loader
menu
© 2024 Eddyburg

Gentile Prof. Salzano,

Sono la moglie di Simone Frasca, che le aveva scritto qualche giorno fa raccontandole tra le altre cose degli Amici di Radio 3, e vorrei ringraziarla personalmente per essersi iscritto al nostro sito. La creazione di questo gruppo é iniziata da una mia mail di protesta contro i cambiamenti di Radio 3, che è stata pubblicata da Repubblica e Il Manifesto (14/8/02) e ripresa in un successivo articolo da L'Unità e da diversi siti internet. Ecco il testo:

" Addio a Mattino Tre?

Venerdì il conduttore di “Mattino Tre”, di Radio3, ha comunicato che la direzione della Rai ha deciso la chiusura del programma a settembre. La notizia, al contrario della chiusura dei programmi di Biagi e Santoro non ha ottenuto la dovuta attenzione. In questo periodo “Mattino Tre”, contenitore d’interviste, musiche, storie propone i diari d’estate, dove per una settimana un personaggio (intellettuale, artista, giornalista) propone temi, musiche, letture su diversi argomenti. Dato lo spessore culturale degli invitati (Minà, Monicelli e altri), molte riflessioni hanno toccato temi relativi alla libertà (d’espressione, di stampa, eccetera). Il cambio d’un programma d’alto profilo culturale, con un gran seguito d’ascoltatori sembra un atto di censura. Sono brasiliana, nata e cresciuta durante la censura imposta dalla dittatura militare che per vent’anni ha governato il mio paese. La stupidità del regime ha lasciato, oltre alle vittime, anche aneddoti come l’irruzione dei poliziotti in un teatro per arrestare un certo “Sofocle”. Già che tutto è mercificato, vorrei che i vertici della Rai si ricordassero che gli ascoltatori di Radio3, che pagano il canone come gli altri, non sono disponibili a serate a tema sulla salama da sugo o sulle gesta di Padre Pio ma vogliono continuare ad ascoltare programmi di qualità come “Mattino Tre”.

Insieme alla lettera è stata pubblicata la mia mail,e quindi mi aspettavo qualche insulto del tipo: "ingrata, critichi il paese che ti ospita..." e per essere sincera anche cose più pesanti.

Invece, ho avuto una bellissima sorpresa, per la quantità di e-mail di solidarietà e condivisione delle mie parole che mi sono arrivate , e anche per tutti quelli che dicevano: facciamo qualcosa!

Così è iniziata la nostra avventura: grazie alla disponibilità di un web master che ci ha concesso un forum, abbiamo quindi lanciato appelli che hanno intasato le mail dei giornali e di radio 3, e abbiamo organizzato serate al teatro (a Correggio e Pisa), e dibattiti (a Reggio Emilia) alle quali sono intervenuti musicisti, attori e intellettuali che hanno a cuore la sorte della nostra unica emittente culturale .

Con queste iniziative siamo riusciti almeno a non far passare sotto silenzio tutte le modifiche che sono avvenute e che sono in procinto di avvenire al canale culturale radiofonico della Rai.

Dopo un anno, dalla protesta pura e semplice stiamo cercando di passare a una azione più a lungo termine: da una parte creando un osservatorio sulla programmazione di radio 3, dall'altra dando voce a tutte quelle iniziative e notizie che non trovano più uno spazio nel palinsesto del Terzo Anello. Non è un'impresa semplice, siamo tutti volontari, ma noi, come lei, non ci vogliamo arrendere a questo progressivo impoverimento culturale dell'Italia. Stiamo lavorando al testo di un nuovo di un appello per Radio3, che le farò pervenire appena è pronto.

cordiali saluti, Katia Martinez

ps - La sua ricetta degli spaghetti alla puttanesca ( avendo trovato al Mercato di Sesto Fiorentino le olive di gaeta) è stata apprezzata moltissimo dai nostri amici e ci apprestiamo a provare le altre.

Spero che almeno i 286 destinatari della mia mailing list si iscriveranno, come me, agli Amici di Radio 3.

La sua esperienza mi induce a due commenti: 1) È proprio vero che occorre opporsi con intelligenza alle malefatte pubbliche, e che allora si scopre che non si è soli; 2) È proprio vero che i forestieri che diventano italiani fanno l’Italia più ricca.

Caro Eddy, […]

1) Venezia - Mose. I complimenti per la pubblicazione su "la Repubblica" te li ho già fatti. Ora: condivido in pieno la tua posizione contra Mosem. Siamo in tanti, penso, a sostenere la scelta delle piccole opere, della cura (io dico certosina), dello "scuci e cuci", insomma di ritrovare, come scrivi, l'atteggiamento amorevole, pieno di consapevolezza e competenza, degli antichi. Venetiam studiose colere potrei dire parafrasando Cicerone ( suos agros studiose colere; colere artes et studia...). Potresti riproporre una campagna in questo senso. Nel cortile un breve tuo documento, preciso e definitivo dopo tante polemiche (e precedenti prese di posizione), da far sottoscrivere a centinaia di colleghi e tanti altri preoccupati del destino della più moderna città del mondo (mi pare giusto, ormai, non usare più il virgolettato per moderna). Dovresti però spiegare al meglio, a tutti noi tuoi interlocutori, la fattibilità dell'innalzamento della superficie cittadina, proprio il come si fa (forse qualcosa si è già fatto) materialmente, visto che non è possibile predisporre 500.000 martinetti sotto le fondamenta e dare il via al sollevamento!!

2) Periferia. Più leggo, più m'incazzo. Ti ho già scritto che l'improvviso interesse di tanti mi fa ridere. Vorrei rinunciare a intervenire. Se non si scrive oggi sui giornali qualche articoletto, si è fuori dall'attenzione. Nessuno fa caso ad altro magari molto meno superficiale. Le considerazioni e gli studi ormai "antichi", soprattutto provenienti dalla scuola, chi li ricorda se, lo ripeto, "nessuno legge nessuno"? salvo appunto gli articoletti dal Michele Serra in poi (a proposito: non hai osato pubblicare qualcosa dalla mia e-mail polemica del 29.8.03, dopo avermi chiesto il permesso (?) di farlo). In ogni modo il tuo pezzo del 19 scorso mi è piaciuto. Bravo bravissimo a notare ("singolare che...") il disinteresse di tutti verso un confronto fra certi aspetti di Rozzano e di altri insediamenti (il caso: un progetto di disegno urbano e architettonico eseguito nel mio corso nel 1985 e localizzato proprio a Rozzano reca il titolo Il riscatto di una periferia storica). Ciò che mi ha stufato è il giro e rigiro attorno ai Corviale, Vele, Zen, Laurentino 38, come se fossero quelli a rappresentare la questione delle periferie metropolitane. Per noi milanesi, poi, la nuova periferia al di fuori della città madre è tutta un'altra cosa: è lo sprawl di cui tratto nel pezzo di testo (La discussione) che hai pubblicato su eddyburg. Chi vuole, legga lì. Comunque coloro che odiano i citati spazi dovuti alla cultura moderna, non li troverà nell'hinterland milanese: troverà di peggio, un definitivo spappolamento del territorio causato da un'urbanistica e un'architettura per così dire non progettate o compiacenti verso la libera iniziativa. Semmai troverà mostruosità obese architettoniche nei "Monte Bianco" (V. in quel testo) del terziario. Purtroppo questo territorio non dispiace ad alcuni colleghi di qui (V. sempre là), per non dire del Massimiliano Fuksas (V. ancora là). Desideri non mi convince. La mia posizione circa "il soggetto metropolitano" che abita la città della "mediocre utopia liberista", è differente (V. ...); non si lascia irretire da un presunta "cultura abitativa" di quel soggetto. Desidera dimentica che il comune di Milano ha perso in trent'anni 540.000 abitanti residenti, la maggior parte dei quali sono stati cacciati dalla città a causa della distruzione di un buon sistema residenziale e industriale in funzione di una terziarizzazione irragionevole e spesso banditesca. Altro che scelta personale di un ritorno o di un'andata al "suo...paradiso individualista". Ma quali giardini, ma quali aree libere, ma quali spazi civili? Inoltre: perché, sempre riferendosi solo ai Corviale, Zen, ecc., si accenna al "pensiero dei grandi maestri del Movimento moderno come Gropius e Le Corbusier" dimenticando che, quanto alla questione delle periferie, rivolgendosi all'indietro, altro c'è da ricordare per non buttar via con l'acqua ritenuta sporca dei nominati Corviale, Zen... anche il bambino nato altrove negli anni Venti e primi Trenta. Come non ricordare Bruno Taut e le Siedlungen di Berlino, o anche Ernst May e le Siedlungen nella niddiana valle francofortese? Desideri le avrà visitate, di sicuro. Non gli pare che lì, per tipologie, per altezze (medie e basse, non alte - ripeto il linguaggio del Ciam 1930), per spazi esterni comuni e civili, per alberi, prati, pergolati (quest'ultimi Taut li voleva come punto originario di un sistema del verde che, partendo dall'aggrappo alla casa, diventasse giardino di vicinato, parco della comunità, infine campagna aperta), risiedano forme e contenuti almeno da citare mentre si sproloquia (non lui) di mostri della modernità eredi di un Movimento moderno in architettura-urbanistica quasi rappresentante di Entartete Kunst?

