.«Rischia lo stravolgimento il provvedimento dell’assessore Anna Marson che tutela le Alpi Apuane minacciate dalle cave e le coste La sottosegretaria Borletti: “Il Mibact potrebbe non approvarlo”». La Repubblica, 13 marzo 2015
E il paesaggio? Nel gran rumore di soprintendenti che cambiano sede e nell’attesa che arrivino i super direttori di venti musei, in molti s’interrogano: e il paesaggio? La riforma del ministero per i Beni culturali avvia i motori, ma il paesaggio non sembra al centro degli interessi. In Toscana — un paesaggio italiano esemplare — in questi giorni si scaricano pericolose tensioni. Qui è in approvazione il piano paesaggistico messo a punto nell’assessorato di Anna Marson, urbanista, docente a Venezia.
Ma il testo originale più procede verso il varo più viene stravolto da emendamenti provenienti dal partito di maggioranza, il Pd (e in particolare dalla componente renziana) che in commissione vota di concerto con Forza Italia. Il presidente Enrico Rossi ha tentato una mediazione, che non ha sortito grandi effetti. La battaglia politica è serrata. Condizionata anche dalla campagna per le elezioni regionali di maggio. Ogni votazione riserva sorprese. Volano le accuse di «voler ingessare il territorio » e di «bloccare lo sviluppo». Sono state modificate persino le cosiddette “schede d’ambito”, le descrizioni, cioè, delle caratteristiche salienti di alcuni territori, e si è messo in evidenza, per esempio, il “valore identitario delle cave di marmo”. Ma una disciplina rigorosa per le attività di cava, tale da non manipolare il paesaggio delle Alpi Apuane, è proprio uno dei punti cardine del piano. Contro la quale disciplina si sono mobilitati coloro che invece vorrebbero estrarre quanto più possibile, squarciando montagne anche in aree protette.
I punti controversi sono tanti. In pericolo le dune e altre zone costiere, denunciano gli ambientalisti. Dove si parla di “evitare” certi interventi, si preferisce “limitare”. E poi: quanto il piano deve essere prescrittivo, quanto cioè esso deve dettare regole e non solo indicazioni di massima? Senza contare la salvaguardia di una caratteristica tipica del paesaggio rurale toscano, in specie dei vigneti, fatto di tante tessere diverse e sempre più minacciato da grandi estensioni uniformi.
Il Codice per i beni culturali (approvato fra 2004 e 2008) stabilisce che i piani paesaggistici siano redatti insieme dalle Regioni e dal Mibact, cioè dalle soprintendenze. I piani sono uno strumento fondamentale per conoscere un territorio, per evidenziarne i valori, ma soprattutto per stabilire che cosa si può fare e che cosa no. Ad essi devono adattarsi tutti gli altri documenti urbanistici, compresi i piani comunali. La riforma del Mibact, però, mette a soqquadro le soprintendenze, che ora tengono insieme arte, architettura e, appun- to, paesaggio, e declassa le direzioni regionali, che prima erano protagoniste della copianificazione.
Il futuro appare incerto. Ma il presente non è migliore. Di piani paesaggistici approvati ce n’è uno solo, quello della Puglia, faticosamente redatto sotto la guida di Angela Barbanente, assessore e docente a Bari, e dell’urbanista Alberto Magnaghi. Sono stati individuati come beni paesaggistici meritevoli di tutela masserie, pascoli, lame, gravine. E ci si è dati regole per la rimettere in sesto le aree degradate.
«Siamo maledettamente indietro», ammette Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario del Mibact con delega al paesaggio. «Abbiamo uno strumento unico, ma è poco amato». Poco amato proprio mentre altri rischi incombono per le procedure accelerate e commissariate previste per le Grandi Opere dallo Sblocca Italia. Ma neanche il ministero ha sciolto i suoi nodi. Il Codice stabilisce che esso debba fissare «le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio». Ma queste linee non sono mai state elaborate.
Nel fuoco delle polemiche di questi giorni Marson insiste sui punti-chiave del suo piano, sul bisogno di «superare il concetto della sola tutela» e di passare a «codificare nuove regole ». Altro punto qualificante: il piano non deve occuparsi solo dei paesaggi eccellenti, di cui la Toscana può menar vanto, «ma anche dei paesaggi delle periferie, delle campagne urbanizzate, delle lottizzazioni, delle zone industriali degradate, dei bacini fluviali a rischio».
La Toscana è il suo paesaggio, insiste Marson. E un paesaggio non è solo attrattività turistica, «ma un valore aggiunto per diverse iniziative economiche». Alcuni esempi: le zone rurali ricche di casali di altissima fattura; diversi sistemi di città e di borghi che attirano imprenditoriali innovativi; e poi la rete di cantine, «un esempio di ritorno alla magnificenza civile degli insediamenti industriali del primo Novecento».
Cosa succederà? Il voto è previsto la prossima settimana. Cosa farà Anna Marson? «Dirò in aula quel che penso, e se vogliono, mi cacceranno ». «Valuteremo il piano che uscirà dal Consiglio regionale, sperando che non venga stravolto», interviene Ilaria Borletti, «il ministero lo approverà solo se sarà conforme al Codice ».
Il professore è furibondo. E preoccupato per il futuro della sua terra.
«Se sarà approvato questo Piano del paesaggio, stravolto dalla raffica di emendamenti deleteri, tra qualche decennio il panorama toscano sarà sfigurato e banalizzato — denuncia — e la deregulation liberista, che è il pensiero dominante del partito della pietra e del mattone, trionferà sovrana».
Francesco Pardi, toscano di Pisa, detto Pancho, già docente di Analisi del Territorio alla facoltà di architettura dell’Università di Firenze e senatore dell’Idv, è convinto che sia iniziata una deriva pericolosa e che la Toscana sia uno degli ultimi baluardi di quella filosofia «del Bello e del Razionale» che ne ha fatto un esempio.
«Con amarezza, voglio avvertire che si sta distruggendo una delle cose più sensate fatte in Italia: il piano paesaggistico firmato dall’assessore Anna Marson. In commissione il Pd ha iniziato a votare una raffica di emenda-menti di Forza Italia. Gli stessi che i dem avevano presentato ma che, dopo essere stati frenati dal presidente Enrico Rossi, con grande ipocrisia hanno accantonato avallando però quelli dell’opposizione».
Il risultato, dice Pardi, rischia di provocare un effetto Attila.
«Si cede sull’estrazione del marmo delle Apuane, si arretra sul divieto di gettare cemento lungo la fascia costiera, si soccombe sulla gestione delle discariche, si indietreggia su identità geomorfologiche di assoluto valore mondiale come le Balze del Valdarno, depositi lacustri di straordinaria bellezza. E al grido “rottamiamo tutto” si rischia un effetto Liguria dove negli anni si è fatto scempio del territorio. Purtroppo il Pd è in prima fila a guidare questo processo suicida di abbatti-mento delle regole. Mi appello a Rossi perché intervenga ».
ccuse irrazionali?
«Perché, è ragionevole distruggere uno dei gruppi montagnosi più significativi d’Italia, quello delle Alpi Apuane, per estrarre carbonato di calcio per fare dentifrici e sbiancanti per la carta? Se aveste bisogno di un dentifricio andreste a scalpellare il Davide di Michelangelo? Per non parlare dei danni per le spiagge di Elba e Versilia, al litorale apuano, ai crinali, ai parchi»
chi lo accusa di appartenere alla categoria di blocca-sviluppo incapaci di trovare alternative alla disoccupazione, Pardi replica con i centinaia di milioni spesi per i danni provocati dal dissesto idro-geologico.
«Se quei soldi fossero stati investiti per mantenere gli argini di fiumi, torrenti e fossi, per evitare frane, smottamenti e alluvioni, lo Stato avrebbe risparmiato denaro e dato lavoro a tanti giovani».
Il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2015
Il Nazareno del cemento. Ora tocca alla Toscana affrontare l’assalto che Pd e Forza Italia stanno cercando di portare al paesaggio: dalla Lunigiana alla Garfagnana, da Lucca al Valdarno passando per la costa, le dune. Fino alle Apuane con le cave dove Michelangelo andava a cercare il marmo per i suoi capolavori.
Il braccio di ferro va avanti da settimane, sempre più duro mano a mano che ci si avvicina alle elezioni regionali. Al centro il Piano Paesaggistico della Regione Toscana voluto da Anna Marson, assessore all’Urbanistica. Un modello di tutela ambientale.
A un passo dall’approvazione ecco spuntare un mare di emendamenti. Da destra e, inaspettatamente, dal centrosinistra che sostiene Marson. Sono praticamente la fotocopia gli uni degli altri: si prevede che le “direttive” indicate nel piano siano trasformate in semplici “indirizzi”. Termini tecnici, in pratica così si lascerebbe ai comuni mano libera per fare i fatti propri. Ancora: le criticità indicate dal Piano sarebbero da considerare semplici valutazioni. Non tassative.
Insomma, il Piano diventerebbe un colabrodo. Cominciano polemiche, lotte di corridoio, perché qui ballano interessi di centinaia di milioni. Il governatore Enrico Rossi (nella foto), che non si sa esattamente cosa pensi in proposito, ha tentato una mediazione: “Lodo Rossi”, lo ha chiamato qualcuno. Dopo pochi giorni tutto da capo. Ricompaiono gli emendamenti che passeranno in commissione in queste ore. E che rischiano di mettere in pericolo paesaggi tra i più belli e delicati della Toscana. Quindi d’Italia.
Il meccanismo è affinato con il cesello, ma un occhio esperto lo “sgama”. Proprio com’è avvenuto quando i tecnici della Regione Toscana hanno letto i nuovi emendamenti. Dove era scritto che bisogna “evitare” ecco invece “contenere”. Lo stesso discorso vale per le piattaforme turistico-ricettive, gli enormi complessi in riva al mare che potreste trovare a Dubai. Insidiate anche le splendide corti lucchesi costruite nel tardo Medioevo.
Il Piano Marson mirava a evitare che fossero inglobate nella periferia che si espande. Ma gli emendamenti del Nazareno non ci stanno. In Valdarno l’obiettivo sono le balze e i calanchi. Poi le cave delle Apuane. Che devono avere molti sponsor. Gli emendamenti prevedono la loro riapertura praticamente senza limiti. Il testo degli emendamenti merita di essere letto, tocca punte di vera poesia mentre vuole dare il via libera alle ruspe: “Sono anche i macchinari che tagliano la pietra e che spuntano tra il verde delle montagne a ricordare al tempo stesso la potenza della natura e la capacità dell’uomo di inserirvisi”. Roba che nemmeno Carducci!
