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Caro Ministro Lupi, sollecitato dal suo invito a partecipare a una consultazione pubblica nel sito del Ministero da lei presieduto, mi permetto di esprimere il mio pensiero >>>

Caro Ministro Lupi,

sollecitato dall'invito a partecipare a una futura consultazione pubblica sul suo disegno di legge "Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana", mi permetto, in anteprima, di esprimere il mio pensiero. Dopo avere letto, con una certa condivisione, nel primo articolo che "il governo del territorio consiste nella conformazione, nel controllo e nella ge­stione del territorio, quale bene comune di carattere unitario e indivisibile", sono stato insospettito dal fatto che lo stesso articolo recita che "le politiche del «governo del territorio» garantiscono la graduazione degli interessi in base ai quali possono essere regolati gli assetti ottimali del territorio e gli usi ammissibili degli immobili."

Di quali interessi si tratta? Il testo del disegno di legge lo chiarisce oltre ogni ragionevole dubbio: sono gli interessi dei proprietari immobiliari che devono essere tutelati, sostenuti e promossi dagli enti locali, che - volenti o nolenti - devono assecondarli con accordi fuori o dentro gli strumenti urbanistici. Di più: al di là delle petizioni di principio, appare con tutta evidenza che il disegno di legge considera il territorio come supporto neutro e indifferenziato per l'attività edilizia; di fatto, l'articolato non si occupa di paesaggio, ambiente, territorio, intesi come patrimonio della collettività ma di quanta volumetria vi si possa spalmare, in forma di espansione urbana (soprattutto) o di "rinnovo urbano", quest'ultimo usato come un grimaldello per aggiungere metri cubi a metri cubi. Che questa sia la finalità del legislatore Lupi, che non vorrei avesse come modelli culturali di riferimento le imprese dei vari Ligresti, Zunino e simili gentiluomini operanti nella sua Milano, è chiarito già al comma 4 dello stesso primo articolo su "oggetto e finalità della legge: "Ai proprietari degli immobili è riconosciuto, nei procedimenti di pianificazione, il diritto di iniziativa e di partecipazione, anche al fine di garantire il valore della proprietà".

Questo è il primo obiettivo della Legge; il secondo, complementare, è di sottoporre alla regia e ai voleri dello Stato (leggi: Governo) le eventuali Regioni che andassero contro corrente o reclamassero l'esclusività delle competenze in materia di pianificazione urbanistica; la legge introduce, infatti, un misterioso strumento di promulgazione statale, la Direttiva Quadro Territoriale (DQT), che "garantisce l’espressione della domanda pubblica di trasformazione territoriale che la pianificazione paesaggistica deve contemplare" Sì, avete capito bene: la DQT garantisce che la "domanda pubblica di trasformazione territoriale" (cioè alta velocità, grandi opere, e perché no, tutte le operazioni private battezzate in qualche modo di interesse pubblico) non sia ostacolata da fastidiosi intralci, come, ad esempio, i piani paesaggistici: con un rovesciamento dei valori e delle finalità sanciti nella Costituzione vigente che, non a caso, il duo Renzi-Berlusconi vuole stravolgere in senso autoritario.

E via via nell'articolato della legge è un crescendo di disposizioni dove l'urbanistica è intesa come contrattazione dei metri cubi con l'iniziativa privata: "La legge regionale determina per ogni ambito territoriale unitario ... i limiti di riferimento di densità edilizia" (art. 6). "Nell’ambito della formazione del piano operativo, i privati possono presentare proposte per operazioni di trasformazione urbanistica.... Le proposte, corredate da progetti di fattibilità, si intendono come preliminari di piani urbanistici attuativi" (art. 7). "La disciplina della conformazione della proprietà privata... rispetta il principio di indif­ferenza delle posizioni proprietarie". "Le operazioni di rinnovo urbano possono essere realizzate anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità dalla stessa, previo accordo urbanistico tra Comune e privati interessati dalle operazioni" (art. 16). Fa da corollario l'abolizione degli standard di legge del DM 1444 del 1968, evidentemente per ridurne la quantità minima obbligatoria, dato che nessuno ne impedisce una dotazione più generosa.

Il tutto in un testo che in non poche parti appare confuso e contraddittorio, ma da cui scompare non solo il governo del territorio "in tutte le sue componenti, culturali, ambientali, naturali, paesaggi­stiche, urbane, infrastrutturali" (art. 1), ma scompare anche la stessa urbanistica; l'evidente paradosso è che una legge che vorrebbe essere di modernizzazione non solo è culturalmente più arretrata della storica legge 1150 del 1942, ma sembra un tragicomico ritorno agli anni '50 e '60. E' cieca e sorda al fatto che "lo sviluppo" e la "competizione urbana" in Europa, nel 2014, si gioca sulla valorizzazione dell'ambiente, del paesaggio, della qualità della vita, sul risparmio di suolo (per incentivare il quale la legge - udite udite - propone di diminuire gli oneri di urbanizzazione a chi costruisce con maggiori densità).
Nella legge del Ministro Lupi i veri protagonisti sono i diritti edificatori creati artificiosamente attraverso i principi di indifferenza, perequazione, compensazione e premialità (gli enti pubblici possono attribuire agli attori della riqualificazione urbana ulteriori metri cubi). Diritti edificatori che volteggiano sul territorio per atterrare dove proprietari e Comuni si mettano d'accordo. Un ulteriore corollario: gli enti locali dovranno adeguare i loro strumenti urbanistici, in sostanza rifarli ex novo, sulla base di una disciplina paesaggistica e alla nuova legge fra loro conflittuali nella sostanza e incompatibili da un punto di vista giuridico.

Mi permetto, in conclusione, di dare un consiglio al Ministro Lupi. Getti il suo disegno di legge nel cestino della carta straccia. Si ispiri a delle buone leggi regionali di vero "governo del territorio", ad esempio al disegno della nuova legge toscana. Sostituisca o integri il team che ha formulato la Legge, composto quasi esclusivamente di avvocati e di esperti di diritto con qualche vero urbanista, oltre al buon Franceso Karrer, in questi giorni da lei nominato Commissario dell'Autorità portuale di Napoli. E per gli amici di eddyburg un invito: partecipate numerosi alla consultazione promossa dal Ministro. Sperando che qualcuno nel governo si ravveda: il governo del territorio non è cosa che riguardi solo il Ministro delle Infrastrutture. Rifiutare la legge Lupi - più ancora che l'articolato principio che lo ispira, la sacralizzazione di un diritto edificatorio ubiquitario - non è di "sinistra" o di ispirazione ambientalista, ma solo mossa di buon senso: vale a dire essere consapevoli che garantire e cristallizzare la rendita immobiliare e pensare all'edilizia come propellente dell'economia è quanto meno di moderno e intelligente si possa fare in un paese dove (dati ISPRA 2013) si consumano annualmente quasi 22.000 chilometri quadrati di suolo. Ma evidentemente per Lupi e Co questo non è ancora sufficiente.

Riferimenti
Si veda su eddyburg: Riforma urbanistica: una proposta preoccupante di Mauro Baioni

Agosto, anno 1996, Toscana. Alberto Asor Rosa denuncia la costruzione di un complesso di villette in "stile rustico" prontamente ribattezzato "ecomostro", 21.000 metri cubi ai piedi del borgo medievale di Monticchiello.....>>> 10 giugno 2014
Agosto, anno 1996, Toscana. Alberto Asor Rosa denuncia la costruzione di un complesso di villette in "stile rustico" prontamente ribattezzato "ecomostro", 21.000 metri cubi ai piedi del borgo medievale di Monticchiello. L'allora assessore al territorio Riccardo Conti riconosce che “il nuovo insediamento fa schifo”. Ma era proprio la nuova legge urbanistica voluta dall'assessore che lasciava ai Comuni le mani completamente libere nelle scelte edificatorie. Il presidente della Regione, Claudio Martini, dichiarava: “Noi non condividiamo quell’opera, ma non possiamo farci niente. Possiamo solo rafforzare gli strumenti perché in futuro un caso Monticchiello non accada più”.

Sono passati otto anni e in località Pavicchia, nel territorio di San Giovanni d'Asso, a poche centinaia di metri da Montisi, splendido castello medievale circondato da oliveti e vicino al'altrettanto splendido borgo di Trequanda, è annunciato un nuovo caso Monticchiello: 29.000 mc. di nuova edificazione comprendente un albergo, diverse residenze turistico-alberghiere e un centro benessere. Da un punto di vista urbanistico il "progetto Pavicchia" rappresenta il contro-esempio di quanto sarebbe opportuno fare. Si vogliono realizzare nuovi volumi in aperta campagna, in un paesaggio prezioso e delicato, ben in vista dai due centri etrusco-medievali di Montisi e Monterifré, prevedendo lo spaventoso rapporto di copertura territoriale del 40%. Ma se da un punto di vista urbanistico il progetto è completamente sbagliato, da un punto di vista architettonico supera ogni limite di bruttezza. Un'ammucchiata confusa di case, un'edilizia caricaturale che il progettista evidentemente crede in tipico stile rurale toscano: ovverosia, intonaci con paramenti a vista in pietrame, tetti (ci si immagina coperti in cementegola) con aggetti a pagoda; e, immancabilmente, archi ribassati, logge che evidentemente sono un "must" cui non si può rinunciare. Difficile concentrare in così poco spazio tanti errori urbanistici e tante nefandezze architettoniche.

