Firenze ha la sventura di essere la patria di auto-adozione del Senatore (di Scandicci) Matteo Renzi e in quanto tale vittima di una serie di leggi «ad civitatem» che purtroppo si estendono come disgrazie all’intera nazione.
Dobbiamo riconoscere che dopo il Dlgs 104 del 2017– che permetteva di modificare le VIA già effettuate in accordo tra proponenti e controllori, pro nuovo aeroporto di Firenze - dopo l’emendamento al Decreto Semplificazioni, sostanziato nell’art 57 che ingloba la VAS nella VIA (sempre pro aeroporto) era difficile fare di peggio. Invece con l’emendamento sugli stadi, approvato anch’esso nel Decreto Semplificazioni, Matteo Renzi ha superato se stesso e portato l’asticella ancora più in alto. L’emendamento è un misto di insipienza architettonica, di totale ignoranza del significato di “conservazione”, di aspetti ridicoli, come la possibilità di trasferire in altro luogo gli elementi di pregio ritenuti non più funzionali; e si conclude con delle bombe finali, che a primo acchito appaiono incostituzionali. Ma su ciò decideranno i giudici, se sarà fatto ricorso alla Corte.
L’emendamento è pensato per lo stadio Franchi di Firenze, realizzato agli inizi negli anni ’30, su progetto di Luigi Nervi, già manipolato a partire degli anni ‘90, con l’abbassamento del manto erboso, l’eliminazione della pista di atletica e incongrue tribune aggiuntive. Ora, è scritto nell’emendamento che a fini testimoniali si può procedere alla conservazione o riproduzione anche in forma e dimensioni diverse da quelle originali dei “soli specifici elementi strutturali, architettonici e visuali”. Che vuole dire che si può trasformare tutto e a piacimento, secondo una nuova categoria concettuale: l’ossimoro di una conservazione basata sulla trasformazione.
Con la ciliegina che elementi di valore, ma non più funzionali, possono essere trasferiti altrove. Ad esempio, l’ingresso monumentale dello stadio potrebbe essere appiccicato a un nuovo centro commerciale e le scale elicoidali potrebbero fare da corredo a qualche grande albergo di lusso come scale di sicurezza. Che ogni architettura di pregio, ogni monumento, sia da conservare nella sua integrità, organicità e nel suo contesto è un’idea certamente non nuova, ma evidentemente sconosciuta al Senatore.
Ci si domanda, poi, come nello stadio Franchi si possano distinguere gli elementi strutturali da quelli che non lo sono. Matteo Renzi, da Sindaco di Firenze, era spesso presente alle partite della Fiorentina. In quelle occasioni ha avuto la possibilità di guardare la struttura dello stadio, ben visibile dall’esterno, e di rendersi conto che tutto il complesso, comprese le tribune che hanno il compito di collegare tra loro i pilastri, ritti e inclinati, svolge un ruolo strutturale. Se vengono demolite le tribune non vi è più solidarietà tra i diversi elementi portanti. Forse si potrebbe, oltre alle già menzionate scale elicoidali, traslocare le torre di Maratona che ha una struttura autonoma e piantarla da qualche altra parte, a concorso.
Infine le due bombe. La prima: se il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali non comunica entro 60 giorni, prorogabili a 90, quali parti siano da conservare (trasformandole per forma e dimensione) e quali da demolire o asportare, il vincolo decade automaticamente. La seconda: “il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali tiene conto che l’esigenza di preservare il valore testimoniale dell’impianto è recessiva rispetto all’esigenza di garantire la funzionalità dell’impianto medesimo ai fini della sicurezza, della salute e della incolumità pubbliche, nonché dell’adeguamento agli standard internazionali e della sostenibilità economico – finanziaria dell’impianto. La predetta esigenza prevalente rileva (?) anche ai fini delle valutazioni di impatto ambientale e di compatibilità paesaggistica dell'intervento.”
In sintesi, nell’emendamento viene reinterpretato l’articolo 9 della Costituzione dove è scritto che la Repubblica tutela il patrimonio storico-artistico della Nazione. Innumerevoli sentenze della Corte di Cassazione hanno ribadito che l’interesse della tutela è prevalente rispetto a interessi economici e funzionali. La recessività della tutela rispetto ad altri interessi non può essere generalizzata, ma deve essere valutata caso per caso, dimostrando che esistono imprescindibili necessità di salvaguardia della salute pubblica, della sicurezza, o altre forti motivazioni; e che non è possibile costruire altrove un manufatto sostituivo di quello che si vuole radicalmente trasformare. Ci si domanda perché l’attuale Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, il buon Dario Franceschini, non abbia niente da eccepire rispetto a questo autentico attentato al “patrimonio storico-artistico della Nazione” e a questa indebita interferenza nelle sue competenze ministeriali.
Una considerazione finale: non si comprende perché l’emendamento eversivo debba riguardare solo gli stadi e non qualsiasi manufatto vincolato. Applicato alle chiese si potrebbero eliminare tutte le pareti e le coperture non portanti. Esteso a Venezia si potrebbero distruggere tutte le facciate che danno sul Canal Grande che, come è noto, non hanno alcuna funzione strutturale. In una parola, l’epidemia fiorentina potrebbe estendersi a tutta l’Italia.
Corriere Fiorentino, 9 luglio 2016
Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato una serie di modifiche alla LR 65/2014 sul Governo del territorio. Le modifiche sono state presentate come ‘tagliando di manutenzione’, recepimento di semplificazioni presenti nelle norme nazionali’, ‘rafforzamento della filiera istituzionale’, oltre che finalizzate a rendere l’‘agricoltura più facile’, dichiarando che esse non intaccano comunque i pilastri della legge, che rimane la più avanzata in Italia per quanto riguarda le misure di prevenzione del consumo di suolo.
Convengo su quest’ultima valutazione. Anche a valle delle modifiche intervenute, la legge 65/2014 rimane l’unica legge vigente, in Italia, ad affrontare seriamente il tema del blocco del consumo di suolo. Così seriamente che si è sentita l’esigenza di “alleggerirla”.
Dissento invece sulla comunicazione che si sia trattato di un intervento di sola “manutenzione”. La modifica era stata in effetti avviata con questa intenzione, per correggere alcune incongruenze prodotte da emendamenti approvati all’ultimo minuto, e per recepire nuove norme nazionali in materia di edilizia e appalti.
Strada facendo, tuttavia, le proposte di modifica si sono allargate, ed è passato il segnale, politico, che alcuni interessi potevano ottenere risposta. Mi sembra pertinente ricordare, in proposito, che la legge 65 è stata a suo tempo approvata dall’intera coalizione di centro-sinistra al governo, e con il contributo anche della sinistra esterna alla maggioranza, al termine di un apio processo di consultazione e partecipazione. Questa legislatura è radicalmente diversa, con il PD solo al comando grazie al consistente premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale regionale, che può decidere senza confronto quali interessi soddisfare. Il tutto con una curiosa desistenza del centro-destra, nel voto a queste modifiche, spiegabile soltanto con qualche accordo implicito al riguardo.
Nel merito delle modifiche intervenute: i ‘pilastri’ che reggono l’impianto della legge sono in effetti ancora in piedi, come dichiarato da più esponenti del PD, ma le rosicchiature di fattispecie di trasformazioni e di parti di territorio “liberate” dalla legge sono state numerose, con effetti che potremo concretamente verificare soltanto nel tempo a venire.
Le principali riguardano l’indebolimento della cosiddetta “filiera istituzionale” faticosamente ricostruita dalla LR 65, ovvero la verifica congiunta fra Comuni e Regione delle trasformazioni più rilevanti, con procedure capaci di garantire adeguata informazione ai cittadini, in tempo utile per poter intervenire nei procedimenti.
D’ora in poi (per le modifiche è stata richiesta l’entrata in vigore urgente) una serie di trasformazioni rilevanti saranno sottratte alla conferenza di copianificazione, o comunque approvate con procedure semplificate. Ad esempio, le grandi trasformazioni in territorio rurale presentate dalle aziende agricole, anche con perdita delle destinazioni d’uso rurali, saranno di esclusiva competenza comunale se insistono su un territorio classificato dai Comuni stessi come urbanizzato. Ancora in territorio urbanizzato, si potranno spostare con semplici varianti semplificate nuovi volumi da un quartiere all’altro, da una frazione a un’altra distante anche molti chilometri, senza consultazione preventiva né dei cittadini né della Regione.
Nel territorio rurale, dove la semplificazione degli atti necessari agli agricoltori per esercitare la propria attività era stata una delle innovazioni principali introdotte dalla legge 65, le modifiche ora intervenute consentono la trasformazione dei nuovi annessi agricoli in residenze per gli agricoltori, operazione puramente funzionale a ulteriori cambi di destinazione d’uso, avendo gli agricoltori già diritto per legge a un’abitazione rurale. Perché ora tradire il patto d’onore stretto a suo tempo a questo riguardo con le rappresentanze degli agricoltori?
E così via con altre modifiche che vanno in direzione analoga, come quella di ammettere il frazionamento dei sottotetti recuperati all’uso abitativo senza aumento degli standard urbanistici pubblici, gravando così sugli utenti dei servizi già esistenti.
Infine, le modifiche congiunte alle leggi sul governo del territorio e sulle opere strategiche attribuiscono alla sola regione il potere di decidere gli ampliamenti delle opere esistenti. Questo processo di centralizzazione delle decisioni, per produrre scelte più efficaci, dovrebbe obbligatoriamente essere accompagnato dall’attivazione di azioni partecipative con una approfondita discussione pubblica delle alternative. Purtroppo la non attuazione del dibattito pubblico previsto dalla legge regionale sulla partecipazione per le grandi opere e dallo stesso PIT per quanto riguarda l’ampliamento dell’aeroporto di Firenze non fa sperare nulla di buono al riguardo.
La beffa, in questo caso, è data dal fatto che sia le misure di contrasto al consumo del suolo che l’introduzione del dibattito pubblico obbligatorio per le grandi opere sono attualmente due temi presenti anche sull’agenda del governo nazionale. Saprà la Toscana non perdere il proprio primato non solo teorico, ma anche d’azione, al riguardo?
Vendita dei beni immobiliari pubblici: laRegione Toscana inverta la rotta. Appello a Enrico Rossi presidente della Regione, del Nodo toscano della Società dei Territorialisti/e. Rivista SdT online, 24 febbraio 2016
Il Fatto quotidiano online, blog "Alle porte coi sassi, 18 febbraio 2016
La notizia della svendita di parte del patrimonio pubblico della Regione Toscana, annunciata dal presidente Enrico Rossi nei giorni scorsi, non ci ha colti di sorpresa. Ormai conosciamo le pratiche del centro sinistra, Pd in testa: privatizzare, svendere, controllare il sottogoverno sociale, impedire che i cittadini possano esprimersi attraverso le forme istituzionali loro riconosciute, come nel caso del recente annullamento del referendum sulla Sanità regionale.
Con ostentata indifferenza la Giunta, nella speranza di rimpolpare le casse regionali e di continuare a coprire le proprie incertezze amministrative, vedi, per esempio, il grave ammanco dell’ASL di Massa di 400 milioni, vorrebbe sbarazzarsi di un ingente e prezioso patrimonio storico architettonico del valore di circa 650 milioni. Sono decine e decine di immobili di proprietà della Regione e delle asl. Accanto a un patrimonio minore, che comunque potrebbe essere riutilizzato socialmente con interessanti forme di autorecupero e autocostruzione, troviamo complessi architettonici di indiscutibile valore monumentale e paesaggistico.
La Regione, in perfetto stile managerial-immobiliare, ha anche messo a punto una mappa interattiva del patrimonio pubblico in vendita. Invitiamo a consultarla per rendersi conto della consistenza e della qualità dei beni messi a disposizione del mercato speculativo.
