentate dal Pd: «Le criticità contenute nelle schede di ambito costituiscono valutazioni scientifiche non vincolanti a cui gli enti territoriali non sono tenuti a fare riferimento nell’elaborazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica ». Siete capaci di trovare una sola virgola diversa dal testo del Pd?

E non è la sola convergenza letterale. Quando si parla dell'enorme problema della distruzione delle Apuane, Pd e Forza Italia piantano gli stessi paletti, con le stesse parole: «Salvaguardando, comunque, le cave esistenti e il loro futuro sviluppo». E si potrebbe continuare a lungo, purtroppo. Siamo evidentemente di fronte al tentativo di imporre a Rossi uno Sblocca Toscana, perfettamente allineato a quell'asse Renzi-Lupi che ha partorito lo Sblocca Italia, che è un triplo salto mortale nel passato, con il ritorno ad un consumo di suolo senza freni, e ad un totale asservimento dell'interesse pubblico agli interessi privati di lobbies industriali, edili ed estrattive.

Se i toscani fossero chiamati a un referendum, il Piano Marson passerebbe con l'80% dei voti. Mentre rischia di cadere in un Consiglio regionale in cui il peggio di vecchie stagioni, locali e nazionali, e il peggio del renzismo sono ormai indistinguibili. Se giovedì prossimo il Piano cadesse davvero, il finale di queste interminabili 'cinquanta sfumature di Rossi' sarebbe un monocolore senza sfumature. Grigio: come il cemento.

I fatti.

Nel corso della discussione in commissione regionale del piano paesaggistico regionale i consiglieri del PD preannunciavano la presentazione di una proposta di modifica la cui approvazione lo avrebbe radicalmente trasformato in un ennesimo libro dei sogni.

In alcuni articoli pubblicati o ripresi in eddyburg il 1, il 15 e il 20 febbraio (vedi i riferimenti in calce), avevamo denunciato la minaccia del PD toscano al piano paesaggistico, individuandone due principali componenti: (1) la pesante riduzione della tutela delle Alpi apuane, cedendo alle pretese delle imprese cavatrici con l’assicurare ulteriori possibilità di escavazione anche in aree a forte valenza paesaggistica e rischio geologico; (2) la trasformazione di tutte le “direttive” rivolte agli enti locali in “indirizzi”. Abbiamo osservato che quest’ultima proposta coincide con la delega piena di cospicui interessi pubblici all’imperio delle convenienze private; in definitiva, ridurre i “comandi” che la Regione trasmette ai comuni in semplici suggerimenti significherebbe annullare del tutto l’efficacia del piano.

Pochi giorni fa i consiglieri del PD presentavano l’insieme delle loro proposte Queste venivano illustrate in un ampio servizio del Corriere della sera del 21 febbraio. Nel servizio, oltre a descrivere i numerosi elementi delle modifiche proposte (una vera e propria riscrittura del piano), si dava conto ampiamente delle critiche del presidente del FAI, Andrea Carandini, e raccoglieva alcune valutazioni di Anna Marson, assessore all’urbanistica e promotrice del piano.

Marson affermava di trovare «sorprendente che il più grande partito di maggioranza si comporti come quello di opposizione, nella forma e nella sostanza. Evidentemente - proseguiva - le elezioni regionali vicine hanno scatenato comportamenti anomali e trasversali e mi sembra di vedere un partito del mattone e della pietra che cerca di affermarsi».

Dopo aver riportato il parere fortemente critico di Salvatore Settis l’articolo del Corriere cosí concludeva: «L'assessore Marson non esclude di lasciare l'incarico se il suo piano dovesse essere stravolto. “Prima dirò che cosa penso in Consiglio dice lei poi ci penserà qualcun altro a dimissionarmi” ».

Stranamente repentina la reazione di Enrico Rossi alle dichiarazione del suo assessore. Le denunce della manovra dei consiglieri del PD l’avevano visto silenzioso. Alle parole di Marson rispondeva poche ore dopo averle lette.

«Anna Marson è un grande tecnico che ha dato un contributo fondamentale sulla svolta attuata in Toscana nelle politiche per il governo del territorio. Ma quando esprime giudizi politici compie scivoloni pericolosi. Respingo quindi con fermezza le sue dichiarazioni sul ruolo del Pd dipinto in un intervista al Corriere della Sera in modo grottesco, come un partito antiambientalista, asservito ad interessi particolari».

«Occorre chiudere la legislatura con il lavoro straordinario che è stato fatto sul piano del paesaggio e con la nuova legge sulle cave. Esasperare i toni e le polemiche è il miglior regalo che può essere fatto a coloro che vogliono far fallire questi obiettivi» prosegue il Presidente. E cosí conclude: «Invito quindi a lavorare seriamente in commissione confrontandosi con posizioni anche diverse ma legittime e ricercando soluzioni avanzate per conciliare ambiente e lavoro».

Il commento

La vicenda è ancora aperta. Il voto del Consiglio regionale è previsto per il 10 marzo prossimo. Quel giorno si vedrà se l’intervento del presidente Rossi nel contrasto tra l’assessore Marson (un assessore non è solo un “tecnico”, presidente!) e i consiglieri del PD sia solo un buffetto dato a Marson per placare i falchi del PD, oppure se corrisponda a un deciso cambiamento di rotta rispetto al Rossi che avevamo conosciuto.

Se cosí fosse, sarebbe una profonda delusione per quanti, come noi, l’avevano considerato un personaggio anomalo nel mondo dei politici-politiciens di oggi: una persona capace di valutare il merito delle scelte, di decidere privilegiando l’interesse collettivo e di ispirare le sue azioni a una visione di lungo periodo.

Ma sarebbe anche una sconfitta per quell’ Enrico Rossi che abbiamo conosciuto. Quello che ha seguito con attenzione, e comprensione anche “tecnica”, gli sforzi per restituire alla Toscana il primato del saggio governo delle trasformazioni del territorio e del paesaggio, minacciato sempre più pesantemente dall’erosione del suolo e dalla devastazione del paesaggio, dalla sovra-infrastrutturazione d’ogni costa e d’ogni fondo valle e dallo svillettamento a go go. Quell’Enrico Rossi da cui abbiamo sentito pronunciare l’appassionato intervento a difesa della nuova legge urbanistica regionale, matrice del piano paesaggistico oggi minacciato dal partito di Renzi. È quell’Enrico Rossi che sarebbe tradito, e sconfitto, da un cedimento sui contenuti e sull’efficacia del piano paesaggistico.

Arrivederci al 10 marzo.

Riferimenti

Si vedano su eddyburg i seguenti articoli: Paolo Baldeschi, Dario Parrini: doctor Jeckill e Mr Hyde, Edoardo Salzano, Da che parte sta il PD toscano Mauro Bonciani (Corriere della Sera), La spallata del PD a Marson. Il piano del paesaggio azzerato

Corriere di Firenze, 20 febbraio 2015, con postilla

A due settimane dal voto in Consiglio regionale, fissata per il 10 marzo, il Pd riscrive il piano del paesaggio. E lo fa con un maxi-emendamento presentato in commissione che ammorbidisce vincoli e prescrizioni, riduce le criticità ad elementi conoscitivi e non facenti parte della programmazione urbanistica e territoriale, rivede quasi completamente la disciplina delle cave della Apuane. Il testo coordinato dal gruppo Pd insomma riscrive la riscrittura del Pit del paesaggio fatta dall’assessore all’urbanistica Anna Marson e dall’assessore all’agricoltura Gianni Salvadori a dicembre ed ha fatto arrabbiare Marson, che praticamente dall’inizio della legislatura subisce stilettate e attacchi dem. E che si trova davanti ad un documento che non considera più suo proprio a due passi dal traguardo della legge più rilevante di tutta la legislatura-Rossi.

Il governatore ad inizio della scorsa settimana è stato informato dal Pd della volontà di presentare l’emendamento diretto in particolare alle cave e che sosta l’equilibrio di nuovo verso i Comuni rispetto alla pianificazione regionale, e se è vero che c’è tempo fino a lunedì per depositare gli emendamenti (e quindi limare anche quello predisposto dal gruppo) e che gli emendamenti possono essere ritoccati o ritirati anche in aula, sarà decisiva la riunione della maggioranza fissata giovedì 26 e la parola dello stesso Rossi per capire se si arriverà alla rottura con Marson. Il governatore ha sempre difeso l’assessore da lui scelta in quota Idv, definendo il piano del paesaggio, assieme alla riforma delle Asl, l’atto più importante da portare a casa prima della fine del suo primo mandato. Rossi dovrà fare i conti con il gruppo Pd, espressione anche dei sindaci e delle associazioni che hanno chiesto la modifica del Pit, – «senza i nostri voti il piano non si approva», dice un consigliere dem nei corridori di Palazzo Panciatichi – con Marson che se non sarà convinta del testo finale dell’emendamento lo farà presente a tutti, e con gli alleati: e trovare una sintesi non semplice.
il nostro commento,
Intanto il maxi emendamento è stato presentato nella commissione ambiente presieduta da Gianfranco Venturi. spiegato il consigliere Giovanni Ardelio Pellegrinotti. «Il Piano è un atto complesso e condizionerà la vita dei cittadini toscani per i prossimi vent’anni. Non ci possiamo permettere di sorvolare su alcun punto. La nostra preoccupazione – spiega Ardelio Pellegrinotti, Pd, che ha coordinato il testo e che ha escluso altri emendamenti– è che il piano del paesaggio non ingessi troppo l’attività e lo sviluppo della Toscana anche attraverso indicazioni, prescrizioni e direttive che possono più o meno incidere e condizionare a seconda di come vengono declinati i singoli termini». «Prendo atto che il Piano non c’è più – è i commento di Monica Sgherri, Prc – I crinali delle Apuane, ad esempio, in forza del documento avanzato oggi, potranno essere modificati». Nicola Nascosti (Fi) ha annunciato la presentazione di 200 emendamenti: «Le criticità vanno cancellate, non si può ingessare tutto – spiega – e va riscritta tutta la parte delle cave, ma anche rivista quella del settore agricolo e balneare».

postilla
L'avevamo temuto, e raccontato, si veda l'"opinione" di Paolo Baldeschi, Dario Parrini: dottor Jeckill e mr Hide , il nostro articolo Da che parte sta il PD toscano nel conflitto tra tutela e distruzione del paesaggio. Adesso è almeno stracciato il velo dell'ipocrisia

Corriere fiorentino, 8 febbraio 2015

«Approvare il Piano Paesaggistico in tempi brevi». È il messaggio che Ilaria Borletti Buitoni (ex Scelta Civica, oggi Pd), sottosegretario del ministero dei Beni culturali e del turismo, con delega al paesaggio, lancia al Consiglio regionale chiamato, nelle prossime settimane, a licenziare il Pit. E avverte: «Nel caso vi sia una terza riscrittura il ministero potrebbe rispedirlo indietro senza approvazione».