I sostenitori del progetto annunciano la creazione di ben dieci posti lavoro che dovrebbero alleviare la disoccupazione della zona. Ma si dimenticano che nel territorio di Montisi ("magica Montisi", per riconoscimento internazionale) vi sono già attività che valorizzano le risorse del territorio, alberghi, agriturismi, vendite di prodotti tipici, ristoranti, attività escursionistiche, itinerari culturali. Meglio dieci nuovi imprenditori (e forse più), piuttosto che dieci nuovi dipendenti fra camerieri, addetti alle pulizie, cuochi e inservienti. Aggiungendo che a l'area di Pavicchia è priva di sorgenti e ha, in estate, problemi di rifornimento idrico, mentre molto più logica sarebbe, la realizzazione di un centro benessere a Bagnacci, località dotata di un'antica fonte termale in travertino, gore, mulini e un sistema idrico storico da recuperare; un'area di cui il Regolamento Urbanistico vigente prevede "la riqualificazione, il restauro paesistico e la valorizzazione attraverso il suo sviluppo a fini termali e turistici".

Nella legislatura vigente, la Regione Toscana, per iniziativa dell' assessore al territorio Anna Marson, ha elaborato una nuova legge urbanistica e un nuovo piano paesaggistico, che, insieme, impedirebbero il "progetto Pavicchia". Ma entrambi i documenti, dopo un'approvazione da parte della Giunta sembrano arenati nelle secche del Consiglio regionale. Dove ancora dominano gli (ex) amministratori locali, ignari di quanto sta accadendo nel mondo (da un punto di vista economico) e in Italia (anche da un punto di vista politico). In attesa che qualcuno di questi amministratori, assunto alla carica di presidente della Regione, si stracci le vesti per uno scempio abbondantemente annunciato.

Immaginiamo per un momento di abitare in un paese normale, dove si vuole costruire un nuovo stadio... >>>

Immaginiamo per un momento di abitare in un paese normale, dove si vuole costruire un nuovo stadio che sia in grado di garantire adeguati guadagni di esercizio alla società di gestione. Il piano regolatore della città o dell'area metropolitana ne ha stabilito la localizzazione in stretto coordinamento con un programma di investimento nei trasporti, tenendo conto di sinergie e possibili conflitti con altre attività. Il nuovo stadio ha tutti i requisiti per diventare una parte della città, collegandosi a un sistema di parchi ed essendo ben servito dai mezzi pubblici. I progetti, presentati in accordo con il piano regolatore, sono discussi con la partecipazione dei cittadini; i tempi sono rispettati perché tutto avviene secondo programmi e regole ... in un paese normale.

In un paese anormale, dove vige sempre l'eccezione, l'emergenza come metodo per affrontare gli investimenti in grandi opere - ma ormai qualsiasi trasformazione urbana di qualche entità - si approva invece una "legge degli stadi", due commi inseriti nella legge 147 del 2013, "di stabilità". Secondo la legge, i nuovi stadi non nasceranno da soli, ma saranno accompagnati da interventi "strettamente funzionali alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa..." (comma 304). Quali siano questi interventi ce lo spiega il Commissario Straordinario dell’Istituto per il Credito Sportivo; sono:" bar, ristoranti, musei dello sport, fun shop, ma anche alberghi o centri commerciali, il tutto per ottenere ricavi integrativi e diversificati, funzionali al conseguimento del complessivo equilibrio economico finanziario dell’iniziativa". La legge stabilisce un percorso di approvazione dei progetti a tappe forzate, se questi sono presentati da società sportive e costruttori associati tra loro e d'accordo con il Comune; ne prevede, inoltre, la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza - sollecitudine che non ha uguali nelle opere di difesa del territorio da alluvione e catastrofi. La legge non lo dice esplicitamente, ma l'approvazione dei progetti nelle conferenze di servizi comporterà automaticamente varianti urbanistiche ad hoc.

Tutto ciò in nome della cosiddetta "compensazione". Vale a dire che le società di calcio italiane, a differenza di quelle di altri paesi europei, non pensano di guadagnare a sufficienza con la vendita dei biglietti e il merchandising sportivo, ma devono "compensarsi" con gli introiti di centri commerciali, di alberghi e di terziario di ogni tipo; e anche questo non sembra abbastanza ai presidenti delle società di calcio, che spesso hanno interessi nelle società di costruzioni. Il Presidente della Lega di serie A si è infatti lamentato che fosse stato stralciato da un primo testo della legge la possibilità di realizzare, a ulteriore compensazione, anche edilizia residenziale. Gli stadi, quindi come passepartout per investimenti e speculazioni che con lo sport non hanno a niente a che fare.

La legge sugli stadi, se mai ce ne fosse bisogno, sancisce ancora una volta che in Italia non esiste più l'urbanistica, smantellata progressivamente da provvedimenti di deregulation, additata al pubblico ludibrio come attività burocratica e di impaccio allo sviluppo (al pari della tutela dei monumenti e dei siti storici da parte delle Soprintendenze). In un martellamento pubblicistico che vuole far credere che il project financing significhi crescita economica e modernizzazione; mentre, al contrario, tutto ciò che di positivo è stato realizzato negli ultimi venti anni in Europa - dai grandi processi di riqualificazione territoriale alla costruzione di stadi e aeroporti - ha avuto successo perché guidato dalla mano pubblica, con programmi e piani ben studiati, dove i privati hanno avuto un ruolo importante ma non sostitutivo delle amministrazioni. Noi siamo invece per una non-pianificazione fatta di interventi casuali, non coordinati ed eventualmente finanziati con fondi straordinari; siamo il paese delle opere incompiute dei rabberci e, ovviamente della corruzione, che è alimentata dalla mancanza di regole. L'Aquila dopo cinque anni è ancora un cumulo di macerie, ma potrà - si dice - avere uno stadio in un anno.

In un comunicato di inaudita violenza il Coordinamento delle attività estrattive lapidee del Parco delle Apuane chiede al Tar... >>>

In un comunicato di inaudita violenza il Coordinamento delle attività estrattive lapidee del Parco delle Apuane chiede al Tar l'annullamento della delibera con cui la Giunta della Regione Toscana ha approvato il nuovo Pit con valenza di Piano paesaggistico, nonché del Piano stesso "pieno zeppo di errori procedurali, istruttori e legislativi" e - sempre secondo il Coordinamento - in violazione della Costituzione e di diritti incoercibili della proprietà privata. Al centro del fuoco Anna Marson, accusata di ogni nefandezza, "responsabile di un’azione violenta, illegittima, ....volta unicamente a ledere l’identità del territorio, della sua attuale realtà produttiva e del suo futuro". L'Assessore Marson di cui le "aziende tutte, e i lavoratori, chiedono le dimissioni per i gravi danni che già sta provocando ad una realtà territoriale salda e solida da centinaia di anni". E ce ne è anche per Italia Nostra, Legambiente e le associazioni ambientaliste, cui "qualora queste non interrompessero le loro azioni delatorie (sic), le imprese ...domanderanno in sede giudiziaria risarcimenti per il danno economico e di immagine".

La furia vendicatrice del Coordinamento, sia pure espressa in modo sintatticamente sgangherato e giuridicamente inconsistente, trova una spiegazione nella situazione di rendita super privilegiata in cui si trovano le imprese lapidee che dalle Apuane estraggono blocchi o, per lo più, detriti di marmo: canoni concessori minimi, il 13% di un valore del marmo generalmente sottostimato, e praticamente nulli dove - come nel territorio del comune di Massa - ancora vigono le leggi estensi del diciottesimo secolo. Concessioni perpetue (sempre secondo il diritto estense) e negli altri casi aggiudicate senza gara per un tempo lunghissimo e rinnovabili automaticamente. Una vera pacchia! A fronte sta un'occupazione ridotta al minimo (circa mille addetti e non cinquemila come il Coordinamento aveva millantato in un primo comunicato), la gran parte del materiale esportato, l'indotto locale sempre più esiguo. I costi tutti scaricati sul territorio, mentre il tunnel in costruzione, che migliorerà la situazione di inquinamento aereo nel centro di Carrara, sarà pagato dai cittadini a tutto vantaggio delle imprese che usufruiranno di una consistente riduzione dei costi di trasporto.

Naturalmente il Coordinamento dimentica di dar conto delle inadempienze sistematiche delle aziende impegnate nelle attività estrattive: la mancanza di raccolta delle acque a piè di taglio, l’assenza o il mancato utilizzo degli impianti di depurazione spesso esistenti solo sulla carta, i rifiuti abbandonati nelle cave dismesse, la mancata attuazione dei piani di ripristino, una diffusa e impunita inosservanza di regolamenti e prescrizioni. Si dimentica, altresì, il Coordinamento dell'inquinamento delle falde, delle sorgenti e dei torrenti, della diffusione di polveri sottili, degli innumerevoli danni ambientale e paesaggistici; considerazioni già contenute nell'articolo "Le Apuane e lo scandalo del Piano Paesaggistico", ospitato da eddyburg.

Ma quale è il peccato mortale del Piano? La colpa è di cercare di frenare il taglio delle vette al di sopra dei 1200 metri e di limitare l'estrazione all'interno del Parco delle Apuane, facendo salve le concessioni esistenti, ciò che ha provocato la netta contrarietà del Presidente del Parco, (vicepresidente uscente, già segretario del Pd di Fivizzano), evidentemente più sensibile agli interessi dei cavatori che a quelli dell'ente da lui presieduto.