Ciao, Lodo

Ti rispondo su Venezia, per le periferie non ho nulla da aggiungere alla tua lezione. Da alcuni anni un’azienda del Comune (Insula) sta procedendo, secondo un’indicazione che demmo già negli anni Ottanta (nel PRG mettemmo come obiettivo la quota di 130 cm sul medio mare), a rifare le pavimentazioni stradali, isola per isola, a partire dalla pulizia dei canali (che era stata abbandonata da oltre un secolo), dal rifacimento degli argini, dalla ripavimentazione delle fondamenta, per far sì che i bordi delle isole vengano portati a un’altezza di sicurezza. Singoli edifici poi sono già stati posti, in gran parte, in condizioni di sicurezza: naturalmente relativa. Dove abito io, il piano terra è al sicuro dalle inondazioni se il livello sul medio mare non supera i 155 cm. Ma insomma, Venezia è costruita nell’acqua, e la convivenza non è affatto drammatica: finché non si manifestano eventi straordinari come quello del 1966. Ma questo è un altro discorso.

Caro Eddy, sono felice, una buona notizia. Le tue dimissioni dall' istituto. Non accusarmi di cinismo; rispetto il tuo sentimento ("un passo per me così doloroso"); ma il tuo gesto, il gesto di una persona tanto rappresentativa nel mondo dell'urbanistica e, aggiungo, della politica culturale tout court, era necessario a fronte di avvenimenti che non sono altro che il precipitato atteso dopo molti recenti segni, crepe nell'edificio sorto nel 1929. "La posizione dell'Inu sulle regole dell'urbanistica è ormai quella della 'Casa delle libertà'", scrivevi il 2 marzo. Infatti: entrare in un'altra casa, più grande ed estranea a ogni tradizione, essendo crollata la vecchia per volontà o sortilegio di troppi suoi inquilini è conseguenza persino giusta. L'oscena volgarità ingiuriosa di un tale Properzi (per me, fortunatamente, un signor nessuno) verso De Lucia, caro mio, è come l'omicidio di Sarajevo considerato causa della prima guerra mondiale. D'altra parte "le ragioni di fondo", hai scritto il 7 aprile, "erano già presenti quando mi dimisi da direttore di 'Urbanistica informazioni',e sono state confermate..." ecc.ecc. Voglio dire che gli insulti a De Lucia avrebbero dovuto per sé soli giustificare le dimissioni, ma la realtà è che il vaso di Pandora era già colmo delle sciagure e dovevano riversarsi fuori, bastava un niente. Una delle sciagure è per l'appunto il Properzi e forse tu, come Epimetteo, hai sollevato il coperchio del vaso. In ogni modo il "testo unificato", il disegno Lupi (vale a dire, riducendo all'osso, urbanistica quale contrattazione/negoziazione "esplicite" con l'imprenditoria privata a partire, è inevitabile, dalle sue proprie scelte immobiliariste), trovano già precedenti ideali e applicazioni qua e là lungo tutto il paese, a scala regionale, comunale, provinciale. Abbiamo citato più volte il caso emblematico di Milano, ne ho scritto; il confronto e il contrasto fra te e il Gigi Mazza su "la Repubblica" dell'8 aprile scorso sono epigoni dei vostri saggi su Milano in "Urbanistica" del 18 giugno 2002 (rispettivamente Il modello flessibile a Milano e Flessibilità e rigidità delle argomentazioni. Il caso della Bicocca da me più volte descritto e criticato (edificare lì la città nuova voluta dal padrone ex delle ferriere e ora della rendita fondiaria e finanziaria, senza la minima possibilità o volontà per l'urbanistica e la politica di esprimere, non dico un piano, ma nemmeno una complessiva idea di città) non solo rappresenta alla perfezione la verità del modello milanese, ma ha applicato con largo anticipo il "testo unificato" o quant'altro sappiamo saranno le nuove deregolazioni. Ha ragione Fatarella quando scrive che "non è più tanto chiaro cosa sia destra e cosa sia sinistra" (24 marzo 2003) e, ricordando Bobbio, delinea invece con chiarezza i contenuti dell'insanabile separazione nella società e nell'urbanistica. Insanabile, sì, come dev'essere insanabile il contrasto nella politica fra una maggioranza liberista e affarista e un'opposizione (che sia effettivamente tale) diciamo socialdemocratica. L'Inu partecipe dei destini della destra: non poteva non finire così: un'istituzione essa stessa da tempo responsabile, attraverso il proprio silenzio o la propria accomodante cautela, di quella che non smetterò mai di chiamare la rovina pressoché definitiva del territorio e delle città del nostro paese. Sicuramente chiacchiere, queste, per un Avarello (non, al contrario, per Stefano Fatarella - 24 marzo): ma quando scrive (16 marzo) che in "Urbanistica informazioni" (vi pubblicai tre volte alla metà dei Novanta) sarebbe "meglio evitare... gli scambi epistolari tra due anziani signori, che finirebbero per annoiare i lettori", a chi si riferisce? a te e a sé stesso? Ma lui dev'essere un cinquantenne! O a coloro (cuius ego) che, anziani davvero, non demordono a squadernare pubblicamente le brutte pagine che i tipi avarelliani hanno contribuito a tenere ben serrate? Se poi lo hanno fatto sentendosi innocenti, ringrazino, per così dire, la mancanza (suppongo) di una effettiva conoscenza del territorio, del paesaggio, delle città: della loro storia. E intendo dal vero!, non solo dai documenti. Anche i cinquantenni ne hanno avuto il tempo, almeno trent'anni. Insomma, l'ignoranza estesa della realtà, da un prima a un dopo e secondo gli instabili stati intermedi, a mio parere non può che condurre alla destra: la quale, per l'appunto, oggigiorno in Italia coincide con l'incultura e l'ignoranza (preferirei usare il sf. lett. insipienza). Scusa se insito su Avarello: è pur sempre il presidente e il direttore, sicché mi sembra proprio la sua la nuova spalla (destra) su cui poggia il fucile dell'Inu volto in direzione contraria alla precedente, niente affatto al medesimo bersaglio come lui "francamente" sostiene (7 marzo) riprendendo la tua metafora fucilesca (2 marzo). Ho sentito accennare a qualcosa su Avarello da Aldo Cuzzer durante una sosta dei lavori della commissione concorsuale che ho presieduto nel 2001 a Milano. So di un libro dell'82 - Sansoni - fatto proprio con Cuzzer. Ho letto la sua apertura del Congresso Inu a Milano a giugno del 2003 (Il buon governo delle regioni metropolitane), ho letto gl'interventi attuali in eddyburg. Questi ultimi (7 e 16 marzo), nonostante i tentativi di ripicca verso di te (l'accusa di amare il dirigismo, quel passo sgradevolissimo e offensivo "se l'Inu non ti piace più... sai... dove rivolgerti per trovare consensi" (e tu hai risposto con fin troppa signorilità), nonostante i "francamente" i "tuttavia" i "certamente" i "comunque" i "credo proprio" i "basterebbe" i "piuttosto", mostrano che il presidente e direttore ha trascinato l'antico istituto a sostenere le politiche urbanistiche ed edilizie del governo e delle amministrazioni sue copie conformi (magari anche alcune di centrosinistra indifferente). Quanto alla relazione al congresso, ebbene: proprio a Milano doveva parlare/scrivere di regioni metropolitane in maniera così parziale, elusiva, disinformata? Quest'area metropolitana milanese disastrata sia sotto l'aspetto sociale che spaziale, quest'area schizofrenica fra città centrale e nuova periferia, fra giorno e notte, fra alcuni milioni di automobili e qualche centinaio di treni-tram-autobus, per la quale dissertare di "buon governo", come fossimo nella Bologna di vent'anni fa, senza sapere quale è la cosa, il mostro che si vorrebbe governare, insomma a noi milanesi "n' fa' vegnì' i nerf", come diceva la vecchia custode della mia casa.

La questione della quale discorriamo non ha molto a che fare con le singole persone e con il giudizio su di esse. L'attuale presidente dell'INU è una persona che personalmente stimo, e ho condiviso ciò che ha scritto anche in tempi non molto lontani. Vedo perciò i suoi atteggiamenti di oggi come espressione piena dei tempi. Sono tempi nei quali la virtù (non esente da vizi) dello schierarsi immediato, del prender partito, è stata sostituita da una diffusa opacità del giudizio sulle persone e sulle cose. E' una opacità che inevitabilmente tende a trasformare in idee correnti le posizioni (e gli slogan) pù forti sotto il profilo del potere (accademico, economico o politico che sia). Perciò, tutti a predicare, come fosse un'ovvietà, che privato è bello e pubblico è brutto, che negoziare è bello e autorità è brutto e così via. Del resto, non è con questi modi, non è adattando il proprio linguaggio al vocabolario della destra, assumendone i virus e tentando di depurarli, che si è stata stesa la guida rossa sotto i piedi della destra, con le operazioni di realpolitik alla D'Alema?Ciò che mi meraviglia, e mi dispiace, è che all'interno dell'INU (per tornare al punto di partenza) non si levinoi voci e posizioni critiche: come se, invece di un istituto culturale, fosse diventato una corporazione d'interessi. Ciò che sarebbe certamente legittimo, ma ben diverso da ciò che era stato in altre fasi della sua storia.