Onorevole Borletti Buitoni, la giunta regionale ha inviato alle commissioni competenti un piano paesaggistico con meno vincoli. Che ne pensa? «Il Piano Paesaggistico della Toscana — che deve essere approvato con sollecitudine perché rappresenta uno strumento fondamentale per la gestione del territorio — è il frutto di compromessi che, comunque, garantiscono un certo principio di tutela al quale noi eravamo attaccati. La versione precedente ci era piaciuta di più, ma trattandosi di interessi conflittuali bisognava trovare un punto di sintesi. E, a nostro parere, l’attuale Pit lo ha trovato. Ma non sono compatibili le ulteriori richieste arrivate dalle categorie dei cavatori perché renderebbero la tutela di un’area importantissima, dal punto di vista paesaggistico, turistico e faunistico, assolutamente in pericolo».

Dunque, se il Consiglio regionale dovesse accogliere le nuove istanze dei cavatori il ministero potrebbe respingere l’approvazione del Piano?
«Sì, il rischio c’è. Il percorso fatto fino ad ora con la Regione Toscana è stato eccellente, di confronto, anche secco ma costruttivo, però in riferimento alle Apuane non siamo disposti a concedere altro: il Mibact non tollererà ulteriori allentamenti a un principio di tutela».

Qual è il giusto equilibrio tra tutela e sviluppo?
«L’equilibrio è difficile, ma posso sintetizzarlo con una partola: regole. Non si può lasciare campo libero all’iniziativa selvaggia. Quando parlo di regole, non mi riferisco a vincoli assurdi o a un appesantimento burocratico, ma a norme che definiscono con chiarezza i limiti, secondo principi di tutela che il nostro ministero deve far rispettare. Tutelare il paesaggio non è un interesse di parte ma collettivo».

Il Pit «atto secondo» raccomanda, per la Val d’Orcia, la tutela dei borghi, e definisce una «criticità» l’intensa diffusione dei vigneti. È d’accordo?
«Ci sono delle aree, mi riferisco alla Val d’Orcia, patrimonio dell’umanità come lo è il Colosseo. Quindi il danno che si può arrecare con una pianificazione non corretta rappresenta un danno di immagine per tutto il Paese. Sui vigneti, invece, credo si sia trovato un accordo accettabile sia dal punto di vista paesaggistico che per i produttori di vino».

Il governatore Enrico Rossi ha garantito che entro la fine della sua legislatura il Pit sarà approvato. Quale messaggio vuole lanciare?
«La Toscana è stata capace, più di altre regioni, di valorizzare il suo patrimonio artistico, storico e ora paesaggistico, cerchiamo di fare in fretta, non perdiamo ulteriore tempo. E sarete un esempio per tutti, come lo siete stati per la tutela dei beni culturali».

A proposito di beni culturali, a breve il ministero procederà alla nomina dei nuovi soprintendenti e dei manager che dovranno gestire i 20 «musei autonomi» italiani. Quali sono le novità?
«Le nomine dei dirigenti di prima e seconda fascia le stiamo affrontando in questo momento, e non sarebbe corretto anticipare notizia. La riforma del ministero completerà tutto il suo ciclo entro l’estate. Credo che nei prossimi 15 giorni arriveranno le nomine che riguardano le soprintendenze e le segreterie regionali. Per i 20 siti importanti, il quadro sarà completo per la fine di maggio».

status di supporto inerte e diventa bene comune. Tecnicamente, la legge introduce un’invalicabile “linea rossa” tra città e campagna: nessun nuovo edificio su terreni fertili. L’impugnativa governativa afferma che proprio questa norma contravviene al principio costituzionale di libera concorrenza». Perunaltracitta.org, 3 gennaio 2015

Secondo alcuni giornali sarebbe stata proprio l’ex vigilessa fiorentina in capo, in capo ora al Dipartimento legislativo alle dirette dipendenze dell’ex sindaco di Firenze, a dare l’alt alla nuova legge urbanistica toscana in un’Italia distratta ormai dai preparativi natalizi (nella stessa vigilia di Natale avrebbe anche regalato a Berlusconi il comma salva evasori). L’impugnativa alla LRT 65/2014 (Norme per il governo del territorio), che ritarderà l’entrata in vigore della legge, si colloca nel segno della fiducia sconfinata nell’autoregolazione del mercato edilizio che ormai sta segnando il passo (e di questo sì, abbiamo le prove).

Della buona legge abbiamo già scritto, ma merita qui ricordarne almeno due aspetti virtuosi. Concettualmente, la legge supera il meccanicismo della LRT 1/2005 e introduce uno strumento di matrice ecologista: con il concetto di «patrimonio territoriale» infatti, quale risultato della coevoluzione di abitanti e ambiente naturale, da «promuovere e garantire» per le generazioni future, il territorio abbandona lo status di supporto inerte e diventa bene comune. Tecnicamente, la legge introduce un’invalicabile “linea rossa” tra città e campagna: nessun nuovo edificio residenziale su terreni fertili; né centri commerciali o capannoni che vìolino i princìpi del grande piano regionale (PIT): violazione o compatibilità saranno certificate da una «conferenza di copianificazione» in cui il parere sfavorevole della Regione è vincolante.

L’impugnativa governativa afferma che proprio quest’ultima norma contravviene al principio costituzionale di libera concorrenza tutelato dalla ripartizione delle competenze prevista dall’art. 117 Cost. Tuttavia, il Consiglio di Stato con la sentenza 2060/2012 stabilisce che «le prescrizioni contenute nei piani urbanistici, rispondendo all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, possono porre limiti agli insediamenti commerciali, dunque alla libertà di iniziativa economica». Bene ricordarlo. Del resto, privata di potestà regolativa, che urbanistica sarebbe?

L'intervento di trasformazione della Manifattura Tabacchi a Firenze: un progetto pesante, morfologicamente ed esteticamente sbagliato...>>>

L'intervento di trasformazione della Manifattura Tabacchi a Firenze: un progetto pesante, morfologicamente ed esteticamente sbagliato, banale nelle destinazioni e con l'aggravante di alterare irrimediabilmente un complesso di valore architettonico e di significato culturale che meriterebbe di essere valorizzato ben diversamente. Potrebbe essere la prima di una serie di operazioni - 59 per l'esattezza, di cui 49 da parte di privati - proposte a investitori stranieri e contenute nel dossier "Florence, city of the opportunities” (sic), con il Sindaco Dario Nardella nell'inconsueto ruolo di promotore immobiliare.

Il percorso seguito dall'amministrazione fiorentina per arrivare a questo risultato, si spera non definitivo, è esemplare e anticipa quanto potranno fare i Comuni italiani, promossi dall'articolo 26 della legge Sblocca Italia al rango di potenziali speculatori edilizi. Il progetto riguarda la ex Manifattura Tabacchi, un complesso di 400.000 metri cubi e 103.000 mq di superficie, posto in un'area strategica dei viali di circonvallazione, oggi posseduto da Manifattura Tabacchi Spa, di cui è azionista al 50% Metropolis, una società che riunisce vari operatori in liquidazione (Ligresti, Btp, Consorzio Etruria) e per la restante metà Fintecna, società interamente controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, il cui ruolo si è "evoluto" nell'acquisizione e "valorizzazione" del patrimonio pubblico.

La Manifattura Tabacchi è un'architettura del razionalismo italiano, una vera e propria cittadella costituita da edifici funzionali, vincolata con un Decreto ministeriale dal 1997 che la dichiara particolarmente importante, in quanto «complesso rappresentativo dei canoni funzionali degli anni Trenta improntati a una sobrietà monumentale di stampo classicista». La tutela integrale del complesso viene confermata nel 2005 da un nuovo Decreto in cui si sottolinea che gli edifici che lo compongono, tutti, fanno parte di un "unicum" dotato di notevole organicità. Il provvedimento coincide con l'interesse del quartiere che vede nella Manifattura un luogo identitario e uno potenziale spazio per servizi in una zona povera di spazi pubblici; con queste finalità si forma il Comitato per la tutela della ex Manifattura Tabacchi che da anni ne propone utilizzazioni (anche) a favore della città, presentando osservazioni puntuali e proposte alternative.

Nel 2007 la proprietà presenta un primo piano di recupero, inaccettabile perché non conforme e non conformabile neanche in variante agli strumenti urbanistici vigenti. Nel 2011, a seguito dell'approvazione del nuovo Piano Strutturale, viene presentato un nuovo piano, cui nel 2012 la Soprintendenza di Firenze Pistoia e Prato, cambiando radicalmente parere, dà il via libera. Il progetto, approvato in variante nel marzo del 2014, stravolge l'architettura e l'impianto morfologico della Manifattura con demolizioni e aggiunte, fra cui spiccano due torri alte 53 metri, particolarmente stridenti in un complesso basso e disposto in orizzontale.

A motivare questo improvviso ripensamento vi è il parere consultivo del Comitato Tecnico Scientifico del Mibact - sollecitato in extremis dal Sindaco Renzi - che, con talune titubanze e riserve e suggerendo qualche modifica, accoglie il progetto. Curiosa la motivazione: trattandosi di edilizia "fortemente seriale" (ma nel precedente Decreto costituiva un "unicum") sono possibili amputazioni e aggiunte; la Manifattura risulta, perciò, demolibile in parte, mentre alla parte rimasta è consentito aggiungere ulteriori corpi. Come dire che essendo gli Uffizi di Firenze una tipologia duplicata, tanto vale demolirne una metà per sostituirla con qualcosa più profittevole per il "real estate market". Deludenti, infine, gli usi proposti, analoghi a quelli della stragrande maggioranza dei 59 interventi promossi dall'amministrazione fiorentina, cioè residenza, attività commerciali e uffici, ripartiti in misura decrescente e con qualche pizzico di uso pubblico. Nella fattispecie, nella ex-Manifattura sono previsti 700 appartamenti con un corredo di attività direzionali, commerciali e ricettive, in direzione opposta alle necessità di diversificazione e modernizzazione dell'economia fiorentina. Ma, al di là della specifica bassa qualità del progetto, l'aspetto strutturalmente negativo è che l'intera operazione "Florence's opportunities" ancora un volta rovescia il principio per cui è compito dell'amministrazione proporre le attività da insediare e conseguentemente i siti e gli edifici più opportuni. Qui invece si parte dai "contenitori", presentati come materia prima appetibile, malleabile ai voleri di società di investimento, fondi, operatori immobiliari: una platea di "valorizzatori" che mira a fare profitti nel breve periodo ed è improbabile possa mettersi a capo di progetti innovativi.

Alla base di tutto ciò, vi è il deficit politico culturale che ha caratterizzato l'amministrazione Renzi e, per ora, anche quella di Nardella: l'assenza di una strategia che scelga e operi per una Firenze meno legata alla banalizzazione della rendita medicea, più orientata a diventare un grande laboratorio scientifico multiculturale, aperto al mondo. La distruzione dell'importante complesso architettonico della Manifattura Tabacchi (perché di questo si tratta) è, invece, un tassello in direzione opposta, prefigura un futuro in cui, con un'offerta immobiliare "a la carte", sarà il mercato a decidere la localizzazione delle attività, i pesi insediativi e i bisogni di accessibilità: con il corollario, promesso dal disegno di legge Lupi, di una Soprintendenza ridotta al rango di ufficio protocollo. I bandi sono aperti e per i lettori di eddyburg che fossero interessati riportiamo dal booklet : "The complex of the Tobacco Factory is perhaps the most important opportunity of transformation of the city of Florence, by position, size and function". Appunto: un'opportunità che rischia di essere sprecata.

