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eddyburg. Una informazione e un paio di domande in una lettera aperta

Su eddyburg si è aperto un vivace dibattito non tanto sul nuovo “piano paesaggistico dei sardi” della giunta Cappellacci quanto sul fatto che un gruppo di docenti e ricercatori della Facoltà di architettura di Alghero, alcuni dei quali miei ottimi e stimatissimi amici, abbiano partecipato all’iniziativa, denominata “Sardegna nuove idee”, avviata dalla giunta Cappellacci nel giugno 2011. La discussione è nata in occasione della pubblicazione su eddyburg di due articoli di Sandro Roggio, nei quali si criticava il fatto che quel gruppo di esperti avesse accettato di contribuire all’iniziativa dell’attuale presidente della Regione. Gli esperti si sono sentiti offesi dalle parole di Roggio, hanno chiesto spiegazioni, Roggio le ha date come ha creduto necessario e il dibattito è proseguito. Chi volesse seguirlo può andare in fondo agli articoli di Roggio e Alfredo Franchini pubblicati sulla Nuova Sardegna il 27 settembre scorso, cui ho dato il titolo “il Pinocchio dei sardi fa ancora il misterioso”. Chi è interessato all’argomento veda anche i commenti agli articoli di Marcello Madau e Costantino Cossu, sul manifesto del settembre, raccolti su eddyburg col titolo "Sardegna tra cemento e buche ”. Intervengo sull’argomento non solo per segnalare la discussione aperta (in un luogo, ahimè, un po’ nascosto). Non intervengo qui nel merito di quel dibattito ma per fornire un’informazione e per porre agli amici di Alghero due domande.

L’informazione


Anche a me l’amministrazione regionale aveva chiesto di partecipare all’iniziativa “Sardegna nuove idee”, ma avevo rifiutato per due ragioni tra loro strettamente legate. Perché avevo collaborato alla redazione del piano paesaggistico della Giunta Soru, ancora vigente dal 2006, condividendone in pieno l’ispirazione culturale e politica, le motivazioni, e la massima parte delle scelte di merito (chi fosse interessato ad approfondire le ragioni della mia scelta e le mie posizioni di merito può leggere al mio antico scritto “La filosofia del Piano" del 2006, oppure al libro collettaneo Lezione di piano, ( 2013, Corte del fçntego editore)). L’altra e conseguente ragione era che ero nettamente contrario alle scelte della Giunta Cappellacci (in merito alla società, alla cultura, all’economia, alla politica in Italia e in Sardegna). L’aver vissuto per quasi mezzo secolo la politica dei partiti e quella della società civile, come quella delle istituzioni culturali mi ha certamente aiutato a comprendere che quell’invito, e quella iniziativa, altro non erano che il tentativo di coprire sotto il manto del consenso culturale una operazione di ulteriore devastazione fisica, sociale, culturale e morale della Sardegna. Del resto, quelle della Giunta Cappellacci non erano stare solo dichiarazioni elettoralistiche, cattive intenzioni che saggi consiglieri potevano sperare di correggere. Nella realtà la maggioranza guidata da Cappellacci aveva cominciato a cancellare subito le tutele del PPS di Soru con le leggi per i campi da golf (2009) e per il “piano casa” (2011), entrambi pesantemente derogatori del PPR. Non dubito che dalle discussioni che si sono sviste attorno ai tavoli del progetto “Nuove idee per la Sardegna siano venuti contributi scientifici interessanti. Ma per me, come per Leonardo Benevolo “l’urbanistica è una parte della politica” credo fermamente nella inscindibilità delle tre componenti della città, (urbs, civitas, polis) e quindi non potevo chiudere gli occhi dinnanzi alle conseguenze politiche delle azioni cui, come urbanista, collaboro.

Due domande

Ecco allora la prima domanda che vorrei rivolgere agli amici di Alghero: che cosa non condividete di questa mia posizione, in che cosa la ritenete errata, o comunque non condivisibile né, nei fatti, condivisa? La loro risposta a questa domanda mi interessa molto, soprattutto sul piano personale. Ma poi, come cittadino e amante della bellezza e della storia e nemico di ogni mercificazione dei patrimoni comuni, mi interessa moltissimo la loro risposta alla seconda domanda. Che giudizio danno i miei amici di Alghero sul Piano paesaggistico dei sardi” licenziato dalla Giunta Cappellacci?

In trepida attesa, attendo la loro risposta.


Nella filosofia del Piano Paesaggistico Regionale attualmente vigente, il territorio costiero perimetrato è considerato un bene paesaggistico d’insieme, prefigurando il suo ruolo di “risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo, che necessita di pianificazione e gestione integrata” (Titolo I - Assetto ambientale; Art. 19 - Territori costieri, p. 26 Norme T.A.).

Non è un caso che Il Piano vigente si estenda con dettaglio maggiore, almeno inizialmente, al territorio costiero. Infatti, la Regione Sardegna ha definito come punto di partenza del Piano i 27 ambiti di paesaggio costieri (pp. 54-56 Norme T.A., artt. 97, 98: Individuazione degli ambiti di paesaggio, Relazione Tecnica Generale – Allegato alla D.G.R. 59/36 del 13/12/2005 pp. 118-124).

Negli ambiti costieri è predisposta una disciplina particolare perché il Piano nasce con l’idea di affrontare innanzi tutto i problemi dei territori costieri. Con la L.R. n. 8/2004 (c.d. “salvacoste”) i territori costieri sono individuati attraverso una fascia di 2 km, mentre con l’adozione del Piano si passa da uno spazio geometrico ad uno spazio configurato. La particolare fragilità di sistemi dinamici e complessi come gli ambiti costieri, che stentano ad avere capacità spontanee di mantenersi per le trasformazioni rapide che li interessano, in aggiunta alla vacatio legis determinata dall’annullamento dei Piani Territoriali Paesisitici (13 dei quali piani costieri e ad eccezione di quello della Penisola del Sinis), che ha contribuito al forte ritardo con cui i comuni avrebbero dovuto procedere all’adeguamento dei propri strumenti urbanistici ai piani sovraordinati, ha imposto di partire dalla dimensione ambientale per rigenerare metodi e tecniche di delimitazione e di progettazione della città costiera.

La scomparsa del principio cardine della fascia costiera come bene paesaggistico d’insieme e il suo declassamento al più generico “sistema ambientale”, definito come “un contesto territoriale i cui elementi costitutivi sono inscindibilmente interrelati e la preminenza dei valori ambientali è esposta a fattori di rischio”, comporta una perdita di significato per l’elemento cardine su cui il piano si centra, l’ambito di paesaggio, una figura spaziale riconosciuta come omogenea, il luogo del progetto unitario, dove le parti sono in relazione col tutto. In particolare, i 27 ambiti di paesaggio costieri sono delineati considerando processi che riguardano fattori climatici, esposizione, geografia, natura geologica e fitosociologica, ecc. e non riducendo il limite tra terra e acqua un mero fatto di distanze metriche, anche se – come si legge nell’art. 16 della proposta di modifica, si tratta pur sempre di “aree tutelate per legge”, attraverso “una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia” per i territori costieri, come recita la parte III del D. Lgs. 42/2004 - Art. 142 lett. a - Aree tutelate per legge del Codice Urbani, che a sua volta la recepisce dal vincolo paesaggistico (il c.d. “Galassino”) ex L. 431/85.

Fin qui tutto a posto, tranne che allora indici e parametri per la pianificazione di natura spaziale occorrevano perché fungessero da strumento di controllo nella realizzazione del piano. Se si perdesse il carattere unificante dato dal considerare la fascia costiera nella sua continuità e unitarietà come bene paesaggistico, torneremo indietro di quasi trent’anni: dalla tutela dei processi a quella degli oggetti, perché tutti gli elementi fondanti che mettono in relazione ecosistemi marini e terrestri (campi dunari e compendi sabbiosi, zone umide costiere, ecc.), ritornano ad essere oggetto di tutela individuale e non integrata rispetto ai processi unitari che regolano gli ecosistemi. È altresì indicativa la scomparsa delle “Praterie di posidonia” dai beni paesaggistici (Titolo I, Art. 11 - Assetto ambientale. Generalità ed individuazione dei beni paesaggistici), la biocenosi più importante per la biodiversità marina, sostituite allo stesso comma l dal più imponente “i vulcani” (quelli spenti del Meilogu?).

Per concludere, si impongono due ordini di ragionamento, utili anche alla redazione dei PUL, il primo che riguarda la dimensione ambientale, il secondo la dimensione collettiva dei nostri territori costieri:

a) il territorio costiero è quello in cui sono significativi i rapporti di interfaccia tra terra e mare – sotto l’aspetto ambientale e secondo diverse articolazioni (è assolutamente fondamentale la geomorfologia, fino ad arrivare alla fito-sociologia, il clima con l’influenza dell’aerosol marino, ecc.). Pertanto, i criteri di delimitazione dei territori costieri sono e devono essere soprattutto ambientali e non è un caso che i territori costieri siano riportati nell’assetto ambientale del Piano.

b) La dimensione collettiva dei territori costieri ci impone di riflettere, in modo coerente con le istanze e le aspettative degli abitanti dei territori costieri, o di coloro che con essi si rapportano, riconoscendo l’importanza dell’apporto collettivo al progetto dell’ambito di paesaggio nell’insieme, dove tutti i territori riconoscono e considerano l’ambito costiero come centro fondamentale della loro organizzazione.



[1]Alessandro Plaisant è docente di Urbanistica nel Dipartimento di Architettura,Design e Urbanistica di Alghero.

Il manifesto, 2 novembre 2013

Ugo Cappellacci, con la spregiudicatezza tipica del suo partito e del suo 'principale' rispetto alla legge, ha promulgato le variazioni al piano paesaggistico della precedente giunta regionale guidata da Renato Soru (piano coordinato da Edoardo Salzano, a capo di una qualificata equipe di studiosi, ricercatori ed esperti). Inaugurando così una campagna elettorale per le prossime elezioni regionali della Sardegna che si preannuncia movimentata. Lo ha chiamato Pps, Piano paesaggistico sardo.

Una fretta calcolata, che deve aver messo in conto la tensione - da giocare come anelito sovranista - con le istituzioni statali. Rotta la copianificazione con il ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Ecco la prima riserva giuridica, di rilievo, subito espressa da un duro comunicato della direzione regionale sarda del ministero. Con altri limiti di 'legalità' che appaiono in questo complesso provvedimento.

Il governatore si atteggia a difensore dell'identità preparando il territorio a investimenti speculativi, partendo da golf, cubature ed emiri. Se la prende con lo Stato ignorandone le leggi; dice che sono ingiuste e pensa al vero obiettivo: agli interessi economici che vengono favoriti e al blocco sociale per le prossime elezioni. D'altronde era a Roma qualche giorno fa nel gruppo dei venticinque berlusconiani che preparava la resa dei conti con i cosiddetti dissidenti e la nuova Forza Italia: un nome che svela la natura del suo sovranismo.

Le ragioni elettorali di questo strappo sono evidenti, assieme all'apertura alla speculazione secondo la vecchia e sicura forma dell'edilizia. Lo confermano queste ore, con la rassicurazione data ai sindaci della Gallura di poter lavorare con meno vincoli e più prospettive. Si scarica così una gigantesca confusione sulla gran parte dei piani urbanistici ancora da approvare, molti predisposti secondo le precedenti norme e regole.

L'azione di modifica del Piano paesaggistico regionale è per certi versi lineare. Vi sono inseriti il «piano casa» e il «piano golf», sotto giudizio della Corte Costituzionale, che permettono - il primo con la possibilità di aggiungere volumetrie, il secondo con il suo regime particolare - di aggirare i trecento metri dalla linea di costa. Ad essa va aggiunta la recente legge sugli «usi civici», approvata in modo bipartisan, che prepara - in forte tensione con le norme nazionali sui terreni sottoposti a usi civici (legge 42/2004, articolo 142, 1h) - nuove possibilità speculative, e la velleitaria ma significativa, per logica e interessi, proposta della zona franca.

Nel consultare la copiosa documentazione che appare ora dopo ora nel sito della Regione autonoma della Sardegna si colgono l'idea di non considerare - dandogli il fuorviante e ampolloso riconoscimento di «sistema ambientale ad alta densità di tutela» - la fascia costiera come bene paesaggistico («Linee Guida», p. 70), valutando contestualmente, volta per volta, le operazioni da compiere. Anche per i corsi d'acqua vi è il sospetto di una percezione arbitraria del valore paesaggistico rispetto a quanto indicato nel decreto legislativo 42/2004 (come sottolinea il gruppo di intervento giuridico) oppure nei centri storici, dove nei «centri di prima e antica formazione», normalmente tutelati di per sé e con severissimi limiti di edificabilità, si introduce una distinzione «in base alle caratteristiche di notevole valore paesaggistico» preludio ad autorizzazioni edificatrici («Sintesi non tecnica», punto 7, p. 9). O, ancora, il pesante depotenziamento dei beni identitari, sino al silenzio, almeno così mi appare, sul fatto che continuino le procedure tramite il sistema di catalogazione già predisposto, il database 'mosaico' e relativo tracciato: pesante in alcuni aspetti ma legato a standard scientifici e di tutela solidi e forse per questo malvisti.

Credo sia importante avversare questa azione del governatore Cappellacci, anche per i non sardi: non si tratta solo di un'azione di evidente significato e peso nazionale, ma anche di impedire che in un'area che ospita il sogno di uno sviluppo diverso e possibile, con ruolo centrale di cultura e paesaggio tutelato, tale prospettiva si spenga.

La semplice lettura critica e politica di questa operazione, dal punto di vista del territorio e del paesaggio, necessita di un quadro di lettura più adeguato alla situazione che oggi muove i nostri territori e il pianeta; che innovi il sistema di tutela costruendo - come propongono diversi giuristi e movimenti che animano la «Costituente dei beni comuni», in sviluppo alle proposte della «Commissione Rodotà» fra il 2007 e il 2008 - nuovi orizzonti per il territorio.

Un secolo di evoluzione giuridica ha condotto a importanti momenti di unitarietà nella lettura di cultura e paesaggio, in interazione virtuosa con le normative urbanistiche. Ma le forze sono inadeguate, il ministero si scioglie, le forme obsolete, gli attacchi si moltiplicano. Forse la soluzione è davvero in un nuovo sistema che parta dalle comunità - entro grandi leggi quadro - e costruisca il governo dei territorio con nuovi assetti giuridici di tutela in grado di recepire qualità culturale e operativa dei beni comuni.

In Sardegna il Piano paesaggistico sardo del proconsole berlusconiano completa un attacco a una Sardegna preda di ripetuti tentativi di impianti energetici di ogni tipo, di sperimentazioni di cosiddetta chimica verde autorizzate a chi dovrebbe essere obbligato alle bonifiche, come l'Eni a Porto Torres, di profonde trivellazioni in aree di grande pregio paesaggistico e agrario come cerca di fare la potente Saras ad Arborea, di campi da golf e edifici proposti nella splendida costa di Bosa da Condotte. Centinaia di movimenti si oppongono a questo sistema, che ha non di rado l'appoggio comune di Pd e Pdl e spesso coincide con lo Stato. Si moltiplicano i ricorsi.

Il territorio, con evidenza principale mezzo di produzione, è il vero centro della politica. Ma le azioni sono più veloci dei cambiamenti attesi, delle possibili difese e dei progetti alternativi. Ci auguriamo che il ministro dei Beni e delle Attività culturali ripristini intanto la legalità pesantemente violata dalla promulgazione del Piano paesaggistico sardo.

Zona franca e meno tasse,
Cappellacci punta alla rielezione
di Costantino Cossu

Il presidente accusa Soru di complotto: «Con un'intervista al 'manifesto', ha chiesto a Bray di fermare il nuovo piano paesaggistico»

Il prossimo anno, a febbraio o al più tardi in primavera, in Sardegna si vota per il rinnovo del consiglio regionale. La campagna elettorale è già cominciata e il presidente in carica, Ugo Cappellacci, Pdl, punta a farsi ricandidare dal suo partito. La volata Cappellacci l'ha lanciata da più di un anno, puntando su due temi: l'istituzione di una zona franca integrale su tutto il territorio dell'isola e la revisione del piano di tutela del paesaggio approvato nel 2006 dalla giunta guidata da Renato Soru. Meno tasse e più cemento, insomma: slogan perfetto per pescare voti nel bacino elettorale del centrodestra.

La zona franca significherebbe che le imprese che operano in Sardegna possono usufruire di un regime fiscale di vantaggio. Cappellacci presenta la proposta come un toccasana destinato a curare tutti i mali di un'economia regionale esausta, in alcuni settori prossima al collasso. Fa finta di non sapere, il presidente Pdl, che in tutte le realtà europee in cui questa soluzione è stata adottata non ha risolto alcun problema. Ridurre, infatti, alcuni costi aziendali (che siano tasse o salari, concettualmente la questione non cambia) senza tenere presente che la complessità dei mercati pone un problema di ridefinizione complessiva dell'offerta soprattutto in termini di valore aggiunto di innovazione dei prodotti, significa andare incontro a cocenti delusioni. Ad esempio, ridurre le tasse alle imprese edilizie sarde che operano in un mercato ristretto all'isola e ormai più che saturo - oltre che rigido quanti pochi altri sul terreno dell'innovazione di prodotto - significa solo fare demagogia. Ed esattamente ciò che fa Cappellacci: gli basta dire che saranno ridotte le tasse. Questa è la bandiera da agitare in campagna elettorale.

L'altro drappo glorioso sventolato dal presidente della regione Sardegna è grigio color cemento. La revisione-demolizione del piano del paesaggio approvato nel 2006 punta essenzialmente a rilanciare l'industria del mattone lungo le coste. Obiettivo per raggiungere il quale viene abolita la tutela integrale del litorale: in alcune zone i vincoli restano, in altre, molte altre, no. Ma secondo il Codice Urbani, che detta le regole in materia urbanistica e di tutela del paesaggio, Cappellacci questa cosa non la può fare da solo. Esiste infatti, dice il Codice, un obbligo di copianificazione: a decidere sono, insieme, le regioni e lo stato. Cappellacci però fa finta di non saperlo e dice che in materia di paesaggio la competenza esclusiva è delle regioni. E siccome dal ministero dei beni culturali, tre giorni fa, con una nota molto secca gli hanno ricordato che senza la firma del ministro Massimo Bray qualunque delibera regionale di modifica del piano del paesaggio voluto da Soru è da considerarsi carta straccia, il presidente prima ha gridato all'attentato contro l'autonomia della Sardegna, sancita come speciale dalla Costituzione, e poi, vedendo che l'argomento era debole (il Codice Urbani parla chiarissimo), s'è inventato una bella teoria del complotto: «Con i tecnici della Direzione regionale per i beni culturali tutto - ha detto - è filato liscio sino a maggio di quest'anno.

I problemi sono nati quando, a quella data, il ministro Lorenzo Ornaghi è stato sostituito da Bray». Ed è stato Soru, secondo Cappellacci, a mettergli contro Bray. Come? Sentite il presidente: «Il 7 settembre l'ex governatore Renato Soru, con un'intervista concessa al quotidiano il manifesto, ha chiesto a Bray di fermare il nuovo piano paesaggistico». Insomma, Bray s'è messo di traverso non per rispetto della legge, il Codice Urbani, ma perché glielo ha chiesto Soru attraverso il manifesto. Un complotto. Per tutta risposta, dal ministero e dalla direzione regionale dei beni culturali è arrivato uno sonoro ceffone: «Il presunto problema politico indicato dal presidente Cappellacci come causa del rallentamento dei lavori per l'adeguamento del Piano paesaggistico non esiste. Tutta la nostra azione è stata esclusivamente indirizzata da un' ottica di massima attenzione alla tutela del territorio, e se i lavori di copianificazione hanno registrato momenti di criticità ciò è avvenuto quando le proposte della regione sono risultate non in linea con la richiamata esigenza di tutela del territorio, e quindi non condivisibili».

Dichiarazione subito seguita dalle parole di Soru: «Cappellacci si rassegni: il piano paesaggistico del 2006 è entrato nella coscienza ambientale dell'Italia e dell'Europa. Non riuscirà a cancellarlo».

Sandro Roggio è un architetto e si occupa soprattutto di urbanistica. È autore di pubblicazioni tra cui il Prologo di Lezioni di Piano. L'esperienza pioniera del ppr raccontata per voci. Scrive su La Nuova Sardegna e collabora con eddyburg.it diretto da Edoardo Salzano.

Architetto Roggio quali sono le differenze tra il PPR e il PPS?
«Solo da ieri disponiamo del quadro completo delle variazioni e ci vorrà un po' di tempo per leggere e capire, ma a prima vista c'è tutto ciò che si temeva, annunciato dal dibattito rivelatore di questi anni. Ci sono gli strilli della campagna elettorale scorsa, via via mitigati, e le anticipazioni nel piano casa che si applica scandalosamente pure nei 300 metri dal mare, e nella legge sul golf che rappresentano un modo di pensare inequivocabile. Si tratta di provvedimenti già impugnati dal governo che si pensava di mettere nel Ppr con la complicità dello Stato. Ma gli è andata male»