Stamattina su Rai Tre ho visto la seconda parte di un bellissimo film per la televisione che ha diretto nel 1972 Vittorio De Seta.

Si chiama "Diario di un maestro" ed è ambientato nella Roma dei primi anni settanta, in una classe elementare con ragazzini borgatari del Tiburtino III, di Tor Marancia e dell'Alessandrina. Il maestro era Bruno Cirino e i ragazzini erano veri e non attori. Facce da sottoproletari "abbonati" al riformatorio di Porta Portese. Quando la televisione pubblica sapeva fare il "sociale", scavava nei problemi reali con attenzione e proponeva chiavi di lettura civili, progressiste e pure un po’ didascaliche. Sapore di Pueblo Unido. Bella televisione, era.

Grazie della segnalazione. Ho trovato una scheda di questo bel film e la inserisco nella Antologia (Poesia e non poesia). Ho appreso che non ce n’è ancora un’edizione in DVD, ma solo in videocassetta.

Caro Salzano,sono lieto di inviarti in allegato il comunicato stampa relativo alla presentazione del preannunciato ricorso al TAR contro la variante in oggetto. Lo pseudo-concorso gestito dall'Ente Fiera è stato segretato sia per quanto riguarda i sei progetti presentati (Chipperfield-Perrault-FOA-Skidmore,Owing and Merril-De Lucchi, Isozaki-Liebeskind-Hadid, Buffi-Nicolin-Rota-Citterio-Giorgi-Ranzani, Renzo Piano Building Workshop, Foster-Ghery-Zucchi-Moneo) dalle sei cordate di aspiranti acquirenti, sia per quanto riguarda chi li valuterà entro luglio prossimo. Sapremo solo a cose fatte, come si conviene negli affari economici importanti (ma come non si conviene nelle cose che riguardano la città e i cittadini)!Ma io posso anticiparti quali saranno gli inevitabili esiti edilizi devastanti per la città: 60 torri da 40 metri, o 30 da 72 metri, o 15 da 144 metri, fittamente addensate su solo 125.000 mq di area edificabile con un indice di quasi 9 mc/mq ! Controllare gli schemi planovolumetrici allegati (in cui si ipotizza una netta separazione fra aree pubbliche e spazi pdi edificazione privata) per credere. A meno che i 125.000 mq di aree pubbliche del propagandato Central Park servano in realtà a diluire questa incredibile concentrazione edificatoria ! Grazie. Ho inserito il materiale che mi hai mandato nella cartella dedicata a Milano. I commenti non servono.

Altri pellegrinaggi per Fabrizio Bottini. Questa volta ci sono anche gli "eventi" abbinati. Altro che le vecchie gite di fine-settimana con visita al paese vero, con vera chiesa da visitare, quadro vero da vedere, museo autentico da esplorare. Rassegnati! Non e' piu' trendy!

Mi ricordo che, a Milano, qualche anno fa, alla presentazione di "Signore e Signori" di Germi, restaurato, Marco Paolini aveva fatto una previsione di questo tipo parlando di Treviso, con il centro senza piu' panni appesi ai balconi, senza vasi con i gerani, ormai occupato in forze dalle filiali delle banche, mentre gli abitanti si riversavano tutti felici nei centri commerciali sorti come funghi in periferia.

Grazie. Ecco il ritaglio del Corriere della sera che mi hai mandato. Devo dire che le pagine sugli outlet sono tra le più frequentate in Eddyburg . Sarà perché ci cascano dentro quanti cercano con Google dove comprare un castorino e un gioiello griffato, un paio di scarpe da jogging all'ultima moda e una custodia trendy per il cellulare, l’ultima giacchetta dei fratelli Armani (Giorgio ed Emporio) e i più audaci occhiali da sole avvolgenti, magari gustando "spine e dolcezze".

Sarei più contento se le frequentasse qualche legislatore regionale, preoccupato come Fabrizio Bottini e me per il territorio.

Per essere subito chiaro: io, cattolico di origine e di confessione, sono contro la croce obbligatoria nelle scuole o negli uffici pubblici, sia in Italia sia in Germania sia altrove. Anche se ricordo bene la rabbia del mio padre quando ha raccontato la sua esperienza negli anni trenta. I nazifascisti hanno tolto la croce nelle scuole in paese mia e tutta la cittadinanza ha protestato in piazza contro questo atto di grande intolleranza. Ma so bene che non si può paragonare uno stato criminale come quello di Hitler con uno stato laico europeo d'oggi. Con tutta la mia forza e consapevolezza sono anche un laico e penso che lo stato che deve essere assolutamente neutro verso i cittadini. Grazie a Dio, alla rivoluzione francese e alla costituente del dopo-guerra non viviamo più nell’epoca di un stato benedetto dalla curia vescovile .

Il crocifisso come un simbolo di liberazione, di incoraggiamento e d'umiltà mi importa molto, benché sappia bene cosa è successo nei secoli precedenti in nome della croce. Devo dire che il crocifisso per me significa anche un simbolo di nostalgia personale verso una infanzia in una provincia molto cattolica, ma insomma abbastanza libera e tollerante verso i luterani vicini. Ma per stimolare questa nostagia il crocifisso in aula scolastica non significa niente. Mai, mai ho votato in vita politica mia per i Democristiani perché sono stato sempre contro la loro occupazione della fede cristiana per una strategia di politica non sempre adatta alla giustizia e l'uguaglianza che vuole il Gesù della bibbia. Nè Adenauer nè (in Italia) p.e. Fanfani ed altri sono stato i miei politici preferiti. O Dio mio e tutti i santi, mai un voto per loro! Il mio cuore batte , da quando batte - sempre di sinistra anche talvolta con grande fatica. Il vero scandalo in questo tempo che viviamo è la banalizzazione di un simbolo di valore importantissimo per i credenti.

A Monaco in questi giorni una nonna è stata condannata per la promozione della prostituzione minorile, e in sala del tribunale portava un crocifisso sulla camicetta! Va bene - fino qua sono forse assolutamente insieme con i miei amici italiani (credenti o no, mi non interessa) che polemizzano adesso contro il crocifisso in aula. Quello che ha detto p.e. Tullia Zevi in favore di un stato laico mi ha piaciuto molto. D’accordissimo con la signora nobile del ebraismo italiano.

Ma ciò che mi stupisce è l’indifferenza, talvolta anche la stupidità, di un anti-cristianesimo da parte alcuni (forse la maggioranza) dei cosiddetti liberali, illuminati, democratici, compagni ed compagnia bella di fronte questa vicenda di Ofena. Sono i valori cristiani davvero cosi macchiato dalla storia e quindi da buttare via in un grande buco del sarcasmo o del bestemmia? Dobbiamo ragionare sui nostri valori principali che sono - fra l'altro anche di origine cristiano. Con riferimento al cristianesimo i nostri nonni o genitori hanno appoggiato un anti-semitismo orribile di Hitler ma altri credenti hanno anche nascosto i nostri vicini ebrei. (purtroppo pochi...). Devo confessare per raggionare su i valori adatti alla nostro epoca d'oggi mi serve la riflessività seria sul cristianesimo "nonostante la chiesa" di un Gianni Vattimo (lui un filosofo di sinistra DOC) molto di più che una polemica polverosa contro i preti a basso prezzo di un Pannella o altri venditore ambulanti della ’libertà comoda'.Serve molto anche un ricordo di un intellettuale come Carlo Arturo Jemolo, cattolico di fede, ma laico di politica.

Insomma, con l’eliminazione delle crocifisse nelle scuole non finisce il discorso su i valori cristiani per l’identità di Italia o migliore per l’identità europea. Al contrario - da qua deve cominciare un vero discorso sulla identità nostra in una società globallizzata che sentiamo sempre di piu come una sfida per la nostra tolleranza personale, per la nostra definzione di uno stato laico come l¹unica possibilità di vivere abbastanza civile insieme con altri religioni, altri concezione della vita. Per questo si deve superare le vecchie fronte fra credenti e non-credenti, cristiani e non-cristiani, laici-non-laici ecc.ecc. Alcuni fedeli di Don Camillo e di Peppone non hanno registrato che questo mondo bianco-nero non esiste piu. La falce e il martello sono diventato di nuovo due srumenti artigiani e la croce è diventata ( vergognosamente!) un qualsiasi articolo di moda. Siamo all'inizio d'un dibattito pieno di contraddizioni, di perplessità, anche dei tanti adii e di nuove strade - ma non abbiamo bisogno di nuovi vicoli ciechi. Amen.

Mi ha dato un gran fastidio il fatto che abbiano cominciato a crocifiggere quel povero giudice Montanaro de L'Aquila. Non so se hai letto la sua ordinanza: è scrupolosissima, documentatissima, analitica. Che cosa pretendono da lui? Che faccia le leggi che dovrebbero fare i legislatori? Si e' arrangiato con quello che c'era. Una legge fascista, un Concordato rivisto e corretto ai tempi di Craxi, dei regolamenti del tempo che fu, che dopo la revisione nessuno si e' preso la briga di adattare, pareri del Consiglio di Stato, sentenze varie della Consulta e della Cassazione, Amen. Che si vergognino!