L'attacco forsennato del Coordinamento, contro tutto e contro tutti, rivela una concezione di rapina del territorio e tutto sommato la miopia di chi non capisce che sarebbe saggio accettare una contenuta riduzione dei profitti a fronte del vantaggio di essere coprotagonisti di uno sviluppo economico più equilibrato, diffuso, capace di valorizzare le risorse dell'intero contesto territoriale e di migliorare la qualità di vita delle popolazioni. Una miopia e una resistenza che annoverano il Coordinamento come socio onorario del movimento dei forconi, in un metaforico rogo di leggi, piani, regole e buon senso. In attesa che qualcuno spieghi ai cavatori che la tutela del paesaggio secondo la Costituzione (da loro impropriamente evocata) prevale sugli interessi economici e che , sempre secondo la Costituzione, la salute è un "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività". Ma forse dietro ai forconi apuani vi è qualcuno che soffia sul fuoco: si bombardano le Apuane per fare fuori la nuova legge urbanistica e il piano paesaggistico con le loro assurde pretese di contenimento del consumo di suolo e di tutela del paesaggio.

Il Coordinamento delle attività estrattive lapidee del Parco delle Apuane, a fronte delle prescrizioni del nuovo Piano paesaggistico ... >>>

IIl Coordinamento delle attività estrattive lapidee del Parcodelle Apuane (d'ora in poi Coordinamento), a fronte delle prescrizioni del nuovoPiano Paesaggistico che ha avuto una prima approvazione dalla Giunta regionale,in un comunicato alla stampa (Repubblica, Firenze, 20/2/2014) si è addiritturaappellato al Presidente della Repubblica.: "invitiamo Giorgio Napolitano.. a recarsi a verificare e a conoscere le ragioni delle famiglie dei 5000lavoratori, senza contare l'indotto, e delle imprese tutte, affinché sulla basedella Costituzione della Repubblica Italiana 'fondata sul lavoro' vengapreservato il lavoro della comunità dell'Apuo-Versiliese". Dall'altraparte, vi è chi sostiene che l'occupazione legata alle attività estrattive e dilavorazione del marmo sia di circa un migliaio di addetti e anche su questecifre - importanti - bisognerà trovarsi d'accordo. Il Piano Paesaggistico proibiscel'apertura di nuove cave o l'ampliamento di quelle esistenti in tuttol'Appennino al di sopra di 1200 metri elimita l'apertura di nuove cave sulla dorsale carbonatica delle Apuane.

Il Coordinamento, oltread appellarsi al Presidente della Repubblica che ha onorato con la croce dicavaliere 12 uomini della Cooperativa Condomini di Levigliani come ci ricordail comunicato, ma che si trova lontano, dovrebbe preoccuparsi di quello chesuccede in casa propria, a cominciare dalle criticità segnalate nella relazione"Le attività di ARPAT nei processi di coltivazione deimarmi e dei materiali lapidei" presentata da Gigliola Ciacchini,responsabile del Dipartimento ARPAT di Massa Carrara in un convegno del7/12/2013 svoltosi a Campiglia Marittima: "Già la gestione delle acque dilavorazione porta spesso a segnalare irregolarità per la mancanza di raccoltadelle acque a piè di taglio, per l’assenza o il mancato utilizzo degli impiantidi depurazione, che spesso sono descritti solo sulla carta, per la presenza difango in tutta l’area di cava in inverno o di polvere in estate"... "Lagestione dei rifiuti è critica, normalmente si trovano rifiuti abbandonati incave dismesse, senza che nessuno abbia provveduto a far attuare i piani diripristino, almeno nella parte minima dell’allontanamento dei rifiutipresenti"...." Lo smaltimento del fango di depurazione delle acque(detto localmente marmettola) come rifiuto è ancora una eccezione,."(Relazione p. 5) ecc., ecc.

Ciò che emergedalla relazione è una diffusa e impunita inosservanza di regolamenti eprescrizioni. E, in aggiunta, dovrebbe il Comitato leggere attentamente la Lettera aperta del 9/2/2013di Franca Leverotti - consigliere nazionale di Italia Nostra- al Presidentedella Regione Toscana in cui sono esposte puntualmente le criticità - per usareun eufemismo - connesse a processi di estrazione e lavorazione su cui la stessaARPAT ammette di non potere esercitare alcun controllo preventivo. Fra tuttequelle che compromettono l'acqua, il bene più prezioso: l'inquinamento dellafalda dovuto sia alle attività estrattive, sia allo sversamento dai piazzalicontaminato con sostanze di ogni tipo; l'inquinamento dei corsi d'acqua; l'esaurimentoe l'inquinamento di sorgenti. Senza contare un diffuso deterioramentoambientale, (anche nelle zone di specifica protezione) che pregiudica lacrescita di attività alternative nel Parco.

Chi ha ragione? Il coordinamento delle attivitàestrattive, il Piano Paesaggistico o il combattivo comitato "Salviamo leApuane"? Come ho accennato, sarebbe necessario mettersi d'accordo sualcuni dati verificabili senza eccessiva difficoltà. Prima di tutto su quantisono gli occupati (direttamente o indirettamente) nelle attività di estrazionee lavorazione del marmo. Il ricatto occupazionale, tanto più efficace inmomenti di crisi, deve essere smontato sia sul piano dei dati reali, sia,soprattutto, nel fornire alternative di sviluppo e di occupazione. Ed è qui cheuna critica o comunque una stimolo, non tanto al Piano Paesaggistico, maall'intera politica regionale coglierebbe nel segno. La Regione in casi in cuisi oppongono diverse posizioni legittime (non mi riferisco tanto alle prese diposizione del Coordinamento, quanto alle preoccupazioni delle piccole imprese),dovrebbe farsi carico di attivare processi di partecipazione, ampi, coordinatie coinvolgenti le vere comunità locali, cominciando col fornire le informazioninecessarie e farsi garante della loro qualità. Molto meglio di quanto sipresume possa avvenire in un'azione di lobbying condotta a livello politico,soprattutto come pressione su assessori e consiglieri regionali e su un Presidente noncertamente rafforzato dal fatto di dover prendere decisioni e, si spera,mantenere ferma la barra, quando già si respira aria preelettorale.

L'area apuana èattualmente interessata da 662 ravaneti che coprono unasuperficie di più di 10 milioni di mq e da 785 cave attive, inattive oabbandonate, mentre la produzione di marmo statuario o ornamentale è stata ingran parte sostituita da quella del carbonato di calcio, utilizzato comemateria prima per fare plastiche, gomme, pneumatici, isolanti, vernici, colle,carta, prodotti chimici, farmaceutici, cosmetici. LeApuane, un monumento paesaggistico unico al mondo, un patrimonio che appartieneall'intera collettività, non può essere abbandonato alle rendite diposizione delle imprese concessionarie, agli interessi egoistici delleassociazioni di categoria e alla cattiva tutela di amministratori compiacenti.uanti sono gli occupati nelle attività estrattive e di alvorazione delmarmo, quani nell'indotto. Cinquemila lavoratori (escludendo l'indotto) senmbrauan cifra da ve555

Il Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, è fermamente intenzionato a realizzare due parcheggi sotterranei... >>>

Il Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, è fermamente intenzionato a realizzare due parcheggi sotterranei, uno nell'Oltrarno, in piazza del Carmine, l'altro in piazza Brunelleschi, a duecento metri dall'area pedonalizzata di piazza del Duomo; sarebbero, sempre secondo Renzi, solo i primi di una serie, tutti da costruire in project financing nel centro storico fiorentino. In risposta all'opposizione compatta dei residenti, il Sindaco ha promesso di convocare un'assemblea in cui non si deciderà 'cosa' (cioè, se costruire o meno i parcheggi - questo lo ha già deciso lui), ma 'come': i cittadini potranno - si presume - dare consigli sul tipo di pavimentazione della piazza, sulla disposizione di panchine, fioriere e questioni di altrettanta importanza. Dei progetti sappiamo qualcosa solo su quello di piazza del Carmine: tre piani e 300 posti macchina nell'ultima proposta, di cui 100 venduti a 50.000 euro ciascuno (ma le cifre, ovviamente, balleranno).

"I fiorentini sono tornati in centro ma per riportarci la residenza servono i parcheggi, è il concetto che da anni Renzi va ripetendo" (Repubblica, 27 agosto 2013). Non ci si aspetterebbe un'idea così arretrata da un politico che si presenta come innovatore. Autentica innovazione sarebbe se il Sindaco così si rivolgesse ai fiorentini: "cari cittadini, l'Oltrarno, storicamente popolare, diventerà una casa confortevole per i residenti e per gli ospiti; un quartiere dove lo spazio pubblico pedonalizzato accoglierà attività commerciali e produttive di eccellenza: artisti, artigiani, laboratori, negozi; come accade in tante città del nord Europa,- il quartiere sarà progressivamente liberato dal traffico privato, ciò che conviene sia a giovani e forestieri senza automobile, sia a una popolazione anziana che non vuole usare il mezzo privato se non nelle occasioni strettamente necessarie, ma preferisce un efficiente sistema di mezzi elettrici, con risparmio economico e di salute. Sono convinto che si riportino gli abitanti nel centro storico liberandoli dalla schiavitù dell'automobile, non rafforzandone la dipendenza e legando i valori immobiliari al possesso di un posto macchina.