Quindi lei riconosce due diversi orientamenti: quello del Ppr della giunta Soru e questo del nuovo Piano.
«Da una parte c'è il Ppr del 2006 che interpreta l'idea più progredita sul paesaggio come bene pubblico non negoziabile, come è nella Convenzione europea del paesaggio. Dall'altra c'è la propensione ad accogliere ogni richiesta di trasformazione del territorio, mettendo turismo ed edilizia sullo stesso piano e tutto nello stesso frullatore. Con il pretesto che occorre rispondere alla crisi e che l'edilizia fa crescere il Pil. Racconti gravemente omissivi. In Spagna hanno addirittura deciso di demolire l'invenduto in mano alle banche che ha messo in difficoltà quel paese. L'edilizia per la villeggiatura ha un peso rilevante in quel crac»
Due politiche molto diverse?
«A ben vedere il piano del 2006 guarda lontano all'insegna della solidarietà ecologica e generazionale. Il nuovo piano è piuttosto sintonizzato sui tempi brevi della politica politicante. Tutto e subito: al grido libertà-libertà, abbasso le regole e così via. Serve a catturare voti, gli stessi di chi vorrebbe sentirsi dire niente tasse o roba simile»
Cappellacci lo ha definito il Piano paesaggistico dei sardi e ha lanciato lo slogan «La Sardegna dei sardi liberi di decidere sulla propria terra e sul paesaggio«. Lei cosa ne pensa?
«Il messaggio è suggestivo e non sorprende che abbia consenso, ma sollecita un'idea perdente. Chi pensa così è fuori strada. Non capisce che se il paesaggio sardo sta tra i beni culturali del Paese e lo Stato concorre alla sua tutela non è un impiccio. Che i luoghi preziosi dell'isola siano d'interesse nazionale è un vantaggio e non è un disonore che la comunità nazionale se ne occupi come chiede la Costituzione. Caso mai bisogna esigere dallo Stato che si preoccupi di essere conseguente e darci una o due mani a curarlo il paesaggio e a difenderlo, ad esempio dagli incendi. Ecco un modo concreto per corrispondere all'idea di federalismo solidale. E poi, mi chiedo, non era lo stesso Cappellacci che interloquiva con potentati romani per dare il via libera all'eolico nell'isola? E non si trattava di funzionari dello Stato»
Cappellacci sostiene che andrà avanti senza il concorso del Mibac per approvare il nuovo Piano, è una posizione legittima?
«È sbagliato, interpreta la Costituzione e le leggi in modo arbitrario per giustificare lo strappo. Cita un sentenza della Corte Costituzionale, la 51 del 2006, che gli dà torto senza riserve proprio per i limiti dello Statuto sardo. La Regione è autorizzata a redigere e approvare il piano paesaggistico ma lo deve fare congiuntamente con lo Stato, secondo l'art 135 del Codice Urbani, specie nelle aree su cui insistono vincoli già posti dall'autorità statale»
Ma perché la fuga in avanti di Cappellacci?
«Cappellacci ha tempi stretti per arrivare a completare l'iter della pianificazione. Ha impiegato quasi 5 anni di tempo per deliberare la variante, quando per approvare il Ppr da parte del governo Soru ci sono voluti meno di 2 anni. E ora ha fretta e deve correre saltando le regole della co-pianificazione. E preferendo lo strappo finale con clamore che gli consente di non spiegare il disaccordo nel merito con i tecnici del Mibac e di cui la Direzione regionale ha detto in modo chiaro nell'ultimo comunicato»
Cosa c'è che non va nel nuovo Piano?
«Ho iniziato a leggere e ci vorrà un po' di tempo per approfondire nel labirinto di rimandi. Mi sono intanto concentrato sugli effetti che il Piano può determinare nei tempi brevi, perché credo che non avrà vita lunga. Temo che si voglia dare efficacia immediata allo strumento già dopo l'approvazione preliminare. La ambiguità dell'art. 87 comma 2 delle norme tecniche di attuazione (NTA) dovrà essere eliminata quanto prima. C'è poi il pacchetto delle disposizioni in via transitoria dell'art. 69 NTA, e non solo, che consentono di operare, con grandi margini di libertà, ancora prima che i comuni si adeguino al Piano regionale. Ed è questa la soluzione data, una semplificazione, come si dice oggi, che potrebbe rendere superfluo adeguare i PUC. Penso ai comuni che non hanno adeguato neppure ai vecchi PTP i loro piani degli anni Settanta!»
Ci sono aspetti della variante che stanno creando molto allarme nello schieramento che si batte in Sardegna per salvaguardare il territorio e l’ambiente. Sono timori giustificati?
«C'è in particolare una norma, la più pericolosa, che lascia scandalosamente ampi margini all'arbitrio e che contraddice alla radice i principi della tutela. Mi riferisco all' articolo 50 NTA. Omologo e altrettanto pericoloso è l'articolo 58, che porta il titolo «Programmi e interventi di recupero e valorizzazione dell’assetto ambientale«. È la riproposizione dell'articolo 12 del Piano casa che così trova un puntello nel nuovo Piano paesaggistico e altrimenti sarebbe inapplicabile. In questo modo si realizza il delirio della deroga congenita che spalanca la porta a tutte le richieste altolocate, come se chi realizza un sistema di sicurezza avesse previsto di consegnare a chi li domanda i codici per violarlo. Credono di avere costruito un capolavoro di destrezza. Conservando la fascia costiera come bene paesaggistico, solo nominalmente, ma consentendo a qualsiasi progetto definito strategico di essere ammesso ovunque e senza limitazioni dimensionali: basta l'autocertificazione dei padrini, il via libera della Regione e una variante al Piano comunale. Un procedimento sgangherato che si fa beffa della pianificazione. In palese violazione del Codice con la eliminazione del presupposto essenziale che sia il piano paesaggistico attraverso analisi e criteri oggettivi, estesi a tutto il territorio, a consentire eventualmente le trasformazioni. Ma c'è di più. Questa norma, utilizzabile a discrezione, sta in una corsia privilegiata perché è applicabile subito, anche prima dell’adeguamento dei piani comunali alle previsioni del PPR, come prevede temerariamente l'articolo 69 comma 13. Una formula scorciatoia, più grossolana ma simile a quella dei PTP cassati negli anni Novanta, che almeno individuavano preventivamente le aree da trasformare, chiamate 2D con asterisco. È una norma sconcertante, pensata per i grandi speculatori che hanno bussato forte in questi anni, e che contribuirà alla cancellazione del Piano del governo regionale, speriamo prima che abbia effetti. Non so se questa scriteriata previsione avrà credito, i comuni e le imprese hanno già avuto a che fare con norme improbabili e hanno perso tanti anni a inseguirle. Basti solo pensare che non è comunque eliminabile dal procedimento l'autorizzazione paesaggistica del competente organo dello Stato che in una siffatta temperie credo sarebbe impossibile ottenere«.

la Nuova Sardegna, 27 ottobre 2013

Pps, Cappellacci lancia la sfida al ministero.
il nuovo piano paesaggistico
di Alfredo Franchini

Dopo due conferenze stampa consecutive, la prima a Sassari e l’altra, ieri, a Cagliari, il Ppr rinnovato continua a restare un mistero. I giornalisti convenuti ieri a Villa Devoto sono rimasti delusi: per l’occasione era stato montato un maxi schermo che, però, è servito solo per vedere la pagina Facebook dedicata al «Piano paesaggistico dei sardi». La scelta di andare su Facebook, precisa Cappellacci, è dettata dalla necessità di operare nella massima trasparenza: «Ci saranno tutti i documenti», assicura Cappellacci e tutti potranno sapere cosa è vincolato». Per ora, nel merito, si sa ben poco e si dovrà attendere sino a domani per leggere la delibera: la giunta - ha spiegato Cappellacci - ha approvato un paio di emendamenti e dunque serve il tempo tecnico necessario per la riscrittura. Chi andrà oggi sulla pagina Facebook dedicata al Pps, (non più Ppr ma Piano paesaggistico Sardegna), troverà un video con lo stesso presidente che cammina nel verde, zainetto in spalla, e quando si ferma dice: «La nostra isola non va difesa dal popolo che la abita, ma è il popolo che la abita che la deve difendere per consegnarla alle generazioni future».

Non c’è l’assessore all’Urbanistica Rassu accanto al governatore e non c’è nemmeno il direttore generale dell’assessorato: al fianco di Cappellacci siede il capo di gabinetto Massimiliano Tavolacci a cui il presidente delega anche qualche risposta di tipo politico. Ma certo il governatore non si sottrae alle risposte più importanti a cominciare da quella bocciatura della procedura, avvenuta a tempo di record da parte del ministero dei Beni culturali.
«La Regione ha competenze primarie», afferma Cappellacci, «dunque non devo chiedere l’autorizzazione a nessuno per approvare delibere in giunta». Il progetto di condivisione che era stato avviato parecchi mesi fa era «facoltativo». Il ministero sostiene, invece, che annunciare di aver cambiato il piano è un atto unilaterale.

Cappellacci nega e aggiunge: «Spero che al ministero vogliano imprimere velocità e che sia di buon auspicio, anche se devo dire che, in realtà, stiamo aspettando dal 9 luglio la firma sul verbale dell’ultimo incontro al Mibac». La pagina facebook, pubblicata ufficialmente con un click del presidente davanti a tutti i giornalisti non è l’unica iniziativa. Cappellacci ha annunciato che a fine mese inizierà il tour di una task force regionale che girerà la Sardegna per spiegare a sindaci, associazioni e cittadini le novità del piano «in modo che tutti possano dire la loro». Cappellacci e Tavolacci mostrano quindi attraverso un’applicazione scaricabile su un telefono, la cartografia aggiornata e gli errori che il vecchio Piano si era portato dietro: il vincolo su un corso d’acqua che non c’è più, la grotta della vipera a Cagliari che vincola una porzione di territorio ben distante dal sito. E poi le ipotesi di ricadute sull’economia: tre scenari, come si usa nelle migliori scuole, dalla congiuntura peggiore a quella stimata normalmente. Nell’ipotesi peggiore il nuovo Ppr potrà generare - afferma Cappellacci - un aumento dello 0,3% del Pil che porterebbero alla creazione di 4.000 posti; nello scenario migliore si arriva alla creazione di un valore aggiunto di 350 milioni di euro, una crescita del Pil di 1,3 punti e alla creazione di quindicimila posti di lavoro. Al di là dei numeri qual è la filosofia del piano? «Non allentare i vincoli», assicura Cappellacci, «la salvaguardia resta ma permettere l’uso razionale del territorio. Parliamone senza preconcetti».

Gianvalerio Sanna (Pd) attacca: «Lo Stato è sovrano»
Sel: «Fermiamoli»

Il presidente della giunta Cappellacci spiega che il Piano paesaggistico andrà avanti, anche in maniera unilaterale perché il parere del ministero dei Beni culturali è «facoltativo» e la Regione ha competenza primaria. Una tesi respinta dai consiglieri dell’opposizione: «C’è un motivo molto semplice», afferma Gian Valerio Sanna, «l’articolo 9 della Costituzione assegna allo Stato la competenza. È una norma blindata». Sul piano paesistico regionale si sovrappongono competenze differenti: la Regione ha sicuramente competenza primaria in campo urbanistico, (l’esempio sono i piani comunali) ma non ce l’ha in materia paesaggistica, da qui l’intervento immediato del ministero con l’intento di fermare l’annuncio e il lavoro fatto dalla giunta sarda. E, a questo proposito, c’è un precedente che può fare chiarezza: l’annullamento dei tredici Ptp proprio perché lo strumento dei piani territoriali varato in Sardegna non era stato concordato a livello ministeriale. La rivista scientifica Gazzetta ambiente ha esaminato, peraltro prima che la giunta Cappellacci annunciasse le modifiche, il Ppr dell’isola e ha individuato proprio nella collaborazione tra Stato- direzione regionale del Ministero per l’ambiente e le Soprintendenze la chiave di una pianificazione sostenibile del paesaggio sardo. Sinora le risposte messe in campo con gli strumenti approvati dal Consiglio regionale (su tutti il Piano casa, giunto alla terza versione), non hanno dato risposte al sistema economico: Maurizio De Pascale, presidente dei costruttori di Confindustria, sollecita, senza mezzi termini l’approvazione di una vera e propria legge urbanistica. Ma piccole imprese e aziende artigiane guardano con favore a una legge urbanistica più che al Ppr o al piano casa.

Francesca Barracciu, eurodeputata del Pd, candidata alla presidenza della Regione, afferma: «In Consiglio regionale quando è stato rinnovato l’ennesimo Piano casa, fu proposto alla giunta di concordare tempi e modi per arrivare alla legge urbanistica. Non hanno voluto». Ma perché? «Perché Cappellacci ha preferito l’ennesimo atto propagandistico». Per quanto riguarda gli errori denunciati ieri da Cappellacci, Gian Valerio Sanna spiega: «È vero, ci sono molte imprecisioni nell’attuale Ppr perché facemmo le cose in fretta e in quei casi occorre avere le coordinate precise. Ma si tratta di errori di cartografia non certo di inadeguatezza del vincolo». Mai nessun errore, sostiene l’opposizione che dà battaglia in parlamento.

Sel, infatti, ha presentato da qualche settimana un’interpellanza alla Camera redatta con l’apporto di una serie di intellettuali ed esperti del settore, tra i quali l'urbanista Sandro Roggio, e sottoscritta da Manuela Corda, deputata del Movimento Cinquestelle. Alla base dell’interpellanza illustrata da Michele Piras (Sel), e con l’intento dichiarato nel titolo: «Fermate la giunta Cappellacci», una serie di incongruenze e persino la tempistica che era stata accettata dal ministero dei Beni culturali e che, secondo gli interpellanti, era troppo ravvicinata considerato la complessità dell'operazione. «Bastano le riserve dei costruttori e della Confindustria per ridimensionare l’annuncio elettorale di Ugo Cappellacci e del centrodestra », afferma Giuseppe Stocchino di Rifondazione, «siamo di fronte ad una modifica virtuale del Piano paesaggistico regionale, una favola che secondo il presidente della Regione porterebbe addirittura ad un aumento dell'uno per cento del Pil regionale»

Piano paesaggistico, messincena per disfarsi delle regole
di Sandro Roggio

Bisogna riconoscerlo: ce l'hanno messa tutta in questi anni per cancellare il piano paesaggistico di cui la Sardegna si può vantare in Europa– come ha scritto Edoardo Salzano su queste pagine. Siamo arrivati all'atto finale, scortato dalla tenace azione di contraffazione delle vere intenzioni, dalla pavida minimizzazione delle importanti modifiche immaginate, e di cui sapremo quando saranno rese pubbliche.

Ed è davvero singolare che di un atto così importante (come si riconosce nel primo e unico resoconto di stampa sulla delibera) siano mancate informazioni nella fase più recente e decisiva, negate fino a ieri pure ai consiglieri regionali. Mentre nella fase di avvio e fino all'anno scorso ( ricordate le pagine di pubblicità a pagamento sui quotidiani ?) ci hanno assicurato informazione- partecipazione-condivisione. Colpisce l' accelerazione degli ultimi giorni che ha comportato la brusca e irriguardosa interruzione degli incontri tra Regione e Stato chiamato a condividere, secondo il Codice dei beni culturali, il documento di pianificazione. Cappellacci ha scelto il male minore che pensa di volgere a suo vantaggio: meglio il conflitto populista con lo Stato “prevaricatore” che dare conto nel merito del disaccordo del Ministero, su gran parte, pare, del soprannominato Pps, “Piano paesaggistico dei sardi”.

Lo strappo era comunque prevedibile: sulla base di notizie ricorrenti sul dissenso sostanziale degli organi tecnici del Ministero sul disegno della Regione. Pensato per ridurre il livello di tutela del paesaggio sardo, e corrispondente all'idea di Cappellacci di liquidarlo il Ppr – come diceva intrepido nel fulgore della campagna elettorale. Ed espresso in modi spicci nel Pps che incorpora, come sembra, le leggi orribili – piano casa e sul golf – impugnate dallo Stato. Pensando che lo Stato possa fare finta di nulla.

Non sarà facile disfarsi del Ppr del 2006. Uno strumento che corrisponde ad una idea progredita di Sardegna, e che ha resistito ad un numero impressionante di ricorsi curati da avvocati di grido, come se fosse munito di speciali anticorpi. Lo deve avere capito lo squadrone all'opera da oltre quattro anni per anatomizzarlo e rimpiazzarlo sulla spinta di quella insondabile sequela di incontri denominata “Sardegna nuove idee”. Inutile spreco di denaro pubblico per una messinscena supponente che avrebbe dovuto certificare la smania del popolo sardo di disfarsi di ogni regola. Come se non bastasse il fallimento del referendum promosso per la sua abrogazione: un fiasco a furor di popolo che per un po' ci ha fatto sorridere e ha messo a tacere lo schieramento trasversale tra le forze politiche anti Ppr, ben più vasto – sob! – di quello che si immagina.

Anche per questo è bene non sottovalutare i rischi del cortocircuito che sembra pianificato con cura. Se il bluff non sarà tempestivamente svelato potrà avere effetti in campagna elettorale, renderà incerta l'attività di pianificazione dei comuni, e nel disorientamento non è escluso che qualche iniziativa possa essere temerariamente approvata. Nello sfondo un contenzioso duraturo, mentre già emerge la faciloneria delle prime reazioni alle critiche. Alla nota della Direzione regionale del Mibac – che denuncia “l'iniziativa unilateralmente assunta dalla Regione Sardegna” – il presidente Cappellacci replica che "sui beni paesaggistici la Regione ha competenza primaria”. Com'è ampiamente noto, non sono mai eludibili le competenze dello Stato in questa materia che neppure la Sardegna può ignorare, soprattutto con riguardo alla pianificazione paesaggistica.

dichiarazioni di E Salzano, M. Bruno e R. Soru. La Nuova Sardegna, 26 ottobre 2013.

La giunta riunita a Sassari ha dato il via libera al nuovo Piano paesaggistico regionale che dovrebbe sostituire quello dell’ex-governatore Soru, ma subito arrivano lo stop del ministero e le polemiche. Il presidente della Regione Cappellacci annuncia la delibera che avvia l’ok al nuovo Ppr (Piano paesaggistico) e subito gli arriva la doccia fredda del ministero dei Beni e delle attività culturali sull'iter di revisione. In a nota stringata, pubblicata sul sito istituzionale, la direzione regionale Beni culturali e paesaggistici della Sardegna precisa che l'adozione provvisoria del Ppr «trattasi, evidentemente, di una iniziativa unilateralmente assunta dalla Regione Sardegna in quanto sono attualmente ancora in itinere tutte le attività inerenti la copianificazione prevista dal Codice Urbani e così come recepite dagli accordi sottoscritti fra le due Amministrazioni».

L’annuncio di Cappellacci è avvenuto stamattina. A quattro mesi dalle elezioni regionali, il governatore imprime una accelerata e punta ad approvare - ministero permettendo - un nuovo Piano paesaggistico che manderà in soffitta quello varato dalla Giunta di Renato Soru nel 2006. Primo passo oggi con il via libera dell'Esecutivo regionale riunito a Sassari con Cappellacci e tutti gli assessori.

Una «rivoluzione» destinata a inasprire il confronto tra maggioranza e opposizione, con il centrosinistra pronto a fare le barricate. Il Piano, innanzitutto, cambia nome: da Piano paesaggistico regionale diventa Piano paesaggistico dei sardi. Ma al di là della denominazione, viene stravolta gran parte della pianificazione voluta da Soru. Si allentano così i vincoli nella fascia costiera dove sarà possibile intervenire, ristrutturando l'esistente, sulla base di «precise regole». Quanto ai corsi d'acqua, solo fiumi e torrenti di rilievo paesaggistico saranno soggetti a restrizioni. E per i centri storici, massima attenzione a quelli di pregio, più libertà di manovra in tutti gli altri.

Lo schema voluto da Cappellacci recepisce, inoltre, la legge sul golf e quella sui Piani strategici e, come detto, mette paletti sul riconoscimento di «bene paesaggistico». Il Piano così concepito diventa lo strumento di governo delle trasformazioni, mentre i tempi di redazione dei Piani urbanistici comunali (Puc) vengono «notevolmente ridotti» con l'introduzione dell'atto di accordo tra Comuni, Regione e Ministero.

La proposta di modifica del vecchio Ppr dovrà ora compiere un lungo iter per la validazione degli atti, con l'assenso finale da parte del ministero dei Beni ambientali e culturali, con il quale attualmente sono state verificate alcune cartografie. Entro 60 giorni dall'approvazione della delibera - non ancora disponibile perchè si dovranno recepire alcuni emendamenti - si potranno presentare le osservazioni, mentre entro 30 giorni il documento dovrà essere trasmesso alla commissione Urbanistica del Consiglio regionale. «Le regole confuse e imprecise imposte negli anni passati, hanno intrappolato la libertà del nostro popolo e questo ha provocato enormi danni», ha chiarito Cappellacci difendendo a spada tratta il suo progetto.

Dal canto loro, anche le associazioni ambientaliste hanno bocciato il nuovo Ppr «Ai tentativi di travolgimento della disciplina di tutela complicheremo la vita in ogni modo, con ogni appiglio legale, con ogni attività di sensibilizzazione. Se alcune anticipazioni giornalistiche fossero confermate, infatti, ci ritroveremo davanti a palesi illegittimità». Così il Gruppo di intervento giuridico, Amici della terra e Lega per l'abolizione della caccia bocciano le prime notizie sui contenuti della revisione del Piano paesaggistico regionale approvato oggi dalla Giunta. E lanciano un appello per la sottoscrizione di una petizione on line al ministro dei Beni e attività culturali, allo stesso governatore e alla presidente del Consiglio regionale.

Salzano: «È una svendita del paesaggio sardo». Mario Bruno: «Obbrobrio giuridico»
di Mauro Lissia


Edoardo Salzano, urbanista pianificatore di fama internazionale, non le manda a dire. Lui, il padre nobile del Ppr del 2004, è indignato per il nuovo assalto al paesaggio che la Regione promette: «La giunta Cappellacci aveva già rivelato la sua volontà di rimuovere tutti i vincoli che si propongono di tutelare le bellezze del patrimonio universale costituito dal paesaggio della Sardegna, che non è solo dei sardi, come quello di Venezia non è solo dei veneziani - sostiene in una nota - le varie edizioni del piano casa e la legge per il golf, approvate in aperta violazione della leggi vigenti, lo smantellamento dell'ufficio del piano, i proclami pubblicati sulla stampa locale a spese dei contribuenti, tutto ciò aveva testimoniato la pervicace volontà di Cappellacci e dei suoi complici di svendere ai cementificatori il patrimonio comune delle bellezze dell'isola. La dissociazione dell'ufficio regionale del Mibac dal piano di Cappellacci - è scritto ancora - ribadisce la sua illegittimità. La speranza è che il governo (ministro Bray, dove sei?) intervenga per bloccare subito gli effetti immediati delle perverse "norme di salvaguardia" già operative». E a Roma qualcosa si è già mossa. A parte la nota quasi irridente diffusa ieri dai Beni culturali, il contenuto del carteggio Regione–Mibac dei mesi scorsi conferma come non esista alcun accordo reale fra la Regione e Roma: c’è un’intesa su alcuni aspetti delle cartografie ma l’idea di inserire piano casa e legge sul golf, così come di indebolire le tutele, è stata rispedita al mittente. Il Ppr di Renato Soru e di Salzano rappresenta un caposaldo a livello nazionale, dal Mibac fanno capire chiaramente che il Pps di Cappellacci è destinato a finire in un vicolo cieco. Durissimo anche Mario Bruno, vicepresidente del consiglio regionale del Pd: «Il nuovo Ppr- Pps di Cappellacci è solo un piano di marketing - ha detto Bruno - anzi il piano di presa in giro dei sardi, che non avrà alcun effetto». Bruno giudica il Pps un «obbrobrio giuridico e i comuni, in nome dei quali si sarebbe intervenuti per fare chiarezza, in realtà saranno sempre più disorientati».