Ti mando in allegato il testo dell'ordinanza , alcune cose che mi sono piaciute in questi giorni e alcune cose vecchie.

Agli integralisti di tutte le fedi bisognerebbe dire che fare i prepotenti non paga, perchè arriva sempre il momento in cui compare qualcuno ancora più prepotente. E allora il meno prepotente invoca una "legge uguale per tutti" di cui prima, quando era il più prepotente, non sentiva il bisogno.

Molto acuto e saggio l'articolo di Eco ieri su la Repubblica, ma molto lungimirante anche questa vecchia "bustina" scritta in occasione della controversia sui finanziamenti alle scuole private, e buona anche per oggi.

Al più presto inserirò i bei testi che mi mandi, a partire dalla sentenza di Montanaro. Grazie

Concordo con gli emendamenti alle legge campana che si propongono nell’Eddytoriale 28. Farei questa ulteriore considerazione.

L'articolo 2 potrebbe essere stato scritto in Alto Adige come in Sicilia. La Campania presenta però delle specificità che la legge urbanistica regionale non può trascurare. La prima è stata ben individuata nei documenti di Antonio Di Gennaro: il consumo di suolo e di risorse paesaggistiche e ambientali è giunto ad un livello talmente critico che una drastica inversione di tendenza deve essere posta come il primo obbiettivo della pianificazione in Campania. Nella stessa luce porrei altrettanta attenzione alla questione della "tutela dell'integrità fisica del territorio", che mi pare questione altrettanto drammatica. La regione di Sarno e del Vesuvio non può ignorare questo tema. Viceversa andrebbe affermato che:

1. Ogni piano deve essere corredato da un quadro conoscitivo relativo alla fragilità del territorio (intesa come la propensione al dissesto, all'esondazione, all'inquinamento della falda acquifera, al verificarsi di eventi sismici e vulcanici) nonché gli effetti sull'ambiente indotti dalle attività antropiche in essere.

2. Ogni piano, sulla base di tali conoscenze, deve stabilire specifiche limitazioni alle trasformazioni, onde non aggravare le condizioni esistenti e prevenire i rischi.

3. Solo dopo aver fatto questo, può stabilire, coerentemente con quanto sopra, le proprie scelte in materia di assetto del territorio.

Ma nella legge vi sono altri punti critici e a mio parere pericolosi:

articolo 33. Standard. "In sede di pianificazione urbanistica è fatto obbligo di effettuare un’accurata valutazione sull’applicabilità dei limiti minimi inderogabili di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444". Che cosa succede se non sono applicabili? La legge non lo dice e io sono pessimista (alla luce del titolo V e delle recenti leggi regionali sui "nuovi " standard).

Articolo 40. Disciplina dei vincoli urbanistici. L'articolo è volto a rendere i vincoli preordinati all'esproprio "non indennizzabili". A me sembra pericoloso assai iol modo in cui la norma è scritta.

Vi sarebbe poi la questione dello "squilibrio territoriale" (mezza regione soffre per eccessiva pressione urbana e l'altra metà presenta livelli di drammatico abbandono). Ma forse la legge urbanistica non è la sede adatta per affrontare questo tema.

C’è in ballo anche il Piano territoriale regionale, che certamente affronterà questo problema. Sugli altri punti sono d’accordo. Aver aspettato tanti anni (la Regione Campania è tra le due o tre ultime) e fare una legge inadeguata sarebbe proprio delittuoso!

C'erano una volta Istituti Italiane di cultura all'estero che erano orgogliosi di presentare la ricca storia d'Italia, l'arte, la cultura, la vivace cultura politica del Bel Paese agli altri paesi. E noi , per esempio noi tedeschi, andavamo sempre con grande curiosità e piacere agli Istituti. Io parlo sopratutto di Monaco, come si dice, la città italiana piu al nord. Qua vivono tantissimi italiani per sempre e ci sono tantissimi tedeschi piu o meno pazzi per la cultura italiana, non solo per la moda o la cucina ma anche per la politica, per i debattiti in pubblico, per una certa cultura di scambiare opinioni sul mondo in genere ed Italia in particolari. Ma con il governo di adesso, un governo che vuole come dicono " presentare Italia all'estero solo in modo positivo' è cambiato molto e per la verità, Italia si presenta molto male all'estero. Non ci sono piu debattiti fra gli intelletuali o politici di sinistra e di destra. Hanno paura di dimostrare una posizione chiaro in pubblico. Invitare un uomo 'non-Berlusconi' per loro sembra un pericolo di vita, perche lui non rappresenta Italia in un modo "positivo". Non ci sono piu presentazioni di scrittori italiani anche quelli scomodi. Non c'e piu l'orgoglio di presentare artisti italiani in un modo adatto al loro opera. L'desinteresse per un Italia pieno di contradizzioni vuol dire per il Paese reale è quasi totale. L'ultimo esempio: in questi giorni all' Istituto Italiano di Cultura a Monaco è in corso una mostra del giovane artista ferrarese Michele Rio. Un bravo artista, non colorato di politica. Rappresenta un po l'avanguardia d'oggi. All' Istituto hanno riservato solo una piccola fredda stanza per presentare la mostra. Non hanno fatto quasi nessun impegno per una pubblicità in città. Niente. Ha fatto quasi tutto da solo l'artista, l'ospite dell'Istituto! Senza il mio impegno personale ( via e-mail, telefono ecc.) fòssero presente all'inaugurazione solo l'artista e il portiere colla moglie e la figlia. Detto con ironia - almeno loro. L'inaugurazione di una mostra, in Italia sempre un gran evento, hanno fatto in una indifferenza incredibile. C'erano presenti anche tanti tedeschi curioso per l'arte di Rio che dopo hanno scuotato il capo. Questa deve essere la famosa 'presentazione positivo' della cultura italiana all'estero? È solo una vergogna. Non sono un grande patriota tedesco ed amo molto la cultura civile d'Italia. Ma sono davvero un po orgoglioso per i nostri "Goethe-Institute" che presentanno all'estero anche in Italia, l'Germania in un modo veramente positivo, vuol dire, pieno di debattiti, di contradizzioni nella società, con passione, aperto al mondo. I miei amici italiani che vivono a Monaco presentano un Italia che amo. Ma l'Istituto Italiano (pagato con le tasse dei cittadini italiani!) è da dimenticare. Per questo nuovo 'Positivismo italiano' , noi tedeschi, migliore, noi europei non abbiamo nessun bisogna.

Neppure noi, francamente.

Caro professore,

l'enfasi sulla governance che accomuna l'università e parte del mondo delle amministrazioni pubbliche può essere compresa alla luce delle seguenti considerazioni di Anthony Giddens, il più prestigioso sociologo contemporaneo secondo l'editore del suo libro "La terza via": "il problema non è più governo o meno governo, ma riconoscere che (...) l'autorità, inclusa la legittimità dello stato, deve essere rinnovata su base attiva" cioé occorre "democratizzare la democrazia". Diventano così necessarie "forme di democrazia in aggiunta al processo elettorale ortodosso".

Mi sembra che questo sia il punto di partenza che accomuna le varie forme di governance e la ricerca di maggiore partecipazione, condivisione, consenso... Si riconosce che nessun soggetto pubblico è legittimato ad agire esclusivamente in quanto titolare di una competenza, nemmeno nel caso sia un soggetto democraticamente eletto dai cittadini. Anche quest'ultimo è chiamato a rilegittimare il proprio ruolo attraverso il comportamento. Agire in modo aperto e trasparente, informare tutti i soggetti coinvolti, ricercare accordi preventivi e soluzioni condivise è dunque la strada maestra per riacquistare quella autorevolezza che è stata smarrita attraverso la ripetizione meccanica di formule e di atti (la burocrazia).

Ciò premesso, sono d'accordo con ogni parola del tuo editoriale. Se non erro, vi trovo una analogia con quanto hai espresso a proposito della sussidiarietà: non tutto si può devolvere, non tutto si può affidare alla governanza.

Certo. E poi ricordiamo sempre che nella notte degli interessi non tutti i gatti sono bigi. Di questo, più che a proposito di sussisiarietà, ho scritto a proposito di governanza (bello questo termine che Morisi propone!); te li riporto entrambi qui sotto, in una nuova cartella, con parole mie.

parole mie: Governance

parole mie: Sussidiarietà

Caro professore le ho telefonato d'impulso il venerdì di Pasqua perché ho

sentito l'esigenza di manifestarle la mia stima per la sua coerenza e

determinazione , il fatto che lei mi abbia invitato a inviarle dei consigli

in merito, oltre ha confermare la sua saggezza, ha provocato in me una certasfida intellettuale anche se sono solo un tecnico comunale di trincea ( dopo anni di bombardamenti si rimbambisce anche un po').