Firenze, nel 1962, con il Sindaco Giorgio La Pira e l' Assessore all'Urbanistica Edoardo Detti anticipò nel nuovo piano regolatore la breve stagione riformista del centro-sinistra. Ora, nel 2014, si candida ad anticipare una stagione di controriforme.

Gli affari spingono senza tregua per devastare una Piana che per decenni si è voluta mantenere intatta; per distruggere un millenario assetto idrogeologico e unire in un’unica marmellata centri urbani che hanno voluto rimanere distinti; per far prevale gli interessi economici privati sugli interessi della collettività. Cittadini Area fiorentina, 22 novembre 2014

Lo scorso 6 novembre AdF (Aeroporto di Firenze) ha presentato in Palazzo Vecchio il
Master Plan 2014-29 con la previsione della nuova pista di Peretola sulla cui lunghezza (2.000 m. secondo il Piano di Indirizzo Territoriale della Regione), 2.400 m. secondo ENAC) è da tempo in corso un contenzioso. Il crono programma della Società diretta daMarco Carrai prevede l’apertura dei cantieri ad agosto, dopo il rilascio, in aprile, della Valutazione di Impatto Ambientale ministeriale. Nell’ arco di 15 anni si prevede un investimento di circa 300 Mln., ripartito a metà tra pubblico e privato.

Con il nuovo Aeroporto di Firenze i passeggeri annui passerebbero dagli attuali 2 ai4,5 Mln. Ma con la fusione degli aeroporti di Pisa e di Firenze e la loro promozione in serie A finirà per prevalere la maggiore appetibilità di Firenze, smentendo la frottola del “Vespucci” come city airport per viaggiatori d’affari e della sua complementarietà con il “Galilei” di Pisa. Una volta che a Peretola si realizzasse una pista di 2.400 m. alcune compagnie low cost che attualmente operano su Pisa, potrebbero preferire direttamente Firenze.

Non è escluso che AdF punti in realtà a rivedere il PIT regionale, vista la quantità di controindicazioni e di spese che la nuova pista comporta, (salta l’operazione stadio/Mercafir, è da rifare il PUE di Castello, è a rischio la Scuola dei Carabinieri, ecc.) cercando di garantirsi piena disponibilità su tutto il territorio aperto tra Firenze e Sesto F.no e orientando a suo piacimento la pista. Del resto, in primis, le ipotesi erano addirittura 5. AdF chiede persino di rivedere il progetto di Linea 2 della tramvia: vorrebbe infatti farla giungere in sotterranea dentro la nuova stazione passeggeri.

Il Sindaco di Prato Matteo Biffoni che pur appoggiato da Renzi si era affermato nelle ultime amministrative con il No all’ampliamento dell’aeroporto di Peretola, ha cambiato verso, rinunciando al ricorso al TAR, promosso dai Comitati nei confronti dell’approvazione del PIT, i cui termini scadevano il 14 novembre. La decisione, passata a tappe forzate in Consiglio comunale dopo spasmodiche riunioni del PD e malgrado l’opposizione della cittadinanza, segna la resa dei sindaci della Piana al dictat di Renziche vuole imporre la nuova pista entro il 2017, quando a Firenze si svolgerà un G7.

Essa segna probabilmente la definitiva cancellazione del Parco della Piana, palesemente incompatibile con la nuova pista e infatti scomparso da qualsiasi dibattito.

Circa le conseguenze disastrose di un aeroporto internazionale piazzato al centro di un’area metropolitana che contiene 1/4 della popolazione dell’ intera Toscana basti qui ricordare lo spostamento del Fosso Reale, il rifacimento della viabilità e del reticolo idrografico minore in terreni idraulicamente fragili, la coesistenza con depositi di carburanti, industrie chimiche, centrali elettriche, inceneritori, oltre che centri abitati,laboratori di ricerca ed oasi ambientali.

La questione Aeroporto riguarda la Piana ma è soprattutto una questione di Firenze. Il cambio di classificazione del “Vespucci” porterà ad un aumento esponenziale dei voli, compresi quelli che sorvoleranno direttamente Firenze (il 18%, fino a 500 m. da terra).

Per chi volesse approfondire la questione rimandiamo a nostri precedenti notiziari, al sito “Piana Sana” e in particolare alle sue ottime mappe interattive.

Ci preme rimarcare invece la palese contraddizione tra le giustamenteorgogliose affermazioni del presidente Rossi, circa la recente approvazione della nuova Legge Urbanistica Toscana, che impone per la prima volta in Italia il principio dello stop al consumo di suolo, e il funesto sfregio territoriale che la Regione impone alla Piana fiorentina. Il PIT in questo caso non èuno strumento di indirizzo generale ma, per quanto riguarda l’ambito 6 (Firenze, Prato. Pistoia)un sempmpiceaccarastamento delle scelte di AFE e dei potericle la sostengono

il pit in questo caso non è

pronti a rivedere i loro strumenti urbanistici, conformandoli alle nuove regole.». La Nazione, 19 novembre 2014


Firenze. Nasconde la soddisfazione di un «noi l'avevamo detto e l'abbiamo fatto», dietro l'offensiva contro il decreto legislativo Lupi in materia di urbanistica. Nega che si tratti di una rivincita, non sol politica, per lui e per l'assessore regionale Anna Marson, «spesso criticata, a volte poco compresa». Ma è palese che per il governatore Enrico Rossi la battaglia contro l'eccesso di cemento, principale imputato di un'Italia che si sbriciola e finisce sott'acqua, è una fanfara suonata alla legge urbanistica toscana, approvata dal consiglio un mese fa e pronta a entrare in vigore, dal 27 novembre. Una legge che vieta di costruire case nelle aree rurali, privilegiato il recupero sull'edificazione costruire nuove case nei territori non urbanizzati, che accelera gli iter urbanistici, che privilegia il recupero dell'esistente al consumo ulteriore di suolo e che demanda alla conferenza di co-pianificazione di aree vaste le scelte e gli equilibri sui nuovi insediamenti, anche produttivi.
«Non possiamo aspettare anni - dichiara con orgoglio Rossi con a fianco l'assessore Marson - per vedere i piani operativi dei Comuni adeguarsi alla legge toscana. Per questo metteremo a disposizione i 7 milioni di euro che risparmieremo dal taglio dei consiglieri e degli assessori, per quei Comuni
pronti a rivedere i loro strumenti urbanistici, conformandoli alle nuove regole. E' una sfida che lancio
ai sindaci della Toscana, la Regione darà i contributi alle progettazioni con un bando che sarà pronto a gennaio».

Rossi e la Marson non si lasciano sfuggire l'occasione per rielencare i dettami della legge 65. «Abbiamo messo il vincolo di inedificabilità, già dal 2012, su 1.000 chilometri quadrati di territorio pianeggiante, aree a forte rischio idraulico, pari al 7% della pianura toscana. Diversi Comuni mi chiamano per aggirare questo vincolo, ma sbatteranno contro i divieti. Vogliamo spezzare l'alleanza tra mattone e finanza, si è cementificato troppo e le conseguenze sono oggi davanti agli occhi di tutti. Con le leggi sull'urbanistica e con il prossimo piano del paesaggio abbiamo impresso alla Toscana una svolta epocale. Che spero serva da esempio a Regioni e Governo».

Da qui l'attacco al ddl Lupi, reo di «consentire edificazioni su aree che dovrebbe essere tutelate. Chiederemo modifiche» annuncia Rossi, non escludendo ricorsi. Anche gli agricoltori sarebbero contenti, visto che Anna Marson sforna delle slides con «10.500 nuovi agricoltori in Toscana, dal 2008 a oggi, 600 dei quali giovani. Con l'impegno di tagliare i tempi, da 6 anni di media a 2, per le autorizzazioni edilizie, e di premiare i Comuni che non faranno la corsa alle alle licenze per costruire, la Regione si candida a modello per gli urbanisti di tutta Italia. Fa i conti con argini travolti, milioni di danni e territori che si sbriciolano, ma fa leva su una legge che dovrebbe scongiurare dissesti futuri.

La Repubblica, ed. Firenze, 12 ottobre 2014«IO ritengo di essere l'uomo del dialogo: ascolteremo le opinioni di tutti. Ma sia chiaro che se non si approva il Piano del paesaggio, il centrosinistra dovrà trovarsi un altro candidato alla presidenza della Regione». Meglio dirlo prima. Sul Piano paesaggistico tanto contestato dagli agricoltori e dai produttori di vino, il governatore Enrico Rossi ci mette tutto il carico. Conferma di essere pronto a rivedere e ridiscutere alcuni passaggi. Ma sul risultato niente scherzi, notifica dall'Internet Festival di Pisa, durante l'intervista di Lucia Annunziata. Il Piano è parte fondante della Toscana del futuro. Almeno la Toscana che ha in testa lui: «Il nostro obiettivo è garantire lo sviluppo all'agricoltura mantenendo la specificità del paesaggio », dice Rossi. Avvertendo fin d'ora quei consiglieri che dovessero accarezzare l'idea di mettersi di traverso.

Un avviso ai naviganti e una prova di forza, da parte del presidente che ha il ‘bis' in tasca, direttamente consegnatogli dal premier Matteo Renzi. Ma dal palco pisano, Rossi gli inoltra un suggerimento e una richiesta: «Se nella legge di stabilità Renzi inserirà benefici solo per Firenze mi arrabbierò ». Il premier non si dimentichi del resto della Toscana: «Non ho elementi per esprimere giudizi definitivi, ma mi aspetto che nella finanziaria il premier riservi altrettanta attenzione a rilevanti questioni infrastrutturali per la costa». Quali? Due su tutti: «L'autostrada tirrenica e l'adeguamento del porto di Livorno con i dragaggi sul canale Scolmatore». E se i pisani non dovessero sentirsi sufficientemente rassicurati,

Rossi mette sul piatto anche gli scali aeroportuali. Dice «di sentirsi la coscienza a posto e di avere compiuto una scelta che fa soprattutto il bene di Pisa ». Perché «se la città preferisce restare nel suo piccolo, sappia che corre il rischio di restare marginalizzata: l'individuazione di Corporacion America e della proprietà unica dei due scali consente di fronteggiare al meglio la concorrenza di Bologna, e di assicurare lo sviluppo di Pisa fino a 7 milioni annui di passeggeri».

Se poi ci sarà bisogno di «chiedere al governo attenzione per la cittadella aeroportuale pisana, lo faremo», giura Rossi. Tra le richieste al premier c'è però anche il capoluogo: «A Renzi chiedo 40 milioni per terminare i lavori alla diga di Levane e per completare le casse di espansione sull'Arno, così da mettere Firenze in sicurezza ». Rossi conferma la disponibilità «ad aggiungere altri 40 milioni per l'Arno». Ma ricorda subito dopo a Renzi che «servono interventi sul porto di Livorno, mentre a Pisa servono cittadella aeroportuale, centro congressi e un più rapido collegamento ferroviario con Firenze».

Sul piano politico Rossi conferma di non voler fare guerre al renzismo: «Ritengo che cercare ora rivincite contro Renzi sia sbagliato, è stato uno straordinario acceleratore della crisi della politica che la sinistra ha compreso tardi. Semmai il rammarico è che da sinistra non sia avvenuto altrettanto ». Cercare ora rivincite vorrebbe dire piuttosto «farsi asfaltare», dice Rossi. Aggiungendo: «Io scommetto sugli under 30, sui giovani che incontro e che non sono né renziani né antirenziani ma semplicemente di sinistra. E molti di coloro che oggi fanno battaglie a difesa dell'articolo 18 si sono dimenticati per anni dei Cococo e Cocopro, anche se il Jobs Act non credo risolverà tutti i problemi».

