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Caro de Seta,

ho coniato uno slogan, molto tempo fa, relativo a un certo comportamento dominante nel mondo degli architetti, urbanisti, universitari e no, e quant’altri: nessuno legge nessuno. Sicché il dibattito non esiste più (ricordo il periodo fra Cinquanta e Sessanta quando c’era anche la polemica, emblematico lo scontro fra Rogers e Banham e fra le rispettive riviste) se non talvolta concertato quasi ad arte in sede di piccola corporazione. Nelle riviste? Non parliamone. Sotto questi riguardi il sito di Eddy potrebbe consistere nel contrario. Benché, ho osservato qui altra volta, non sempre, anzi raramente, nasce l’ampia discussione che ci si aspetterebbe attorno al dato tema o problema. Si susseguono l’uno all’altro interventi anche interessanti, ma vanno a formare una catena di anelli spesso non agganciati. Insomma, non si discute o lo si fa poco. Poi sulla questione Ravello salta la polveriera (e le altre centomila, un milione?), improvvisamente (tutti, prima, se ne fregavano), a causa del benedetto o maledetto progetto Niemeyer. Ho dovuto constatare, sorpreso, la mancanza di ricordi di com’era, cos’era effettivamente Ravello entro la natura montano-marina prima dei consueti processi italiani di, stiamo leggeri per carità di patria, modificazione o cosiddetto sviluppo. Non solo, ma ho subito percepito che nel gruppo dei “favorevoli” pochissimi conoscono realmente il luogo e tutto il contesto amalfitano (intendo nell’arco storico, magari per pura ragione d’età), così come certamente non conoscono l’intero disastro paesaggistico, urbanistico ambientale del paese. Bene, io ho subito espresso la mia adesione alla posizione di Salzano, talmente corretta e motivata che non è facile respingerla se non alterando la verità circa il punto nodale, vale a dire la questione di legalità.

Ma non da qui voglio riprendere. Ho letto le vostre lettere, così condite di reciproche dichiarazioni di stima entro il dissidio (quanto a questo tu rivanghi addirittura lo scontro con Cederna, sempre condito da tanto sentimento d’amicizia, attorno alla piramide del Louvre, per mostrare che, tu quella volta duramente contrario, valuti caso per caso, fuor di ogni radicalismo generico. Idem circa l’opposizione Salzano – Gasparrini (“dolcissimo”, che bello essere così signorili!). Voglio invece pregarti, tu che rappresenti l’assoluta diversità rispetto ai soggetti ai quali il mio slogan è applicabile, di leggere il mio pezzo, Bellezza a Ravello, che Eddy ha pubblicato, esprimendoti in particolare sulla conclusione. Perché in realtà vera te lo chiedo? Perché leggo, qui accanto al computer, il tuo ricordo di Piero Bottoni a Capri, pezzo datato da Capri, 4 gennaio MMIII, che hai avuto la gentilezza di concederci per la pubblicazione su uno dei quaderni dell’Archivio Piero Bottoni, il quarto, Piero Bottoni a Capri. Architettura e paesaggio, 1958-1969. Mi pare che il tuo commento, sia riguardo alla “grotta” di Bottoni, talmente riservata e penetrata nella natura, sia riguardo alle sue piccole case, potrebbe ricadere in quella concezione dell’architettura “capace di non ergersi”; quantomeno, se perdoni un’autocitatazione da altra fonte, potresti consentire che “non esiste architettura degna del nome senza sentimento di appartenenza” (al passato come al presente, e, assolutamente e strettamente, al contesto. Riporto qualche tratto del tuo scritto sperando che lo leggano altri che certamente non l’hanno visto nel fascicolo dell’archivio. “Bottoni, da architetto di talento, aveva perfettamente assimilato il modo di costruire dei capomastri dell’isola: che, un tempo, dovevano essere bravissimi. Infatti le sue case […]sono in tutto e per tutto assimilabili alle tipiche tipologie residenziali delle case capresi […]. Né più né meno di quanto aveva propagandato con la mostra su L’architettura rurale alla V Triennale Pagano: ritornare agli etimi dell’ architettura senza architetti, come dirà un celebre libro di Bernard Rudofky che pure aveva scelto il golfo di Napoli per le sue sperimentazioni razional-mediterranee con il suo amico e socio Luigi Cosenza. Bottoni molti anni dopo quella lezione l’aveva assimilata così bene e fatta propria che faceva case assolutamente razionaliste senza che nulla lo lasciasse trasparire. […] nulla apparentemente le distingue dalle più anonime case capresi: se poi si esaminano i disegni tecnici ci avvediamo che sono dei piccoli capolavori di existenz minimum: secondo la più severa norma delle tipologie tedesche: Il loro miracolo sta in questo e in questo Bottoni è un erede spirituale di Pagano e delle sua lezione sull’Onestà dell’architettura, come titolava un suo celebre editoriale di Casabella” (p. 55 del fascicolo citato). Mi sembra chiaro che né tu volessi rivendicare allora una sorta di architettura mimetica, ma volessi esprimerti, penso, contro quella che i razionalisti di “Quadrante” (fra cui il giovane Bottoni) chiamavano architettura arrogante; né io perorarla ora contro il “gesto” di Niemeyer, peraltro una cosa di tali dimensioni e, va detto, talmente disinteressata alla contestualità, da sfiorare la definizione cara ai pionieri di “Quadrante”. Ciò che vorrei si facesse nella già lesa Ravello è esattamente quel che ho già scritto: cura, risanamento del corpo malato, ricostruzione della perduta giovanile bellezza come nuova bellezza senile. E questo, purtroppo, il grande brasiliano, col suo progetto (suo, non suo? schizzo, disegno, modello? Non interessa qui) non può farlo, ne è all’opposto.

Un caro saluto da

Lodo Meneghetti

Ho due ragioni per essere contrario alla costruzione dell’auditorium a Ravello.

1. L’intervento è illegittimo, e battersi per ottenerlo significa avallare la pericolosissima teoria e prassi secondo la quale se una legge ostacola ciò che voglio fare, abroghiamo la legge o la scavalchiamo.

2. L’intervento è sbagliato perché non ha senso modificare la forma di un paesaggio che è già perfetto di per sé, e che non ha bisogno di aggiunte.

La prima ragione mi sembra la più grave.

Che l’intervento sia in contrasto con la legge regionale 35 del 1987, che ha approvato il piano urbanistico territoriale della costiera in attuazione alla legge Galasso, non è questione di cui si possa dubitare. Lo ha spiegato con molta chiarezza Alessandro Dal Piaz sul Corriere del Mezzogiorno del 14 gennaio 2004. E se qualcuno di quelli che hanno dato il parere favorevole avessero letto il testo della legge regionale e quello del PUT non staremmo a questo punto. Del resto, già in una precedente occasione il TAR aveva rilevato che la previsione dell’auditorium è in contrasto con la legge: con l’ordinanza n. 1350 del 5 luglio 2000, “ritenuto che sussiste il contrasto con il P.U.T”, il TAR sospese la delibera commissariale di adozione del P.R.G.

Salvatore Settis scriveva su la Repubblica del 23 scorso: “Chi studierà la svalutazione delle istituzioni?” E osservava che “l’Italia di questi anni è un eccellente laboratorio d’indagine per chi voglia cimentarsi col tema; specialmente per chi voglia studiare come possano essere le istituzioni a svalutare se stesse, e utilizzando meccanismi istituzionali”. Questo di Ravello è proprio un caso tipico dell’anomalia italiana descritta da Settis: la Regione promuove un Accordo di programma per tentar di annullare, in un singolo caso, una legge che, viceversa, dovrebbe essere uguale per tutti.

Mi sembra molto grave, e mi dispiace molto che persone come Paolo Sylos Labini e Nicola Cacace, Massimo Cacciari e Franco Barbagallo, Giovanni Valentini e Giorgio Ruffolo – e tanti altri - non se ne siano accorti. So che il clima generale è questo, che la tendenza a privilegiare l’interesse specifico rispetto alla legge è forte, ma a maggior ragione mi preoccupa che nessuno – tra i difensori dell’auditorium – si sia reso conto che anche in questo caso la difesa della legalità deve essere la prima preoccupazione.

Ho parlato e parlo di auditorium, e non di progetto di Niemeyer, perché il progetto non è di Niemeyer. La questione non è di grande rilievo, ma ha avuto un peso strumentale. Non credo che 165 intellettuali si sarebbero spesi per un appello se si fosse trattato di difendere, che so, un progetto dell’architetto Rosa Zeccato. Eppure, stanno difendendo proprio il progetto di Rosa Zeccato, ispirato da uno schizzo di un architetto che, sia pure famoso (e bravo a costruire nuove città nel deserto), a Ravello non ha mai messo piede. Ce lo dice candidamente il sindaco di Ravello, in un suo ampio intervento sul Corriere del Mezzogiorno del 15 gennaio scorso:

Che il progetto sia di Niemeyer o dell’architetto Zeccato (che immagino bravissima) a me peraltro poco importa. Sul merito del progetto per me il punto è un altro. Io sono convinto che non tutte le parti del territorio della nostra civilissima Italia abbiano bisogno di essere trasformate con l’aggiunta di nuovi oggetti. E a me sembra che Ravello abbia una qualità che non tollera né aggiunte né sottrazioni (salvo forse quelle poche opere abusive che qui o là s’intravedono).

Vogliamo Niemeyer? Benissimo. Ha costruito a Segrate, chiamiamolo a fare un progetto a Scampìa o a Nola o a Soccavo, se la legge e i piani lo consentono. Ma lasciamo in pace Ravello, e per i concerti utilizziamo Villa Rufolo, Villa Cimbrone, e magari San Giovanni del Toro.

Ascoltati gli interventi di quanti sono intervenuti con me alla trasmissione di Ambiente Italia, devo dire che le mie preoccupazioni sono aumentate. Non mi hanno convinto le difese della bellezza dell’oggetto, perché non è questo che conta: non stiamo parlando di un quadro attaccato a un muro. Né mi hanno convinto le teorizzazioni di chi sostiene ancora oggi (come si sosteneva cinquant’anni fa a proposito dei centri storici) che dappertutto si può trasformare a condizione che la trasformazione sia “bella”. Mi ha preoccupato il fatto che il tentativo di scavalcare la legge (perchè è questo che si è fatto) sia stato ridotto dal rappresentante di Legambiente a una questione di “problemi legali”, come se si trattasse di un affare di condominio o di eredità. Mi ha preoccupato che si sia addirittura proposto al Consiglio regionale (come ha fatto il direttore del WWF) di fare una legge eccezionale per Niemayer. Dopo il “Lodo Schifani” siamo al “Lodo Benedetto”?

Il paesaggio non si salva se si avalla la teoria secondo la quale la legalità è qualcosa che si può aggiustare, come certi giudici disonesti, pagati da certi avvocati malfattori, aggiustavano certi processi.

Edoardo Salzano

Punto primo

Gasparrini:

L'intervento è, a mio avviso, coerente con le procedure previste nei casi dei Comuni sprovvisti di PRG e, come sai, ha l'avallo di tutti i soggetti istituzionali preposti ad approvarlo (oltre al Comune, la Regione, la Comunità Montana, la Sovrintendenza, l'ASL e così via): la legge approvativa del PUT non cancella infatti la Legge 17/1982 per i motivi che ho provato ad esplicitare e che leggerai. D'altro canto il Comune è ancora commissariato da anni sull'argomento (con un piano adottato e sospeso) non certo per colpa dell'attuale Sindaco e sarebbe assurdo pensare che, finchè tale situazione non si risolve (così come quelle di eventuali altri comuni in situazioni analoghe), non valgano le norme derogatorie della legge 17/1982 limitatamente alle categorie di opere pubbliche in essa previste, con i danni che sarebbe facile immaginare sulla dotazione di attrezzature del DM 1444/1968.



Salzano

Non sono daccordo. La legge regionale 17/1982 è anteriore alla legge regionale 35/1987, e quindi non può prevalere su di essa. Per di più, la 35/1987 è una legge speciale, perciò prevarrebbe in ogni caso su una legge ordinaria, quale la 17/1982 è.

Gasparrini

La legge 35/1987 così recita all'art. 5 (Norme di salvaguardia): "Dalla data di entrata in vigore del Piano Urbanistico Territoriale e sino all' approvazione dei Piani Regolatori Generali comunali (ivi incluse le obbligatorie varianti generali di adeguamento ai Piani Regolatori Generali eventualmente vigenti) per tutti i Comuni dell' area è vietato il rilascio di concessioni ai sensi della Legge 28 gennaio 1977, n. 10. Sono escluse da tale divieto le concessioni relative a opere di edilizia pubblica (residenziali, scolastica, sanitaria etc.) che comunque dovranno essere conformi alla normativa urbanistica all'atto vigente, e munite del parere di conformità della Giunta regionale." Ciò significa che sono escluse dal divieto l'ERP e le opere di "urbanizzazione secondaria" (quelle del DI 1444/1968 appunto) conformi alle norme urbanistiche vigenti che, nel caso di comuni sprovvisti di PRG, sono a livello regionale la legge 14/1982 e la legge 17/1982 e, a livello nazionale il DI 1444/68 per quel che riguarda le attrezzature. La legge 17/1982, all'art. 4, chiarisce che le limitazioni edificatorie indicate, fino all'approvazione dei PRG, "non si applicano nei confronti degli intervenuti volti alla realizzazione di edifici e strutture pubbliche, opere di urbanizzazione primaria e secondaria, di programmi per l' edilizia residenziale pubblica, nonchè dei piani e degli interventi previsti dalla legge statale 17 maggio 1981, n. 219" (le stesse peraltro indicate nella legge 35/1987). Il senso della norma è chiaro, come dico nella mia perizia: garantire il blocco dell’edificazione sino all’approvazione del PRG ma consentire comunque di realizzare opere di interesse vitale (come gli edifici e le strutture pubbliche o le opere di urbanizzazione primaria) e rispettare così gli obblighi normativi per opere pubbliche previste da leggi nazionali, quali sono appunto quelle di urbanizzazione secondaria (indicate nella L. n. 847/1964 e ricomprese nelle “attrezzature pubbliche” di cui all’art. 3 del D.I. n. 1444/1968) e di edilizia residenziale pubblica (L. n. 167/1962, L. n. 865/1971 e L. n. 219/1981). Il problema non può essere posto in termini cronologici (la legge 35/1987 è successiva alla 14/1982) se la nuova legge non abroga esplicitamente le precedenti ma è anzi coerente con esse. D'altro canto, la tua interpretazione sarebbe gravemente penalizzante proprio rispetto al principio posto dal legislatore nazionale e regionale a base della formulazione di quei valori minimi obbligatori di attrezzature che i Comuni devono comunque rispettare (anche in assenza di uno strumento urbanistico e anche in aree di interesse paesistico) e avrebbe una ripercussione fortemente negativa sulla qualità urbana degli insediamenti. Nello stesso tempo, metterebbe in discussione una prassi interpretativa che da anni viene adottata in proposito nell’area sorrentino-amalfitana e che ha consentito l’approvazione e realizzazione di numerose attrezzature pubbliche in altri Comuni. L'accordo di programma firmato da tutti gli enti, comprensivo del "parere di conformità" della Regione previsto dall'art. 5 del PUT va in questa direzione. Aspetto da te delucidazioni, alla luce di quanto appena detto, dei motivi per i quali (aldilà della cronologia) ritieni che la legge del PUT abroghi le leggi urbanistiche regionali.



Salzano

La legge 35/1987, quando afferma che sono escluse dal divieto a costruire fino all’approvazione del PRG “ le concessioni relative a opere di edilizia pubblica (residenziali, scolastica, sanitaria etc.)”, afferma nella stessa frase che esse “comunque dovranno essereconformi alla normativa urbanistica all'atto vigente, e munite del parere di conformità della Giunta regionale”. Alla normativa oggi vigente del PUT esse non sono certo conformi (questa è almeno l’opinione mia, ed essa coincide con quella del TAR quando sospese l’approvazione del PRG).

Per quanto riguarda la legge 17/1982 ti ripeto che nel diritto vige il principio (e i principi non si modificano con un parere tuo o mio) della prevalenza della disposizione secondo la loro successione cronologica, così come vale l’altro principio della prevalenza della legge speciale sulla legge ordinaria: ed è evidente che una legge di tutela di un ambiente come quello della Costiera non può non prevalere su una legge formata con l’occhio rivolto a Marcianise o a Gricignano o a Battipaglia

E per favore non mi venire a dire che la mia interpretazione “sarebbe gravemente penalizzante proprio rispetto al principio posto dal legislatore nazionale e regionale a base della formulazione di quei valori minimi obbligatori di attrezzature che i Comuni devono comunque rispettare”! Mi sembra proprio che ti arrampichi sugli specchi: (a) quei minimi obbligatori devono essere rispettati nella formazione dei piani urbanistici, come dice esplicitamente il DI 1444/1968; (b) un auditorium di 400 posti non rientra in certo quel “valore minimo obbligatorio” che deve essere assicurato ad ogni cittadino” (ti rendi conto che siamo in Italia?).

E non confondere “prevalenza” con “abrogazione”. La 35/1987 non abroga un bel nulla: invece, nella limitata (e delicatissima) area alla quale si riferisce, le sue determinazioni prevalgono, superano, devono essere rispettate anche se in contrasto (o meno “permissive”) di quelle di una legge che, come la 17/1982, oltre a essere antecedente, riguarda l’intera Regione Campania.

La chiudiamo su questo punto? La smetti di difendere la legittimità di una trasformazione sostenendo che tra le due leggi non c’è contrasto o che la più antica e generale prevale sulla più recente e speciale?

PUNTO SECONDO

Gasparrini

l'auditorium è a pieno titolo un'urbanizzazione secondaria compresa nelle attrezzature di interesse comune del DM stesso, e trovo singolari le omissioni in proposito di Sandro e Vezio che, per motivi incomprensibili, non citano le attrezzature di interesse "culturale" tra quelle obbligatorie per legge

Salzano

Non sono d'accordo. Le attrezzature di cui all'articolo 3 del DI (interministeriale, non ministeriale) 1444/1968 sono senza dubbio distinte dalle attrezzature d'interesse generale (le Zone F), e a differenza di queste sono attrezzature locali. Ed è evidente che non possiamo pensare di avere un auditorium di 405 posti in ogni comune della Costiera. O no?