Sto scrivendo "d'int' ubagu" - tanto per inquadrare la mia situazione geografica -mentale - (allego il bellissimo brano di Italo Calvino "Dall'opaco" che amo particolarmente). La mia storia urbanistica si svolge nell'arco del ponente ligure . Da regionale mi sono occupata di abusivismo edilizio e al primo condono mi è caduto il mondo addosso ; con il trasferimento nel comune dove risiedo, mi sono occupata oltre che di un urbanistica anche di tutto un pò come succede negli enti medio-piccoli, Qui mi sono ritrovata a dover affrontare quotidianamente gli assalti di progetti approssimati , presuntuosi e in qualche caso devastanti. So cosa significa passare notti insonni cercando di trovare una soluzione a disastri che vedevo solo io dalla mia posizione fragile e scomoda , sempre fra l'incudine e il martello.Per anni ho tenuto il dito nella diga gridando aiuto e fortunatamente qualcuno ha sentito. Ora il dibattito su questi argomenti è più competente e sentito. Recentemente i miei amici e compagni di sinistra mi hanno gentilmente invitato,visto che ero così brava anche a progettare , ad assumere nuovi compiti nel campo dei lavori pubblici e lasciare l'urbanistica ad un altro collega che è un paladino dello "Jus edificandi" .

Inizialmente è stato uno choc, forse mi ero identificata troppo con il mio mestiere, poi come spesso succede ho pensato che poteva essere un bene ed era giusto che lasciassi il peso ad altri (non ho mai approfittato della mia posizione e l'accusa seppure velata e non dichiarata da parte dei miei amministratori consisteva nel considerarmi come ostacolo al libero fluire dello Jus Edificandi). Mi sarebbe comunque restato il ruolo di cittadina consapevole (anche una sola persona può tanto). Il mio stato d'animo altalenava fra un senso di liberazione e un sensazione di incomunicabilità verso delle persone che pur dichiarandosi di sinistra non capivano le mie motivazioni che avrebbero dovuto coicidere con i loro dichiarati obiettivi di buon governo delle risorse pubbliche e territoriali.Ma come spesso succede a volte l'assenza produce più effetti che una presenza costante; il dibattito urbanistico si è ampliato e una maggiore coscienza ambientale si è diffusa. E ora che non ero più obbligata ad occuparmi di urbanistica potevo farlo addirittura come trasgressione e così ho ripreso a studiare mi sono scritta ad un master e ho trovato su Internet tante cose interessanti, in particolare un sito Eddyburg .Per me è stato importantissimo sapere che c'erano tante persone autorevoli che la pensavano come me e che avevano in grande i miei problemi .Da qui a darle consigli però ce ne passa. La realtà è particolarmente dura .Forse bisognerebbe reimparare ad avere almeno sogni comuni . Per ora continuo a pensarci e le invio anche un'altro brano di Calvino che mi ha molto aiutato in passato.Con stima Grazie, Maria Carla, la sua è una bellissima testimonianza, che credo sentiranno vicina alle loro vite molti altri "tecnici comunali in trincea" (e provinciali, e regionali). E' difficile oggi fare l'urbanista pubblico. Lo era, del resto, anche negli anni in cui Edoardo Detti e Giovanni Astengo si battevano per l'affermazione di questa esenziale figura. La mia speranza è di riuscire a mettere in rete persone come lei, e come molti altri frequentatori di questo sito. E' solo lavorando insieme e mettendo in comune i propri sogni che si può cambiare un po' il mondo, renderlo più amico delle donne e degli uomini. I brani di Calvino sono molto belli; inserisco subito "l'apologo sull'onestà nel paese dei corrotti", che non conoscevo e che mi sembra, oltre che bello ed efficace, ancora attuale.

Caro Salzano,

ti scrivo per inviarti i miei apprezzamenti in merito alla nuova veste grafica del sito.

In merito al dibattito che si è aperto a partire dal tuo Eddytoriale, condivido le posizioni in esso contenute. Ho avuto modo di conoscere il "contributo" dell'INU alla formazione della pessima proposta di legge regionale che la Regione Lombardia si appresta a discutere e ad approvare. La posizione assunta dall'INU lombardo (salvo qualche singola e rara eccezione) è analoga a quella nazionale.

Non mi ha sorpreso quindi la posizione dell'Istituto, adagiata sul modello e sui disvalori liberisti e, qui in Lombardia, sul modello formigoniano che unisce alla deregolamentazione un approccio neocorporativo (dal "parternariato" alla "sussidiarietà orizzontale pubblico/privato").

L'adesione a questo modello, purtroppo, non arriva dal solo INU. La crisi di identità e di riferimenti culturali è evidente e presente tanto nel mondo culturale quanto in quello politico (altrimenti non si sarebbe arrivati ad un progetto di legge unificato!). Spero che, a partire dal dibattito avviato, si riesca ad innescare un "risveglio" delle coscienze. Risveglio non solo auspicabile ma, a questo punto, estremamente necessario.

Colgo l'occasione per inviarti il testo del progetto di legge "Legge quadro in materia di governo del territorio" presentato dal Partito della Rifondazione Comunista alla Camera dei Deputati (Vendola e Russo Spena).

Ti ringrazio. Sono d'accordo con te: la crisi è vasta, la mancanza di riferimenti colpisce in tutti i settori. Non resta che lavorare per il "risveglio", e sperare.

Inserirò il progetto di legge appena metterò mano all'aggiornamento delle cartelle legislative.

QUI link ad altri commenti negativi sulla legge urbanistica lombarda

Il tema a cui fai cenno nell’Eddytoriale 41, del chi detiene il potere ultimo di decidere, nel caso non si trovi un accordo tra diverse istituzioni - cosa assai diffusa, forse più di quanto non appaia -, è un tema che abbiamo spesso posto al centro dei ragionamenti tra noi in ufficio. Personalmente credo, proprio per la responsabilità "alta" - non va più di moda dire "sovraordinata" - che deve avere la Regione, che essa debba mantenersi il 51% delle azioni da giocare, sia per sbloccare un impasse altrimenti insuperabile, sia per poter dire di no quando è necessario dirlo in nome dell'interesse pubblico. Troppo semplicistico e/o dirigistico ? Forse, ma qualcuno, in fine dei conti, le mani deve pur metterle in pasta e giocarsi la sua "alta" responsabilità che, peraltro, svolge verso l'intera comunità. Il consenso si deve ricercare: ma il consenso non significa deresponsabilizzarsi. Ci devono essere le definizione delle responsabilità. Forse i principi ed i modi per declinare la condivisione interistituzionale.

Un esempio, banale. Udine, la Provincia e altri quattro comuni della cintura urbana, hanno predisposto un PRUSST che è stato valutato e approvato dal Ministero. I finanziamenti sono imponenti. Tra gli interventi programmati è prevista la riconversione di una vasta area industriale dismessa a nord di Udine, verso funzioni residenziali, terziarie, commerciali e parzialmente anche per attività artigianali di produzione. L'area è la porta nord di Udine, essendo posta in fregio alla Strada Statale 13, principale arteria viaria di accesso da nord alla città. Si prevedono 12 torri alte 36 metri, qualcosa come 30.000 mq di superficie commerciale, ecc. La selva di torri è perfettamente in linea con il colle di Udine sovrastato da Castello di Udine (si, proprio quello della canzone popolare "O che bel cistiel a Udin, ..."). Quella selva di torri impedirà, molto probabilmente, la piena percezione, dalla direttrice nord di ingresso alla città, del Colle e del Castello, che costituiscono l'indelebile segno di riconoscimento fisico della città e, soprattutto, l'emblema storico e culturale dell'intera comunità friulana. Oltre a ciò verrà mutato in modo radicale lo sky-line della città, che non è certo caratterizzato da fabbricati elevati, salvo casi episodici, e verranno create le condizioni per introdurre un carico urbanistico rilevante che trasformerà l'intera zona nord della città, caratterizzata da ben altre più basse densità e tipologie insediative. Ebbene: se per una mega trasformazione e riconversione urbanistica ed edilizia (progetto del piano attuativo di Gregotti) la Regione, nei fatti, sostiene che a lei non può riguardare un evento urbanistico "locale" (tutto l'insediamento grava sulla principale asta viaria che penetra da nord nella città ed è tutto da dimostrare che quell'arteria possa sopportare ulteriori carichi urbanistici, ai quali si aggiungono continue addizioni di insediamenti commerciali), il Colle e il Castello di Udine non possono essere relegati a un fatto di cultura locale. I simboli di città e di comunità sono parte sostanziale e integrante dei valori storico-culturali di una intera comunità, anche regionale. Quindi la Regione, a mio avviso, dovrebbe avere titolo per dire la sua. In questo senso asserisco, invece, che ci deve essere uno ("superpartes ?") che ha un voto in più: il 51 % del potere decisorio e lo deve usare.

NB: sulla vicenda la locale Sovrintendenza non ha detto alcunchè, gli ambientalisti idem, l'Inu si è distinta per il silenzio tombale. Le opposizioni hanno appena sibilato qualche frasetta di rito.