Il paesaggio è larisorsa delle risorse:
chi si oppone al Piano Paesaggistico
fa una battaglia diretroguardia

In Toscana si è aperta sui media regionali la cosiddetta “guerra del vino”, che vede diverse associazioni di categoria del settore vitivinicolo unite in un attacco frontale contro il Piano Paesaggistico proposto dall’assessore all’Urbanistica Anna Marson. Quali sono le accuse mosse al Piano? Dirigismo, astrattezza, vincolismo, intenti punitivi nei confronti di una categoria agricola che ha bisogno invece di mani libere per procedere a innovazioni del settore che presupporrebbero elevata meccanizzazione, accorpamento dei fondi, semplificazione del paesaggio. Addirittura ci si spinge a dichiarare l’esistenza di una minaccia per l’intero settore vitivinicolo, con paventate ricadute socio economiche negative, se tale piano non verrà rivisto nella sua impostazione generale. A noi pare che la polemica scatenata da alcuni settori di vertice dell’imprenditoria agricola sia tesa a delegittimare un piano per molti versi avanzato, che farebbe onore alla Toscana intera e alla sua dimensione rurale costruita nel tempo dal lavoro sapiente degli agricoltori.

Non è a oggi chiaro in quale direzione si muoveranno le osservazioni agli elaborati di piano che le associazioni stanno elaborando, però sappiamo già che sul carro della lotta contro il Piano è salito pure una parte del partito di maggioranza in Regione oltre ad una parte del potere locale.

Alcuni interventi nel dibattito, pur provenendo dal mondo agricolo o comunque vitivinicolo, hanno con buon senso riportato al centro della discussione lo stato reale del settore, come nel caso di Alessandro Regoli, direttore di Wine News, che ha scritto in una sua lettera aperta ai media regionali: “ La Toscana è famosa nel mondo per l’armonia del paesaggio, che quindi va conservato, nell’interesse supremo di tutti. Questo non vuol dire non fare nulla: la programmazione territoriale non si crea mettendo regole, ma cercando di rimodellare bene, in maniera sostenibile, tenendo conto degli effetti idrogeologici e paesaggistici, ma anche senza speculazioni. Il Piano penso che avesse la finalità di “accompagnare” le trasformazioni e non bloccare gli investimenti nel settore agricolo in Toscana”. O come nel caso di Luca Brunelli, presidente Cia Toscana,che presentando un dossier sul Piano paesaggistico elaborato dalla sua associazione, sia pur criticabile e che riteniamo di non condividere (basato sulla antinomia tra l’ “agricoltura tradizionale” secondo loro privilegiata dal Piano e quella “innovativa e competitiva”) dichiara: “è un documento complesso e giustamente ambizioso, che condividiamo negli obiettivi fondamentali, perché mira al contrasto del consumo di suolo; riconosce l’agricoltura quale presidio paesaggistico essenziale; punta al recupero produttivo agricolo di superfici abbandonate. Emerge tuttavia la tendenza ad una visione statica dell’agricoltura […] che individua fra le minacce al paesaggio l’abbandono dell’agricoltura da una parte e i processi di intensificazione e specializzazione dall’altra [...].Per quanto riguarda, per esempio, i vigneti occorre evitare generici giudizi di “criticità” e conseguenti direttive di generalizzato contrasto allo sviluppo del settore. Suggeriamo di applicare l’art. 149 del codice con il metodo seguito in altre circostanze (es. fotovoltaico o biomasse): definendo in quali condizioni, e a partire da quali estensioni, si debba evitare la realizzazione di nuovi impianti o adottare norme tecniche di prevenzione del rischio idrogeologico”. Sono richieste di modifica del testo che, trasformando le raccomandazioni in regole agronomiche chiare e definite, possono dare anche maggior cogenza a quegli indirizzi, e quindi possono definire un terreno di mediazione possibile.

Ma il complesso degli interventi ha avuto un altro taglio, e può aver ingenerato in molti l’impressione che la normativa proposta sia un insieme di vincoli che un potere politico (e accademico) vuole imporre al dinamico e libero mondo di imprenditori agricoli, o per dirla con le parole di Giovanni Busi presidente del Consorzio Chianti «Non può essere un atto politico a dire dove io devo piantare viti o dove non posso farlo, deve essere il viticoltore a scegliere, perché conosce il vino e come lo si fa».Ma per non perdersi in un polverone di dichiarazioni che spesso sembrano estremizzare ed ideologizzare astrattamente, riteniamo utile sottolineare alcuni semplici dati di fatto:

1. Non esiste libero mercato nella viticoltura. È vero (come afferma la CIA nel suo dossier) che l’agricoltura specializzata copre nel suo insieme solo una superficie di 100mila ettari circa, suddivisi tra viticoltura (60mila), ortofrutticoltura (27mila), e florovivaismo (13mila), con una incidenza solo dell’11,7% sulla SAU toscana, e che l’incremento dei vigneti negli ultimi dieci anni (2000 – 2010) è stato soltanto del 2,5%. Non è però vero come sostiene la CIA che “tutti i pericoli paventati dal Piano e nella ‘guerra dei vigneti’ di questi giorni, sono davvero una ‘tempesta in un bicchiere di vino’, ben lontani dalla realtà”.In tutta la UE vige nei fatti il blocco dei nuovi impianti viticoli con un incremento massimo ammissibile nei singoli stati dell’1% della superficie vitata esistente e per normare in Italia (e in Toscana) la realizzazione di nuovi vigneti esiste una procedura basata sul “Diritto di impianto”, tale per cui l’agricoltore non può impiantare se non ha già una vigna da rinnovare con l’espianto, o se non acquisisce il titolo da un viticoltore che vendendo la sua quota di vigna si impegna ad estirparne una superficie equivalente. È un sistema che tutela fortemente le imprese esistenti, frutto delle pressioni delle associazioni del settore sul governo italiano, che ha resistito nelle negoziazioni europee agli indirizzi di “liberalizzazione” che ci venivano chiesti dalla UE. Il sistema al quale l’Italia si dovrà adeguare dal 31 dicembre 2015 prevede infatti che si passi in futuro al sistema delle “autorizzazioni”, che sono nominali alle aziende e che non possono essere commercializzate. Qual è allora il rischio possibile per la Toscana? Che nella fase di transizione al nuovo sistema, come è accaduto per il Prosecco che ha drenato 4000 ettari di diritti di impianto in 4 anni, si possano concentrare su porzioni del nostro territorio diritti di reimpianto derivanti dall’abbandono di vigneti in altre zone o parte di quei 50000 ettari di diritti “in portafoglio” alle aziende viticole nazionali (vigneti “di carta”), con fenomeni locali di riduzione della diversità della maglia agraria sia dove verrebbero espiantati vigneti sia dove verrebbero realizzate monocolture estensive. Il Piano Paesaggistico giustamente mette in guardia da questo rischio, appare anzi sin troppo blando nell’aspetto normativo perché non prevede esplicitamente norme cogenti sulla dimensione massima degli appezzamenti o sulla estensione massima in pendenza delle superfici vitate. Desta perciò perplessità che da parte di molti si ritenga ammissibile e legittimo porre limiti alla libera intrapresa dei singoli agricoltori (della cui autonoma capacità di giudizio e programmazione evidentemente poco si fidano le stesse associazioni di categoria …) con una normativa nazionale voluta dalle stesse lobby dei viticoltori per difendere il valore economico delle colture viticole e la redditività dei diritti acquisiti, ma lo stesso principio con regole peraltro abbastanza generali non valga per difendere interessi e diritti della collettività quali quello al paesaggio (art 9 della Costituzione) e all’ambiente. Il paesaggio agrario, frutto delle equilibrata combinazione tra rittochino e coltivazioni a traverso (tagliapoggio, cavalcapoggio e girapoggio, per non parlare delle più elaborate coltivazioni a spina), sedimentato nei secoli, è una risorsa in sé, ed è una risorsa che da valore alle produzioni di qualità, vino compreso.


2. Le grandi monocolture intensive e specializzate non sono l’agricoltura del futuro. Nel loro documento di contestazione del PP le associazioni vitivinicole dichiarano che il Piano ha una impostazione “anacronistica e sbagliata” perché “rilancia un modello di agricoltura vecchio e non competitivo” bloccando “l’agricoltura di qualità”. Qui c’è un equivoco da sciogliere: i vigneti a rittochino di grande estensione, realizzati accorpando colture o acquisendo diritti di impianto da altre zone, gestiti con la meccanizzazione spinta (macchine scavallatrici) non sono il futuro, ma un aspetto di quella “modernizzazione” che abbiamo visto all’opera nei decenni passati e di cui abbiamo già colto anche i limiti; come tutte le monocolture, hanno massima vulnerabilità a patogeni e richiedono forti interventi antiparassitari, semplificano il paesaggio riducendone l’attrattività turistica e la multifunzionalità ma anche la valenza ecosistemica, diminuiscono i tempi di corrivazione delle acque aumentando il grado di erosione, il rischio a valle e il pericolo localizzato di dissesto idrogeologico; per citare un caso recente, lo stilista Cavalli nel 2008 ha pagato più di 200000 euro al comune di Firenze per rimediare ai danni prodotti dall’impianto di un nuovo vigneto a rittochino che sgrondavano masse di acqua e fango sull’abitato sottostante. Questi aspetti sono ben chiari agli stessi viticoltori associati che, nel Chianti senese e fiorentino, hanno supportato e condiviso quella “Carta dell’uso sostenibile del territorio rurale” nella quale vengono indicate le buone pratiche agricole - ad esempio stabilendo la distanza fra filari di viti, o la necessità di intercalare alberi e siepi fra le varie colture – che coniugano norme estetiche e di salvaguardia idraulica, per tutelare il paesaggio, difendere la biodiversità. Ma la cosa ancor più eclatante (nessuno lo dice) è che la nuova PAC europea dal 1 gennaio 2015 farà entrare in vigore le procedure di “greening”, ossia condizionerà il pagamento del 30% dei contributi agli agricoltori alla introduzione di misure ambientali nelle superfici ammissibili a finanziamento, misure che sono sostanzialmente tre, diversificazione delle colture, mantenimento dei prati permanenti, presenza di aree di interesse ecologico quali boschetti e siepi. L’agricoltura del futuro è quindi quella sostenibile, biologica o biodinamica, a basso impatto, diversificata (che ben si sposa con la salvaguardia di alcuni elementi del paesaggio tradizionale toscano) e le estese monocolture a vite poco hanno a che vedere con questo anche se sul breve periodo possono risultare un grande affare per qualcuno. Chi si oppone oggi al piano paesaggistico appare dunque anacronistico.