Soru: «Un piano di mistificazione mediatica»
intervista di di Pier Giorgio Pinna

Renato Soru, lei è stato il padre della legge salvacoste: come giudica l’annuncio sulla revisione del Piano paesaggistico regionale? «Non è una cosa seria. Mi appare come una sparata. Una mistificazione nei confronti dei sardi. A ogni modo, si tratta di un’iniziativa totalmente fuori dalle regole della co-pianificazione con il ministero dei Beni culturali». Per quale ragione? «Questo è un atto che non vale la carta su cui è scritto. Non avrà alcun riscontro pratico né la minima conseguenza effettiva: mancano i tempi e il consenso da parte del ministero». E allora perché l’approvazione di questa delibera? «Cappellacci è in campagna elettorale. Il suo è uno studiato piano di mistificazione mediatica. Con queste uscite a effetto cerca solamente di coprire il disastro delle sue politiche». A che cosa si riferisce? «Ad altri progetti altrettanto fallimentari sbandierati negli ultimi mesi. Dalla flotta sarda, inquietante sin da un nome che - non si sa perché - richiama spiegamenti militari, alla zona franca integrale e alla nuova continuità territoriale. Tutti piani già caduti o che cadranno presto perché di fatto non varabili. Nel frattempo le linee aeree a nostra disposizione si dimezzano. E così per viaggiare incontriamo sempre più disagi e difficoltà. Ai sardi sui voli vengono garantiti sconti ridicoli e chi non risiede nell’isola ottiene i benefici maggiori. Per ogni dieci euro concessi a noi, agli altri ne vengono dati cento». Perché ritiene che nessuna di queste idee sia attuabile? «Prendiamo il caso della zona franca integrale. Cappellacci si esibisce in piazzate con il parlamentare del Pd Francesco Sanna, pur sapendo bene che nella sostanza un piano come quello che ha pensato per una regione vasta come la Sardegna produrrà più danni sotto il profilo fiscale di quelli che potrebbero essere gli inesistenti vantaggi tributari. E tutto questo sempre che in sede europea qualcuno sia davvero disponibile ad avallare progetti del genere». Che cosa pensa comunque dell’idea di cambiare così radicalmente la normativa regionale a tutela delle coste e più in generale il piano paesaggistico regionale? «La normativa approvata durante il periodo nel quale sono stato presidente della Regione è stata una grande conquista. Nella sostanza non riesco a capire dove sia il problema e perché oggi si cerchi di cambiarla: con trecentomila case estive che anche quest’anno sono rimaste chiuse, in realtà, nessuno ha più un reale interesse a cementificare». Eppure, continuano ad arrivare molte spinte in questa direzione da parte del settore edile. «Io sostengo che iniziative del genere non portano ricchezza. Quel che conta, a ogni modo, è non consumare più il territorio». Come andrà finire, in questo caso specifico? «Lo ripeto: sono sicuro che la delibera presentata nelle ultime ore non avrà alcun seguito. Sembra quasi che Cappellacci ci voglia prendere in giro. Ecco perché non sono preoccupato: questo non è un atto di programmazione, non produce effetti se non viene approvato dal governo. È solo l’inganno di un demagogo da repubblica delle banane»

Il manifesto, 7 settembre 2013

Stop alla difesa completa delle coste sarde.
La giunta di centrodestra riscrive le regole del Piano paesaggistico regionale
di Costantino Cossu
Sulle coste sarde torna l'incubo cemento. Ai primi di ottobre Ugo Cappellacci, presidente della giunta di centrodestra che governa la Sardegna, presenterà in consiglio le proposte di modifica del Piano paesaggistico regionale (Ppr) varato nel 2004 dall'esecutivo guidato da Renato Soru. Sono però già note le linee guida del contro piano e sono più che sufficienti a rendere chiaro che l'obiettivo di Cappellacci e della sua maggioranza è quello di azzerare le misure di tutela che per quasi dieci anni hanno messo a riparo la Sardegna dagli appetiti degli speculatori immobiliari e degli impresari edili. Cappellacci ha fretta perché nella primavera del prossimo anno si terranno le elezioni regionali. Il leader del Pdl si ricandiderà e del via libera al partito del mattone vuole fare una dei due pilastri della sua campagna elettorale. L'altro pilastro sarà la proposta di fare della Sardegna un'unica zona franca, con lo scopo di garantire alle industrie già presenti sul territorio e a quelle che nell'isola vorranno investire consistenti riduzioni fiscali. Una ricetta semplice semplice, quindi: cemento e sgravi fiscali. Così il centro destra vorrebbe portare la Sardegna fuori dal tunnel di una crisi devastante, segnata dallo smantellamento di buona parte dell'apparato industriale e dal crollo dei tradizionali settori dell'agricoltura e della pastorizia. Il contro piano Nelle linee guida proposte da Cappellacci cambia tutto rispetto al Ppr. Le coste della Sardegna, che il Ppr considera un «bene paesaggistico» nel loro complesso, diventano un «sistema ambientale ad alta intensità di tutela». La salvaguardia non è più complessiva: si deciderà caso per caso con «regole più precise e quindi più trasparenti» - si legge nel documento - e una «maggiore qualità della pianificazione, con la massima cura delle peculiarità paesaggistico-ambientali». Che cosa esattamente significhino queste formule, lo chiarisce un altro passaggio della bozza approvata dalla giunta regionale e poi dal consiglio: «È necessario mediare tra la tutela delle risorse primarie del territorio e dell'ambiente e le esigenze socio-economiche della comunità, all'interno delle strategie di sviluppo territoriale e sostenibilità ambientale». Tutela sì, ma se questa blocca le «strategie di sviluppo territoriale» va eliminata o drasticamente ridotta. E siccome non è un mistero per nessuno che per la stragrande maggioranza dei comuni costieri le «strategie di sviluppo» coincidono con la lottizzazione del territorio per costruire alberghi e villaggi turistici, è chiaro dove vada a parare il contro piano di Cappellacci. Tanto più che il documento, subito dopo avere aver affermato la necessità di armonizzare «la tutela delle risorse primarie del territorio e dell'ambiente e le esigenze socio-economiche della comunità», fa riferimento sia al Piano casa lanciato da Berlusconi e per ben tre volte prorogato nell'isola da Cappellacci, sia ad una legge regionale, approvata da centro destra nel 2011, che prevedeva la costruzione di venti nuovi campi in tutta l'isola con altrettanti alberghi e strutture ricettive, soprattutto vicino alla costa (legge impugnata dal governo Monti che l'ha rimandata alla Corte costituzionale). Tutti alla corte dell'emiro. Ma c'è un altro motivo per cui Cappellacci vorrebbe chiudere al più presto la partita della revisione-cancellazione del Ppr. Lo scorso aprile la Costa Smeralda è stata acquistata dalla Qatar Holding, il fondo sovrano che è il braccio finanziario della famiglia reale dell'emirato arabo. A vendere è stato l'attuale socio di maggioranza del Consorzio Costa Smeralda, cioè la Colony Capital del milionario americano Tom Barrack. Con una quota del 14,3% la Qatar Holding era già socio della società che detiene quattro tra i più prestigiosi alberghi a cinque stelle del mondo, Cala di Volpe, Pitrizza, Romazzino e Cervo Hotel, oltre alla Marina e al Cantiere di Porto Cervo e al Pevero Golf Club, tra i più importanti campi da golf a livello internazionale. Ora la Qatar Holding possiede il 100 per cento della proprietà. Il complesso turistico alberghiero acquistato dalla Qatar Holding fu creato nel 1962 dall'Aga Khan e poi venduto a Barrack nel 2003. L'Aga Khan aveva deciso di disfarsi della sua creatura per le difficoltà che aveva incontrato ad ottenere dalla Regione Sardegna le autorizzazioni necessarie a realizzare un faraonico progetto di raddoppio della Costa Smeralda: una cosa come 2.300 ettari tra il comune di Arzachena e quello Olbia, sui quali sarebbero dovuti sorgere altri alberghi e strutture ricettive extra lusso. Barrack dal canto suo aveva investito 315 milioni di euro per diventare proprietario dei terreni e degli alberghi un tempo posseduti dall'Aga Khan. Ad aprile il magnate statunitense ha venduto agli arabi per 600 milioni. Anche lui, come l'Aga Khan, ha cercato di ampliare i limiti dell' insediamento turistico nato nel 1962, sia pure con obiettivi più modesti rispetto al principe ismailita. E anche lui ha dovuto cedere, bloccato dalle leggi di tutela, soprattutto dai vincoli stabiliti dal Piano paesaggistico voluto da Soru. Dalla Regione Barrack ha ottenuto solamente l'autorizzazione a restaurare alcuni degli alberghi storici. Troppo poco. Come l'Aga Khan, anche Barrack, non potendo costruire, è andato via, considerando la gestione dell'esistente poco remunerativa rispetto all'investimento sostenuto al momento dell'acquisto. Costa Smeralda 2 Il fondo sovrano Qatar Holding, che fa capo all'emiro Tamin al Thani, da poco succeduto al padre Hamad bin Kalifa al Thani, è un colosso della finanzia. In Europa investe nel settore turistico e dell'intrattenimento (in Italia ad esempio ha acquistato l'Hotel Gallia e in Francia la squadra di calcio del Paris Saint Germain). E come tutti sanno possiede l'emittente televisiva Al Jazeera. Con Barrack è socio nella proprietà dei Fairmont Raffles Hotel e della Miramax Film. In Costa Smeralda il fondo sovrano del Qatar cercherà di fare ciò che non è riuscito all'Aga Khan e a Barrack: gettare quanto più cemento possibile sui terreni acquistati non ancora edificati. Già sono stati presentati dei progetti di massima che danno un'idea molto precisa di quelle che sono le intenzioni dei manager dell'emiro. Sono quattro i nuovi alberghi che la Qatar Holding ha annunciato di voler costruire: uno col marchio Harrods da 150 camere, un family hotel da 200 posti letto con piscine e attività sportive e due hotel più piccoli, al Pevero da 90 stanze e a Razza di Juncu da 75. E siccome gli arabi vogliono anche diversificare e puntare ad un target un po' meno di élite, nei loro piani c'è anche un grande parco acquatico a Liscia Ruja, una delle zone più incantevoli della Costa Smeralda, ancora del tutto intatta. L'idea è quella di una maxi area del divertimento con scivoli e piscine a ridosso di una delle spiagge più belle del Mediterraneo. E poi ci sono le ville, queste sì per super ricchi: trenta extra lusso di altissimo pregio più altre novanta definite «normali». Ovviamente per fare tutto questo il Piano paesaggistico regionale deve andare in soffitta. Prima di comprare la Costa Smeralda, l'emiro (allora era sul trono c'era ancora Hamad bin Kalifa al Thani) ha incontrato a Doha Cappellacci, il quale ha garantito che presto il Ppr sarebbe stato modificato in modo da rendere possibili i progetti di espansione edilizia che né all'Aga Khan né a Tom Barrack era riuscito di realizzare. Non solo, il presidente della Regione Sardegna ha anche spiegato all'emiro che utilizzando il Piano casa regionale i suoi manager avrebbero potuto ristrutturare, fuori dai vincoli del Ppr, quasi una trentina di case coloniche dalla tipica architettura gallurese (gli stazzi) per trasformarle in ville di lusso. Cappellacci ha dato all'emiro la sua parola, ed è fermamente intenzionato a mantenerla. Se qualcuno non lo ferma prima.

Bray fermi il progetto di Cappellacci,
la tutela non può essere a singhiozzo»
di Renato Soru

«Confido in Massimo Bray, spero che non si vorrà rendere complice della cancellazione di una buona pratica, di un progetto che in questi anni ha mostrato il suo valore, diventando un modello studiato in Italia e fuori dei confini nazionali». È l'appello di Renato Soru al ministro per i Beni culturali perché impedisca che le modifiche al Piano paesaggistico della Sardegna allo studio da parte della giunta guidata da Ugo Cappellacci (Pdl) diventino realtà. Il Piano paesaggistico regionale (Ppr) è un'emanazione delle norme previste dal Codice Urbani per l'ambiente. Il che significa che così come l'approvazione del Ppr ha avuto bisogno dell'avvallo del governo, così dev'essere anche per ogni sua modifica. Quindi, se Bray dice «no», Cappellacci non può fare niente, il suo progetto di cancellare le misure di tutela varate nel 2004 dalla giunta Soru diventa impraticabile. Ce la farà, Bray, stretto nella morsa delle larghe intese, a resistere? Soru si augura di sì, e in questa intervista spiega quali rischi corrono il suo piano e le coste sarde.

A che cosa mira il contro piano di Cappellacci?
«Se le modifiche previste dalla giunta di centrodestra passeranno sarà cancellata l'idea che la fascia costiera sarda rappresenti un bene paesaggistico unitario. Le coste della Sardegna non sono la somma di tante cartoline, alcune belle e altre brutte. Sono nel loro insieme una cartolina. Sono nel loro insieme un valore paesaggistico da tutelare. Non c'è un pezzo più bello e un altro meno bello, un pezzo da difendere di più e un pezzo da difendere di meno. Nella visione del Ppr va difeso tutto allo stesso modo. «
Il Codice Urbani ha fatto un passo in avanti rispetto alle vecchie impostazioni: parla di paesaggio come insieme unitario e noi abbiamo utilizzato questa impostazione. Cappellacci ritorna alle singole cartoline e sceglie quali sono meritevoli di tutela e quali no. Si entra nel campo della discrezionalità: quello che decido che non merita di essere tutelato non lo merita perché a me sembra meno bello oppure perché ci sono interessi che devono essere favoriti?
«D'altra parte Cappellacci ha cercato di forzare il Ppr sin dalle prime settimane dopo la sua elezione. Anche prima. Durante la campagna elettorale Cappellacci diceva che il centro destra stava per liberare la Sardegna dal Ppr. Poi, dal governo, ci hanno provato in tutti i modi. Innanzitutto con il Piano casa, che in Sardegna si è cercato di utilizzare non solo per chiudere una veranda o per fare una stanza in più, ma per rimuovere il Ppr. Hanno cercato di introdurre norme che facessero rivivere i vecchi piani di lottizzazione cancellati da Ppr. Alcune di queste norme sono state cassate come illegittime, altre le abbiamo bloccate in consiglio regionale. Poi ci hanno provato con una legge che prevedeva la costruzione di un numero spropositato di campi di golf. Ma è stata impugnata dal governo perché anticostituzionale: contraddice il Ppr, che è una legge di valore superiore, emanazione del Codice Urbani, modificabile soltanto con il consenso del governo centrale.
«E ora c'è questo contro piano. Ci stiamo avvicinando alla conclusione della legislatura regionale, siamo già di fatto in campagna elettorale e Cappellacci per l'ennesima volta promette di cancellare il Ppr. Cappellacci ha dichiarato in maniera esplicita che modificare il Ppr serve, tra le altre cose, a rendere possibili sia gli investimenti in Gallura dell'emiro del Qatar sia altri simili. Certo. E prima diceva che le modifiche servivano a consentire gli investimenti di Tom Barrack e di tanti altri imprenditori che, secondo lui, sono scoraggiati dalle norme di tutela. Ora che Barrack ha venduto, bisogna venire incontro alle richieste dei nuovi proprietari, con i quali persino segretamente, nel passato, Cappellacci si è incontrato, andandoli a trovare a casa loro, a Doha, e promettendo di tutto e di più».
In Sardegna il centro sinistra le sembra sufficientemente attrezzato a condurre la battaglia contro la restaurazione del vecchio modello di turismo fondato sul mattone?
Dobbiamo lavorare perché i limiti politici e culturali ancora presenti nello schieramento di centro sinistra sulle questioni ambientali siano definitivamente superati. C'erano problemi nel 2004, quando la giunta che ho guidato ha cominciato il suo lavoro, e ci sono problemi oggi. Non siamo andati molto avanti. Credo però che in questi anni sia molto cresciuta un'opinione pubblica attenta alle questioni della difesa del paesaggio e dell'ambiente.
«E' aumentata la consapevolezza che il modello di sviluppo fondato sulla cementificazione delle coste non ha portato in passato alcun reale beneficio e che anche per il futuro non possa essere la risposta alla crisi pesantissima che la Sardegna sta attraversando. Ma vorrei dire anche che in Sardegna il centro destra è indietro persino rispetto agli stessi imprenditori, i quali oggi se anche avessero altri metri cubi a disposizione sulle coste non li utilizzerebbero, semplicemente perché le case non si vendono più. Nel passato la politica nazionale copriva i guasti di una pessima gestione della cosa pubblica stampando carta moneta. In Sardegna la illusoria via di uscita era un'altra, c'era un'altra carta moneta: i metri cubi. Non stampavano carta moneta, ma metri cubi. Ne hanno dato a chiunque. Il metro cubo era la carta moneta della cattiva politica in Sardegna. Oggi quella moneta è troppo inflazionata, non l'accetta più nessuno».
La Nuova Sardegna (e su eddyburg) la solitaria protesta contro i disastri territoriali, paesaggistici e (pardon) morali della Giunta Cappellacci, 31 agosto 2013

Capita di vederla con una frequenza inquietante questa scritta: uno dei tanti indizi della crisi che sta divorando il Paese. Come succede nei momenti di grande difficoltà c'è chi vende per tirare a campare. E c'è chi attende il momento più conveniente per comprare, e fa affari - d'oro appunto- perché da ogni tragedia, e pure nel corso delle guerre, c'è qualcuno che si arricchisce. Me l'immagino chi vende, il rimpianto e la vergogna a disfarsi del bracciale della nonna pensando che sarà fuso e perderà le sue sembianze per diventare un lingotto insieme a tanti altri ricordi di famiglia. Come gli stazzi galluresi, documenti preziosi della civiltà pastorale candidati a diventare inespressive ville con piscina.

La Sardegna è tra le aree più disarmate di fronte a questa dura prova di resistenza (il film “Cattedrali di sabbia” di Paolo Carboni descrive con efficacia lo smarrimento postindustriale).

E si ha l'impressione che c'entri poco la malasorte. Non penso a una regia occulta per gettare l'isola nel baratro della disoccupazione di massa. Ma che qualcuno, appena informato delle teorie del generale von Clausewitz, abbia pensato che disarmata sarebbe stata più facilmente espugnabile, è plausibile.

Ed ecco la sequenza di bandiere bianche per la gioia di chi si aspetta pure gli applausi qualsiasi cosa voglia fare in Sardegna. In fondo nessuno ha quasi mai trovato ostacoli nello sfruttamento dei beni naturali dell'isola, dal legno al corallo; alle spiagge e alle scogliere “naturalmente” destinate a fare da piedistalli di brutte case. E oggi tocca al sole, al vento, al sottosuolo.

Lo stesso programma, portare via senza investire granché, prendere senza restituire praticamente nulla, provocando danni irreversibili al paesaggio e all'ambiente. Gran parte delle coste sono state acquisite da avveduti pionieri negli anni Sessanta (anche a 50 lire a mq, quanto per sentire una canzone nel juke box). Con soddisfazione dei venditori d'oro, e gratitudine per l'imprenditore “innamorato della Sardegna”, ricevuto a Cagliari nel palazzo della Regione. Oggi - non si trascuri il valore simbolico - il presidente Cappellacci va a Doha e a Dubai, il piglio del piazzista, a chiedere a quegli investitori di volgere lo sguardo verso la Sardegna che sarà compiacente. Più la scaccio e più mi torna in mente la scena - “Maestà, gradisca! ”- nel film di Fellini.

Quei mercati sono spietati. I fondi di quegli stati sono gestiti da rapaci finanzieri a caccia di opportunità nel Mondo, prediligono comprare debiti. Ma ai sardi, prigionieri di un format, sono proposti come principi e cavalieri generosi, invaghiti della trasparenza del mare e della prestanza del cannonau; pronti a investire con liberalità nella filiera agroalimentare, nei trasporti o nei cavalli. Così che sembri un dettaglio l'interesse vero: il profitto che solo la speculazione edilizia può garantire nel brevissimo periodo.

Nessuna sorpresa, Cappellacci e Berlusconi lo hanno ripetuto in campagna elettorale: il disprezzo per il piano paesaggistico, il proposito di eliminare le tutele per favorire lo sviluppo (?) così come la destra in Italia lo intende al di la delle dissimulazioni. E poco conta che il ciclo edilizio per alimentare due mesi di turimo non sia la panacea, com'è ampiamente dimostrato. Altrimenti Gianni (intonachino spesso in nero) e Maria (aiuto cuoca 40 giorni all'anno) non sarebbero emigrati in Germania a cercare fortuna.

Colpisce invece che la sinistra, salvo eccezioni rare, mantenga un profilo basso che proviene anzitutto dalla esitazione del PD, diviso su questo e non solo. Una parte di quel partito non ha mai voluto bene al Ppr e ha spesso recriminato sulla ostinazione di Soru colpevole di averlo voluto (curioso che le sue dimissioni da presidente non abbiano mai portato a un chiarimento).

Così si lascia che M5S occupi la scena. Grillo è il solo leader nazionale che ha denunciato il pericolo, già evidente nelle leggi approvate della Regione per consentire le brutture di cui si legge su queste pagine. Ma è solo l'anteprima. I tre o quattro piani casa e la legge sul golf - impugnati dal governo per incostituzionalità [ma intanto “attivi”-ndr]._ non bastano per assicurare l'obiettivo di distribuire salvacondotti per più consistenti trasformazioni di aree di pregio (da Bosa a Alghero, dalla Gallura al Sulcis all'Ogliastra, e a domanda si vedrà). L'approvazione della grande variante del Ppr è annunciata per settembre. Non sappiamo se il disegno riuscirà: se il governo darà l'assenso a conclusione di un processo di copianificazione di cui non si sa quasi nulla, mentre si attende che parli il ministro (interrogato dai parlamentari Luigi Manconi, Michele Piras, Emanuela Corda). C'è - e questo è un segnale incoraggiante- una rete di movimenti che sta contrapponendo il buon senso a dissennati programmi di trasformazioni di territori non solo litoranei. Ne fanno parte molte donne determinate, “dolcemente complicate”, e questa è una garanzia.


Gli effetti perversi e previsti del Piano Casa (nelle suediverse edizioni) sono ormai visibili anche ai più distratti, compresi ifrequentatori stabili della Costa Smeralda. Manufatti improbabili sono sorticome funghi lungo le coste, così come negli insediamenti urbani vi sono statinumerosi abbattimenti di edifici, tanto di quelli degradati quanto di quelli dipregio, sostituiti da costruzioni sovradimensionate. Manufatti prevalentementevuoti perché, checché se ne dica, non c’è popolazione sufficiente che possaoccuparli e le persone che hanno bisogno di una casa, continuano a non vederesoddisfatto il loro bisogno primario perché non si possono permettere diaccendere i mutui per acquistare queste nuove residenze. A quanto pare anchegli sceicchi utilizzeranno lo strumento del Piano Casa per ampliare gli stazzi.E poco importa che ciò venga fatto con gusto (il nostro) oppure no. Di sicuropotranno permettersi architetti che faranno di tutto per assecondare i gusti dichi paga le loro parcelle. La responsabilità è degli architetti o dei nuoviproprietari? Direi di no, ma di chi ci amministra (male) regionalmente direi disì. Il Piano Casa ha risolto qualcuno dei problemi sociali ed economici deisardi, così come avevano promesso i promotori e sostenitori di questostrumento? Neppure uno. Si è creato un po’ di lavoro qua e là, pocoqualificato, a termine e sottopagato. Lavoro scarso e povero a fronte di unaltissimo costo in termini di aggressione al territorio e senza una qualsiasiidea di riqualificazione complessiva. Rispetto al Piano Casa poco hanno potutofare gli amministratori locali, giacché sono stati esautorati dal governoregionale e non hanno potuto impedire – anche se lo avessero voluto – i troppiscempi che si sono perpetrati in questi ultimi anni. I frequentatori abituali diCosta Smeralda (le Marzotta in prima fila) si sono accorti di questi effettiquando davanti alle loro ville immerse nella macchia mediterranea sono sortiedifici sovrastanti le colline che si affacciano sul mare e che impedisconoloro la bella vista di cui hanno goduto finora. Questo fatto ci rende solidalicon detti frequentatori? Neanche un po’, è ciò che è già accaduto ad Alghero,Castelsardo e via dicendo a persone che, magari, hanno investito la loroliquidazione per acquistare una casa al mare, che hanno pagato un sovraprezzoper i piani più alti e che all’improvviso si sono visti defraudare del bene (mail paesaggio non è un bene pubblico?) acquisito a caro prezzo. Ma avremmosolidarizzato anche con i frequentatori della Costa Smeralda se avesseroprotestato contro le politiche del presidente Cappellacci, così come ha fatto(inutilmente e per senso civico) una manciata di persone all’indomani delleprime dichiarazioni. Probabilmente, se avessero protestato anche loro, vista lasensibilità dei nostri governanti verso chi ha denaro e “conta”, a detta dellecronache mondane, forse saremmo riusciti ad evitare alla Sardegna uno strumento“fuori luogo” come il Piano Casa, così tanto voluto dall’allora presidenteBerlusconi e acquisito in tutta fretta dalla nostra Regione, la prima che haadottato il Piano Casa e che, almeno per questo, si colloca ai vertici dellagraduatoria.
Qualcuno dei fautori del Piano Casa ha pensato di fare unavalutazione costi/benefici delle loro decisioni? Ho paura di no. In Italia nonsi usa mai lo strumento della valutazione degli interventi proposti e adottati,né pre e né post. Eppure, sul PianoCasa non sono mancati i pareri degliesperti (dai giuristi ai sociologi ed economisti) e anche degli imprenditoripiù attenti e lungimiranti, e tutti hanno espresso pareri negativi. Inoltre,dar conto degli effetti equivarrebbe a dire che di affari se ne sono fattimolti in termini di speculazione, ma ciò non si è tradotto in ricchezza per lapopolazione e, tanto meno, in occupazione. Chi pagherà i danni prodottiall’ambiente e al territorio dal Piano Casa? Nessuno dei responsabili. Eppure,mi piacerebbe che anche in Italia e in Sardegna qualcuno iniziasse a pagare ilconto, magari bonificando a proprie spese quei territori che ha contribuito adegradare, oppure rendendosi utile ai servizi sociali.

ope legis) collaborazione tra Stato e Regione nella formazione e variazione dei piani paesaggistici: a proposito del PPR della Sardegna, dei tentativi deregolatori di Cappellacci e del silenzio di Bray. Il parere di un autorevole testimone della vicenda ancora in corso

Arrivato a gennaio 2008 in Sardegna come direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici, ho subito provato la sensazione di essere stato proiettato in una troppo facile riserva di caccia. All’interno di una bomba a orologeria che la troppa bellezza e il ritmo sfacciato della natura non potevano non aver innescato, di un’armonia continuamente insidiata.