Fino al capolavoro finale: l’assalto alla via Francigena – l’antica via dei pellegrini – che attraversa tutta la campagna Toscana più intatta. “Il piano – raccontano negli uffici regionali – prevedeva il divieto di nuove lottizzazioni che alterassero la “lettura”, cioè “la visione dei centri storici lungo i crinali”. Divieto cancellato, almeno nelle intenzioni. Ma ora si annuncia battaglia durissima. E Rossi dovrà dire da che parte sta.
La Repubblica, ed. Palermo ed ed. Firenze, 11 marzo 2015
A scatenare le polemiche lo snellimento delle procedure che la nuova legge prevedeva, sostituendo ai piani particolareggiati le “tipologie edilizie”, una classificazione degli immobili fatta sempre dai Consigli comunali ma senza il successivo passaggio al Consiglio regionale urbanistica insediato all’assessorato Territorio. Sarebbe stata la Soprintendenza l’unico organo a esprimersi. «Riducendo enormemente le tutele», denunciavano gli esperti. L’Anci, la settimana scorsa, attraverso alcuni deputati del Pd, dal capogruppo Baldo Gucciardi a Giuseppe Lupo, aveva presentato alcuni emendamenti che escludevano dal raggio di esecutività della legge i Comuni che avevano già approvato piani particolareggiati, ma che in Sicilia sono appena una decina, da Palermo a Siracusa e Ragusa. «Qui a Catania — dice il sindaco Enzo Bianco — la legge avrebbe avuto piena efficacia nonostante il Comune stia da tempo lavorando a una variante generale per il centro storico».
Dopo il rinvio — votato su proposta del capogruppo di Sicilia democratica, Salvatore Lentini — Bianco tira un sospiro di sollievo, maprecisa:«La ratio dellaleggeègiusta,però va salvaguardato il ruolo decisionale dei Comuni ». Critico nei confronti del disegno di legge è anche Ermete Realacci, presidente pd della commissione Ambiente alla Camera: «Fermarsi è stato saggio, la ricetta per salvare i centri storici è quella di dotarli di piani seguendo le procedure già indicate dal dipartimento regionale dell’Urbanistica dal 2000 e prevedere agevolazioni economiche e fiscali per chi realizza interventi di recupero». «Giusto lo stop — gli fa eco il leader dei Verdi, Angelo Bonelli — la sburocratizzazione non può diventare un alibi per autorizzare uno scempio ».
In aula il presidente della commissione Territorio e Ambiente, Giampiero Trizzino, del Movimento 5Stelle, aveva difeso il lavoro preparatorio: «Personalmente avrei preferito trattare la legge insieme con la riforma del governo del territorio, ma questo non significa che l’istruttoria non sia stata fatta con attenzione: in un anno abbiamo sentito tutti, dagli Ordini professionali alle Soprintendenze».
Dopo il rinvio, Trizzino annuncia l’impegno a riportare il testo in aula entro due o tre settimane: «Predisporrò subito un calendario di incontri con le associazioni e i docenti universitari che ci hanno chiesto di fermarci». Ma resta la rabbia dei deputati proponenti. A cominciare da Antony Barbagallo, sindaco di Pedara, piccolo comune nel Catanese, che definisce il rinvio «una volgare imboscata». Sul testo il Pd si è spaccato. Gli emendamenti Anci portavano la firma di Lupo e Gucciardi, della stessa corrente di Barbagallo, mentre in aula si è schierato per il rinvio Antonello Cracolici: «Non credo che questo testo sguinzagli gli Unni — ha detto in aula — ma le polemiche che si sono scatenate rischiano di danneggiare la legge stessa e il Parlamento. Su una materia come questa serve una larga condivisione».
Se il primo firmatario del ddl, l’ex sindaco di Ragusa Nello Dipasquale, aveva chiesto all’aula di bocciare la proposta «piuttosto che mortificare il lavoro della commissione», nel suo accalorato intervento l’ex sindaco di Trapani Girolamo Fazio, relatore del testo, è sbottato: «I siciliani sono costretti a fare abusi da norme troppo rigide. Ma ogni tentativo di cambiare le cose è impossibile».
Favorevole al rinvio, invece, Lino Leanza di Sicilia democratica: «Uno stop di qualche giorno per ascoltare la società civile non può rappresentare un problema». Contro il disegno di legge trentacinque associazioni avevano firmato un appello. Tra queste, Italia Nostra: «Alla fine è prevalso il buonsenso», dice il presidente regionale Leandro Janni.
di Massimo Vanni
Piano del paesaggio, i consiglieri dem rimettono le mani sul testo in vigore. E se l’assessore all’urbanistica Anna Marson giudica inaccettabili le modifiche apportate, di nuovo il fronte ambientalista se la prende con il ‘partito del cemento’ che ritorna alla ribalta. Lo storico dell’arte Tomaso Montanari parla di «lenta morte del Piano». Solo che stavolta non ci sarà Enrico Rossi a fare da mediatore: «Il 99% di coloro che parlano del Piano del paesaggio non ne hanno letto una riga», taglia corto il governatore. Facendo intendere di non voler intervenire questa volta sul lavoro dei consiglieri regionali.
In compenso, il Consiglio dice sì al preludio del Piano, la legge sulle cave. Grazie a cui, dice Rossi, «poniamo le basi per un cambiamento reale delle Apuane». Una legge con alcuni obiettivi precisi, spiega il governatore: «Non scavare sopra 1200 metri, tutelare i crinali e il piano del paesaggio sono aspetti importanti ma Piano anche che la molla economica sia fondamentale per avere sulla realtà locale una ricaduta più positiva». Sul Piano però ancora si litiga.
«Nessuno può impedirci di dire la nostra, il Piano non è più una proposta della giunta», rivendica per il Pd Ardelio Pellegrinotti, protagonista della prima riscrittura poi mediata da Rossi e anche della seconda, arrivata adesso. Ma cambiare ora il testo non significa cambiare il ‘lodo Rossi’? «No, quello riguardava gli articoli 19 e 20 del Piano, quelli delle Apuane. Ora si è intervenuti in modo minimale altrove, sulle 20 schede d’ambito in cui è stata suddivisa la Toscana», dice Pellegrinotti. Che ieri è tornato ad incontrarsi con Rossi.
Secondo Montanari, sono state «stravolte le parti del piano che parlano ai Comuni e ai loro strumenti di pianificazione attraverso descrizioni, comprensive di valori e criticità, indirizzi, obiettivi di qualità e direttive: la parte che Enrico Rossi aveva provato a salvare dal maxi-emendamento iniziale del Pd. Tutto questo è avvenuto col sistematico voto Forza Italia– Pd: un ‘patto del Nazareno’ contro il paesaggio toscano». E Legambiente Arcipelago: «Con la scusa di non ingessare la Toscana si trasforma un Piano all’avanguardia nella solita marmellata di norme incoerenti per consentire di costruire ovunque ». Rossano Pazzagli della Società dei Territorialisti accusa invece il Pd di «tornare all’attacco dei litorali riaprendo alla cementificazione con la scusa del turismo». Mentre a nome di Sel Marco Sabatini ironizza sulla «nascita in Toscana del partito unico del cemento».
Niente di tutto ciò, ribatte Pellegrinotti: «Con Forza Italia non c’è accordo di nessun tipo, abbiamo accettato alcune loro proposte ma il grosso dei loro emendamenti l’abbiamo respinto ». Quanto alla cancellazione di parole come «evitare» o «limitare» e la loro sostituzione con «contenere» e «armonizzare », che per Montanari consegnerà un Piano fatto dei soli vincoli del ministero dei beni culturali, Pellegrinotti è netto: «Non sarà certo il ministero a dettarci cosa si può fare e cosa invece no in Toscana». (m. v.) © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’assessore Marson giudica inaccettabili i ritocchi apportati Ok alla legge sulle cave
La Repubblica online, blog "articolo ", 9 marzo 2015
Queste ore convulse vedono la lenta, ma apparentemente inesorabile, morte del Piano Paesaggistico della Toscana.
Oggi i voti della commissione consiliare hanno stravolto le schede d'ambito del Piano: le parti del piano che 'parlano' ai Comuni e ai loro strumenti di pianificazione attraverso descrizioni, comprensive di valori e criticità, indirizzi, obiettivi di qualità e direttive: la parte che Enrico Rossi aveva provato a salvare dal maxiemendamento iniziale del Pd. Tutto questo è avvenuto col sistematico voto Forza Italia - Pd: un Patto del Nazareno contro il paesaggio toscano.
L'esito complessivo degli emendamenti presentati sarà chiaro solo nei prossimi giorni (la commissione è stata riconvocata giovedì e venerdì, dunque il piano non andrà in aula dopodomani), ma alcuni punto sono già tragicamente chiari.
Le tre schede che riguardano le Alpi Apuane sono state stravolte fin dalla descrizione sintetica iniziale del profilo di ciascun ambito, reso omogeneo (Lunigiana eguale alla Versilia, e alla Garfagnana) con la ripetizione di un testo 'precotto' che sostituisce interamente i testi originali, esaltando l'attività di cava come unico tratto significativo del paesaggio di questi territori (da Zeri, a Pontremoli, da Forte dei Marmi a Viareggio, e così via). Ecco un esempio inquietante dei nuovi testi-tipo: «L'ambito apuano...è interessato da alcuni siti estrattivi... In tali siti, le attività di coltivazione sono svolte in base ad autorizzazioni che compendiano, da oltre 30 anni, valutazioni di compatibilità ambientale e paesaggistica, emesse dagli enti competenti...Prendere coscienza del valore identitario delle cave di marmo è un'operazione necessaria, volta a riconoscere l'importanza storica e artistica di questi luoghi dai quali i grandi artisti hanno tratto materia prima per le loro opere. D'altro canto il marmo è uno dei biglietti da visita della Toscana nel mondo».
E le modifiche non si sono limitate alle descrizioni, ma hanno interessato la descrizione delle criticità, nonché gli indirizzi, gli obiettivi e le direttive.