Purtroppo non è così e si persevera nel progetto quanto mai arretrato di incentivare il traffico automobilistico all'interno delle città storiche, mentre, nonostante le pessime esperienze di Firenze Mobilità e Firenze Parcheggi (la realizzazione e gestione dei parcheggi di Fortezza da Basso, Alberti, Beccaria, si sono tradotte in consistenti perdite per il Comune), il Sindaco di Firenze rimane uno sponsor convinto di tutto ciò che gli viene proposto nelle forme del project financing. E l'ultima iniziativa del Comune, l'annuncio di un avviso pubblico affinché le nuove destinazioni del Regolamento Urbanistico siano prospettate dai privati piuttosto che dall'amministrazione, è coerente con questa ideologia. Il risultato è una politica, non solo totalmente sbagliata da un punto di vista funzionale, ma anche iniqua socialmente: in cui la città è considerata come una palestra di iniziative e arricchimenti privati, compensati da qualche beneficio finanziario per l'amministrazione se le cose vanno bene (e finora non è stato così). Follia urbanistica o strategia di 'appeasement' con i privati, In entrambi i casi non si tratta di un buon viatico per colui che si presenta come l'innovatore della politica italiana.

Le talpe sono notoriamente animali dotati di scarsissima vista. Così deve essere Mauro Moretti, amministratore delegato... >>>

Le talpe sono notoriamente animali dotati di scarsissima vista. Così deve essere Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, talpa forse per contagio da "Monnalisa",la fresa che perde pezzi, capace di un lavoro di 'merda' secondo la frase (intercettata) di uno degli addetti incaricati del suo utilizzo.

La talpa Moretti dichiara in un'intervista alla Nazione del 31 luglio 2013 "Non è che abbiamo voglia di delinquere ... Ci si deve dare una mano ... non si può pensare che chi deve fare delle cose, specie un gruppo come il nostro, abbia chissà quale interesse a volere effettuare operazioni contro la legge, non se ne capirebbe il motivo ... Poi dovremo affrontare il problema delle rocce di scavo (dopo la verifica dell'idoneità della fresa, nda), capendo quale legislazione dobbiamo rispettare."

Moretti non è stato in grado di leggere, le delibere della Giunta regionale toscana del 31 gennaio 2011, del 24 aprile 2012 e del 15 ottobre 2012, estremamente dettagliate nei contenuti tecnici formulati dal Nucleo di valutazione ambientale. Riassumiamo le conclusioni dell'ultimo documento: la 'duna schermo', da realizzare nella miniera di Santa Barbara a Cavriglia (AR), è autorizzata a patto che le 2.800.000 tonnellate di materiale di scavo contaminato dalla fresa siano trattate come rifiuti e come tali analizzate e bonificate. A meno che non si avveri l'auspicio (intercettato) espresso da Busillo, tecnico della Seli, la società proprietaria della talpa. "Serve il Decreto (Sviluppo, nda) perché il materiale viene chiamato col nome giusto, rocce e terra proveniente dagli scavi e quindi l'Enel (?) dà l'autorizzazione allo stoccaggio permanente..." . Questione nominale, una bazzecola, che può essere risolta semplicemente riclassificando il materiale di scavo da rifiuto a roccia e terra, sia pure allo stato semiliquido; ci penserà a 'dare una mano' il Ministro Lupi? Si sa che la talpa ha la vista corta, ma sa ben scavare nel sottosuolo del lobbismo. Appaiono, perciò, imprudenti o impudenti le dichiarazioni del Sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Erasmo D'Angelis, che annuncia per settembre 2013 la ripresa dei lavori. Ma, in attesa, la legislazione da seguire è chiarissima; a meno che l'interesse di effettuare operazioni contro la legge, sia - guarda caso - di far risparmiare sui costi di smaltimento che sarebbero ben più consistenti per Nodavia, società controllata da Coopsette - partner delle FSS in molti lavori, fra cui la stazione Tiburtina - che nel gennaio del 2013 ha chiesto al tribunale di Reggio Emilia di essere ammessa al concordato preventivo.

Particolare da non trascurare l'indagine in corso da parte della Procura di Firenze (gennaio 2013) su 31 soggetti, funzionari ministeriali e dirigenti di aziende, fra cui Maria Rita Lorenzetti (Pd), ex presidente della Regione Umbria e presidente dell'Italferr (società di progettazione del gruppo Ferrovie), cui vengono contestati l'abuso di ufficio, l'associazione a delinquere e la corruzione, ''svolgendo la propria attività nell'interesse e a vantaggio della controparte Nodavia e Coopsette (soggetti appaltanti)". Né del tutto secondario il fatto che una delle ditte incaricate in subappalto dello smaltimento di fanghi sia legata alla camorra dei Casalesi. Ma si sa, Moretti ha una vista troppo corta per occuparsi di questi aspetti, anche se non ha alcun interesse ad agire contro la legge.

Matteo Renzi, battuto da Bersani come candidato premier, si ripresenta come unico candidato in grado di portare il Pd alla vittoria...>>>

Matteo Renzi, battuto da Bersani come candidato premier, si ripresenta come unico candidato in grado di portare il Pd alla vittoria nelle prossime elezioni. Autorevoli opinionisti, inizialmente ostili, hanno cambiato idea e lo vedono ora come l'estrema possibilità di salvezza di un partito lacerato e perdente: Matteo Renzi, in grado di recuperare voti sul fronte moderato e in effetti assai più gradito agli elettori di destra che di sinistra; una candidatura a premier - in stile Pdl - fatta sul personaggio e non sulla politica. Questa è appunto la domanda: quale è la politica di Matteo Renzi, ovverosia quali sono i valori e gli obiettivi che propone al paese? Domanda cui non è facile dare risposta, data l'evasività di Renzi su questo punto e dato il fatto che il suo programma per le primarie è collocato su un piano quasi esclusivamente efficientista, fatto di ricette come 'snellire', 'semplificare', 'ridurre la burocrazia', e simili.

Tuttavia, spesso ci si dimentica che Renzi è da quattro anni Sindaco di Firenze e che i suoi valori, la sua politica, possono essere valutati su quanto ha fatto o non ha fatto per la città. Ricordiamo solo quattro casi significativi: l'approvazione del Piano Strutturale, la pedonalizzazione di piazza del Duomo e dintorni, l'avviso pubblico affinché che le nuove destinazioni del Regolamento Urbanistico siano proposte dai privati piuttosto che dall'amministrazione, la previsione di parcheggi sotterranei nelle piazze del centro storico, costruiti e gestiti in project financing. Queste operazioni ci raccontano molto di Renzi: la pedonalizzazione dell'area centralissima di Firenze (di per sé una buona idea) è avvenuta senza alcuna considerazione su cosa sarebbe accaduto in altre parti di città, ora ancora più invivibili per il traffico ed è contraddittoria con la scelta sciagurata di portare e radicare nuove macchine nelle piazze medievali.

Il piano strutturale, falsamente dichiarato a volumi zero, ha gli stessi difetti di quello del Sindaco Domenici, non adottato. Viceversa, in questi anni si è ancor più rafforzato l'appiattimento dell'economia fiorentina sulla 'rendita medicea'. Il centro - pedonalizzato e non - è ormai un osceno suk (sia detto senza offesa per i suk) in cui si vende ogni genere di paccottiglia e il Comune stesso è entrato da protagonista nel mercato, offrendo l'uso dello spazio pubblico al migliore offerente. Il filo che unisce questi provvedimenti è l'idea che la progettualità privata si identifichi con l'efficienza, anche quando è fatta da iniziative individuali scollegate e senza un disegno complessivo.
Ed è proprio questo ciò che manca alla politica del Sindaco Renzi: una visione complessiva dei problemi, un'idea strategica di città fatta di scelte coraggiose, innanzitutto a favore dei residenti - cittadini stanziali o provvisori. Analogamente a livello nazionale: Renzi piace per la battuta pronta, perché spicca fra le cariatidi politiche e pare che faccia breccia anche nelle elettrici. E' furbo, perché approfitta dell'orribile governo delle larghe intese per presentarsi strumentalmente come campione dell'antiberlusconismo. A giudicare dalla performance di Sindaco e dalle dichiarazioni, la sua politica da premier si baserà su efficienza, liberalizzazioni e privatizzazioni. L'unica speranza sarebbe se mantenesse fede alla promessa (nel programma delle primarie) di rivedere alcune grandi opere, inutili e costose, a favore di quelle piccole e diffuse sul territorio. L'abbandono della Tav in Val di Susa e delle tante autostrade in progettazione, ma in generale di scelte infrastrutturali e urbanistiche fatte per mettere al sicuro i finanziamenti degli istituti di credito, la rottura del cartello banche-grandi imprese-cooperative-mondo politico-casta, questa sì che sarebbe una svolta a sinistra. Dubitiamo però che raccoglierebbe gli stessi consensi dagli opinionisti che stravedono per Renzi: in grado di riavviare il sistema, quello attuale, non di proporne uno diverso.
Il risultato delle elezioni politiche sancisce non solo il trionfo del movimento Cinque Stelle...>>>

Il risultato delle elezioni politiche sancisce non solo il trionfo del movimento Cinque Stelle, ma anche l'ennesima sconfitta della linea politica di D'Alema che per decenni ha inseguito la destra sul suo terreno, cercano di posizionare il partito appena un po' alla sinistra del presunto avversario (ma in realtà confondendo e condividendo ampiamente la materia). Una linea che nei fatti si è incarnata nel Monte dei Paschi, nei fondi gestiti da Gamberale, nelle varie leghe delle cooperative affamate di grandi opere, nelle autostrade tirreniche colluse con Mattioli, nello sviluppo inteso come tanti soldi per le infrastrutture e niente per Università e ricerca. Una linea che alla Camera ha trionfalmente portato il Pd a un 25% di voti dal 37% del bistrattato Veltroni.