Ho visto giorno dopo giorno materializzarsi sul mio tavolo i più svariati tentativi di violare quell’armonia ed ho presto “scoperto” uno strumento che (da lontano) conoscevo poco: il Piano paesaggistico regionale. Un modello di coerenza fra necessità, comportamenti e idee. Un Piano, familiarmente indicato con il brutto suono di Ppr, in cui le esigenze della tutela delle qualità avevano la priorità, il primo caso in cui le prescrizioni del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” erano rispettate a pieno. Un documento unico e compiuto, con tanto di riconoscimenti conquistati su innumerevoli campi di battaglia, fino alla Corte Costituzionale e passando attraverso centinaia di ricorsi vinti ed un referendum abrogativo superato. E non senza medaglie appuntate, come la “menzione” dell’ONU.

Era però attiva anche un’informazione settoriale e fuorviante che, partendo da gruppi portatori di interessi concreti da soddisfare rapidamente, calava su un’opinione pubblica non sempre innocente, spesso impossessandosene. Insieme all’affermazione del Piano, si faceva avanti una gran voglia, anche pubblicamente dichiarata, di smantellarlo. E, contro le norme di tutela, la Giunta regionale ha lanciato in successione quattro siluri sotto forma di Piani Casa, in attesa di concludere il “procedimento di revisione” del Piano paesaggistico, iniziato e condotto in solitudine per oltre tre anni.

Ci si è alla fine arresi al fatto che la sola Regione, senza l’intervento del Mibac, non avrebbe potuto apportare nessuna modifica: e si è individuato un possibile grimaldello per la soluzione finale. Si sono improvvisamente ricordate le disposizioni inserite nel “Codice” nel 2008 (le quali, dopo l’approvazione del Ppr, hanno imposto la perimetrazione di tutti i beni paesaggistici e la definizione delle relative “prescrizioni d’uso”) e si è pensato di giustificare il quasi concluso procedimento di revisione con la necessità di recepire le “nuove” prescrizioni.

Sottoscritto l’accordo, le procedure adottate per “l’adeguamento” fanno malinconicamente pensare che il ruolo del Ministero sia stato ritenuto di mera sussidiarietà e sostanzialmente formale: ed è proprio su questa inaccettabile presunzione che ritengo di potere (anzi di dovere) esprimere il mio pensiero.

In particolare, dopo la tavola rotonda a Cagliari su “dove va il Piano paesaggistico della Sardegna” ed il dibattito che ne è seguito (a partire dalle considerazioni di M.P. Morittu per eddyburg.it), vorrei, utilizzando tre parole-chiave, riflettere invece proprio sul ruolo di primo attore -e non di semplice notaio- che spetta al Mibac nel procedimento di revisione. Un ruolo che non consiste solo nel prendere la parola, farsi ascoltare e co-pianificare, ma anche nella proposta di visioni alternative a quelle seguite dalla Regione fino a questo momento.

La prima parola-chiave è competenza.

Naturalmente non quella della burocrazia amministrativa: mi tocca…non mi tocca…muovo i miei bastoncini dello sciangai senza mai toccare i bastoncini -o le suscettibilità- altrui… Competenza, invece, intesa come specificità e capacità, come saperi esperti e comportamenti conseguenti, quelli che da sempre hanno caratterizzato le professionalità interne al Mibac. Competenze che, numerose, si sono sempre riconosciute nella tutela dei beni paesaggistici, nella loro individuazione e pianificazione, nel loro controllo e gestione. Come d’altronde indica con chiarezza il “Codice dei beni culturali e del Paesaggio” e come impone la Costituzione.

Elaborare congiuntamente alle Regioni i Piani paesaggistici è, per il Ministero, un’occasione unica di incidere nella realtà territoriale e far valere la propria vocazione tecnica e le proprie idee, che sono poi quelle della parte più avvertita del Paese. Puntando, ovunque, sul principio della competenza contro ogni crisi di rappresentatività.

Le comunità aspettano dal Ministero azioni energiche e coerenti, ponendo al centro dell’attenzione la tutela del paesaggio prima ancora dell’urbanistica e, ancor più, di ogni ipotetico atto negoziale. Senza debolezze, senza timidezze, senza assenze.

Naturalmente, non è questione di povertà di mezzi ma di volontà, di atti che devono essere ben concepiti, elaborati e motivati (e che, come tali, non “costano” nulla). Atti o strumenti che possono avere una forza dirompente con il semplice rispetto della legge.

Gli adeguamenti di co-pianificazione di un Piano che già c’è -e già assolve a pieno la sua funzione- sono un atto dovuto che va colto come la “madre di tutte le tutele”. Ma rappresentano anche, per il Ministero, la possibilità di dimostrare la reale e non burocratica competenza delle sue strutture e dei suoi tecnici e funzionari. Per dare un senso concreto alla propria esistenza (è questa la seconda parola-chiave), alla propria funzione civile, alla propria consapevolezza culturale.

In Sardegna si contrappongono due realtà. Una, apparentemente sonnolenta, è l’indifferenza, un albero secco che tuttavia molto contamina e infetta con il virus del disincanto. L’altra, come abbiamo visto molto viva ed agguerrita, esprime invece i molteplici interessi in gioco ed ha il dichiarato intento di annientare i sistemi di tutela, a partire dal Piano paesaggistico vigente. Ed ha fretta, molta fretta.

Le azioni che la Regione Sardegna va compiendo sembrano consequenziali a questa fretta. Esse implicano il recepimento di norme considerate incostituzionali dallo stesso Governo e ancora al vaglio della Corte. Comportano la “dimenticanza” dei vincoli definiti di “terzo genere” (che riguardano la fascia costiera, la necropoli di Tuvixeddu, gli insediamenti rurali sparsi che caratterizzano il territorio della Sardegna: stazzi, furriadroxius, medaus). Dimostrano inoltre una volontà di “spezzettamento” -come l’anomala trattazione delle aree archeologiche e della forma del paesaggio che include i siti archeologici- creando accordi diversi ed asincroni per problemi che sono invece unitari, senza coinvolgere nella revisione le Associazioni Ambientaliste, organismi giudicati “pericolosi”.

Funzionale a questa strategia appare l’adozione della procedura degli “incontri informali” e quella del “blocco” di tutti i PUC con procedure anche terminate. L’obiettivo sembra chiaro: giungere subito all’approvazione del Nuovo Piano, che diventerà -ed è questo il “punto”- immediatamente esecutivo appena portato in Giunta e senza la necessità di approvazione in Consiglio regionale.
Non sembra importare che il PPR comprenda invece la puntuale individuazione di oltre diecimila beni paesaggistici. Anzi, questa meticolosa individuazione è giudicata un elemento di disturbo da chi non tollera vincoli e tutele. Non sembra neppure interessare che, così facendo, si renda impossibile la proposizione di una disciplina paesaggistica unitaria, generale e specifica, dell’intero contesto naturale e storico-paesaggistico, a cominciare dalle fondamentali prescrizioni d’uso, altro strumento che ostacola chi coltiva una visione edificatoria del paesaggio sardo.

Non sembra importare neanche il principio generale che la Sardegna, Regione a statuto speciale, non possa comunque “diminuire la tutela” (come palesemente si tenta di fare) ma solo aumentarla e che tutto questo finirà all’esame della Corte Costituzionale. Importa “chiudere” le procedure in corso, in modo che sia possibile procedere con “i progetti strategici” e con tutta l’azione del costruire.

Sono stato Direttore Regionale in Sardegna, fino agli inizi dell’anno 2010 ed ho, tengo a dirlo con forza, piena fiducia (che è la terza parola-chiave) negli organi del Ministero, sia quelli locali che quelli centrali, e nella loro competenza tenacia e fermezza. Strutture che hanno un ruolo preciso, una loro missione e compito, e che mai potrebbero avallare scelte “paesaggistiche” come quelle che sembrano invece prendere corpo. E’ sul tappeto, oltre tutto, la fiducia nel Ministero come tale, in giorni in cui persino un ex Ministro della Cultura rilascia pubbliche dichiarazioni di possibile “soppressione” proprio di quella struttura e del conseguente suo spacchettamento.

Ecco: tre parole chiave, competenza, esistenza, fiducia. Tutte riferite a un Ministero che ha certo bisogno di cure ma che, già oggi, molto può fare per il bene della collettività. Molto può fare contro la soluzione finale che, rendendo innocuo il Ppr, lascerebbe la Sardegna sola e indifesa.

La Nuova Sardegna, 17 agosto 2013
Sarebbe bello se la strada Alghero-Bosa conquistasse il riconoscimento Unesco. Una strada di altri tempi, adagiata naturalmente in quella morfologia complessa, senza le forzature per accorciare le distanze consentite dai mezzi che oggi bucano le montagne. E' uno spettacolo fantastico quello che offre, con i colpi di scena che si susseguono andata e ritorno. Naturalmente diverso in ogni stagione, ma d'estate è davvero difficile immaginare quanto è Sturm und Drang d'inverno. Lo sguardo senza ostacoli da una parte e l'incombenza dei rilievi dall'altra (l' autoradio che a tratti riceve solo emittenti spagnole ti ricorda la posizione). Non sono molte le strade che si dispiegano per decine di chilometri senza deluderti o annoiarti (va bene anche in auto per chi non ce la fa a piedi o in bicicletta).

Ma soprattutto non ti aspetti – com'è raramente – l'assenza di tappe edificate per cui questo luogo sembra indivisibile e irriducibile. Un' amica molto devota prova a convincermi che quel profilo impervio è una scelta del Creatore in un impeto di precauzione: la difficoltà di accesso – e i costi di urbanizzazione nolto elevati – ne hanno impedito la razzia, toccata a luoghi espugnabili a più basso costo. La Provvidenza contro la speculazione.

Eppure ecco il programma di Condotte Immobiliare di rompere l'incantesimo. L'impresa romana che detiene una grande proprietà nel percorso, vuole fare un campo da golf con annessi 70mila mc proprio lì a Tentizzos nel Comune di Bosa. Una frattura in questo punto (un sacrilegio – secondo la mia amica) avrebbe un effetto travolgente, perché tutto si tiene in un ecosistema così delicato, habitat ideale per i grifoni che rischiano a ogni volo una overdose di biodiversità nella quale stanno felici.

Il benemerito piano paesaggistico regionale vieta la trasformazione di questo luogo interno alla fascia costiera tutelata. Il sindaco di Bosa sarebbe orgoglioso dell'attenzione Unesco, ma è fatalmente attratto dal progetto di Condotte. E quindi azzarda la solita capriola: sì a Tentizzos patrimonio del Mondo – spot ambito – ma no alle tutele del Ppr che la Regione di oggi rinnega. Attenzione: la Val d'Orcia ha rischiato di essere esclusa dall'elenco Unesco per poche case a schiera nei pressi di Montalcino.

A Cappellacci dell'Unesco non gli importa niente, e lavora alacremente per derogare a domanda il Ppr: immaginando il salvacondotto discrezionale (come il guidaticum medievale ?) in Planargia e in Gallura, e per conseguenza ovunque: a chi saprà bussare forte sarà aperto. Un piano riconfezionato a domanda. Un disegno palesemente illogico anticipato da atti traballanti che si puntellano a vicenda e già impugnati dal governo per sospetta incostituzionalità. Nel quale la gerarchia degli interessi è capovolta a vantaggio di quello edilizio, ovviamente subordinato nel Codice dei beni culturali a quello paesaggistico.

Il programma del governo regionale si dovrebbe concludere in autunno. Solo se lo Stato, che rappresenta un interesse non solo locale per la conservazione del paesaggio sardo, deciderà di farsi coinvolgere nel vortice di contraddizioni.

Conterà molto nei prossimi mesi la risposta che sapremo dare. Il gruppo di cittadini, organizzato nel web (SalviamoTentizzosPerBosa) ma con i piedi in terra, dimostra in modo clamoroso quanta attenzione si possa suscitare su questi temi. Questa mobilitazione, al di fuori di processi partecipativi sollecitati e assistiti, sta contribuendo a spiegare l'inutilità del ciclo edilizio nelle coste che da decenni sottrae bellezza all'isola senza restituire quasi nulla. Dalla difesa di Tentizzos alla difesa delle regole senza eccezioni: è la risposta che la Sardegna darà se potrà contare su una informazione senza reticenze e se la politica farà la sua parte senza ambiguità.

Le reazioni parlamentari al tentativo di smantellare le tutele con il nuovo pianopaesaggistico. La giunta taglia i beni protetti. In provincia di Sassari da 500 a 80. Il compito affidato a 24 tecnici esterni.Interrogazione firmata, per ora, da esponenti di SEL e M5S. La Nuova Sardegna, 8 agosto 2013

CAGLIARI. Sassari e lasua provincia hanno cinquecento beni paesaggistici tutelati dal Ppr.L’intervento di revisione che la giunta Cappellacci presenterà a metà settembreprevede un taglio drastico: ne resteranno ottanta. È solo un esempio, perché latask force di ingegneri precari del progetto Scus voluta dall’amministrazionedi centrodestra lavora su una parola d’ordine perentoria: sclassificare. Comedire togliere ai diecimila tra siti storici e archeologici, luoghi di valoreidentitario e tratti di costa sarda la tutela finora garantita dallo strumentodi pianificazione approvato nel 2004 per considerarli semplicemente «componentidi paesaggio» e abbandonarli di conseguenza alla speculazione.

I ventiquattrotecnici ingaggiati con un costo di 634 mila euro in due anni e mezzodall’assessorato all’Urbanistica guidato da Nicola Rassu hanno ricevutodisposizioni precise: un Ppr più leggero, con meno vincoli e più spazio per leattività immobiliari. Quanto finora è vietato potrebbe diventare possibile,senza che i dirigenti e funzionari regionali a suo tempo impegnatinell’elaborazione del Ppr possano mettersi di traverso: costituiti formalmentei gruppi di lavoro con una determinazione firmata il 15 giugno scorso, ildirettore generale dell’urbanistica Marco Melis ha di fatto mandato in panchinai titolari degli uffici regionali per affidare la partita del cemento a unastruttura parallela, di sua stretta fiducia e sotto il pressante controllodella politica.

Gli effetti si possono valutare fin d’ora, malgrado il nuovoPpr sia annunciato per l’inizio dell’autunno: sono a rischio aree costiere diimportanza straordinaria come quella di Bosa, dove la Condotte srl prepara indiverse versioni un’abbondante colata di cemento, possibile solo se la leggesul golf supererà le barriere normative del «vecchio» Ppr. E potrebbero tornarea correre pericoli reali luoghi finora salvati miracolosamente da progetti giàdefiniti, come il colle archeologico di Tuvixeddu a Cagliari e l’area di CalaGiunco a Villasimius. D’altronde l’obbiettivo è chiarissimo e viene messo inevidenza nell’interrogazione al governo presentata dai parlamentari MichelePiras (Sel), Gennaro Migliore (Sel) ed Emanuela Corda (M5s) dopo uno studioaccurato dei carteggi regionali compiuto in questi mesi da Maria Paola Morittudi Italia Nostra.

Il giudizio di Piras è categorico: «La giunta Cappellacci siè distinta in questi anni per la volontà ostinata di scardinare, aggirare,eludere il Ppr, collocandosi come riferimento del partito trasversale delmattone. Piani casa, legge sul golf, usi civici, il progetto Qatar,costituiscono un manifesto programmatico ed ideologico. Noi – scrive ildeputato – continuiamo a pensare che l’isola non possa trarre alcun giovamentodal consumo indiscriminato del territorio e sui beni comuni daremo battagliaperché il futuro possa essere uno sviluppo di nuova generazione, rispettosodell’ambiente, della salute delle persone, dei diritti». Fin qui il giudiziopolitico, condiviso dalle associazioni ecologiste e dal M5s. Ma le domanderivolte ai ministri dell’Ambiente e dei Beni culturali sono innumerevoli, tutteriferite a norme. Emerge, secondo il fronte dell’opposizione, l’idea diintegrare un Ppr riveduto sulla base di regole più permissive con le due leggivarate nella legislatura Cappellacci: quella sul golf, che minaccia Tentizzos,e quella sulla revisione degli usi civici, da affidare ai Comuni. Chiedono itre parlamentari: come si potrà far passare all’interno dello strumento cardinedella pianificazione regionale norme che sono state già impugnate comeanticostituzionali, in palese contrasto col Ppr attuale e quindi con il Codicedel paesaggio, quando i 102 Comuni costieri hanno già a lavorato per adeguare ipropri piani urbanistici alle indicazioni regionali?

Ancora: «Come si intendeagire – è scritto nell’interrogazione – per la tutela delle aree gravate da usicivici, dichiarate beni paesaggistici ai sensi del Codice Urbani, consideratala proposta di legge 357 che la Regione ha appena approvato e qualiprovvedimenti si intende adottare per impedire l’applicazione della leggeincostituzionale e la violazione degli accordi sottoscritti il 16 maggio 2012con la Regione?». Eppure il progetto è manifesto: rimettere in discussione letutele per rivolgere un invito sorridente all’impresa immobiliare azzoppata dalPpr di Renato Soru. Con un’idea di Sardegna del tutto diversa, forse opposta,rispetto al modello ancorato alle sensibilità che lo strumento attuale,ispirato dal pianificatore Edoardo Salzano, ha cercato di alimentare.

Progettonon facile da realizzarsi, quello della giunta Cappellacci. Perché i marginilegali per opporsi sembrano ampi: «I signori della politica sappiano che cibatteremo metro su metro – annuncia Stefano Deliperi, del Gruppo diintervento giuridico – e che utilizzeremo con impegno ogni strumentoche la legge ci offre per fermare questa devastante revisione del Ppr».

La Nuova Sardegna, 7 agosto 2013

Il Piano paesaggistico regionale (Ppr) è diventato lo strumento ufficiale della pianificazione del territorio sardo il 25 novembre del 2004 e rappresenta ancor’oggi un esempio di tutela avanzatissimo. Preceduto dalla legge salvacoste, che congelò i progetti edificatori in corso all’epoca, venne elaborato dall’Ufficio del piano, coordinato dalla dirigente regionale Paola Cannas, su «ispirazione» di un gruppo di lavoro guidato da Edoardo Salzano, che stabilì un quadro di regole perfettamente ancorato alle disposizioni del Codice del Paesaggio o Codice Urbani, la legge nazionale che disciplina gli interventi sul paesaggio e la sua difesa secondo i dettami costituzionali. Sostenuto dagli ecologisti e contestato da diverse aree politiche e dalla grande impresa immobiliare, il Ppr ha retto a tutte le prove giudiziarie, uscendo rafforzato da sentenze del Consiglio di Stato che ne hanno confermato la legittimità. Le norme del Ppr servono a tutelare i beni culturali, identitari e paesaggistici della Sardegna in nome dell’interesse generale alla loro conservazione come patrimonio collettivo.

Fin dalla campagna elettorale, il governatore Ugo Cappellacci ha annunciato che la sua giunta avrebbe lavorato alla modifica di queste norme, considerandole troppo restrittive, per favorire la ripresa dell’attività edilizia anche sulle coste. Ad oggi il Ppr in vigore è quello approvato nel corso del governo Soru, ma le recenti leggi su golf e usi civici annunciano una revisione profonda delle tutele che potrebbe cambiare il futuro della Sardegna.

E’ una corsa contro il tempo:meno di un mese e mezzo per modificare il piano paesaggistico regionale e renderlo compatibile con la legge sul golf, la famigerata legge che minaccia il paradiso naturale di Tentizzos, e con la versione riveduta e corretta degli usi civici. Appena rientrato da un incontro romano col ministero dei Beni culturali, Ugo Cappellacci promette di raggiungere l’obbiettivo annunciato («percorso avviato, andremo avanti») e l’assessore all’urbanistica Nicolò Rassu gli fa eco: «I tempi stabiliti a marzo saranno rispettati». Metà settembre dunque, massimo l’inizio dell’autunno e gli uffici di viale Trento consegneranno alla giunta lo strumento destinato a migliorare - così sostengono - il Ppr di Renato Soru, quello ispirato alle idee del grande pianificatore Edoardo Salzano. Il primo di ottobre, stando sempre alle previsioni, si dovrà firmare il protocollo d’intesa col Mibac che spianerebbe la strada all’adozione del nuovo Ppr.

Qualcosa però non torna: se per la ricognizione degli oltre diecimila beni tutelati dal Ppr nell’isola e le prescrizioni d’uso erano stati previsti almeno 210 giorni di attività, i gruppi di lavoro chiamati a operare per la revisione del piano sono stati costituiti meno di due mesi fa, la determinazione firmata dal direttore generale dell’urbanistica Marco Melis è datata 10 giugno. Da allora ad oggi i funzionari chiamati a collaborare non hanno messo mano ad alcuna pratica legata al Ppr, non uno studio, una cartografia, niente di niente. Quindi a meno che Cappellacci e Rassu non intendano precettare gli uffici, bloccare i piani ferie e imporre in pieno agosto ai funzionari ritmi di lavoro forsennati, è impossibile che un intervento delicatissimo e complesso come quello annunciato possa essere realizzato alla scadenza confermata ancora ieri. L’altra volta, quando la Regione mise in moto la macchina del nuovo Ppr, l’assessorato aveva dato agli uffici dodici mesi di tempo: era il 2010 e fu la Procura della Repubblica - ricordiamo quei fatti in un servizio a parte - ad accertare come al 28 dicembre 2011 il lavoro di revisione non fosse neppure cominciato. Esattamente la stessa situazione di oggi, a sentire i funzionari che sulla carta dovrebbero essere impegnati alacremente nell’esame analitico di vincoli e tutele territoriali. Allora com’è che i vertici regionali si dichiarano certi di farcela?

Escluso che si tratti di un bluff, una risposta ci sarebbe: si chiama progetto Scus - Schema per il corretto uso del suolo - finanziato con la legge 14 del 14 luglio 2012. In pillole: un folto e articolato gruppo di lavoro esterno, chiamato a collaborare con i comuni per adeguare i piani urbanistici al Ppr. La Regione ha messo in conto 635 mila euro da spendere in due anni e mezzo per pagare 24 tecnici reclutati al di fuori dai ruoli pubblici, che da mesi operano sotto la vigilanza del comitato tecnico e del direttore generale Melis, occupandosi del nuovo Ppr, formalmente all’insaputa dei funzionari dipendenti dall’amministrazione regionale ma negli stessi uffici. A coordinarli è un ingegnere, Stefania Zedda, anche lei chiamata dall’esterno e considerata vicina al direttore generale Marco Melis. Come dire che cancellato l’ufficio del piano - allestito da Soru e dall’allora assessore all’urbanistica Gianvalerio Sanna, ingegneri e altre forze interne alla Regione messe insieme per elaborare il materiale tecnico alla base del Ppr - Cappellacci sembra aver affidato l’intervento di revisione del piano paesaggistico a un gruppo parallelo di strettissima fiducia, selezionato con criteri non dichiarati e pagato in base a contratti co.co.pro sconosciuti anche ai sindacati. Chiamato dalla Nuova Sardegna a chiarire se è così che il lavoro sta andando avanti e il perché di questa scelta, l’assessore Rassu ha risposto attraverso il suo addetto stampa di essere impegnato in attività istituzionali. Neppure cinque minuti per spiegare come siano stati reclutati i componenti del gruppo di lavoro per il progetto Scus, perché al 6 agosto 2013 i gruppi di tecnici interni siano ancora con le mani in mano e per quale motivo funzionari regionali di grande esperienza, che conoscono il Ppr per averci lavorato due anni sotto la giunta Soru, siano stati in parte inseriti nei gruppi ma finora esclusi dall’attività. In attesa delle risposte, alcuni funzionari regionali si preparano a ostacolare la fase conclusiva del lavoro di revisione: alla fine potrebbe mancare qualche firma fondamentale.

In ballo c’è l’ok delle sovrintendenze: senza quello il nuovo piano finirebbe nel nulla.

La Nuova Sardegna, 23 luglio 2013

E' un ricordo la lunga estate al mare delle canzoni. Le ferie di chi può permettersele sono un magro riassunto, per cui la stagione a fini contabili si riduce a un mese e poco più, pure nei litorali sardi. Qui, in questo tempo, si decide il bilancio di aziende e persone. E in mancanza d'altro su questi 30-40 giorni si fa grande affidamento, e si spera di conservare intatto almeno questo introito. Ma al diavolo il presupposto: la bellezza superstite per cui l'isola è ancora tra le mete ambite (nonostante l' infamia dei trasporti).
Per questo è meglio che ci diciamo le cose come stanno sul turismo; e sul cinismo del mercato che ti premia finché hai carte in mano e ti disprezza appena trova di meglio.