Gasparrini

Ti rispondo: Francamente non capisco bene la tua risposta che non entra nel merito della questione, da me lungamente trattata nella perizia, di cosa siano le attrezzature pubbliche del DI (non DM, ok) 1444/1968. Ho cercato di chiarire che:

- l'elenco riportato da Vezio nella sua perizia per i privati espropriandi non corrisponde a quello del DI e omette, incomprensibilmente, le attrezzature di interesse culturale;

- le attrezzature di interesse culturale non sono elencate nella legge e quindi devono essere articolate successivamente. Da chi?: dai Comuni, ovviamente. E sono i Comuni che decideranno se fare una biblioteca, un centro socio-culturale, una sala per spettacoli o quant'altro. Non credo che dobbiamo essere noi a deciderlo e questa libertà consentirà di fare le attrezzature giuste nel posto giusto (come lo è un piccolo auditorium di 400 posti a Ravello "città della musica" che può svolgere molteplici funzioni per eventi culturali). Sai bene, peraltro, che un museo, una biblioteca o un'altro contenitore di tipo culturale non è necessariamente più invisibile di una sala per spettacoli. Anzi.

- sfido chiunque (e quindi anche te) a dire poi che, nella categoria delle attrezzature culturali, non siano comprese le sale per spettacoli: tu sai molto bene che in questa direzione è stata interpretata la legge da tantissimi comuni (ho fatto ampie citazioni di autori nella mia perizia e l'Italia è fortunatamente piena di standard "di quartiere" che hanno consentito di realizzare cinema, teatri, sale per spettacoli in genere e auditorium appunto). Come è giusto che sia, d'altronde: un bravo giurista sa che il problema, su materie di questo tipo, è la giurisprudenza "di fatto" che si determina nell'applicazione della legge e non una presunta fedele interpretazione della volontà del legislatore che non traspare affatto dal testo normativo (che si limita ad enunciare, fortunatamente, le categorie di attrezzature) e sarebbe quindi assolutamente arbitraria;

- in un picclo centro (2500 abitanti), non esiste il problema di un'articolazione delle attrezzature per "quartieri": il centro nel suo insieme è assimilabile alla scala del quartiere (nelle città i quartieri sono molte miggliaia di abitanti, infatti). Quindi la scala locale indicata nel DI è, per Ravello, quella dell'intero centro. Ma su questo non mi dilungo perchè l'ho fatto nella mia perizia e tu sei perfettamente a conoscenza del concetto e delle pratiche che ne discendono nella programmazione dei servizi;

- sai bene poi anche che le attrezzature culturali non sono nominate nel DI tra le attrezzature di livello superiore. Anche se lo fossero, la sala di Niemeyer non potremmo classificarla certo tra queste.

E allora cos'è quest'opera? Quali sono le attrezzature "di interesse culturale"? Se fossero giuste le cosi che dici dovremmo arrivare alla conclusione che un'opera come quella di cui stiamo parlando (anche troppo) non potrebbe essere classificata e realizzata come un'attrezzatura pubblica. Mi sembrerebbe francamente paradossale (e non posso pensare che tu voglia dire questo, ma a questo si arriva seguendoti nel ragionamento). Poi ci meravigliamo perchè l'urbanistica viene odiata da alcuni (da altri lo è per motivi gravi e strumentali): facciamo il possibile per rendere complicata l'attuazione di cose che dovrebbero essere di normale amministrazione.

Salzano

La questione non è se un auditorium faccia o non faccia parte delle “urbanizzazioni secondarie”, o possa o meno essere considerato tra gli spazi pubblici di cui all’articolo 3 del DI 1444/1968. La questione è capire se un auditorium come quello progettato sia o no tra le opere previste, o consentite, dal PUT.

L’area dove dovrebbe sorgere l’auditorium ricade in Zona territoriale 3 del PUT. Questa zona – teniamolo presente – secondo la legge 35/1987, articolo 17, comprende “gli insediamenti antichi, integrati con la organizzazione agricola del territorio, presenti nella costiera Amalfitana e di notevole importanza paesistica”; una zona che “va trasferita nel Piano regolatore generale, come zona di «Tutela Integrata e Risanamento»”. In questa zona – prosegue la norma - ”con una progettazione estremamente dettagliata, documentata e culturalmente qualificata, il Piano regolatore generale fornirà indicazioni e norme (mediante elaborati di piano di dettaglio in scala almeno 1:500: planovolumetrici, profili, fotomontaggi etc.) tali da (omissis)”.

In questa zona delicatissima la legge 35/1987, sempre nel medesimo articolo 17, prescrive che il PRG deve

impedire ulteriore edificazione, fatta eccezione per:

- le attrezzature pubbliche previste dal PUT e quelle a livello di quartiere, sempre che l'analisi e la progettazione dettagliata del Piano regolatore generale ne dimostrino la compatibilità ambientale;

- eventuali limitatissimi interventi edilizi residenziali e terziari, ove ne sussista il fabbisogno di cui ai precedenti, articoli 9 e 10, e sempre che l'analisi e la progettazione dettagliata del Piano regolatore generale ne dimostrino la compatibilità ambientale”.

Quindi è inutile qualsiasi esegesi sul rapporto tra standard urbanistici e urbanizzazioni secondarie. I formalismi giuridici si infrangono sulla chiarezza della norma. Il PRG (che a Ravello non c’è, non per colpa di Italia Nostra) può prevedere non “urbanissazioni secondarie” o “centri culturali e da spettacolo”, ma “attrezzature di quartiere”. In parole povere, e da urbanista, quegli spazi pubblici di cui è essenziale che il cittadino disponga a una distanza tale da poterli raggiungere pedonalmente. Certo, in quartieri urbani si può anche pensare a una sala polivalente, a una biblioteca di quartiere, o a simili attrezzature. Ti sembra che sia questo il caso dell’auditorium progettato da Niemeyer-Zoccato?

PUNTO TERZO

Gasparrini

E’ un'attrezzatura "necessaria" non solo dal punto di vista normativo ma anche dal punto di vista dell'utilità inconfutabile di mettere in rete e valorizzare le strutture turistico-culturali esistenti, come dimostrano una serie di studi qualificati svolti per conto del Comune e che sono a supporto della valutazione di "compatibilità ambientale" che accompagna il progetto.

Salzano

E chi lo nega? Ma il fatto non cancella il diritto.

Gasparrini

Non ti rispondo perché la mia visione del diritto in questo caso l'ho già espressa. Ma prendo atto che sei d'accordo sulla necessità di un auditorium a Ravello.

Salzano

Non ho mai detto che sono “d'accordo sulla necessità di un auditorium a Ravello”. Ho detto che non ho mai negato questa necessità. Ma se si ritiene che un auditorium lì è davvero necessario, dopo aver ammesso che non si può farlo subito perché è illegittimo, bisognerebbe chiedersi che percorso occorre seguire per farlo. Lascio perdere l’aspetto procedimentale e mi soffermo sul merito urbanistico.

Poiché l’auditorium non è certo una struttura commisurata alle esigenze di 2500 abitanti, ma almeno di livello intercomunale (non parlo da giurista, quale non sono, ma da urbanista) occorrerebbe studiare il territorio almeno alla scala del presumibile bacino d’utenza. Vogliamo riferirci alla Costiera amalfitana, o vogliamo considerare l’intera penisola sorrentino-amalfitana? Naturalmente coinvolgendo gli altri comuni, oppureinveswtendo come protagonista un livello sovraordinato: la Regione? Forse si.

Poiché il sito è quello che è, occorrerebbe approfondire in particolare lo studio su due aspetti rilevantissimi: quello paesistico e ambientale da un lato, quello dell’organizzazione della mobilità e dell’accessibilità dall’altro. Se non facessimo così, correremmo il rischio di danneggiare un paesaggio la cui eccezionalità mi pare dimostrata, e saremmo certi di provocare disastri dal punto di vista di una viabilità già oltre l’orlo del collasso (se consideri le devastazioni del paesaggio che i lavori sulle infrastrutture hanno provocato).

Se gli studi confermassero l’opportunità e l’utilità di realizzare l’auditorium lì, occorerebbe tradurli in una serie coordinata e coerente di scelte sul territorio: in un piano, che probabilmente avrebbe qualche analogia con il PUT, ma naturalmente sarebbe più aggiornato, preciso, rigoroso, operativo. Dimenticavo, bisognerebbe provvedere anche alle risorse necessarie per renderlo effettivamente operativo (e allora, fatalmente, ci domanderemmo se, tra tutti gli interventi necessari, l’auditorium è proprio quella prioritaria).

Sulla base delle direttive di questo insieme di “scelte politiche tecnicamente assistite” (di questo piano territoriale) occorrerebbe poi redigere il piano comunale e, solo su questa base, affidare (magari con una procedura di pubblica evidenza? Non ne sono innamorato, ma forse un confronto tra soluzioni diverse potrebbe essere opportuno, per chi non s’innamora delle vedettes) affidare un incarico di progettazione, realizzare, inaugurare, con la certezza che il paesaggio sarebbe più bello che pria, e che le 400 automobili o i 5 pullman (pubblico, orchestrali, tecnici ecc.) non intaserebbero la precaria rete stradale e non solleciterebbero la realizzazione di nuove strade: magari avvalendosi di qualche nuova interpretazione corriva delle leggi, o a una legge ad hoc, o a una raccolta di firme prestigiose.

PUNTO QUARTO

Gasparrini

un piccolo (400 posti!) e pregevole intervento di architettura contemporanea che interpreta in modo straordinario linguaggi, qualità spaziali, disposizioni al suolo e relazioni con il paesaggio, valorizzando la straordinaria stratificazione della costiera amalfitana e introducendo nuovi valori fisici e simbolici capaci di consolidare e arricchire quelli esistenti (ma su questo aspetto, so che non sei d'accordo quindi non insisto)

Salzano

Ti credo, come credo a Cesare de Seta che sostiene che Niemeyer ha fatto il progetto, e non solo il bozzetto come invece aveva scritto il Sindaco ( Corriere del Mezzogiorno, 15 gennaio 2004, p. 1). Ma non è questo un punto che io abbia sollevato. Tra l'altro, del progetto ho visto solo il materiale pubblicato in internet, perciò, benché conosca bene Ravello, non sono in grado di confermare né di smentire la tua affermazione. Dunque, fino a prova contraria ti credo. Ma non c'entra con le ragioni della mia critica.

Gasparrini

Prendo atto della tua fiducia e della disponibilità a pensare che questo sia possibile. Molti non lo sono per principio.

PUNTO QUINTO

Gasparrini

E’ compatibile, in una lettura più dettagliata del progetto, con i requisiti spaziali e ambientali che possono ricondursi ad una interpretazione complessa e non manichea del suo "impatto" (ovviamente, non condivido la tua posizione secondo cui è comunque sbagliato aggiungere qualcosa all'attuale, intoccabile, bellezza del paesaggio).

Salzano

Quando ero assessore ho chiamato Giancarlo De Carlo a Mazzorbo (Venezia), Vittorio Gregotti a Cannaregio (Venezia), Gino Valle alla Giudecca (Venezia). Non ho quindi nessuna pregiudiziale ostilità nei confronti dell'architettura moderna nei paesaggi consolidati. Posso sostenere che forzare la legge per abbellire un luogo già bello, investire risorse pubbliche per migliorare un luogo già ottimo e distrarle da altri impieghi più urgenti, aumentare il carico urbanistico in contrasto con l'unico piano territoriale esistente in quell'area, e in assenza perfino di un piano regolatore vigente, è un errore? L'ho detto e continuo a ripeterlo fino alla nausea. La questione centrale è per me quella della legalità. E invece, di fronte ai puntuali rilievi di De Lucia tutti hanno detto che, si, c'è "qualche problema legale", oppure che ci sono "questioni burocratiche", ma in un modo o nell'altro si troverà il modo di risolverle. Nessuno che abbia voluto cercare di entrare nel merito, né quando la sola perizia in campo era quella di De Lucia, né quando ce n'erano due che dicevano cose diverse. Forse il fatto che De Lucia fosse stato interpellato da un gruppo di cittadini anziché da un ente pubblico rendeva meno valide le sue ragioni? No, caro Carlo, la ragione è un'altra, e sta nel clima che tutti respiriamo e da cui molti si fanno condizionare. Il clima per cui se una causa è da me ritenuta giusta la legge, le regole che valgono per tutti, non valgono. Come ho scritto a de Seta, trascurare la questione della legittimità, ridurla a quisquilia o pinzillacchera, o considerarla come cosa che possa essere risolta con una interpretazione ad usum delphini o, peggio ancora, con una legge ad personam, è molto pericoloso. Significa cedere alla tendenza che sembra dominare oggi nel nostro sciagurato paese: la tendenza a considerare prevalenti certi interessi specifici (poco importa se di singoli soggetti o di intere comunità locali o scientifiche) rispetto alla legge comune. Ti piaccia o no, Carlo, questo è berlusconismo, il quale, come tutti i virus, conosce i portatori infetti e i portatori sani.

Gasparrini

Proprio perchè conosco bene lo spazio che hai dato all'architettura contemporanea a Venezia (ricorderai che ci siamo incontrati da te sul piano di Venezia, assieme a Edgarda, allo stesso Vezio e a tanti altri per discutere sulle regole della conservazione/trasformazione del centro storico) e proprio perché ho sempre pensato che la tua posizione sui centri storici non fosse quella della cristallizzazione tout court (come quella di altri) ferma restando la nostra comune posizione su una rigorosa conservazione del patrimonio storico (cosa che ho perseguito anche nel nuovo Piano di Roma), non capisco il tuo attuale radicalismo sull'argomento. Se mi dici oggi che, in realtà, la questione principale è quella della legittimità, ti seguo e ne stiamo discutendo civilmente. Certo con argomentazioni di segno diverso ma che credo abbiano pari dignità e richiederebbero, da parte di altri, la stessa pazienza e voglia di capire che stiamo dedicando noi ad affrontare questioni così complesse e delicate

Salzano

Non mi soffermo sulle altre questioni, per le quali ti rinvio alla lettera aperta a Cesare de Seta di Lodo Meneghetti che troverai in Eddyburg. Con affetto

Caro Meneghetti,

un amico mi segnala la Tua lettera sul sito di Eddy Salzano con il quale ho un antico rapporto spero non intaccato da questa divergenza. Mi avvedo che gli architetti sono degli eccellenti epistolografi e ne sono lieto, ma trovo anche che è inutile pestare acqua nel mortaio. Sulla questione Ravello-Niemeyer si è ormai superato il segno. Ne ho scritto per primo nel 1999, poi ho raccolto il saggio in un mio libro Le architetture della modernità tra crisi e rinascite. Bollati-Boringhieri, 2002. Per fortuna tu non mi poni problemi di legalità urbanistica alla quale sono attento quanto i miei interlocutori anche se il mio mestiere è altro e mi fido di amici urbanisti (Carlo Gasparrini) e giuristi (il prof. Laudadio, amministrativista di rango) i quali hanno fugato ogni mia remota preoccupazione al riguardo. Che altri la pensino in modo diverso non mi sorprende, ma neppure turba le mie convinzioni acquisite con cura e in tempi assai lontani dalla polemica.

Tu mi poni un preciso interrogativo e hai la cortesia di citare un mio testo su Piero Bottoni a Capri: naturalmente io condivido quel che ho scritto e non ho abiurato. Proprio il caso della grotta resa abitabile da Bottoni è la testimonianza più clamorosa di come una sfida impossibile è stata vinta da un architetto sensibile e creativo. Gli oppositori di Niemeyer a Ravello avrebbero consentito a Bottoni di costruirsi una casa in una grotta demaniale? Chiedilo tu a loro. Quel che penso sul Paesaggio l’ho scritto in un paio di Annali della Storia d’Italia (Einaudi): tutta la mia vita testimonia quanto mi sia caro il paesaggio, l’architettura, la città nella lenta e affascinante dinamica storica.

Credo che Ravello non sarà lesa da Niemeyer: la sua integrità è già lesa dalle case popolari nella valle del Dragone, dal ristorante - accanto al suolo dove sorgerà l’Auditorium, lunghezza massima 32 metri – lungo circa 120 metri e da cento altre brutture. Nessuno se ne è accorto? La Rondinaia dove abita Gore Vidal (un villone che vorrei esser Gadda per vederla crollare sotto le mie parole) “lede” il paesaggio di Ravello? Caro, il Paesaggio che è un’entità storica creata dall’uomo viva e vivente, non metastorico simulacro, né idola metafisico. Il mio amico Marc Augé ha pubblicato un libretto sulle rovine e sarebbe utile che gli oltranzisti della difesa lo leggessero, piuttosto che farsi drogare da Put, Pit, Pat e Pot che per me sono i personaggi di un romanzo di Dickens. Se mi permetti ti segnalo le pagine dedicate alla nuova architettura nel mio ultimo romanzo Terremoti, Aragno 2002: lì troverai pagine forse gradevoli nelle quali spiego fino in fondo e in modo molto chiaro (I suppose) tutto il mio pensiero sul rapporto tra architettura malnata e paesaggio. Ma il Niemeyer meticcio, come si autodefinisce, 96 anni, onestamente faccio fatica a collocarlo tra i creatori di architettura malnata, come fai tu e altri con tanta intransigente baldanza e scarsa considerazione per quel bene supremo che è la capacità di creare bellezza.

Credimi con cordialità,

Cesare de Seta

La replica diLodo Menghetti

Caro De Seta,

ti ringrazio della lettera, benché, penso, forse giustamente stufo della diatriba, tu non accetti di accedere al senso del mio modesto intervento. Tra l'altro non noti che, circa Piero Bottoni e Capri, sono le case e non la grotta il centro del mio e del tuo stesso discorso. E poi non hai evidentemente letto il pezzo su Ravello precedentemente pubblicato da Eddy. Naturalmente conosco la tua effettiva posizione, Ravello a parte, figurati se no, e ti ammiro. Di qui la mia attuale sorpresa a vederti confuso in mezzo ai cosiddetti 165. Quanto all'"intransigente baldanza" che mi accomunerebbe ad altri, scusa carissimo, la respingo. Penso di aver ragionato, non di aver sentenziato. Non intendo paragonarmi a te, ai tuoi testi sugli Annali e ad altro. Ti indico però un mio libro abbastanza recente che mostra la mia posizione; potresti limitarti a leggere la recensione di Giancarlo Consonni che Eddy pubblica sul suo sito. Il libro, purtroppo pubblicato da un editore a scarsa diffusione (Unicopli di Milano), si chiama per l'appunto Architettura e paesaggio. Memoria e pensieri.