Sono d’accordo con l’esigenza che sottolinei. Dobbiamo però ragionare sul metodo che l’ente sovraordinato (continuo ad adoperare questo termine) adopera per esprimere l’interesse generale di cui è depositario. A mio parere il metodo è quello della pianificazione. La Regione deve dire ciò che vuole, deve definire le regole che ritiene necessarie per esercitare la sua competenza sugli oggetti e aspetti per cui è competente, mediante un “piano”: un atto amministrativo, precisamente riferito al territorio, formato con procedure trasparenti che consentano il contraddittorio (e la partecipazione), valido erga omnes. La Regione vuole che le visuali verso determinati luoghi eccellenti siano protette? Individui tali luoghi, definisca le visuali da rispettare. Poi sia rigidissima nel pretendere il rispetto della regola. Ma sono contrario al controllo caso per caso, a lume di naso, alla discrezionalità.

Naturalmente si apre il problema di quali siano gli “oggetti e aspetti” in relazione ai quali la Regione è competente. Aiuta a stabilirlo il principio di sussidiarietà, più nell’accezione europea (trattato di Mastrich) che in quella italiana. Applicandolo all’assetto istituzionale italiano, la regola europea direbbe: “Nei campi che non ricadono nella sua esclusiva competenza la Regione interviene, in accordo con il principio di sussidiarietà, solo se, e fino a dove, gli obiettivi delle azioni proposte non possono essere sufficientemente raggiunti dalle province e dai comuni e, a causa della loro scala o dei loro effetti, possono essere raggiunti meglio dalla Regione”. Discuterei a partire da questo.

All'Eddytoriale del 2 marzo, con cui sono pienamente d'accordo, manca una considerazione. Mi sembra che sia finora mancata una netta e visibile opposizione dell'Ulivo e della sinistra in generale all'abominevole proposta della maggioranza. Come può sfuggire che sono in gioco non solo il governo del territorio, ma anche questioni essenziali di democrazia? Se l'urbanistica può essere affidata a soggetti diversi dalle istituzioni elettive, se alle decisioni sui piani regolatori il parere del proprietario fondiario vale quanto quello del sindaco: allora, non è messa in discussione la stessa sopravvivenza dell'autonomia comunale, uno dei cardini della costituzione repubblicana? Noto con sconcerto che prevale un silenzio frutto di colpevole sottovalutazione o, peggio, di ambigua rassegnazione. Ti pare che questo disegno di legge sia meno grave della riforma Moratti, o del codice Urbani, o della legge Gasparri, o del condono edilizio, e così di seguito, tutti provvedimenti che hanno determinato un innegabile mobilitazione? La "svolta" dell'Inu, chiamiamola così, secondo te non è coperta da qualche inciucio con segmenti dell'opposizione?

Non mi meraviglia molto la mancanza di una “netta e visibile opposizione”. Non dimentichiamo che il terreno all’ascesa di Berlusconi è stato preparato anche dall’assunzione, da parte del centrosinistra, di temi, slogan (e forse convinzioni) proprie della destra. Non è a te che devo ricordarlo: gli slogan “meno Stato e più mercato”, “privato è bello”, “basta con i lacci e lacciuoli” sono stati pronunciati da uomini di sinistra (anche estrema) prima ancora che B. prendesse tutto il potere. E non parliamo del tappeto rosso che D’Alema ha steso ai piedi del Cavaliere! E’ come se ci fosse, da parte della sinistra, una scarsa capacità di acquisire i valori di una moderna cultura dello Stato.

E’ probabile che ci sia un nesso tra questa debolezza culturale della sinistra e l’incompiutezza della rivoluzione borghese in Italia. All’indomani della Liberazione, a sinistra si lanciò l’appello: “bisogna raccogliere le bandiere che la borghesia ha lasciato cadere nel fango” (l’amico Carlo Lojodice mi ricorda che è di Togliatti). Si intendeva dire che la classe operaia doveva assumere come propri quei valori di libertà, giustizia, democrazia che erano stati lasciati cadere nel fango del nazifascismo dalla debole borghesia liberale.

Direi che la sinistra italiana ha raccolto quell’appello, ma ha dimenticato che – tra quei valori – c’era anche quello di considerare beni della collettività quelli che, come il territorio, non sono fungibili, divisibili, riproducibili: i valori della economia liberale. Se ne è ricordata solo in alcuni momenti e luoghi: gli anni di Aldo Natoli a Roma, il lungo perodo dagli anni Cinquanta ai Settanta nell’Emilia Romagna, e qualche altro momento significativo.

Del resto,è difficile sostenere che, tra i valori della borghesia italiana prima del fascismo, ci fosse quello di una saggia amministrazione dei beni pubblici: la borghesia italiana (anch’essa, tranne qualche momento: Nathan, un certo Giolitti) ha pagato il prezzo della sua alleanza con l’Ancien régime nell’intrecciare i propri interessi con quelli della rendita fondiaria.

A questo aggiungi che: la sinistra non ha più un progetto di società; gli alleati moderati della sinistra rivelano singolari sinergie con le proposte della Cdl; la prospettiva di ogni politica si appiattisce sul breve termine della scadenza elettorale.

E’ già troppo lunga questa risposta in questa sede. Ma sarebbe utile continuare a discorrere. Per capire l’oggi e preparare il domani è indispensabile ragionare su ciò che è successo ieri. (es)

A proposito di legge urbanistica vi segnalo nell'ultimo numero di "architetti"/mar/04 - bollettino di Maggioli - un articolo di Pierluigi Properzi.

Soprattutto per gli insulti rivolti a Vezio De Lucia, reo di sostenere pubblicamente una posizione diversa da quella dell'Inu. Per questo definito tra l'altro "noto imbonitore...che cambiando di volta in volta il cappello, gira ancora per le piazze, invero sempre più piccole e sempre meno affollate, ma qualche dollaro (incarico) lo rimedia comunque nelle zone della sinistra d'annata, dura, pura e ricca". Eccetera. Credo che la storia personale di De Lucia, nota a chiunque si sia occupato di questi temi, meriti più rispetto. Saluti

Non ci credevo. Mi sono procurato il bollettino. E’ vero. Quelle parole sono state scritte e pubblicate, da un tale che (mi dicono) è stato anche vicepresidente dell’INU. In quest’Italia non stupisce che alle critiche si risponda con gli insulti: Berlusconi ci ha abituati anche a questo. Ciò che stupisce, e indigna, è che personaggi come questo Properzi abbiano cittadinanza in un istituto come l’INU. Devo dire che se ci sta uno come l’autore di quel testo, io me ne vado.

L'articolo di Pierluigi Properzi, vicepresidente dell'INU

Lettera al Presidente dell'INU (06.04.2004)

Editoriale di commiato da direttore di Urbanistica informazioni (09.1992)

Editoriale di Urbanistica informazioni “La cacciata di Vezio De Lucia” (11.1989)

Ovvero una costituzione contro la democrazia

Le radicali modifiche alla costituzione proposte dal Polo delle Libertà e in questi giorni in discussione in parlamento configurano un vero e proprio progetto eversivo, volto a creare in Italia una democrazia autoritaria su base plebiscitaria, e a distruggere una dialettica virtuosa tra poteri centrali e poteri locali, frantumando competenze e responsabilità in un coacervo di centri decisionali che renderanno impossibile ogni programmazione, e nel contempo rafforzeranno per inerzia il potere del premierato.

Non si tratta di semplici “pasticci istituzionali”, nè di modifiche “farraginose e discutibili”, come taluni poco accorti esponenti del centro-sinistra vanno dichiarando: siamo invece di fronte a norme che prevedono un assetto politico preciso, dove il grave vulnus ai diritti del pluralismo e della rappresentanza politica è funzionale a creare strumenti giuridico-istituzionali volti a perpetuare il potere dell’attuale maggioranza nelle prossime legislature. La testa d’ariete di tale organico piano di restringimento dei diritti democratico-rappresentativi è costituita dalla radicale trasformazione dei poteri del premier e del presidente della repubblica. L’elezione diretta del primo ministro, ottenuta de facto mediante il collegamento all’elezione dei parlamentari nei singoli collegi (monstrum giuridico-costituzionale che di fatto configura una figura di premier neo-peronista, e riduce a puro vassallaggio la sovranità del parlamento), il trasferimento al “cancelliere di ferro” della facoltà di sciogliere le camere, l’istituzione di un nesso immediato e senza mediazioni tra la crisi della maggioranza parlamentare e il ricorso a nuove elezioni, il radicale ridimensionamento dei poteri di garante della costituzione propri del presidente della repubblica, sono i punti principali della riforma costituzionale in itinere che prefigurano gravi e permanenti limitazioni all’esercizio democratico del potere, e disegnano un parlamento a sovranità limitata, mentre attribuiscono poteri abnormi al capo del governo. Si crea così – nell’interazione tra le suddette modifiche costituzionali e il nuovo ordinamento del sistema dell’informazione appena varato - una pericolosa miscela neoautoritaria, ove l’enorme potere di decisione senza contrappesi dell’esecutivo si somma al controllo tecnocratico e monopolistico del consenso.