Firenze potrebbe perdere alcuni suoi gioielli tra i quali Villa Fabbricotti con annesso parco sulla collina di Montughi, parte del Parco di San Salvi, l’ex ospedale Meyer, Palazzo Bastogi a due passi da Piazza Duomo, le Poste Nuove di Michelucci, Villa La Quiete, vera e propria Villa Medicea sulle suggestive colline di Careggi, nonché gli ex ospedali di Fiesole e gli ex sanatori sulle colline di Monte Morello.
Pistoia, neo Capitale della cultura 2017, potrebbe rimetterci l’ex Ospedale del Ceppo, vanto della cultura storico architettonica della città. In pericolo è anche l’ex Ospedale psichiatrico delle Ville Sbertoli. Qui si apre un caso interessante, emblematico dei rapporti tra Regione e comunità locali. Il Regolamento urbanistico pistoiese, facendo proprie le conclusioni del percorso partecipativo, ha destinato l’area a funzioni pubbliche escludendo esplicitamente alberghi e residenze speculative.
Cosa pretende Rossi quando afferma che “intendiamo discutere con i Comuni della destinazione d’uso degli immobili”? Imporrà i suoi diktat alle comunità locali? Le amministrazioni comunali e gli abitanti dei luoghi coinvolti saranno in grado di impedire lo scippo del patrimonio collettivo? Questa è una partita che si giocherà nei prossimi mesi e che potrà verificare la tenuta delle autonomie locali.
Un’operazione analoga coinvolgerà Lucca per la quale è prevista la svendita dell’ex Ospedale del Campo di Marte e dell’ex Ospedale psichiatrico di Maggiano, sì, proprio quello delle “Libere donne di Magliano” di Mario Tobino, attuale sede della Fondazione intitolata allo scrittore.
La fallimentare esperienza della costruzione dei quattro nuovi ospedali regionali ha liberato quindi le vecchie sedi che, prontamente, sono state poste in vendita per tentare di ripianare i conti in rosso del project financing ospedaliero. Accade anche a Massa, a Prato, ed anche a Grosseto, a Pisa e ad Arezzo, dove è stato messo in vendita anche l’ex Ospedale psichiatrico, quello in cui Petrella e Basaglia hanno dato vita a interessanti forme di innovazione scientifica e sociale. La svendita degli ex Ospedali psichiatrici toscani è anche segno di una incapacità programmatica assai grave.
L’elenco potrebbe continuare ancora, ci fermiamo per non irritare ulteriormente il lettore. Forse non è ancora chiara la portata dei provvedimenti della Giunta regionale, cui si affiancano anche le alienazioni delle Province e dei Comuni: stanno disarticolando la tenuta del territorio con interventi che da un lato banalizzano e fagocitano la storia collettiva che in questi luoghi si è sedimentata e, dall’altro, ne allontanano le prospettive di riqualificazione urbana.
Ancora una volta questa politica non si smentisce: rinuncia al proprio ruolo di custode dei “beni comuni” e, cinicamente, dilapida un ricco patrimonio collettivo, testimonianza della paziente e profonda trama di relazioni delle comunità locali. L’alienazione di questi beni è quindi un’operazione di distruzione di questa ricchezza territoriale e di ulteriore diffusione di degrado ambientale e sociale.
Parafrasando le dichiarazioni di Rossi, possiamo affermare che è nostra intenzione quindi “procedere ad una chiamata per verificare se c’è interesse” a difendere “l’ampio patrimonio immobiliare” mal utilizzato di cui disponiamo, ed auspichiamo che ad ogni immobile corrisponda un gruppo, una associazione, un centro sociale, un comitato di cittadini in grado di contrastare questi progetti e di affermare un percorso politico centrato sul bene comune.
Non possiamo non sollecitare l’intervento della Rete Toscana dei Comitati, della Società dei Territorialisti, delle Università, a difesa della integrità del patrimonio regionale.
L’auspicio è che la mappa della speculazione, così come proposta da Rossi & C., possa ben presto diventare la mappa della riappropriazione e della cura dei territori in cui le comunità sono insediate.
Come perUnaltracittà daremo il nostro contributo.
Il Tirreno, 12 giugno 2015
Piano del paesaggio. Tutta fatica sprecata? «Ancora è presto per dirlo. Sicuro è però che il governo si sta muovendo purtroppo a prescindere dai piani paesaggistici con la conseguenza di svuotarne almeno in parte l'interesse e l'efficacia», racconta preoccupata l'assessore all'urbanistica uscente Anna Marson. Sembra lontano anni luce l'accordo di co-pianificazione firmato l'aprile scorso dal presidente Rossi assieme al ministro della cultura Franceschini. E le manovre in corso nella capitale e il rallentamento del turnover in Regione potrebbero far evaporare nel nulla le lunghe notti del precedente consiglio regionale, del governatore e dell'assessore Maison per trovare un accordo sull'atto centrale della legislatura.
Più semplice costruire
L'assessore però ci tiene a precisare che «razionalizzare e in parte anche semplificare le procedure di autorizzazione paesaggistica è importante e auspicabile, purché sia condizionato alla presenza di piani paesaggistici elaborati insieme al Ministero peri beni culturali. In assenza dei piani, ben vengano le semplificazioni per i soli interventi privi di rilevanza paesaggistica. Ma potrebbero essere semplificate le procedure perla costruzione di impianti geotermici. La realizzazione della centrale di Casole d'Elsa potrebbe ripartire. E si parla anche di maggiori facilitazioni per realizzare porte-finestre negli edifici dei centri storici.
La modifica dei Titolo V
C'è poi l'altra grana della modifica al Titolo V della Costituzione, arrivata alla terza lettura in Parlamento, dunque a buon punto. «Rendere tutte le leggi regionali- dice Maison - soccombenti rispetto alle norme statali in materia, perché lo Stato torna ad essere l'unico decisore nel governo del territorio scalzando le Regioni.«Si tratta di una prospettiva che, oltretutto, rischia di svilire gli importanti percorsi di concertazione che in Regione Toscana hanno portato ad esempio all'approvazione della legge 65/2014 in materia di governo del territorio, che sul consumo di suolo è l'unica a prevedere finora misure di serio contrasto».
II blocco dei turn-over
Almeno, non il Rossi in cui avevano sperato gli (ormai ex) elettori Pd che (come me) ritengono la svolta renziana una irreversibile mutazione genetica. Non il Rossi che si era presentato come un'alternativa, e che giorno dopo giorno è invece meno distinguibile dagli imbarazzanti vassalli toscani del premier-segretario.
La spia più impressionante di questa precipitosa omologazione è la trasformazione del linguaggio di Rossi, un tempo gentile e quasi timido, oggi intriso dall'inconfondibile arroganza renziana. Nelle ultime ore questa inedita violenza verbale si è appuntata su Anna Marson: sua attuale assessore e autrice principale di quel Piano del Paesaggio che è uno dei principali risultati della Giunta uscente.
La Marson ha la colpa di aver notato che il programma di Rossi è singolarmente reticente proprio sul paesaggio, e di aver dunque espresso la sua preoccupazione per ciò che succederà al Piano e soprattutto al paesaggio da lunedì in poi. Come spiega la Marson in questa nota diffusa dall'Ansa (ma ignorata dalla stampa toscana di oggi) Rossi avrebbe potuto creare subito l'Osservatorio (aperto anche alle associazioni) previsto dal Piano, ma ha preferito rimandare alla prossima legislatura: un pessimo segnale. Perché è evidente che il Pd toscano neorenziano, che ha provato in tutti i modi ad affondare il Piano (ed ha dovuto mandarlo giù solo perché Rossi avrebbe completamente perso la faccia), si appresta ora a smontarlo pezzo a pezzo. E a livello nazionale, il partito che ha varato lo Sblocca Italia ha fretta di liquidare quell' intralcio 'ambientalista' ereditato da un passato di sinistra che si vuol archiviare più in fretta possibile.
Se le cose non stessero così, Rossi avrebbe fatto di Anna Marson – cioè del suo lavoro, e del suo rapporto con le associazioni e i comitati di cittadini che lottano perché la Repubblica tuteli davvero l'ambiente (come prescrive l'articolo della Costituzione che dà il titolo a questo blog) – una bandiera elettorale. Così non è stato, perché nel frattempo – come è detto in un appello elettorale firmato anche da chi scrive – «il Pd toscano ha subìto una profonda mutazione genetica, ed Enrico Rossi non ha più alcun margine di indipendenza politica dalla linea di Matteo Renzi. Quel modello è finito».
Alla vigilia del voto, le dichiarazioni della Marson rischiano di fornire ai cittadini toscani un prezioso elemento di conoscenza: qualcosa di rivoluzionario, in una campagna elettorale singolarmente vuota di contenuti, sottotono, quasi al cloroformio. Da qui la reazione scomposta del segretario del Pd toscano (il brutale Dario Parrini), il quale si è ben guardato dal rispondere nel merito, ma ha accusato la Marson di «infelici speculazioni elettorali» (e non si capisce a pro' di chi, visto che la Marson non è candidata né sostiene alcuna lista). Ma è stato Enrico Rossi a rilasciare la dichiarazione più inquietante: «Il Piano è mio, Marson può stare tranquilla». No, caro Rossi: il Piano non è tuo. È dei toscani, è degli italiani. E dopo il «ghe pensi mi» berlusconiano, e l'uomo solo al comando renziano, in tanti speravamo proprio di non sentirti mai dire una cosa del genere.
Il programma elettorale del Pd toscano è #paesaggiostaisereno. Toscani avvisati, mezzi salvati
La città invisibile, maggio 2015
La legge nazionale
«Un testo sbagliato – affermava Vezio De Lucia all’assemblea della Rete dei comitati per la difesa del territorio (Firenze, 9 maggio) – complicatissimo, di ripetute e concatenate scadenze, denso di concerti, di diffide e di labilissimi poteri sostitutivi, di improbabili divieti e incentivazioni di nuove inverosimili nomenclature, anche perché non usa la lingua dell’urbanistica ma quella dell’agricoltura: viene da piangere pensando alla lingua limpida e lucida della legge del 1942».
Si tratta in effetti di una normativa che non promette niente di buono. Innanzitutto per il meccanismo a cascata nel quale il Ministro dell’agricoltura, di concerto con quello dell’ambiente, stabilisce le quote annuali di suolo ancora edificabile («la riduzione progressiva, in termini quantitativi, di consumo del suolo a livello nazionale», art. 3, c. 1); tali quote sono poi ripartite tra le regioni, le quali a loro volta le suddividono (come?) tra i comuni. A questo punto sono passati tre anni. E se le regioni non sono riuscite a rendere cogente la «ripartizione» sarà il presidente del consiglio dei ministri a provvedere d’imperio alla spartizione del bottino (art. 3, c. 2).
Ma cosa succede intanto in questi tre anni? Le norme transitorie ricordano lugubremente l’ “anno di moratoria” post Legge Ponte (1967) che costò all’Italia milioni di metri cubi di cemento: l’art. 10 del DdL, pur affermando che non sarà consentito nuovo consumo di suolo, fa salva una serie di interventi, di procedimenti in corso e di strumenti attuativi «adottati» prima dell’entrata in vigore della legge (e un’adozione, si sa, non si nega a nessuno).