Lodo Menghetti

Caro Carlo, rispondo anche a te. Punto per punto.

Tu dici: “- l'intervento è, a mio avviso, coerente con le procedure previste nei casi dei Comuni sprovvisti di PRG e, come sai, ha l'avallo di tutti i soggetti istituzionali preposti ad approvarlo (oltre al Comune, la Regione, la Comunità Montana, la Sovrintendenza, l'ASL e così via): la legge approvativa del PUT non cancella infatti la Legge 17/1982 per i motivi che ho provato ad esplicitare e che leggerai. D'altro canto il Comune è ancora commissariato da anni sull'argomento (con un piano adottato e sospeso) non certo per colpa dell'attuale Sindaco e sarebbe assurdo pensare che, finché tale situazione non si risolve (così come quelle di eventuali altri comuni in situazioni analoghe), non valgano le norme derogatorie della legge 17/1982 limitatamente alle categorie di opere pubbliche in essa previste, con i danni che sarebbe facile immaginare sulla dotazione di attrezzature del DM 1444/1968

Non sono d’accordo. Le legge regionale 17/1982 è anteriore alla legge regionale 35/1987, e quindi non può prevalere su di essa. Per di più, la 35/1987 è una legge speciale, perciò prevarrebbe in ogni caso su una legge ordinaria, quale la 17/1982 è.

Tu dici: “- l'auditorium è a pieno titolo un'urbanizzazione secondaria compresa nelle attrezzature di interesse comune del DM stesso, e trovo singolari le omissioni in proposito di Sandro e Vezio che, per motivi incomprensibili, non citano le attrezzature di interesse "culturale" tra quelle obbligatorie per legge

Non sono d’accordo. Le attrezzature di cui all’articolo 3 del DI (interministeriale, non ministeriale) 1444/1968 sono senza dubbio distinte dalle attrezzature d’interesse generale (le Zone F), e a differenza di queste sono attrezzature locali. Ed è evidente che non possiamo pensare di avere un auditorium di 405 posti in ogni comune della Costiera. O no?

Tu dici: “- è un'attrezzatura "necessaria" non solo dal punto di vista normativo ma anche dal punto di vista dell'utilità inconfutabile di mettere in rete e valorizzare le strutture turistico-culturali esistenti, come dimostrano una serie di studi qualificati svolti per conto del Comune e che sono a supporto della valutazione di "compatibilità ambientale" che accompagna il progetto;”

E chi lo nega? Ma il fatto non cancella il diritto.

Tu dici: “- è un piccolo (400 posti!) e pregevole intervento di architettura contemporanea che interpreta in modo straordinario linguaggi, qualità spaziali, disposizioni al suolo e relazioni con il paesaggio, valorizzando la straordinaria stratificazione della costiera amalfitana e introducendo nuovi valori fisici e simbolici capaci di consolidare e arricchire quelli esistenti (ma su questo aspetto, so che non sei d'accordo quindi non insisto)”

Ti credo, come credo a Cesare de Seta che sostiene che Niemeyer ha fatto il progetto, e non solo il bozzetto come invece aveva scritto il Sindaco (Corriere del Mezzogiorno, 15 gennaio 2004, p. 1). Ma non è questo un punto che io abbia sollevato. Tra l’altro, del progetto ho visto solo il materiale pubblicato in internet, perciò, benché conosca bene Ravello, non sono in grado di confermare né di smentire la tua affermazione. Dunque, fino a prova contraria ti credo. Ma non c’entra con le ragioni della mia critica.

Tu dici: “- è compatibile, in una lettura più dettagliata del progetto, con i requisiti spaziali e ambientali che possono ricondursi ad una interpretazione complessa e non manichea del suo "impatto" (ovviamente, non condivido la tua posizione secondo cui e comunque sbagliato aggiungere qualcosa all'attuale, intoccabile, bellezza del paesaggio)”.

Quando ero assessore ho chiamato Giancarlo De Carlo a Mazzorbo (Venezia), Vittorio Gregotti a Cannaregio (Venezia), Gino Valle alla Giudecca (Venezia). Non ho quindi nessuna pregiudiziale ostilità nei confronti dell’architettura moderna nei paesaggi consolidati. Posso sostenere che forzare la legge per abbellire un luogo già bello, investire risorse pubbliche per migliorare un luogo già ottimo e distrarle da altri impieghi più urgenti, aumentare il carico urbanistico in contrasto con l’unico piano territoriale esistente in quell’area, e in assenza perfino di un piano regolatore vigente, è un errore?

L’ho detto e continuo a ripeterlo fino alla nausea. La questione centrale è per me quella della legalità. E invece, di fronte ai puntuali rilievi di De Lucia tutti hanno detto che, si, c’è “qualche problema legale”, oppure che ci sono “questioni burocratiche”, ma in un modo o nell’altro si troverà il modo di risolverle. Nessuno che abbia voluto cercare di entrare nel merito, né quando la sola perizia in campo era quella di De Lucia, né quando ce n’erano due che dicevano cose diverse.

Forse il fatto che De Lucia fosse stato interpellato da un gruppo di cittadini anziché da un ente pubblico rendeva meno valide le sue ragioni? No, caro Carlo, la ragione è un’altra, e sta nel clima che tutti respiriamo e da cui molti si fanno condizionare. Il clima per cui se una causa è da me ritenuta giusta la legge, le regole che valgono per tutti, non valgono. Come ho scritto a de Seta, trascurare la questione della legittimità, , ridurla a quisquilia o pinzillacchera, o considerarla come cosa che possa essere risolta con una interpretazione adusum delphini o, peggio ancora, con una legge ad personam, è molto pericoloso. Significa cedere alla tendenza che sembra dominare oggi nel nostro sciagurato paese: la tendenza a considerare prevalenti certi interessi specifici (poco importa se di singoli soggetti o di intere comunità locali o scientifiche,) rispetto alla legge comune. Ti piaccia o no, Carlo, questo è berlusconismo, il quale, come tutti i virus, conosce i portatori infetti e i portatori sani.

Per fortuna tu sei sano, perciò ti abbraccio

La lettera di Cesare de Seta

Caro Eddy, il Sindaco di Ravello mi invia la Tua lettera per conoscenza, visto che io non avevo tuo e-mail, né conoscevo il tuo sito; aggiungo qualcosa di mio per poco che possa valere. La tua risposta e garbata e piena di concetti che per larga parte condivido in linea generate, in linea di principio. II tono della tua intervista in tv e del Tuo articolo sul CdM era assai più duro... e con una vena demagogica che considero estraneo al tuo carattere e alla tua biografia intellettuale che presumo di conosce un po'. Ti ho risposto su alcuni punti in diretta tv, con un certo disagio che amici comuni hanno ben inteso: perché averti avuto come contraddittore mi ha creato disagio.

Ovviamente, al contrario di te, io penso che anche a Ravello o nella mia ben più amata Capri si possa fare della modernità, a condizioni che ci sia qualità dell'architettura consapevole del sito e legalità rispettata (come spiega in modo impeccabile la perizia del mio amico, collega e già allievo Carlo Gasparrini): penso che entrambe le circostanze siano presenti a Ravello. Rara avis, aggiungo! Perché di fronte a volgare architettura anch'io penso che Ravello, Capri o Venezia debbano per quanto possibile restare immuni da brutture. Cos! come considero effetto di cattiva o pessima informazione la favola che Niemeyer non abbia fatto che uno schizzo. Per quanto poco valga la mia testimonianza aggiungo quanto segue: nella primavera del 1999 sono stato invitato alla Fiera del libro di Rio de Janeiro dal mio editore brasiliano, poi ho fatto giro di conferenze a Brasilia, Victoria, Salvador de Baia. A Rio ho chiesto di incontrare Niemeyer che mi ha accolto calorosamente net suo studio dicendomi che conosceva i miei libri francesi (forse mentiva per la tradizionale cortesia carioca!): sui tavoli aveva il progetto di Ravello. Me to mostrò e ne parlammo con lui e i suoi collaboratori. Lui disegna come un padreterno e ti assicuro che solo lui poteva disegnare I'Auditorium che ha progettato. Magari ci fossero per il mondo dei cloni di Niemeyer, converrebbe ingaggiarli! Dunque su questo punto puoi stare certo che il progetto e suo! Al rientro chiesi a De Masi di farmi avere il progetto appena sarebbe giunto: quando giunse to studiai con un certo scrupolo e to misi a confronto con il topos che conosco bene anche se non come Capri. Ne scrissi un articolo per "Ars" rivista diretta da Calvesi per la De Agostini-Rizzoli che usci sempre net 1999. Un po' rivisto ho pubblicato quel testo "Niemeyer a Ravello" net mio "L'architettura della modernità tra crisi e rinascite", Bollati-Boringhieri, 2002, pp. 258-61. Poi nella miscellanea in onore dell'amico Lionello Puppi che del maestro e il maggior esegeta italiano. Dunque le mie opinioni si sono formate del tutto al di fuori di questo bailamme burocratico-tar di questo ultimo mese. Ti rubo ancora qualche minuto. Vivevo a Parigi al tempo in cui Mitterand aveva deciso di costruire la Piramide: con André Chastel, maestro e amico, ci convincemmo delta bestialità della Piramide. Su "Le Monde" e sul "Corriere" conducemmo una battaglia con tanti intellettuali schierati pro e contro. Perdemmo come sai. Inaugurata la Piramide il mio (nostro) amico Antonio Cederna andò a Parigi e scrisse un articolo entusiasta a favore della Piramide per "Repubblica": gliene dissi di tutti i colori come si fa tra vecchi amici perché io penso ancora che la Piramide e uno sfregio al Louvre. Ma con Antonio siamo rimasti amici fino alla fine prematura: spero che questo apologo rispondente al vero e questa mia testimonianza tu voglia intenderli.

La mia risposta

Venezia, 30 gennaio 2004

Caro Cesare,

non avevi bisogno di ricordare l’episodio della piramide di Pei per augurarti che l’amicizia tra noi non sia turbata dalla storia di Niemeyer a Ravello. Figuriamoci. Sia tu che io siamo uomini liberi, diciamo quello che pensiamo e la nostra amicizia non ci impedisce di avere idee diverse; ma se alla base dell’amicizia c’è il rispetto, nessun contrasto può spezzarla.

Cela dit, a me sembra di parlare al vento, o di adoperare una lingua che non è più quella che i miei compatrioti comprendono; e questo sì che mi turba. La questione del merito dell’intervento (se sia bello o no, se sia giusto o no, se sia correttamente inserito o no) è l’ultima delle mie preoccupazioni. Ho una mia valutazione, e l’ho espressa – mi sembra – chiaramente anche nella lettera al sindaco di Ravello. Non mi scandalizza che altri abbiano opinioni diverse, e l’ho detto in tutte le salse. Certo, mi piacerebbe discutere anche su questo, come mi piacerebbe discutere con chi (anche tu, mi sembra) ritiene che per progettare in un sito così delicato non è necessario averne respirato l’aria e toccato i sassi e l’erba. Ma in tutto ciò non c’è nulla che mi indigni. Figuriamoci: c’è anche chi crede che l’architettura sia solo quella disegnata (Massimo Scolari, per esempio), o che un progetto possa essere spostato da una parte all’altra del territorio (Carlo Aymonino, per esempio): opinioni discutibili, che infatti discuto e, se posso, contrasto, ma non per questo mi indigno.

Ciò che mi preoccupa e m’indigna è, invece, il modo in cui valenti intellettuali, molti dei quali miei amici, altre persone che apprezzo e rispetto, trascurano la questione della legalità: sorvolano, o trattano con sufficienza, o tacciano di pastoia burocratica l’aspetto a mio parere centrale (e sul quale mi sono lungamente soffermato in tutte le sedi) della illegittimità sostanziale dell’intervento, e del grave rischio che si corre procedendo con procedure derogatorie: dalla interpretazione distorcente alla legge ad personam. Di questo voglio parlare e di questo ho parlato.

Ho letto la perizia del dolcissimo Carlo Gasparrini, che continuerò ad amare anche dopo averla letta. Mi sembra platealmente sbagliata sui due punti sostanziali.

Il primo. Gli standard di cui Gasparrini parla diffusamente nella sua perizia, quelli dell’articolo 3 del DI 1444/1968, sono senza ombra di dubbio quelli di livello locale, di quartiere, di vicinato. Tutta la discussione che condusse al decreto, le esperienze su cui si basa, la stessa letteratura successiva confermano questa tesi. E del resto, perché mai, se no, gli altri standard (quelli di livello superiore) sarebbero stati distintamente disciplinati nelle “zone omogenee F”?. Le quali non a caso sono state definite “attrezzature pubbliche d’interesse generale”.

Il secondo punto. La legge regionale 17 del 1982, che consente ai comuni sprovvisti di PRG di realizzare opere di urbanizzazione primaria e secondaria non può essere considerata derogatoria rispetto alla legge regionale 35 del 1987, con la quale la Regione Campania ha approvato il PUT, per due buoni motivi giuridici, che sono dei principi del diritto: perché una legge anteriore non può modificarne una successiva, perché una legge speciale(quale indubbiamente la 35/1987 è) prevale su una legge ordinaria.

Ciò che non riesco a capire è perché la Regione Campania, che mi sembra così determinata a far realizzare l’auditorium (che tu dici di Niemeyer, e devo crederti) a Ravello, in tutti gli anni che sono trascorsi dalla decisione di realizzarlo a oggi non abbia, con una sua regolare legge, modificato quella del 1987. Meglio ancora, perché non abbia inoltre provveduto (se il PUT non la convince o le sembra inadeguato e troppo datato) ad affrontare il problema come lo si farebbe in un paese “normale” (non voglio dire “civile”): redigendo e approvando, magari con un atto amministrativo e non con una legge, un piano territoriale avente i contenuti e l’efficacia di tutela del paesaggio che la legge (quella promossa da Peppino Galasso, ti ricordi?) attribuisce a tali tipi di piani.

In questo modo si sarebbe anche potuto verificare se una struttura quale l’auditorium di Ravello, che mi sembra indubbiamente una struttura d’interesse e di livello sovracomunale, possa essere compatibile con l’attuale assetto delle strutture per la mobilità della costiere amalfitana e dell’intera penisola sorrentina-amalfitana, o se possa essere resa tale con appropriati interventi di modifica di tale assetto, da attuare contemporaneamente (o magari prima, vista la disastrata situazione delle comunicazioni nell’area).

Sto divagando. Mi sto ponendo il problema di che cosa sarebbe stato giusto fare se si fosse voluto favorire quell’intervento (che a me continua a non piacere), ma si fosse voluto procedere secondo una logica razionale e, diciamolo, moderna. Perché la modernità è questo, Cesare: affrontare i problemi con i metodi e gli strumenti appropriati. Ed è almeno a partire dal piano di New York del 1811 (e in Italia dalla legge urbanistica del 1942) che il metodo e gli strumenti appropriati per affrontare questi problemi sono quelli della pianificazione del territorio.

Certamente questa, che il ragionare con te mi ha indotto a toccare, è una questione seria, sulla quale sarebbe utile discutere e riflettere, da parte di tutti e non solo degli urbanisti.

Ma questione ancor più seria, oggi, è quella che a me – come ho detto e ripetuto – sembra centrale: quella della legalità. Trascurare questo problema, ridurlo a quisquilia o pinzillacchera, o considerarlo come cosa che possa essere risolta con la scappatoia d’una interpretazione adusum delphini o, peggio ancora, con una legge ad personam, mi sembra pagare un pedaggio molto grave alla tendenza che sembra dominare oggi nel nostro sciagurato paese: la tendenza a considerare prevalenti certi interessi specifici (di singoli soggetti o di intere comunità, poco importa) rispetto alla legge comune. Ho bisogno di citare i nomi dei soggetti e dei provvedimenti che hanno agito e agiscono in questa direzione? Non credo, i giornali ne sono pieni.

Con affetto


PS – Mi sembrerebbe giusto, equo e salutare mettere nel mio sito, oltre questa mia, anche la tua che l’ha provocata. Se non hai nulla in contrario. Mentre non metterò la replica del sig. Amalfitano che mi arriva or ora, perché insinuazioni sull’interesse personale non le ho mai fatte nei confronti di nessuno e non ammetto che si facciano nei miei confronti.

In un momento in cui si discute con gran fervore dei prossimi, possibili guasti ambientali, l’episodio dell’auditorium di Ravello, divenuto ormai emblematico di una crisi di pensiero, ha finalmente messo in luce alcuni tra i falsi argomenti con i quali s’intrattiene la cultura locale e italiana in merito a questioni - come quella del paesaggio - che richiederebbero quanto meno l’abbandono definitivo di posizioni antistoriche e falsamente avanguardistiche.

In questi giorni abbiamo appreso, infatti:

1.Che Ravello è dei ravellesi, e quindi ogni decisione deve essere presa esclusivamente dai loro amministratori; corollario: state zitti e lasciateci lavorare.

2. Che un’opera d’arte, ancorché tutelata, può richiedere ed ottenere una modifica alle norme che non la consentirebbero; corollario: volete realizzare un’opera in un contesto ambientale tutelato ? Affidate il progetto ad un architetto dello star system, perché troverete modo di realizzarla e farla difendere da almeno 160 intellettuali.

3. Che una piccola costruzione (un edificio alto solo l’equivalente di sette piani), purché moderna, può contravvenire alle norme urbanistiche, ancorché sovraordinanti.

4. Che il paesaggio è opera di natura ed artificio, ma nell’imbarazzo della scelta la priorità spetta all’artificio.

5. Che il paesaggio di Ravello e Costiera è – così come si trova – una realtà di eccezionale bellezza, compresi i megalberghi sulle spiagge e le innumerevoli villette ad archetti e colonnine.

6. Che una moderna opera di architettura consente di contrastare l’abusivismo edilizio; corollario: fateci costruire l’auditorium, poi affronteremo gli abusi edilizi.

7. Che in un luogo in cui tanti sono stati e sono gli abusi, è ridicolo sostenere che l’opera di un celebre architetto possa costituire un abuso (anche se contravviene alle norme); corollario: protestate piuttosto contro i tanti abusi privati (autorizzati).