Questo progetto eversivo ha incontrato sino ad ora reazioni troppo deboli da parte dell’opposizione, e le critiche, le contestazioni e le messe in guardia sono per ora relegate agli “specialismi” costituzionali, mentre l’opinione pubblica non conosce il progetto nelle sue linee essenziali e pare non avvertire il pericolo che si profila. Tutti i democratici, non solo del centro sinistra, debbono contribuire a lanciare una grande campagna contro le modifiche costituzionali in esame, denunciarne l’impianto teso a restringere la rappresentatività democratica, a far strame dell’equilibrio dei poteri, a creare la figura di un “caudillo” con poteri abnormi. Partiti, sindacati, movimenti, associazioni, noi tutti dobbiamo promuovere una mobilitazione di massa contro la costituzione peronista ed eversiva che va profilandosi, moltiplicando le azioni capillari di controinformazione e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, invocando l’ immediato ricorso al più duro filibustering parlamentare da parte del centro sinistra, e sottolineando senza tregua come le modifiche costituzionali in discussione siano in più punti incompatibili con i principi democratici fondamentali sanciti dalla costituzione europea che sta per essere approvata.

Non basta affidarsi al referendum, il problema costituzionale deve diventare il cardine di un’ offensiva a tutto campo contro la trasformazione in regime dell’attuale sistema di potere del centro destra, la cui natura politica – al di là delle cortine propagandistiche e del gioco delle parti tra “falchi” e “colombe” - è intrinsecamente votata al ridimensionamento degli spazi di democrazia e di pluralismo politico.

Sono d'accordo. Aggiungo che la modifica della Costituzione è il momento culminante di un processo di sgretolamento dei principi di fondo della democrazia borghese che è in marcia da parecchi anni. Un filo rosso lega Craxi a Berlusconi, l'autoritarismo ne è un elemento importante. Ma non tutti gli esponenti del centro-sinistra (anche tu lo rilevi) avvertono il rischio grave che la democrazia corre: in fondo, un po' d'autoritarismo farebbe comodo anche a loro.

I latini dicevano, con Giovenale, "propter vitae vivendi perdere causam" (per vivere, anzi, per sopravvivere, ridursi a perdere la ragione della vita). A molti politici d'oggi, non solo del Polo di destra, il potere è fine a se stesso: un po' maccheronicamente si potrebbe rimproverar loro "propter politicae politicandi perdere causam" (es)

Caro Edoardo,ho appena letto le lettere di Paolo Avarello e di Lodo Meneghetti. Ti assicuro: non mi annoiano affatto le "ciacole" tra anziani professionisti. Forse ad Avarello potranno pure dare noia e lo capisco. Io credo che in fin dei conti la questione sia molto semplice - banalizzo ? Non è più tanto chiaro cosa sia destra e cosa sia sinistra.

Però c'è, come scrisse Bobbio alcuni anni fa, un tratto distintivo che fa la differenza tra una e l'altra parte. La sinistra è più propensa a ritenere che le diseguaglianze vadano colmate, la destra pensa che in fin dei conti le diseguaglianze debbano starci. In urbanistica, cioè in come si immaginano i ruoli e le funzioni dei soggetti titolari di un dovere in forza della legge e di come questi posono immaginare di governare la citta e il territorio nei quali vivono e lavorano le persone e si stratificano le loro storie e culture, le cose sono sostanzialmente le medesime. Penso che non sia cosa da annoiare chi abbia a cuore il Paese, partecipare per l'una o l'altra modalità di impostare, in definitiva, la propria vita in una società di cui si fa parte. Tutto qui. E l'Inu, come ben scrivi tu, ha cambiato spalla al fucile, checchè ne dicano lor signori.

Una fra tutte: perchè Avarello ce l'ha così tanto con gli uffici tecnici comunali ? All'Inu mi pare ben poco interessi la professionalità delle strutture pubbliche. Il perchè è ovvio. Sono deboli quelle strutture ? Spesso è vero. Le cose da sapere sono molte e più complesse di un tempo ? E' vero anche questo. Allora rafforziamole queste strutture pubbliche, non lasciamole andare in malora. Ancora una volta piccola differenza, che fa un mondo di differenza però.

Stefano Fatarella, urbanista pubblico

Non parlerei genericamente dell'INU, che è una struttura composta da molte persone e molte sezioni, ma del suo attuale gruppo dirigente.

Come sai, ritengo da tempo che le esigenze, le speranze (e le frustrazioni) degli "urbanisti pubblici" non siano adeguatamente rappresentate da nessuna associazione. Eppure, dai miei maestri (Astengo e Detti, per non citare che i principali) e dalla pratica ho imparato che la funzione dell'urbanista è una funzione ubblica, e che il ruolo tendenzialmente privilegiato è all'interno delle strutture integrate al potere elettivo. Molti ne sono convinti, ma nessuno è stato ancora in grado di esprimere organizzativamente (quindi politicamente) questa convinzione. (es)

Lodo Meneghetti giustamente richiama lo scempio che sta per rovesciarsi sull'area del vecchio recinto fieristico con 900.000 mc di case ed uffici (indice fondiario 7 mc/mq !) che non potranno essere alti meno di 50 metri. Un gruppo di cittadini della zona ha deciso di ricorrere al TAR entro la fine di marzo. Ti allego una nota riassuntiva al riguardo. Chi fosse interessato a sostenere l'iniziativa può scrivere a
sergio_brenna@fastwebnet.it
L’appello èraggiungibile qui. Contiene un’ampia illustrazione del progetto e del suo iter

Caro Eddy,

francamente a me sembra meglio “cambiare di spalla” al fucile, e continuare a mirare al bersaglio, piuttosto che spararsi sui piedi. Ti ringrazio comunque per l’aiuto che dai all’Inu nel diffondere il nostro documento sulla riforma presentato alla audizione parlamentare, leggendo il quale con cuore puro, e senza pregiudizi di parte, o personali, è difficile parlare di “applausi” alla unica proposta oggi in discussione.

E vale la pena di ricordare che ciò avviene perché la tua parte ha volutamente affondato la precedente proposta (Lorenzetti), che pure era nata al suo interno, e che certo meglio rispecchiava le posizioni dell’Inu. Questo accadeva alcuni anni fa. I motivi a me restano ancora oscuri; ma certo non a te, che conosci bene la politica e i politici: quelli che non si toccano, e quelli che si possono sacrificare nelle guerricciole interne ai partiti.

L’Inu dunque non applaude affatto, anzi critica, e puntualmente e nel merito. Ma l’Inu vuole fortemente la riforma della legge nazionale, che ci sembra tanto più necessaria al crescere delle autonomie regionali e locali, che l’Inu ha sempre sostenuto; che è ormai sancita anche dalla Costituzione; e che di fatto ha già portato, attraverso le leggi regionali e le pratiche concrete, a una “riforma diffusa” della urbanistica italiana, resa però complicata, pesante, difficile e sempre a rischio Tar dal permanere di spezzoni ormai incoerenti della legislazione nazionale d’epoca. O non te ne sei accorto?

Il problema dunque è all’oggi, non a qualche anno o qualche decennio fa.

Subito dopo il Congresso di Napoli (dicembre 2000) l’Inu ha cominciato a occuparsi della “nuova” riforma urbanistica, ovviamente nel mutato contesto politico: non mi pare che le forze politiche ora all’opposizione abbiano fatto altrettanto – con l’unica e quasi solitaria eccezione di Pierluigi Mantini – avendo per altro dichiarato, proprio al nostro Congresso, che il tema della riforma, in fondo, “interessava solo l’Inu”.

Tuttavia un certo interesse “politico” per questo tema sembra essere inopinatamente rinato quando queste forze si sono accorte (negli ultimi mesi: un po’ in ritardo) che la “proposta Lupi” stava andando avanti; e il tema sembra diventare “caldo” ora, seppure strumentalmente, in prossimità delle elezioni. Cominciano allora gli esercizi retorici, la corsa a raffazzonare qualche cosa; infine la decisione furbetta di fingere una disponibilità a collaborare, per emendare alcuni punti non accettabili della “proposta Lupi” (più o meno quelli individuati anche dall’Inu), però chiedendo tempo: per mettere a fuoco il problema, per discuterne con calma, per ri-riformare prima la Costituzione, o magari per farsi venire qualche idea che fino ad ora manca del tutto.

Tempo, troppo tempo: è chiaro infatti a tutti che se il disegno di legge non entra in agenda entro l’estate (cosa per altro difficile, ma non impossibile) anche questa volta se ne farà nulla. Quello che chiede appunto Italia nostra, per bocca guarda caso dei nostri comuni amici, per l’occasione con un nuovo cappellino; ma rimandare sine die è anche la “coraggiosa” parola d’ordine che circola dalle “tue parti”. Così come evidentemente circola l’idea che sia un buon diversivo sparare a zero su chi qualche idea ce l’ha, e magari continua a insistere con ostinazione nel portarla avanti.

Tu riporti e fai tue le “critiche”, o piuttosto i sospetti di Italia nostra: le Regioni “potrebbero” decidere di non pianificare alcune parti del territorio; potrebbero incaricare “speciali agenzie” (invece di consulenti “speciali” scelti per schieramento di parte?). È il disegno di legge allora che non va bene, o in realtà questa insipiente dietrologia nasconde il fatto che non ci si fida delle autonomie regionali? Autonomie come è noto ormai sancite dalla Costituzione, però ben avviate da Bassanini, Bersani e altri che a occhio e croce proprio “berlusconiani” non definirei. E guarda che le Regioni “potrebbero” fare anche adesso molte cose che non fanno, tra cui quelle citate, seppure a rischio di contenziosi alla Corte Costituzionale, che intanto fioccano comunque, ormai con pericolosa frequenza e intensità.