Se non si salvano i centri storici, non va meglio al territorio rurale. I «compendi agricoli neorurali periurbani» (avete letto bene, “compendi”, forse dall’inglese “compound”, recinto), previsti nell’art. 5, sono incentrati sulla trasformazione dell’edilizia rurale (fino alla sua demolizione e ricostruzione) di cui è previsto, in conformità con gli strumenti urbanistici, il cambio di destinazione d’uso (comma 5) in servizi turistico-ricettivi, medici, di cura, ludico-ricreativi etc. Da una legge dei ministeri di agricoltura e ambiente ci si doveva aspettare invece la definizione dell’estensione e dell’uso dei terreni coltivati dal detto “compendio”, di quale tipo di agricoltura vi dovesse essere esercitato. Perché il consumo di suolo si attua anche attraverso la monocoltura agroindustriale, le piscine o i campi da golf, che costituiscono la negazione della neoruralità che l’articolo afferma di perseguire. La neoruralità, l’accesso universale alla terra e il suo uso rispettoso necessitano invece di misure che favoriscono l’agricoltura contadina, e di una sapiente ripartizione del demanio agricolo, non della sua vendita al miglior offerente.
La legge regionale
A livello nazionale si ignora o volutamente si trascura l’esempio toscano che, quanto al blocco del consumo di suolo, dimostra una potenziale efficacia, esposta tuttavia al rischio di essere travolta: qualora infatti il DdL agro-ambientale fosse approvato, la ridefinizione in corso dell’art. 117 della Costituzione (e in particolare del terzo comma che norma la competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni) «obbligherà la Toscana al rispetto di quelle inconcludenti e devastanti procedure» (De Lucia).
Solo un colpo di reni da parte della politica potrebbe stavolta smentire il peninsulare destino che fa prevalere, nella molteplicità delle soluzioni
Riferimenti
Vedi qui la snella ed essenziale proposta legislativa di eddyburg.Un più ampio panorama della posizione di eddyburg sull'argomento è in questo articolo.
«All'assemblea della Rete dei comitati per la difesa dell'ambiente, Vezio De Lucia denuncia: "Il governo lavora a una legge che bypassi le normative regionali". A rischio gli innovativi provvedimenti della Regione Toscana. Asor Rosa: "Si restringono gli spazi di democrazia, a tutti i livelli"». Il manifesto, 10 maggio 2015
La rivelazione dell’esperto urbanista strappa il velo dell’ipocrisia di un Pd che, fino all’ultimo, aveva cercato di sterilizzare le prescrizioni adottate da Anna Marson per tutelare “dinamicamente” la carta d’identità presentata dalla Toscana nel mondo. “Noi abbiamo apprezzato le novità legislative apportate dalla giunta di Enrico Rossi grazie al lavoro dell’assessore Marson – tira le somme Alberto Asor Rosa – ma la legge urbanistica in discussione a Montecitorio nega i risultati ottenuti, anche grazie al lavoro fatto dai comitati, dai provvedimenti regionali”.
Questo basta e avanza, osserva Asor Rosa, per denunciare il progressivo restringimento degli spazi di democrazia, a tutti i livelli. E per rivendicare l’importanza del neo ambientalismo non di élite intellettuali ma che parte e si sviluppa “dal basso”. Nelle forze vive di una cittadinanza attiva che si mobilità, approfondisce, segnala le criticità, e propone soluzioni alternative per una vivibilità sempre da riconquistare, di fronte alla filosofia delle “grandi opere inutili” terribilmente impattanti per l’ambiente e per la salute dei cittadini.
A riprova, la Rete continua a denunciare alcune “criticità epocali”. Dal nuovo aeroporto incastrato tra Firenze e altre città come Prato, Sesto Fiorentino e Campi Bisenzio, imposto per compiacere interessi privati e sotto la regia del braccio destro di Matteo Renzi, Marco Carrai. Poi un sottoattraversamento fiorentino dell’alta velocità “assurdamente inutile”, dai costi che volano nel silenzio delle istituzioni; con rischi ambientali altissimi, e con continue traversie giudiziarie che ne evidenziano i limiti. E ancora un’autostrada tirrenica che impatterà pesantemente sul territorio maremmano, ancora in equilibrio fra ambiente e operosità dell’uomo. Infine il maxi inceneritore di Case Passerini alle porte del capoluogo, contestato da anni ma sempre difeso prima da Ds e Margherita, poi dal Pd.
La città invisibile, 15 aprile 2015
A dispetto di quanto affermano gli scomposti attacchi del partito unico delle cave e del cemento, che aggrega Forza Italia al PD, siamo dell’opinione che l’assessorato di Anna Marson lascerà di sé, in Toscana, perlomeno un “buon ricordo”: in effetti, per l’intero quinquennio 2010-2015, l’operato dell’assessore regionale all’urbanistica ha fattivamente opposto resistenza al disfacimento che da anni caratterizzava il governo del territorio toscano. Ma quale ne sarà il destino?
Ricordiamo in breve com’è andata. Una corposa percentuale di voti “di protesta” in favore di un partito (ormai defunto) radicalmente diverso dal PD ma ad esso coalizzato, impone a Rossi un personaggio “di rottura” in giunta: Anna Marson, prof di urbanistica allo IUAV, si trova così a prendere – con soddisfazione dei comitati – il posto che fu del piddìno Riccardo Conti (assessore decennale di cui sì, è serbata pessima memoria, basti rammentare l’inqualificabile campagna divulgativa dell’autostrada tirrenica). È un cambio epocale, ma su di esso grava dal primo istante l’ombra lugubre della scissione dell’assessorato contiano: le infrastrutture e i trasporti vanno a Ceccobao (sindaco di Chiusi, comune del senese distintosi allora per non aver redatto il proprio piano strutturale) che, in seguito alle indagini sul Monte dei Paschi, sarà sostituito dall’aretino Ceccarelli; alla prof restano le competenze dell’urbanistica, della pianificazione del territorio e del paesaggio.
Temi – territorio e paesaggio – al centro degli strumenti normativi che la Marson lascia in eredità alla regione: la legge regionale di governo del territorio e il piano paesaggistico.
La Legge regionale 65/2014, Norme per il governo del territorio, assumendo come non più ecologicamente e socialmente sostenibile la crescita dell’urbano, e prendendo atto della disfatta dei sindaci plenipotenziari di fronte alla bolla edilizia, blocca l’espansione urbana e concentra l’attenzione sulla cura della città e del territorio, sull’incremento delle pratiche partecipative alla definizione delle scelte di governo territoriale, sull’interdipendenza delle comunità locali nel quadro della pianificazione sovracomunale. Il contenimento del consumo delle terre fertili è garantito dall’innovativa perimetrazione delle aree urbanizzate che definisce con perentorietà città e campagna: ogni nuova edificazione residenziale al di là della “linea rossa” sarà interdetta, e ulteriori progetti per insediamenti produttivi e per grandi strutture di vendita costituiranno oggetto di verifica di conformità alle previsioni del Piano di Indirizzo Territoriale (art. 25). Attualmente, nell’anno internazionale del suolo, la legge è ferma, impugnata (proprio sull’appena citato articolo che impedirebbe la libera concorrenza commerciale) dalla direzione legislativa della presidenza del consiglio. Ne abbiamo già scritto, ma dovremo tornarci in conclusione.
Il Piano Paesaggistico nasce dalla revisione del precedente piano (firmato Conti) la cui evidente inefficacia fu stigmatizzata dal ministero dei beni culturali che, nel settore paesaggio, copianifica con la Regione: a fine 2010 se ne rende necessaria la riscrittura. Il piano del paesaggio, come prevede il Codice dei Beni Culturali, è sovraordinato alla pianificazione generale: ciò lo rende uno strumento tanto importante quanto temibile. Redatto dalle università toscane con il coordinamento scientifico di Paolo Baldeschi, il nuovo piano avrebbe potuto essere un dispositivo normativo all’avanguardia se la squadra PD-FI non ne avesse stemperato la cogenza a colpi di emendamenti e «imboscate», anche personalmente dirette all’assessore Marson, che rendevano possibile la riapertura delle cave in aree protette sopra i 1200 m, la costruzione edilizia non temporanea sugli arenili, e che rendevano opzionale la prescrittività delle “criticità” (ossia: se il PP segnala come criticità l’edificazione in aree a rischio idraulico, il comune può decidere, oppure no, di seguire la prescrizione regionale a non edificarvi). Il cosiddetto “maxiemendamento” – stilato di gran fretta, a Roma, da Rossi e dal ministro Franceschini – ha riportato il piano, approvato in maniera rocambolesca e all’ultimo tuffo, a un livello di civile qualità pianificatoria seppur abbia perso di incisività ad esempio riguardo all’escavazione industriale del marmo apuano.
Al di là degli indeboliti disposti normativi, si tratta di un atto di pianificazione che, finalmente, non contrappone ambiente a lavoro, ma interessi collettivi a interessi privati «finalizzati al profitto mascherato da occupazione e sviluppo», come afferma l’assessore. Il piano paesaggistico, costituito anche da un apparato conoscitivo ricco e articolato che potrà riversarsi nei piani strutturali, assicura perciò, in futuro, un diffuso incremento qualitativo nella pianificazione comunale. Il documento dà adito inoltre a una progettualità che crediamo sia necessario mettere a frutto localmente (e dal basso, magari) nei prossimi anni.
In entrambi gli atti – la legge e il piano – il superamento dell’idea meccanicista del territorio come supporto inerte risulta compiuto: il paradigma adottato dai due strumenti è di chiara matrice ecologista. L’attribuzione, “territorialista”, di valore culturale all’ambiente rurale è assicurata dalla definizione di «patrimonio territoriale» quale «insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future» (LRT 64/15, art. 3). Il richiamo alla «promozione» e alla «garanzia di riproduzione del patrimonio» e dei paesaggi regionali, quale bene comune territoriale, conferisce un’accezione genetico-evolutiva ai futuri atti di pianificazione.
All’orizzonte, tuttavia, molti sono gli ostacoli. Da una parte, un panorama legislativo nazionale avverso, che mira all’erosione degli spazi democratici nel governo del territorio: basti citare lo “Sblocca Italia” i cui contenuti deformano irrimediabilmente la materia urbanistica che peraltro la riscrittura dell’art. 117 della Costituzione trasferirà in potestà esclusiva allo Stato. Dall’altra, entra invece in gioco l’«asse Firenze-Roma» (l’ombrosa citazione è tratta dal programma elettorale di Nardella). A Roma, Renzi impedisce l’avvio della legge toscana, la prima in Italia contro il consumo di suolo, riconfermando la scelta miope di un’economia nazionale fondata sul mattone e sulla speculazione finanziaria nell’edilizia. Localmente, il partito unico del cemento mira alla privatizzazione dei beni territoriali più rari, Rossi essendo sempre meno autonomo rispetto alla Firenze-Roma e sempre più debole nelle gestione dei suoi (come è stato evidente nella questione paesaggio). E poi: il sottoattraversamento TAV di Firenze, la questione portuale e aeroportuale (l’aeroporto che scardina il progettato Parco della Piana Firenze-Prato), gli inceneritori, la geotermia, i rigassificatori, i quattro ospedali in project financing etc.
Insomma, in mezzo a questa «furia iconoclasta», cui gli assessorati della giunta Rossi (certamente quello all’ambiente) hanno dato il loro valido contributo, i prodotti del quinquennio Marson rappresentano un’importante costruzione civile e disciplinare dal carattere di eccezione; in merito alla loro applicazione o, addirittura, alla loro futura conservazione, tocca tuttavia affidarsi alla buona sorte. O perseverare nel far collettivamente pressione affinché essi restino, appunto, più di un “buon ricordo”.
Il manifesto, 15 aprile 2015
L’Italia è un paese dove non si smette mai di stupirsi. In bene, in male. Oppure, più semplicemente, per la sorpresa di accorgerci all’improvviso di quanto fino a quel momento non avevamo neanche sospettato. Faccio due esempi concreti, che riguardano da vicino il mondo dell’ambiente e del territorio, di cui da qualche anno ci occupiamo.