8.Che la Soprintendenza è l’organo che decide in merito alla qualità architettonica, anche se essa si manifesta contro il disposto delle leggi; corollario: architettura di mimesi quotidiana, e gestualità eccezionale per riscattare l’architettura.

9. Che gli studenti di architettura possono smetterla di baloccarsi con ricerche visive, prospettive di verifica ambientale, studi di fattibilità, apprendimento di norme urbanistiche, master e quant’altro, perché l’accordo di programma consente all’occorrenza di spazzare via tutto questo ciarpame burocratico, per affermare la volontà politica; corollario: studiate, ragazzi, ma ricordatevi che il potere è un’altra cosa.

10. Che un abuso edilizio può anche essere bello; corollario: un’opera bella può anche essere abusiva;

11. Che il problema della tutela paesistica non ha a che vedere con la qualità dell’architettura, perché l’architettura di qualità detta i termini stessi della tutela; corollario: facciamola finita con l’urbanistica e con l’architettura del paesaggio;

12. Che è sufficiente rivolgersi ad un noto architetto contemporaneo, che risponderà a tutte le istanze, con un’architettura certamente moderna. Senza però valutare che non si tratta più, parafrasando Zevi, di fare un’architettura moderna, dato che essa lo sarà comunque per definizione, ma piuttosto di dare spazio ad una moderna architettura, consapevole delle nuove istanze e della nuova partecipazione civile, e non più ostaggio di ben organizzate conventicole professionali.

Alle osservazioni di chi menziona i casi di Wright (1953) e di Le Corbusier a Venezia, quali occasioni mancate per altrettante opere di architettura moderna, mi limiterò a ricordare quanta acqua è passata sotto i ponti, e quanto distanti siano dovute diventare le posizioni culturali, avendo noi fatto esperienza - divenuta di senso comune - dei guasti perpetrati da almeno due generazioni di tecnici, nei confronti del paesaggio italiano. E come in questione non sia più, ormai, la legittimità dell’architettura moderna (problema ormai superato in senso positivo, e già a rischio di tautologia), quanto da un lato, la necessità di rifondare il metodo stesso dell’insegnamento dell’architettura, quasi tutto rivistaiolo e mediatico, e dall’altro quella di fare un passo indietro, nei confronti di una natura che tra poco non costituirà più il contrappunto equilibrato dell’artificio, perché sarà semplicemente scomparsa, per fare posto alle tante iniziative determinate da sacrosante esigenze di crescita, sviluppo, adeguamento funzionale, aggiornamento tecnologico, omologazione economica, velleitarismo campanilistico e quant’altro; e tutto questo in nome del più provinciale e bieco ‘perché no?’. E non abbiamo parlato ancora del progetto di Niemeyer…

La bellezza: oggi, rispetto agli interventi del passato, valutiamo col nostro metro e secondo il nostro sentimento della natura, dell’architettura e così via. A questa stregua premetto che la bellezza non ha (non può avere) bisogno di spiegazioni, è un’attribuzione spontanea - nel significato letterale di “senza che si siano subite pressioni dall’esterno” (Palazzi e Folena) - ma ragionata, imposta dalla dotazione sensoriale personale appoggiata alla conoscenza indipendente, vale a dire libera da schemi del tipo, come nella lingua, “vince l’uso, vince la consuetudine”. Siamo all’opposto del “è bello ciò che piace”. Troppo comodo e regressivo. Una vecchia vignetta di Novello presenta una signora un po’ discinta che si porta a letto un grande prosciutto abbracciandolo faticosamente: “ non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace”, recita la didascalia.

Di gusti, caro Eddy, si deve discutere, purché nel “gusto” rientri il significato vasto di ricezione attraverso tutti i sensi (tale è sensazione, e anche sentimento). E se, dinnanzi a questo o quel paesaggio, questa o quella architettura, questo o quell’insieme di architettura e paesaggio, ci domandiamo, nei diversi casi, di quale bellezza si tratta, avvertiremo che il sentimento del bello sorge secondo diverse tonalità, diverso colore musicale (Adorno): ma nella sostanza è il medesimo, così come tutte le ventiquattro tonalità stanno alla pari nella dimostrazione bachiana del Clavicembalo ben temperato. Ricordo una frase di Piero Bottoni: dire che l’arte è una questione di buon gusto è come dire che l’urbanistica è una questione di buon senso. Già, quel buon senso che in una lettera su Baia Sistiana la molto fiduciosa Dusana Valecic (il dibattito che speravamo di sollevare, che fine ha fatto?) pensava appartenesse alle persone qualunque insieme alla capacità di distinguere il bello dal brutto, l’utile dal dannoso. Rispondevo di osservare come è conciato il nostro paese, dai monti alle coste, dalle città alle campagne: sarebbe stato facile riconoscere che la distruzione della bellezza e appropriatezza del paesaggio e dello spazio italiano è avvenuta sotto il consenso, spesso la spinta delle popolazioni. Mi permettevo poi di citare lo psicoterapeuta James Hillmann che in Politica della bellezza ci offre una triste ragione: “Il Grande Represso di oggi è la bellezza… Oggi siamo inconsci della bellezza. Siamo antiestetici, anestetizzati, psichicamente ottusi”. Che siano tali anche i firmatari favorevoli all’intrapresa di Ravello, gigantesca relativamente al posto, forse non accortisi durante la pur meritoria loro attività in campi di elevato valore che il territorio, il paesaggio, gli ambienti mirabili gli si trasformavano sotto i piedi e l’Italia diventava brutta, malpaese (Valentini), malvivibile salvo pochi recessi? O forse, per ragioni di età, la maggior parte di loro non ha conosciuto l’Italia da noi amata (né il particolare di Ravello), o in ogni modo non l’ha conosciuta nella totalità percorrendola in lungo e in largo: impossibilitati ai confronti (questi, per accedere al piano della dissertazione storico-artistico e politico-sociale, costituiscono il materiale di base), cadono facilmente in equivoci circa la dotazione paesaggistica, in tranelli sensoriali ricoperti dall’autorevolezza dell’interventista ancorché emerito. Riguardo a quest’ultimo sono l’ultimo dei sospettabili: al tempo della mia direzione del dipartimento di progettazione del Politecnico di Milano sostenni e introdussi la prima mostra su Oscar Niemeyer dentro la facoltà di architettura. Spiace, a me, soprattutto la presenza di Cesare De Seta, Mario Manieri Elia e perfino di Giovanni Valentini, per non dire dell’ex preside Cesare Stevan mio allievo quarant’anni fa. So che il loro atteggiamento è del tipo: l’opera architettonica di Niemeyer riscatta il luogo, non lede ma, al contrario, “costruisce” paesaggio. Talmente convinti che esprimono fastidio se gli si ricorda il principio del rispetto delle regole e che, come scrive Salzano, non s’accorgono di accedere alla logica dei distruttori tipo Berlusconi, non dei costruttori del paesaggio (nota: nella lista dei sostenitori ben quattordici si autodefiniscono Manager, che finezza!).

Ernst Gombrich, a tanti anni di distanza dal suo gran libro Arte e illusione, ci ha ripetuto che la visione è illusoria: la ragione risiede nella psicologia della percezione. È un grosso problema quello dell’inganno in materia di sensazioni davanti all’architettura, ai paesaggi naturali e artificiali, ai paesaggi archeologici et similia, soprattutto all’intersezione fra diversi oggetti e contesti, in particolare davanti all’architettura in un contesto storicamente affermato. Sicuro inganno, quindi percezione deviata, impropria, alla fine credere di provare godimento e commozione mentre l’anima e il corpo non presentano la minima increspatura: quando il vedere resta tale strictu sensu, un osservare superficiale, l’opposto della penetrante visione osservazionale e immaginosa leonardesca o lecorbusieriana in frequenti situazioni di rapporto con le opere e la natura. Si paga un alto prezzo a vedere senza sapere. Vedere senza cognizioni e preparazione è più che essere ciechi giacché il cieco, avendo acutizzato (talvolta fino all’esasperazione) tutti gli altri sensi, è capace di “vedere”.

A Ravello cinquant’anni fa il territorio, il paesaggio, la relazione fra la scarsissima massa del costruito e il contesto naturale o naturale-artificiale, la distanza/vicinanza col mare narravano un luogo dalla bellezza avvolgente rivolta a scopi umanizzanti. Man mano gl’italiani, i campani, gli autoctoni, gli alloctoni, i ladri di territorio e di bellezza, i fautori dell’“impersonale” cosiddetto sviluppo hanno ferito, lacerato, costruito, stradalizzato, già violato le regole o approfittato della loro inadeguatezza; ma hanno violato anche il cuore e la mente di quelli che lì, in cuore e mente, conservavano la dote ravelliana, solo disposti a vederla crescere in quanto sé, dote paesaggistica, sé, interiorità spirituale (e morale): cosa significa? Che sono già avvenute troppe cose avverse al Grande Represso per credere che altro, l’unicum “questa volta bello” possa davvero liberarlo, il G.R., dalle prometeiche catene che lo hanno costretto a vedersi il fegato spappolarsi sotto le voraci beccate degli avvoltoi nostrani. Allora, non si può fare architettura lì? Sì, in un altro senso, quello cui ho accennato a proposito di Baia Sistiana. Dobbiamo riconoscere, in casi come questo di Ravello e oggi in migliaia di casi analoghi in Italia - luoghi comunque massacrati ma buttanti ancora un filo di sangue vivo dalle arterie -, che la miglior soluzione è quella di un’architettura che sia capace di non ergersi, che scelga invece un lavoro di cura, risanamento del corpo malato, di ricostruzione della perduta giovanile bellezza come nuova bellezza senile.

Chiudo con una citazione a memoria di Wright: l’artista vede più lontano del suo popolo. Sarebbe l’unico a saper creare la bellezza: se non gli riesce non è vero artista e gli altri non possono vederla da soli.

Il dibattito sulla stampa circa la realizzazione di un auditorium a Ravello si sta sviluppando in forme referendarie (sei a favore o contro il progetto?) che non giovano affatto alla riflessione su un problema con tutta evidenza delicato e complesso. Vorrei provarmi a contribuire qui in termini pacati, sulla base di dati.

Il Comune di Ravello, per realizzare uno spazio in cui svolgere anche in inverno i concerti, famosi d’estate per l’utilizzazione di stupendi giardini antichi, non essendo ancora dotato di piano regolatore, ha convocato una conferenza dei servizi per approvare con procedura straordinaria il progetto di un auditorium redatto dal grande architetto brasiliano Oscar Niemeyer, sul presupposto della sua conformità con il PUT, Piano Urbanistico Territoriale (legge regionale 35/87) approvato secondo la “legge Galasso” e quindi con valore anche di piano paesistico. I proprietari del suolo individuato hanno proposto ricorso al TAR sostenendo l’assenza di conformità. Il Comune ha promosso una campagna di appoggio al progetto, in rapporto alla quale il mondo ambientalista si è diviso, mentre oltre 150 intellettuali di varia formazione e competenza hanno sottoscritto un “manifesto” pro-auditorium (ma ora circola anche un appello di segno opposto).

Il PUT, redatto negli anni ’70 da un gruppo di lavoro presieduto da Luigi Piccinato e Roberto Pane (del quale facevo parte), individua nella Costiera amalfitana due tipi di insediamenti antichi, entrambi da tutelare per la loro straordinaria importanza storica e paesaggistica, quelli accentrati (zona 2) e quelli sparsi o per nuclei integrati con l’organizzazione agricola del territorio terrazzato (zona 3). Il progetto dell’auditorium ricade nell’ambito di una zona 3. Per le necessità sociali degli abitanti, il PUT ammette in tali zone la realizzazione di nuovi edifici per attrezzature pubbliche, quelle specificamente previste dal PUT stesso e quelle indispensabili fra le attrezzature che, nel linguaggio tecnico, si chiamano “di quartiere” in quanto è obbligatorio renderle disponibili in ciascun quartiere urbano o comune anche piccolo (ad esempio, scuole materne e dell’obbligo, ambulatori e sedi per il culto, giardini pubblici e impianti per lo sport, parcheggi). Avvertivamo infatti la preoccupazione che potessero determinarsi contraccolpi negativi sui preziosi tessuti storici, costituiti dall’intreccio di edifici e sistemazioni agricole, a causa dell’impatto inevitabilmente polarizzante e congestionante di attrezzature di livello sovracomunale (un ospedale, per esempio). Nelle stesse zone 3, in considerazione sia dei loro caratteri ed estensione sia delle esigenze delle comunità locali, il PUT ammette anche la realizzabilità di limitatissimi, indispensabili, interventi edilizi per residenze o attività terziarie. Ma perché tutti i nuovi interventi non compromettano un contesto paesaggistico e ambientale di così straordinario valore il PUT definisce ben precise procedure: i piani regolatori comunali, con progettazioni di dettaglio (planimetrie in scala 1:500, planovolumetrici, profili, fotomontaggi, analisi e norme dettagliate) devono dimostrarne, oltre che la necessità, anche la compatibilità ambientale e paesaggistica.

Il PUT non esclude quindi la presenza di architetture moderne negli insediamenti storici, ma obbliga a definirne la progettazione – già in fase urbanistica – attraverso una documentazione di piano tecnicamente molto più approfondita ed esauriente del solito, in modo da rendere più consapevole e completa la valutazione finale, affidata a fattori inevitabilmente soggettivi, per quanto “educati”, di sensibilità e di gusto.

Il TAR nei prossimi giorni dovrà pronunciarsi, non su una questione estetico-culturale (sì o no al progetto di Niemeyer) che esula dalla sua competenza, e su cui quindi non può esser influenzato da appelli o manifesti, bensì su una questione giuridica oggettiva: riscontrare se, nei contenuti e nelle procedure, l’intervento che si vuole porre in esecuzione corrisponda alle disposizioni del PUT.

In merito, ritengo di poter evidenziare due circostanze ostative: che il Comune di Ravello è ancora privo di un piano regolatore che dimostri sia l’indispensabilità sia la compatibilità paesaggistica e ambientale di nuove edificazioni nella zona 3; e che, in ogni caso, il PUT non prevede direttamente nessun nuovo auditorium a Ravello né, d’altro canto, un auditorium può considerarsi un’attrezzatura pubblica “di quartiere”.

A prescindere dai riconoscimenti alla bravura di Niemeyer (che non ne ha bisogno) e alle buone finalità del Comune di Ravello (anche di queste non dubito), c’è da far valere il rispetto delle “regole”: nessun entusiasmo culturale può farci smarrire il senso della preminenza, oggi in Italia, della legalità delle procedure. Ed essa deve valere innanzitutto per le pubbliche iniziative, se vogliamo, come è necessario, pretenderla anche per quelle private. (Alessandro Dal Piaz)

Appello di Italia nostra

PER IL RISPETTO DELLA LEGGE E LA TUTELA DEL PAESAGGIO

La costruzione a Ravello di un auditorium di 400 posti, in uno dei luoghi più panoramici di quel comune, non è consentita dal piano urbanistico territoriale: un piano di fondamentale importanza per la tutela della costiera amalfitana e della penisola sorrentina, approvato con apposita legge regionale. Ogni diversa ed errata interpretazione delle norme vigenti consentirebbe, ove accolta, il moltiplicarsi di iniziative illegali in tutti comuni sottoposti al piano.

Desta meraviglia e sconcerto la circostanza che alcuni pretendano di far prevalere la loro opinione sulla normativa vigente, senza rendersi conto che per questa strada si va verso l’illegalità generalizzata, non soltanto nel campo dell’urbanistica.

I sottoscritti chiedono perciò che siano rispettate le norme del vigente piano territoriale, che può essere modificato solo con legge. Ogni altro argomento, di natura ambientale, paesistica, e anche puramente economica (un auditorium di 400 posti del costo di 18 milioni di euro, che significa circa 45.000 euro a posto), è subordinato alla difesa del principio di legalità. Senza il rispetto della legge, le istituzioni pubbliche, che stanno vivendo una profonda crisi di legittimità, non possono ricostruire un proficuo rapporto con i cittadini.

Gianfranco Amendola, magistrato

Carla Anzalone, professoressa

Raffaele Attardi, Associazione Gaia

Pierfausto Bagatti Valsecchi, architetto

Mirella Belvisi, consigliere nazionale di Italia Nostra

Piero Bevilacqua, storico

Francesco Canestrini, consigliere nazionale di Italia Nostra

Teresa Cannarozzo, urbanista

Giuseppe Cantillo, professore di Filosofia Morale - Napoli

Nicola Caracciolo, storico

Pierluigi Cervellati, urbanista

Vincenzo Cerulli Irelli, giurista

Piero Craveri, storico

Alda Croce, Fondazione Benedetto Croce

Alberto Cuomo, architetto

Maurizio Cutini, biologo

Aldo De Chiara, magistrato

Mario De Cunzo, Comitato per la difesa del Mezzogiorno

Gigi De Falco, presidente Italia Nostra Campania

Raffaella Di Leo, presidente Italia Nostra Salerno

Vezio De Lucia, consigliere nazionale di Italia Nostra

Antonio Di Gennaro, agronomo

Anna Donati, senatrice

Guido Donatone, presidente Italia Nostra Napoli

Vittorio Emiliani, Comitato per la bellezza

Paolo Ferloni, consigliere nazionale di Italia Nostra

Piero Ferretti, consigliere nazionale di Italia Nostra

Andrea Fienga, WWF penisola sorrentina

Leonardo Filesi, professore di Ecologia I.U.A.V.