Sempre il PD ha fatto cancellare una serie di direttive finalizzate a salvaguardare ciò che resta della piana di Lucca, con particolare riferimento al sistema delle Corti lucchesi e alle relazioni tra queste, il centro storico e i beni architettonici presenti nel territorio.
Conseguentemente via libera a nuovi consumi di territorio agricolo: (dove il Piano si proponeva invece di evitarlo o limitarlo); via libera alle nuove espansioni che compromettono la leggibilità dei centri di crinale, via libera alle nuove espansioni lungo l'Arno, addirittura via libera alle discariche ed infrastrutturazioni edilizie nelle balze e nei calanchi del Valdarno.
E ovunque il Piano prevedesse di "evitare" o "limitare" i fenomeni di espansione dei centri, di frammentazione del territorio rurale, di saldatura delle urbanizzazioni, il testo è stato castrato sostituendo quei verbi con versioni inerti come "contenere" o "armonizzare".
Così i nuovi processi di artificializzazione della costa, delle dune, delle aree umide non vanno più evitate ma solo "contenute".
E via libera anche a nuove "piattaforme turistico-ricettive" sulla costa tra San Vincenzo e Follonica, nonché all'Elba: dove questi insediamenti erano invece segnalati come un modello da non ripetere.
Così sfigurata, la parte del Piano che si proponeva – senza prescrizioni ma soltanto con un quadro conoscitivo estremamente approfondito – con indirizzi e direttive, di 'qualificare' maggiormente la pianificazione locale perde gran parte della sua legittimità tecnico-scientifica, oltre alla sua efficacia normativa.
Paradossalmente il Piano che uscirà da questi emendamenti sarà un piano basato più sui vincoli del Ministero per i Beni culturali che sulla capacità della Toscana di darsi strumenti per un buon governo del territorio e del paesaggio.
È la vittoria della linea Renzi-Lupi-Pd toscano sul Piano Marson-Rossi? Sembra proprio di sì.
L'unico a poter ribaltare la situazione – in extremis, e ormai direttamente in Consiglio – sarebbe proprio Enrico Rossi.
Ma vorrà e potrà farlo?
Caro Presidente Enrico Rossi,
le scrivo perché, per quello che conosco di lei, sia direttamente, sia per sue dichiarazioni politiche, mi sembra impossibile che lei possa avallare la disciplina del Pit-Piano paesaggistico relativa alle Alpi Apuane così come emerge dagli ultimi emendamenti licenziati dalla sesta commissione. Non voglio qui dilungarmi sui molti aspetti negativi. Voglio solo richiamare la sua attenzione su uno che mi sembra peggiore di tutti e, addirittura, paradossale. Si tratta della facoltà concessa, nelle cave attive o riattivabili, di continuare l'escavazione con il 'limite' del 30% di quanto estratto storicamente, a partire, cioè, dalla prima autorizzazione: un vero e proprio regalo alle ditte di escavazione che vanifica il ruolo regolativo dei piani attuativi d'ambito. In sintesi il Piano paesaggistico che ha come compito istituzionale la tutela del territorio consentirebbe di scavare dalla montagna il 30% di quanto estratto nel passato senza alcuna valutazione preventiva, in modo automatico, come un diritto acquisito. Coloro che mirano a soddisfare le imprese di escavazione oltre ogni loro speranza se ne assumano la responsabilità politica, ma non si nascondano nel Piano paesaggistico. Mi auguro vivamente che lei non sia fra questi.
Paolo Baldeschi
Rifondazione comunista al compromesso che Enrico Rossi sta tentando trovare tra il PD toscano, fervido alleato dei proprietari delle miniere passate, presenti e potenziali delle Alpi apuane e i difensori della tutela dei beni comuni e delle prospettive d'un futuro migliore per tutti. Comunicato stampa del 3 marzo 2015
Firenze, 3 marzo. Gli emendamenti presentati da Pd e FI, e a quanto ci pare di capire ripresi sostanzialmente nel cosiddetto Lodo Rossi, stravolgono il piano del paesaggio toscano, lo svuotano nei punti qualificanti e aprono di fatto a una liberalizzazione delle attività estrattive sulle Alpi Apuane.
Oggi più che in millenni di storia si aprono prospettive funeste per tutte le Apuane e il paesaggio toscano. Il nostro impegno principale sarà dunque quello provare ad di azzerare gli emendamenti e con lo stesso spirito parteciperemo convintamente al presidio organizzato sabato prossimo a Firenze a difesa del piano paesaggistico e del paesaggio toscano.
Così Monica Sgherri – esponente di Rifondazione Comunista e capogruppo in Consiglio Regionale. Il divieto – prosegue Sgherri - di nuove estrazioni al di sopra dei 1200 metri di fatto non sarà altro che un mero paravento, una foglia di fico con cui farsi belli a livello nazionale senza però intaccare gli interessi locali che stanno dietro alle attività estrattive.
Infatti il combinato disposto che salva tutte le cave esistenti e quelle dismesse (cancellando il limite temporale -"da non oltre 20 anni"-) liberalizza di fatto l'attività estrattiva sopra i 1200 metri. E sia chiaro non è certo in nome della salvaguardia dei posti di lavoro perché le cave dismesse non occupano un lavoratore!
E' una rendita di posizione inventata e offerta su un piatto d'argento ai proprietari delle cave in nome del "profitto", e aggiungo del profitto “parassitario”. Una rendita di posizione che fa diventare oro una cava dismessa da decenni proprio perché è sopra i 1200 metri.
A questo inoltre si aggiungerà - per baypassare la norma che dal 2020 impone di vincolare il 50% del marmo estratto alla sua lavorazione in loco (unica norma che tutela la risorsa e il lavoro qualificato) -, la possibilità di aumentare del 30% l’attività estrattiva rispetto a quella autorizzata.
Gli emendamenti posti in essere allentano anche le prescrizioni per le cave situate nei parchi e le riserve nazionali e regionali, anche se riguardano vette e crinali. Per concludere, un ultimo appunto sulla filosofia degli emendamenti presentati.
Non contenti della differenza tra prescrizioni e direttive, tra obiettivi generali, di qualità o specifici, si vorrebbe ridurre a niente il valore conoscitivo delle schede di ambito al fine dei raggiungimento degli obiettivi e per questo un emendamento proporrebbe un piccolo comma aggiuntivo che recita “le criticità contenute nelle schede di ambito costituiscono valutazioni scientifiche non vincolanti a cui gli enti territoriali non sono tenuti a fare riferimento nell’elaborazione degli strumenti di pianificazione territorio e urbanistica”.
Questo comma è esemplificativo della filosofia a cui si ispirano gli emendamenti presentati, potremmo dire che si tratta di una farsa ma in effetti è più propriamente una tragedia, perché si mira a ridurre e vanificare il piano del paesaggio.
Gli emendamenti contro il Piano Paesaggistico della Toscana rappresentano un attacco gravissimo a danno di uno strumento di pianificazione urbanistica regionale che non ha precedenti negli ultimi 20 anni. Le associazioni di tutela ambientale - CAI, FAI, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, Mountain Wilderness, ProNatura, Rete dei Comitati per la Difesa del Territorio, Slow Food Toscana, WWF – riunite oggi a Firenze, tutte concordi difendono il testo originario del piano dai continui emendamenti che, per come concepiti, appaiono chiaramente suggeriti da alcune lobby e che mirano a distruggerlo. Le associazioni vigileranno con molto scrupolo l’iter in corso per evitare che ciò accada. Il Piano che, per la prima volta, prende in esame il territorio nel suo insieme di natura, storia, società civile, è frutto di una straordinaria concertazione e co-pianificazione con il MiBACT che ora la politica, con un atto di arroganza, intende calpestare annientando quattro anni di lavoro di quanti, a questo strumento, hanno sapientemente lavorato con capacità, professionalità e rigore.
Gli emendamenti presentati in consiglio regionale dalla stessa maggioranza che lo scorso anno approvò il Piano, puntano, dunque, a stravolgere e demolire quella rete di protezione disegnata con
intelligenza e responsabilità. Il contenimento al consumo di suolo, di coste, di spiagge, le limitazioni all’estrazione del marmo, alla distruzione dei monti, la regolamentazione dell’agricoltura, così come posti nel testo originario, esprimono una gestione intelligente del territorio il cui sviluppo è possibile e sostenibile solo andando oltre lo sfruttamento di risorse ambientali. Un disegno che può diventare motore di sviluppo e dare ulteriore valore alla Toscana, con una visione strategica che non risponde più solo ad interessi e aspettative di breve respiro. “Se il piano dovesse passare snaturato rispetto alla sua origine, chiederemo al MiBACT di non approvarlo” dichiarano le associazioni.
Un Piano Paesaggistico notevolmente diverso, anzi, addirittura ad una norma non cogente per le rispettive amministrazioni comunali e non condiviso con il Ministero dei Beni Culturali, con tutte le possibile conseguenze del caso. Impressiona l’emendamento che permetterebbe di non ritenere vincolanti le osservazioni tecnico-scientifiche da parte delle amministrazioni locali, in spregio al ruolo ed al valore delle competenze specialistiche ed al coinvolgimento dell’intellettualità.
Si perderebbe altresì ogni ruolo di indirizzo e controllo dell’Ente Regione, proprio quel ruolo alto della politica che si vorrebbe recuperare a fronte dei particolarismi territoriali e degli interessi spesso scarsamente preveggenti di gran parte degli imprenditori privati, soprattutto di quanti godono di rendite di varia natura.
Come CGIL Toscana abbiamo espresso in tutte le sedi di confronto - Tavolo regionale di concertazione ed Audizioni della Commissione regionale – il nostro parere positivo e favorevole al Piano proposto dall’Assessore Marson, punto avanzato di sintesi tra esigenze del lavoro, dell’ambiente e di un concetto alto di paesaggio e di beni culturali, frutto di un impegno di anni che ha coinvolto le migliori intelligenze e passioni sul tema.
Siamo di fronte al fondato rischio che gli interessi corporativi di potentati economici locali rompano tale equilibrio, non a favore del lavoro a fronte dell’ambiente sia chiaro: ai lavoratori ed alle lavoratrici da tali emendamenti nulla verrà, né dal punto di vista delle condizioni di lavoro e salario, né come cittadini che vivono e animano i luoghi soggetti alle minor tutele.
La norma che imporrebbe infatti che una quota significativa del marmo estratto venga lavorato in loco verrebbe infatti differita in un lontano ed imprevedibile futuro.