Si tratta di Enrico Rossi, presidente della regione Toscana; e di Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del consiglio, e ora, da pochi giorni, ministro delle Infrastrutture, al posto di quel Lupi, defenestrato da una (tutto sommato) modesta intercettazione.
L’uno, si dice, esponente della vecchia guardia postcomunista; l’altro, si dice, esponente dell’ala del Pd più vicina a Renzi. Ma queste differenze, ora, ai fini del nostro discorso, contano poco (mi pare).
Poco tempo fa, il manifesto ha pubblicato (il 2 aprile) un articolo, “I nazareni della Toscana”, in cui riassumevo le vicende relative all’approvazione in quella regione di un fondamentale Piano paesaggistico, considerandola (ad onta di qualche attenuazione in corso d’opera) «una grande vittoria». Appena qualche giorno dopo (5 aprile), interviene sul manifesto Enrico Rossi, appositamente (si direbbe) per condividere questo punto decisivo: «Anch’io sono d’accordo che la sua adozione sia stata una grande vittoria…».
Rossi sorvola (non a caso, purtroppo) sul fatto che quell’adozione sia il frutto del lavoro lungimirante e prezioso della sua assessora all’Urbanistica, Anna Marson, e che in seno al Consiglio le opposizioni più feroci a quell’approvazione siano venute da esponenti del suo partito, il Pd, spesso coalizzati con le forze di opposizione al suo governo regionale. Ma riconosce che una parte non irrilevante del merito sia di quelle forze ambientaliste, che hanno posto «al centro del dibattito e della ‘questione democratica’ i temi della partecipazione, della rappresentanza e [addirittura] dei beni comuni».
Veniamo al secondo caso.
Graziano Delrio è ministro delle Infrastrutture da un paio di giorni. Acquisto in edicola la Repubblica. In prima pagina uno strillo di notevoli dimensioni: «Delrio: basta Grandi opere. Solo lavori utili». Sospetto che si tratti di una di quelle amplificazioni giornalistiche, che servono solo a lanciare improvvidamente un caso. No: nell’intervista il concetto è ripetuto più volte, quasi a volerlo sottolineare, e in maniera inequivoca. Per fare un solo esempio: «…la nostra strada [rispetto al passato] è un’altra, con noi finisce l’era delle grandi opere e si torna a una concezione moderna. Dove le opere [non necessariamente grandi, come si vede] sono anche la lotta al dissesto idrogeologico, la mobilità urbana, le scuole».
Ohibò, che il ministro Delrio si sia iscritto nottetempo alla Rete dei comitati per la difesa del territorio, e io non ne abbia saputo nulla?
Il discorso sarebbe lungo, — mi piacerebbe, ad esempio, sapere quale senso attribuire alla definizione di «concezione moderna», cui Delrio si richiama, — ma io mi propongo qui di tracciarne solo alcuni lineamenti fondamentali.
La mia prima reazione, sulla base di una lunga esperienza, sarebbe: chiacchiere. Tanto più che in Toscana pendono sulla testa degli attori politici le imminenti elezioni regionali (31 maggio), e si sa che per qualche voto in più si è disposti a fare le affermazioni più sfrenate. Propongo per questa volta di seguire la strada opposta.
Pesano sul destino della Toscana (mi limito a questo ambito, che conosco meglio, ma non sarebbe difficile allargare la rassegna a una dimensione nazionale) almeno due “grandi opere”, da intendersi nel senso più classico ed esecrando del termine, esattamente quello che il ministro Delrio sembrerebbe aver esorcizzato in due parole nel corso della sua intervista: e cioè il Sottoattraversamento ferroviario di Firenze e la seconda pista dell’aereoporto fiorentino di Peretola.
Ambedue distruttive, inutili, dispendiose, fonte (come già si è dimostrato, e meglio si potrebbe dimostrare) di corruzione e persino di pesanti affarismi politici. La Rete dei comitati per la difesa del territorio possiede le competenze per dimostrare inequivocabilmente tutto questo, e persino per indicare, — e in molti casi ci sono, — soluzioni alternative. E non ho alcun dubbio che le altre Associazioni ambientaliste, a fianco delle quali è stata condotta la battaglia a sostegno del Piano paesaggistico, sarebbero ben liete di apportare il loro contributo a un’ipotesi del genere.
Invito il ministro Delrio, il presidente Rossi e, of course, il ministro Franceschini e il sottosegretario ai Beni Culturali Borletti Buitoni, ad un confronto faccia a faccia su queste tematiche e, più in generale, su questo indirizzo di governo: naturalmente pre-elettorale, perché questo gli conferisce un’importanza e un’autorevolezza, che in caso contrario si perderebbero.
In Toscana (come ovunque, del resto) le tematiche alternative sono altrettanto rilevanti di quelle due oppositive, su cui in precedenza mi sono soffermato: per esempio, il dissesto idrogeologico (appunto); una diversa impostazione della questione geotermica; le condizioni del trasporto ferroviario locale, che sono penose, e che il Sottoattraversamento di Firenze peggiorerebbe ancora.
C’è materia non solo per evitare errori clamorosi, anzi catastrofici. Ma anche per ridisegnare le caratteristiche di un diverso sviluppo regionale con “opere” (non necessariamente “grandi”) avvedute, sensate e lungimiranti.
Se è vero, come scrive Rossi, che «al centro della questione democratica ci sono i temi della partecipazione e dei beni comuni», è qui ed ora che lo si prova
La Nuova Sardegna, 10 aprile 2015
Il piano paesaggistico della Toscana è stato approvato. Dopo uno scontro che rispecchia lecontrastanti opinioni nel PD su questi temi. In una temperie sfavorevole alla custodia di valori screditati dalla crisi, e da provvedimenti come “SbloccaItalia”. Anna Marson è l'assessore all'urbanistica che si messa in mezzo, per impedire il tiro a segno di emendamenti allo strumento frutto di un lavoro accurato. Con l'obiettivo di non disperdere la ricchezza di una regione speciale, azionista essenziale dell'iconografia italiana celebrata nel Mondo. Il paesaggio conta. E a proposito di ricchezza è normale chiedersi se senza l'armonia che distingue le campagne tra Firenze e Siena ci sarebbero ad esempio quei vini preziosi.
Ci sono analogie con la Sardegna. Anche contro il piano paesaggistico voluto dal governo Soru ci sono state e ci sono ostilità. In fondo pesa il disorientamento nel dibattito a sinistra.
In effetti, in entrambi i casi si è configurato contro il piano un blocco bipartisan. In Sardegna ciò ha provocato addirittura la caduta di Soru. In Toscana sia l'ampia mobilitazione a livello sociale e culturale che l'intervento del Mibact, hanno consentito un recupero in extremis. L'argomento pretestuosamente usato in entrambi i casi è stato quello della contrapposizione tra tutela e sviluppo, mentre anche il caso sardo - raccontato di recente nel bel libro a cura di Edoardo Salzano, «Lezioni di piano» - evidenzia con chiarezza come ciò che si intendeva perseguire bloccando l'ulteriore edificazione della costa fosse un diverso modello di sviluppo, capace di mettere in valore lo straordinario patrimonio insediativo esistente nelle aree interne.
È possibile spiegare in sintesi perché il piano della Toscana può servire a consolidare la ricchezza di una regione già molto fortunata?
Anche la Toscana condivide la situazione di crisi in cui si trova oggi l'Italia, ed è oggetto di diverse acquisizioni da parte di gruppi finanziari globali. Decidere come comunità regionale ciò che si può fare perché qualifica il paesaggio e valorizza il territorio con ricadute positive, è in questo momento fondamentale. E va fatto con le regole e con l'esempio.
Le richieste di accomodamenti sono sembrate lontane dalla saggezza antica che ha originato il paesaggio toscano - il Buon governo negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti - e pure dal rigore della scuola urbanistica fiorentina.
L'affresco che illustra gli effetti del Buon governo rappresenta in realtà un progetto (a fronte di pratiche che anche allora non sempre erano virtuose), una sorta di "norma figurata", diremmo noi oggi, un progetto retto dai princìpi rappresentati nell'Allegoria: Giustizia, Sapienza, Concordia, Saggezza, Magnanimità ...e così via. Il Comune di Siena è rappresentato come il Bene Comune, dunque l'essenza dell'interesse collettivo. Interrogarsi su ciò dovrebbe essere sforzo costante delle istituzioni pubbliche.
C'è chi ha pensato di influenzare il dibattito per perpetuare privilegi nello sfruttamento di risorse che dovrebbero stare fuori dal mercato. C'è il tema delle cave ma non solo.
Certo, e questo atteggiamento è stato rafforzato dalla prossimità con le elezioni. Però la CGIL si è schierata dalla parte del piano. La CGIL sulle cave si è schierata con il piano condividendo il tentativo di garantire quanto più possibile la lavorazione in loco del materiale estratto, a fronte dell'esportazione di gran parte dei blocchi grezzi. Negli ultimi decenni i rapporti tra quantità estratte e posti di lavoro sono andati divaricandosi. Il tentativo con il piano del paesaggio è stato quello di socializzare almeno parte dei guadagni, riducendo i costi ambientali e paesaggistici. La Fillea ha condiviso l'ipotesi di evitare il consumo di suolo per promuovere la riqualificazione delle aree urbanizzate con interventi capaci di coniugare una maggior qualità dell'abitare con la qualità del lavoro impiegato per realizzare le opere.
Nel PD affiorano posizioni distanti dalla cultura ambientalista. Non è una novità che nella Toscana rossa si manifestino propensioni a ridurre le tutele del territorio, penso alla speculazione Fiat-Fondiaria a Firenze impedita da Occhetto nel 1989. Ecco l'utilità di sguardi vicini e lontani che si intrecciano. In questo caso l'intervento dello Stato attraverso il Mibact è servito a contenere lo stravolgimento del piano.
L'intervento del ministro, e della sottosegretario Borletti Buitoni, è stato decisivo. Nella mia esperienza il fatto che i livelli di decisione siano diversi è fondamentale per dare corpo ai principi di adeguatezza, interesse collettivo e sussidiarietà.
Il manifesto, 5 aprile 2015, con postilla
Ho letto con interesse il recente articolo di Asor Rosa (I nazareni della Toscana), che ricostruisce le ultime fasi d’approvazione del nostro piano del paesaggio. Anch’io sono certo che la sua adozione sia stata una grande vittoria; una scelta lungimirante, che ha messo al sicuro la Toscana e che rappresenta un passo avanti esemplare nella tutela dei beni culturali e paesaggistici, in grado di segnare la rotta per il resto del paese.
Asor Rosa intesta — con buoni argomenti — una parte del successo alla pressione mediatica e sociale. Petizioni, appelli di autorevoli intellettuali, interventi sulla grande stampa di associazioni come Italia Nostra, Fai, Legambiente e altri. Tutto vero e utile. Io stesso ho risposta a oltre 5mila lettere di cittadini preoccupati, che chiedevano garanzie e rassicurazioni. Tutto questo ha prodotto un concorso di idee e passione civile che ancora una volta pone al centro del dibattito e della «questione democratica» i temi della partecipazione, della rappresentanza e dei beni comuni.
Tuttavia un fatto resta indiscutibile: siamo l’unica Regione ad aver approvato il piano del paesaggio, in un dibattito a tratti aspro, ma con uno sforzo collettivo capace di andare fino in fondo.
E questo dopo un lavoro lungo quattro anni, che ha visto integrarsi università, uffici regionali, politica e rete dei comitati, in un inedito sforzo di ricomposizione tra quelli che Gramsci chiamava «intellettuali» e «popolo».