Giuseppe Giliberti, vice presidente Italia Nostra

Tommaso Giura Longo, architetto

Carlo Iannello, Fondazione Antonio Iannello

Silvia Imparato, produttrice vitivinicola

Italo Insolera, urbanista

Gianni Lanzuise, architetto

Giovanni Losavio, magistrato

Silvio Lugnano, criminologo

Antonio Mansi, consigliere nazionale di Italia Nostra

Massimo Maresca, Italia Nostra penisola sorrentina

Claudia Melica, professore universitario di filosofia - Trento

Gustavo Minervini, giurista

Luigi Montano, presidente Associazione Eidos Acerra

Riccardo Motti, Orto Botanico - Napoli

Raffaella Nappi, urbanista

Paolo Nicoletti, geologo

Gaia Pallottino, segretario generale Italia Nostra

Giulio Pane, storico dell’architettura

Rita Paris, archeologa

Desideria Pasolini dall’Onda, presidente Italia Nostra

Raffaele Raimondi, magistrato

Massimo Ricciardi, botanico

Carlo Ripa di Meana, già Ministro dell’Ambiente

Bernardo Rossi Doria, urbanista

Giovanni Russo, scrittore

Mario Russo, archeologo

Rodolfo Sabelli, architetto

Edoardo Salzano, urbanista

Luigi Scano, segretario Associazione Polis

Maurizio Sebastiani, consigliere nazionale Italia Nostra

Vittorio Sgarbi, storico dell’arte

Sauro Turroni, senatore

Massimo Venturi Ferriolo, professore di Filosofia Morale - Salerno

Francesco Erbani

Il cemento assedia la costiera amalfitana

Da la Repubblica del 26 luglio 2003

(…) Un altro progetto di grandi ambizioni interessa Ravello. Lo firma uno dei maestri dell' architettura contemporanea, Oscar Niemeyer, al quale si è affidata la Fondazione Ravello, un organismo nato alcuni mesi fa per iniziativa del sociologo Domenico De Masi, che di Ravello è stato assessore. L' architetto brasiliano ha schizzato il disegno di un auditorium che dovrebbe sorgere appena fuori della galleria che immette sulla piazza di Ravello, in una zona già intensamente edificata, spesso abusivamente. L' auditorium svetterebbe a picco sul mare, a un centinaio di metri da Villa Rufolo, nei cui giardini si tiene ogni estate una stagione di concerti. Il progettista che inventò Brasilia ha visto il sito in fotografia ed ha immaginato una struttura molto slanciata, alla quale stanno lavorando ora gli uffici comunali. L' auditorium, che piace molto al Comune (il sindaco è della Margherita) e alla Regione (Antonio Bassolino ha visto tempo fa Niemayer in Brasile), incontra però l' ostilità delle opposizioni in paese, dei Ds, dell' Udeur e di An, e divide le associazioni ambientaliste (contraria è Italia Nostra, favorevole è il presidente di Legambiente, Ermete Realacci). La struttura, che avrebbe una capienza di 500 posti, consentirebbe di prolungare anche in inverno la stagione dei concerti e inoltre potrebbe essere usato come sala di congressi. E sarebbe un' opera di grande architettura moderna. Questi gli argomenti dei sostenitori. Ai quali se ne contrappongono altri: l' auditorium avrebbe un impatto deturpante sul paesaggio e attrarrebbe tantissimo traffico. I Ds di Ravello propongono di costruirlo più sotto, mentre Italia Nostra vorrebbe che a Ravello non fosse aggiunto altro cemento. «Il fascino dei concerti è in gran parte nel panorama di Villa Rufolo», insiste Raffaella Di Leo, presidente di Italia Nostra a Salerno.(…)

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Nota sulla conformitàdell’Auditorium col PUTdi Vezio De Lucia

La Regione Campania, con legge 27 giugno 1987, n. 35, ha approvato il Piano urbanistico territoriale (PUT) dell’Area Sorrentino-Amalfitana.

L’area su cui è previsto l’Auditorium ricade nella Zona territoriale 3 del PUT, il quale, all’art. 17, contempla, come di seguito pedissequamente riportato, con valenza prescrittiva e, conseguentemente, obbligatoria rispetto agli strumenti di pianificazione locale e, per quanto logicamente coerente, immediatamente precettiva e operativa, esclusivamente, le seguenti possibili ipotesi d’intervento edilizio, sia pubblico, che privato:

Disciplina della Zona territoriale 3,

Tutela degli insediamenti antichi sparsi o per nuclei.

Comprende gli insediamenti antichi, integrati con la organizzazione agricola del territorio, presenti nella costiera Amalfitana e di notevole importanza paesistica.

Essa va trasferita nel Piano regolatore generale, come zona di «Tutela Integrata e Risanamento».

Per essa, con una progettazione estremamente dettagliata, documentata e culturalmente qualificata, il Piano regolatore generale fornirà indicazioni e norme (mediante elaborati di piano di dettaglio in scala almeno 1:500: planovolumetrici, profili, fotomontaggi etc.) tali da:

- individuare gli edifici ed i complessi di particolare interesse storico-artistico ed ambientale da assoggettare a soli interventi di restauro conservativo, di cui alle norme tecniche del successivo titolo IV, (con particolare riferimento agli edifici rustici coperti a volta);

- consentire per la restante edilizia esistente, gli interventi ammessi per la precedente « zona territoriale 1b », relativamente alla edilizia esistente a tutto il 1955;

- prevedere e/o consentire interventi per l'adeguamento dell'organizzazione agricola del territorio, secondo quanto previsto per la precedente «zona territoriale 1 b» lettera a;

- impedire ulteriore edificazione, fatta eccezione per:

- le attrezzature pubbliche previste dal PUT e quelle a livello di quartiere, sempre che l'analisi e la progettazione dettagliata del Piano regolatore generale ne dimostrino la compatibilità ambientale;

- eventuali limitatissimi interventi edilizi residenziali e terziari, ove ne sussista il fabbisogno di cui ai precedenti, articoli 9 e 10, e sempre che l'analisi e la progettazione dettagliata del Piano regolatore generale ne dimostrino la compatibilità ambientale.

Tanto per le attrezzature pubbliche quanto per gli altri eventuali interventi edilizi il Piano regolatore generale prescriverà tipologie, materiali e tecniche costruttive, anche in ottemperanza alle norme tecniche di cui al successivo titolo IV.

Alla luce del chiaro ed inequivocabile dettato normativo scaturisce che il progettato Auditorium solo alle seguenti condizioni potrebbe essere conforme alle prescrizioni del PUT:

Che l’intervento ricada in un’area espressamente destinata da un Piano regolatore generale approvato e vigente e che la relativa progettazione abbia dimostrato con elaborati di dettaglio in scala non inferiore a 1:500 la compatibilità ambientale della nuova edificazione nel sito individuato;

Che l’intervento coincida o con un’attrezzatura pubblica specificamente prevista dal PUT o con un’attrezzatura pubblica prevista dal Piano regolatore generale “al livello di quartiere”.

In forza di tanto ne discende che la progettata struttura è in palese contrasto con la L.R.C. n. 35/1987, atteso che difetta di tutte le condizioni imposte dal PUT, e soprattutto non rientra né fra le attrezzature pubbliche previste dal PUT medesimo e neppure tra quelle a livello di quartiere.

Preliminarmente, infatti, manca il presupposto, dal momento che il Comune di Ravello non è dotato di Piano regolatore generale approvato e vigente, bensì di un piano solo adottato e per giunta sospeso, proprio nella parte relativa alla localizzazione dell’Auditorium, per effetto della pronuncia cautelare del TAR di Salerno n. 1350 del luglio 2000, esattamente sul presupposto del ritenuto contrasto col PUT. In ogni caso, la previsione contenuta nel Piano regolatore generale adottato sarebbe, comunque, inidonea, visto che la progettazione è stata redatta in scala 1:2.000, anziché 1:500, come prescritto.

In particolare, poi, non è possibile comprendere l’Auditorium fra le attrezzature a livello di quartiere (che sono quelle di cui tratta il DM 2 aprile 1968 sui cosiddetti standard urbanistici), né fra le attrezzature pubbliche previste dal PUT.

il PUT non prevede alcun Auditorium, né attrezzatura pubblica ad esso assimilabile.

Pare evidente, quindi, che nessuna delle attrezzature e opere pubbliche previste dal PUT riguarda o almeno può riguardare i terreni in questione.

A tutto ciò è necessario aggiungere quanto segue.

Nel verbale della conferenza dei servizi del 4 agosto 2003 finalizzata all’acquisizione dei pareri sul progetto definitivo dell’Auditorium “Oscar Niemeyer” e alla stipula dell’accordo di programma per la sua realizzazione, nonché nel verbale di tale accordo di programma, sempre in data 4 agosto 2004, si sostiene che, risultando il comune di Ravello sprovvisto di strumento urbanistico, troverebbe applicazione l’articolo 4 della legge regionale 20 marzo 1982, n.17.

Si tratta di un macroscopico errore. Infatti, l’articolo da ultimo citato dispone, al primo comma, che:

nei Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici approvati:

a) all'interno dei centri abitati [...] è vietato ogni intervento edilizio, ad eccezione delle opere di ordinaria e straordinaria manutenzione, di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione, che non comportino aumento delle volumetrie e delle superfici utili preesistenti;

b) all'esterno dei centri abitati [...] l'edificazione a scopo residenziale è soggetta alla limitazione di metri cubi 0,03 per ogni metro quadrato di area edificabile; per le opere strettamente accessorie all'attività agricola è consentito un indice di fabbricabilità aggiuntivo pari a 0,07 mc/mq; in questo caso il rilascio della concessione edilizia è subordinato alla trascrizione, a cura del concessionario, di un atto che vincoli all'attività agricola la destinazione dei fabbricati in progetto.

Mentre il successivo secondo comma stabilisce che

le limitazioni che precedono hanno efficacia fino alla data di entrata in vigore del Piano regolatore generale [...] e non si applicano nei confronti degli interventi volti alla realizzazione di edifici e strutture pubbliche, o opere di urbanizzazione primaria e secondaria, di programmi per l'edilizia residenziale pubblica, nonché dei piani e degli interventi previsti dalla legge statale 17 maggio 1981, n. 219.

L’errore consiste nel fatto che il Comune di Ravello è certamente sprovvisto di vigente strumento urbanistico generale comunale regolarmente approvato, ma per converso è sottoposto alla disciplina di uno strumento di pianificazione, quale il Piano urbanistico territoriale dell’area Sorrentino-Amalfitana, il quale, come è già stato ricordato, detta (oltre a direttive rivolte all’attività pianificatoria comunale) disposizioni immediatamente precettive e operative, correlate a una dettagliata zonizzazione del territorio (come sancito dall’articolo 3, comma 2, della legge regionale 35/1987).

L’articolo 4 della legge regionale 17/1982, di conseguenza, non può trovare applicazione relativamente ai comuni sottoposti alla disciplina del Piano urbanistico territoriale dell’area Sorrentino-Amalfitana.

Si consideri altresì che il Piano urbanistico territoriale dell’area Sorrentino-Amalfitana è stato, per l’appunto, approvato con la legge regionale 35/1987, posteriore alla legge 17/1982, sulle disposizioni della quale prevale per il principio generale della successione delle leggi nel tempo. Né, in ogni caso, si potrebbe sostenere il contrario, stante l’altro principio generale per cui una legge generale, quale indubbiamente deve essere considerata la legge regionale 17/1982 (recante norme transitorie per le attività urbanistico-edilizie nei comuni della Regione Campania), non può derogare a una legge speciale, quale indiscutibilmente è la legge regionale 35/1987, identificantesi con l’approvazione della disciplina urbanistica di uno specifico ambito territoriale regionale.

Si noti, per inciso, che ove si opinasse per la (necessariamente) generalizzata applicabilità dei disposti dell’articolo 4 della legge regionale 17/1982 a tutti i comuni dell’area Sorrentino-Amalfitana non dotati di strumentazione urbanistica generale comunale (obbligatoriamente conforme al Piano urbanistico territoriale regionale) si produrrebbe un esito inaudito, quale l’edificabilità in tutti i territori esterni ai centri abitati con indici di 0,03 mc/mq a fini residenziali, e di 0,07 (aggiuntivi) per strutture accessorie all’attività agricola.

In via del tutto accessoria, si fa presente che l’accordo di programma normato dall’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267 (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali) può comportare variazione degli strumenti urbanistici comunali, non di quelli sovracomunali, com’è fatto chiaro dalla richiesta ratifica del solo consiglio comunale. E di certo, consistendo in atti amministrativi, non può variare una legge, qual è quella che, com’è stato ripetutamente ricordato, ha approvato il Piano urbanistico territoriale (PUT) dell’area Sorrentino-Amalfitana, contestualmente dettandone l’apparato normativo.

L’Auditorium ha un’importanza strategica per lo sviluppo culturale ed economico della Regione; è firmato da uno dei massimi architetti viventi; rispetta scrupolosamente le norme urbanistiche; ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie; si adegua perfettamente al luogo cui è destinato; lungi dal disturbare il paesaggio, lo arricchisce con un capolavoro; il suo esempio eccellente costituisce un baluardo contro la speculazione edilizia; la sua presenza offre un ponte tra la cultura italiana e quella latino-americana. I sottoscritti, mentre si rimettono alla decisione che sarà presa il giorno 8 gennaio dai magistrati del TAR, confidano nella forza dei valori civili ed estetici che hanno ispirato quest’opera di pubblica utilità e di rilevanza universale.

Filippo Alison Architetto

Vittorino Andreoli Psichiatra

Franco Angeli Editore

Franco Angrisani Giornalista

Andrea Annunziata Parlamentare

Simona Argentieri Psiconalista

Persio Arida Economista

Corrado Augias Giornalista

Tommaso Avagliano Editore

Laura Balbo Sociologa

Franco Barbagallo Storico

Sila Barracco Architetto

Oliviero Beha Giornalista

Attilio Belli Urbanista

Faustro Bertinotti Segretario Rif. Com.

Enrico Bertolino Attore

Frei Betto Scrittore

Gianni Billia Professore

Flavio Biondi Manager

Michele Biscardi Operaio

Gianluca Bocchi Epistemologo

Remo Bodei Filosofo

Carlo Borgomeo Manager

Antonio Bottiglieri Dirigente Rai

Francesco Brancatella Giornalista

Ennio Brion Imprenditore

Renato Brunetta Europarlamentare

Cristovam Buarque Ministro brasiliano

Federico Butera Sociologo

Nicola Cacace Economista

Massimo Cacciari Filosofo

Bruno Cagli Presidente Acc. S. Cecilia

Antonio Calabrò Giornalista

Gaetano Caltagirone Architetto

Michele Campanella Musicista

Massimo Canevacci Antropologo

Aldo Canonici Giornalista

Aurelio Canonici Direttore d'orchestra

Massimo Capaccioli Oss. Astr. Capodimonte

Roberto Capucci Stilista

Enzo Cardi Presidente Poste

Fulvio Carmagnola Professore di Estetica

Franco Cassano Sociologo

Gino Castaldo Giornalista

Alessandro Cecchi Paone Giornalista

Pierluigi Celli Manager

Giovanni Cerami Architetto

Elena Chiavegato pedagogista

Massimo Chieli Manager

Roberto Ciuni Giornalista

Marina Colassanti Scrttice

Antonio Concina Manager

Claudio Cubitosi Giffoni Festival

Giuliano da Empoli Scrittore

Isa Danieli Attrice

Roberto D'Avila Giornalista

Mario De Biase Sindaco di Salerno

Luciano De Crescenzo Scrittore

Vincenzo De Gregorio Direttore San Pietro a Majella

Vincenzo De Luca Parlamentare

Giorgio De Michelis Professore

Affonso Romano De Sant'Anna Scrittore

Cesare de Seta Storico dell'architettura

Emi De Sica Consulente Cinematografica

Giancarlo Di Paola Imprenditore

Dario D'Incerti Regista

Democrito Dummar Editore

Wania Dummar Giornalista

Sergio Escobar Dir. Piccolo Teatro di Milano

Riccardo Esposito La Conchiglia Capri

Gian Paolo Fabris Prorettore IULM

Roberto Faenza Regista

Elido Fazi Editore

Lorenzo Ferrero Compositore

Elio Fiorucci Stilista

Lorenza Foschini Giornalista

Giulia Fossà Attrice

Donata Francescato Psicologa

Raimonda G. D'Aragona Scenografa

Pasquale Gagliardi Amministratore delegato Fondazione Cini

Massimo Galluppi Politologo

Valerij Gergiev Direttore d'orchestra

Antonio Ghirelli Giornalista

Eduardo Giannetti Economista

Francesco Giorgino Doc. e Giornalista

Paolo Glisenti Manager

Andrea Bruno Granelli Manager

Benedetto Gravagnuolo Architetto

Enrico Job Scenografo

Mimmo Jodice Fotografo

Romeo La Pietra Consiglio Naz. Ingegneri

Dario Laruffa Giornalista

Cinzia Leone Grafica

Giancarlo Leone Rai Cinema

Jaime Lerner Architetto

Mimmo Liguoro Giornalista

Celestino Pio Lombardi Professore

Graziella Lonardi Buontempo Incontri Internazionali d'Arte

Antonio Lubrano Gionalista

Elio Macinante Musicista

Fabio Magalhaes Storico dell'arte

Mario Manieri Elia Architetto

Maurizio Mannoni Giornalista

Roberto Irineu Marinho Rete globo

Giorgio Mariuzzo Scenografo

Helio Mattar Economista

Bruno Mazzara Psicologo sociale

Mauro Meli Dirrettore del Teatro La Scala

Donatella Monachesi Professoressa

Franco Monteleone Massmediologo

Giuseppe Montesano Scrittore

Mario Morcellini Massmediologo

Franco Moschini Imprenditore

Oscar Nicolaus Professore

Jorge Nobrega Manager

Alberto Oliverio Psicobiologo

Washington Olivetto Pubblicitario

Marina Pallotta Premio Fregene

Gaetano Panariello Direttore Conservatorio di Avellino

Andrea Pancani Giornalista

Roberto Panzarani Manager

Renato Parascandolo Giornalista

Vanni Pasca Professore di Estetica

Silvio Pasquarelli Architetto

Raimondo Pasquino Rettore Univ. Salerno

Laura Pellegrini Manager

Paola Petri Agente Cinematografica

Ivo Pitanguy Chirurgo

Alessandro Profumo Manager

Isabella Quarantotti De Filippo Scrittice

Manuela Rafaiani Manager

Lidia Ravera Scrittrice

Ermete Realacci Presidente Legambiente

Sergio Riccio Fotografo

Gennaro Rispoli Chirurgo

Antonio Romano Grafico

Giorgio Ruffolo Europarlamentare

Romolo Runcini Anglista

Gaetano Russo Nuova Orchestra Scarlatti

Sebastião Salgado Fotografo

Enzo Salomone Attore

Paola Saluzzi Giornalista

Giancarlo Santalmassi Giornalista

Gaetano Santangelo Giornalista

Maria Carla Santorelli Architetto

Andrea Santorelli Banca D'Italia

Riccardo Sarfatti Imprenditore

Salvatore Sciarrino Musicista

Antonio Scurati Scrittore

Milton Seligman Economista

Vittorio Sermonti Scrittore

Jose Serra Economista

Pino Settanni Fotografo

Simona Signoracci Fondazione Mediolanum

Giovanna Silvestri RCS

Vittorio Silvestrini Città della Scienza

Michele Spera Grafico

Daniele Spini Orchestra Sinfonica RAI

Cesare Stevan Professore

Paolo Sylos Labini Economista

Oliviero Toscani Fotografo

Giancarlo Trentin Psicologo

Remigio Truocchio Manager

Mario Unnia Consulente

Stefano Valanzuolo Giornalista

Giovanni Valentini Giornalista

Giuseppe Varchetta Manager

Ausilia Veneruso La Conchiglia Capri

Vincenzo Viccaro Nuova Orchestra Scarlatti

Augusto Vitale Architetto

Roman Vlad Musicologo

Alessio Vlad Musicista

Lina Wertmuller Regista

Alberto Wite Storico dell'architettura

Diego Zandel Giornalista

Mariella Zezza Giornalista

Giuliano Zincone Giornalista

Miriam Mafai Scrittrice

Andrea Illy Imprenditore

Celestino Santangelo Presidente Bagnoli Futura

Giovanni Gaviraghi CEO Sienabiotech

L’amministrazione comunale ha individuato l’area nella quale realizzare l’opera, la Regione Campania ha stanziato 18 milioni e mezzo di euro. Ma contro la realizzazione del progetto – che ha già ottenuto tutte le autorizzazioni urbanistiche - si sono schierati, con un ricorso al Tribunale Amministrativo della Regione Campania, i proprietari del terreno e due associazioni ambientaliste: Italia Nostra ed il WWF.