3. Le monocolture dell’agroindustria non garantiranno nuova occupazione. In un articolo sempre il presidente del Consorzio vino Chianti Giovanni Busi ha dichiarato a proposito del Piano «Si mette a rischio un pilastro dell’economia e dell’occupazione, oltre che il più inflessibile custode del paesaggio». Fermo rimanendo che in realtà il Piano non impedisce nuovi impianti viticoli né la vivaistica e l’orticoltura in serre, ma cerca solo di influenzarne il modus realizzativo, occorre sfatare un altro “mito”, ossia quello che la “modernizzazione” agricola come la si è intesa negli ultimi 70 anni sia stata un ostacolo all’abbandono delle campagne e una garanzia di presidio del territorio; basti pensare che negli ultimi 30 anni in Italia dal 1980 al 2010 (dati ISTAT) si è passati da 3133118 aziende a 1620884, con un dimezzamento al quale ha fatto da corrispettivo l’incremento della SAU aziendale media, ed una perdita non proporzionale di soli 3 milioni di ettari coltivati (da quasi 16 milioni a circa 13). In tutto questo fenomeno di accorpamento delle superfici, di aumento delle grandi aziende, di “modernizzazione” agraria si passa da 600 milioni di giornate di lavoro (1980) a 250 milioni (2010) , con la riduzione di quasi due terzi del lavoro nel comparto agricolo. L’aumento della superficie aziendale, la rimozione di ostacoli alla meccanizzazione spinta, hanno diminuito in generale la necessità di lavoro umano e, al suo interno, di quello specializzato e qualificato dei contadini, sostituendovi il precariato rurale spesso dequalificato degli stagionali: sul totale di 49 milioni di giornate lavorative nazionali extrafamiliari (2010) 26 milioni di giornate sono quelle del lavoro a tempo determinato. La costruzione di un nuovo paesaggio agrario fondato su mosaici colturali, sull’agricoltura contadina delle piccole-medie aziende e sulla conversione in senso biologico e sostenibile delle grandi aziende, oltre a garantire bellezza e occasioni di reddito ad aziende multifunzionali e multiproduttive garantisce quindi anche più lavoro. Un bel paesaggio agrario è quindi anche un paesaggio sociale vivo e abitato, non un lusso per esteti sfaccendati.
4. L’agroindustria crea enormi problemi sia alla salute sia all’ambiente toscani. Fabrizio Bindocci (Consorzio Brunello di Montalcino) presentando il documento delle associazioni di viticoltori ha dichiarato che «non ci sono dissesti se c’è un agricoltore attento, perché usa pochi antiparassitari, regimenta le acque, tiene i fossi puliti perché l’acqua scorra…. ». È proprio quello a cui mira il piano; allora perché sono contro?È vero che abbiamo un trend di diminuzione dell’uso di fitofarmaci (-19,8% in dieci anni secondo gli ultimi dati nazionali ISTAT) ma restiamo con Olanda e Francia i paesi con più elevato uso di fitofarmaci per unità di superficie: 5,6 chili per ettaro, 350 sostanze tossiche diverse, 140.000 tonnellate all’anno, che fanno circa un terzo del totale usato in tutta l’Unione europea a 27, pur avendo noi una SAU che è il 7% di quella europea. Nella nostra regione l’intensivizzazione e specializzazione spinta portano a picchi di utilizzo di questi prodotti su superfici ridotte; le ultime analisi di monitoraggio dell’ARPAT sulle acque superficiali toscane destinate alla produzione di acque potabili (fiumi, laghetti e invasi) hanno riscontrato il 30% di campioni con presenza di residui di fitofarmaci (37 su 122 campioni), con 61 diverse sostanze attive da fitofarmaci trovati nel triennio 2010-2013, e tra queste “I casi più frequenti riguardano quattro fungicidi, dimetomorf, tebuconazolo, iprovalicarb e metalaxil, con spettro di azione molto simile fra di loro, presenti in prodotti commerciali di tre diverse ditte produttrici e utilizzati in viticoltura” (ARPAT toscana 2013). Il quadro che emerge è inquietante, con 15 diversi pesticidi trovati alla presa dell’Anconella a Firenze, 18 a Quarrata, 11 nel laghetto di Fabbrica a San Casciano. Si potrebbe aggiungere a questo che Mancozeb e Gliphosate (un fungicida e un erbicida) sono in quantità i prodotti più usati in Toscana dopo rame e zolfo e che il Mancozeb in particolare contiene etilenbisditiocarbammato di Manganese, un prodotto la cui manipolazione (secondo le nuove tabelle ministeriali per le malattie professionali in agricoltura) può produrre nel coltivatore l’insorgenza del morbo di Parkinson anche 10 anni dopo il contatto. La costruzione di un paesaggio agrario articolato e differenziato, nel quale le fasce di rispetto da fiumi e laghi tornino ad essere vegetate e protette da contaminazione, nel quale le colture abbiano maggiori difese endogame richiedendo meno trattamenti, è quindi un modo per difendere dall’avvelenamento tanto i pozzi della comunità quanto i contadini e i consumatori.

La posta in gioco nella discussione sul Piano Paesaggistico è a nostro avviso molto alta, si tratta di decidere qual è il modello di agricoltura che vogliamo per il nostro futuro e perciò auspichiamo che questa discussione non resti solo appannaggio di chi difende interessi particolari o peggio speculativi. Il territorio rurale toscano, e il paesaggio agrario che ne è la dimensione visibile, sono beni preziosi e comuni, di tutti. E le sue trasformazioni devono essere governate, non subite. L’interesse per il piano paesaggistico, dunque, non può rimanere limitato a pochi addetti ai lavori, ma deve coinvolgere tutti quei soggetti attivi in un possibile cambiamento di scenario, dai GAS alle associazioni di tutela dell’ambiente e del territorio, dalle associazioni di categoria più lungimiranti ai cittadini sui territori come in parte è già avvenuto con i momenti di partecipazione seguiti dalla Regione nella costruzione del piano.

Questa “guerra del vino” ci pare una polemica scatenata ad arte per impedire – dilazionandola nel tempo – l’approvazione del piano, con il coinvolgimento anche di una parte del potere politicoregionale e locale (come sta avvenendo purtroppo per la nuova legge urbanistica), magari per aspettare la fine della legislatura regionale e poi avere le mani libere con un altro assessore all’urbanistica. Agricoltori e studiosi, Università e mondo rurale hanno l’interesse comune a ribadire il valore del piano e a denunciare il tentativo di poche lobby di ostacolare un equilibrato governo delle trasformazioni del paesaggio e quindi del mondo rurale. Quando qualcuno dice che non può essere la politica a decidere gli indirizzi delle trasformazioni, significa che secondo lui devono essere il mercato e gli affari a dettare le scelte. Stupisce che autorevoli associazioni di categoria si prestino a questo gioco e che in Regione molti invece di difendere il proprio piano cerchino di ritardarlo nella speranza di affossarlo. È solo il disperato tentativo di rilanciare un modello che ha prodotto guai, cioè un paesaggio più semplificato e banale, un suolo più fragile e un sistema economico che adesso è strutturalmente in crisi. Alla crisi si risponde mettendo il territorio e l’agricoltura, la buona agricoltura, al centro dell’attenzione culturale e politica, non riproponendo gli stessi paradigmi che l’hanno generata.

La grossolanità dei formatori del pensierocorrente manipola la verità concorrendo all’indebolimentodi casi di buongoverno per favorire i soliti interessi dei saccheggiatori del territorio. Dove si dimostra anche che chi meno legge più diventa servo di chi comanda


La Repubblica apre il fronte di lotta:
Il piano paesaggistico vuole distruggere i vigneti
La cosiddetta ‘guerra del vino’ comincia mercoledì 27 agostoquando su Repubblica, ed. Firenze esce un articolo a firmaMaurizio Bologni, dal titolo Il Chianti:Pit frittata, minaccia i vigneti. Sottotitoli: “Il Consorzio all’attaccodel piano del paesaggio: pascoli al posto dei filari e divieto di reimpiantinei vecchi. L’assessore Salvadori si associa: oltraggioso per l’agricoltura.Marson ammette: su alcune cose si può discutere”.
Ecco come comincia l’articolo di Bologni: «Pascoli al postodelle vigne, per garantire l’ancestrale alternanza di colture. E altolà alreimpianto delle viti, che invece sono troppo vecchie e hanno bisogno di essererinnovate». In realtà la fonte, come si evince subito dopo, è il presidente delConsorzio Vino Chianti (che non è il Consorzio Chianti Classico), che si chiamaGiovanni Busi, ma che nell’articolo compare come Aldo (potenza dellaletteratura…), al quale si attribuisce la seguente affermazione: «“È una clamorosa frittata, è come se la Regione ci venissea dire che i vigneti, finora considerati un elemento caratterizzante e tipicodella bellezza delle colline, deturpano il paesaggio toscano - attacca ilpresidente del Consorzio Chianti Aldo Busi - Si mette a rischio un pilastrodell’economia e dell’occupazione, oltre che il più inflessibile custode delpaesaggio”».
Continua l’articolo: «Gianni Salvadori, l’assessoreregionale all’agricoltura, sta con loro. “È vero, nel Piano ci sono previsioniche penalizzano e sono addirittura oltraggiose per la vitivinicoltura e perl’intera agricoltura, ma c’è tempo per emendare”. L’assessore all’ambiente,Anna Marson, difende la filosofia del Piano, ma non chiude a correzioni: “Ilmosaico delle colture va mantenuto, ma su alcune cose si può discutere”. (…) L’assessoreSalvadori sposa la causa di imprese, piccole e grandi, dei lavoratori. “Nellaparte descrittiva del Piano ci sono passaggi pregiudizievoli per l’agricolturache di per sé fa il paesaggio”, dice».
Ma come sarà nata, e nella testa di chi, l’idea dei pascolial posto dei vigneti? Che cosa intende Anna Marson quando parla di mosaico dicolture, così come quando ne parla il Pit e chiunque si sia mai interessato dipaesaggio? È chiaro che non ci si riferisce più, oggi, a quel particolare mododi coltivare grano, vino e olio sullo stesso appezzamento, che era tipico dellamezzadria e quindi di buona parte della Toscana centrale, ma del qualerimangono solo alcune tracce. Esiste ancora, tuttavia, quell’alternanza dicolture (che poi sono sempre le stesse, cereali, viti e olivi) e di bosco checonsente ancora di leggere nel paesaggio toscano l’impronta storica della classicacoltura promiscua e dell’appoderamento. Per i pascoli, in quel sistemaproduttivo, non c’era proprio posto: bisogna lasciare le aree della mezzadria,risalire la montagna o scendere nelle maremme, seguire i percorsi dellatransumanza. Tra pascoli e vigneti non c’è mai stata nessuna relazione, sonospazi ecologicamente e storicamente separati.
S'inserisce Libero: Via le vigne, largo alle pecore

Eppure l’idea è subito piaciuta, anzi diventa un’ideona,secondo Libero che il giorno dopotitola: Ideona della Toscana: via levigne, largo alle pecore, un articolo di Tommaso Lorenzini. Leggendomeglio, si scopre che la distorsione la fa il titolo, e ancora di più ilsottotitolo (“Il nuovo Piano paesaggistico regionale prevede pascoli al postodei vecchi filari: idea ‘geniale’ per settore turistico e investimenti”),mentre nel testo viene riportata (correttamente) una dichiarazione di AnnaMarson. «“Non abbiamomai detto né scritto che le vecchie vigne saranno tolte di mezzo. Per ogniobiezione c'è ancora tempo, siamo aperti a ogni confronto, che peraltro intempi non sospetti c'era già stato con le varie categorie ed esperti disettore. La realtà è che noi abbiamo sollevato criticità sulla proliferazione di vigneti di tipoindustriale: i piccoli vignaioli ma anche le buone, grandi aziende, devonostare tranquilli”».