Resisterà, come sanno i turisti smaliziati, l'isola dei paesaggi senza artifici, dei beni culturali, delle cose buone da mangiare fatte qui (con tutto il rispetto per il consumo di caviale e champagne a Porto Cervo che inorgoglisce qualche cronista).
D'altronde la concorrenza è tra luoghi sempre più uguali nella metropoli turistica. Inesorabile l'omologazione delle giostre. Compresa quella sarda (che pure conserva differenze fantastiche). Per cui sembra impossibile impedire che ogni luogo eccitato dalla presenza di forestieri assuma i caratteri dell'ipershop+luna park. E impensabile vietare che nei negozi di artigianato sardo si vendano gli stessi orribili cestini di plastica, e nuraghi e coralli di resina fatti in Cina dalle stesse manifatture che riforniscono -dappertutto- i venditori ambulanti. I quali giurano che le zanzare e le escort di Porto Rotondo sono le stesse di Antigua e Sharm El- Sheikh, ma chissà se è vero.

E' sicuro che i calamari surgelati che trovi nei ristoranti sardi, sono gli stessi che ti danno in Costa del Sol o nelle feste del PD in Emilia Romagna e in Toscana.
Non mi stupisce che molto mirto (liquore) sia di bacche non sarde. O che molto torrone sardo sia di mandorle provenienti da chissà dove. Mi inquieta che il mirto sardo (arbusto) sia tra la macchia che brucia ciclicamente. E che i mandorli siano stati tutti espiantati. E che non ci mancano le maree gialle. Lo stesso giallo segnalato a Rosignano, Vico Equense, Porto Empedocle, che compare, con trascurabili variazioni cromatiche, a Alghero o a Valledoria, sob! Inaccettabile per chi deve difendere la reputazione del suo mare cristallino. Com'è insopportabile che il mito dell'ospitalità sia contrariato dai soliti agguati (aeroporto di Fertilia: 50 cent per un bicchiere d'acqua - in pvc, al banco).

L'impressione è che vi sia un allarme crescente per la compromissione di luoghi prossimi al mare; anche perché alle alterazioni di profili litoranei corrisponde lo spopolamento delle regioni interne che sembra inarrestabile. Per cui sono sempre più rari i convegni sull'esodo dalle montagne più sfigate (mentre i Mamuthones vanno in trasferta nelle marine ad allestire deprimenti show per villeggianti).
Colpisce il silenzio di chi vive di turismo agli annunci di nuove contraffazioni del paesaggio decise in Qatar o a Dubai. Quel declivio costiero sfigurato inutilmente sarà così per sempre - anche quando i Mamuthones rinsaviti saranno tornati alla tradizione - “su connottu”.

“Più case-più turisti-più lavoro per i sardi”: l'imbroglio che resiste. Eppure basta leggere il servizio di Luca Roich su «La Nuova Sardegna» (7 luglio 2013) per sapere che sono sempre meno i sardi impiegati nei villaggi vacanze - come nell'edilizia. Difficile (?) prevedere che sarebbero arrivati da lontano e numerosi a occupare quei posti sottopagati. Ma immaginabili le reazioni: i falchi contro quei disgraziati che “ci rubano il lavoro”, le colombe per “un forte rilancio dell'edilizia costiera”. Banalmente: senza un progetto di tutela dei luoghi e delle comunità la crisi sarà solo subita e lascerà segni indelebili.

La tutela dei beni paesaggistico-ambientali è un principio fondamentale della Costituzione perché riguarda la «persona umana nella sua vita, sicurezza e sanità, con riferimento anche alle generazioni future, in relazione al valore estetico-culturale assunto dall’ordinamento quale “valore primario ed assoluto” insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro» (Ordinanza della Corte costituzionale n. 46 del 6 marzo 2001). Eppure fino al 2004, prima dell’emanazione della legge «salva coste» - che impose come misura di salvaguardia l’inedificabilità dei territori entro i due 2 chilometri dalla battigia - la distruzione della Sardegna sembrava inarrestabile. Dopo soli due anni, ci fu l’approvazione del primo stralcio del piano paesaggistico che dichiarò la fascia costiera bene d’insieme e adeguò la tutela alle caratteristiche dei luoghi. Singole misure di protezione imposero l’inedificabilità per le aree più a rischio, fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici, da effettuarsi entro il limite massimo di un anno per i 102 comuni interamente ricompresi negli ambiti costieri.

Il pericolo sembrava scongiurato. Ma bisognava ancora fare i conti con l’avidità e le continue aggressioni dei soliti “gufi dal gozzo pieno”. Immediatamente fioccarono i ricorsi per ottenere l’annullamento del piano. Respinto quello alla Corte costituzionale ne arrivarono centinaia davanti ai giudici amministrativi, tutti conclusi con la conferma dell’intero impianto normativo e solo in pochi casi con la soppressione di qualche comma privo di rilevanza. Ci fu addirittura un referendum popolare abrogativo, fallito per il mancato raggiungimento del quorum.

E’ naturale che un simile clima rallentasse le procedure per l’adeguamento dei piani urbanistici al Ppr, protraendo l’efficacia delle norme di salvaguardia, che difesero i beni comuni sino al varo del primo “Piano casa” («Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo») introdotto nell’ottobre 2009 dalla nuova maggioranza politica, eletta con il compito di smantellare il Piano paesaggistico regionale.

Da quel momento sono state sospese tutte le misure di protezione vigenti e si ammette persino la realizzazione di nuove opere all’interno dei 300 metri dalla linea di battigia. L’illegittimità dell’operazione è chiara, perché tutto avviene in applicazione di una norma che, dettando «principi e direttive», da applicare in sede di revisione del Ppr, dichiara testualmente che solo quest’ultimo - non, quindi, una legge - può predisporre «misure di salvaguardia» e indicare le «opere eseguibili sino all’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali» (art. 13, Legge Regionale 21 novembre 2011, n. 21). Sfruttando le esitazioni delle Soprintendenze, Regione e comuni, imperterriti, continuano a rilasciare autorizzazioni su autorizzazioni, violando il Codice dei beni culturali e del paesaggio e precedenti pronunce del giudice amministrativo.

Intanto le “disposizioni straordinarie”, inizialmente previste dalla legge regionale per un anno e mezzo, sono state integrate e prorogate fino a novembre 2013 con tre successive edizioni del “piano casa” originario, quando, forse, scadrà la sua ultima edizione.Una lotta impari: quattro Piani casa contro un Piano paesaggistico.

Eppure, nonostante tutto, 58 comuni hanno avviato le procedure di adeguamento e 16 le hanno concluse. Certo, mancano ancora Comuni importanti, come quello di Cagliari, ma l’inerzia sembra dovuta più alla volontà di evitare le misure di salvaguardia, che alla complessità del procedimento: le deroghe introdotte dal Piano casa si applicano fino all’approvazione dei nuovi piani urbanistici e solo pochi sindaci virtuosi sono disposti a rinunciare a simili “vantaggi”.

Nel giugno 2010, inoltre, ha avuto ufficialmente inizio il procedimento di revisione del Ppr, con l’esordio pubblico del progetto Sardegna Nuove Idee e l’attivazione dei «laboratori del paesaggio» - conclusi nel febbraio 2011 - creati per accogliere le richieste dei sindaci, interessati all’annullamento delle «misure di tutela talebane». Nello stesso anno viene emanata anche la legge sullo «sviluppo golfistico», che introduce nuove deroghe al Ppr per costruire ville e alberghi intorno a 25 nuovi campi da golf: altri tre milioni di metri cubi di cemento su oltre 3 mila ettari di territorio, prevalentemente agricolo.

Nel frattempo la Regione lavora alacremente per elaborare le nuove norme di attuazione del Ppr, Tutto avviene nel più stretto riserbo, ma le notizie che filtrano sono molto inquietanti. Si parla della cancellazione di importanti disposizioni di salvaguardia, comprese quelle che vincolano la fascia costiera, i centri storici e gli insediamenti rurali, tutti declassati da bene paesaggistico a semplice “componente di paesaggio”.

Nel luglio 2012 il Consiglio regionale approva le nuove «Linee guida» che rinviano alle procedure della legge sul Piano casa. Mai formalmente coinvolti il Mibac e le associazioni ambientaliste, nonostante la loro partecipazione sia considerata obbligatoria ai fini della validità dell’intero processo: i numerosi appelli inoltrati da Italia Nostra alla Regione e al Ministero sono rimasti a lungo inascoltati. L’arroganza della Regione arriva al punto di approvare le «Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici» al fine di ridurre la tutela prevista per le zone umide, aggirando anche una sentenza del Consiglio di Stato. L’opera di demolizione del piano paesaggistico prosegue, dunque, inesorabile e senza soste.

Nessun cedimento da parte della giunta Cappellacci neanche quando, pochi mesi dopo, il governo Monti impugna la nuova legge sulle zone umide davanti alla Corte costituzionale; o quando nel gennaio 2012 finiscono davanti alla Consulta alcune disposizioni della legge sul Piano casa per avere violato le norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Erano stati del resto impassibili anche l’anno prima, quando fu addirittura il governo Berlusconi a impugnare alcune norme della Legge sul golf.

Troppo forti gli interessi in gioco e ognuno deve avere la sua parte, dal piccolo imprenditore locale all’emiro del Qatar. Per difenderli la Regione acquista perfino due pagine dei maggiori quotidiani locali, ricordando ai cittadini la necessità di revisione perché «le regole di oggi vietano e bloccano».

Nel marzo 2013, finalmente, dopo che la Regione ha agito in completa solitudine per tre anni e col dichiarato intento di annientare il sistema di tutela, il Mibac firma il disciplinare d’intesa per la verifica del Ppr dell’ambito costiero. L’attività di revisione diviene di colpo necessaria per l’adeguamento delle norme di attuazione alle decisioni del giudice amministrativo (cioè per cancellare qualche comma da alcuni articoli), per recepire le leggi sul piano casa, sul golf e sull’interpretazione autentica del Ppr, nonché per eliminare le incongruenze rilevate negli elaborati del piano.

Compaiono improvvisamente anche le attività “obbligatorie” richieste dal Codice fin dal 2008: la ricognizione - con le prescrizioni d’uso - degli immobili e delle aree dichiarati beni paesaggistici da singoli provvedimenti (art. 136), dalla legge (art. 142) e dallo stesso piano paesaggistico ai sensi dell’art. 134, comma 1, lettera c) del Codice. Ma per questi ultimi, in violazione alla normativa vigente, il disciplinare non prevede l’obbligo di dettare le prescrizioni d’uso. Tutte le attività, inoltre, dovranno svolgersi in soli 210 giorni - per garantire l’approvazione del nuovo piano entro la fine della legislatura - nonostante il Ppr comprenda la puntuale individuazione di oltre 10 mila beni paesaggistici. La revisione - si precisa - avverrà secondo il procedimento indicato dal Piano casa, malgrado tale disposizione sia stata impugnata dal Governo e si trovi ancora al vaglio della Consulta. Come si è detto, infine, vengono recepite norme certamente incostituzionali, impugnate dallo stesso Governo di cui fa parte il Ministero che ha siglato l’accordo.

L’illegittimità di tutta l’operazione è sempre più evidente. Gli adempimenti richiesti dal Codice, del resto, devono rendere più efficaci i sistemi di tutela vigenti, non annullarli.

Di avviso contrario, ovviamente, il presidente Cappellacci. Intervistato dalla Nuova Sardegna un mese dopo l’accordo con il Ministero egli afferma: «le modifiche al Ppr vanno nella direzione di qualsiasi tipo di intervento e investimento, non solo del Qatar. Se oggi si vuole fare un intervento di rilevanza strategica è necessario levare alcuni vincoli. Ma non solo. All’interno di quel processo di revisione c’è anche il recepimento dei progetti strategici previsti dal Piano casa che richiedono una attenzione straordinaria e un approccio multidisciplinare». “Progetti strategici” che pare valgano 50 milioni di metri cubi. Come diecimila palazzi di sei piani. Un nuovo capoluogo di oltre 300 mila abitanti sparpagliato lungo le coste della Sardegna.

La decisione, ora spetta al Mibac. Il futuro della Sardegna è nelle sue mani. Svolgerà con coraggio e fermezza il proprio ruolo istituzionale o abbandonerà la Sardegna alla triste profezia di Antonio Cederna, lasciandola sprofondare sotto il peso del cemento?

Fatto Quotidiano, 24 giugno 2013, con articoli di Ferruccio Sansa, Roberto Morini e Thomas Mackinson, dedicato ai danni gravissimi provocati a una delle più straordinarie isole del Mediterraneo. Ma le responsabilità non sono solo degli immobiliaristi che crescono all'ombra dei cappellacci, né solo dei Mazzarò locali, anche dei ministeri romani: in particolare del MIBAC. Come spieghiamo sinteticamente in una postilla

Sardegna oggi
di Thomas Mackinson e Ferruccio Sansa

Salvare la Sardegna. Ora o mai più. Sull’isola di Smeraldo stanno per riversarsi 50 milioni di metri cubi di cemento. Una colata senza precedenti, concentrata su coste tra le più belle e delicate del mondo. Luoghi che rendono unica la Sardegna e, proprio perché intatti, garantiscono la maggiore ricchezza economica di un’isola in gravissima crisi.
C’è la minaccia del cemento targato Qatar, uno schiaffo irrimediabile al paesaggio, ma anche all’orgoglio della gente sarda che vedrebbe la propria terra colonizzata con i soldi del petrolio. E ci sono imprenditori nostrani, come i Benetton, che alle origini della loro fortuna - prima di diventare i padroni delle Autostrade - amavano darsi un’immagine politically correct. Poi tanti grandi della finanza italiana, come il Monte dei Paschi o i Marcegaglia, che hanno chiesto di poter costruire o gestire alberghi. Insomma, nomi che contano nei salotti della politica e del potere nazionale, di fronte ai quali la gente di Sardegna pare disarmata.

Il grimaldello per aprire la porta è quello della crisi, come ricorda Stefano Deliperi, che con il Gruppo di Intervento Giuridico è una delle voci più appassionate e agguerrite nella difesa della terra di Sardegna: “Il 30% dei residenti in Sardegna in età lavorativa - dai 15 anni in poi – sono disoccupati o sottoccupati, mentre il 62,7% è privo di qualifica professionale. In tre anni (2008-2011) l’edilizia in Sardegna ha perso il 40,86% degli addetti, passando da 44.032 a 26.176 (dati Fillea Cgil)”.

La risposta della politica e della giunta di centrodestra guidata da Ugo Cappellacci sembra essere solo una: costruire. Non importa che l’attuale maggioranza tra pochi mesi scada e che decisioni tanto importanti non debbano essere prese da chi, forse, presto tornerà a casa. Non importa, soprattutto, che altre strade siano percorribili, “con vantaggi per l’ambiente e per l’economia”, come ricorda Deliperi. Una, per dire: la giunta di Renato Soru aveva previsto investimenti per mezzo miliardo per recuperare paesi e borghi dell’entroterra. Un modo per dare lavoro al settore edile, per portare il turismo oltre le coste, ma anche per risparmiare il paesaggio. Salvando i centri dell’interno - la vera anima della civiltà e della cultura sarde - altrimenti destinati all’abbandono. Eccole, allora, le principali minacce che incombono sulla Sardegna. Pericolose, soprattutto perché fatte con il benestare dell’amministrazione. A norma di legge.

Costa Smeralda, la grande preda è sempre lei il sogno degli immobiliaristi di mezzo mondo. Quella manciata di chilometri di granito affacciati sul blu. Ma stavolta l’incubo potrebbe diventare realtà: nel 2012 l’intera Costa Smeralda è stata acquistata (per 600 milioni) dalla Qatar Holding, il braccio finanziario della famiglia Al Thani, casa regnante del Qatar. “Con la benedizione di Cappellacci e degli amministratori di Olbia e Arzachena, è stato presentato un piano di massima per investimenti immobiliari da un miliardo”, racconta Deliperi. Un progetto che prevede tra l’altro: 500 mila nuovi metri cubi, il restyling della famosa piazzetta di Porto Cervo e dei quattro hotel “storici”, un “parco acquatico” a Liscia Ruja, un kartodromo, decine di ville extra-lusso, trasformazione di 27 caratteristici “stazzi” galluresi in ville esclusive. E subito sono partiti gli esposti delle associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Amici della Terra e i provvedimenti del Servizio valutazione impatti della Regione autonoma della Sardegna. Sostiene Deliperi: “A nostro avviso il progetto viola il piano paesaggistico regionale e le altre normative di salvaguardia ambientale. Non ci risulta che siano stati svolti i necessari procedimenti sulle valutazioni di impatto sull’ambiente”. Risultato : la “Costa Smeralda 2” targata Qatar finora è stata bloccata dagli uffici tecnici della Regione.

Dune di Badesi. Costruire perfino in riva al mare. Addirittura sulle dune. “A Badesi”, racconta Deliperi, “a poche decine di metri dalla battigia, stanno fiorendo ville sulle dune. E nell’immediato entroterra appartamenti”. Servizio completo. Ancora Deliperi: “Mancherebbero le necessarie procedure di impatto sull’ambiente (come certificato del Servizio valutazione impatti della Regione autonoma della Sardegna) e il piano di lottizzazione degli anni 70 del secolo scorso è ormai ampiamente scaduto”.
Il contrattacco degli ambientalisti è a colpi di carte bollate, interrogazioni al Parlamento europeo (del deputato ecologista Andrea Zanoni), al Senato e alla Camera (Cinque Stelle) e in Regione (l’indipendentista Claudia Zuncheddu). La Commissione europea e il Ministero dell’Ambiente hanno chiesto chiarimenti.

Piscinas – Ingurtosu. Siamo sulla costa occidentale, in una distesa di verde a perdita d’occhio. Poi profumo di mirto e davanti solo mare. Ma il paesaggio cambierà se arriveranno 40-50 mila metri cubi di ville, residence, centro benessere, campo da golf. Nelle aree minerarie di Ingurtosu e Piscinas, a ridosso delle splendide dune costiere di Piscinas – Scivu. E le norme per la tutela del paesaggio? “Non sono state rispettate”, scrivono ambientalisti e comitati nei loro esposti. Ancora una volta la sorte del paesaggio sardo è nelle mani dei giudici.

Tuvixeddu. La più importante area archeologica sepolcrale punico-romana del Mediterraneo (oltre 2.500 tombe dal VI sec. avanti Cristo fino all’Alto Medioevo). Dentro Cagliari. All’estero ne farebbero un’attrazione capace di richiamare centinaia di migliaia di turisti (e tanto denaro). In Italia invece neanche sappiamo che c’è. C’è voluto il giornale inglese Times per tirare fuori la storia. Se digiti “Tuvixeddu” su internet ti compare il sito della società costruttrice: “Abitare non è mai stato così piacevole”, con tanto di immagini della futura colata. L’accordo del 2000 prevedeva 400 mila metri cubi affacciati sulla necropoli. Un progetto caro alla potentissima famiglia Cualbu, sostenitrice di Cappellacci, ma con amici nel centrosinistra. Marcello Sanna, che abita a pochi metri la descrive così: “Qui non è solo una questione di ambiente e storia. Ma di rispetto dei morti”. Ma dopo anni di dispute legali le ruspe affilano di nuovo i denti.

Capo Malfatano. Una lingua di terra e di vegetazione bassa, piegata dal vento. Una manciata di case di pietra, i furriadroxus, testimonianza di una comunità unica: anziani pastori, tutti uomini, che hanno speso qui ogni giorno della loro vita. Ecco cos’è Capo Malfatano, nell’estremo sud della Sardegna. Per rendervene conto potete vedere su internet il bellissimo documentario “Furriadroxus” di Michele Mossa e Michele Trentini. Un luogo perso in fondo alla Sardegna, ma gli appetiti delle grandi imprese sono arrivati fin qui: il progetto prevede 140mila metri cubi di cemento, come dieci grandi palazzi, sui 700 ettari incontaminati del promontorio. Un’operazione voluta da colossi nazionali del settore: società della famiglia Toti, dei Benetton, del Monte dei Paschi. Per capire cosa ne verrebbe fuori basta vedere il sito www.silvanototi.com  . Anche la Mita che fa capo ai Marcegaglia era pronta a gestire gli alberghi. Ma il progetto per adesso è fermo dopo la sentenza del Tar. La parola al Consiglio di Stato. Una buona notizia per i vecchi abitanti dei Furriadroxus che temevano di dover lasciare le loro case dopo una vita. Per far posto ad alberghi e centri benessere.

La storia urbanistica della Sardegna è un susseguirsi di battaglie a colpi di vincoli, piani casa, corsi e ricorsi. Sembrava che il rischio della cementificazione fosse stato scongiurato quando nel 2004 Renato Soru - patron di Tiscali eletto governatore con il centrosinistra - varò la “legge salvacoste” che vietava di costruire in prossimità del mare. Ma i nemici del nuovo vincolo non hanno dato tregua. Fino alle dimissioni di Soru e alla sua sconfitta elettorale nel 2009. In prima fila c’è Silvio Berlusconi, grande sostenitore di Ugo Cappellacci, eletto alla guida della Regione quasi cinque anni fa. Ma Soru, va detto, fu fortemente avversato anche dalla maggioranza che lo sosteneva. Anzi, furono proprio gli scontri all’interno della sua coalizione a farlo cadere. In Sardegna, dicono in molti, comandano le “3 M”: medici, massoni e mattone. Ma c’è chi ne aggiunge altre due: media e monsignori.
Grazie al sostegno della Regione e anche di amministrazioni locali sulle coste della Sardegna è prevista la realizzazione di progetti per un totale di 50 milioni di metri cubi. Più di una grande città.
I fondi del Qatar hanno acquistato la Costa Smeralda per 600 milioni. Il progetto prevede tra l’a l t ro : 500 mila nuovi metri cubi, un “parco acquatico”, un kartodromo e decine di ville extra-lusso. La fame di costruire non ha risparmiato Tuvixeddu, necropoli fenicia dentro Cagliari. Il progetto prevedeva 400mila metri cubi nuovi. Anche il Times si è scagliato contro il piano.


Stintino, spiaggia Pelosa sarà ben poco virtuosa
di Roberto Morini


La Turisarda potrà costruire altri 40mila metri cubi di cemento davanti alla spiaggia più bella del nord Sardegna, la Pelosa di Stintino, in una delle zone più belle del Mediterraneo, capo Falcone, in faccia alla splendida isola-parco dell’Asinara. Aumenterà così del 20 per cento la volumetria di quello che è giustamente considerato uno degli ecomostri sardi più noti, l’hotel Roccaruja.

Il lungo serpentone alto quattro piani costruito dai Moratti negli anni Sessanta, quando in mezzo a quelle dune non si era ancora visto nemmeno un mattone, passato poi sotto il controllo dell’Eni attraverso Snam, quando i petrolieri di stato facevano ancora gli imprenditori turistici, è finito nel 2000 in mano a una società sarda, la Turisarda, appunto. Di volontà di eliminazione dell’ecomostro riferirono tutti i giornalisti presenti alla conferenza stampa durante la quale il sindaco di Stintino Antonio Diana aveva presentato nel giugno 2010 quello che aveva battezzato “Puc salva coste”. Diana, il politico che nell’ultimo decennio ha partecipato più di tutti gli altri alle decisioni relative al cemento sulle coste di Stintino, prima come assessore all’Urbanistica poi, dal 2007, come sindaco, rieletto l’anno scorso per il secondo mandato, in quella conferenza stampa aveva parlato di svolta ambientalista. Aveva annunciato che l’albergo sarebbe stato demolito e ricostruito più lontano dalla spiaggia, che la Pelosa sarebbe rinata anche attraverso la cancellazione della strada che ora separa la spiaggia dall’albergo e dalla lunga e ininterrotta teoria di ville costruite in quarant’anni a Capo Falcone.