Secondoi firmatari il progetto non rispetta le norme fissate dal Piano Urbanistico Regionale, che a tutela di un’area straordinaria come la costiera amalfitana, vieta la realizzazione di qualsiasi opera in assenza di un Piano Regolatore Generale. Ed il Comune di Ravello un Piano Regolatore Generale non ce l’ha ancora.

Il sindaco di Ravello, i sostenitori del Festival e Legambiente ribattono invece che le norme regionali prevedono delle deroghe per la realizzazione di opere di edilizia pubblica destinate a scopi sociali e culturali e che l’Auditorium solo come tale può essere considerato. Sull’interpretazione delle leggi decideranno ora i giudici del Tribunale Amministrativo regionale.

Ma al di là dell’aspetto normativo è chiaro che la vicenda dell’Auditorium di Ravello, che ha registrato una insolita, quanto violenta spaccatura nel fronte ambientalista, rivela una divergenza sull’idea di conservazione del territorio. Un’area unica come la costiera amalfitana va preservata da qualsiasi tipo di intervento urbanistico? E’ giusto rinunciare all’idea di lasciare, anche in un contesto come questo, un segno della modernità, come può essere l’opera di un grande architetto? E come si coniugano, in questo quadro, le necessità di sviluppo e le esigenze di conservazione?

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA SEZIONE STACCATA DI SALERNO

RICORSO

per ITALIA NOSTRA o.n.l.u.s., Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione, in persona della Presidente Nazionale pro-tempore, dott.ssa Antonietta Pasolini dall’Onda elettivamente domiciliata in Salerno alla Via L. Cassese, 30, con l’avvocato Oreste Cantillo che la rappresenta e difende in virtù di mandato ad litem a margine del presente atto.

contro

il COMUNE DI RAVELLO, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato per la carica presso la Casa Comunale,

La REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta Regionale, domiciliato per la carica in Via Santa Lucia n. 81, in Napoli;

La Comunità Montana Penisola Amalfitana, in persona del Presidente pro-tempore domiciliato per la carica in Tramonti – Frazione Polvica;

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali -SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E PER IL PAESAGGIO, PER IL PATRIMONIO STORICO, ARTISTICO E DEMOETNOANTROPOLOGICO DI SALERNO E AVELLINO, in persona del legale rappresntante pro-tempore, ope legis domiciliato presso l’Avvocatura dello Stato in Salerno al Corso V. Emanuele n. 56,

avverso e per l’annullamento previa sospensione dell’efficacia

a) del decreto n. 697 del 16 10.2003, a firma dell’assessore all’Urbanistica della Giunta Regionale della Campania avente ad oggetto “Accordo di programma approvazione ex art. 34 del Legislativo 18 agosto 200 n. 267 per la realizzazione dell’Auditorium Oscar Niemeyer nel Comune di Ravello – Approvazione.

b) della deliberazione di C.C. n. 22 del 27 agosto 2003, con la quale è stato ratificato l’accordo di programma intervenuto tra le amministrazioni resistenti, ossia il Comune di Ravello, la Regione Campania e la Comunità Montana Penisola Amalfitana;

c) del verbale della Conferenza di Servizi tenutasi 04/08/2003;

d) del parere favorevole n. 41/03 espresso in data 17/07/2003 dalla Commissione Edilizia Integrata del Comune di Ravello (SA);

e) della delibera della Giunta Regionale n. 2525 del 06/08/2003 con la quale è stata ratificata il parere favorevole reso dal responsabile dell’amministrazione regionale in seno alla Conferenza dei servizi;

f) del parere del Comitato Tecnico Regionale – Sez. di Salerno del 24/07/2003, n. 1458;

g) del parere favorevole n. 5933 espresso sull'Auditorium dalla Azienda Sanitaria Locale “Salerno 1” -Dipartimento di Prevenzione- in data 29/7/2003;

h) del verbale della Commissione Valutazione tecnico-amministrativa del progetto definitivo del 30/07/2003;

I) di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale comunque finalizzato all’adozione del provvedimento qui impugnato, per quanto lesivo degli interessi qui dedotti in giudizio

L’associazione ambientalista Italia Nostra o.n.l.u.s. ha come proprio obiettivo statutario lo scopo di concorrere alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e naturale della Nazione. Per il conseguimento di detto scopo, Italia Nostra, fra l’altro, propone azioni volte alla tutela, la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali, dell’ambiente, del paesaggio urbano, rurale e naturale, dei centri storici, dei monumenti e della qualità della vita, nonché assume iniziative per stimolare l’applicazione delle leggi di tutela e per incoraggiare l’intervento dei poteri pubblici allo scopo di evitare le manomissioni del patrimonio storico, artistico ed ambientale del paese, così da assicurarne il corretto uso e l’adeguata fruizione.

Ciò premesso, proprio con l’obiettivo di garantire la corretta applicazione delle norme che disciplinano la regolare pianificazione urbanistica del territorio del Comune di Ravello, nonchè di salvaguardare l’integrità e la piena fruibilità del particolare sito, caratterizzato da specificità paesaggistico-ambientali di assoluto rilievo, già dichiarate dall'UNESCO come Patrimonio Mondiale dell'Umanità, l’associazione ambientalista ITALIA NOSTRA O.N.L.U.S., a mezzo del sottoscritto avvocato - essendo legittimata perché ente esponenziale di posizioni giuridiche coinvolte nella presente vertenza – propone ricorso a codesto On.le Tribunale per i seguenti motivi di

FATTO

La Regione Campania, con legge 27/06/1987, n. 35, approvava il Piano Urbanistico Territoriale (PUT) dell'Area Sorrentino-Amalfitana, comprendente anche il territorio del Comune di Ravello. Successivamente, con deliberazione n. 236 del 9 agosto 1996, la Comunità Montana Penisola Amalfitana nominava per la redazione e l’adozione del P.R.G. del Comune di Ravello, un commissario ad acta. Quest’ultimo, in data 16 luglio 1999, con delibera n. 6, adottava il P.R.G. il cui iter è tuttora in corso di perfezionamento.

Tra le previsioni del detto P.R.G. rientra la realizzazione nel territorio del Comune di Ravello di un Auditorium in zona altamente panoramica (Via della Repubblica), poco distante dal Complesso Monumentale di Villa Rufolo e di Villa Episcopio ed altri immobili sottoposti alla tutela speciale della legge 1089/39.

L’assoluta illegittimità di tale intervento, per l’evidente contrasto con il citato P.U.T., oltre che per il suo irrimediabile impatto sull’intero assetto paesaggistico-territoriale del sito, veniva, tra gli altri, evidenziata – ai sensi degli artt. 9 e 10, l. 241/90 – dalla locale Associazione “Ravello Nostra”, aderente alla struttura nazionale di questa associazione, con osservazioni scritte rimaste però del tutto disattese. Ed anche a seguito di tale intervento, i proprietari del terreno su cui era stata immaginata la costruzione del citato auditorium adivano codesto On.le TAR per ottenere l’anullamento della localizzazione.

Con ordinanza n. 1350 del 5 luglio 2000, l’Onorevole Tribunale, accoglieva l’istanza cautelare con la seguente testuale motivazione “…ritenuto che sussiste il contrasto con il P.U.T. lamentato con il secondo motivo del ricorso….” sospendendo la delibera commissariale di adozione del P.R.G. in parte qua (cfrs. doc. all.). La predetta ordinanza non veniva impugnata dalle Amministrazioni rimaste contumaci e, pertanto, si formava il giudicato cautelare.

Di recente, e precisamente soltanto dopo la pubblicazione nel B.U.R.C. del provvedimento impugnato, questa associazione è venuta a conoscenza che, nonostante la sopraindicata chiarissima pronuncia del TAR, il Comune di Ravello – in aperto contrasto con il giudicato cautelare – aveva avviato, ai sensi degli artt. 14 e segg. della Legge 241/90 - ma, come si dirà, in totale spregio dei sommi principi di correttezza e buon andamento dell’azione amministrativa – la convocazione di una conferenza dei servizi finalizzata all’approvazione del progetto definitivo ed alla conseguente realizzazione, nel sito già individuato nell’adottato P.R.G. e dichiarato in contrasto con il P.U.T., dell’ “Auditorium Oscar Niemeyer”. Ed infatti, il 4 agosto 2003, le Amministrazioni oggi avversate, criunite in Conferenza dei servizi, esprimevano parere favorevole “ritenendo il progetto conforme al P.U.T.”.

In pari data, il Sindaco del Comune di Ravello, l’Assessore all’Urbanistica della Regione Campania ed il Presidente della Comunità Montana Penisola Amalfitana, stipulavano l’accordo di programma per la realizzazione dell’Auditorium, ai sensi dell’art. 34 del D.Lvo 18.8.2000, n. 267, accordo che veniva poi ratificato rispettivamente dal Consiglio Comunale di Ravello, con deliberazione consiliare n. 22 del 28.8.2003, dalla Giunta Regionale (deliberazione n. 2525 del 06.08.2003) e dalla Giunta esecutiva della Comunità Montana (deliberazione n. 117 del 07.09.2003).

Successivamente, con decreto n. 697 del 16.10.2003, pubblicato sul B.U.R.C. il successivo 03.11.2003, l’Assessore all’Urbanistica della Giunta Regionale della Campania approvava ex art. 34, commi 4 e 6, del D.Lvo 18.8.2000, n. 267, l’accordo di programma per la realizzazione dell’Auditorium “Oscar Niemeyer” nel Comune di Ravello.

Tale provvedimento, conclusivo dell’iter procedimentale accennato, unitamente agli altri atti endoprocedimentali sopra richiamati, sono radicalmente illegittimi vanno pertanto annullati per i seguenti motivi di

DIRITTO

I- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA L.R.C. N.35/1987. ECCESSO DI POTERE PER CARENZA DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE ED ERRORE NEI PRESUPPOSTI. VIOLAZIONE DELLA L.R.C. N. 14/1982 E DEL D.M. 02.04.1968, N. 1444. CONTRADDITTORIETÀ. ELUSIONE DEL DECISO DEL TAR SALERNO ESPRESSO NELL’ORDINANZA N.1350 DEL 2000.

1) Come è noto, con legge regionale n. 35/1987, la Regione Campania ha adottato, ai sensi dell' articolo 1/ bis della Legge 8 agosto 1985, n. 431, il Piano Urbanistico Territoriale ( PUT) dell' Area Sorrentino – Amalfitana, nella cui area di competenza, così come indicato dalla previsione di cui all’art. 2, è inserito il Comune di Ravello. A tale previsione consegue che nel Comune di Ravello qualsiasi intervento modificativo del territorio e, prima ancora, ogni scelta di pianificazione urbanistica, ivi compreso il Piano Regolatore Generale, deve obbligatoriamente attenersi alle prescrizioni contenute nella richiamata disciplina urbanistica regionale.

Ma tale elementare principio è stato del tutto disatteso nella vicenda in esame.

Ed infatti, in sede di Conferenza di servizi, le Amministrazioni partecipanti, a partire dal proponente Comune, hanno erroneamente condiviso, recepito ed approvato il parere reso dal Responsabile del Settore Urbanistica della regione Campania (ing. Morrone), secondo cui il progetto definitivo dell’auditorium è da ritenersi “conforme al PUT (L.R. 35/87), con la raccomandazione di utlizzare i materiali di cui alle norme tecniche riportate al Titolo IV della cita legge regionale 35/1987”.

L’assunto della Conferenza dei servizi, successivamente trasfuso nell’accordo di programma, così come ratificato e definitivamente approvato, è del tutto abnorme.

2) Invero, giova sottolineare che l'area, su cui è prevista la realizzazione dell'Auditorium, risulta individuata nel P.U.T. come “Zona Territoriale 3”, destinata a “Tutela degli insediamenti antichi sparsi o per nuclei”.

Infatti, la relativa disciplina, contenuta all’art. 17, dotata di valenza prescrittiva e conseguentemente obbligatoria rispetto ad ogni singolo strumento di pianificazione comunale, espressamente dispone che nella zona T.3 è impedita ogni ulteriore edificazione fatta eccezione per:

le attrezzature pubbliche previste dal Piano Urbanistico Territoriale;

per quelle a livello di quartiere,

per eventuali limitatissimi interventi edilizi residenziali e terziari, sempre che l’analisi e la progettazione dettagliata del PRG, da redigersi in forma estremamente dettagliata (mediante elaborati di dettaglio in scala 1:500), ne dimostrino la compatibilità ambientale.

Tale chiaro ed inequivocabile dettato normativo è stato, peraltro, suffragato dall’autorevolissimo conforto ricostruttivo del prof. Alessandro Dal Piaz, in forma di note tecniche, rese per conto dei privati Calce Fermo e Germani Palumbo, nel coevo ricorso n.r.g. 3331/2003­­­­, promosso dinanzi a codesto On.le TAR. L’illustre urbanista, coredattore del PUT, ha, in sostanza, fornito, attraverso il parere informale, una vera e propria “interpretazione autentica” della disciplina della L.R. n. 35/87, precisando che la teorica conformità del progetto dell’Auditorium alle prescrizioni del PUT imporrebbe la presenza, in rapporto ad esso, delle seguenti obbligatorie condizioni: che l'intervento coincida o con un'attrezzatura pubblica specificamente prevista dal PUT o con un'attrezzatura prevista dal PRG al livello di quartiere, nel rispetto ovviamente, in quest’ultimo caso, delle previsioni contenute nella L.R.C. n. 14/1982, la quale richiama il D.M. 1444 del 02.04.1968.

Ciò posto, si palesa in tutta evidenza che la pretesa realizzazione dell’auditorium in questione si pone in aperto contrasto con la disciplina normativa ora accennata. A sostegno di tali conclusioni, sul punto specifico del contrasto del progettato Auditorium con la L.R. n. 35/1987, milita la consulenza tecnica di parte resa, nell’interesse dei privati ricorrenti, da altro illustre urbanista, arch. Vezio De Lucia, le cui argomentazioni tecniche sono da intendersi, in questa sede, per integralmente riproposte e trascritte.

Ed infatti, la costruzione qui avversata non rientra in alcuna delle categorie che, in regime di eccezione, consentirebbero di eludere il generale divieto di erigere nuove costruzioni, così come imposto dal citato art. 17. del P.U.T., ed infatti:

sub a): l’Auditorium non può certamente essere ricompreso fra le attrezzature pubbliche previste dal PUT, in quanto esse sono analiticamente descritte ed inserite tra gli elaborati contenuti nella Proposta di Piano Territoriale di Coordinamento e Piano Paesistico dell’area Sorrentino-Amalfitana. La consulenza tecnica di parte a firma dell’arch. V. De Lucia, ha, infatti, puntualmente indicato (cfr. pagg. 4-5) le singole categorie di attrezzature pubbliche, la cui dettagliata elencazione è stata, pedissequamente, riportata negli elaborati allegati alla perizia (cfr. all. pagg. 175-185-187-188-189-190-192-234).

Dal semplice riscontro documentale offerto, deriva che il PUT non prevede alcun Auditorium, né attrezzatura pubblica ad esso assimilabile e, comunque, che nessuna delle attrezzature e opere pubbliche previste dal PUT riguarda l’area individuata nel progetto definitivo approvato attraverso l’accordo di programma;

Sub b): l’Auditorium non può, senz’altro, essere annoverato tra le attrezzature a livello di quartiere, la cui individuazione risulta debitamente circoscritta dalla L.R. n. 14/1982. Trattasi, invero, delle attrezzature pubbliche di base, di cui occorre garantire, come standards urbanistici, la presenza in ciascun centro abitato o in ciascun quartiere urbano. Esse sono disciplinate tassativamente dal DI 1444 del 2/04/1968, e comprendono esclusivamente: scuole materne, elementari e medie, asili nido, ambulatori, consultori, attrezzature per la partecipazione ai culti religiosi, parcheggi, giardini pubblici, impianti per l'esercizio sportivo;

Sub c) Radicalmente priva di qualsiasi fondamento è, poi, la paventata ipotesi che l’intervento in questione possa essere inserito nella categoria degli “interventi edilizi terziari” ove, evidentemente nella piena consapevolezza del palese contrasto con il PUT (cfr. Relazione generale, pag. 21), il Commissario ad acta, in sede di adozione del P.R.G., aveva tentato di inserire l’opera in questione.

L’assunto – il quale dà ulteriormente contezza della falsità del presupposto parere della Conferenza dei servizi e del successivo Accordo di Programma, reso in assoluta contraddittorietà ed inconciliabilità con l’originaria previsione contenuta nel PRG adottato – è manifestamente privo di pregio. L’argomento - già oggetto di scrutinio da parte di codesto On.le TAR (ricorso n.1799/2000 R.G., accolto con la richiamata ordinanza n. 1350/2000) che, sia pure in via cautelare, l’ha bollato come illegittimo - è macroscopicamente errato, sia perché la riferita tipologia d’intervento, a mente dell’art. 10 L.R. 35/1987, è possibile esclusivamente ad opera di privati e giammai della P.A., sia, segnatamente, perché, nemmeno in tale categoria di opere, può rientrare l’Auditorium.