Con maggiore attenzione, il tema viene ripreso il venerdì 29dal Corriere Fiorentino, nel dossiera cura di Giulio Gori e Ivana Zuliani, dal titolo Con troppe viti troppi rischi? Pro e contro le nuove regole. «Adaccedere la miccia della polemica - leggiamo nel dossier - è stato GiovanniBusi, presidente del consorzio Vino Chianti (…): “Non può essere un attopolitico a dire dove io devo piantare viti o dove non posso farlo, deve essereil viticoltore a scegliere, perché conosce il vino e come lo si fa”».
Scendono in campo i consorzi:
sappiamo noi come fare, via lacci e lacciuoli
Seguiamo ancora il dossier: «Dietro a Busi, si accodanotutti gli altri consorzi. Letizia Cesari (Vernaccia di San Gimignano) teme chei coltivatori si ridurranno «a fare i giardinieri per mantenere la beltà senzaproduttività», mentre Fabrizio Bindocci (Brunello di Montalcino) ricorda che “nonci sono dissesti se c’è un agricoltore attento, perché usa pochiantiparassitari, regimenta le acque, tiene i fossi puliti perché l’acquascorra, per le ristrutturazioni recupera le pietre e i vecchi docci perché lecase rispettino il più possibile il contesto toscano”. Andrea Giorgi (VinoOrcia) ritorna con la memoria a quando “il paesaggio forse era più bello, manon era adatto a un’agricoltura redditizia”. Al contrario, Andrea Natalini(Nobile di Montepulciano) afferma che “duecento anni fa c’erano molte più vignedi ora”».
Natalini forse non sa che nell’Ottocento erano molto rari ivigneti: la vite era diffusa sì, manella forma promiscua, maritata agli aceri e ai pioppi, o in collina agliolivi. Ma le altre affermazioni sono accettabili in un serio dibattito e potevanocontribuire a riportare la discussione sui binari giusti. Tanto più che lostesso 29 agosto Repubblica Firenze usciva con un articolo di Massimo Vanni dal titoloMarson: Nessun divieto ma cautele,che iniziava con le parole dell’assessore: «“Nessun divieto assoluto per inuovi vigneti nel Piano paesaggistico, solo alcune condizioni per chi vuolerealizzarli”».
L’articolo contrappone però alle parole di Marson quelle delcollega all’agricoltura Gianni Salvadori: «“C’è un taglio culturale generaleche va adeguato, non possiamo fermare le imprese che vogliono crescere”», per arrivarea questa dichiarazione bellicosa: «È la ‘battaglia dei vigneti’». E questa èl’espressione , variamente declinata (guerra, battaglia) che d’ora in avanti conquistail primato fra i media.
Ancora, Marson aggiunge «“Invito tutti a leggere il testo,non ci sono prescrizioni di sorta”», mal’articolo precisa che il testo conta ben 3 mila pagine: come dire, leggerlo èimpossibile per un comune mortale. Né basta l’assicurazione, sempre da parte diMarson, che «“uno degli obiettivi del Piano è riportare all’uso agricolo gliappezzamenti lasciati in eredità dalla mezzadria e oggi incolti o boschisecondari, trasformandoli anche in vigneti”».
Troviamo subito ripresa la ‘guerra delle vigne’ sabato 30agosto sul Corriere Fiorentino: Supertuscan alla guerra delle vigne «Noi nonsiamo degli speculatori», recita il titolo del servizio di Leonardo Testai.Eccone un passaggio: «Ci fa piacere leggere - spiega Luca Brunelli, presidentedi Cia Toscana e produttore vinicolo a Montalcino - nelle dichiarazioni delpresidente Enrico Rossi e degli assessori competenti, che la Regione Toscananon vuole vietare i nuovi vigneti. Ne prendiamo atto con soddisfazione.Tuttavia nel Piano i divieti per i nuovi vigneti ci sono, eccome; così come ci sonoper il florovivaismo, l’ortofrutticoltura, l’agricoltura intensiva in genere.Altrimenti di cosa parla il Piano quando usa termini come “limitare”,“contrastare”, “ostacolare” “evitare”?».

È già: non ci si può mica fidare delle affermazioni delpresidente o degli assessori. Quello che è scritto è scritto, nelle 3 milapagine: lì, da qualche parte, i divieti ci sono! E i primi a doverli applicaresaranno proprio i sindaci. I sindacistretti tra l’incudine e il martello, titola Repubblica Firenze di sabato 30 agosto. Qui Massimo Mugnaini eMassimo Vanni riferiscono le parole del sindaco di Greve, Paolo Sottani: «“Cosadirei al produttore del mio Comune che mi chiedesse di reimpiantare o estenderei suoi vigneti? Teoricamente gli direi di si. Tecnicamente però sono tenuto arecepire le prescrizioni del nuovo Piano e, quindi, a dirgli che quasisicuramente non potrà farlo”».
E di seguito quelle del sindaco di Montalcino SilvioFranceschelli: «“Le schede d’ ambitoche stabiliscono cosa si possa e cosa non si possa fare a livello agricolo, nonsi limitano a raccomandazioni ma contengono vere e proprie prescrizioni che nonrendono onore al nostro lavoro, durato anni, di armonizzazione tra crescitaeconomica e compatibilità paesaggistica”, sostiene».
Finalmente qualcuno ha letto almeno una parte del Pianopaesaggistico, e ne cita il contenuto: si tratta di una delle venti scheded’ambito in cui si articola la ricchissima documentazione raccolta dal gruppo di lavoro del Piano, formato come ènoto dai tecnici della Regione insieme ai docenti e ai borsisti del CentroInteruniversitario di Scienze del Territorio. Si tratta appunto di un ampioquadro conoscitivo che non si limita a descrivere la situazione di fatto, ma nericostruisce le dinamiche storiche e – soprattutto – segnala per ogni tematicaquali sono i valori e quali le criticità per ciascun ambito territoriale, perpoi indicare alcuni indirizzi per una coerente politica del territorio. Nelleschede si segnalano criticità, e si indicano indirizzi di tutela, dal punto divista dell’assetto idrogeologico, della rete ecologica, del sistema urbano edel paesaggio agrario. Anche la scheda numero 17 (Val d’Orcia e val d’Asso),che il sindaco di Montalcino dichiara di aver letto, contiene osservazionicritiche sull’estensione dei vigneti sui terreni delle crete, sui rischiidrogeologici ed ecologici di molti dei nuovi impianti. Ma non si tratta di“prescrizioni”, come ritiene il sindaco , bensì di indirizzi, in genere piuttostocauti: di fronte ai quali argomenti del tipo “ma chi sono e che cosa ne sannoquesti professoroni, lasciate fare a noi che di vigneti ce ne intendiamo”dimostrano soltanto la volontà di difendere ad ogni costo qualsiasi sceltaoperata nel passato e rinunciare all’opportunità di mettere insieme i saperidei coltivatori con quelli delle scienze del territorio.
Su molti giornali vengono riportate le parole di StefanoCarnicelli, docente di pedologia e attuale direttore del CIST, che fornisce gliesempi di impianti a rischio: fra i quali proprio quelli di Montalcino, cheormai si estendono anche su terreni argillosi, pur di sfruttare il marchio:alcuni degli interessati, che hannoevidentemente la coda di paglia, si dichiarano terribilmente offesi. Difenderein blocco l’intera categoria non serve a nessuno. Aggiungo per mia esperienzapersonale che chi avesse visto costruire, alla fine degli anni ’90, i famosivigneti di Poggio alle Mura, ovvero la cosiddetta villa Banfi, alla confluenzadell’Orcia nell’Ombrone, avrebbe avuto la sorpresa di trovare un vero e propriocantiere che disponeva chilometri di tubazioni per realizzare un drenaggio deltutto artificiale.
Sempre nelle pagine della Repubblica Firenze del 30 agosto sono riportate anche le parole delpresidente Rossi: «“Voglio ribadire che i termini presenti nel piano non siriferiscono affatto a vincoli o divieti. Sono raccomandazioni che ovviamentevanno calate nella realtà del territorio delle varie aziende e da cui ci si puòdiscostare motivatamente. Sono raccomandazioni tese a far adottare tutti gliaccorgimenti necessari per evitare le criticità o le conseguenze indesiderateevidenziate dal piano stesso”».