Il movimento Cinque Stelle fa capo a un leader che spesso esprime idee deliranti, come l'uscita dell'Italia dall'euro, è rappresentata da una serie di dirigenti nazionali di qualità mediocre, tutti a ripetere la giaculatoria che incalzeranno i partiti affinché mantengano le loro promesse... ( anche quelle più bieche e contraddittorie?). Ma la base è un altra cosa. Oltre agli elettori inferociti e disgustati da partiti che navigano negli scandali, nella corruzione e nel malaffare, ci sono tanti giovani impegnati per una diversa politica. Ci sono i No Tav della Valle Susa e in no Tav in generale; ci sono gli antagonisti alle grandi opere distruttive; i protagonisti del referendum sull'acqua; la gente che si batte contro le lobby degli affari, contro una politica dei rifiuti fatta di inceneritori e discariche; contro la cementificazione; a favore di un ambiente vivibile; ci sono gli studenti impegnati a sostenere un'Università migliore e a chiedere occasioni qualificate per chi entra nel modo del lavoro. C'è, una parte di quel 20% di cittadini che fanno società locale, che difendono il territorio, che si associano in comitati e che non sono rappresentati dai partiti di sinistra, spesso antagonisti nelle amministrazioni locali. Una potenzialità sociale e anche elettorale snobbata dagli strateghi del Pd; a parole perché esprime valori 'nimby', ma in realtà perché è antagonista al potere della casta: alimentato e collegato agli interessi delle banche grandi finanziatrici di opere pubbliche mai realizzate o realizzate solo in parte, con gran spreco di denaro pubblico per progetti affidati ad amici. (si veda il buon documento in proposito nel sito di Legambiente)..

Le proteste e le rivendicazioni sacrosante della base grillina sapranno tradursi in programmi e in politica a livello nazionale? Questa è la grande incognita, perché il rischio è che i neo deputati e i neosenatori, del tutto impreparati rispetto ai compiti parlamentari, perdano la bussola e non riescano a darsi una politica a prescindere da urla e schiamazzi. Ma se il movimento Cinque Stelle saprà darsi veramente una politica ambientalista e proporre un modello di sviluppo alternativo a quello delle 'grandi opere finanziate dalle banche', se ciò avverrà, si aprirebbe per il PD una scelta fondamentale. Con Berlusconi e Monti, per un governo di neoliberismo all'italiana e una spartizione di risorse fra potentati di varia natura: il mondo del project financing in salsa nostrale. Oppure con tutto ciò che di nuovo e progressivo può (ripeto: può) rappresentare il movimento Cinque Stelle, nelle sue articolazioni e nel suo vero significato di innovazione (il nuovo tanto evocato come slogan elettorale, tanto temuto nei fatti).

La vittoria del movimento Cinque Stelle non è solo di Grillo, ma anche di un'Italia impegnata e molto migliore di quella che ci ha finora governato. Un'occasione anche per una parte del PD, più giovane, inserita nella società e non solo nelle amministrazioni, per dare una svolta radicale alla politica del partito; e forse anche per far sì che la sinistra risalga la china dopo la batosta elettorale.

Il risultato delle elezioni politiche sancisce non solo il trionfo del movimento Cinque Stelle, ma anche l'ennesima sconfitta della linea politica di D'Alema >>>
che per decenni ha inseguito la destra sul suo terreno, cercano di posizionare il partito appena un po' alla sinistra del presunto avversario (ma in realtà confondendo e condividendo ampiamente la materia). Una linea che nei fatti si è incarnata nel Monte dei Paschi, nei fondi gestiti da Gamberale, nelle varie leghe delle cooperative affamate di grandi opere, nelle autostrade tirreniche colluse con Mattioli, nello sviluppo inteso come tanti soldi per le infrastrutture e niente per Università e ricerca. Una linea che alla Camera ha trionfalmente portato il Pd a un 25% di voti dal 37% del bistrattato Veltroni.

Il movimento Cinque Stelle fa capo a un leader che spesso esprime idee deliranti, come l'uscita dell'Italia dall'euro, è rappresentata da una serie di dirigenti nazionali di qualità mediocre, tutti a ripetere la giaculatoria che incalzeranno i partiti affinché mantengano le loro promesse... ( anche quelle più bieche e contraddittorie?). Ma la base è un altra cosa. Oltre agli elettori inferociti e disgustati da partiti che navigano negli scandali, nella corruzione e nel malaffare, ci sono tanti giovani impegnati per una diversa politica.

Ci sono i No Tav della Valle Susa e i no Tav in generale; ci sono gli antagonisti alle grandi opere distruttive; i protagonisti del referendum sull'acqua; la gente che si batte contro le lobby degli affari, contro una politica dei rifiuti fatta di inceneritori e discariche; contro la cementificazione; a favore di un ambiente vivibile; ci sono gli studenti impegnati a sostenere un'Università migliore e a chiedere occasioni qualificate per chi entra nel modo del lavoro. C'è, una parte di quel 20% di cittadini che fanno società locale, che difendono il territorio, che si associano in comitati e che non sono rappresentati dai partiti di sinistra, spesso antagonisti nelle amministrazioni locali. Una potenzialità sociale e anche elettorale snobbata dagli strateghi del Pd; a parole perché esprime valori 'nimby', ma in realtà perché è antagonista al potere della casta: alimentato e collegato agli interessi delle banche grandi finanziatrici di opere pubbliche mai realizzate o realizzate solo in parte, con gran spreco di denaro pubblico per progetti affidati ad amici. (si veda il buon documento in proposito nel sito di Legambiente)..

Le proteste e le rivendicazioni sacrosante della base grillina sapranno tradursi in programmi e in politica a livello nazionale? Questa è la grande incognita, perché il rischio è che i neo deputati e i neosenatori, del tutto impreparati rispetto ai compiti parlamentari, perdano la bussola e non riescano a darsi una politica a prescindere da urla e schiamazzi. Ma se il movimento Cinque Stelle saprà darsi veramente una politica ambientalista e proporre un modello di sviluppo alternativo a quello delle 'grandi opere finanziate dalle banche', se ciò avverrà, si aprirebbe per il PD una scelta fondamentale. Con Berlusconi e Monti, per un governo di neoliberismo all'italiana e una spartizione di risorse fra potentati di varia natura: il mondo del project financing in salsa nostrale. Oppure con tutto ciò che di nuovo e progressivo può (ripeto: può) rappresentare il movimento Cinque Stelle, nelle sue articolazioni e nel suo vero significato di innovazione (il nuovo tanto evocato come slogan elettorale, tanto temuto nei fatti).

La vittoria del movimento Cinque Stelle non è solo di Grillo, ma anche di un'Italia impegnata e molto migliore di quella che ci ha finora governato. Un'occasione anche per una parte del PD, più giovane, inserita nella società e non solo nelle amministrazioni, per dare una svolta radicale alla politica del partito; e forse anche per far sì che la sinistra risalga la china dopo la batosta elettorale.

Niki Vendola ha invitato i suoi elettori a votare Bersani nel ballottaggio con Renzi, perché nelle sue parole sente un 'profumino di sinistra'. Speriamo che ci sia anche l'arrosto! Ma quale è l'arrosto, cioè, cosa significa una politica di sinistra? A questa domanda possiamo rispondere con una dichiarazione impegnativa dello stesso Vendola: ridare centralità politica alla questione dell'ambiente e del paesaggio. Prospettare cioè, un modello di sviluppo (ma altri direbbero di decrescita) in cui paesaggio e ambiente siano considerati beni comuni 'della comunità' (e non dello Stato in quanto 'persona' - si veda a questo proposito lo straordinario ultimo libro di Salvatore Settis "Azione popolare"); quindi inalienabili e non spacchettabili o cartolarizzabili. Ma vi è molto di più; significa, tanto per cominciare, iniziare una poderosa opera di cura del territorio, dai versanti in pericolo, al reticolo idraulico minore, primo passo indispensabile per un ripopolamento della collina e della montagna. Le tante piccole opere che, perfino il ministro Clini, in un recente convegno, ha indicato come necessarie e occasioni di occupazione - intellettuale e non solo bracciantile - per molti giovani cui piace un ritorno qualificato all'agricoltura. Scelta tanto più necessaria, quanto più appare evidente che i cambiamenti climatici sono già ora e nel futuro non potranno che aggravarsi; a partire dal fatto che le alluvioni catastrofiche non 'rispettano' più tempi di ritorno duecentennali (su cui sono calibrate le opere idraulica di messa in sicurezza, con conseguenti possibilità edificatorie), come mostrano i recenti fenomeni in Liguria e Toscana. Dunque, l'alternativa fra destra e sinistra, fra neo-liberismo e consapevolezza della necessità di superare l'idolatria del mercato è molto chiara. Non valgono le alchimie politiche delle alleanze a prescindere dai programmi e dagli impegni. Qui si tratta di cogliere un'occasione formidabile per dare rappresentanza al popolo dei cittadini e dei comitati che difende territorio e ambiente come beni comuni in grado di produrre ricchezza, non solo per noi ma anche, soprattutto, per le generazioni future. Su questo tema centrale, il centrosinistra al governo, con Prodi e D'Alema, è stato sostanzialmente subalterno alla strategia di rientro del debito (ma in realtà così non avverrebbe) ottenuto della vendita dei beni statali o del loro uso ai privati, previa un passaggio intermedio a Regioni e Comuni, incaricati di varianti urbanistiche 'di valorizzazione' alla barba degli strumenti urbanistici: un federalismo distorto e micidiale nella situazione attuale di tagli lineari alla spesa pubblica. Vendola ha perciò una responsabilità precisa: non solo portare questi valori in un prossimo governo di sinistra (se mai si farà), ma far sì che siano tradotti in azioni concrete. Altro che profumino di sinistra...