A tanto aggiungasi, in ogni caso, che la previsione dell’Auditorium contenuta nel PRG adottato sarebbe, comunque, cartograficamente inidonea a dimostrare, nel rispetto della previsione dell’art. 17 L.R. n. 35/1987, la compatibilità ambientale della nuova edificazione rispetto all’area di ubicazione, in quanto la progettazione di Piano risulta redatta in scala 1:2000, anziché 1:500, come obbligatoriamente prescritto.

In forza della corretta ricostruzione operata discende che, nel caso in esame, la progettata struttura è in palese contrasto con la LRC n.35/1987, in quanto difetta di tutte le condizioni imposte, non rientrando né fra le attrezzature pubbliche previste dal PUT medesimo e neppure tra quelle a livello di quartiere.

3) Ma vi è di più!

L’adottato P.R.G. risulta sospeso dal TAR Salerno, proprio nella parte relativa alla localizzazione dell’Auditorium, per effetto della pronuncia cautelare n. 1350 del 5 luglio 2000, esattamente sul presupposto del comprovato contrasto col PUT.

Di talché, deriva la radicale illegittimità della riproposta localizzazione dell’infrastruttura nel precedente sito, atteso che, per effetto della richiamata pronuncia cautelare del TAR Salerno, risulta sospesa anche la previsione di PRG, presupposto ai sensi dell’art. 17 L.R. 35/1987, per consentire la verifica di conformità dell’opera al PUT.

Ne consegue che il parere reso dalla Conferenza dei servizi e trasfuso nell’accordo di programma, così come sottoscritto, ratificato e definitivamente approvato, non solo si pone, come in precedenza chiarito, in stridente contrasto con l’ordinanza cautelare di codesto On.le TAR Salerno, n. 1350 del 5 luglio 2000, ma elude, illegittimamente ed in maniera palmare, il deciso del G.A.

L’implicazione tecnico-giuridica derivante dalla predetta statuizione del TAR, avente, peraltro, una portata tipicamente anticipatoria del merito, è di elementare evidenza e comporta l’impossibilità, stante l’assenza di fatti nuovi e/o diversi, per qualsivoglia organo amministrativo di sostituirsi, ed in tal modo, vanificare la potestà giurisdizionale, già esercitata attraverso la dichiarata illegittimità della previsione dell’Auditorium per accertato contrasto con il PUT.

Né è, ovviamente, possibile ritenere che le Amministrazioni partecipanti all’accordo di programma ignorassero la pronuncia cautelare definitiva, atteso che il proc. n. 1799/2000 R.G. ha visto come resistenti ritualmente evocate, ma processualmente negligenti, in quanto contumaci, sia il Comune di Ravello, che la Comunità Montana Penisola Amalfitana.

Da ciò deriva l’ulteriore illegittimità dell’Accordo di programma per violazione della L.R. 35/1987, così come acclarata per effetto giudicato cautelare del TAR Salerno.

II- VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL'ART. 4 L.R. 20/03/1982, N. 17. ECCESSO DI POTERE PER ULTERIORE CONTRADDITTORIETÀ ED ILLOGICITÀ. DIFETTO ED ERRONEITÀ DI MOTIVAZIONE. VIOLAZIONE ART. 97 COST. MANIFESTA INGIUSTIZIA ED INIQUITÀ.

Le Amministrazioni partecipanti alla Conferenza di servizi, essendo ben coscienti dell’illegittimità dell’accordo di programma, giusta la censura esposta nel motivo che precede, hanno tentato di fornire veste giuridica alla decisione assunta, affermando l’applicabilità, al caso in specie, dell’art. 4 della L.R. 20 marzo 1982, n.17, sul presupposto che “il Comune di Ravello risulta sprovvisto di strumento urbanistico”.

La tesi, oltre ad essere inequivocabilmente infondata in diritto, palesa ancora una volta la clamorosa contradditorietà dell’azione amministrativa, la quale pone a base del proprio agire argomenti tra loro assolutamente incompatibili. Ed infatti, da un lato, il provvedimento impugnato poggia sull’unica motivazione di una sua pretesa ed indimostrata conformità alle prescrizioni imposte dallo strumento urbanistico del P.U.T., dall’altro, si sostiene l’applicabilità dell’art. 4, l. cit., disposizione che, come è noto, postula – al contrario – l’assenza di qualsiasi strumento urbanistico.

Quanto fin qui detto, solleva questa difesa dal dover argomentare oltre. In ogni caso, per mero scrupolo difensivo, è opportuno illustrare le molteplici ragioni che dimostrano, in ogni caso, l’erroneità del richiamo all’art. 4, L.R.C. 17/1982.

A) La noma, al primo comma, testualmente dispone che:

“nei Comuni sprovvisti di strumenti urbanistici approvati:

a) all’interno dei centri abitati (...) è vietato ogni intervento edilizio, ad eccezione delle opere di ordinaria e straordinaria manutenzione, di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione, che non comportino aumento de/le volumetrie e delle superfici utili preesistenti;

b) all’esterno dei centri abitati (...) l’edificazione a scopo residenziale è soggetta alla limitazione di metri cubi 0,03 per ogni metro quadrato di area edificabile; per le opere strettamente accessorie all’attività agricola è consentito un indice di fabbricabilità aggiuntivo pari a 0,07 mc/mq; in questo caso il rilascio della concessione edilizia è subordinato alla trascrizione, a cura del concessionario, di un atto che vincoli all’attività agricola la destinazione dei fabbricati in progetto”.

Il successivo II comma stabilisce, infine, che:

“le limitazioni che precedono hanno efficacia fino alla data di entrata in vigore del Piano Regolatore generale ... e non si applicano nei confronti degli interventi volti al/a realizzazione di edifici e strutture pubbliche, o opere di urbanizzazione primaria e secondaria, di programmi per l’edilizia residenziale pubblica, nonché dei piani e degli interventi previsti dalla legge statale 17.5.1981, n.219”.

Ciò posto, appare evidente che se è vero che il Comune di Ravello è sprovvisto di strumento urbanistico approvato e vigente, è, per contro, sicuramente e obbligatoriamente, sottoposto alla disciplina generale di pianificazione urbanistico territoriale dell’Area Sorrentino-Amalfitana, di cui alla L.R. n.35/87, contenente, come più volte evidenziato, disposizioni immediatamente operative e precettive, in quanto strettamente connesse alla dettagliata zonizzazione del territorio.

Ne consegue che sostenere l’autonoma applicabilità dell’art. 4 della legge regionale n.17/ 1982, prescindendo dalla speciale disciplina del PUT si risove in un clamoroso errore di diritto, che travolge irrimediabilmente l’accordo di programma adottato. Ed infatti:

1) Il Piano Urbanistico Territoriale, approvato in data 27.06.1987, con L.R. 35, è posteriore alla L.R. 17, approvata in data 20.3.1982. Di conseguenza, le disposizioni del PUT, per il principio della successione delle leggi nel tempo, naturalmente, prevalgono.

2) La richiamata legge regionale n. 17/1982 deve essere, correttamente, inquadrata, non soltanto come disciplina di carattere transitorio, per l’attività edilizio-urbanistica dei Comuni, ma, anche, come norma di tipo generale. Per contro, il richiamato PUT, costituendo la fonte normativo-urbanistica esclusiva dello specifico ambito territoriale dell’Area Sorrentino-Amalfitana, è destinato necessariamente a prevalere quale lex specialis.

3) Il meccanismo di deroga contemplato al II comma dell’art. 4 della L.R. 17/1982, attiene esclusivamente all’ipotesi che l’intervento edilizio pubblico debba ricadere al di fuori del centro urbano, così come perimetrato (in termini: Cons. Stato, Sez. V. 22.2.2000, n. 914), donde l’assoluta inutilizzabilità, nel caso in esame, della richiamata norma, atteso che il progettato Auditorium insiste nel cuore del centro urbano di Ravello (Cfrs. doc. all.).

4) Laddove si opinasse per la generalizzata applicabilità del disposto dell’art. 4 della legge regionale 17/1982 a tutti i Comuni dell’area Sorrentino-Amalfitana, non dotati di strumentazione urbanistica comunale, si produrrebbe “un inaudito esito di edificabilità”, destinato a stravolgere la ragione stessa della pianificazione territoriale, così come concepita dal PUT, attraverso la prescrizione obbligatoria, per i singoli piani regolatori comunali, degli indici minimi ed indefettibili di fabbricabilità.

Sul punto specifico, si rimanda alla consulenza di parte (cfr. relazione arch. V. De Lucia, pag. 6), i cui puntuali rilievi tecnici sono, emblematicamente, dimostrativi dell’aberrante distorsione derivante dall’ipotetica applicazione dell’art. 4 L.R. 17/1982.

5) La dimostrazione definitiva della prevalenza della L.R. 35/87 sulla L.R. 17/82, tanto sotto il profilo della temporalità, quanto sotto quello della specialità, è rinvenibile nella disposizione obbligatoria per i Comuni, contenuta all’art. 15 del PUT, che testualmente prevede: “Le opere pubbliche in corso di esecuzione alla data di approvazione della presente legge o, alla stessa data già appaltata, possono essere eseguite. Tutte le opere pubbliche non comprese nella previsione di cui al precedente punto sono riesaminate dalla Giunta Regionale che, su istruttoria dei competenti Uffici dell’Assessorato Regionale all’Urbanistica, verifica la conformità delle stesse al Piano Urbanistico Territoriale”.

Il dato normativo è di evidente interpretazione ed impone di ritenere che, laddove l’opera pubblica non sia conforme, ovvero ne risulti dimostrata la non conformità al PUT, non è altrimenti realizzabile.

B) Ma vi è di più.

Se pure si volesse, per mera ipotesi di scuola, prendere per un attimo in considerazione la strana tesi proposta dalle Amministrazioni resistenti, i provvedimenti impugnati sarebbero allo stesso modo illegittimi, anche nell’ipotetica vigenza dell’art. 4, L.R.C. 17/1982.

Come è noto, infatti, nel caso in cui l’opera pubblica è localizzata in un’area non destinata, negli strumenti urbanistici approvati, a pubblici servizi, la deliberazione di approvazione del progetto costituisce adozione di variante degli strumenti stessi, soggetta alla necessaria approvazione con le modalità stabilite (così Cons. Stato ad. Plen. 30/4/1984, n. 10; Cons. Stato, sez. IV, n. 6309/2000; TAR Campania 81/2003 e n.6254/2002). A ciò si aggiunga che la comprovata incompatibilità dell’Auditorium al PUT non permette alcuna applicazione normativa surrettizia, ma, eventualmente, solo lo strumento specifico della variante (art. 15, ult. comma, L.R. 35/87) al Piano Urbanistico, da sottoporre alla necessaria approvazione del Consiglio Regionale.

Da ciò discende l’ulteriore profilo di illegittimità dell’accordo di programma, stante la marchiana erroneità ed inconferenza del richiamo ad una norma di legge, del tutto inapplicabile nell’ipotesi concreta.

C) La illegittimità della determinazione e la contraddittorietà del comportamento serbate dall’Amministrazione Comunale di Ravello nel corso della Conferenza dei servizi – in uno al contrasto dell’intervento con il P.U.T. – sono desumibili anche per altra via.

Infatti, nella seduta del Consiglio Comunale di Ravello per l’approvazione del Bilancio di previsione per l’anno 2003, ed in particolare, in sede di illustrazione del programma triennale delle opere pubbliche inserite in bilancio (2003-2006), l’Ufficio Tecnico Comunale ha predisposto un allegato descrittivo circa le “Problematiche di ordine urbanistico territoriale”. In detto allegato, l’UTC, in modo chiaro e puntuale, ha dichiarato l’Auditorium non conforme al PUT (Cfrs. doc. all.).

Per l’effetto, il Consiglio Comunale, approvando con il voto favorevole della Maggioranza, il Bilancio e l’annesso piano triennale delle OO. PP. come istruito dall’UTC, ha, formalmente, riconosciuto che la progettata infrastruttura, laddove localizzata, risultava in contrasto con la L.R. 35/1987.

Del tutto inopinatamente ed illegittimamente, in occasione della Conferenza dei servizi del 4 agosto 2003, tanto il Sindaco di Ravello, quanto i tecnici responsabili dell’UTC, hanno affermato la conformità dell’opera al PUT, senza alcuna plausibile motivazione, idonea a giustificare e comprovare il mutamento di indirizzo.

Da ciò l’ulteriore profilo di illegittimità dell’Accordo di Programma per difetto assoluto di motivazione, in uno allo sviamento.

III - VIOLAZIONE ED ERRATA INTERPRETAZIONE ART. 27, COMMA 5 DELLA L. 142/1990, COME MODIFICATO DALL'ART. 34 D.L.VO. 18/08/2000 N. 267. VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO DI LEGGE - SVIAMENTO DI POTERE – PERPLESSITÀ.

In via del tutto subordinata, si fa presente che il procedimento amministrativo, conseguente alla sottoscrizione dell’accordo di programma, è inficiato da una serie di atti derivati, del tutto discordanti dal modulo procedimentale disciplinato dall’art. 34, D.L.vo l8.8.2000, n.267.

In particolare, va esaminata sia l’intervenuta ratifica dell’Accordo di programma da parte del Consiglio Comunale di Ravello, per effetto della deliberazione n. 22 del 27.8.2003, che la ratifica del parere reso dal Responsabile all’Urbanistica in seno alla Conferenza dei servizi, operata dalla Giunta Regionale della Campania, con deliberazione n. 2525 del 06.08.2003.

A) L’atto deliberativo del Consiglio Comunale, di ratifica dell’Accordo di programma e dell’allegato verbale della Conferenza di servizi, risulta assunto, ai sensi dell’art. 34, comma 5, del D.Lvo 18.8.2000, n. 267.

In base a tale previsione, infatti, “Ove l’accordo comporti variazione degli strumenti urbanistici, l’adesione del Sindaco allo stesso deve essere ratificata dal consiglio comunale entro trenta giorni a pena di decadenza”.

Appare del tutto chiaro, dal richiamato dato normativo, che la ratifica del Consiglio Comunale opera nel solo caso in cui l’accordo di programma sottoscritto dal Sindaco comporti variazione del P.R.G.

Nella fattispecie in esame, le Amministrazioni partecipanti nel corso alla Conferenza di servizi, hanno assunto, per contro, le seguenti determinazioni:

Il progettato Auditorium è stato ritenuto conforme al PUT;

Il Comune di Ravello è stato ritenuto sprovvisto di PRG.

Tali risultanze inducono a ritenere come illegittima, in via derivata e consequenziale, l’ulteriore procedura posta in essere dal Comune di Ravello, attraverso la cennata deliberazione, atteso che, per esplicita ammissione, contenuta nel Verbale della Conferenza di servizi e nel sottoscritto Accordo di Programma (“Il Comune di Ravello non è dotato di strumentazione urbanistica ed ha in itinere un PRG adottato con delibera del Commissario ad acta n. 6 del 16.7.1999”), non esiste alcuno strumento urbanistico, oggetto di possibile variazione.

Laddove, per mera ipotesi, l’Amministrazione Comunale di Ravello avesse inteso attribuire alla deliberazione consiliare, peraltro del tutto artatamente, un valore di variante urbanistica, emergerebbe, innanzitutto, un evidente contrasto tra la determinazione presupposta (adesione del Sindaco, fondata sull’assenza di PRG) e quella conseguente (atto di ratifica, con variante urbanistica), con palmare illegittimità da difetto assoluto di motivazione e sviamento.

Non senza aggiungere, comunque, che la deliberazione C.C. n. 22 del 27.8.2003, è, in ogni caso, affetta da ulteriore, radicale illegittimità, per incompetenza del Consiglio Comunale a ratificare l’accordo di programma, con valore di variante dello strumento urbanistico.

Infatti, il Comune di Ravello risulta commissariato ai sensi della L.R. 17/1982, per effetto della delibera G.E. n. 236 del 9.8.1996 e, pertanto, il Consiglio Comunale è sprovvisto di qualsivoglia potere in materia di pianificazione urbanistica.

Né, peraltro, la G.E. della Comunità Montana ha giammai restituito alcuna attribuzione pianificatoria al Consesso consiliare, avendo in seguito alla trasmissione del PRG adottato, unicamente prescritto al Comune di integrare gli elaborati mancanti.

Da ciò deriva che la deliberazione consiliare di ratifica è illegittima e, comunque, fondata su presupposto errato ed immotivato.

B) Quanto uantoQQalla deliberazione di G.R. n. 2525 del 06.08.2003, va innanzitutto evidenziato che non è dato rinvenire, nell’accordo di programma sottoscritto, alcun obbligo di ratifica da parte della Regione Campania, di talché trattasi di un atto non previamente concordato in sede di Conferenza di servizi.

Né, peraltro, è dato comprendere a che titolo l’organo esecutivo della Regione abbia ratificato, attesa la espressa dichiarazione di conformità dell’Auditorium al PUT.

Anche in questo caso, laddove l’Amministrazione Regionale avesse inteso attribuire alla deliberazione giuntale il valore di variante urbanistica, emergerebbe, comunque, un immediato ed evidente contrasto tra la determinazione presupposta (adesione dell’Assessore all’Urbanistica, fondata sulla conformità al PUT) e quella conseguente (atto di ratifica, con variante urbanistica), con palmare illegittimità da difetto assoluto di motivazione e sviamento.

Non senza aggiungere, in questo caso, l’illegittimità radicale, da incompetenza assoluta in cui verserebbe la delibera di G.R. n. 2525 del 6.8.2003.

Infatti, ai sensi dell’art. 15 della L.R. 35/87, approvativa del Piano Urbanistico Territoriale, le eventuali varianti, anche parziali, al PUT sono di esclusiva competenza del Consiglio Regionale.

IV. VIOLAZIONE ART. 97 COST. DIFETTO DI ISTRUTTORIA. VIOLAZIONE DEI PRINCIPI IN MATERIA DI COMPATIBILITÀ AMBIENTALE.

L’impugnato Accordo di Programma palesa la sua illegittimità anche per altro e decisivo profilo.