Non gli interessi generali, ma gli interessi particolari di proprietari di pubbliche concessioni come quelle delle cave e dei bagni.
Come CGIL Toscana riteniamo che l’attuale Piano Paesaggistico sia il punto più avanzato di sintesi tra lavoro ed ambiente e che gli emendamenti in questione ne stravolgano, ove accolti, il senso ed il valore. Il valore di uno sviluppo basato sul rispetto e la valorizzazione del nostro straordinario territorio, che sia lungimirante e non predatorio, che redistribuisca la ricchezza prodotta ai lavoratori ed alle lavoratrici, ai territori direttamente interessati, che non distrugga irreparabilmente l’ambiente ed i beni culturali.
Che indichi una via alta dello sviluppo, basata sul riconoscimento dei diritti dei lavoratori e del diritto a tutti i cittadini del godimento di beni comuni come ambiente e beni culturali.
Una via diversa da quella indicata dal Governo Nazionale con l’approvazione del Jobs Act e dei decreti attuativi, diversa ma possibile. Diversa, migliore ed auspicabile.
Maurizio Brotini, Segretario CGIL Toscana
Roberto Bardi, Dipartimanto Ambiente e territorio CGIL Toscana
L'Unità online, blog "Città e città", 20 febbraio 2015
Cosa vuol dire “cambia verso”, il fortunato slogan del premier Renzi? Pian piano cominciamo a capirlo.
Vuol dire annunciare una cosa e fare l’esatto contrario. Il lavoro a tutele crescenti sarebbe un bel progresso, soprattutto se di parla di lavoro giovanile. Peccato che nel jobs act le tutele siano calanti, e che la licenziabilità sia a discrezione totale del datore di lavoro almeno per tre anni. E uno.
Il decreto legge “Misure urgenti per l’emergenza abitativa” invece di occuparsi di dare casa a chi non ce l’ha, come pure annuncia, prevede la vendita del grande patrimonio pubblico di case popolari, e per chi occupa c’è il divieto di allacciamento di acqua e luce, o di avere un certificato di residenza. Né documenti né condizioni di vita decenti, come stare sotto i ponti. E due.
Il decreto “Sblocca Italia” consegna alla finanza la gestione della realizzazione delle grandi oopere, con i project bond, più sconti fidcali, più allargamenti della platea dei beneficiari, i cartelli dei grandi costruttori. E tre.
Il ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi ha presentato una proposta di legge per contrastare la diminuzione del valore degli immobili, prodotto dalla crisi mondiale ma anche dall’enorme stock di costruito e invenduto in tutte le città italiane. E la ricetta sarebbe l’abolizione degli standard: la quantità di verde, scuole, servizi sanitari e amministrativi decente perché un quartiere sia vivibile. Per dare valore alle case degli italiani – d’accordo una bella fetta di Pd – basterebbe abolire gli spazi a verde e servizi e incrementare ancora il costruito, complimenti. Quartieri senza servizi che valgono di più: in quale mercato? E quattro.
La quinta storia è semplicemente incredibile. Avviene che nella civile regione toscana un assessore, Anna Marson, abbia presentato – unico esempio in Italia, le altre regioni sono inadempienti – il piano paesaggistico della Toscana. Un piano rigoroso, anche se contemperato con le esigenze delle escavazioni sulle Alpi Apuane, e con quelle di agricoltori e allevatori. Grande dibattito, tante discussioni e incontri con i cittadini. Alla vigilia dell’approvazione definitiva in consiglio regionale ecco una raffica di emendamenti che lo demoliscono, articolo per articolo. E non è solo l’opposizione a farlo, come è comprensibile. Il lavoro sporco lo fa il Pd, nella persona del consigliere Ardelio Pellegrinotti ma a nome di tutto il partito. Un partito che non si è neppure degnato di accettare la riunione chiesta con insistenza dall’assessore che sembra pronta a dimettersi se passeranno quegli emendamenti demolitori. In sostanza, resterebbero inviolabili solo le vette oltre i 1.200 a patto che non siano già state intaccate dalle cave. Per il resto, dall’ampliamento alle discariche di cava, via libera all’escavazione: che serve un piano paesistico se non incrementa la demolizione delle montagne?
Il paesaggio è cosa delicata, coinvolge la vita e la sua qualità. Sarà forse per questo che è così complesso varare un piano paesistico. Quello della Regione Toscana è d’avanguardia, e per i contenuti oltre che per i tempi. Certo, se si cancella dal testo anche l’obbligo di salvaguardia della «qualità percettiva dei luoghi» e l’obbligo di evitare «l’impermeabilizzazione permanente del suolo», consentendo di adeguare e ampliare ogni struttura turistica esistente, forse quel piano diventa inutile. Inutile anche un assessorato all’ambiente, in una regione che pure su ambiente e cultura basa la sua fortuna. E una discreta rendita economica.
Perché è importante chiarire un punto. Non siamo di fronte a uno scontro tra ambientalisti radicali e uomini di governo, o tra tecnici e politici. Siamo di fronte allo scontro tra una politica che crede in uno sviluppo sostenibile, e una politica che vuole perpetuare in eterno l'insostenibile stato delle cose. Come ha scritto lo stesso Enrico Rossi (nel suo Viaggio in Toscana), «il Piano offre una cornice di regole certe, finalizzate a mantenere il valore del paesaggio anche nelle trasformazioni di cui esso è continuamente oggetto». È verissimo: il Piano non avrebbe l'effetto di imbalsamare il paesaggio toscano, ma darebbe finalmente gli strumenti per governarne la trasformazione in modo responsabile. La sua approvazione sarebbe la vittoria di chi crede che il paesaggio non si salva con i vincoli, cioè con le (pur necessarie) proibizioni delle soprintendenze, ma con la capacità di immaginare un futuro condiviso. Sarebbe il successo di una democrazia matura: il Ministero per i Beni culturali ha accettato di rinunciare a una serie di vincoli perché convinto della qualità del Piano.
Ma ora tutto questo rischia di saltare, perché il pacchetto di emendamenti presentato dal Pd svuota il Piano al punto tale da renderlo inerte. Basterebbe questo comma: «Le criticità contenute nelle schede di ambito costituiscono valutazioni scientifiche non vincolanti a cui gli enti territoriali non sono tenuti a fare riferimento nell’elaborazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica». Se il Piano non è vincolante, se i Comuni non sono tenuti ad osservarlo: ebbene, quello non è più un piano, ma un auspicio. E il Mibact non lo firmerebbe. Insomma, il Piano morirebbe prima di nascere.
La cosa inquietante è che negli emendamenti di Forza Italia troviamo non solo la stessa volontà, ma le stesse identiche parole presentate dal Pd: «Le criticità contenute nelle schede di ambito costituiscono valutazioni scientifiche non vincolanti a cui gli enti territoriali non sono tenuti a fare riferimento nell’elaborazione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica ». Siete capaci di trovare una sola virgola diversa dal testo del Pd?
E non è la sola convergenza letterale. Quando si parla dell'enorme problema della distruzione delle Apuane, Pd e Forza Italia piantano gli stessi paletti, con le stesse parole: «Salvaguardando, comunque, le cave esistenti e il loro futuro sviluppo». E si potrebbe continuare a lungo, purtroppo. Siamo evidentemente di fronte al tentativo di imporre a Rossi uno Sblocca Toscana, perfettamente allineato a quell'asse Renzi-Lupi che ha partorito lo Sblocca Italia, che è un triplo salto mortale nel passato, con il ritorno ad un consumo di suolo senza freni, e ad un totale asservimento dell'interesse pubblico agli interessi privati di lobbies industriali, edili ed estrattive.
Se i toscani fossero chiamati a un referendum, il Piano Marson passerebbe con l'80% dei voti. Mentre rischia di cadere in un Consiglio regionale in cui il peggio di vecchie stagioni, locali e nazionali, e il peggio del renzismo sono ormai indistinguibili. Se giovedì prossimo il Piano cadesse davvero, il finale di queste interminabili 'cinquanta sfumature di Rossi' sarebbe un monocolore senza sfumature. Grigio: come il cemento.
I fatti.
Nel corso della discussione in commissione regionale del piano paesaggistico regionale i consiglieri del PD preannunciavano la presentazione di una proposta di modifica la cui approvazione lo avrebbe radicalmente trasformato in un ennesimo libro dei sogni.
In alcuni articoli pubblicati o ripresi in eddyburg il 1, il 15 e il 20 febbraio (vedi i riferimenti in calce), avevamo denunciato la minaccia del PD toscano al piano paesaggistico, individuandone due principali componenti: (1) la pesante riduzione della tutela delle Alpi apuane, cedendo alle pretese delle imprese cavatrici con l’assicurare ulteriori possibilità di escavazione anche in aree a forte valenza paesaggistica e rischio geologico; (2) la trasformazione di tutte le “direttive” rivolte agli enti locali in “indirizzi”. Abbiamo osservato che quest’ultima proposta coincide con la delega piena di cospicui interessi pubblici all’imperio delle convenienze private; in definitiva, ridurre i “comandi” che la Regione trasmette ai comuni in semplici suggerimenti significherebbe annullare del tutto l’efficacia del piano.
Marson affermava di trovare «sorprendente che il più grande partito di maggioranza si comporti come quello di opposizione, nella forma e nella sostanza. Evidentemente - proseguiva - le elezioni regionali vicine hanno scatenato comportamenti anomali e trasversali e mi sembra di vedere un partito del mattone e della pietra che cerca di affermarsi».
Dopo aver riportato il parere fortemente critico di Salvatore Settis l’articolo del Corriere cosí concludeva: «L'assessore Marson non esclude di lasciare l'incarico se il suo piano dovesse essere stravolto. “Prima dirò che cosa penso in Consiglio dice lei poi ci penserà qualcun altro a dimissionarmi” ».
Stranamente repentina la reazione di Enrico Rossi alle dichiarazione del suo assessore. Le denunce della manovra dei consiglieri del PD l’avevano visto silenzioso. Alle parole di Marson rispondeva poche ore dopo averle lette.
«Occorre chiudere la legislatura con il lavoro straordinario che è stato fatto sul piano del paesaggio e con la nuova legge sulle cave. Esasperare i toni e le polemiche è il miglior regalo che può essere fatto a coloro che vogliono far fallire questi obiettivi» prosegue il Presidente. E cosí conclude: «Invito quindi a lavorare seriamente in commissione confrontandosi con posizioni anche diverse ma legittime e ricercando soluzioni avanzate per conciliare ambiente e lavoro».