Il programma di Matteo Renzi, sul sito www.matteorenzi.it, ha il merito di indicare una serie di azioni concrete, fra cui si segnalano quelle per una diversa allocazione delle risorse a favore dell'istruzione e dei ceti meno abbienti. Manca, tuttavia, di un vero e proprio spessore politico; ciò che in un'ottica riformatrice non significa ripetere gli slogan consunti di una certa sinistra, quanto prendere posizione rispetto a un modello di sviluppo e a un'ideologia che a livello europeo hanno fatto del neoliberismo il loro unico credo e a livello italiano coprono la collusione fra capitalismo nostrano e caste politiche - insegnano gli infiniti episodi di corruzione. Nel programma, le indicazioni di contenuto più impegnativo come "ritrovare la democrazia" - questa sì che sarebbe una scelta di grande significato politico - sono ridotte a proposte di mero carattere legislativo (nuovo bicameralismo, preferenze elettorali) o in inutili esortazioni. Domina un approccio efficientista che nei dodici capitoli del programma ripete le ricette di 'snellire', 'semplificare', 'ridurre la burocrazia', e simili

Tuttavia, il paragrafo c) del capitolo 5 "Dalle grandi opere ai grandi risultati" sembra dire 'qualcosa di sinistra', con un inizio promettente: "... Non è detto che lo sviluppo dipenda solo da grandi opere per le quali non esistono, nella maggior parte dei casi, neppure le più elementari valutazioni d’impatto econo¬mico. L’Italia spende una cifra spropositata in trasporti e infrastrutture.... E’ una spesa non sempre necessaria e altamente inefficiente,.... Negli ultimi vent’anni abbiamo speso l’equivalente di 800 miliardi di euro in infrastrutture, con risultati tutt’altro che soddisfacenti. Noi proponiamo di invertire la rotta con tre mosse. Prima mossa. "Dare la priorità alle manutenzioni e alle piccole e medie opere, come, a titolo di esempio: la costruzione di asili nido (sic), interventi per decongestionare il traffico e per il trasporto pubblico locale, per il recupero ambientale, la messa in sicurezza di edifici in aree critiche o l’efficienza energetica." Cui seguono una seconda mossa che consiste in alcune proposte di carattere tecnico-procedurale e una terza mossa che parla d'altro. Fine.

Qui non pretendiamo che Renzi abbia conoscenza delle molte proposte di Piero Bevilacqua, tutte pubblicate su eddyburg, e di tanti altri sul tema, ma leggendo come si concretizza 'l'inversione di rotta' rispetto alla politica delle grandi opere, è impossibile non piombare nello sconforto. Chiuso nella sua ottica efficientista, Renzi, nonostante tutto "dalla parte di Marchionne", non si rende conto che il sistema che lui ammira e sostiene, proprio quel sistema, produce e si nutre di grandi opere costose e inutili; e che una reale inversione di rotta sarebbe il più efficace metodo per rottamare una classe politica - inetta, spesso corrotta - che prospera su quel sistema.

Nel Programma, non una parola è spesa sui grandi temi che oggi agitano buona parte della società italiana: quelli negativi, il dissesto idrogeologico, l'abusivismo più o meno legalizzato, l'assalto alle coste e alle parti più pregiate del territorio; ma anche le grandi risorse del nostro patrimonio culturale e paesaggistico che possono essere valorizzate proprio nel modello alternativo delle 'piccole opere'. Mutismo completo; è evidente che Renzi non ha alcuna cultura in proposito e che di territorio e paesaggio non gli importa; ed è evidente che fra i suoi collaboratori manca qualcuno che gli spieghi la situazione e che su questi temi - ambiente, territorio, paesaggio, consumo di suolo - vi è più di un quarto di italiani che non si sente rappresentato e che ha la forte tentazione di non andare a votare.

Ma se il sindaco di Firenze è muto, anche tutti gli altri tacciono, a cominciare dai rivali di Renzi all'interno del PD e nei partiti di sinistra.

Una battaglia rivoluzionaria, non perché usi la violenza, ma perché, le ragioni dei No-Tav, se fossero accolte, implicherebbero una ‘rivoluzione’ nel sistema partitico-imprenditoriale-tangentizio italiano. Tutto ciò è esaurientemente spiegato ne Il libro nero dell'alta velocità di Ivan Cicconi. Il libro, documentato oltre possibile dubbio, spiega non solo le vicende, ma le ragioni strutturali di un affare, l'Alta Velocità, che è, dopo tangentopoli, il nuovo banco di finanziamento dei partiti, della casta e, Fiat in testa, dei capitalisti nostrani. E' un sistema che sfugge a ogni controllo tecnico, contabile e di legittimità e si autoalimenta sestuplicando (come di fatto è accaduto) il costo delle opere.

La chiave dell'architettura è il Project financing combinato alla Legge Obiettivo. Lo stato avrebbe dovuto finanziare attraverso Tav (dal 2010 sciolta in Rete ferroviaria italiana) un quaranta per cento del costo dell'opera, il sessanta i privati; i quali, però, di tasca propria hanno messo gli spiccioli, il resto se lo sono fatto prestare dalle banche, meglio se da loro partecipate. Ma non basta, perché per legge (obiettivo) il General Contractor dell'opera, soggetto privato scelto da Tav, affida direttamente progettazione e realizzazione delle opere a imprese collegate e rappresentative di tutto il capitalismo immobiliare e cementizio italiano: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti passando per la Lega delle cooperative, oltre, capofila, Impregilo della Fiat; il tutto senza gare d'appalto e via 'per li rami', cioè per sub-appalti e sub-sub-appalti, fino ad arrivare alle imprese della mafia e della camorra.

Con una fondamentale clausola: che i privati sono concessionari dell'opera per la 'realizzazione', ma non per la 'gestione'. Ciò significa che più alti sono i costi di costruzione, più si guadagna, mentre che l’opera fuzioni e faccia profitti non interessa. Come si è puntualmente verificato, con i nostri 60 milioni di euro a km contro i 10 di Spagna e Francia: una differenza che include ben altro che le gallerie e i viadotti. Un ultimo pregio: in quanto opera formalmente privata i debiti non vengono contabilizzati nel bilancio dello stato, ma di fatto le Ferrovie italiane e quindi lo stato ne garantiscono la solvibilità. La grande truffa è quindi un capolavoro politico-imprenditoriale per cui comandano i privati, pagano i contribuenti e guadagnano, oltre che gli imprenditori, i partiti, la casta, includendovi l'enorme numero di società di consulenza, advisors, esperti, progetti, consigli di amministrazione di società operative controllate, garanti, comitati, distribuiti in tutte le direzioni politiche.

Il risvolto tragico della vicenda è che l'alta velocità in Italia non serve, almeno non nel modello francese, ma piuttosto in quello tedesco o austriaco: velocità più ridotte, stazioni più frequenti, adeguamento del materiale rotabile esistente; con un unico difetto però: di costare troppo poco rispetto a faraoniche progettazioni di linee ferroviarie dedicate, sottoattraversamenti urbani – i cosiddetti ‘nodi’ - massicci acquisti di nuovo materiale rotabile. E, peggio ancora, la nostra alta velocità viene realizzata per tratte su cui è illusorio il pareggio di bilancio (ma la gestione, si è visto, non spetta ai privati): pagherà lo stato. Come a Val di Susa, dove, si sa, l'adeguamento del sistema ferroviario attuale sarebbe già ampiamente sovrabbondante rispetto alla domanda.

Insomma si distrugge il territorio, si inquina l'ambiente, si prosciugano fiumi e sorgenti, si trivellano le montagne e mettono a nudo rocce amiantifere, si mettono a rischio città e cittadini, tutto perché il sistema macini ancora guadagni sicuri per una cupola politico-affaristica e altrettanto sicuri debiti per le incolpevoli 'generazioni future'.

Qui si dovrebbe vedere alla prova un governo serio non solo nell'immagine; che puntasse a uno sviluppo ben diverso da quello millantato delle grandi opere, aumentando l'occupazione e tagliando i costi; ma, anche se Monti avesse il coraggio di andare contro gli interessi del suo establishment, una mossa decisa verso la normalizzazione del sistema significherebbe, presumibilmente, il ritiro dell'appoggio al governo da parte di Pdl e Pd. Tutto ciò per ricordare, ancora una volta, che la battaglia dei no-Tav per la Val di Susa prima ancora che per la difesa sacrosanta del proprio ambiente di vita, è una battaglia ‘rivoluzionaria’ per una diversa democrazia. Ridurla a una cronaca di incidenti, come fanno non solo le testate televisive, ma anche gran parte della stampa, significa non avere compreso la vera posta del gioco; o farne parte.