Gli atti avversati, infatti, omettono di considerare ed adeguatamente ponderare che l’intero territorio di Ravello è riconosciuto dall'UNESCO quale Patrimonio Mondiale dell'Umanità, per la sua particolarità paesaggistico-ambientale, caratterizzata dall’orografia a terrazzamenti, tipica proprio della zona su cui dovrebbe sorgere il progettato Auditorium.

Il luogo individuato per la realizzazione del progetto si compone, infatti, di tre terrazzamenti, di cui il primo è situato a quota strada rotabile (Via della Repubblica) e gli altri due sono sostenuti dalle caratteristiche macere a secco, di mt. 5 di altezza ciascuno.

Ne consegue che il massiccio intervento andrebbe necessariamente ad alterare l'andamento altimetrico del sito, con impatto paesaggistico-ambientale sconvolgente, specie in considerazione della continuità e contiguità con il fabbricato Albergo Graal, e annullerebbe quel rapporto tra edificato e spazi liberi, necessario a rendere armonioso ed unico il contesto ambientale e paesaggistico di Ravello.

A ciò si aggiunga che le dimensioni dell’edificio – progettato nelle immediate adiacenze della monumentale Villa Rufolo e di altri numerosi pregevoli immobili, tutti sottoposti alla speciale tutela della legge 1089/39 – avente una lunghezza di metri 50, una larghezza di metri 26 a Nord e metri 39 a sud è destinato a coprire l’intera area compresa tra il tratto superiore e quello inferiore di Via della Repubblica, mentre la sua altezza totale, quantificabile in metri 21, compromette irrimediabilmente le visuali prospettiche della sovrastante via panoramica Boccaccio, fino ad ostruire totalmente la vista del borgo medievale di Torello e di tratti della suggestiva Costiera.

Senza dire che l’inserimento in questione contrasta con quanto prescritto dal P.U.T., laddove, nella parte III della Proposta di Piano, stabilisce che i nuovi insediamenti debbano essere coerenti con le pregresse tipologie architettoniche.

Domanda di sospensione cautelare

Le considerazioni innanzi svolte impongono la sospensione, in via cautelare, dell’efficacia dei provvedimenti impugnati essendo evidente la sussistenza dei presupposti necessari e sufficienti per l’adozione del provvedimento ex art. 21, comma 7, della legge n.1034/71.

Non occorre indugiare circa la presenza del fumus boni iuris giacchè i motivi esposti in sede di ricorso per l’annullamento dei provvedimenti impugnati, ed a cui ci si riporta, non possono che portare il Tribunale adito ad un giudizio positivo circa la fondatezza delle doglianze mosse, consentendo, conseguentemente, di ritenere rilevante la probabilità di accoglimento della domanda principale.

Del pari esistente è l’ulteriore elemento del periculum in mora. E’ appena il caso di sottolineare che il tempo occorrente per ottenere la pronuncia nel merito concretizza l’obiettivo pericolo che la ricorrente subisca, per intero e senza effettiva possibilità di ripristino della situazione quo ante, l’irreparabile pregiudizio che l’esecuzione degli avversati provvedimenti. Non v’è dubbio, infatti, che l’avanzata fase del procedimento amministrativo, con l’avvenuta pubblicazione, nel B.U.R.C., del decreto approvativo dell’Accordo di Programma - in uno agli acquisiti pareri ed alla disponibilità finanziaria - prelude ad un imminente inizio dei lavori relativi ad manufatto che, se realizzato, determinerebbe un gravissimo vulnus alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistico-ambientali del territorio di Ravello, uniche nella loro specie.

Pertanto, nel necessario giudizio di ponderazione degli interessi in gioco, le istanze qui rappresentate devono apprezzarsi quali portatrici di un interesse pubblico assolutamente prevalente rispetto agli interessi di controparte, i quali sono percepiti dalla collettività – non soltanto del comune di Ravello e della Regione Campania, ma, senza tema di smentita per la dichiarata qualità di Patrimonio Mondiale dell’Umanità, dell’intera comunità internazionale – con preoccupazione ancora maggiore in quanto l’avversata costruzione comprometterebbe insanabilmente l’equilibrio paesaggistico ed ambientale del sito.

P.Q.M.

e per quanto ci si riserva di esporre in prosieguo,

voglia codesto On.le Tribunale Amministrativo Regionale:

in via cautelare : sospendere i provvedimenti impugnati;

nel merito : accogliere il presente ricorso e, per l’effetto, annullare i provvedimenti impugnati.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari.

Si producono i documenti di cui all’indice.

Salerno, 15 dicembre 2003

Avv. Oreste Cantillo

Abbiamo un progetto di caratura internazionale ma non abbiamo una sede idonea all’interno delle regole di piano che permettano di esprimere le aspettative di un linguaggio architettonico internazionale all’interno del salotto culturale ravelliano. Possiamo permetterci di stravolgere la regola, le linee programmatiche di un piano territoriale, solo per potere indossare un abito alla moda? Il linguaggio dell’architettura contemporanea espressa ai più alti livelli dall’architetto Niemeyer rischia di trasformarsi in un volgare dialetto perché l’ architettura non è solo espressività ma anche rispetto delle regole. E quindi un progetto mirabile si impantana nella pervicace ossessione di Bassolino di perseguire ad ogni costo solo accordi di programma.

Alla confusione generale - norme urbanistiche disattese, accordi di programma , norme urbanistiche regionali caotiche e farraginose ed improbabili linee guide - si aggiunge la Francescato che con grazia “marianea” va dispensando pace fra WWF, Italia Nostra e Architetti che in nome del buon senso e del rispetto delle norme avversano questo progetto. E si barcamena tra dichiarazioni contraddittorie nel tentativo (mal riuscito) di non scontentare nessuno. Da una dirigente di un partito ambientalista ci si aspetterebbe una maggiore coerenza nei confronti delle regole di programmazione urbanistica, da quel partito tante volte sostenuto quale strumento di tutela all’arroganza abusivista. Quasi viene da pensare che se il Fuenti fosse stato costruito da Niemeyer avrebbe avuto tale aurea di dignità da non dovere essere abbattuto. E così la Francescato indossando i sacri paramenti tenta di celebrare un improbabile matrimonio tra sacro e profano ovvero tra l’ambientalismo e le politiche iperliberiste di mercificazione del territorio.PRC

Caro Sindaco,

la sua lettera di domenica scorsa mi sembra abbastanza strana. In fondo non bisognerebbe rispondere a chi apre la sua comunicazione accusando l’interlocutore (ma meglio sarebbe parlare di bersaglio) di “mix straordinario di spocchia e volgarità”. Le rispondo perché mi pare che la sua lettera riveli equivoci che non so chi e cosa abbia provocato, ma ai quali sono totalmente estraneo.

Lei cita a lungo i molti meriti dell’amministrazione di Ravello. E chi li nega? Io certamente no. Non conosco i progetti di cui lei parla, ma mi sembrano esprimere un orientamento interessante, che condivido. Ma né il mio intervento, né il successivo articolo sul Corriere del Mezzogiorno, né l’appello che ho firmato, e neppure gli interventi nel mio sito esprimono disprezzo o critica verso la politica del Comune di Ravello. Salvo su un punto. Sarà lecito criticare un intervento, se lo si ritiene sbagliato?

Ho scritto (già sul mio sito) e ho detto che critico (avvalendomi della facoltà che la Costituzione mi garantisce) due aspetti della questione. Che su una (l’improprietà dell’intervento in quel luogo) comprendevo che potevano esserci posizioni diverse, ma la mia era quella che ho esposto. Sono eccessivamente conservatore? Ho troppo poca fiducia nelle capacità di inserimento nel paesaggio degli operatori di oggi? Sbaglio a pensare che le risorse collettive dovrebbero essere impiegate diversamente, finanziando il restauro dei luoghi già belli e e la trasformazione dei luoghi ancora brutti? Può essere. Ma sarà pure lecito esprimere un’opinione, dopo aver pazientemente ascoltato quelle altrui?

Nell’ambito di questa mia opinione (che per il vero ho manifestato, a Ravello e sul Corriere, in modo molto sobrio e contenuto) ho anche sottolineato le affermazioni che lei stesso aveva fatto a proposito di due punti: il fatto che Niemeyer abbia regalato solo un bozzetto e non un progetto, e che questo lo abbia redatto (sia il preliminare sia l’esecutivo) l’architetto Zeccato; e che il grande architetto brasiliano non abbia mai soggiornato a Ravello. Non avrei neanche citato il primo punto se non fosse che tutta l’ammuina a difesa del progetto è stata provocata dal fatto che si voleva ostacolare una “opera di Niemeyer”. Al secondo punto (il non avere Niemeyer respirato l’aria e percorso i sentieri di Ravello) attribuisco invece un’importanza maggiore. Conferma il mio dubbio sul fatto che non sia l’architetto giusto per un intervento in quel luogo e in quel paesaggio. A mio parere, più il sito è ricco di qualità e di consolidati valori più il progetto di trasformazione deve nascere dal luogo, dalla comprensione vissuta delle sue regole. Ma. Le ripeto, esprimo un’opinione personale, alla quale altre possono legittimamente essere opposte senza che io consideri ciò scandaloso.

Ma il punto che a me premeva e preme sottolineare, e che in effetti ho sottolineato in tutti i miei interventi, è un altro: quello della illegittimità sostanziale dell’intervento, e del grave rischio che si corre procedendo con procedure derogatorie: dalla interpretazione distorcente alla legge ad personam.

Mi creda se le dica che il decreto sugli standard e il piano urbanistico territoriale li conosco entrambi molto bene. Alla formazione del primo ho collaborato personalmente, ed ero “interno” al Consiglio superiore dei LLPP quando in quelle stanze (e in quelle vicine della Direzione generale dell’urbanistica) si discuteva e si decideva. So bene che una struttura per gli spettacoli (e sia pure per spettacoli nobili e culturali) non fanno parte di quelle attrezzature di quartiere, o di vicinato, o – come poi scrisse il legislatore – “locali” cui fa riferimento il PUT. E basta che lei stesso legga l’articolo delle norme del PUT che si riferiscono alla zona in cui ricade il sito dell’auditorium per verificare che l’auditorium non è presente tra le altre attrezzature minuziosamente previste, e consentite, dal PUT. Che conosco benino non solo per averlo seguito a suo tempo come presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica, ma per averlo ristudiato come commissario ad acta per il PRG di Positano e come collaboratore alla progettazione del PTCP di Salerno.

Mi rendo conto che porre la questione della legalità turba molto chi, come lei scrive, “mangia legalità a colazione, pranzo e cena”, ma a me turba invece enormemente che la questione della legalità - sulla quale nessuno, e neppure lei, ha replicato alle mie critiche - venga totalmente trascurata da persone che conosco, rispetto e stimo, come un paio di quelli che la fiancheggiavano nella trasmissione di RAI3.

Nella speranza di aver contribuito a chiarire qualche equivoco la saluto

P.S. – Non pubblico sul mio sito la sua lettera perché ho l’impressione che sia stata scritta sotto una forte spinta emotiva, e penso che si sarà pentito di alcune affermazioni davvero pesanti e prive di qualunque appiglio nei fatti. Mi rendo conto che in questo modo i miei lettori non troveranno molto chiara la mia risposta, ma non vorrei aumentare il suo disagio.

Sulla costiera amalfitana sbarcano progetti e iniziative. E con loro i timori, come sempre accade quando su un territorio così fragile si prevede di aggiungere cemento: il passato, soprattutto quello recente, non offre tranquillizzanti esperienze. Da Vietri a Conca dei Marini, passando per Amalfi e Ravello e fino a Positano e al piccolo arcipelago che la fronteggia divampano le polemiche fra chi propone interventi di più o meno forte impatto sul paesaggio e chi si oppone, contestandone l' utilità e anzi paventando il peggio.

A Vietri, il primo paese che si incontra arrivando in costiera da Salerno, stanno entrando in funzione i nuovi stabilimenti sull' arenile. A differenza di quelli precedenti sfoggiano strutture in cemento, non più rimovibili. Piattaforme di calcestruzzo al posto delle vecchie passerelle. Ma anche bar, ristoranti, uffici e botteghe. Finora sul lungomare sfilavano baracchette e casotti, accatastati in modo disordinato, cui si aggiungevano continuamente tettoie e altre coperture, spesso abusive. E da molte parti si chiedeva che la zona venisse risanata e che si rimuovesse quella specie di bidonville che ostruiva il rapporto fra l' abitato e la spiaggia. Ma il modo in cui il Comune è intervenuto, ottenendo anche l' assenso della Soprintendenza di Salerno, ha destato molte opposizioni. Il cemento non avrebbe dovuto sostituire il legno, secondo le sezioni salernitane di Italia Nostra e di Legambiente. L' intervento è abbastanza limitato (la superficie coperta è di 350 metri quadrati), ma il rischio è che, da Vietri in poi, anche altre spiagge della costiera siano invase dal cemento. Mentre altrove nel salernitano si tenta proprio di percorrere con fatica la strada opposta: dal cemento al legno (è il caso di Eboli).

Nel Comune di Vietri ricade l' area di Fuenti. Al posto del "mostro" demolito quattro anni fa, si avvierà un restauro paesaggistico con terrazzamenti alberati, vigneti e una minima cubatura. Molti sono i punti del progetto condivisi dalle associazioni di tutela. Ma fortissime perplessità suscita l' idea di ricostruire il profilo del promontorio segato di netto alla fine degli anni Sessanta per far posto all' albergo. «Sarebbe una specie di protesi in cemento rivestita di verde, quasi il prodotto di un senso di colpa», protestano gli ambientalisti. La costiera è un sistema. Paesaggio, centri storici, ambiente, agricoltura e turismo ne sono gli elementi cardinali. Ci si muove con difficoltà, soprattutto d' estate. La strada che corre lungo la roccia seguendone l' andamento sinuoso e infilandosi nei fiordi più profondi, è intasata da enormi torpedoni che gravano con un peso insopportabile e che spesso sono causa di dissesti (sulla Marina di Conca, alcuni anni fa, è precipitata una frana che solo per miracolo non ha fatto vittime).

Sull' integrità della costiera vigila un Put (piano urbanistico territoriale) varato a metà degli anni Ottanta dalla Regione Campania. è un piano da tutti giudicato di grande rigore (anche se violato da innumerevoli abusi). Ma contiene delle incognite, la principale delle quali è la previsione di una serie di gallerie che attraversano le montagne e che dovrebbero snellire il traffico. Di uno di questi tunnel si torna a parlare ora con insistenza: dovrebbe aggirare l' abitato di Amalfi ed essere usato anche come parcheggio sia di autobus che di macchine (ma parcheggi e garage multipiano stanno diventando un ossessione anche altrove in costiera, e spesso i progetti prevedono profondi buchi nella roccia). L' obiezione avanzata dal fronte ambientalista a queste iniziative si può sintetizzare in pochi concetti: il traffico di auto e pullman in costiera non va snellito né agevolato, ma va ridotto e il turismo estivo non può crescere oltre i limiti imposti dalla struttura fisica della costiera, semmai va distribuito meglio nel corso dell' anno.

Un altro progetto di grandi ambizioni interessa Ravello. Lo firma uno dei maestri dell' architettura contemporanea, Oscar Niemeyer, al quale si è affidata la Fondazione Ravello, un organismo nato alcuni mesi fa per iniziativa del sociologo Domenico De Masi, che di Ravello è stato assessore. L' architetto brasiliano ha schizzato il disegno di un auditorium che dovrebbe sorgere appena fuori della galleria che immette sulla piazza di Ravello, in una zona già intensamente edificata, spesso abusivamente. L' auditorium svetterebbe a picco sul mare, a un centinaio di metri da Villa Rufolo, nei cui giardini si tiene ogni estate una stagione di concerti. Il progettista che inventò Brasilia ha visto il sito in fotografia ed ha immaginato una struttura molto slanciata, alla quale stanno lavorando ora gli uffici comunali. L' auditorium, che piace molto al Comune (il sindaco è della Margherita) e alla Regione (Antonio Bassolino ha visto tempo fa Niemayer in Brasile), incontra però l' ostilità delle opposizioni in paese, dei Ds, dell' Udeur e di An, e divide le associazioni ambientaliste (contraria è Italia Nostra, favorevole è il presidente di Legambiente, Ermete Realacci). La struttura, che avrebbe una capienza di 500 posti, consentirebbe di prolungare anche in inverno la stagione dei concerti e inoltre potrebbe essere usato come sala di congressi. E sarebbe un' opera di grande architettura moderna. Questi gli argomenti dei sostenitori. Ai quali se ne contrappongono altri: l' auditorium avrebbe un impatto deturpante sul paesaggio e attrarrebbe tantissimo traffico. I Ds di Ravello propongono di costruirlo più sotto, mentre Italia Nostra vorrebbe che a Ravello non fosse aggiunto altro cemento. «Il fascino dei concerti è in gran parte nel panorama di Villa Rufolo», insiste Raffaella Di Leo, presidente di Italia Nostra a Salerno.

Un' altra spina è a Conca dei Marini. Su uno sperone di roccia di agghiacciante bellezza domina il paesaggio il convento di Santa Rosa. L' edificio risale alla metà del '500. Qui le suore devote alla santa inventarono un dolce che ha fatto la fortuna della pasticceria napoletana: la sfogliatella. Il convento è abbandonato, dopo aver funzionato per molto tempo come albergo. E va in malora. Tre anni fa è stato acquistato da una società inglese, che vorrebbe rinverdirne i fasti, trasformandolo in un hotel di grande charme. E fin qui tutti d' accordo. I problemi cominciano quando trapelano voci sulle modifiche previste, e in primo luogo sull' aggiunta di un manufatto di 300 metri quadrati. Sono indispensabili per un albergo di lusso, spiegano i proprietari (che hanno ottenuto un assenso di massima dal soprintendente, mentre la Regione, dopo un iniziale favore, sembra ora più prudente). Manomettono gravemente la sagoma e i volumi dell' edificio, protestano gli oppositori. L' ultimo cruccio viene da Li Galli, un arcipelago composto da tre isolette di fronte a Positano, dove i mitografi greci collocavano l' antro delle sirene. Su uno dei tre scogli, in basse casupole avvolte da chiome verdi, invisibili dalla costiera, hanno abitato Leonide Massine e poi Rudolf Nureyev. Ora ci sono un eliporto e una residenza a cinque stelle, che brilla d' un bianco sgargiante. Più distante, dove un tempo si riponevano gli attrezzi, spicca una sala di meditazione.

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