Lo sviluppo delle autonomie regionali e locali in ogni caso è un dato di fatto, da cui non si torna indietro: possono anche essere un problema, ma se lo sono bisogna risolverlo a partire da questo dato di fatto. E francamente invocare il centralismo della legge del 1942, o di quella del 1967, non mi sembra una grande idea progressista per risolverlo. Così come mi sembra francamente un po’ sciocco accusare pregiudizialmente (o anche solo sospettare) le Regioni, ed eventualmente i Comuni, di voler “mercificare il territorio e gli immobili”, quando invece è proprio dallo Stato, oggi, che soffiano venti di (s)vendite immobiliari e relative cartolarizzazioni, seppure poco probabili.

Certamente conosco bene la preferenza tua e di qualcun altro per una pianificazione autoritaria e dirigistica, e il vostro irreprimibile fastidio per l’idea che una amministrazione possa ricorrere a forme di contrattazione esplicita (su quella sotto banco spero che siamo d’accordo. O no?) per perseguire i propri obiettivi. In proposito mi sono anzi sempre chiesto perché mai riteniate che una amministrazione pubblica così forte, ricca e attrezzata da decidere e poter realizzare tutto debba poi necessariamente soccombere agli interessi privati (che per altro non sono solo quelli della proprietà immobiliare), anziché riuscire a “governare” i processi di trasformazione, traendone qualche utile per la collettività. Cosa che per altro i vecchi piani non mi sembra riuscissero a fare tanto bene, e certamente, se mai è stato, ora non più.

E nel confronto tra i due sistemi (autoritativo vs contrattuale) bisognerebbe davvero guardare all’esperienza degli altri paesi europei, che tu citi, per la verità, scusa, un po’ a sproposito, ma quella di riqualificazione urbana degli ultimi vent’anni, e non quella che tu ricordi dei grandi programmi di edilizia residenziale sociale dal dopoguerra agli anni ’70.

Su un punto comunque desidero affettuosamente rassicurarti: è infatti ancora pensiero convinto dell’Inu che la pianificazione (seppure non quella autoritaria e dirigistica che ti piace) debba essere necessariamente una funzione “pubblica”, per motivi di principio, ovviamente, ma anche perché non sarebbe affatto conveniente per i privati.

I privati “speculatori” infatti vogliono una pianificazione pubblica, e anche il più precisa possibile (altro che piani non “conformativi della proprietà”, su cui non si possono accendere mutui e gonfiare i bilanci d’impresa), salvo poi ottenere per vie traverse fruttuose “varianti” (e magari eventuali espropri “concordati”), a proprio vantaggio, e senza alcun beneficio per l’amministrazione e la cittadinanza (ma a volte sì, invece, per singoli amministratori e professionisti di corredo). E anche i privati “speculatori” sono, non a caso, del tutto contrari, come te, sia alle pratiche concertative e contrattuali esplicite e rese pubbliche, sia alla concorrenza che inevitabilmente ne deriva.

Se proprio l’Inu non ti piace più, caro Eddy, sai quindi dove rivolgerti per trovare consensi. Perché ti assicuro che l’Inu continuerà in ogni modo possibile a fare pressione per avere finalmente la legge statale di riforma urbanistica, e continueremo con ogni sforzo possibile per migliorare quanto possibile l’unica proposta che è oggi in corso di definizione. Certo in questo avremmo bisogno di aiuto. Purtroppo molti amici di un tempo preferiscono dedicarsi a inutili proclami e, se non cambiano mai di spalla, si divertono però a sparare sul bersaglio che credono più facile, l’Inu appunto, anziché impegnarsi come un tempo su battaglie più serie e più difficili. Peccato!

Paolo Avarello, (mi scuserai se, contrariamente al solito, aggiungo, e con orgoglio ...), Presidente Istituto nazionale di urbanistica

Caro Paolo, comprendo il tono irritato della tua lettera. Essa peraltro solleva alcuni punti sui quali vorrei provare a ragionare in modo più disteso da quanto comporterebbe una replica immediata. Un punto però vorrei chiarire subito: non mi sento più corresponsabile di alcuna “parte politica”, e non ho bisogno di “trovare consensi”. Mi basta dire (scrivere) quello che penso: se molti sono d’accordo con me, meglio, altrimenti va bene lo stesso. Scriverò quello che penso ciò nel prossimo “ Eddytoriale”, riprendendo un paio di punti della tua lettera che mi sembra abbiano un rilievo più generale, nel senso che esprimono idola tribus alquanto diffusi. Ne ragioneremo, spero, in questa e magari in altre sedi: a ragionare sono sempre disponibile.

credo proprio che nell’Inu nessuno abbia mai pensato di attribuire a soggetti altri e diversi dagli enti territoriali elettivi le funzioni di pianificazione. Né per altro dice questo la proposta di legge Lupi “unificata”, laddove prevede: “Le regioni individuano gli ambiti territoriali, i contenuti e gli enti competenti alla pianificazione del territorio ... ” (art. 5). Si tratta certamente di un passaggio critico, che si scontra esplicitamente con una consuetudine italiana ormai consolidata, e che pertanto va adeguatamente valutato e discusso – però nel merito – ma che non nega affatto il principio (a mio parere ovvio) che la pianificazione sia affidata a questi enti, e non per esempio alle Soprintendenze, come pure qualcuno vorrebbe.

Spetta dunque senz’altro agli enti elettivi la titolarità della pianificazione e, soprattutto, la responsabilità della sua attuazione: in questo siamo ancora tutti astenghiani di ferro. E proprio per questo l’Inu sta da tempo lavorando, e producendo, ipotesi di piani – o meglio, e ancora astenghianamente – di pianificazioni che pongano “maggiore attenzione alla domanda e alle risorse della società e dell’economia”; ovvero che sappiano rispondere utilmente alle domande della società di oggi – e quindi anche degli enti che la rappresentano e che dovrebbero governarla – e alle risposte che essa può mettere in campo con le risorse di cui effettivamente dispone.

Basterebbe per questo rafforzare gli uffici tecnici comunali? E magari solo per continuare a produrre i vecchi piani? Non lo credo, e certo non puoi crederlo tu, anche perché sappiamo tutti che quei piani, e le relative modalità di attuazione, sono nati storicamente per una società e per esigenze affatto diverse da quelle di oggi.

Inutile nascondere, comunque, che l’Inu è stato spinto a questa impresa – ormai più di dieci anni fa – anche dai preoccupanti sbuffi di de-regolamentazione assoluta che già allora alitavano, e non solo dalle aree politiche ora al governo. Sbuffi e soffioni legittimati di fatto, anche presso l’opinione pubblica (che in una società democratica conta qualcosa), dal permanere del vecchio sistema di pianificazione (che poi “sistema” non era) e, forse ancor più, dalla strenua difesa d’ufficio che se ne faceva, sempre e solo in termini di principio, retorici o ideologici.

Piuttosto che rinunciare del tutto al piano e alla pianificazione, in definitiva, l’Inu ha preferito (tentare di) rinnovare la concezione stessa della pianificazione, secondo principi e modi – certo anch’essi imperfetti – che con diverse declinazioni, come sai, ormai circolano e si sperimentano in molte Regioni, perfino con qualche entusiasmo, sebbene sempre a “rischio Tar”, per il permanere di spezzoni (ormai) delle vecchie leggi. Da qui l’esigenza di una legge statale che ce ne liberi, senza per altro alcun bisogno di “riformare” la riforma che di fatto e nella sostanza è stata ormai avviata, seppure faticosamente, ai livelli regionali, dove in ogni caso la materia stessa è posta dalla Costituzione.

Anche dal punto di vista prettamente culturale, comunque, mi sembra che l’urbanistica sia oggi meno deprimente di dieci anni fa, anche se, o proprio perché, richiede qualche sforzo di adeguamento, che ovviamente non tutti sono disposti ad affrontare. “Urbanistica informazioni” in ogni caso è sempre aperta a ogni contributo, comprese le critiche; meglio evitare però gli scambi epistolari tra due anziani signori, che finirebbero per annoiare i lettori.

Ciao, Paolo

Sei sicuro che gli scambi epistolari tra signori che ne hanno viste tante annoi i lettori? Quando facevo Urbanistica informazioni i confronti tra opinioni diverse su temi centrali erano considerati parte rilevante del servizio della rivista dell’INU. E in Eddyburg le discussiioni non sono tra le cose meno seguite. Ti sembra che il “cambiamento di spalla al fucile” dell’INU non sia un argomento rilevante per i soci dell’istituto che presiedi?

E sei davvero convinto che la miserabile legge Lupi sia meglio dei “prncipi desumibili dalla legislazione previgente”? Quest’ultima non ha impedito ad alcune regioni (non poche, per la verità) di fare leggi urbanistiche che hanno applicato il modo nuovo di pianificare che alcuni di noi, e poi l’INU al congresso di Bologna, avevano proposto e sperimentato.(es)

© 2024 Eddyburg