Avevamo anche il dovere di copianificare tutto con il Ministero e non ci siamo sottratti. Per me è stato un onore scrivere un emendamento che è stato condiviso dal Ministero e votato dal Consiglio regionale. Quello che sembrava un cortocircuito tra federalismo e centralismo si è rivelato un successo istituzionale, rispetto al quale i retroscena sui ’nazareni’ e le ’larghe intese’ appaiono davvero irrilevanti.
Il nostro piano rappresenta la conclusione di un percorso di leggi e interventi di governo del territorio, che hanno reso la Toscana una delle regioni più protette d’Europa. Leggi discusse e approvate nello stesso Consiglio ingiustamente messo in ombra dalle cronache. Mi riferisco allo stop all’edificazione in tutte le aree a rischio idraulico, al consumo zero di suolo, alla ripubblicizzazione delle cave Apuane, alla messa in sicurezza del sistema idrogeologico. Piuttosto che «relazioni pericolose» tra maggioranza e opposizione, nel corso dei mesi ho assistito a opposti estremismi: quello di chi voleva continuare ad avere le mani libere e di chi invece quello di chi voleva frenare ogni sviluppo.
Un paesaggio che è nato da secolare armonia tra lavoro e elementi naturali, vive e si rigenera solo nella salvaguardia di questa relazione, non nella sua scissione e separazione. D’altro canto la dialettica e la sintesi restano a mio giudizio la principale risorsa della politica. Una Toscana imbalsamata finirebbe per perdere la capacità di emancipazione e avanzamento sociale, che viene dai distretti produttivi, dalle reti infrastrutturali e dalla valorizzazione del capitale umano.
Nella nostra regione ci sono circa 200 mila disoccupati e ogni anno 6.500 ragazzi abbandonano gli studi. Dobbiamo costruire le condizioni per incentivare opportunità di lavoro e investimento produttivo. Non si può chiedere tutto alla rendita immobiliare o al turismo: sarebbe insostenibile anche sul piano ambientale. Occorrono lavoro, formazione, ricerca e produzioni di qualità. Come stiamo cercando di fare con infrastrutture e bonifiche sulla costa, da Piombino a Livorno fino a Massa.
Seguo e osservo con grande interesse quello che accade nella sinistra italiana e sono certo che la crisi dei corpi intermedi e dei partiti impone il dovere di allargare lo spettro della rappresentanza, della discussione e della decisione politica. Sono grato ai comitati di cittadini impegnati da anni nelle battaglie ambientali e civili.
Asor Rosa ha scritto che il voto è uno strumento di influenza democratica e dovrà essere usato con intelligenza, indirizzandolo verso i problemi e le soluzioni concrete. Credo che con il Piano del Paesaggio anche in Toscana possiamo contribuire alla ricomposizione delle forze progressiste e delle culture della sinistra. Ci sono tutte le premesse. Tra le molte possibilità anche il voto disgiunto, consentito dalle regole e dall’offerta politica. Esso rappresenta un’opportunità per tutti coloro che sono disposti a superare gli steccati davanti alla concretezza delle sfide.
postilla
Il presidente della Toscana ha indubbiamente svolto un ruolo di eccezionale rilievo nel «percorso di leggi e interventi di governo del territorio, che hanno reso la Toscana una delle regioni più protette d’Europa», e - secondo le cronache - è stato decisivo nel condurre il piano paesaggistico fuori dalle secche in cui i rappresentanti del "partito unico del cemento" lo avevano condotto. Benché zoppicante e reso più fragile il piano é stato approvato con la sua paziente mediazione. Ha ragione di essere soddisfatto del suo lavoro. Tuttavia il suo intervento contiene una inesattezza e una forzatura. Come "persona informata dei fatti" devo fare due osservazioni. Non è esatto affermare che quello della Toscana è il primo piano paesaggistico approvato. Nel 2006 è entrato in vigore (e lo è tuttora) il piano paesaggistica della Regione Sardegna, grazie all'iniziativa e alla costante azione del suo presidente Renato Soru. Ed è secondo me una forzatura affermare che nella vicenda del piano toscano si siano manifestati due «opposti estremismi», uno dei quali sarebbe «quello di chi voleva frenare ogni sviluppo». Eddyburg ha seguito con molta attenzione la vicenda, ma posizioni che volessero frenare "ogni sviluppo" non le abbiamo trovate. (e.s.)
Il manifesto, 15 marzo 2015
Le vicende che hanno portato in Toscana all’approvazione, quanto mai difficile e tormentata (nel penultimo giorno utile della legislatura!) del cosiddetto Piano paesaggistico regionale, meritano una riflessione che travalica i confini del caso specifico e s’allarga inequivocabilmente a una dimensione nazionale.
In estrema sintesi (quindi, anche con qualche inevitabile imprecisione). Il Piano paesaggistico è lo strumento che disciplina il governo del territorio: proteggendo più o meno caratteri e morfologia del paesaggio e dell’ambiente; disciplinando in forme più o meno chiare e definite il consumo del suolo, problema divenuto in questi anni in Italia drammatico, anzi, ormai sull’orlo della catastrofe.
Nel governo regionale toscano, a maggioranza Pd, e sotto la presidenza di Enrico Rossi, l’assessorato all’urbanistica, ricoperto da Anna Marson, tecnico di valore, docente nella facoltà di architettura di Venezia, ha iniziato da subito un minuzioso lavoro di studio e di definizione (con l’ausilio anche delle competenze espresse dalle principali università toscane), il quale ha portato più o meno nell’estate scorsa ad un testo giudicato unanimemente di grande valore ed efficacia. La supremazia decisionale della Regione sulle singole rappresentanze locali e un sistema di regole chiare e ineludibili ne costituivano il tessuto culturale e politico.
In questa lunga fase i rapporti fra la presidenza Rossi e le istanze ambientaliste sono state generalmente (anche se non uniformemente) buoni. La Rete dei comitati per la difesa del territorio, che allora presiedevo, ha avuto numerosi incontri con Rossi e la sua Giunta, credo con reciproco vantaggio. Tutto ciò si è allentato, fino a scomparire del tutto, dal momento in cui Rossi si è ricandidato alla presidenza della Regione con l’esplicito avallo di Matteo Renzi (ma non intendo stabilire rapporti troppo stretti da causa ed effetto tra le varie vicende narrate, le quali invece, come vedremo, si prestano a molteplici e contraddittorie interpretazioni).
Vengo rapidamente al dunque. Il Piano, dopo aver ricevuto numerosi riconoscimenti e approvazioni da parte delle forze che compongono l’attuale maggioranza, entra nella fase di discussione consiliare e del voto.
Emergono a questo punto le resistenze più acri e selvagge. A parte l’ostilità delle opposizioni in Consiglio, Fi e altri, in qualche modo scontate, gli interventi più distruttivi in materia di disciplina ambientale e regole e tutela del paesaggio, si manifestano tra le file del Pd. In numerose occasioni Pd e Fi ragionano e votano in maniera sorprendentemente identica.
Due concezioni dell’ambiente e del territorio, ma ancor più, due modi d’intendere la politica e la società (come ebbe a dire più tardi l’assessore Marson) si fronteggiano con dura chiarezza: non , come pretenderebbero gli avversari del Piano, fra una “idea di sviluppo” e “una che rifiuta lo sviluppo”, facendosi carico di un improbabile ritorno all’indietro; ma fra una politica sfacciatamente ancorata agli interessi privati e una che assume come proprio punto di riferimento gli interessi collettivi e i bisogni della cittadinanza; e dunque, a ben vedere, tra un modello di sviluppo ormai sterile e autodistruttivo e un diverso e innovativo modello di sviluppo (che è poi ovunque, e sempre di più, la vera posta in gioco dello scontro).
La battaglia è durissima, e a un certo punto sembra perduta. Rossi, inaspettatamente, la porta a Roma, dove trova un sostegno nel Mibact, e più precisamente nelle persone del ministro Franceschini e, in modo particolare, del sottosegretario Borletti Buitoni. Ma il Mibact non fa parte del governo di Matteo Renzi, i cui pasdaran nel consiglio regionale toscano hanno azzannato il Piano come lupi affamati? Mah… sì. Evidentemente non tutto corrisponde ancora a una logica rigidamente formale (questa considerazione determinerà una parte delle conclusioni).
Il Piano, ferito in più punti ma non svuotato, viene riportato in Consiglio regionale e approvato. Io la considero una grande vittoria, e vorrei che questo, nonostante tutto, sia posto alla base del ragionamento futuro.
Le considerazioni che vorrei fare sull’accaduto sono le seguenti.
La mobilitazione a difesa del Piano è stata imponente. Quando tutte le associazioni ambientaliste, talvolta divise da quisquilie o da ragioni di bandiera, si coalizzano, com’è accaduto prontamente questa volta, è difficile per chiunque far finta di niente. Questa unanimità di propositi ha trascinato con sé anche la grande stampa nazionale, oltre che i giornali amici per definizione come il manifesto. Questo spirito di coalizione (per restare nel vocabolario di questi giorni) andrebbe secondo me coltivato sempre di più.
Se si mette in campo un fronte come questo, nessuna battaglia ambientalista può esser considerata perduta in partenza. Vale per il presente, ma anche per il futuro. Lo dico per i molti compagni buoni combattenti ma troppo scettici.
L’amara lezione della serrata discussione sul Piano è che il Pd toscano sembra perduto a qualsiasi possibile motivazione di etica ambientalista e territoriale. Non solo, infatti, singoli consiglieri regionali iscritti a quel partito si dedicavano alle furibonde scorrerie di cui abbiamo detto. Ma nessuno degli organismi istituzionali di tale partito è mai intervenuto, come avrebbe facilmente potuto, per impedirle o almeno sedarle. Questo, di conseguenza, rappresenta il principale problema politico oggi in Toscana.
Prima, durante e dopo la fase di discussione delirante, di cui abbiamo parlato, il ruolo dell’assessore Marson è apparso decisivo. Nell’intervento pronunciato dopo il voto di approvazione, Anna Marson ha dimostrato di essere in grado di trasferire la propria sapienza tecnica e disciplinare in quel che lei stessa ha giustamente chiamato un atteggiamento «diversamente politico». Bisogna dire fin d’ora, con chiarezza e onestà intellettuali e politiche, che, se l’approvazione del Piano paesaggistico ora non è una burla, il ruolo dell’assessore all’urbanistica nella giunta regionale di domani, quale che essa sia, non può esser messo in discussione.
Infine. In Toscana si vota per le elezioni regionali a maggio. Dunque, esiste un corto circuito ravvicinatissimo fra gli avvenimenti che hanno riguardato l’approvazione del Piano in consiglio regionale e il voto del prossimo maggio. La Rete dei comitati non ha mai preso posizione a favore di questa o quella formazione politica in sede di voto, e penso che debba continuare a farlo (o non farlo, a seconda dei casi). Ma non riterrei disdicevole oggi che essa esprima una preferenza di massima a favore di tutte quelle formazioni che oggi si dichiarino per i valori del territorio e della salvaguardia e dello sviluppo dei beni ambientali. Constato che c’è in giro, in Toscana, sia a livello regionale sia a livello locale, una buona aria di lotta e di riscatto, che va aiutata e confortata.
Le questioni ancora pendenti sono del resto numerose e talvolta sull’orlo della catastrofe. Si pensi, per fare un esempio eclatante, alla sciagurata intrapresa, per dimensioni ed esiti, del sottoattraversamento ferroviario di Firenze, risolvibile in tutt’altro modo, come ormai tutti sanno, con spesa infinitamente minore e senza l’inevitabile debito contratto con la corruzione. Si voti per chi è contrario al sottoattraversamento. O contro la seconda pista all’aereoporto di Firenze. O è per la ragionevole soluzione dei problemi geotermici regionali, ecc. ecc. ecc.