Il commento
La vicenda è ancora aperta. Il voto del Consiglio regionale è previsto per il 10 marzo prossimo. Quel giorno si vedrà se l’intervento del presidente Rossi nel contrasto tra l’assessore Marson (un assessore non è solo un “tecnico”, presidente!) e i consiglieri del PD sia solo un buffetto dato a Marson per placare i falchi del PD, oppure se corrisponda a un deciso cambiamento di rotta rispetto al Rossi che avevamo conosciuto.
Se cosí fosse, sarebbe una profonda delusione per quanti, come noi, l’avevano considerato un personaggio anomalo nel mondo dei politici-politiciens di oggi: una persona capace di valutare il merito delle scelte, di decidere privilegiando l’interesse collettivo e di ispirare le sue azioni a una visione di lungo periodo.
Ma sarebbe anche una sconfitta per quell’ Enrico Rossi che abbiamo conosciuto. Quello che ha seguito con attenzione, e comprensione anche “tecnica”, gli sforzi per restituire alla Toscana il primato del saggio governo delle trasformazioni del territorio e del paesaggio, minacciato sempre più pesantemente dall’erosione del suolo e dalla devastazione del paesaggio, dalla sovra-infrastrutturazione d’ogni costa e d’ogni fondo valle e dallo svillettamento a go go. Quell’Enrico Rossi da cui abbiamo sentito pronunciare l’appassionato intervento a difesa della nuova legge urbanistica regionale, matrice del piano paesaggistico oggi minacciato dal partito di Renzi. È quell’Enrico Rossi che sarebbe tradito, e sconfitto, da un cedimento sui contenuti e sull’efficacia del piano paesaggistico.
Arrivederci al 10 marzo.
Riferimenti
Si vedano su eddyburg i seguenti articoli: Paolo Baldeschi, Dario Parrini: doctor Jeckill e Mr Hyde, Edoardo Salzano, Da che parte sta il PD toscano Mauro Bonciani (Corriere della Sera), La spallata del PD a Marson. Il piano del paesaggio azzerato
Corriere di Firenze, 20 febbraio 2015, con postilla
Il governatore ad inizio della scorsa settimana è stato informato dal Pd della volontà di presentare l’emendamento diretto in particolare alle cave e che sosta l’equilibrio di nuovo verso i Comuni rispetto alla pianificazione regionale, e se è vero che c’è tempo fino a lunedì per depositare gli emendamenti (e quindi limare anche quello predisposto dal gruppo) e che gli emendamenti possono essere ritoccati o ritirati anche in aula, sarà decisiva la riunione della maggioranza fissata giovedì 26 e la parola dello stesso Rossi per capire se si arriverà alla rottura con Marson. Il governatore ha sempre difeso l’assessore da lui scelta in quota Idv, definendo il piano del paesaggio, assieme alla riforma delle Asl, l’atto più importante da portare a casa prima della fine del suo primo mandato. Rossi dovrà fare i conti con il gruppo Pd, espressione anche dei sindaci e delle associazioni che hanno chiesto la modifica del Pit, – «senza i nostri voti il piano non si approva», dice un consigliere dem nei corridori di Palazzo Panciatichi – con Marson che se non sarà convinta del testo finale dell’emendamento lo farà presente a tutti, e con gli alleati: e trovare una sintesi non semplice.
il nostro commento,
Intanto il maxi emendamento è stato presentato nella commissione ambiente presieduta da Gianfranco Venturi. spiegato il consigliere Giovanni Ardelio Pellegrinotti. «Il Piano è un atto complesso e condizionerà la vita dei cittadini toscani per i prossimi vent’anni. Non ci possiamo permettere di sorvolare su alcun punto. La nostra preoccupazione – spiega Ardelio Pellegrinotti, Pd, che ha coordinato il testo e che ha escluso altri emendamenti– è che il piano del paesaggio non ingessi troppo l’attività e lo sviluppo della Toscana anche attraverso indicazioni, prescrizioni e direttive che possono più o meno incidere e condizionare a seconda di come vengono declinati i singoli termini». «Prendo atto che il Piano non c’è più – è i commento di Monica Sgherri, Prc – I crinali delle Apuane, ad esempio, in forza del documento avanzato oggi, potranno essere modificati». Nicola Nascosti (Fi) ha annunciato la presentazione di 200 emendamenti: «Le criticità vanno cancellate, non si può ingessare tutto – spiega – e va riscritta tutta la parte delle cave, ma anche rivista quella del settore agricolo e balneare».
postilla
L'avevamo temuto, e raccontato, si veda l'"opinione" di Paolo Baldeschi, Dario Parrini: dottor Jeckill e mr Hide , il nostro articolo Da che parte sta il PD toscano nel conflitto tra tutela e distruzione del paesaggio. Adesso è almeno stracciato il velo dell'ipocrisia
Corriere fiorentino, 8 febbraio 2015
«Approvare il Piano Paesaggistico in tempi brevi». È il messaggio che Ilaria Borletti Buitoni (ex Scelta Civica, oggi Pd), sottosegretario del ministero dei Beni culturali e del turismo, con delega al paesaggio, lancia al Consiglio regionale chiamato, nelle prossime settimane, a licenziare il Pit. E avverte: «Nel caso vi sia una terza riscrittura il ministero potrebbe rispedirlo indietro senza approvazione».
Onorevole Borletti Buitoni, la giunta regionale ha inviato alle commissioni competenti un piano paesaggistico con meno vincoli. Che ne pensa? «Il Piano Paesaggistico della Toscana — che deve essere approvato con sollecitudine perché rappresenta uno strumento fondamentale per la gestione del territorio — è il frutto di compromessi che, comunque, garantiscono un certo principio di tutela al quale noi eravamo attaccati. La versione precedente ci era piaciuta di più, ma trattandosi di interessi conflittuali bisognava trovare un punto di sintesi. E, a nostro parere, l’attuale Pit lo ha trovato. Ma non sono compatibili le ulteriori richieste arrivate dalle categorie dei cavatori perché renderebbero la tutela di un’area importantissima, dal punto di vista paesaggistico, turistico e faunistico, assolutamente in pericolo».
Dunque, se il Consiglio regionale dovesse accogliere le nuove istanze dei cavatori il ministero potrebbe respingere l’approvazione del Piano?
«Sì, il rischio c’è. Il percorso fatto fino ad ora con la Regione Toscana è stato eccellente, di confronto, anche secco ma costruttivo, però in riferimento alle Apuane non siamo disposti a concedere altro: il Mibact non tollererà ulteriori allentamenti a un principio di tutela».
Qual è il giusto equilibrio tra tutela e sviluppo?
«L’equilibrio è difficile, ma posso sintetizzarlo con una partola: regole. Non si può lasciare campo libero all’iniziativa selvaggia. Quando parlo di regole, non mi riferisco a vincoli assurdi o a un appesantimento burocratico, ma a norme che definiscono con chiarezza i limiti, secondo principi di tutela che il nostro ministero deve far rispettare. Tutelare il paesaggio non è un interesse di parte ma collettivo».
Il Pit «atto secondo» raccomanda, per la Val d’Orcia, la tutela dei borghi, e definisce una «criticità» l’intensa diffusione dei vigneti. È d’accordo?
«Ci sono delle aree, mi riferisco alla Val d’Orcia, patrimonio dell’umanità come lo è il Colosseo. Quindi il danno che si può arrecare con una pianificazione non corretta rappresenta un danno di immagine per tutto il Paese. Sui vigneti, invece, credo si sia trovato un accordo accettabile sia dal punto di vista paesaggistico che per i produttori di vino».
Il governatore Enrico Rossi ha garantito che entro la fine della sua legislatura il Pit sarà approvato. Quale messaggio vuole lanciare?
«La Toscana è stata capace, più di altre regioni, di valorizzare il suo patrimonio artistico, storico e ora paesaggistico, cerchiamo di fare in fretta, non perdiamo ulteriore tempo. E sarete un esempio per tutti, come lo siete stati per la tutela dei beni culturali».
A proposito di beni culturali, a breve il ministero procederà alla nomina dei nuovi soprintendenti e dei manager che dovranno gestire i 20 «musei autonomi» italiani. Quali sono le novità?
«Le nomine dei dirigenti di prima e seconda fascia le stiamo affrontando in questo momento, e non sarebbe corretto anticipare notizia. La riforma del ministero completerà tutto il suo ciclo entro l’estate. Credo che nei prossimi 15 giorni arriveranno le nomine che riguardano le soprintendenze e le segreterie regionali. Per i 20 siti importanti, il quadro sarà completo per la fine di maggio».
status di supporto inerte e diventa bene comune. Tecnicamente, la legge introduce un’invalicabile “linea rossa” tra città e campagna: nessun nuovo edificio su terreni fertili. L’impugnativa governativa afferma che proprio questa norma contravviene al principio costituzionale di libera concorrenza». Perunaltracitta.org, 3 gennaio 2015
Secondo alcuni giornali sarebbe stata proprio l’ex vigilessa fiorentina in capo, in capo ora al Dipartimento legislativo alle dirette dipendenze dell’ex sindaco di Firenze, a dare l’alt alla nuova legge urbanistica toscana in un’Italia distratta ormai dai preparativi natalizi (nella stessa vigilia di Natale avrebbe anche regalato a Berlusconi il comma salva evasori). L’impugnativa alla LRT 65/2014 (Norme per il governo del territorio), che ritarderà l’entrata in vigore della legge, si colloca nel segno della fiducia sconfinata nell’autoregolazione del mercato edilizio che ormai sta segnando il passo (e di questo sì, abbiamo le prove).
Della buona legge abbiamo già scritto, ma merita qui ricordarne almeno due aspetti virtuosi. Concettualmente, la legge supera il meccanicismo della LRT 1/2005 e introduce uno strumento di matrice ecologista: con il concetto di «patrimonio territoriale» infatti, quale risultato della coevoluzione di abitanti e ambiente naturale, da «promuovere e garantire» per le generazioni future, il territorio abbandona lo status di supporto inerte e diventa bene comune. Tecnicamente, la legge introduce un’invalicabile “linea rossa” tra città e campagna: nessun nuovo edificio residenziale su terreni fertili; né centri commerciali o capannoni che vìolino i princìpi del grande piano regionale (PIT): violazione o compatibilità saranno certificate da una «conferenza di copianificazione» in cui il parere sfavorevole della Regione è vincolante.