Bene la Regione Toscana su Casole d'Elsa, ma ora è tempo di cambiare. Il 3 novembre 2011 la Giunta regionale toscana, su proposta dell'assessore al territorio Anna Marson, ha 'adito' la conferenza paritetica interistituzionale nei confronti della variante di 'riallineamento' del Piano strutturale di Casole d'Elsa. Il riallineamento, in voga in non pochi comuni toscani, significa che un Regolamento urbanistico difforme (in genere sovradimensionato) rispetto al Piano strutturale, viene sanato a posteriori da una variante allo stesso Piano strutturale. La conferenza paritetica è una 'commissione' politica cui può adire l'ente che rileva profili di contrasto fra un proprio piano vigente e un strumento urbanistico approvato da un'istituzione di livello inferiore, ciò che si verifica tipicamente nel rapporto Regione-Comuni. L'iniziativa può essere adottata anche su proposta di associazioni di cittadini (in questo caso proponenti sono stati la Rete per la difesa del territorio e l'associazione CasoleNostra, anche se la Regione ha agito 'motu proprio'). La conseguenza più drastica può essere la messa in salvaguardia delle previsioni difformi, quando la conferenza esprima in proposito un parere negativo e queste, invece, siano confermate dal Comune.

Casole d'Elsa, come è stato già pubblicato da eddyburg, costituisce un caso limite dell'anarchia comunale promossa e sostenuta da Riccardo Conti, precedente assessore del territorio. Il suo padre padrone è Piero Pii, prima sindaco per il Pd, poi passato a una lista civica appoggiata dal Pdl, recentemente rinviato a giudizio insieme ad altri 14 politici e tecnici del Comune per abuso edilizio.

Pii è l'ispiratore e sostenitore di un piano che prevede, fra le tante magagne puntualmente rilevate nell'osservazione regionale, 140.000 mq di superfici produttive coperte, (ridotte di appena 4.000 mq a seguito dell'osservazione) in un comune che non arriva a 4.000 abitanti. Vi è, dunque, un motivo di soddisfazione per associazioni e cittadini che si battono per il contenimento del consumo del suolo, per la salvaguardia dei terreni agricoli e per il rispetto della legalità e va dato atto al nuovo assessore al territorio di usare l'unico strumento a sua disposizione per cercare di porre un argine al disastroso consociativismo edilizio, quando non peggio, vigente fra politici e costruttori: soprattutto se si pensa che la precedente amministrazione regionale solo due volte in tre anni aveva adito la conferenza.

Tuttavia, occorre essere consapevoli che i contenziosi amministrativi hanno un esito incerto, sono sottoposti ad arbitraggi politici e comunque non possono essere assunti come una normale modalità di gestione del territorio. Ben venga un'effettiva concertazione fra diversi livelli istituzionali nella formulazione dei piani (dubito che ciò sia avvenuto e avvenga in molti casi), ma una volta che questi siano approvati devono essere rispettati e le regole devono valere per tutti. Quindi bisogna cambiare la legge di governo del territorio della Regione Toscana che dà la possibilità ai Comuni di (auto)approvare i propri strumenti urbanistici infischiandosene di leggi e piani e lascia a Regione e Province – queste ultime del tutto assenti - l'unica chance di rincorrere gli avvenimenti con procedure speciali, incerte e potenzialmente soggette a ogni tipo di pressione.

, “Misure di accelerazione per la realizzazione delle opere pubbliche di interesse strategico regionale e per la realizzazione di opere private”. Opere per cui la Regione ha predisposto un percorso agevolato che, utilizzando l'istituto degli accordi di programma, permetterà la variazione contestuale degli strumenti urbanistici delle amministrazioni interessate e una compressione dell'iter di pubblicizzazione, osservazioni comprese. E se qualcuno si opponesse, ad esempio un Comune che non volesse un inceneritore, una discarica o una bretella stradale, si rassegni. La legge ne prevede il commissariamento ad hoc se la maggior parte degli enti coinvolti è d'accordo sulla realizzazione dell'opera (che sul territorio del vicino fa meno male). Ma quali sono le opere strategiche?

Quelle per cui il finanziamento regionale supera il 50% e quelle che la Regione, 'in via straordinaria', deciderà essere tali: cioè potenzialmente tutte e a discrezione. Non basta: a questa 'accelerazione' partecipano anche i privati; anzi, in un tempo di tagli agli stanziamenti pubblici, sono i privati che possono diventare i protagonisti del gioco quando propongano l'insediamento di medie e grandi imprese industriali, di impianti di smaltimento dei rifiuti o di fonti rinnovabili di energia, il business più lucroso e più inquinato (in vari sensi) dell'attuale fase economica. La legge 35/2011 rappresenta il totale stravolgimento di quanto era stato approvato nel novembre del 2010 in sede di Giunta regionale: qui le opere strategiche erano quelle “essenziali per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo socio-economico e di qualità della vita, del territorio e dell'ambiente definiti nel programma regionale di sviluppo” e dovevano essere coerenti al Piano di indirizzo territoriale, vale a dire al piano paesaggistico. Gli accordi di programma, ove necessari, rimanevano disciplinati secondo la normativa preesistente e non era previsto alcun ruolo proponente dell'iniziativa privata.

Perché una legge di razionalizzazione dell'intervento regionale nelle infrastrutture si è trasformata in una mini legge-obiettivo?. La prima risposta è che, evidentemente, esiste uno scollamento tra una Giunta in cui soffia qualche vento di novità verso un modello di sviluppo sostenibile e un Consiglio ancora – maggioranza e opposizione - proiettato sulle grandi opere, le piattaforme logistiche, i porti, le bretelle, i sotto-attraversamenti. D'altronde c'è poco da stupirsi: questa schizofrenia, non fa che ribadire il peso minoritario di una sinistra (da cui non sono escluse parti del PD) diversa rispetto agli apparato correntizi che prosperano nella collusione fra gli interessi di potere (si fa fatica a chiamarli politici) e quelli di un'imprenditoria oligopolistica e garantita

In cui siedono allo stesso tavolo Impregilo, Ligresti, Zunino, cooperative rosse e simili capitani industriali, con alle spalle le banche, fra cui spicca quella 'rossa', il Monte dei Paschi di Siena, anch'esse con rischi nulli (paga lo Stato) e guadagni garantiti. In cui la regia è condotta, in pieno conflitto di interessi, da politici come Riccardo Conti, responsabile nazionale del PD nel settore trasporti, consigliere d'amministrazione del fondo privato F2ì specializzato in investimenti in infrastrutture e della controllata G6 Rete Gas, 'delegato' del Monte dei Paschi e da Antonio Bargone, già uomo chiave del partito, legato a D'Alema, presidente della Società Autostrada Tirrenica e commissario straordinario di sé stesso per nomina governativa. Il tutto nell'illusione di risolvere con scorciatoie amministrative ciò che richiederebbe innanzitutto buona politica, comunicazione e partecipazione.

Un'ultima, ma non secondaria annotazione. Cosa succederà quando un accordo di programma confliggerà con un'invariante strutturale stabilita nel piano paesaggistico: prevarrà la legge nazionale o quella toscana? O si troverà un compromesso variando e deperimetrando. E, a questo punto, per dare un'ulteriore accelerazione, tanto vale abolire la legge toscana sulla partecipazione. Lo sviluppo non può attendere.

L'articolo di Guido Martinotti ( il manifesto,12 luglio) che a sua volta riprendeva un articolo di Umberto Eco ( Repubblica, 2 luglio), entrambi riportati in eddyburg, su vincitori e sconfitti nelle ultime elezioni comunali, inquadra lucidamente le ragioni della subalternità della sinistra rispetto al governo Berlusconi; subalternità che ha come corrispettivo il rafforzamento consociativo della casta, guidata nel PD da D'Alema, massimo (con la m minuscola) stratega delle sconfitte politiche del partito.

La concezione di D'Alema della politica, come ramo specialistico delle professioni intellettuali (ipse dixit), ha qualcosa in comune con la Repubblica dei filosofi di Platone (in cui Bertrand Russel individuava già i germi del totalitarismo), del leninismo e, del togliattismo. In una versione 'nobile' la politica professionale è al servizio di un'idea strategica forte di cambiamento della società, come poteva essere la conquista del potere da parte della classe operaia, ma in un certo senso anche il 'compromesso storico'; inoltre necessita di un apparato partitico fedele alle direttive e intrinsecamente onesto, vale a dire scevro da mire e interessi personali che contrastino con il 'bene comune'.

Nell'Italia della seconda Repubblica sono entrati in crisi tutti questi presupposti. I cambiamenti economici e sociali del paese, la scomparsa della classe operaia intesa in senso tradizionale, il prevalere delle articolazioni 'verticali' della società (v. Lega) rispetto alle stratificazioni orizzontali, di classe, vanificano l'idea stessa di una gestione dall'alto della politica: non solo perché è venuto meno l'apparato, quei funzionari di partito improntati a una morale rigorosa (v. articolo di Mario Pirani su Repubblica del 20 luglio), ma perché è venuta meno anche la società, almeno nelle forme tradizionali cui la versione 'nobile' del dalemismo avrebbe potuto far riferimento. Perciò la tattica politica professionale ha come unico orizzonte la conservazione consociativa del potere. E nel discendere dall'alto verso il basso, dal nazionale al locale, la politica tende inevitabilmente a rendersi autonoma rispetto a ogni direzione che non sia quella di creare e consolidare e associarsi ai poteri economici esistenti.