L’argomento è ripreso il giorno seguente dal Corriere Fiorentino, Guerra dei vigneti, il governatore: servonoregole, sì al dialogo, a firma G.G. , Enrico Rossi così si esprime: «“Aproposito del piano del paesaggio ho la sensazione che qualcuno vorrebbe che siriducesse ad un solo articolo: in Toscana ognuno fa quello che gli pare. Einvece, per non piangere lacrime di coccodrillo, è bene mettere regole e allostesso tempo semplificare. Proprio come abbiamo fatto noi”».
Dal Chianti alle Apuane
Le signorìe del vino alleate con le signorìe del marmo?
Ma le parole non bastano, la ‘guerra’ continua, anzi siinasprisce. Domenica 31 interviene il QuotidianoNazionale dei Monti-Riffeser, a firma Pino Di Blasio: È guerra del vino in Toscana: «La Regione blocca i nostri vigneti»,A sostenerlo, questa volta nientemeno che ‘le Signorie del vino’. Leggiamo: «Primale cave di marmo delle Apuane, da dove Michelangelo prendeva la materia per isuoi capolavori. Ora le Signorie del vino, dinastie di viticoltori che hannosuperato la trentesima generazione, come i Ricasoli, i Frescobaldi e gliAntinori, che in Toscana combattono la stessa battaglia di aziende agricole dauna dozzina d’ettari».
L’analogia con quanto era successo nel mese di luglio con larivolta delle imprese del marmo contro il Piano la troviamo anche il 2 settembresul Corriere Fiorentino: Cave e vigne,gli ultimi ostacoli al piano Marson, sempre a firma G.G., dove si legge che«Il governatore Rossi difende Marson e assicura che il Pit al contrario darànuove opportunità all’agricoltura specializzata: le direttive per combattere ildissesto idrogeologico riguarderanno solo le nuove vigne; che comunque potrannoessere realizzate su 200 mila ettari di territorio strappati ai boschi discarso pregio».
Mentre l’assessore all’agricoltura Gianni Salvadori sischiera coi viticoltori: come del resto non manca di sottolineare il Quotidiano Nazionale, lo stesso giorno: Salvadori difende le imprese del vino,sempre a firma Pino Di Blasio. Dove l’assessore mostra di condividere lepreoccupazioni che abbiamo già sentito: «“Il problema del piano regionale è ilsuo indirizzo culturale, che non riguarda solo il vino, ma tocca anche glialtri comparti. Prima afferma che l’agricoltura è una grande opportunità e unarisorsa per la Toscana, poi elenca le criticità del settore. Siccome tutto iltesto diventerà legge, si rischia di generare confusione e contraddizioni. Lecriticità non sono prescrizioni, ma rischiano di diventarlo applicando il piano”».
Finalmente uno che legge il piano
Il 3 settembre un nuovo dossier sul Corriere Fiorentino, Boschi,terrazze e pastori (per evitare l’effetto Barolo), a firma M.B. (MauroBonciani), riporta un sottotitolo categorico, “La legge sul paesaggio: cosa sipuò fare e cosa no”, ma poi si vede che l’autore è andato davvero a leggere idocumenti di piano, e si è interessato alle schede riguardanti il Chianti, laMaremma e la Val d’Orcia. Sul Chianti, per esempio, la lettura che troviamo nell’articoloè corretta: «Da qui – dall’analisi delle criticità - gli indirizzi per ilfuturo compreso quello di “indirizzare l’evoluzione della maglia agraria versounità meno estese, nel senso del versante, e realizzando adeguati sistemi digestione dei deflussi”, (…) e di “limitare la perdita degli ambienti agropastoralie agricoli tradizionali, evitando la diffusione estensiva di nuovi vignetispecializzati in ambito collinare, che quando presenti in modo esteso edominanti costituiscono ambienti agricoli di scarso valore naturalistico”.Obiettivo finale, “tutelare la complessità della maglia agraria del sistema diimpronta mezzadrile e riqualificare i contesti interessati da fenomeni disemplificazione, banalizzazione e perdita degli assetti paesaggisticitradizionali”»).
Le foto che accompagnano il servizio mostrano un esempionegativo (intorno al castello di Barolo, accanto a uno positivo (Panzano), perquanto riguarda la tessitura dei vigneti: magari il bersaglio poteva esserescelto meglio, tra le tante monocolture del vino. Almeno i vigneti del Barolosono sistemati e curati meglio di quelli di Panzano dove domina il ‘rittochino’con effetti perversi anche dove la maglia è relativamente piccola. Del restoanche sulla copertura della cantina Antinori recentemente costruita al Bargino(San Casciano) è stato piantato un bel vigneto a ‘rittochino’, proprio quellasistemazione che condannavano i Georgofili di una volta (ai quali l’attuale titolaredell’azienda Antinori si appella in piena guerra delle vigne, vedi QN del 4 settembre, Filari, colline e cipressi. Il vino crea paesaggi stupendi).
Ma al presidente fanno dire:
scrivete troppo difficile
Leggere i documenti del Piano non è dunque impossibile: lefamose 3 mila pagine non costituiscono il “faldone” con cui si è cercato discoraggiarne la consultazione, ma sono tutte facilmente accessibili in versionedigitale. Tuttavia un’affermazione un po’ avventata del presidente Rossi nelcorso di una visita a una delle famiglie di produttori storici (i Frescobaldidi Nipozzano) viene subito utilizzata a sproposito dal servizio che Repubblica dedica all’episodio. Iltitolo è Rossi e il paesaggio: “Nelnostro Piano problemi di linguaggio”. Idea che viene ulteriormenteenfatizzata nei sottotitoli: “E tra i filari boccia lo stile Marson:Accademico”. Si trattava in realtà solo di un passaggio («Posso già dire chesemplificheremo il linguaggio del piano, troppo burocratico e accademico», silegge sul Corriere).
Per Massimo Vanni, che firma l’articolo, si trattaaddirittura di una nuova fase nella guerra delle vigne: «È il Piano che haportato zizzania fin dentro lo stesso governo della Regione, perché contro lagigantesca opera di 3 mila pagine - più lunga di un terzo di Guerra e pace (nell'edizione Mondadori)- firmata dall'assessore all'urbanistica Anna Marson, si è scagliato anche ilresponsabile agricoltura Gianni Salvadori. Raccogliendo nel merito le accuse di‘dirigismo’ e di eccessiva burocratizzazione inviate dai consorzi di tutela edagli stessi sindaci all'indirizzo personale dell'assessore Marson. Ma adessole parole del governatore, che era sembrato fin qui schierarsi con la propriaresponsabile dell'urbanistica, aprono una nuova fase».

A nulla valgono le dichiarazioni delle stesso presidenteriportate il giorno dopo su ToscanaNotizie: «Smentisco nel modo più assoluto di aver voluto prendere ledistanze dall'assessore Marson». Così il presidente Enrico Rossi interviene aseguito di alcuni articoli dedicati oggi dalla stampa alle sue dichiarazioninel corso della visita all'azienda vitivinicola Frescobaldi. «Anzi, voglionuovamente ringraziarla per aver elaborato e proposto il Piano paesaggisticoche è stato approvato da tutta la giunta. Rivendico con orgoglio – prosegue ilpresidente Rossi – il fatto che grazie al nostro Piano si sia aperta nellapolitica e nella società una discussione seria su come conciliare a livelli qualitativamentesempre più alti il rapporto tra economia, ambiente e paesaggio».
Il presidente precisa:
ma i grandi mass media oscurano
Ma né RepubblicaCorriere riportano queste dichiarazioni,che si possono leggere solo sulle pagine del Tirreno. Il Quotidiano Nazionale, addirittura, fornisce la suainterpretazione: la Regione fadietrofront, si legge nel titolo del servizio del 4 settembre.
Certo, si può anche modificare il linguaggio: ma non si puòconfondere raccomandazioni e indirizzi con prescrizioni e vincoli. Il Piano suuna cosa non transige: ogni trasformazione che comporta alterazioni delpaesaggio va studiata bene, che si tratti di cave come di vigneti o diinfrastrutture. Ogni intervento richiede un progetto, questa è la vera novità:ma sembra che proprio l’obbligo di confrontarsi con un progetto faccia paura.Se il Piano paesaggistico contribuirà a instaurare una nuova cultura delprogetto, avrà raggiunto il suo scopo principale.

Purtroppo la cronaca di questa vicenda mostra come sia più comodofidarsi del linguaggio giornalistico che non risalire alle fonti: e anche cometalvolta sono i titoli a trarre in inganno, quando magari il testo sarebbecorretto. Ma non c’è limite alle distorsioni giornalistiche: mentre scrivoquesta cronaca, esce un articolo su Liberonel cui titolo ormai il Piano paesaggistico è semplicemente un piano antivigne (e per il resto apre sìuna nuova fase: quella della macchina del fango, sulla quale è meglio tacere).
Riferimenti
Lo studio di Claudio Greppi è pubblicato in rete anche sul sito di ReTe (Territorialmente). Il piano paesaggistico può essere consultato qui.

se arrivassero soldi pubblici meglio adeguare l'Aurelia". Il manifesto, 14 agosto 2014

Nella inter­mi­na­bile par­tita a scac­chi sull’autostrada tir­re­nica, le asso­cia­zioni ambien­ta­li­ste bat­tono il ferro fin­ché è caldo. A Festam­biente pre­sen­tano un nuovo docu­mento, teso a dimo­strare l’insostenibilità, anche eco­no­mica, della grande opera. In dire­zione osti­nata e con­tra­ria rispetto a un governo che in par­la­mento, per bocca del mini­stro Lupi, ha con­fer­mato l’impegno a tro­vare risorse pub­bli­che nello “Sblocca Ita­lia” per dare gambe al maxi pro­getto. In ballo ci sono ben 270 milioni di euro chie­sti dalla con­ces­sio­na­ria Sat (Società auto­strade toscane), che lamenta cre­scenti dif­fi­coltà, e però non ancora tro­vati dall’esecutivo gui­dato da Mat­teo Renzi. “A que­sto punto – lan­cia l’idea il patròn di Festam­biente, Angelo Gen­tili — se finan­zia­mento pub­blico deve essere, que­sto serva per met­tere in sicu­rezza e ade­guare l’Aurelia da Anse­do­nia a Gros­seto sud”.

Sul tema dell’autotirrenica l’associazionismo ambien­ta­li­sta è da sem­pre com­patto. Con Legam­biente, rap­pre­sen­tata anche da Edoardo Zan­chini, ci sono Ste­fano Lenzi del Wwf, Valen­tino Pode­stà della Rete dei comi­tati a difesa del ter­ri­to­rio, Anna Donati di Green Ita­lia, e ancora il Fai, l’associazione Bian­chi Ban­di­nelli e il marem­mano “Comi­tato per la bel­lezza”. Forte di un con­senso popo­lare mai sce­mato negli anni, e con l’appoggio delle forze poli­ti­che di sini­stra, da Sel a Rifon­da­zione, il fronte anti-autostrada ha dalla sua anche la forza dei numeri: “I dati di traf­fico reali sul per­corso, dimi­nuiti rispetto al 2010 a causa della crisi eco­no­mica e tor­nati circa ai livelli del 2000, non giu­sti­fi­cano in alcun modo la rea­liz­za­zione di una auto­strada, anche con la pro­spet­tiva di una ripresa eco­no­mica che invece ancora non c’è”. A seguire la cifre: “Nel 2010 il pro­getto pre­sen­tato dalla Sat par­tiva da un traf­fico gior­na­liero medio esi­stente di 19.900 vei­coli al giorno. Ma dai bilanci della con­ces­sio­na­ria sco­priamo che nel 2011 il ‘Tgm’ è stato di 18.298 vei­coli al giorno, che nel 2012 è calato in modo note­vole a 16.974, e che è ancora calato nel 2013 a 16.816”.

Di qui la richie­sta di fondi pub­blici da parte della con­ces­sio­na­ria. Una Sat che invece si era impe­gnata a rea­liz­zare la grande opera con soli fondi pri­vati (due miliardi di euro), a patto di poter espro­priare alla col­let­ti­vità l’attuale variante Aure­lia a quat­tro cor­sie da Cecina a Gros­seto sud, e poter incas­sare i pedaggi fino al 2043, ipo­tiz­zando un traf­fico in costante aumento (fino a 28.300 vei­coli gior­na­lieri nel 2036). Stime mise­ra­mente nau­fra­gate, di fronte alle quali gli ambien­ta­li­sti hanno buon gioco a osser­vare: “L’odierna richie­sta di fondi pub­blici, e imma­gi­niamo quelle future se l’opera venisse rea­liz­zata inte­gral­mente, e quindi l’ammissione che i conti non tor­nano, deve indurre a un serio ripen­sa­mento sull’utilità dell’opera. Viste anche le scar­sis­sime risorse dispo­ni­bili, e i dram­ma­tici pro­blemi della finanza pubblica”.

Le cri­ti­che delle asso­cia­zioni sono con­fer­mate anche dalla len­tezza con cui pro­ce­dono i lavori. In tre anni Sat ha speso 55 milioni sul lotto di soli quat­tro chi­lo­me­tri fra Rosi­gnano e San Pie­tro in Palazzi, il solo già in eser­ci­zio, e ha impe­gnato 155 milioni per il tratto, in can­tiere, da Civi­ta­vec­chia a Tar­qui­nia. “Non può che pre­oc­cu­pare il fatto che, pur in assenza di un nuovo piano eco­no­mico e finan­zia­rio e con tratte ancora da appro­vare, già si richieda un robu­sto con­tri­buto pub­blico. E’ come una pre­messa a quello che acca­drà costan­te­mente negli anni a venire, se l’opera venisse realizzata”.