Invece di chiacchiere, impegni concreti e facilmente individuabili e definibili. Se così accadesse, invece di una campagna elettorale a senso unico, — come sempre, dall’alto verso il basso, — ce ne sarebbe una bifronte. Si voti per chi s’impegna a fare le cose che noi chiediamo. Nessun impegno, niente voto. Così un eventuale Piano paesaggistico, o quant’altro di simile, correrà la prossima volta all’approvazione trionfalmente, senza gli ostacoli che ora abbiamo conosciuto, e come avrebbe meritato che anche questa volta accadesse.
Sul punto Pellegrinotti aveva pure presentato un’interrogazione a cui Marson ora risponde pubblicamente: «La Regione », dice, «non è mai ricorsa a consulenze esterne per il Pit. Il rapporto di collaborazione è stato instaurato con il Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio, che grazie a un accordo tra gli atenei toscani coordinato da Firenze ha attivato 25 assegni di ricerca, quattordici borse di studio e dieci incarichi messi a concorso con bandi pubblici e quattro borse del fondo “GiovaniSì”. I docenti non hanno avuto un soldo. Del milione e 124.400 euro di costi del Piano, oltre 1 milione è andato ai ricercatori».
Oltre che per la faccenda dei soldi Marson ammette di essere «molto amareggiata e affaticata» per la reazione suscitata nel Pd dal suo ultimo intervento in consiglio regionale. «Ho detto e ripeto che mentre noi e i tanti che hanno sostenuto il Piano eravamo impegnati per il bene collettivo chi ha osteggiato il nostro lavoro era mosso da interessi privati. Non è facile approvare un piano alla vigilia di una campagna elettorale, ci sono consensi da raccogliere nei territori e io questo lo capisco».
Lei, al contrario, non vede per se stessa un orizzonte politico. «Per ora nessuno mi ha chiesto niente», confessa. «Ho il mio lavoro di insegnante a cui tornare per fortuna, un lavoro che mi piace». Con Rossi giura che il rapporto si sia chiuso bene. «Si è impegnato molto e mi ha difesa, anche se è stata dura. Io però non credo di avere nulla da rimproverarmi, al di là dei miei difetti ce l’ho messa tutta».
Intervistata da Raffaele Palumbo a Controradio ieri Marson fa un bilancio del Piano “riveduto e corretto”:« Newsweek ha scritto che rispetto alla versione originale le regole sono state “watered”, un po’ annacquate e forse è vero. Ma restano comunque regole e tra pochi giorni arriverà la validazione del ministero dei Beni culturali. E avere regole certe fa comodo a tutti, ai cittadini e agli operatori delle imprese. A questo punto dobbiamo solo monitorare come il Piano sarà applicato. Intanto ringrazio chi lo ha votato anche senza far parte della maggioranza».
A illustrazione dell'articolo di Paolo Baldeschi inseriamo la commovente lamentazione di un autorevole rappresentante del PD toscano. Questa critica da destra dell'operato di Marson ci sembra interessante perché esprime bene l'ideologia (post-berlusconiana, si potrebbe dire) di quella parte politica. Il Tirreno, 31 marzo 2015
La Marson non è stata un buon Assessore. E’ stata artefice in 5 anni di due atti importanti come la modifica della Legge 1/2005 sull’urbanistica, (ora Legge 65 del 2014) e del Piano Paesaggistico. La prima è stata in gran parte modificata e il secondo è proprio lei a riconoscerlo parzialmente. La proposta di legge sull’urbanistica, ex 1/2005 era infarcita di principi ideologici e di complicazioni tali da far impazzire tecnici comunali, professionisti e tutta la gente normale, rendendo quasi impossibili le programmazioni urbanistiche locali e la realizzazione delle cose più semplici. Solo grazie agli emendamenti presentati dal Pd e dalle minoranze in commissione, è stato possibile approvare quel testo, rendendo gestibile nella pratica quella legge, che continua ad avere difetti proprio per l’impostazione con cui era partita. Sulle attività temporanee siamo dovuti ri-intervenire con una proposta di legge di cui io sono stato il primo firmatario, per raddoppiare i tempi delle concessioni e consentire di ampliare le stagione turistica per i balneari, e per le attività turistiche in genere.
Ardelio Pellegrinotti è segretario della 6ª Commissione Ambiente Regione Toscana
L'approvazione del Piano paesaggistico della Toscana è stata subita dal Pd, stretto tra l'intervento del Ministro Franceschini e dal Mibact e l'impossibilità di sfiduciare Rossi senza bruciarne la candidatura alle prossime elezioni regionali. Che sia stata subita 'obtorto collo', lo dimostra la valanga di recriminazioni, quando non di veri e propri insulti, che hanno seguito la dichiarazione in aula di Anna Marson, (pubblicata da eddyburg). Frasi come «lei sarà solo un brutto ricordo» , o «lei vincerebbe il nobel della stupidità politica» di tal Gianluca Parrini (da non confondersi con l'omonimo Dario) la dicono lunga sull'insofferenza e il rancore che covano nelle file della maggioranza. Sulla stessa linea (anche se con meno volgarità) Dario Parrini, segretario regionale del Pd, che ha imputato all'assessore Marson «accuse infondate e scomposte». In realtà l'intervento finale dell'assessore all'Urbanistica era stato intelligente, preciso e circostanziato quando aveva accusato una parte del Pd di avere continuamente tramato tranelli e imboscate e di avere più spesso tutelato gli interessi privati (aggiungo: i più retrivi) a scapito di quelli collettivi.
Ciò che colpisce nelle - queste sì scomposte - reazioni degli esponenti Pd è il fatto che invece di opporre a quelli dell'assessore argomenti nel merito, si sia scelta la strada delle urla e delle offese. Ma vi è una ragione in tutto ciò. Il Pd, nella sesta commissione regionale aveva sistematicamente, pervicacemente e in perfetto accordo con Forza Italia, demolito il Piano. Basta ricordare solo una delle tante modifiche proposte dalla commissione: «le criticità segnalate nel Piano sono valutazioni scientifiche di cui i Comuni possono non tenere conto». Vale a dire che se il Piano segnalava un'area come esondabile e con alto rischio per gli abitanti, di tale criticità i Comuni potevano infischiarsene, si intende per continuare a urbanizzare e piangere i morti. In effetti è difficile ribattere nel merito e difendere simili enormità, molto più facile la strada delle polemiche e delle invettive, tra cui spicca per originalità l'accusa rivolta agli intellettuali di tutta Italia intervenuti a favore di Marson di essere "ambientalisti in cachemire" e "a difesa del paesaggio cartolina".
Vi è tuttavia un disegno evidente nelle infondate reazioni dei maggiorenti o delle pedine dell'ex partito dei lavoratori, ex almeno in questo caso, come dimostra la 'battaglia' delle Apuane, dove la Cgil si dichiarava a favore del Piano e Ardelio Pellegrinotti (consigliere del Pd) si schierava, senza se e senza ma, con le ditte di escavazione - non un cenno critico sul clima di illegalità in cui queste hanno continuamente operato.
Le intenzioni per il futuro sono, come si evince dalle interviste rilasciate dal segretario Parrini, di nominare una giunta 'renziana', perché «il Pd non è quello di 5 anni fa». Rimane l'incognita di cosa significhi una giunta e un governo 'renziano', al di là della propensione irresistibile degli aspiranti consiglieri di saltare, salvo qualche lodevole eccezione, sul carro del vincitore. L'impressione è che Renzi stia trasformando il Pd in un "catch all party" (come era la vecchia DC), dove le realtà regionali agiranno e si comporteranno non in base a valori , bensì secondo le convenienze e le opportunità del momento e del luogo. Ma, comunque, attente a favorire uno 'sviluppo arretrato', fatto di grandi opere (non importa se inutili o dannose) e di sfruttamento delle 'risorse' qualunque esse siano o siano ritenute tali, dovunque esse siano - anche nei parchi e nelle riserve naturali, vedi appunto le Apuane.
«Il Consiglio regionale approva dopo una seduta rovente il provvedimento che regola spiagge, vigneti e territorio. L’accordo raggiunto grazie al ministero dei Beni culturali». La Repubblica, 28 marzo 2015
Quello delle cave era il punto esemplare della controversia. Da una parte chi difendeva il paesaggio delle Apuane. Dall’altra chi tutelava gli interessi di imprese e lavoratori che estraggono il marmo (ma la Cgil si è schierata per il piano). Nelle ultime settimane, sostenuti dal Pd e in particolare dall’ala renziana, sono stati approvati emendamenti favorevoli ai cavatori. Il presidente Enrico Rossi ha cercato di mediare, poi la trattativa si è spostata al ministero per i Beni culturali che deve ratificare il piano. Più volte la sottosegretaria Ilaria Borletti, che ha la delega sul paesaggio, ha avvertito i consiglieri toscani: se il piano non è conforme al Codice dei beni culturali, non l’approviamo.
Tre giorni e tre notti di discussione al ministero fra l’assessore, i tecnici regionali e i dirigenti del ministero (il direttore generale Francesco Scoppola, il capo dell’ufficio legislativo Paolo Carpentieri e Ilaria Borletti): ne è sortito un maxi emendamento che ripristinava — in parte — la versione originaria del piano. Oltre le cave un’altra questione controversa: gli interventi sulle coste e sulle spiagge. Alla fine si è stabilito che entro i 300 metri dalla battigia saranno ammissibili solo strutture mobili. Niente piscine («lasciatele alla Riviera romagnola», ha detto Rossi). Nella zona retrostante si potranno ampliare gli edifici esistenti del 10 per cento, solo per servizi alberghieri e turistici.
«Sul piano non c’è stato conflitto fra sviluppo e ambiente», ha detto Marson dopo il voto, suscitando l’ira di molti del Pd, «ma tra interessi collettivi e interessi privati». Marson, che ha denunciato “imboscate” durante il percorso del piano, ha ricordato di essere stata accusata di voler espiantare i vigneti (il piano cerca di limitare le grandi estensioni e tutelare le piccole) e di aver dato una consulenza al marito (Alberto Magnaghi, urbanista di fama, ha collaborato al piano gratuitamente come altri professori di tutte le università toscane). Ma il punto, ha insistito, è che il piano incarna un diverso modo di intendere lo sviluppo, al centro del quale c’è «la valorizzazione del patrimonio territoriale e paesaggistico nella costruzione di ricchezza durevole per la comunità». Ora il testo torna al ministero per il parere definitivo.
Il manifesto, 28 marzo 2015
Il via libera è arrivato all’ora di cena. Insieme alla certezza che il Piano del paesaggio della Toscana è tornato sui binari originari. Con un impianto all’avanguardia e di esempio per l’intero paese, studiato con certosina pazienza in quattro lunghi anni di lavoro dall’assessora Anna Marson, nella consapevolezza di dover comunque governare i fisiologici cambiamenti operati sul territorio dalla mano dell’uomo. “Il Piano – ha certificato Enrico Rossi — intende offrire una cornice di regole certe, finalizzate a mantenere il valore del paesaggio anche nelle trasformazioni di cui è continuamente oggetto”. Il consiglio regionale lo ha approvato con il sì dei 32 consiglieri di centro e di sinistra, e il no dei 15 di centrodestra.
Quanta fatica però. Anche se il ricandidato presidente regionale del Pd ne ha rivendicato la paternità (“è il mio piano, non quello del governo”), è fuor di dubbio che un intervento decisivo per sbloccare una situazione diventata kafkiana sia arrivato dal ministero dei beni culturali. La cui firma sul provvedimento è obbligatoria – già una volta il piano era stato rinviato al mittente – e che ha svolto, insieme a Rossi e alla stessa Marson, una vera e propria riscrittura del Piano. Mossa obbligata, dopo lo stravolgimento operato in commissione da parte di un ampio pezzo di Pd che non si rassegnava allo stop di consumo del suolo. Uno stop che peraltro era stato già deciso nel Piano di indirizzo territoriale, di cui il Piano paesaggistico è una integrazione.