L’impugnativa governativa afferma che proprio quest’ultima norma contravviene al principio costituzionale di libera concorrenza tutelato dalla ripartizione delle competenze prevista dall’art. 117 Cost. Tuttavia, il Consiglio di Stato con la sentenza 2060/2012 stabilisce che «le prescrizioni contenute nei piani urbanistici, rispondendo all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, possono porre limiti agli insediamenti commerciali, dunque alla libertà di iniziativa economica». Bene ricordarlo. Del resto, privata di potestà regolativa, che urbanistica sarebbe?
L'intervento di trasformazione della Manifattura Tabacchi a Firenze: un progetto pesante, morfologicamente ed esteticamente sbagliato...>>>
Il percorso seguito dall'amministrazione fiorentina per arrivare a questo risultato, si spera non definitivo, è esemplare e anticipa quanto potranno fare i Comuni italiani, promossi dall'articolo 26 della legge Sblocca Italia al rango di potenziali speculatori edilizi. Il progetto riguarda la ex Manifattura Tabacchi, un complesso di 400.000 metri cubi e 103.000 mq di superficie, posto in un'area strategica dei viali di circonvallazione, oggi posseduto da Manifattura Tabacchi Spa, di cui è azionista al 50% Metropolis, una società che riunisce vari operatori in liquidazione (Ligresti, Btp, Consorzio Etruria) e per la restante metà Fintecna, società interamente controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, il cui ruolo si è "evoluto" nell'acquisizione e "valorizzazione" del patrimonio pubblico.
La Manifattura Tabacchi è un'architettura del razionalismo italiano, una vera e propria cittadella costituita da edifici funzionali, vincolata con un Decreto ministeriale dal 1997 che la dichiara particolarmente importante, in quanto «complesso rappresentativo dei canoni funzionali degli anni Trenta improntati a una sobrietà monumentale di stampo classicista». La tutela integrale del complesso viene confermata nel 2005 da un nuovo Decreto in cui si sottolinea che gli edifici che lo compongono, tutti, fanno parte di un "unicum" dotato di notevole organicità. Il provvedimento coincide con l'interesse del quartiere che vede nella Manifattura un luogo identitario e uno potenziale spazio per servizi in una zona povera di spazi pubblici; con queste finalità si forma il Comitato per la tutela della ex Manifattura Tabacchi che da anni ne propone utilizzazioni (anche) a favore della città, presentando osservazioni puntuali e proposte alternative.
Nel 2007 la proprietà presenta un primo piano di recupero, inaccettabile perché non conforme e non conformabile neanche in variante agli strumenti urbanistici vigenti. Nel 2011, a seguito dell'approvazione del nuovo Piano Strutturale, viene presentato un nuovo piano, cui nel 2012 la Soprintendenza di Firenze Pistoia e Prato, cambiando radicalmente parere, dà il via libera. Il progetto, approvato in variante nel marzo del 2014, stravolge l'architettura e l'impianto morfologico della Manifattura con demolizioni e aggiunte, fra cui spiccano due torri alte 53 metri, particolarmente stridenti in un complesso basso e disposto in orizzontale.
Alla base di tutto ciò, vi è il deficit politico culturale che ha caratterizzato l'amministrazione Renzi e, per ora, anche quella di Nardella: l'assenza di una strategia che scelga e operi per una Firenze meno legata alla banalizzazione della rendita medicea, più orientata a diventare un grande laboratorio scientifico multiculturale, aperto al mondo. La distruzione dell'importante complesso architettonico della Manifattura Tabacchi (perché di questo si tratta) è, invece, un tassello in direzione opposta, prefigura un futuro in cui, con un'offerta immobiliare "a la carte", sarà il mercato a decidere la localizzazione delle attività, i pesi insediativi e i bisogni di accessibilità: con il corollario, promesso dal disegno di legge Lupi, di una Soprintendenza ridotta al rango di ufficio protocollo. I bandi sono aperti e per i lettori di eddyburg che fossero interessati riportiamo dal booklet : "The complex of the Tobacco Factory is perhaps the most important opportunity of transformation of the city of Florence, by position, size and function". Appunto: un'opportunità che rischia di essere sprecata.
Firenze, nel 1962, con il Sindaco Giorgio La Pira e l' Assessore all'Urbanistica Edoardo Detti anticipò nel nuovo piano regolatore la breve stagione riformista del centro-sinistra. Ora, nel 2014, si candida ad anticipare una stagione di controriforme.
Gli affari spingono senza tregua per devastare una Piana che per decenni si è voluta mantenere intatta; per distruggere un millenario assetto idrogeologico e unire in un’unica marmellata centri urbani che hanno voluto rimanere distinti; per far prevale gli interessi economici privati sugli interessi della collettività. Cittadini Area fiorentina, 22 novembre 2014
Lo scorso 6 novembre AdF (Aeroporto di Firenze) ha presentato in Palazzo Vecchio il
Master Plan 2014-29 con la previsione della nuova pista di Peretola sulla cui lunghezza (2.000 m. secondo il Piano di Indirizzo Territoriale della Regione), 2.400 m. secondo ENAC) è da tempo in corso un contenzioso. Il crono programma della Società diretta daMarco Carrai prevede l’apertura dei cantieri ad agosto, dopo il rilascio, in aprile, della Valutazione di Impatto Ambientale ministeriale. Nell’ arco di 15 anni si prevede un investimento di circa 300 Mln., ripartito a metà tra pubblico e privato.
Con il nuovo Aeroporto di Firenze i passeggeri annui passerebbero dagli attuali 2 ai4,5 Mln. Ma con la fusione degli aeroporti di Pisa e di Firenze e la loro promozione in serie A finirà per prevalere la maggiore appetibilità di Firenze, smentendo la frottola del “Vespucci” come city airport per viaggiatori d’affari e della sua complementarietà con il “Galilei” di Pisa. Una volta che a Peretola si realizzasse una pista di 2.400 m. alcune compagnie low cost che attualmente operano su Pisa, potrebbero preferire direttamente Firenze.
Non è escluso che AdF punti in realtà a rivedere il PIT regionale, vista la quantità di controindicazioni e di spese che la nuova pista comporta, (salta l’operazione stadio/Mercafir, è da rifare il PUE di Castello, è a rischio la Scuola dei Carabinieri, ecc.) cercando di garantirsi piena disponibilità su tutto il territorio aperto tra Firenze e Sesto F.no e orientando a suo piacimento la pista. Del resto, in primis, le ipotesi erano addirittura 5. AdF chiede persino di rivedere il progetto di Linea 2 della tramvia: vorrebbe infatti farla giungere in sotterranea dentro la nuova stazione passeggeri.
Il Sindaco di Prato Matteo Biffoni che pur appoggiato da Renzi si era affermato nelle ultime amministrative con il No all’ampliamento dell’aeroporto di Peretola, ha cambiato verso, rinunciando al ricorso al TAR, promosso dai Comitati nei confronti dell’approvazione del PIT, i cui termini scadevano il 14 novembre. La decisione, passata a tappe forzate in Consiglio comunale dopo spasmodiche riunioni del PD e malgrado l’opposizione della cittadinanza, segna la resa dei sindaci della Piana al dictat di Renziche vuole imporre la nuova pista entro il 2017, quando a Firenze si svolgerà un G7.
Essa segna probabilmente la definitiva cancellazione del Parco della Piana, palesemente incompatibile con la nuova pista e infatti scomparso da qualsiasi dibattito.
Circa le conseguenze disastrose di un aeroporto internazionale piazzato al centro di un’area metropolitana che contiene 1/4 della popolazione dell’ intera Toscana basti qui ricordare lo spostamento del Fosso Reale, il rifacimento della viabilità e del reticolo idrografico minore in terreni idraulicamente fragili, la coesistenza con depositi di carburanti, industrie chimiche, centrali elettriche, inceneritori, oltre che centri abitati,laboratori di ricerca ed oasi ambientali.
La questione Aeroporto riguarda la Piana ma è soprattutto una questione di Firenze. Il cambio di classificazione del “Vespucci” porterà ad un aumento esponenziale dei voli, compresi quelli che sorvoleranno direttamente Firenze (il 18%, fino a 500 m. da terra).
Per chi volesse approfondire la questione rimandiamo a nostri precedenti notiziari, al sito “Piana Sana” e in particolare alle sue ottime mappe interattive.
Ci preme rimarcare invece la palese contraddizione tra le giustamenteorgogliose affermazioni del presidente Rossi, circa la recente approvazione della nuova Legge Urbanistica Toscana, che impone per la prima volta in Italia il principio dello stop al consumo di suolo, e il funesto sfregio territoriale che la Regione impone alla Piana fiorentina. Il PIT in questo caso non èuno strumento di indirizzo generale ma, per quanto riguarda l’ambito 6 (Firenze, Prato. Pistoia)un sempmpiceaccarastamento delle scelte di AFE e dei potericle la sostengono
pronti a rivedere i loro strumenti urbanistici, conformandoli alle nuove regole.». La Nazione, 19 novembre 2014
Rossi e la Marson non si lasciano sfuggire l'occasione per rielencare i dettami della legge 65. «Abbiamo messo il vincolo di inedificabilità, già dal 2012, su 1.000 chilometri quadrati di territorio pianeggiante, aree a forte rischio idraulico, pari al 7% della pianura toscana. Diversi Comuni mi chiamano per aggirare questo vincolo, ma sbatteranno contro i divieti. Vogliamo spezzare l'alleanza tra mattone e finanza, si è cementificato troppo e le conseguenze sono oggi davanti agli occhi di tutti. Con le leggi sull'urbanistica e con il prossimo piano del paesaggio abbiamo impresso alla Toscana una svolta epocale. Che spero serva da esempio a Regioni e Governo».
Da qui l'attacco al ddl Lupi, reo di «consentire edificazioni su aree che dovrebbe essere tutelate. Chiederemo modifiche» annuncia Rossi, non escludendo ricorsi. Anche gli agricoltori sarebbero contenti, visto che Anna Marson sforna delle slides con «10.500 nuovi agricoltori in Toscana, dal 2008 a oggi, 600 dei quali giovani. Con l'impegno di tagliare i tempi, da 6 anni di media a 2, per le autorizzazioni edilizie, e di premiare i Comuni che non faranno la corsa alle alle licenze per costruire, la Regione si candida a modello per gli urbanisti di tutta Italia. Fa i conti con argini travolti, milioni di danni e territori che si sbriciolano, ma fa leva su una legge che dovrebbe scongiurare dissesti futuri.