Le con­clu­sioni degli ambien­ta­li­sti sono nette: “Appare senza senso la deci­sione del governo di stan­ziare un così rile­vante numero di risorse pub­bli­che per un’opera che doveva essere finan­ziata da pri­vati. Occorre rive­dere il pro­getto con un con­fronto ade­guato, pub­blico e tra­spa­rente”. Una posi­zione cui si alli­nea il demo­crat Ermete Rea­lacci: “Ho sem­pre pen­sato che la solu­zione migliore sia quella dell’adeguamento dell’Aurelia. Con la crisi, è chiaro che il pro­getto auto­stra­dale di Sat risulta anti­e­co­no­mico e non giu­sti­fi­ca­bile rispetto agli attuali flussi di traffico”.

«Un buon piano, dunque, ma che manca del pilastro fondamentale della nuova legge di governo del territorio, tuttora in gestazione. Piano paesaggistico e legge sono reciprocamente complementari e necessari: senza la legge il Piano è disarmato, se non per la parte vincolistica».

Dopo due anni di gestazione e di lavoro congiunto tra il Centro interateneo di studi territoriali (Università) e il Settore tutela, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio (Regione), la Toscana ha adottato il nuovo Pit con valenza di Piano paesaggistico. Anche se la delibera parla di "integrazione"del piano precedente approvato nel 2007, si tratta di un progetto del tutto diverso, sia nella filosofia, sia nell'architettura, sia nei contenuti. Chi fosse interessato può leggerne i documenti nell'apposito sito della Regione; qui è sufficiente sottolineare che nel piano acquista centralità lo Statuto del territorio che detta le regole di tutela e riproduzione delle "invarianti strutturali", declinate come "i caratteri idro-geo-morfologici dei bacini idrografici e dei sistemi morfogenetici"; "i caratteri ecosistemici dei paesaggi"; "il carattere policentrico dei sistemi insediativi, urbani e infrastrutturali"; "i caratteri morfotipologici dei sistemi agro-ambientali dei paesaggi rurali".

Lo Statuto è distinto dalla Strategia del piano (nello strumento precedente le due cose si mescolavano in modo confuso). Poiché stabilisce le regole che assicurano la tutela e la riproduzione del patrimonio territoriale e non obiettivi contingenti, lo Statuto non ha scadenze temporali implicite e assume il valore di una Carta costituzionale cui devono conformarsi gli strumenti urbanistici e i piani di settore. Quattro abachi di "morfotipi"- uno per invariante - definiscono per ciascun morfotipo, valori, criticità, obiettivi di qualità. Completano il Piano, le "schede d'ambito" e una cartografia originale che ha avuto un prestigioso riconoscimento internazionale. Né può essere sottovalutato l'enorme lavoro svolto dai funzionari regionali per la "vestizione" dei vincoli paesaggistici, senza il quale il Mibact non avrebbe dato via libera al Piano.

Un buon piano, dunque, ma che manca del pilastro fondamentale della nuova legge di governo del territorio, tuttora in gestazione. Piano paesaggistico e legge sono reciprocamente complementari e necessari: senza la legge il Piano è disarmato, se non per la parte vincolistica. Ma anche con la legge approvata, il Piano per forza di cose agirebbe soltanto nella sfera regolativa; gli aspetti propositivi richiedono, infatti, una strumentazione che il Piano non dispone. Per fare un esempio, tutti gli obiettivi di qualità che interessano il mondo agricolo sono tradotti in direttive di tipo promozionale. Non dicono alle imprese agricole "devi mantenere" (terrazzamenti, diversificazione colturale, maglia agraria, ecc.), ma propongono in questo senso politiche di incentivazione che, tuttavia sono messe in opera (o potrebbero) solo dal nuovo Programma di sviluppo rurale. Piano Paesaggistico e Programma di sviluppo rurale, due strumenti che dovrebbero giocare in stretto accordo e che finora sono stati autonomi se non addirittura orientati in senso opposto. Lo stesso vale per i cosiddetti "progetti di paesaggio", contemplati dal Codice, ma privi di mezzi finanziari specifici. In una parola, l'assessorato all'Urbanistica, guidato con coraggio e competenza da Anna Marson, appare isolato se non addirittura osteggiato dagli altri centri di potere assessorili.

Vi è, tuttavia, una questione ancora più fondamentale che è stata messa in luce dalla "battaglia sulle Apuane" di cui è stato già scritto su eddyburg e ancor più dalla paradigmatica vicenda dell'aeroporto fiorentino. Su quest'ultimo punto il Piano paesaggistico è completamente afasico, né poteva essere altrimenti dato che la questione, come tutte le grandi opere infrastrutturali (sottoattraversamento di Firenze da parte della Tav, autostrada tirrenica, variante di valico. ecc.), è sottratta alla pianificazione normale, sia dalla Legge Obiettivo, sia da una precisa volontà politica che in proposito assegna al Piano paesaggistico tutt'al più compiti di mitigazione e compensazione. Subito dopo l'adozione del Piano il consiglio regionale ha, infatti, approvato una variante al Pit che prevede una nuova pista aeroportuale parallela all'autostrada, una "lancia" di 2000 metri (che probabilmente diventeranno 2400, più gli spazi di manovra), conficcata nel costituendo Parco della Piana, distruggendo o compromettendo spazi agricoli, zone umide ed ecosistemi. Il Piano paesaggistico - dopo il gioco al ribasso sulle attività di escavazione nelle Apuane - è stato adottato con i voti della maggioranza e l'astensione di Forza Italia e la Variante aeroportuale del Pit approvata con i voti decisivi dell'opposizione. Regione Toscana bifronte: innovativa nel piano paesaggistico, purché non tocchi gli interessi consolidatisi in scelte sbagliate e in buona parte obsolete, ma che implicano tanto flusso di denaro per alimentare banche, imprese e nomenclatura di potere; e poco male se pochissima vera occupazione. Una strategia ancora basata sulle infrastrutture pesanti, ideologizzate come strumenti di modernizzazione e non sulla cura capillare e amorevole del territorio. Regione Toscana che non ha la forza politica di proporsi come modello alternativo di uno sviluppo durevole e sostenibile; che da un lato adotta un Piano paesaggistico coraggioso (ammesso che non sia stravolto dalle osservazioni dei numerosi cecchini interni ed esterni) e allo stesso tempo lo vanifica in alcune essenziali decisioni strategiche. Con il premierato Renzi-Berlusconi e l'aria che tira nel paese c'è da temere che prevarrà la seconda strada.

Riferimenti
Sulla "battaglia per le Alpi Apuane" si veda su eddyburg: Franca Leverotti Le Alpi Apuane: vent'anni di errori e cattiva politica, Contraddizioni toscane. Il Parco Regionale delle Alpi Apuane e il Piano Paesaggistico: un passo avanti verso la civiltà?; Paolo Baldeschi Alpi apuane - nuova maggioranza
nella Regione Toscana; Tomaso Montanari Apuane. Le ruspe cancellano i monti, Marco Rovelli
Apuane, centomila firme per salvare un bene comune. Altro ancora utilizzando il comando cerca

Il manifesto, 2 luglio 2014

Tra gli anni Set­tanta e Ottanta, Massa Car­rara è stata il tea­tro della lotta con­tro il polo chi­mico e la Far­mo­plant che diventò parte dell’«educazione sen­ti­men­tale» alla poli­tica di una gene­ra­zione apuana, pas­sato il decen­nio furioso dei movi­menti. Oggi, di nuovo, quella terra si fa por­ta­trice di istanze radi­cali in una lotta che non è solo locale, ma deci­sa­mente nazio­nale: quella con­tro l’escavazione di marmo sulle Alpi Apuane. Mon­ta­gne mar­to­riate – come «denti cariati» per citare T. S. Eliot – da una pro­du­zione espo­nen­zial­mente cre­sciuta negli ultimi trent’anni gra­zie alle nuove tec­no­lo­gie, che si man­giano un costone di mon­ta­gna in pochis­simo tempo. Richie­dendo un decimo di mano­do­pera, que­ste tec­no­lo­gie hanno dram­ma­ti­ca­mente decli­nare l’occupazione nel set­tore estrat­tivo. E per cosa, poi? Non per le sta­tue di Miche­lan­gelo, come vor­rebbe la vile reto­rica dei padroni del marmo, ma per la pro­du­zione di car­bo­nato di cal­cio per pro­du­zioni indu­striali: il den­ti­fri­cio, uno per tutti, sim­bolo dello scempio.

L’assessore regio­nale toscano all’urbanistica, pia­ni­fi­ca­zione ter­ri­to­riale e al pae­sag­gio Anna Mar­son ha ten­tato di met­tere mano al far west delle cave con alcune norme con­te­nute nel Piano pae­sag­gi­stico regio­nale con le quali ha posto final­mente la que­stione di una rego­la­men­ta­zione e ha imma­gi­nato un futuro pos­si­bile di ricon­ver­sione pro­dut­tiva. Que­sto piano, gra­zie alle lar­ghe intese di fatto tra Pd e Forza Ita­lia (ma il gover­na­tore Enrico Rossi non aveva detto che il suo era un governo di sini­stra?), verrà appro­vato monco delle sue parti più impor­tanti e innovative.

Se prima il testo imma­gi­nava – sia pure in maniera vaga, ma quan­to­meno indi­cava una dire­zione — una ricon­ver­sione dalle atti­vità estrat­tive ad atti­vità rispet­tose dell’ambiente, adesso que­sta parte è stata cas­sata. Non solo: si con­cede di ria­prire cave chiuse anche da vent’anni, ormai rina­tu­ra­liz­zate, e ver­ranno con­sen­titi amplia­menti del fronte di cava anche senza chie­dere varianti. I padroni hanno vinto. Dicia­molo: que­sta è lotta di classe, sia pure ricon­fi­gu­rata su uno sce­na­rio ine­dito all’epoca dell’Internazionale, quello della sal­va­guar­dia ambien­tale, e sulla con­trap­po­si­zione tra nuovi «padroni» e «comune». E tut­ta­via, pur avendo vinto, a loro non basta ancora. Gli «spi­riti sel­vaggi del capi­ta­li­smo» non accet­tano il ben­chè minimo vin­colo. Le loro richie­ste – estre­mi­sti­che, come la loro cam­pa­gna di stampa – erano di poter aprire cave nuove! Per­ciò hanno deciso di fare guerra alla legge regio­nale, poi­ché essa vieta final­mente di aprire cave in cre­sta, dove sulle Apuane ci sono cre­ste abbas­sate di cin­quanta metri dalle escavazioni.
La legge impone inol­tre una valu­ta­zione di impatto pae­sag­gi­stico che i padroni non vogliono, per­ché si con­si­de­rano parte del pae­sag­gio, si con­si­de­rano «natura». Entro il 2020 si pre­vede il 50% della lavo­ra­zione dell’escavato in loco. Senza le cave, hanno scritto i signori padroni, le Apuane «sareb­bero mon­ta­gne come le altre». Una vera bana­lità, impos­si­bile da met­tere a valore. E allora, signori, can­cel­liamo il Parco, que­sta ultima, infima, inu­tile ipocrisia. L’alternativa è ripri­sti­nare il testo ori­gi­nale, attual­mente in discus­sione in con­si­glio regio­nale, come chie­dono gli ambien­ta­li­sti apuani che ieri sono andati a Firenze e hanno con­se­gnato a Enrico Rossi le cen­to­mila firme di una peti­zione online su Avaaz che chiede la chiu­sura pro­gres­siva delle cave.
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