Una spiaggia ormai dimezzata nella sua superficie, trasformata in duro campo di sabbia umida e battuta dalle centinaia di migliaia di turisti che la calpestano ogni estate in ogni suo centimetro, rendendola impraticabile per chi non sia disposto a conquistarsi un posto al sole alle 7 del mattino. “L’hotel Roccaruja – aveva detto in quella occasione Antonio Diana – dovrà essere sottoposto a un radicale adeguamento con un progetto meno impattante”. Eppure a Stintino la distanza tra parole e fatti era stata osservata più volte. Come quando, negli anni Novanta, il Comune di Stintino aveva sfregiato uno dei panorami più belli del mondo con l’installazione di un filare di lampioni che spezzava, e continua a spezzare, una vista fino ad allora mozzafiato. Ora dietro le parole ambientaliste viene lanciato un aumento di cubature di cui nessuno si era accorto.

Il vero contenuto del Puc del Comune di Stintino viene alla luce solo ora perché a puntare la lente d’ingrandimento sui numeri del piano urbanistico ci ha pensato un geometra sassarese, Alfonso Chessa, con un esposto alle procure della Repubblica di Cagliari e Sassari e al Tribunale di Brescia. Chessa si riteneva vittima indiretta del grande crac Bagaglino-Italcase, un fallimento da 600 milioni di euro che in primo grado aveva visto la condanna di alcuni dei nomi più grossi della finanza nazionale, da Cesare Geronzi a Roberto Colaninno a Stena Marcegaglia, poi assolti in appello da una sentenza che confermava solo le condanne di Mario Bertelli, titolare del gruppo turistico bresciano travolto dal fallimento, e di alcuni imprenditori locali. Secondo il geometra sassarese, infatti, il Comune di Stintino aveva trasferito nel 2006 le cubature precedentemente attribuite al Country Village, il villaggio turistico di Bertelli, ad altre aree, tra le quali quella dell’hotel Roccaruja. Proprio nella causa relativa al fallimento Bagaglino-Italcase, Chessa era poi diventato perito del Tribunale di Brescia, che si era trovato svalutati, perché non più edificabili, i terreni che avrebbe dovuto vendere per tentare di pagare i numerosi creditori. E aveva già denunciato, con una serie di esposti, quell’operazione da lui ritenuta illegittima.

Ora, dopo il Puc, il nuovo esposto presentato da Chessa fa emergere la conferma di quella scelta, fatta nel 2006 quando l’attuale sindaco era ancora assessore all’Urbanistica nella giunta guidata da Lorenzo Diana. Nel Puc l’ipotesi di demolizione e ricostruzione dell’ecomostro esiste, ma sembra poco allettante per i proprietari dell’albergo: la premialità aggiuntiva in caso di demolizione e ricostruzione è infatti di soli 6mila metri cubi. Mentre i 40mila metri cubi, che si aggiungono agli attuali 200mila, sono immediatamente utilizzabili, senza nessuna demolizione, senza nessuno spostamento lontano dal mare.

A sua difesa il Comune sostiene di aver addirittura ridotto la volumetria che l’attuale proprietario del Roccaruja avrebbe a sua disposizione, dai 50mila metri cubi concessi nel 2006 ai 40mila del Puc. Ma Chessa afferma, norme e carte alla mano, che il diritto di costruire, in base alla lottizzazione avvenuta negli anni Sessanta, era scaduto nel 1978 ed era stato rinnovato solo fino al 1992. Da allora i proprietari avevano perso la possibilità di realizzare nuove costruzioni.

Lo scontro legale arriva a raffinatezze normative e verifiche sul campo come quella relativa all’esistenza o meno delle opere di urbanizzazione: strade, fogne, acquedotto. Secondo il Comune erano già quasi terminate e quindi il nuovo cemento sarebbe un diritto acquisito anche se l’area è a meno di trecento metri dal mare. Secondo Chessa quelle opere non ci sono, non ce n’è traccia. E all’occhio del profano sembra abbia ragione lui. Secondo il Comune invece ci sono. Ma in un atto della Regione, servizio Tutela del paesaggio, che nel 2006 autorizzava le nuove costruzioni approvate dal Comune negandone l’impatto ambientale, si affermava: “Resta fermo che tutte le opere di urbanizzazione (…) dovranno essere specificamente autorizzate”. Pare dunque che dovessero essere ancora realizzate.

C’è un altro fatto che solleva dubbi sull’operazione. Nel 2003, tre anni prima delle delibere con cui il Comune autorizza per la prima volta l’aumento di cubatura per il Roccaruja, Turisarda srl vendeva a Forrazzu srl un terreno di 16mila metri quadri di fronte alla Pelosa. Secondo alcuni a prezzi stracciati. I protagonisti hanno sempre difeso la correttezza dell’operazione. Un altro passaggio di proprietà tra le due società è registrato alla fine del 2006, pochi mesi dopo le due delibere favorevoli a Turisarda. In quel periodo Antonio Diana è assessore all’Urbanistica e contemporaneamente amministratore unico della Forrazzu srl. Si dimette da quell’incarico societario nel giugno 2007, quando viene eletto sindaco di Stintino. E resta socio al 25 per cento. Chiara e immutata una domanda di fondo: chi difenderà quel che resta di questo meraviglioso angolo di Sardegna che rischia di diventare una striscia di cemento senza soluzioni di continuità?

“Basta consumare terra, rischiamo catastrofi”
intervista al ministro dell'Ambiente, di Ferruccio Sansa

Il territorio non regge più. Ce ne siamo accorti tutti. In pochi anni per colpa di frane e alluvioni abbiamo rischiato che si ripetesse un Vajont. Basta. Serve una legge che difenda senza tentennamenti il nostro territorio. Per questo abbiamo presentato il disegno di legge per contenere drasticamente il consumo del territorio”.

Andrea Orlando (Pd), è ministro dell’Ambiente da pochi mesi. Al suo arrivo c’era stato chi aveva puntato il dito sulla sua mancanza di esperienza specifica. Proprio al dicastero che deve affrontare nodi come l’Ilva. Ma ecco che Orlando si appresta a presentare un disegno di legge sul consumo del territorio più severo di quello (molto criticato) lanciato da Ermete Realacci. Una disciplina che raccoglie consensi anche tra gli ambientalisti.

Ministro, che cosa prevede il vostro testo? Vogliamo ridurre drasticamente il consumo del territorio.

Come, concretamente? Tanto per cominciare prima di consumare suolo il pianificatore dovrà dimostrare il recupero e il riuso dell’esistente. Secondo, sarà fissato - regione per regione - un limite all'estensione massima di terreni agricoli consumabili. Ancora, si prevede l'istituzione di un Comitato interministeriale che controlli e monitori il consumo.

Le associazioni ambientaliste, come il Wwf, chiedono che ogni comune predisponga un “bilancio” del consumo del proprio suolo... Sono previsti censimenti comunali delle aree già interessate all’edificazione, ma non utilizzate e dove è possibile fare rigenerazione e recupero dei terreni. Sarà anche vietato per cinque anni trasformare i terreni agricoli che hanno usufruito di aiuti di Stato o Comunitari.

Basteranno cinque anni? La proposta di Realacci, che pure viene dal mondo dell’ambientalismo, è stata bersaglio di critiche perché non abbandonerebbe la logica delle compensazioni. Nel nostro decreto c’è un punto chiave: i comuni potranno utilizzare i proventi di concessioni e autorizzazioni edilizie solo per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, per il risanamento dei centri storici e la messa in sicurezza del rischio sismico e idrogeologico. É un passo avanti epocale. Finora i comuni erano istigati a cedere il suolo, a far costruire perché gli oneri potevano essere utilizzati per far quadrare i bilanci. Ora basta.

Non si potrebbe osare ancora di più e premiare chi non costruisce? Le premesse ci sono. Viene incentivato il recupero del patrimonio edilizio rurale evitando la costruzione di nuovi edifici con finanziamenti in materia edilizia. Ed è istituito il Registro dei Comuni che non prevedono un incremento di aree edificabili. Con le leggi di stabilità si potranno prevedere premi ai comuni virtuosi.

Ministro, dobbiamo crederle? Possibile che d’un tratto ci si ricordi dell’ambiente? La questione non era più rinviabile. Abbiamo rischiato tragedie, il nostro territorio non regge più.

È pensabile che la lobby del mattone che ha tanti appoggi nel centrodestra, e anche nel suo Pd, pieghi il capo? Non nego che le lobbies del cemento abbiano ancora peso politico e che magari ci sia chi vorrebbe reagire alla crisi con la solita soluzione: il mattone.

Appunto, non finirà con le solite belle intenzioni e il nulla di fatto? É un momento ideale per voltare pagina: in Italia ci sono milioni di case nuove invendute. Non si può costruire ancora. Non solo: oggi non costruire, risparmiare il suolo può portare più denaro e lavoro. Pensi che l’85% del nostro patrimonio di 2 miliardi di metri quadrati di abitazioni richiede una riqualificazione. É un’occasione straordinaria per imprese e lavoratori. Ancora: la principale industria del nostro Paese è il turismo, che si tutela proteggendo il territorio. Infine: riducendo il consumo del territorio diamo un forte impulso all’agricoltura, un settore in espansione.

Insomma, meno cemento più sviluppo? Sì.

Perdoni la diffidenza, ma voi siete alleati con il centrodestra dei condoni... Il condono non ci sarà mai. E sul consumo del suolo non ho avuto ostacoli. Chissà, forse le mire delle grandi imprese si sono concentrate sulle infrastrutture.

O forse sono tutti convinti che non arriverete in fondo e resteranno belle parole? Può darsi che qualcuno creda che il cammino sia troppo lungo. Che speri in emendamenti. Ma io credo che non sarà così, e i punti essenziali del nostro disegno di legge potremmo proporli con un decreto perché diventino subito legge. Ora o mai più. Difendere il territorio oggi significa uscire dalla crisi. Ed evitare tragedie. Gli italiani lo sanno e ci sosterranno.


SUOLO CONTRO TUTTI
di Thomas Mackinson
Non c’è più tempo, non c’è più lo spazio. Ogni quattro secondi - il tempo di terminare questa frase - 32 metri quadri di suolo vengono coperti dal cemento che viaggia ormai alla velocità media di quasi 90 ettari al giorno. Ogni cinque mesi divora una superficie grande come la città di Napoli, in cinquant’anni ha ricoperto un’area come il Trentino e il Friuli messi insieme e di questo passo, tempo vent’anni, avremo cementificato pure la Basilicata.

Dati e previsioni della pubblicazione più completa mai realizzata in Italia sul consumo di suolo e sulla rigenerazione del territorio che il WWF ha presentato insieme alla sua proposta di legge per “fermare la rapina del territorio” proprio mentre in Parlamento partiva una delicata discussione sullo stop al cemento. L’indagine è condotta dall’Università dell’Aquila e si basa sul confronto tra estratti originali delle cartografie storiche del secondo Dopoguerra e le carte regionali digitali d’uso del suolo. Monitora 13 regioni, il 58% del territorio nazionale, quindi è significativa dell’andamento generale dell’urbanizzazione: “Il tasso medio - spiega Bernardino Romano, professore di Pianificazione territoriale e curatore della ricerca - è passato dall’1,9% degli anni 50 al 7,5. La media pro capite è triplicata ai quasi 380 m2/ab. Il che porta a stimare oggi l’ammontare delle aree urbanizzate sui 2,5 milioni di ettari”.

Il paradosso è che altro cemento proprio non serve. Secondo Adriano Paolella, direttore generale di WWF Italia ci sono 210mila capannoni inutilizzati, 6.700 chilometri di ferrovie dismesse, 5 milioni di abitazioni vuote. A fronte di questa situazione è ormai maturata nel Paese una domanda sociale, diffusa e organizzata, che aspira ad una riqualificazione degli insediamenti urbani e del territorio. Il WWF l’ha colta con la campagna “Riutilizziamo l’Italia” che in cinque mesi ha prodotto 575 schede di segnalazione di ambiti di patrimonio inutilizzato e altrettante proposte di riuso. Il censimento può essere “il primo contributo per avviare un grande processo di recupero del territorio italiano dopo quello dei centri storici nel Dopoguerra”. Sempre che arrivino le risposte politico-normative che si cercano in Parlamento.

Perché se lo spirito del tempo è cambiato, questa sensibilità nuova chiama in causa la politica. In Parlamento, nel giro di poche settimane, si sono materializzate 11 proposte di legge sul consumo di suolo accompagnate da furibonde polemiche. Le iniziative corrono su un binario parallelo. Sul fronte parlamentare si è aperto un caso intorno alla proposta “Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana”, primo firmatario Ermete Realacci (PD), che ammette la possibilità di consumare nuovo suolo previo pagamento di un “contributo per la tutela del suolo e la rigenerazione urbana” (art. 2), l’attribuzione di quote di edificabilità e di diritti edificatori per compensare i proprietari di immobili ceduti al comune o per incentivare le trasformazioni, i recuperi e le demolizioni (art. 6). Tanti, compresa Italia Nostra , hanno preso le distanze; altri gruppi parlamentari si sono precipitati a depositare proposte alternative. Quelle di Pd, M5S e Scelta Civica hanno in comune l’eliminazione dei proventi delle concessioni edilizie per il finanziamento della spesa corrente dei comuni. Sel ha fatto propria al Senato quella elaborata dal WWF che chiede l’istituzione di un registro del consumo di suolo presso l’Istat e spinge sul recupero, indicando strumenti di fiscalità urbanistica che penalizzano chi spreca suolo e premiano chi riusa. Poco o nulla si sa, invece, di quella del Pdl. Intanto a muoversi è stato il governo che lo scorso 15 giugno ha approvato una versione rivisitata del Ddl dell’ex ministro Mario Catania, presentato alla fine della scorsa legislatura. Il testo mantiene il focus sulla tutela dei terreni agricoli ma fa riferimento anche al paesaggio. Salutato da tanti come un interessante passo avanti su cui avviare la discussione, definisce il suolo “bene comune” e “risorsa non rinnovabile” (art. 1) e ascrive a riuso e rigenerazione il primato in materia di governo del territorio (art. 2). Due principi che vanno al cuore del problema. Sempre che le contrapposizioni tra paladini del verde (sinceri e non) non blocchino tutto, lasciando ancora e sempre il suolo contro tutti.

Non lasciamo sola la Sardegna
di Ferruccio Sansa


Non lasseus assola sa Sardigna. Si deppeus ponni de bona voluntadi e aggiudai sa genti sarda. Cust'Isola non deppit accabbai pappada de su ciumentu.

Non lasciamo sola la Sardegna. Prendiamo questo impegno. Non abbandoniamo quest’isola che rischia di finire in pasto al cemento: 50 milioni di metri cubi di nuove costruzioni sulla costa significano la fine. Non porteranno turismo, ma un’umiliante colonizzazione compiuta con i soldi del Qatar o della nostra finanza.

Ce ne dimentichiamo facilmente, basta scendere dal traghetto che ci riporta a casa alla fine delle ferie. Ma alla Sardegna dobbiamo molto. Non solo vacanze felici. Il blu della sua acqua per tanti di noi è la misura di ogni mare. Il profumo che ci accoglie all’arrivo appena si apre il portellone della nave resta dentro per mesi, anni. Ricorda che c’è un altrove dove tornare e rifugiarsi. Anche solo nei pensieri.

Questa è la Sardegna che appartiene alla sua gente, ma cui tutti siamo legati. Una terra grande, con una sua cultura. Una lingua (noi abbiamo azzardato un passaggio nella variante campidanese).

Arriva l’estate, la stagione del riposo, della leggerezza. Del distacco da pensieri e fatiche. Forse ormai crediamo che questo bisogno dentro di noi, proprio nel corpo, sia suggerito dal calendario del lavoro, delle fabbriche (dove ci sono ancora). No, non è così. Le stagioni dell’uomo sono dettate da quelle della natura. Ce ne accorgiamo soprattutto in estate: questo risveglio che sentiamo nei muscoli (ahimè, quando ci sono) è lo stesso che vediamo negli alberi, nell’aria, negli animali. L’estate riavvicina al mondo, ricorda che ne siamo parte. Allora le vacanze - giuste, sacrosante, spesso dimenticate per colpa della crisi - potrebbero farci riallacciare un legame essenziale. Con il mondo, ma anche proprio con la terra... avete presente quelle zolle rosse, luccicanti che emergono quando l’aratro è appena passato nei campi... ecco quella. Un’appartenenza che a volte temiamo possa svilire il nostro essere uomini e che, invece, può essere fonte di consolazione e compagnia. Come diceva Vladimir Nabokov: “Mi sentii tuffato di colpo in una sostanza fluida e lucente che altro non era se non il puro elemento del tempo. Lo si condivideva con creature - proprio come bagnanti eccitati condividono la scintillante acqua del mare - che non erano te, ma a te erano unite dal comune scorrere del tempo”. Non sembrano parole scritte nel mare della Sardegna?

Il ministro Andrea Orlando, intervistato da noi ha preso impegni di rilievo. Ha ricordato l’importanza della terra che ci dà la vita e, se maltrattata, ce la toglie. Prendiamo anche noi un impegno, in italiano o in sardo: non abbandoniamo la Sardegna e la terra dove viviamo. Ricordiamocene mentre ci tuffiamo. Buona estate.


Postilla

E' giusto sollevare l'allarme sugli scempi che stanno avvenendo in Sardegna, Da tempo: da quando, grazie anche ai cedimenti dei suoi alleati, Renato Soru è stato battuto dall'uomo di Berlusconi, Cappellacci. Da quando, nell'indifferenza dei troppo deboli supporters di Soru, Cappellacci e i suoi hanno cominciato a tentar di demolire l'argine eretto in difesa delle coste della Sardegna e dei suoi paesaggi: il Piano paesaggistico regionale, approvato nel settembre 2006 e da allora vigente. Non riuscendo a demolirlo per via giudiziaria hanno tentato via via di svuotarlo con leggi derogatorie incostituzionali (le quali però, fino alla dichiarazione d'incostituzionalità, venivano applicate dagli immobiliaristi e dalle autorità locali loro succubi), e con lo smantellamento dell'ufficio regionale costruito per redigere vil piano e gestirne l'attuazione. Ma gli argini del PPR hanno retto: allora i berlusconiani e i loro nuovi alleati hanno avviato un processo di "revisione e adeguamento" del piano, dichiaratamente orientato a indebolire, moderare, alleggerire i maledetti "vincoili" volti alla tutela del paesaggio della Sardegna, Spiace doverlo affermare, ma in questa vicenda lo stesso Ministero per i beni e le attività culturali, che dovrebbe "copianificare" con la Regione per garantire il rispetto dell'articolo 9 della Costituzione, si appresta a coprire gli interessi economici dello sfruttamento del paesaggio sardo a vantaggio non solo degli emiri dei regni lontani, ma anche dei numerosi locali avvoltoi, grandi e piccini, che stanno arrotando becchi ed artigli. E' quindi soprattutto al titolare del MIBAC, più che a quello dell'Ambiente, che i valorosi giornalisti del Fatto quotidiano avrebbero dovuto, e dovrebbero, rivolgersi


Il manifesto, 10 maggio 2013 (f.b.)

SASSARI - Per i contadini della Nurra, nel nord ovest della Sardegna, l'identità di una persona e di una comunità proviene dalla terra. La terra ci dice chi siamo, nutrendoci materialmente e culturalmente. Negli ultimi anni questa relazione è stata stravolta da decine e decine di progetti che puntano a rendere l'isola la regione campione della green economy, l'ultima frontiera del capitalismo verde. Zio Giacomo difende questa terra da anni, con la passione forte e dignitosa di un popolo antico. Insieme a suo nipote Giuseppe ha messo su una fattoria didattica e recuperato un antico pozzo Nuragico, testimonianza di un'antica civiltà. Come tutti i contadini della zona sta lottando contro chi vorrebbe fargli piantare solo il cardo per soddisfare la domanda di biomasse della centrale dell'Eni. Il cane a sei zampe sostiene che la chimica verde segnerà la rivoluzione agricola sarda.

Il progetto di Matrica spa e di Polimeri Europa prevede la riconversione degli impianti dell'ex petrolchimico di Porto Torres nel «polo per la chimica verde». Secondo l'Eni il futuro è nel cardo, anzi in una particolare specie chiamata Cynara cardunculus. Così per assecondarne le necessità i contadini della Nurra dovrebbero abbandonare qualsiasi altra produzione agricola, destinando quelle che sono le terre più fertili di Sardegna alla crescita esclusiva della materia prima necessaria agli impianti chimici. A sentire gli esperti ci vorrebbero 100.000 ettari di terreni e 500.000 tonnellate di materia per sostenere la quantità di biomasse necessarie alla centrale dell'Eni, come ci racconta C.A.P.S.A. - il comitato di azione, protezione e sostenibilità ambientale - No Chimica Verde.

Non solo tutta questa terra non c'è, ma la coltivazione del cardo per l'estrazione dell'olio da utilizzare come combustibile stravolgerebbe l'intera economia della zona e servirebbe per nascondere la combustione di altri materiali assimilati, estremamente nocivi per la salute. I 22 mila ettari della Nurra sarebbero quindi riconverti per una produzione inutile alle economie del territorio, che tra le altre cose richiede molta acqua e rischia di danneggiarne la biodiversità. Nonostante gli evidenti limiti, l'obiettivo rivoluzione verde va avanti, con il consenso delle forze politiche di centrodestra e centrosinistra. Ai contadini ed ai pastori, organizzati nell'associazione «Nurra dentro- riprendiamoci l'agro», non rimane che lottare per salvare economie locali, posti di lavoro, tradizioni, relazioni e cultura.

Ma qui in Sardegna non sono solo i contadini della Nurra, i comitati a Porto Torres, Sassari ed Alghero a resistere all'avanzata della nuova frontiera della speculazione energetica. Sono tante le comunità ed i settori coinvolti. Al moltiplicarsi dei progetti di grandi aziende energetiche private, imprese di Stato e banche interessate al nuovo business verde si contrappongono in ogni luogo comitati di cittadini/e che smentiscono con dati alla mano l'idea secondo la quale sia sufficiente la parola «green» a garantire nuove opportunità per coniugare profitto e lavoro con il rispetto dell'ambiente.

Qui lo chiamano «il grande inganno verde», al cui generalismo sono culturalmente piegate le forze politiche in regione ed a Roma. Il Centro Sociale Pangea, a pochi metri dalla mancata bonifica tra le più grandi d'Italia, i 23 Kmq dell'ex petrolchimico dell'Eni di Porto Torres, ricorda i disastri di un modello che in realtà riproduce la stessa vecchia idea del passato: i vantaggi dello sfruttamento sono privati e di pochi, mentre i costi sociali ed ambientali restano pubblici e di tanti. Politiche industriali sbagliate che, come denuncia l'ISDE- associazione italiana medici per l'ambiente, hanno trasformato la Sardegna nella regione più inquinata d'Italia. Alla faccia della redistribuzione della ricchezza, della salute, della crisi ecologica e della credibilità della democrazia rappresentativa. La speranza è nella riconversione ecologica partecipata delle attività produttive e della filiera energetica, da organizzare insieme a lavoratori, comunità e amministrazioni locali. Un metodo diverso, che si fonda sulla democrazia partecipata e della ricerca della giustizia ambientale.

Per avere un'idea della vitalità di questi nuovi soggetti basterebbe visitare il portale che da voce ai territori in movimento, www.arexxini.info . Nonostante il silenzio che circonda l'argomento, sono moltissimi i conflitti aperti. Oltre a quelli di Sassari, Porto Torres, Alghero, ci sono Cossoine, Guspini, Narbolia, Vallermosa, Gonnosfanadiga, Isili, Nurallao, Arborea, Narblia, sono per citarne alcuni. Tutti impegnati a denunciare i falsi miti sui cui fonda la sua retorica la green economy, dove il rispetto del territorio ed il lavoro lasciano spazio ad una realtà fatta di grandi impianti, sprechi, corruzione, disoccupazione, inquinamento, mancate bonifiche ed intrecci finanziari pericolosi. Come quello che vede al centro il presidente sardo di confindustria Alberto Scanu nel progetto di una centrale solare termodinamica a torre centrale a sali fusi, presentato proprio dalla sua Sardinia Green Island nel territorio di Villaermosa.