Emendamento su emendamento, le originarie norme di salvaguardia elaborate da Anna Marson, docente di tecnica e pianificazione urbanistica all’ateneo veneziano, erano state progressivamente stravolte. Su tutti, avevano fatto inorridire gli emendamenti che facevano ripartire le escavazioni del marmo sulle Apuane in maniera pesantissima (via libera alla riapertura di cave dismesse, cave secolari, anche cave su vette e crinali ancora integri), e quelli che nei fatti riaprivano all’edificazione costiera anche sul lungomare, e perfino sugli arenili.
Le polemiche che ne sono seguite, e che hanno portato il ministro Franceschini a prendere pubblicamente le difese dell’assessora Marson (“lei è stata capace di mettere d’accordo Asor Rosa e Settis, Repubblica e Corriere della Sera…”), hanno riportato il Piano toscano del paesaggio alle sue coordinate originarie, grazie a un super-emendamento coordinato in sede ministeriale. “Il testo che emerge dopo la presentazione del maxi emendamento è un buon risultato – certifica Monica Sgherri di Rifondazione — perché riporta il piano sostanzialmente a quanto adottato nel luglio scorso. Quindi cancellando quello stravolgimento, soprattutto in tema di escavazione sulle Apuane e di salvaguardia delle coste, perpetrato in commissione”.
Il risultato è stato l’ok al Piano anche di Sel, Prc e Pcdi, che pure corrono alle elezioni regionali in alternativa al Pd e a Enrico Rossi, sostenendo l’ottima candidatura di Tommaso Fattori. Sul fronte opposto, il ritardo nel via libera è stato provocato dall’ostruzionismo di Forza Italia e Fdi, che hanno deposto le armi solo dopo aver ottenuto di veder monitorati gli effetti del Piano sulle attività estrattive. A cose fatte, Enrico Rossi ha ricordato: “Non è vero che discutere col ministero è stato umiliante, il paesaggio è un bene tutelato dall’articolo 9 della Costituzione, che rende necessaria la copianificazione. E’ la nostra identità, il nostro marchio nel mondo, bellezza che si è prodotta anche attraverso il lavoro. E con il piano siamo riusciti a ricostruire l’equilibrio necessario”
1. Il voto di approvazione di un piano paesaggistico ancora definibile tale, intervenuto oggi nel penultimo giorno utile della legislatura dopo un lunghissimo dibattito dentro e fuori le sedi istituzionali, è l’esito di un assai ampio coinvolgimento pubblico nel merito delle scelte che la Regione Toscana si apprestava a compiere, e di una straordinaria mobilitazione culturale e sociale in difesa del Piano paesaggistico.
Le prove che questo piano ha dovuto affrontare, nella sua natura di strumento portatore di innovazione culturale e normativa, non sono state facili.
Anche se la portata storica dell’evento è chiaramente incommensurabile, mi permetto di richiamare le parole di Calamandrei sull’esito della scelta repubblicana dell’Italia (Il Ponte, luglio-agosto 1946), sul cui cammino «non sono mancati i diversivi che miravano a mandare in lungo la partita, i tranelli preordinati a far perdere la serenità al giocatore meno esperto, e qualche svista pericolosa e, purtroppo, qualche tentativo di barare…Proprio di queste vicende bisogna tener conto per comprendere quanta fermezza e quanta resistenza morale sono state necessarie …per conseguire questa vittoria e per apprezzarne il valore... [in questo caso si è] dovuto superare imboscate e tradimenti che l’osservatore superficiale nemmeno sospetta».
Nel caso del piano paesaggistico le “imboscate” non sono derivate da un conflitto fra ambiente e sviluppo, come molti hanno sostenuto, ma tra interessi collettivi e interessi privati.
Ciò è testimoniato dal fatto che chi si è mosso a difesa del piano, come le associazioni ambientali e culturali, e molti autorevoli studiosi, non rappresenta in questa vicenda interessi particolari o privati. Mentre tutti coloro che a vario titolo hanno sollevato richieste di modifiche del piano l’hanno fatto mossi da interessi privati finalizzati al profitto, mascherato da occupazione e sviluppo.
Ritengo quindi utile ripercorrere, sia pur in grande sintesi, alcuni dei passaggi salienti del percorso di piano che portano ulteriori evidenze a questo riguardo.
2. La procedura del piano e le imboscate subite
Il presidente della Commissione consiliare nel citare gli emendamenti apportati in commissione ha più volte parlato di «grande lavoro rispetto cui non si può tornare indietro».
Che dovremmo allora dire relativamente al lavoro di costruzione del piano, alla lunga e continua contrattazione istituzionale e sociale - anche in un clima di linciaggio personale di cui sono stata ripetutamente oggetto (1) - al lavoro di controdeduzione alle osservazioni presentate per arrivare a un testo equilibrato nel tenere in conto i diversi interessi legittimi?
La formazione del piano e' stato un atto quanto mai collettivo. Il piano cosiddetto “Marson” è infatti frutto:
a) di un atto di indirizzo approvato dal consiglio regionale nel 2011;
b) di una approfondita fase di elaborazione scientifica affidata al Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio delle 5 principali università toscane anziché a una ditta privata o a una elaborazione interna dei soli uffici (che non avevano le forze per condurre un compito di questa portata, anche in seguito alla soppressione del settore paesaggio all’inizio della legislatura e alla sua lenta e faticosa ricostituzione nel corso dei successivi tre anni);
c) di uno straordinario impegno dei funzionari del settore paesaggio, anche con molte ore di lavoro non retribuite, nel costruire la proposta di piano;
d)di numerose assemblee pubbliche di approfondimento e discussione che hanno accompagnato le fasi di formazione del piano nei diversi ambiti del territorio toscano;
e) di una lunga e ripetuta concertazione con attori pubblici (ANCI, Consiglio autonomie, comuni, sovrintendenze, Ministero) e del confronto con attori privati (ordini professionali, associazioni sindacali e imprenditoriali, ecc) ;
f) di una validazione tecnica preliminare da parte del Mibact sul lavoro complessivo (dicembre 2013);
g) di due successive proposte di piano approvate dalla giunta (gennaio e maggio 2014);
h) di un esame in sede di più commissioni consiliari (ne ricordo almeno cinque) che ha portato all’adozione, con emendamenti, il 2 luglio 2014;
i) del lavoro di controdeduzioni che ha portato al voto unanime della Giunta il 4 dicembre 2014.
Sfido tutti coloro che hanno dichiarato in aula, rivolti alla giunta, che «s’è perso tempo», a trovare un esempio di piano paesaggistico regionale copianificato con il Mibact che abbia concluso questo percorso in un tempo più rapido.
E ciò nonostante – per non citare che i due esempi più significativi - una ricerca di regole condivise con i sindaci delle Apuane interessati dalle attività di escavazione durata più mesi, e un tavolo con i rappresentanti di categoria delle associazioni agricole protrattosi con incontri quasi quotidiani per settimane.
Se nel caso delle associazioni agricole ciò a portato, pur con perdite significative dei contenuti del piano (quali la sparizione di gran parte dei riferimenti alla “maglia agraria”, di ogni citazione della parola “vigneti”, e di tutti i riferimenti al “mantenimento delle attività agrosilvopastorali montane per arginare i processi di abbandono”), a una sostanziale condivisione del testo, nel caso delle Apuane sia la modifica della prima proposta di giunta che gli emendamenti introdotti dal consiglio in fase di adozione non hanno sancito la fine delle ostilità né delle interferenze anche pesanti rispetto ai contenuti del piano e alla procedura istituzionalmente definita per la sua approvazione.
Abbiamo così assistito, in commissione consiliare, al voto di emendamenti non coerenti con i contenuti propri di un piano paesaggistico, a diverse e articolate trattative politiche non con le rappresentanze istituzionali delle imprese ma con alcune imprese, alla partecipazione di consulenti delle imprese del marmo alla scrittura degli emendamenti nelle stanze del Consiglio regionale, alla sparizione dal Piano di tutti i riferimenti alle criticità di luoghi specifici che disturbavano qualcuno che aveva modo di far sentire la propria voce, e così via. Tutte le tipologie degli emendamenti proposti in commissione sono state ispirate a un unico principio: depotenziare l’efficacia del piano.
- nelle Apuane sono state cancellate tutte le criticità relative a specifiche aree interessate dalle escavazioni;
- molte criticità paesaggistiche evidenti sono state trasformate in forma dubitativa;
- un emendamento si proponeva addirittura di specificare che le criticità costituivano valutazioni scientifiche delle quali i piani urbanistici “non dovevano tenere conto”;
- nelle spiagge si intendevano ammettere adeguamenti, ampliamenti, addizioni e cambi di destinazione d’uso;
- la dispersione insediativa, anziché da evitare, era al massimo da limitare o armonizzare;
- la salvaguardia dei varchi inedificati nelle conurbazioni andava cancellata, o anch’essa “armonizzata”;
- le relazioni degli insediamenti con i loro intorni agricoli sono state soppresse;
- l’alpinismo in Garfagnana andava soppresso;
- gli ulteriori processi di urbanizzazione diffusa lungo i crinali non erano da evitare bensì da armonizzare;
e così via.
Soltanto la verifica in extremis con il Mibact, con il quale il piano va necessariamente copianificato anche per dare attuazione alle semplificazioni che da esso discendono, dovuta anche alla luce del verdetto ricevuto a suo tempo sull’integrazione paesaggistica del PIT adottata dalla Regione Toscana nel 2009, ha portato con un grande sforzo da parte di tutti i soggetti coinvolti, e del Presidente Rossi in prima persona, a recuperare almeno in parte alcuni dei contenuti essenziali che permettono di qualificare questo piano come “piano paesaggistico”.
Non posso che concordare con chi ha definito questa retromarcia imbarazzante. Lo è senza dubbio per l’immagine arretrata, riflessa da alcuni rappresentanti eletti, della società toscana (smentita invece dalla moltitudine di cittadine e cittadini che si sono espressi in difesa del piano). Lo è per chi, come me, ha creduto nel federalismo, non quello della riforma del Titolo V della Costituzione operata all’inizio del nuovo millennio oggi peraltro ripudiata dagli stessi autori, ma quello auspicato da Carlo Cattaneo e da Silvio Trentin.
In questo caso devo tuttavia riconoscere che l’intervento del Ministero ha contribuito a salvare parti significative del piano.grazie in particolare all’impegno della sottosegretario Borletti Buitoni, oltre a quello del ministro Franceschini intervenuto anch’esso in prima persona.
3. Due concezioni dello sviluppo contrapposte. Chi è passatista?
I soggetti presi a riferimento non sono certo i viticoltori artigiani di qualità, piuttosto che le botteghe di trasformazione artistica del marmo, per non citare che due esempi fra i molti possibili, in una “compressione della rappresentanza” rispetto alla complessità crescente del mondo produttivo. La rappresentanza dei grandi interessi finanziari, travestiti da interessi per lo sviluppo, è l’unica ad essere di fatto garantita.
Ma questo modello di sviluppo non è forse alla base della crisi economica che stiamo vivendo?
Il tentativo di affossamento del valore normativo del Piano paesaggistico è peraltro coerente con l’ideologia che esalta i processi di privatizzazione e centralizzazione dei processi economici e politici, in molti casi peraltro sostenuti da finanziamenti pubblici, come unica via d’uscita dalla crisi.
In questa monodirezionalità degli emendamenti votati in commissione è stato peraltro negato lo spirito stesso del Codice.