La Repubblica, ed. Firenze, 12 ottobre 2014«IO ritengo di essere l'uomo del dialogo: ascolteremo le opinioni di tutti. Ma sia chiaro che se non si approva il Piano del paesaggio, il centrosinistra dovrà trovarsi un altro candidato alla presidenza della Regione». Meglio dirlo prima. Sul Piano paesaggistico tanto contestato dagli agricoltori e dai produttori di vino, il governatore Enrico Rossi ci mette tutto il carico. Conferma di essere pronto a rivedere e ridiscutere alcuni passaggi. Ma sul risultato niente scherzi, notifica dall'Internet Festival di Pisa, durante l'intervista di Lucia Annunziata. Il Piano è parte fondante della Toscana del futuro. Almeno la Toscana che ha in testa lui: «Il nostro obiettivo è garantire lo sviluppo all'agricoltura mantenendo la specificità del paesaggio », dice Rossi. Avvertendo fin d'ora quei consiglieri che dovessero accarezzare l'idea di mettersi di traverso.
Un avviso ai naviganti e una prova di forza, da parte del presidente che ha il ‘bis' in tasca, direttamente consegnatogli dal premier Matteo Renzi. Ma dal palco pisano, Rossi gli inoltra un suggerimento e una richiesta: «Se nella legge di stabilità Renzi inserirà benefici solo per Firenze mi arrabbierò ». Il premier non si dimentichi del resto della Toscana: «Non ho elementi per esprimere giudizi definitivi, ma mi aspetto che nella finanziaria il premier riservi altrettanta attenzione a rilevanti questioni infrastrutturali per la costa». Quali? Due su tutti: «L'autostrada tirrenica e l'adeguamento del porto di Livorno con i dragaggi sul canale Scolmatore». E se i pisani non dovessero sentirsi sufficientemente rassicurati,
Rossi mette sul piatto anche gli scali aeroportuali. Dice «di sentirsi la coscienza a posto e di avere compiuto una scelta che fa soprattutto il bene di Pisa ». Perché «se la città preferisce restare nel suo piccolo, sappia che corre il rischio di restare marginalizzata: l'individuazione di Corporacion America e della proprietà unica dei due scali consente di fronteggiare al meglio la concorrenza di Bologna, e di assicurare lo sviluppo di Pisa fino a 7 milioni annui di passeggeri».
Se poi ci sarà bisogno di «chiedere al governo attenzione per la cittadella aeroportuale pisana, lo faremo», giura Rossi. Tra le richieste al premier c'è però anche il capoluogo: «A Renzi chiedo 40 milioni per terminare i lavori alla diga di Levane e per completare le casse di espansione sull'Arno, così da mettere Firenze in sicurezza ». Rossi conferma la disponibilità «ad aggiungere altri 40 milioni per l'Arno». Ma ricorda subito dopo a Renzi che «servono interventi sul porto di Livorno, mentre a Pisa servono cittadella aeroportuale, centro congressi e un più rapido collegamento ferroviario con Firenze».
Sul piano politico Rossi conferma di non voler fare guerre al renzismo: «Ritengo che cercare ora rivincite contro Renzi sia sbagliato, è stato uno straordinario acceleratore della crisi della politica che la sinistra ha compreso tardi. Semmai il rammarico è che da sinistra non sia avvenuto altrettanto ». Cercare ora rivincite vorrebbe dire piuttosto «farsi asfaltare», dice Rossi. Aggiungendo: «Io scommetto sugli under 30, sui giovani che incontro e che non sono né renziani né antirenziani ma semplicemente di sinistra. E molti di coloro che oggi fanno battaglie a difesa dell'articolo 18 si sono dimenticati per anni dei Cococo e Cocopro, anche se il Jobs Act non credo risolverà tutti i problemi».
In Toscana si è aperta sui media regionali la cosiddetta “guerra del vino”, che vede diverse associazioni di categoria del settore vitivinicolo unite in un attacco frontale contro il Piano Paesaggistico proposto dall’assessore all’Urbanistica Anna Marson. Quali sono le accuse mosse al Piano? Dirigismo, astrattezza, vincolismo, intenti punitivi nei confronti di una categoria agricola che ha bisogno invece di mani libere per procedere a innovazioni del settore che presupporrebbero elevata meccanizzazione, accorpamento dei fondi, semplificazione del paesaggio. Addirittura ci si spinge a dichiarare l’esistenza di una minaccia per l’intero settore vitivinicolo, con paventate ricadute socio economiche negative, se tale piano non verrà rivisto nella sua impostazione generale. A noi pare che la polemica scatenata da alcuni settori di vertice dell’imprenditoria agricola sia tesa a delegittimare un piano per molti versi avanzato, che farebbe onore alla Toscana intera e alla sua dimensione rurale costruita nel tempo dal lavoro sapiente degli agricoltori.
Non è a oggi chiaro in quale direzione si muoveranno le osservazioni agli elaborati di piano che le associazioni stanno elaborando, però sappiamo già che sul carro della lotta contro il Piano è salito pure una parte del partito di maggioranza in Regione oltre ad una parte del potere locale.
Alcuni interventi nel dibattito, pur provenendo dal mondo agricolo o comunque vitivinicolo, hanno con buon senso riportato al centro della discussione lo stato reale del settore, come nel caso di Alessandro Regoli, direttore di Wine News, che ha scritto in una sua lettera aperta ai media regionali: “ La Toscana è famosa nel mondo per l’armonia del paesaggio, che quindi va conservato, nell’interesse supremo di tutti. Questo non vuol dire non fare nulla: la programmazione territoriale non si crea mettendo regole, ma cercando di rimodellare bene, in maniera sostenibile, tenendo conto degli effetti idrogeologici e paesaggistici, ma anche senza speculazioni. Il Piano penso che avesse la finalità di “accompagnare” le trasformazioni e non bloccare gli investimenti nel settore agricolo in Toscana”. O come nel caso di Luca Brunelli, presidente Cia Toscana,che presentando un dossier sul Piano paesaggistico elaborato dalla sua associazione, sia pur criticabile e che riteniamo di non condividere (basato sulla antinomia tra l’ “agricoltura tradizionale” secondo loro privilegiata dal Piano e quella “innovativa e competitiva”) dichiara: “è un documento complesso e giustamente ambizioso, che condividiamo negli obiettivi fondamentali, perché mira al contrasto del consumo di suolo; riconosce l’agricoltura quale presidio paesaggistico essenziale; punta al recupero produttivo agricolo di superfici abbandonate. Emerge tuttavia la tendenza ad una visione statica dell’agricoltura […] che individua fra le minacce al paesaggio l’abbandono dell’agricoltura da una parte e i processi di intensificazione e specializzazione dall’altra [...].Per quanto riguarda, per esempio, i vigneti occorre evitare generici giudizi di “criticità” e conseguenti direttive di generalizzato contrasto allo sviluppo del settore. Suggeriamo di applicare l’art. 149 del codice con il metodo seguito in altre circostanze (es. fotovoltaico o biomasse): definendo in quali condizioni, e a partire da quali estensioni, si debba evitare la realizzazione di nuovi impianti o adottare norme tecniche di prevenzione del rischio idrogeologico”. Sono richieste di modifica del testo che, trasformando le raccomandazioni in regole agronomiche chiare e definite, possono dare anche maggior cogenza a quegli indirizzi, e quindi possono definire un terreno di mediazione possibile.
Ma il complesso degli interventi ha avuto un altro taglio, e può aver ingenerato in molti l’impressione che la normativa proposta sia un insieme di vincoli che un potere politico (e accademico) vuole imporre al dinamico e libero mondo di imprenditori agricoli, o per dirla con le parole di Giovanni Busi presidente del Consorzio Chianti «Non può essere un atto politico a dire dove io devo piantare viti o dove non posso farlo, deve essere il viticoltore a scegliere, perché conosce il vino e come lo si fa».Ma per non perdersi in un polverone di dichiarazioni che spesso sembrano estremizzare ed ideologizzare astrattamente, riteniamo utile sottolineare alcuni semplici dati di fatto:
La posta in gioco nella discussione sul Piano Paesaggistico è a nostro avviso molto alta, si tratta di decidere qual è il modello di agricoltura che vogliamo per il nostro futuro e perciò auspichiamo che questa discussione non resti solo appannaggio di chi difende interessi particolari o peggio speculativi. Il territorio rurale toscano, e il paesaggio agrario che ne è la dimensione visibile, sono beni preziosi e comuni, di tutti. E le sue trasformazioni devono essere governate, non subite. L’interesse per il piano paesaggistico, dunque, non può rimanere limitato a pochi addetti ai lavori, ma deve coinvolgere tutti quei soggetti attivi in un possibile cambiamento di scenario, dai GAS alle associazioni di tutela dell’ambiente e del territorio, dalle associazioni di categoria più lungimiranti ai cittadini sui territori come in parte è già avvenuto con i momenti di partecipazione seguiti dalla Regione nella costruzione del piano.