Il comitato «Sa Nuxedda Free» appena costituito ha da subito messo in luce i limiti del progetto, a partire dalla localizzazione dell'impianto previsto in una zona agricola di 130 ettari che verrà ricoperta da 3500 specchi eliostatici necessari a riflettere i raggi solari su una torre alta 200 mt. Per supportare l'impianto è previsto un sistema di riscaldamento a biomasse capace di portare i sali ad una temperatura superiore ai 260°. Il comitato denuncia la depredazione del terreno agricolo, la vicinanza al centro abitato e ad altri nuclei agricoli, l'impatto ambientale per il quale ancora non è prevista la valutazione e l'utilizzo di prodotti non vegetali per far funzionare la centrale a biomasse, così come già affermato da molti esperti. Stesso discorso a Guspini e Gonnosfanadiga, dove la Energogreen, controllata Fintel, vuole realizzare una megacentrale termodinamica, un parco eolico e due centrali a biogas. Il Comitato No Megacentrale denuncia come per realizzare l'impianto sarà necessario livellare più di 200 ettari di terra fertile, spianando e distruggendo le aree boschive.

Una landa di specchi sostituirà un paesaggio fatto di uliveti e pascoli. Senza contare l'impatto sulle riserve di acqua, circa 50.000 metri cubi al mese. I geologi sostengono che la ricerca di acqua comprometterebbe le falde, innalzando il rischio siccità e razionamento idrico per gli abitanti della zona. Del resto le centrali a biomasse continuano a cadere a pioggia sul territorio con l'obiettivo di sfruttare gli incentivi di Stato, anche quando non vi sono campi esistenti di mais o simili che dovrebbero essere adiacenti alle centrali per garantirne il funzionamento. Nonostante non vi siano piani agronomici la compravendita di terreni per aziende intenzionate a produrre biomasse sta segnando un'impennata, con gravi ripercussioni sul tessuto socioeconomico. Sono molti a dar via terreni e bestiame, dove tra le altre cose l'aumento della richiesta di biomasse spinge in alto i prezzi dei mangimi.

Altri impianti termodinamici della Energogreen sono al centro dei conflitti nella zona di Cossoine, dove il 17 marzo i cittadini si sono pronunciati per l'88% dei voti contro la centrale con un referendum indetto dallo stesso sindaco. Una lotta che ha visto vincere un'intera comunità nella difesa del proprio territorio e nel recupero della sua vocazione agricola. La centrale a regime avrebbe portato nelle casse della Energogreen 40 milioni di euro grazie agli incentive sulle tariffe del Quinto conto energia. Soldi facili, garantiti da chi paga in bolletta gli incentivi sia per produrre energia da rinnovabili sia da fonti "assimilate", cioè rifiuti e scarti di raffineria. La liquidità garantita dagli utenti dell'energia elettrica viene qualificata come "incentivi" e destinata agli speculatori, alla faccia della crisi economica. Su questo hanno le idee molto chiare i comitati S'Arrieddu e No Furtovoltaico, impegnati a liberare Narbolia dai pannelli della Enervitabio, controllata dalla cinese Winsun Luxembourg.

Un progetto approvato illegittimamente e privo di efficacia per la comunità, con enormi impatti ambientali e sociali. Anche qui il ricatto occupazionale non regge. A fronte di qualche decina di occupati i comitati denunciano la scomparsa nell'isola di 97.000 posti di lavoro per la chiusura di moltissime aziende del comparto agro pastorale. Le cause sono da imputarsi alla corsa ad accaparrarsi terreni per accedere ad ulteriori incentivi, così da mandare avanti il ciclo di produzione dell'energia da parte di grandi imprese come la Winsun, che fanno a loro volta lievitare i prezzi spingendo i piccoli proprietari a vendere ed altri a corrispondere un affitto troppo elevato causato dagli aumenti della rendita fondiaria. Allo stesso modo la crescita della domanda di cereali causata dalla bolla speculativa avviata con il business dei biocarburanti fa aumentare il prezzo dei mangimi per animali, rendendo insostenibile economicamente portare avanti attività legate all'agro ed alla pastorizia per i piccoli produttori.

La pratica del "land grabbing", l'accaparramento massiccio delle terre, sta trasformando la Sardegna per l'ennesima volta in una terra di conquista, attraversata da predoni. Una regione che oggi è costretta ad importare l'80% dei suoi consumi alimentari, mentre produce una quantità di energia superiore rispetto al suo fabbisogno energetico. «Questa è una battaglia per la sovranità, contro la speculazione energetica», ci ripetono infatti i cittadini del Comitato No al progetto Eleonora durante la marcia della terra che si è tenuta il 20 aprile scorso ad Arborea. Qui la Saras, impresa della famiglia Moratti, ha intenzione di trivellare il territorio per la ricerca di gas metano attraverso il «fracking», la fratturazione idraulica delle rocce, una tecnica pericolosissima e vietata da molti paesi. Scienziati degli Stati uniti imputano al fracking la nuova ondata di terremoti in zone non sismiche come il Midwest, dove le continue fratture e le sostanza utilizzate come riempitive per tenerle aperte sarebbero all'origine della nuova ondata sismica.

Secondo l'UNMIG, ufficio nazionale minerario idrocarburi, in Italia sono 39 i pozzi di reiniezione, di cui ben 26 dell'Eni. I cittadini di Arborea vogliono evitare questo scempio e gli enormi rischi che il progetto arrecherebbe, a fronte di vantaggi immediati molto piccoli in termini occupazionali e di danni enormi nelle filiere lattearia, casearia e agroalimentare. Un inganno verde svelato dalle tante soggettività nuove che in Sardegna, come nel resto del paese, a partire dalla difesa dei beni comuni mettono al centro la dignità della persona ed una relazione nuova con la natura non umana, dalla quale partire per coniugare diritti, lavoro e difesa dell'ambiente.

La Nuova Sardegna, 3 maggio 2013

Ha vinto il costruttore Gualtiero Cualbu: la mancata realizzazione del piano immobiliare di Nuova Iniziative Coimpresa sul colle archeologico di Tuvixeddu costerà alla Regione un indennizzo di 70 milioni di euro. L’ha deciso il collegio arbitrale, il contenuto del lodo definitivo è stato comunicato alle parti in causa che nelle prossime ore riceveranno formalmente la decisione motivata. Per l’amministrazione regionale è un colpo micidiale, un verdetto in aperto contrasto con la sentenza del Consiglio di Stato che a marzo del 2011 aveva sentenziato la piena legittimità dei vincoli per notevole interesse pubblico imposti sull’area storica dalla giunta Soru. Quei vincoli restano e l’impresa non potrà mettere in piedi un solo mattone attorno alla necropoli punico-romana più importante del Mediterraneo. Ma per i tre arbitri Cualbu ha diritto a una somma che compensi gli investimenti e il mancato profitto sulla vendita degli immobili mai costruiti malgrado a suo tempo l’intervento fosse stato autorizzato dalle sovrintendenze e legittimato da due accordi di programma firmati nel 2000 da Regione, comune di Cagliari e Coimpresa. Ora la Regione potrà ricorrere ai giudici ordinari della Corte d’Appello civile, mentre già un collegio di secondo grado ha all’esame il ricorso presentato dall’ex governatore Renato Soru e dall’ex assessore all’urbanistica Gianvalerio Sanna contro la loro esclusione dal giudizio arbitrale. Sulla vicenda, di rara complessità, pende poi un’inchiesta giudiziaria aperta contro ignoti dalla Procura cagliaritana, che ha acquisito tutti gli atti della controversia arbitrale partendo da un esposto e dagli atti ufficiali degli avvocati in forza alla Regione, nei quali sul contenuto della relazione tecnica consegnata dall’advisor Deloitte Spa agli arbitri venivano posti seri dubbi. Dubbi che hanno portato il collegio arbitrale prima a un rinvio della decisione, poi ad ulteriori approfondimenti sulla questione affidati ancora a Deloitte. Sembrava che i tempi dovessero allungarsi, invece ieri è arrivata la decisione, del tutto sfavorevole alla Regione.

Di certo il lodo firmato dagli arbitri - l’ex magistrato Gianni Olla, il docente romano Nicolò Lipari dell'università la Sapienza e il presidente emerito della Corte Costituzionale Franco Bilé - non contribuisce a fare chiarezza su una vicenda spaccata su più fronti: il costruttore ha perso tutte le battaglie davanti ai giudici amministrativi, incassa però adesso una vittoria fondamentale, che gli consente di rientrare da un’operazione rivelatasi, non certo per causa sua, fallimentare.

Ma vediamo su quali basi poggia il lodo arbitrale, in attesa che venga diffuso il testo della decisione. Per il consulente Deloitte, incaricato dagli arbitri, i 1971 giorni di ritardo accumulati dal 2006 nella realizzazione del progetto immobiliare di Tuvixeddu hanno provocato alla Nuova Iniziative Coimpresa un danno pari a 39 mila euro al giorno, in tutto 76,7 milioni calcolati al 18 maggio di due anni fa nell'ipotesi che i lavori fossero sospesi e che potessero riprendere. Di questa cifra la Regione - per la Deloitte - dovrebbe pagare al costruttore una buona parte, circa 60 milioni, se il collegio arbitrale stabilisse con un lodo definitivo che sono state le amministrazioni di Soru e Cappellacci a provocare e a mantenere il blocco degli interventi sul colle dei Punici, che una volta completati e offerti sul mercato nei tempi previsti - 36 mesi per le opere di urbanizzazione, 55 mesi per quelle edili - avrebbero garantito all'impresa un utile dopo le tasse tra i 113 e i 136 milioni a patto che ogni appartamento fosse stato venduto entro il 2020. La colpa principale sarebbe della Regione, cui Deloitte attribuisce infatti la percentuale maggiore di "responsabilità" soprattutto nel periodo che va dal 9 agosto 2006 al 4 dicembre 2008. Nella fase due però, dal 2008 ad oggi, si affiancano all'amministrazione regionale il ministero dei Beni Culturali attraverso l'Avvocatura dello Stato e le associazioni culturali ed ecologiste. Una sorta di forza d'opposizione che alla fine vince i giudizi davanti al Consiglio di Stato e al Tar, fermando Nuova Iniziative Coimpresa e aprendo di fatto il contenzioso parallelo davanti agli arbitri.

Nella lunga relazione è compresa una sterminata raccolta di servizi giornalistici, note di associazioni ecologiste, trascrizioni di dichiarazioni pubbliche e documenti utili - secondo Deloitte - a dimostrare la grande attenzione mediatica sul caso Tuvixeddu provocata dalle iniziative della giunta Soru, dei Beni Culturali e della Procura.

riferimenti

Sulla vicenda della necropoli punico-fenicia dei colli Tuvixeddu-Tuvumanno a Cagliari vedi i numerosi articoli nella cartella SOS Sardegna

La Nuova Sardegna, 4 febbraio 2013

Quatar Quatar , la Costa Smeralda, ilnuovo mini master plan. Sarebbe utile un riassunto delle puntate precedenticome per i lunghi sceneggiati televisivi. Ma qui, per comodità di sintesi, basta ricordare i vecchi famigerati master plan di taglia larghissima,spazzati via con ignominia (nonostante le regole permissive e scombinate, aloro volta cassate dai giudici).Non sono neppure rimasti negliarchivi ma hanno monopolizzato a lungo il dibattito, eccitato dai tentativi diprodurre consenso per le mirabolanti prospettive del ciclo edilizio. Del qualeoggi, nonostante la crisi senza tregua, è difficile nascondere i guasti.Bastano le immagini di Avenida de la Ilusion – le migliaia di case vuote schierate attorno algolf di Benalmádena nella Costa del Sol –, per spiegare ildissesto economico in Spagna e i rischi della bolla globale.
Per questo fa impressione lafiducia verso il mini master plan confezionato per i sindaci di Arzachena eOlbia. Ancora incoerente con le disposizioni del piano paesaggisticocorroborato da una lunga serie di sentenze che hanno dato torto ad agguerritiricorrenti.
Non si può fare quasi nulla diquello che nei disegni colorati simula il futuro radioso di quei lidi. Neppureaggiungendo “un tocco d'Oriente in quel tratto della costa orientale sarda” –com'è nelle espressioni più temerariesuggerite dagli addetti stampa della Costa Smeralda2, sempre rassicuranti suimpatto dolcissimo e rispetto della tradizione non si sa quale.
Evidente l'obiettivo dialimentare il solito groviglio di speranze con il noto programma nebuloso:il miliardo che sarà investito (chi ecome certificherà i flussi di spesa ?), gli alberghi, le villone e le villette“spalmate”, “nascoste nel verde”, senzaspiegare la suddivisone dei 500/600mila mc. (e infatti i conti non tornano). Epoi i soliti investimenti aggiuntivi a soccorso (università, trasporti,ospedali), le ricadute dappertutto, fino ai ritocchi da luna park (kartodromo eacquafan) che fanno rimpiangere le terrazze di Marta Marzotto.
Ma finalmente, tra le notiziesulle fantastiche intenzioni della holding con il cuore d'oro, si ammette che, insomma, senza un dietrofront delle disposizioni invigore il progetto della banca d'affari araba sarebbe respinto perché lesivodel paesaggio.
Ma com'è che un imprenditoreavanza proposte in contrasto con le leggi della Regione? La risposta è nel vento cagliaritano: neipalazzi della Regione dove si cerca affannosamente il modo per domare il pianopaesaggistico in funzione delle attese del Qatar. E' assurdo che le rigorose certificazionisulla bellezza di un luogo possano essere contraddette per compiacere interessisoggettivi. Ma siamo talmente abituati all'idea di leggi fatte su misura chenessuno chiede al sindaco di Arzachena di spiegare cos'è “la sinergia per superare i vincoli del Ppr” evocata nella intervista a «La NuovaSardegna» del 31 gennaio scorso. “Unapossibilità di cui parlammo già a novembre con il presidente Monti” – aggiunge, lasciando intendere incautamente che lo Stato sarebbe pronto a ricredersi su Monti Zoppu o Razza diJuncu che sarebbero indegni di tutela perché lo chiedono a Doha.
Colpisce questa propensioneall'inchino: una postura che diventerà definitiva “naturalmente” (“s'arvure torta nons'adderectat prusu” “l'albero storto non si raddrizza più” ) se la Sardegnacontinuerà a subire i disegni altrui. Occorre invece allacciarsi alle più moderne e evolute strategie di governo del territorio. Anche perinnovare la ricettività alberghiera in Costa Smeralda. Ma non con visioni e strumenti novecenteschi.Com'è paradossalmente il decaduto programma di fabbricazione (?) di Arzachena– degli anni Settanta! – renitente ad adeguarsi alle leggi dellaRegione Autonoma ma pronto ad accogliere, tempestivamente e docilmente, iprogrammi di un emirato.

La Nuova Sardegna, 31 gennaio 2013 (f.b.)

La matita con cui disegnare la Costa Smeralda di domani, dal Qatar passa nelle mani del Comune. Il piano del petroemirato per cambiare il volto di Porto Cervo, cancellare le rughe della signora del turismo e rinfrescare il suo antico fascino, dovrà essere interpretato come uno schizzo. Una bozza da cui prendere spunto. Un piano non blindato, come sottolinea anche la lettera di accompagnamento al progetto strategico della Costa Smeralda, arrivati dal Qatar nelle mani del sindaco Alberto Ragnedda. Oltre 150 pagine in cui il nuovo proprietario del borgo mette nero su bianco l'idea di Costa Smeralda già illustrata a Doha. Quattro hotel di lusso da 500 posti letto, 70 ville per nababbi, 30 residenze di altissimo pregio, la riqualificazione dell'area di Porto Cervo, una eco-pista di go kart, un parco acquatico. Fra i 7 e i 10 anni i tempi entro cui realizzare l’investimento da un miliardo di euro. Con risposte a partire da quest'anno.

Costa Smeralda Academy. Fra i 500mila metri cubi di mattoni del mini master plan qatarino compare una università. Il sindaco Ragnedda annuncia con orgoglio l’accoglimento della sua personale richiesta. «Tutto il piano è interessante – spiega il primo cittadino –. Ma la parte che riguarda il polo universitario di livello internazionale lo è ancora di più. È un investimento sulla formazione per creare una scuola di alta formazione per manager del turismo. Esiste già un proposta di campus universitario, con discipline ben definite, la collaborazione con le più prestigiose università. Una grande opportunità non solo per i sardi, ma un richiamo per studenti in arrivo da tutto il mondo».

Gli alberghi. Quattro i nuovi hotel pensati per rilanciare il sistema ricettivo Smeraldo e portare i posti letto dagli attuali 400 a 900. Un albergo da 150 stanze a Liscia Ruja con il marchio Harrods; uno al Pevero da 90 chiavi; un family hotel da 200 stanze e uno per clientela giovane da 90 camere nel comune di Olbia, a Razza di Juncu.
Il borgo. Nel piano per completare il borgo vip non ci sono solo nuovi metri cubi da trasformare in edifici, ma anche interventi sulla viabilità, il potenziamento della rete idrica e fognaria, l’ammodernamento delle strade, la realizzazione di piste ciclabili, la costruzione di un parcheggio nel villaggio.

Superabile l'incognita Ppr. Il primo cittadino non nega che con la legge attuale il piano del Qatar rischia di restare solo virtuale. Ma il comune di Arzachena potrebbe aver trovato una strada alternativa alla modifica dello strumento urbanistico. «Non ce lo nascondiamo – commenta Ragnedda –. La normativa attuale non permette di portare avanti il progetto al 100 per cento. La Regione si è detta disposta a modificare il ppr. Ma ci sono procedure alternative che il nostro ufficio tecnico sta valutando. Abbiamo già un parere legale positivo. Esiste la possibilità, su interventi con un elevato interesse pubblico, di creare una sinergia fra Comune, Regione e ministero in grado di superare i vincoli del ppr. Una possibilità di cui parlammo già a novembre con il premier Monti».

Pista di go-kart e parco acquatico. Il Qatar pensa a una eco-pista. 1700 metri di percorso per adulti, più un baby circuito per far correre auto elettriche, capaci di sfrecciare fino a 200 chilometri senza creare inquinamento acustico e ambientale. Confermata la creazione di un parco divertimenti sull'acqua. «Al momento localizzato alle spalle di Liscia Ruja» dice il sindaco, quasi a ribadire che l’acquapark potrebbe traslocare.

Un piano plastico. Il progetto della Costa Smeralda terza edizione è in divenire. Ragnedda lo definisce un progetto plastico. «Come ha precisato lo sceicco nella sua ultima lettera si tratta di un proposta da discutere in un tavolo tecnico, non prendere o lasciare. Uno start per costruire un piano definitivo. Fino a oggi è stato instaurato un dialogo con l'investitore che ha portato all'inserimento della Costa Smeralda academy nello studio di fattibilità della Qatar Holding». Il sindaco risponde indirettamente anche a chi lo accusa di una gestione padronale dell'affaire Qatar. «Vengo accusato di non aver coinvolto il consiglio comunale – dichiara –, ma non so bene cosa avrei potuto portare all'attenzione dell’aula visto che la Qatar Holding ha consegnato il progetto solo ieri. La minoranza verrà coinvolta. Dirò di più. Questo è un piano che siamo pronti a discutere anche con gli ambientalisti».

I tempi. Da investitore a 5 stelle di livello mondiale la Qatar Holdingha le idee chiare anche sui tempi per realizzare la sua Costa Smeralda. Un piano da un miliardo di euro, già deliberato, da spalmare in 7-10 anni. Ma le risposte alla fattibilità del piano dovranno arrivare entro il 2013. L’emirato oggi è lo stato più corteggiato del mondo per la sua disponibilità finanziaria. Senza la certezza del diritto l'amore più volte dichiarato dallo sceicco Al Thani per Porto Cervo potrebbe non bastare.

La Repubblica 28 gennaio 2013, postilla (f.b.)

OLBIA — Cambia volto la nuova Costa Smeralda targata Al Thani. L’emiro del Qatar di recente ha comprato dal tycoon americano Tom Barrack l’impero fondato dall’Aga Khan e vuole evidentemente lasciare la sua impronta. Stile e architettura appaiono orientaleggianti, evocativi di tempi e realtà che richiamano mondi lontani. Lo si capisce dalle simulazioni grafiche della holding che si occupa dei progetti.

Colossale il piano d’investimenti nel Nord Sardegna. Quattro moderni hotel superlusso andranno ad aggiungersi agli altri esclusivi fatti costruire mezzo secolo fa dal principe ismailita. Ci sono poi in previsione 90 ville in posizioni strategiche, con panorami mozzafiato per i magnati che potranno permettersele. E trenta maxi-residenze, in prossima vendita per svariate decine di milioni. Quasi altrettanti gli stazzi galluresi da ristrutturare più nell’entroterra: in passato ospitavano tenute agro-pastorali, adesso sono destinate a qualche miliardario, magari proprio degli emirati arabi. E nella progettazione firmata Al Thani si valuta persino la costruzione di un enorme parco acquatico dietro la spiaggia di Liscia Ruja.

Ora naturalmente i piani dovranno confrontarsi con la legge salvacoste voluta da Renato Soru e con gli altri vincoli paesaggistici fissati da norme nazionali, come la Galasso. Sì, perché nell’isola gli investimenti annunciati dall’emiro stanno provocando reazioni contrapposte. Da un lato, molti politici locali, alla disperata caccia di un lavoro per i loro amministrati, sono schierati con Al Thani. E anzi sono andati con Monti sino in Qatar per assicurargli il loro appoggio i sindaci di Arzachena e Olbia, oltre al governatore Ugo Cappellacci. Dall’altro lato, manifestano dubbi e perplessità sulle mire espansionistiche del nuovo monarca della Costa Smeralda indipendentisti, ambientalisti e molti esponenti delle forze di centrosinistra che in questi ultimi anni si sono battuti contro il cemento selvaggio lungo i litorali.

Al Thani ha comprato per 600 milioni l’impero appartenuto sino ai primi anni Duemila all’Aga Khan e adesso vuole investirci un altro miliardo. Non si sa ancora con esattezza quale sarà l’impatto effettivo del nuovo master plan. Si parla di cubature che oscillano tra i 400mila e i 550mila metri cubi, circa un quinto di quelli previsti nel progetto di ampliamento presentato una quindicina d’anni fa dal principe ismailita e poi ripreso, mutato, da Barrack. Tutto, comunque, su un territorio che si estende per quasi 2.500 ettari in uno dei paradisi naturali più suggestivi di questa terra considerata tra le meraviglie del Mediterraneo. Nei progetti dell’emiro non ci sono sole le residenze ma anche tre parchi giochi, una pista da gokart e una scuola riservata ai manager del nuovo turismo d’élite. L’obiettivo è svecchiare la clientela abituale che ogni estate si dà appuntamento in questi dorati lidi tra Porto Cervo, Pitrizza, Romazzino e puntare sui giovani super ricchi non solo d’Italia ma anche dei paesi emergenti.

Postilla
Si può anche chiedersi poi cosa intendano, con questa “disperata caccia di un lavoro per i loro amministrati”, gli amministratori col cappello in mano. Una risposta la può dare un giretto a Olbia città: distesa di case senza marciapiedi, senza spazi pubblici, con le poche funzioni pregiate risucchiate in un aeroporto privato, manco fosse il più extraterritoriale degli shopping mall. In città le macerie, gente che per socializzare si arrangia come dopo un evento traumatico. Peccato che l'evento traumatico sia quello che è arrivato qui un paio di generazioni fa, col turismo suburbano, lasciando la città un guscio avvizzito. E la domanda si riformula: volete rifarlo, identico, un'altra volta? (f.b.)

Una sentenza utile per chiunque, in Italia, sappia usare le regole nel modo corretto La Repubblica on-line, 16 gennaio 2013.