Laddove il Codice richiede che il Piano si interessi di tutto il territorio regionale, si chiede infatti, di conseguenza, un cambio dalla centralità dai vincoli (prescrizioni che riguardano i soli beni paesaggistici formalmente riconosciuti) alle regole di buon governo per tutto il territorio, compresi quindi i paesaggi degradati, le periferie, le infrastrutture, le aree industriali, gli interventi idrogeologici, gli impianti agroindustriali, ecc); dunque regole per indirizzare verso esiti di maggiore qualità le trasformazioni quotidiane del territorio, e non solo preservare i suoi nodi di eccellenza.
La stessa cura a migliorare la qualità paesaggistica di tutto il territorio regionale è richiesta come noto dalla Convenzione europea del paesaggio, che parla di «attenzione ai modi di vita delle popolazioni».
I piani paesaggistici di nuova generazione fanno dunque riferimento a un diverso e innovativo modello di sviluppo che vede la centralità della valorizzazione del patrimonio territoriale e paesaggistico nella costruzione di ricchezza durevole per le comunità. Non certo per rinunciare al manifatturiero, e nemmeno all’escavazione del marmo, ma per far convivere queste attività con altre possibilità imprenditoriali, a partire da un patrimonio territoriale che ne renda possibile e realisticamente fattibile lo sviluppo.
Come ha scritto recentemente un ex sindaco, Rossano Pazzagli, a proposito delle prospettive dell’attività turistica, «fare turismo…è perseguire un turismo non massificato, di tipo esperienziale…Chi vuole riaprire le coste alla cementificazione…finirà per danneggiare lo stesso turismo balneare, che va in cerca di paesaggio, di spiagge, di pinete e di sole, non di qualche pezzo di periferia urbana in riva al mare».
Non solo le Apuane, uniche al mondo, ma lo stesso marmo apuano, meriterebbe di essere a tutti gli effetti considerato come una risorsa preziosa, e valorizzato di conseguenza restituendo alle comunità locali gran parte del valore aggiunto che va invece ad arricchire singoli individui, distruggendo per sempre le montagne.
Sono soltanto alcuni esempi, che tuttavia testimoniano come il piano ponga le basi per rendere possibile un diverso sviluppo, basato non sulla distruzione del patrimonio regionale ma sulla sua messa in valore sostenibile per la collettività e il suo futuro. Il Presidente Rossi ha dichiarato che sarei “un grande tecnico… che quando esprime giudizi politici compie scivoloni pericolosi”.
Da questo punto di vista io rivendico invece il mio agire “diversamente politico”, in quanto non guidato dal desiderio di mantenere un incarico di assessore, né dall’obbligo di restituire favori e accontentare interessi specifici. In questi anni ho cercato di garantire nel modo più degno possibile, nel ruolo che ho avuto l’onore e l’onere di ricoprire, la straordinaria civiltà tuttora profondamente impressa nel paesaggio toscano, pur nella complessità delle sfide sociali, economiche e politiche che hanno interessato nel passato e interessano ancor più oggi questa regione.
4. Un sentimento contraddittorio
In conclusione è con un sentimento contraddittorio che accolgo questo voto del Consiglio:
-da una parte la soddisfazione per il fatto che il proposito di rendere inefficace un progetto assai avanzatoper la a Toscana futura abbia dovuto in parte rientrare grazie alla forte mobilitazione culturale e sociale in difesa del piano, e per il ravvedimento finale del principale partito di maggioranza;
-dall’altra il rammarico per il fatto che il percorso di questo piano sia stato costellato da cedimenti, contraddizioni, indebolimenti che hanno ovviamente lasciato il segno nel corpo del piano stesso.
Non mi sento pertanto di fare alcuna celebrazione clamorosa, né retorica, di questo esito. Raggiungere questo risultato è stato difficile e aspro, né sono state risolte tutte le contraddizioni.
Spero tuttavia che l’alto livello di mobilitazione attivatosi a livello regionale e nazionale intorno a questo piano e all’allarme sul rischio del suo annullamento, serva a mantenere alta l’attenzione intorno all’interpretazione che quotidianamente, nei giorni e negli anni a venire, sarà data del piano stesso e dei suoi contenuti.
E a favorire la realizzazione di un Osservatorio regionale del paesaggio, già previsto dalla LR65/2014 e da attivare nei prossimi mesi, che sappia garantire una forte partecipazione sociale, facendo entrare il paesaggio a pieno titolo fra gli obiettivi dello sviluppo regionale volti ad aumentare il benessere delle popolazioni presenti sul territorio.
a Repubblica, 20 marzo 2015
IL LIMITE di trecento metri dal mare non basterà. Gli ampliamenti degli alberghi lungo le coste non sarà consentito neppure a quella distanza, se oggi passerà a Roma la cosiddetta “linea Marson”, l’assessore toscano che ha firmato la prima versione del Piano del paesaggio che da martedì è in revisione al ministero dei Beni culturali. Per Enrico Rossi oggi sarà il quarto giorno consecutivo a Roma dedicato all’ultimo atto politico della legislatura.
Due i punti più controversi su cui Rossi è dovuto intervenire per cercare un compromesso onorevole tra l’impianto rigoroso della Marson e le modifiche dei Democratici, considerate ormai troppo “spinte” anche dallo stato maggiore del Pd toscano. Il primo riguarda le strutture ricettive vicine al mare: se sulle spiagge ogni tipo di allestimento non rimovibile era già vietato, adesso il ministero sembra orientato a bloccare anche eventuali aumenti di volume anche di hotel a trecento metri dalla riva, un limite che interessa in particolare gli operatori della Versilia. E l’altro capitolo in discussione, forse il più delicato, è quello delle cave di marmo sulle Apuane. Sopra i 1.200 metri non saranno permessi ampliamenti delle attività in funzione se non a certe condizioni e sembra difficile che possa passare la novità delle riaperture di miniere dismesse e abbandonate. Su questo le polemiche erano già state molto vivaci in consiglio e l’assessore Marson si era detta contraria alla modifica del Piano.
Rossi continua a inseguire una mediazione. Su twitter spiega che «nessuna cancellazione del lavoro fatto nella commissione » sarebbe stato fatto e parla di una «revisione degli elaborati, una risistemazione delle sue parti e un’ultima verifica di conformità al Codice dei beni culturali. Insomma nessuna smentita per nessuno ma un lavoro serio e collaborativo». Rossi posta anche una foto in cui si vede la stanza in cui il Piano viene letto ad alta voce.
Raccontano che Franceschini abbia fatto pure una battuta su tutta questa mobilitazione sul Piano, rivolgendosi a Marson: «Assessore, lei ha messo d’accordo Settis, Asor Rosa, Repubblica e Corriere della Sera. A questo punto cosa può fare un ministro?», ha detto sorridendo. «Ho le mani legate».
Agenzia ANSA. Firenze, 16 marzo 2015
Non si stravolga il il piano paesaggistico della Toscana che «deve prevedere norme cogenti per le rispettive amministrazioni comunali e deve essere condiviso con il ministero dei Beni Culturali. Le osservazioni tecnico-scientifiche devono rimanere vincolanti nei confronti delle amministrazioni locali, valorizzando ruolo e valore delle competenze specialistiche ed al coinvolgimento dell'intellettualità».
E' quanto chiede la Cgil Toscana che lancia un appello affinché vengano salvaguardate le cave, le coste e le aree di pregio ambientale della regione. «Come Cgil Toscana abbiamo espresso in tutte le sedi di confronto il nostro parere positivo e favorevole al piano con le integrazioni fatte dal presidente Rossi alcune settimane fa - spiega il sindacato in una nota -, punto avanzato di sintesi tra esigenze del lavoro, dell'ambiente e di un concetto alto di paesaggio e di beni culturali, frutto di un impegno di anni che ha coinvolto le migliori intelligenze e passioni sul tema. Siamo di fronte al fondato rischio che gli interessi corporativi rompano tale equilibrio, non a favore del lavoro a fronte dell'ambiente sia chiaro».
La Repubblica, 16 marzo 2015
Ora il Piano del Paesaggio della Regione Toscana è, anche formalmente, una questione nazionale. Nella sostanza lo era fin dall’inizio: perché esso decide il futuro di un pezzo importantissimo di quello che la Costituzione chiama il «paesaggio della Nazione». Ma anche perché aveva l’ambizione di indicare a tutto il Paese un futuro sostenibile, capace di tenere insieme sviluppo, ambiente e salute. Una via in cui la tutela dell’ambiente non fosse affidata ai vincoli delle soprintendenze (indispensabili, in mancanza di meglio), ma ad un progetto politico responsabile.
A tutto questo serviva il testo voluto dal presidente Enrico Rossi, scaturito dal lavoro di Anna Marson (assessore alla Pianificazione della Regione Toscana) e adottato dal Consiglio regionale nello scorso luglio. Ma dopo l’estate qualcosa è cambiato: il vento dello Sblocca Italia (la legge a favore del cemento scritta dal ministro Lupi, e approvata a novembre) ha cominciato a soffiare anche sulla Toscana, ridando forza e voce ai centri di interesse che Rossi era riuscito a contenere. Così, nelle ultime settimane, il Piano è stato smontato pezzo a pezzo in Commissione, grazie al sistematico voto congiunto di un Pd che ormai non risponde più a Rossi e di una Forza Italia scatenata: una specie di Patto del Nazareno contro il futuro del Paesaggio toscano. Se passasse così com’è stato ridotto, il Piano sarebbe un atroce boomerang. Facciamo solo qualche esempio: nuovi fronti di cava potrebbero essere aperti sulle Alpi Apuane anche sopra i 1200 metri (cambiando per sempre lo skyline della regione); le strutture su tutta la linea di costa potrebbero ampliarsi a piacimento, e si potrebbe costruire perfino nel Parco di San Rossore; case potrebbero sorgere anche negli alvei dei fiumi soggetti ad alluvioni, e lo sprawl urbano potrebbe mangiarsi quel che rimane dei meravigliosi spazi rurali della piana di Lucca.
Di fronte a questo concretissimo rischio (si vota domani), Rossi ha chiesto aiuto al governo: una scelta paradossale, che segnala il coma irreversibile del regionalismo. Ma è il ministero per i Beni culturali l’unico freno di emergenza che può evitare che il paesaggio toscano cappotti in parcheggio.
Il Piano dev’essere, infatti, approvato e condiviso dal ministero: che solo in presenza di forti garanzie può contenere i suoi vincoli. Per questo Rossi incontrerà Dario Franceschini, sperando paradossalmente in un “no”: quel “no” che può permettergli di tornare a Firenze ricacciando nell’angolo gli interessi delle lobby che parlano attraverso i ventriloqui dell’assemblea regionale.
Ma quel “no” arriverà? Come si è capito anche dalle forti dichiarazioni della sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni (che ha la delega al Paesaggio), la struttura tecnica del Mibact considera il Piano irricevibile. Ci auguriamo che i tecnici potranno fare il loro lavoro, e che non prevarrà invece la linea politica di un governo che sembra aver fatto del motto «padroni in casa propria» (parola d’ordine del ventennio berlusconiano) uno slogan positivo.
Dario Franceschini saprà dimostrare di essere diverso da Maurizio Lupi, santo patrono del consumo di suolo? E che ruolo giocherà il toscanissimo Matteo Renzi, che sembra fermo ad un’idea di sviluppo territoriale che era già vecchia negli anni Sessanta?
Da ciò che avverrà nelle prossime ore non capiremo solo se la Toscana dei nostri figli sarà resa simile alla Calabria di oggi: ma capiremo anche se “sviluppo” continuerà ad essere sinonimo di “cemento”. O se, finalmente, cambieremo verso.