Questa “guerra del vino” ci pare una polemica scatenata ad arte per impedire – dilazionandola nel tempo – l’approvazione del piano, con il coinvolgimento anche di una parte del potere politicoregionale e locale (come sta avvenendo purtroppo per la nuova legge urbanistica), magari per aspettare la fine della legislatura regionale e poi avere le mani libere con un altro assessore all’urbanistica. Agricoltori e studiosi, Università e mondo rurale hanno l’interesse comune a ribadire il valore del piano e a denunciare il tentativo di poche lobby di ostacolare un equilibrato governo delle trasformazioni del paesaggio e quindi del mondo rurale. Quando qualcuno dice che non può essere la politica a decidere gli indirizzi delle trasformazioni, significa che secondo lui devono essere il mercato e gli affari a dettare le scelte. Stupisce che autorevoli associazioni di categoria si prestino a questo gioco e che in Regione molti invece di difendere il proprio piano cerchino di ritardarlo nella speranza di affossarlo. È solo il disperato tentativo di rilanciare un modello che ha prodotto guai, cioè un paesaggio più semplificato e banale, un suolo più fragile e un sistema economico che adesso è strutturalmente in crisi. Alla crisi si risponde mettendo il territorio e l’agricoltura, la buona agricoltura, al centro dell’attenzione culturale e politica, non riproponendo gli stessi paradigmi che l’hanno generata.
se arrivassero soldi pubblici meglio adeguare l'Aurelia". Il manifesto, 14 agosto 2014
Nella interminabile partita a scacchi sull’autostrada tirrenica, le associazioni ambientaliste battono il ferro finché è caldo. A Festambiente presentano un nuovo documento, teso a dimostrare l’insostenibilità, anche economica, della grande opera. In direzione ostinata e contraria rispetto a un governo che in parlamento, per bocca del ministro Lupi, ha confermato l’impegno a trovare risorse pubbliche nello “Sblocca Italia” per dare gambe al maxi progetto. In ballo ci sono ben 270 milioni di euro chiesti dalla concessionaria Sat (Società autostrade toscane), che lamenta crescenti difficoltà, e però non ancora trovati dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi. “A questo punto – lancia l’idea il patròn di Festambiente, Angelo Gentili — se finanziamento pubblico deve essere, questo serva per mettere in sicurezza e adeguare l’Aurelia da Ansedonia a Grosseto sud”.
Sul tema dell’autotirrenica l’associazionismo ambientalista è da sempre compatto. Con Legambiente, rappresentata anche da Edoardo Zanchini, ci sono Stefano Lenzi del Wwf, Valentino Podestà della Rete dei comitati a difesa del territorio, Anna Donati di Green Italia, e ancora il Fai, l’associazione Bianchi Bandinelli e il maremmano “Comitato per la bellezza”. Forte di un consenso popolare mai scemato negli anni, e con l’appoggio delle forze politiche di sinistra, da Sel a Rifondazione, il fronte anti-autostrada ha dalla sua anche la forza dei numeri: “I dati di traffico reali sul percorso, diminuiti rispetto al 2010 a causa della crisi economica e tornati circa ai livelli del 2000, non giustificano in alcun modo la realizzazione di una autostrada, anche con la prospettiva di una ripresa economica che invece ancora non c’è”. A seguire la cifre: “Nel 2010 il progetto presentato dalla Sat partiva da un traffico giornaliero medio esistente di 19.900 veicoli al giorno. Ma dai bilanci della concessionaria scopriamo che nel 2011 il ‘Tgm’ è stato di 18.298 veicoli al giorno, che nel 2012 è calato in modo notevole a 16.974, e che è ancora calato nel 2013 a 16.816”.
Di qui la richiesta di fondi pubblici da parte della concessionaria. Una Sat che invece si era impegnata a realizzare la grande opera con soli fondi privati (due miliardi di euro), a patto di poter espropriare alla collettività l’attuale variante Aurelia a quattro corsie da Cecina a Grosseto sud, e poter incassare i pedaggi fino al 2043, ipotizzando un traffico in costante aumento (fino a 28.300 veicoli giornalieri nel 2036). Stime miseramente naufragate, di fronte alle quali gli ambientalisti hanno buon gioco a osservare: “L’odierna richiesta di fondi pubblici, e immaginiamo quelle future se l’opera venisse realizzata integralmente, e quindi l’ammissione che i conti non tornano, deve indurre a un serio ripensamento sull’utilità dell’opera. Viste anche le scarsissime risorse disponibili, e i drammatici problemi della finanza pubblica”.
Le critiche delle associazioni sono confermate anche dalla lentezza con cui procedono i lavori. In tre anni Sat ha speso 55 milioni sul lotto di soli quattro chilometri fra Rosignano e San Pietro in Palazzi, il solo già in esercizio, e ha impegnato 155 milioni per il tratto, in cantiere, da Civitavecchia a Tarquinia. “Non può che preoccupare il fatto che, pur in assenza di un nuovo piano economico e finanziario e con tratte ancora da approvare, già si richieda un robusto contributo pubblico. E’ come una premessa a quello che accadrà costantemente negli anni a venire, se l’opera venisse realizzata”.
Le conclusioni degli ambientalisti sono nette: “Appare senza senso la decisione del governo di stanziare un così rilevante numero di risorse pubbliche per un’opera che doveva essere finanziata da privati. Occorre rivedere il progetto con un confronto adeguato, pubblico e trasparente”. Una posizione cui si allinea il democrat Ermete Realacci: “Ho sempre pensato che la soluzione migliore sia quella dell’adeguamento dell’Aurelia. Con la crisi, è chiaro che il progetto autostradale di Sat risulta antieconomico e non giustificabile rispetto agli attuali flussi di traffico”.
«Un buon piano, dunque, ma che manca del pilastro fondamentale della nuova legge di governo del territorio, tuttora in gestazione. Piano paesaggistico e legge sono reciprocamente complementari e necessari: senza la legge il Piano è disarmato, se non per la parte vincolistica».
Lo Statuto è distinto dalla Strategia del piano (nello strumento precedente le due cose si mescolavano in modo confuso). Poiché stabilisce le regole che assicurano la tutela e la riproduzione del patrimonio territoriale e non obiettivi contingenti, lo Statuto non ha scadenze temporali implicite e assume il valore di una Carta costituzionale cui devono conformarsi gli strumenti urbanistici e i piani di settore. Quattro abachi di "morfotipi"- uno per invariante - definiscono per ciascun morfotipo, valori, criticità, obiettivi di qualità. Completano il Piano, le "schede d'ambito" e una cartografia originale che ha avuto un prestigioso riconoscimento internazionale. Né può essere sottovalutato l'enorme lavoro svolto dai funzionari regionali per la "vestizione" dei vincoli paesaggistici, senza il quale il Mibact non avrebbe dato via libera al Piano.
Un buon piano, dunque, ma che manca del pilastro fondamentale della nuova legge di governo del territorio, tuttora in gestazione. Piano paesaggistico e legge sono reciprocamente complementari e necessari: senza la legge il Piano è disarmato, se non per la parte vincolistica. Ma anche con la legge approvata, il Piano per forza di cose agirebbe soltanto nella sfera regolativa; gli aspetti propositivi richiedono, infatti, una strumentazione che il Piano non dispone. Per fare un esempio, tutti gli obiettivi di qualità che interessano il mondo agricolo sono tradotti in direttive di tipo promozionale. Non dicono alle imprese agricole "devi mantenere" (terrazzamenti, diversificazione colturale, maglia agraria, ecc.), ma propongono in questo senso politiche di incentivazione che, tuttavia sono messe in opera (o potrebbero) solo dal nuovo Programma di sviluppo rurale. Piano Paesaggistico e Programma di sviluppo rurale, due strumenti che dovrebbero giocare in stretto accordo e che finora sono stati autonomi se non addirittura orientati in senso opposto. Lo stesso vale per i cosiddetti "progetti di paesaggio", contemplati dal Codice, ma privi di mezzi finanziari specifici. In una parola, l'assessorato all'Urbanistica, guidato con coraggio e competenza da Anna Marson, appare isolato se non addirittura osteggiato dagli altri centri di potere assessorili.
Vi è, tuttavia, una questione ancora più fondamentale che è stata messa in luce dalla "battaglia sulle Apuane" di cui è stato già scritto su eddyburg e ancor più dalla paradigmatica vicenda dell'aeroporto fiorentino. Su quest'ultimo punto il Piano paesaggistico è completamente afasico, né poteva essere altrimenti dato che la questione, come tutte le grandi opere infrastrutturali (sottoattraversamento di Firenze da parte della Tav, autostrada tirrenica, variante di valico. ecc.), è sottratta alla pianificazione normale, sia dalla Legge Obiettivo, sia da una precisa volontà politica che in proposito assegna al Piano paesaggistico tutt'al più compiti di mitigazione e compensazione. Subito dopo l'adozione del Piano il consiglio regionale ha, infatti, approvato una variante al Pit che prevede una nuova pista aeroportuale parallela all'autostrada, una "lancia" di 2000 metri (che probabilmente diventeranno 2400, più gli spazi di manovra), conficcata nel costituendo Parco della Piana, distruggendo o compromettendo spazi agricoli, zone umide ed ecosistemi. Il Piano paesaggistico - dopo il gioco al ribasso sulle attività di escavazione nelle Apuane - è stato adottato con i voti della maggioranza e l'astensione di Forza Italia e la Variante aeroportuale del Pit approvata con i voti decisivi dell'opposizione. Regione Toscana bifronte: innovativa nel piano paesaggistico, purché non tocchi gli interessi consolidatisi in scelte sbagliate e in buona parte obsolete, ma che implicano tanto flusso di denaro per alimentare banche, imprese e nomenclatura di potere; e poco male se pochissima vera occupazione. Una strategia ancora basata sulle infrastrutture pesanti, ideologizzate come strumenti di modernizzazione e non sulla cura capillare e amorevole del territorio. Regione Toscana che non ha la forza politica di proporsi come modello alternativo di uno sviluppo durevole e sostenibile; che da un lato adotta un Piano paesaggistico coraggioso (ammesso che non sia stravolto dalle osservazioni dei numerosi cecchini interni ed esterni) e allo stesso tempo lo vanifica in alcune essenziali decisioni strategiche. Con il premierato Renzi-Berlusconi e l'aria che tira nel paese c'è da temere che prevarrà la seconda strada.
Riferimenti
Sulla "battaglia per le Alpi Apuane" si veda su eddyburg: Franca Leverotti Le Alpi Apuane: vent'anni di errori e cattiva politica, Contraddizioni toscane. Il Parco Regionale delle Alpi Apuane e il Piano Paesaggistico: un passo avanti verso la civiltà?; Paolo Baldeschi Alpi apuane - nuova maggioranza
nella Regione Toscana; Tomaso Montanari Apuane. Le ruspe cancellano i monti, Marco Rovelli
Apuane, centomila firme per salvare un bene comune. Altro ancora utilizzando il comando cerca
L’assessore regionale toscano all’urbanistica, pianificazione territoriale e al paesaggio Anna Marson ha tentato di mettere mano al far west delle cave con alcune norme contenute nel Piano paesaggistico regionale con le quali ha posto finalmente la questione di una regolamentazione e ha immaginato un futuro possibile di riconversione produttiva. Questo piano, grazie alle larghe intese di fatto tra Pd e Forza Italia (ma il governatore Enrico Rossi non aveva detto che il suo era un governo di sinistra?), verrà approvato monco delle sue parti più importanti e innovative.