IL TAR della Sardegna ha scritto una parola forse definitiva sull'interminabile vicenda della necropoli fenicia di Tuvixeddu, nel cuore di Cagliari. Ed è un no al cemento che da anni minaccia di invadere, e in parte ha già invaso, questi colli dove dal VI secolo avanti Cristo si installò una città funeraria che durò fino all'Alto Medioevo. Un luogo di mirabile fascino, non solo archeologico, ma anche per il paesaggio che si è andato formando. Una vicenda fra le più tormentate della tutela in Italia. Il Tribunale amministrativo ha accolto l'istanza della Regione, della Soprintendenza ai beni paesaggistici e di Italia Nostra e respinto quella di Coimpresa, la società che vorrebbe costruire 270 mila metri cubi di palazzine e di ville affacciate sulle tombe.

La questione è molto tecnica e si inerpica fra ricorsi e controricorsi che vanno avanti da anni e si avvolgono in una spirale avvocatesca senza fine. In sostanza, il Tribunale amministrativo di Cagliari ha stabilito che il vincolo di inedificabilità assoluto posto su cinquanta ettari di Tuvixeddu dal Piano paesaggistico dell'amministrazione regionale di Renato Soru è valido e insormontabile. La prevalenza di quel vincolo era stata già stabilita da una sentenza del Consiglio di Stato del 2011, la quale a sua volta sembrava aver chiuso completamente al mattone. Ma i costruttori sostenevano che il vincolo non annullava un accordo di programma sottoscritto nel 2000 con il Comune (allora retto dal centrodestra), accordo che consentiva di edificare un quartiere di palazzine a ridosso delle migliaia di sepolture antiche. La sentenza emessa ora dal Tar sgombra il campo dagli equivoci: il vincolo annulla l'accordo di programma. Punto e basta. Teoricamente l'impresa costruttrice potrebbe di nuovo ricorrere al Consiglio di Stato, ma sembra inverosimile che il supremo tribunale amministrativo smentisca se stesso.

Dunque per Tuvixeddu si apre un futuro di tutela integrale, non solo nell'immediata vicinanza delle tombe, ma in un'area che raggiunge i cinquanta ettari e che garantisce ai reperti archeologici una zona di protezione sufficiente. I cinquanta ettari, inoltre, sono inclusi in un'area ancor più vasta - centoventi ettari - anch'essa vincolata dal Piano paesaggistico di Soru. Secondo il Consiglio di Stato, che si pronunciò nel 2011, "cura dell'interesse pubblico paesaggistico concerne la forma circostante, non le strette cose infisse o rinvenibili nel terreno con futuri scavi". La questione viene giudicata fondamentale ed estensibile anche oltre la vicenda di Tuvixeddu. Dove, per altro, dopo l'accordo fra Comune e costruttori furono rinvenute diverse centinaia di nuove tombe che resero necessario l'allargamento dell'area da tutelare.

Il colle di Tuvixeddu, insieme al vicino colle di Tuvumannu, sorge nel centro di Cagliari, affacciato sullo stagno di Santa Gilla. Tutt'intorno è cresciuta disordinatamente la città e negli ultimi anni si sono alzati edifici altissimi che oscurano la vista dello stagno dai colli. Inoltre ai piedi di Tuvixeddu, lungo via sant'Avendrace, si è sviluppata nei decenni una cortina di palazzi, alcuni dei quali costruiti proprio sulle tombe. Tutta intera la necropoli è inaccessibile, se non intrufolandosi fra i palazzi e salendo carponi. Molte tombe sono abbandonate al degrado, usate come discariche. E tante altre sorprese potrebbe riservare il colle se solo si potesse avviare una campagna di scavo accurata.

l testo integrale dell’intervento svolto dal presidente della Sardegna, Ugo Cappellacci al convegno "Finestra sul paesaggio" il 2 dicembre 2011. Lo regalo ai lettori di eddyburg nella calza della Befana. Benché vecchiotto è troppo bello per essere lasciato nei miei disordinati archivi. Ed è soprattutto istruttivo per l’uso palesemente stravolto che fa delle parole, dei concetti, delle idee, sue e soprattutto altrui, che allinea in un lungo serpentone accattivante e minaccioso. Sbobinato per eddyburg , gennaio 2013

Intervento svolto al convegno "Finestra sul paesaggio"sulla tutela e valorizzazione del Paesaggio, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Formazione decentrata di Cagliari; Cagliari 2-3 dicembre 2011, Aula Magna del Palazzo di giustizia.Cagliari, 2-3 dicembre 2011 Qui il programma del convegno e alcune delle relazioni presentate.

(...) Voglio prendere spunto da alcune osservazioni che sono state fatte, in particolare dal professor Salzano, e che trovo particolarmente interessanti per poter avviare un confronto che deve essere, credo, quello sui principi ma in particolare sulla sensibilità che sottende al tema di cui stiamo parlando. E voglio, non per dare un contributo tecnico, anche in questo caso perché ovviamente non sarei in grado di farlo, e neanche per confutare le tesi del professore perché da un lato non sarei in grado, dall'altro non ne sento il bisogno perché sento di condividere e sottoscrivere tutto quello che ha detto. O meglio, diciamo, quasi tutto.

Voglio partire proprio da un aspetto che tengo a sottolineare e credo sia molto utile portare da subito all'esame di questo consesso e poterne discutere immediatamente: è quello relativo al processo in corso del ppr sul quale ho colto la sottolineatura del professore delle possibili preoccupazioni legate al possibile tentativo di smantellamento. Allora, io credo che il tema del paesaggio sia un tema - così come quello dell'ambiente, del cosiddetto sviluppo sostenibile - sia un tema chiave per il futuro dei territori in questa epoca moderna che stiamo vivendo. E' un tema che è oggetto non solo di dibattito locale ma è un tema che è oggetto di un dibattito più ampio sul livello internazionale, sul livello europeo, in particolare il tema dello sviluppo sostenibile e della tutela dell'ambiente è un tema che è particolarmente dibattuto, sul quale ci sono differenti posizioni e confronti che sono in atto, e anche talvolta in modo molto vivace. La Regione, peraltro, partecipa a pieno titolo in questo confronto, anche quello che va oltre i confini del nostro territorio perché partecipa all'interno della commissione Empf del comitato delle Regioni, che è una commissione che si occupa di ambiente ed energia ed è una commissione che ha il compito di dare un supporto alla commissione europea e al parlamento europeo, supporto che poi è utilizzato ovviamente e che diventa base per le decisioni che questi organismi devono assumere.

E peraltro la Regione Sardegna avrà - a partire dal 2012 - l'importante responsabilità della presidenza di questa commissione. Questo lo dico a dimostrazione del fatto che la Regione è presente e vuole essere presente nel dibattito, vuole intervenire a pieno titolo nelle dinamiche che sottendono alle scelte che sono scelte che riguardano certamente il presente, che riguardano il destino del nostro ambiente e del nostro territorio ma in modo ancor più importante e significativo riguardano quello delle future generazioni.

Allora si è parlato e il professore mi ha parlato in termini a tratti anche veramente interessanti e affascinanti, direi, di quella che è la nuova sensibilità che peraltro è in qualche modo confermata nella Convenzione europea sul paesaggio ma che per quanto ci riguarda ha origini storiche ancora più lontane perché risale a quei passaggi che sono stati richiamati di Benedetto Croce, ovverosia quella sensibilità per l'ambiente che diventa un valore, un valore che addirittura va a coincidere con quello che è l'aspetto identitario delle popolazioni che nel paesaggio vivono e che il paesaggio devono percepire e che quindi in qualche modo devono tutelare, salvaguardare, valorizzare. Sono stati richiamati termini come valorizzazione, patrimonio, risorse e c'è stata anche spiegata quale può essere la differenza, quali possono essere le notazioni negative rispetto alle quali prestare particolare attenzione. Ecco, io allora credo che si debba uscire una volta per tutte da un equivoco, un equivoco che spesso è frutto di strumentalizzazioni perché comunque la vita è fatta anche di questo e in particolare l'agone della contrapposizione politica soprattutto in questi tempi, ahimè diventa spesso contrapposizione violenta, diventa spesso anche urlo, tentativo di prevaricare le ragioni, le argomentazioni altrui cercando di far valere la propria tesi o meglio talvolta non solo di far prevalere la propria tesi ma semplicemente di distruggere la tesi dell'avversario. Allora, se è vero come è vero, e credo che di questo non si possa non essere tutti convinti, che il tema del paesaggio è un tema che è un valore universale e come tale è riconosciuto, come tale è percepito da tutti, non è possibile, non è ammissibile, in termini di principio, che ci sia una contrapposizione così netta, così forte su un tema universale. Perché, se partiamo dal presupposto che esiste una contrapposizione, io credo che qualunque tipo di ragionamento, qualunque tipo di confronto sarebbe viziato alla base. Perché se il valore universale -io sono profondamente convinto di questo - è un valore che deve essere percepito nel modo corretto da tutti, che deve essere sentito nel modo corretto da tutti, deve essere interpretato nel modo corretto da tutti. E credo che la prima cellula, il primo momento di tutela del paesaggio e del riconoscimento di questo valore anche identitario del paesaggio sia quello che esercita il singolo individuo, che nel suo modo, con la sua sensibilità, nel suo modo di percepirlo, con le sue decisioni, con le sue azioni, è il primo elemento, il più importante che poi deve andare a declinare questo valore mettendolo appunto nella scala dei propri valori e quindi dando a questa accezione un significato importante. Se lo prendiamo, come lo prendiamo, come valore universale allora significa che deve essere sovraordinato rispetto a tutta una serie di questioni. Peraltro, mi sentirei anche di dire: è vero, sono comprensibili quei dubbi che nascono dalla diversa interpretazione che può essere data al termine valorizzazione. E in particolare, particolarmente interessante è la distinzione tra i termini patrimonio e risorsa, che sottende in qualche modo la conservazione, il tentativo di perpetrare primo il patrimonio invece una naturale destinazione al consumo delle risorse. E' anche vero che il mondo cambia i sistemi economici, la realtà dei mercati che stiamo vivendo interviene in questo tipo di classificazioni e di logiche e le cambia. E probabilmente qualche cosa è cambiato anche rispetto a quello che succedeva molti anni fa. E allora ci sono almeno due ragioni per cui non è assolutamente possibile arrivare a queste divisioni su questi temi. La prima è che stiamo parlando, come dicevo prima, di un valore universale, di un qualche cosa che è percepito ormai da tutti come un bene importante da tutelare e da difendere di cui bisogna usufruire in modo consapevole ed essere capace di trasmetterlo responsabilmente alle generazioni che verranno.

L'altro è anche l'aspetto direttamente commesso alla sostenibilità ambientale, direttamente connessa alle esigenze di sviluppo di un territorio, alle esigenze di un territorio di fare economia, che non sono oggi, non possono essere oggi, e tanto meno in una realtà quale è quella sarda, in contrasto con la tutela e la valorizzazione in senso positivo, in senso più virtuoso possibile del termine del paesaggio. E perché dico questo: perché assistiamo oggi in Europa a una discussione che cerca di orientare le comunità, le nostre comunità, gli enti locali, verso un uso cosiddetto efficiente delle risorse. La strategia europea - cosiddetta Europa 20 20 - è fondata su tre principi di base che sono quelli della crescita sostenibile, della crescita intelligente, della crescita inclusiva. La crescita sostenibile non è altro che una gestione efficiente delle risorse e un tentativo di modificare il sistema in un sistema cosiddetto verde - la green economy, più competitiva. Allora, se questo è vero, bisogna anche partire dal presupposto che ci sono delle risorse strategiche sulle quali dobbiamo ragionare perché non è possibile più consumarle. Perché queste risorse non sono illimitate, perché queste risorse sono limitate. E se questo è vero con le risorse di tipo energetico - è stato fatto riferimento al petrolio - e quindi si cerca di immaginare a delle forme di utilizzo delle energie rinnovabili, che si rinnovano, che non costituiscono un consumo definitivo, è a maggior ragione altrettanto vero, forse ancora più vero, per la risorsa ambiente e paesaggio. Noi in Sardegna viviamo, e non solo in Sardegna, ma certamente i territori deboli pagano un prezzo molto alto nei momenti di crisi e noi stiamo pagando un prezzo altissimo per la crisi generale che il mondo vive, che l'Europa, i paesi dell'Eurozona stanno vivendo. In Sardegna in particolare assistiamo a un fenomeno di cui leggiamo tutti i giorni sui giornali e talvolta molti di noi anche ne subiscono le conseguenze dirette perché sono drammi che riguardano le comunità alle quali apparteniamo, talvolta ci toccano anche direttamente, toccano la famiglia di un parente, di un amico, di un vicino. Ovverosia, il progressivo smantellamento dell'apparato industriale - faccio riferimento alla situazione di Porto Torres piuttosto che alla situazione di Porto Vesme - e non voglio citare questi casi per sottolineare la differente sensibilità anche ai temi paesaggistici perché probabilmente oggi, nella realtà che viviamo mai e poi mai potremmo anche solo concepire di realizzare strutture di quel tipo, così fortemente impattanti, non solo sul piano ambientale e paesaggistico, ma anche sul piano ambientale più riferito a quello dell'inquinamento e della salvaguardia dell'ambiente. Mi voglio riferire alle strutture che sono basate su un sistema ormai antico, desueto, che è quello di industrie energivore, talvolta anche inquinanti dicevo, che non hanno più la possibilità di stare sul mercato perché uno degli effetti della globalizzazione è quello che le multinazionali a distanza di migliaia di chilometri dal nostro territorio assumono delle decisioni, e le assumono come: le assumono andando a localizzare i propri impianti produttivi laddove i fattori della produzione si possono acquisire nei modi più convenienti, la logica del bilancio, la logica del conto economico. E allora questa delocalizzazione dei fattori della produzione comporta la delocalizzazione degli impianti e la Sardegna si trova a competere su territori nei quali è difficilissimo competere perché è difficile competere con paesi dove ci sono altre regole per quanto riguarda i meccanismi del mercato del lavoro, e quindi quella risorsa si acquisisce a costi ben più bassi, è difficile competere laddove il costo dell'energia ha valori molto più bassi. E allora qual è il primo ragionamento da fare, e mi riallaccio al tema iniziale che è quello della risorsa ambiente paesaggio e territorio. Che noi dobbiamo puntare sulla valorizzazione delle risorse, sui fattori della produzione che non sono facilmente de-localizzabili. E allora il paesaggio, il territorio, quel valore straordinario non è facilmente de-localizzabile. Lo dobbiamo valorizzare, ma valorizzare non nel senso di mercificare per cui va utilizzato perché va lottizzato, e va messo sul mercato, ma perché è un valore positivo che ci può ben far competere, diventa un fattore della produzione per tutta una serie di attività che ci può fare competere sul mercato internazionale, ci può dare una speranza di puntare su determinate iniziative che abbiano una prospettiva, una continuità, in termini temporali, capace di superare questo momento di crisi, capace di mantenere quelle realtà ancora sul territorio.

E allora lo voglio dire in modo chiaro - mi fa piacere che sia presente il presidente Soru, che sia arrivato l'onorevole Soru in questa sala, perché bisogna che si esca immediatamente da un equivoco: io credo che la Sardegna possa essere fiera di avere uno strumento che è il piano paesaggistico regionale, che è uno strumento moderno, che in termini anche di... anticipando quello che è il resto del territorio nazionale ma molto anche del territorio europeo, si è dotata di un quadro di regole che doveva servire a tutelare e salvaguardare il paesaggio, in particolare gli ambiti costieri. Io questo lo voglio dire, lo dico senza nessuna difficoltà, perché anche, ripeto, è ora, veramente, se vogliamo fare un dibattito, un discorso, un ragionamento serio sul tema, di uscire dall'equivoco, di uscire dai luoghi comuni. Quindi non è in discussione la valenza e io ne faccio di questo documento, di questo atto ne faccio un motivo di orgoglio come rappresentante di una Regione che ha dimostrato di essere all'avanguardia. Allora non c'è, partendo da questo presupposto, un interesse o un'intenzione di arrivare a una operazione di smantellamento. C'è un processo di revisione, peraltro che è obbligatorio, che è previsto dalla stessa norma di legge e che si vuole portare avanti sulla base comunque del rispetto dei principi che hanno originato il documento originario. Però, non possiamo non partire dal presupposto che se è vero - voglio citare passaggi che sono contenuti in quei documenti ai quali faccio riferimento - se è vero che quelle regole che sono state...- il piano paesaggistico in qualche modo rappresenta un quadro di regole - devono essere un paradigma per la tutela e la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio, questo doveva avvenire attraverso l'assimilazione, la traduzione in principi dell'essenza e dell'identità del popolo sardo. Ma se questo è vero, allora come è possibile che quel documento, quel momento così alto di pianificazione abbia prodotto delle divisioni feroci, violente, fortissime nella nostra comunità; ha creato un momento di divisione quasi a metà, e ha creato una serie di problemi che nascono da dubbi interpretativi che ci sono, che ci sono stati, e che comunque le sentenze dimostrano che esistono. Ha creato problemi legati al non allineamento tra le norme del piano paesaggistico e la cartografia, problemi giganteschi, che hanno reso spesso impossibile per i comuni fare la pianificazione subordinata, tanto è vero che in cinque anni di vigenza del piano, solo meno di dieci comuni hanno potuto approvare il piano urbanistico.

E allora credo che il dovere del pianificatore regionale e del legislatore regionale sia quello di porsi il problema di verificare se ci sono delle criticità, sulle quali dobbiamo intervenire. E come abbiamo pensato di intervenire: abbiamo dato corso a quel meccanismo - mutuo un termine non riferito a questa fattispecie ma mi sembra che renda bene la situazione - della “dialettica cooperativa”. Abbiamo avviato un processo che dura da due anni, è un processo che ha coinvolto le amministrazioni locali, che ha coinvolto gli ordini professionali, che ha coinvolto le associazioni di ambientalisti, che ha coinvolto l'universo mondo, con il quale ci si è confrontati su quelle che erano le criticità, su quelle che erano le istanze di modifica, e siamo arrivati ad avere un quadro - che peraltro è una attività questa che è tutta pubblicata, è tutta presente, sulle risultanze di questa attività, anche in modo analitico, sono presenti nel sito della Regione, quindi chiunque cittadino può andare a vedere quale è stato il lavoro e quali sono stati i contributi alle criticità sollevate. Siamo partiti da quello per procedere verso questo lavoro di revisione del piano paesaggistico.

Adesso i prossimi passi quali sono: il primo è quello della approvazione, ci accingiamo ad approvare in giunta e quindi a portare in consiglio le «Linee guida» per la modifica, la revisione e la redazione. Perché abbiamo da modificare e revisionare il piano paesaggistico relativo agli ambiti costieri, ma dobbiamo predisporre, perché ancora non esiste, il piano paesaggistico delle zone interne.

Una prima riflessione vorrei fare: Le «Linee guida» sono già pronte, sono già all'esame della giunta e verranno licenziate a breve; le «Linee guida» che noi presentiamo e che presenteremo al consiglio, nella parte generale e nei principi generali sono esattamente le stesse che hanno guidato, che erano state predisposte per la realizzazione del primo piano paesaggistico regionale, a dimostrazione ulteriore che non c'è nessuna volontà demolitrice, che non c'è nessuna volontà di smantellare alcunché. C'è la volontà di confrontarsi. E di cercare di tener conto delle esigenze che sono emerse nel dibattito.

Ovviamente, ovviamente - e poi torno su questo aspetto - con una necessità, che è quella della responsabilità di chi governa, che è quella di arrivare a fare una sintesi del tutto.

Dicevo, e arrivo velocemente alla conclusione perché non voglio abusare del vostro tempo e della vostra cortesia, il processo prevede quindi l'approvazione delle «Linee guida», la prima approvazione in Giunta della revisione del piano paesaggistico, la pubblicazione perché chiunque possa avere interesse possa fare le sue osservazioni, la valutazione, l'approvazione, l'adozione in seno alla commissione consigliare competente, e quindi la pubblicazione e l'adozione in via definitiva. Questa, non prima di aver concluso il processo che è in corso con la Direzione regionale del Ministero per i beni culturali - ne approfitto anzi per ringraziare il direttore regionale, la dottoressa Lorrai per il lavoro di grande collaborazione che hanno dato rispetto a questo processo e naturalmente all'intera struttura. E poi la conclusione della valutazione ambientale strategica che è stata avviata ad aprile e che si concluderà a breve. E quindi arriveremo a quel punto.

E dicevo, quel documento sarà la sintesi. La sintesi di che cosa? Quali sono i principi che sottendono a una necessità di sintesi? Chi ha il governo regionale non ha la responsabilità di essere portatore - perché purtroppo spesso anche questo è uno degli equivoci che nascono - portatore di interessi. Che possono anche essere interessi generali, anche legittimi, di parti della società. Ha un dovere diverso, ha quello sui capisaldi, sui valori, e stiamo parlando di un valore universale, che è riconosciuto come tale da tutti, ha il dovere della sintesi che sia capace di affermare il bene comune, l'interesse comune. E allora, il bene comune non può mai comunque essere messo in dubbio rispetto a quelli che sono interessi di parte. E questo credo si vedrà, verrà dimostrato nella pratica. E stato richiamato in principio che io uso spesso richiamare - e concludo veramente - che è quello che nella cultura degli indiani d'America che riguarda l'approccio rispetto al territorio, che può essere facilmente parafrasato e riportato sull'ambiente e sul paesaggio, che è quello secondo il quale il territorio, l'ambiente, il paesaggio che viviamo e che percepiamo non è un qualche cosa che ci è stato trasferito in eredità, in proprietà dai nostri padri, ma bensì è un prestito che abbiamo avuto dai nostri figli e che dobbiamo restituire possibilmente valorizzandolo. Quel valorizzandolo, ovviamente, non potrà mai essere mercificandolo. Grazie.


Come eludere i vincoli posti dai piani paesaggistici mediante leggi regionali di settore che, consentendo la realizzazione di opere in contrasto con quei vincoli, siano palesemente illegittime? . Notizie preoccupanti che arrivano da ambienti informati per dovere di ufficio lasciano pensare che soluzione sia stata trovata.

Ci riferiamo a quattro casi specifici che riguardano la regione Lazio e la regione Sardegna. Giacciono davanti alla corte Costituzionale due ricorsi relativi rispettivamente uno al “Piano casa 2” (ricorso n.130 / 2011), uno al “Piano Casa 3 (ricorso n.143 / 2012) della regione Lazio e due ricorsi relativi a due leggi della regione Sardegna riguardanti rispettivamente la realizzazione di campi e attrezzature per il golf e il “Piano casa”. Mentre per il secondo ricorso della regione Lazio la data dell’udienza non era ancora stata fissata, per la seconda legge della regione Lazio il ricorso era stato cancellato dal ruolo di udienza già pubblicato nel sito della Corte senza alcun riferimento al provvedimento che ha operato il rinvio, né è stata fissata una ulteriore udienza. La incostituzionalità delle leggi della regione Sardegna avrebbe dovuto essere discussa il 20 novembre 2012, nel mese di ottobre la data dell’udienza è scomparsa dal registro di ricorsi, senza nessuna ulteriore indicazione né riferimento al provvedimento che ha operato il rinvio.

E' evidente che in sospensione del giudizio di costituzionalità le leggi continuano ad operare. In particolare, in Sardegna continuano la presentazione e l’approvazione di progetti in contrasto con i vincoli del Codice del paesaggio. E’ difficile pensare che il ministro Ornaghi non sia stato informato del ritardo della Consulta e dei suoi effetti, e non abbia provveduto.

Qualcuno ricorderà che le sentenze costituzionali 55 e 56 del 1968, che denunciavano la incostituzionalità dei vincoli urbanistici e di fatto interrompevano l’attuazione della riforma urbanistica del 1967 furono decise prima delle elezioni del 1968 e depositate solo successivamente. Allora la ragione dell’atto della consulta fu attribuito a motivi di opportunità elettorali (conoscere il contenuto della sentenza che bocciava gli standard urbanistici poteva penalizzare il partito di governo, la DC). Oggi il silenzio della Corte non potrebbe non essere considerato un favore a chi per lo “sviluppo” lascia proseguire la devastazione della coste sarde.

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