Nella versione del governo toscano, ciò ha significato durante legislatura di Claudio Martini e di Riccardo Conti il via libera ai sindaci e ai Comuni: ognuno faccia quel che gli pare dietro il paravento ideologico dello sviluppo. Ciò che forse gli apprendisti stregoni al governo della Regione non prevedevano era una vera e propria deflagrazione di illegalità che ha percorso buona parte urbanistica toscana, dove molti Comuni non solo si sono fatti beffa di leggi e piani, ma, indipendentemente dal colore politico, sono diventati subalterni ai poteri economici: grandi (Domenici, ex sindaco di Firenze rispetto a Ligresti), e meno grandi: i suoi colleghi rispetto a cooperative, costruttori edili, proprietari fondiari.

La nuova legislatura, con Enrico Rossi presidente, mostra segnali contrastanti; buoni orientamenti e iniziative nell'urbanistica guidata da Anna Marson, vecchie logiche nel settore infrastrutture, dove prevale ancora una sviluppistica dura, come se fossero le piattaforme logistiche e le infrastrutture pesanti a creare posti lavoro e a favorire la modernizzazione. Esemplare (in negativo) a questo proposito il silenzio della Regione sul sottoattraversamento della Tav nel nodo fiorentino o l'indecisione fra scelte a favore del parco o dell'aeroporto di Peretola nella piana fiorentina, dove si dovrebbe avere il coraggio di dire che la pista parallela non solo è devastante ma non è fattibile, né tecnicamente, né finanziariamente.

La conclusione è quindi esattamente opposta a quanto teorizzato da D'Alema: solo riportando la politica all'interno della società civile, facendo propri quelli che sono molto più che segnali e volontà di cambiamento, aprendosi al confronto con comitati e cittadini, favorendone la partecipazione, si può governare una società 'liquida' in uno scenario dove il 'deficit' ambientale, e le crisi economiche e finanziarie costituiscono le grandi sfide da affrontare, prima che diventino vere e proprie catastrofi. Con buona pace dei professionisti della politica.

La Rete dei comitati toscani per la difesa del territorio si è più volte schierata a sostegno della lotta contro la, Tav in Val di Susa. Non si tratta di un’adesione di principio, ma della condivisione dei dati e degli argomenti del movimento no-tav, offerti al pubblico e ignorati dalle “autorità”; e nello sfondo vi è un nodo politico che va oltre il problema delle inutili e devastanti grandi opere (non tutte, ma molte).

La Tav in Val di Susa è una questione emblematica a livello internazionale (come avrebbe potuto essere quella del Mugello a livello nazionale, un'occasione perduta). Chi tentasse di avere qualche informazione dall’Osservatorio preposto al controllo dei lavori, troverebbe, alla voce “Il progetto: a che punto siamo”, solo quattro paginette generiche: informazioni zero (ma un osservatorio non dovrebbe essere anche il tramite fra progetto e cittadini?). Quello che sappiamo è quanto viene pubblicato, senza smentita alcuna, dalle varie ramificazioni del movimento no-Tav. Chiunque abbia letto il dibattito, in particolare l'intervista a Marco Ponti, le osservazioni della Comunità montana, la lettera aperta indirizzata a Bersani da Ivan Cicconi, oltre i numerosi documenti ospitati da eddyburg, non può non dare ragione agli oppositori della Tav. Fra le tante informazioni due mi sembrano degne di essere sottolineate. La prima è che a seguito dell'accordo nel 2005 Raffarin-Berlusconi, si è stabilito che l'Italia pagherà i 2/3 del costo della tratta internazionale che è la più onerosa e il cui costo dichiarato dal ministro Tremonti (La Stampa 16/09/2010), è di 120 milioni di euro al km, ovvero 1.200 euro al cm (i risparmi solo su statali e pensionati?). La seconda è che l'alta velocità è prevista soltanto sul tratto italiano; non vi è quindi neanche l'alibi di dovere per forza completare un'opera internazionale con caratteristiche unitarie, dal momento che i francesi ben si guardano dal buttare via i soldi (ma in l'Italia non sono buttati, sono trasferiti ai soliti noti).

Tuttavia vi è un problema, a mio avviso, ancora più grave. Sono le 5 domande poste sul manifesto da Beni, Mattei, Pepino, cui nessuno ha dato risposta. Le domande sono molto semplici. Quale credibilità hanno le previsioni di traffico al 2020 e di trasferimento delle merci dalla gomma al treno che giustificherebbero l'opera? Quali sono i vantaggi in termini ambientali dato lo spaventoso impatto del cantiere? Chi paga i costi (20 miliardi naturalmente destinati a raddoppiarsi)? Per inciso, la Grecia – come ha rilevato Paolo Berdini - si è impiccata con le olimpiadi che dovevano modernizzare e sviluppare il paese. Infine: quale è il conclamato effetto positivo sull'economia locale?

A queste domande dovrebbe rispondere prima di tutto Cota, ma anche Chiamparino e lo stesso Bersani. Invece tutti recitano il mantra della modernizzazione e dello sviluppo. Perché lor signori non si degnano di rispondere, magari convincendoci delle loro buone ragioni? Forse perché hanno deciso che l'opera si farà nell'interesse dei costruttori (e delle caste partitiche) e non della collettività? Forse in tutto ciò pesa che la realizzazione della nuova galleria di servizio della Maddalena sia stata affidata alla cooperativa CMC di Ravenna (rigorosamente a trattativa privata)

Un'ultima curiosità, tutta toscana. Cosa risponderebbe il presidente Enrico Rossi investito dalle stesse domande? Sarebbe aperto – come spero - alle voci della società o si allineerebbe al partito dei costruttori (che poi è quello di D'Alema, Conti, Matteoli, Monte Paschi, cooperative, ecc., ecc., e, ahimè, temo anche di Bersani).

La Giunta della Regione Toscana ha proposto alcune modifiche della legge di governo del territorio per adempiere alle disposizioni del Decreto legislativo 70 del 2011 che, fra le altre cose, impone alla Regioni a statuto ordinario di emanare entro 60 giorni una normativa premiale che favorisca ''la riqualificazione delle aree urbane degradate”. Nella proposta di legge toscana vi sono alcune parti interessanti e, a mio avviso, positive, in particolare gli articoli che prospettano ai Comuni un percorso trasparente per formulare gli interventi di 'riqualificazione urbana con la partecipazione dei cittadini. Nonostante che siano esclusi cambi di destinazione (nel meritevole intento di incentivare l'industria manifatturiera), critica mi sembra, invece, la parte che riguarda il miglioramento urbanistico, ambientale ed energetico delle aree produttive: vediamo perché. Il meccanismo premiale previsto si articola in tre tipologie. Prima tipologia: un edificio industriale in situazione di degrado può essere ristrutturato o sostituito con un incremento di superficie utile lorda (Sul) del 20%. Si tratta della situazione di tanti impianti obsoleti o dismessi nelle periferie urbane, che tuttavia, tipicamente hanno rapporti di copertura estremamente elevati, spesso occupano l'intero lotto. Qui si tratterebbe di ridurre e non di incentivare un ulteriore incremento di superficie, peraltro nella grande maggioranza dei casi impossibile, a meno di un cambiamento di destinazione d'uso che consenta di andare in altezza. Seconda tipologia: un'area industriale, anch'essa obsoleta, da trasformare in APEA. Il caso tipico è il macrolotto uno di Prato, 150 ettari di capannoni per l'industria tessile, almeno il 30% dismessi. Qui il meccanismo premiale prevede la possibilità di un incremento del 40% della Sul; peccato che nel macrolotto la superficie coperta territoriale sia circa il 70%, difficile che si possa possa raggiungere il 110%. Trasformare il macrolotto in APEA significherebbe ridurre questo indice spaventoso (con coperture fondiarie del 100%) almeno della metà per consentire un'adeguata dotazione di verde e servizi, altro che ulteriori espansioni! La terza tipologia prevede un trasferimento delle attività industriali in un'APEA esistente o di progetto, con un premio anch'esso del 40% rispetto alla Sul esistente; in questo caso, il meccanismo potrebbe addirittura incentivare nuovi consumi di suolo, contro le intenzioni del legislatore toscano.

Il vizio di fondo è evidentemente nel Decreto legge del governo che, per funzionare, implica un'economia che tiri e la possibilità di cambiamenti di destinazione d'uso, tanto per dire cambiamenti dall'industria a residenze o centri commerciali. Esclusi questi (giustamente), non sono certo gli ampliamenti di superficie, in una situazione di crisi dell'industria manifatturiera con tanti capannoni vuoti, a incentivare gli investimenti degli imprenditori. Ma l'errore è anche cercare di affrontare con una legge generale una casistica complicata e articolata in tante situazioni diverse tra loro, che richiedono piuttosto una buona pianificazione attenta ai contesti specifici. Sarebbe meglio, perciò, se la Regione Toscana cercasse di ridurre i danni del Decreto che, oltretutto, prevede la possibilità di contenere gli incrementi di superficie al 10% e adottasse una strategia qualitativa piuttosto che quantitativa per affrontare il problema. Ad esempio, istituendo un tavolo con i Comuni per discutere altri tipi di incentivi come l'esenzione degli oneri di costruzione o dell'ICI per gli imprenditori che vogliano migliorare la qualità ambientale ed energetica dei loro stabilimenti. Dunque, se la Regione Toscana ha cercato di utilizzare uno strumento concettualmente perverso 'a fin di bene', tuttavia i provvedimenti proposti sono inefficaci da un punto di vista del rilancio economico e sbagliati da un punto di vista tecnico. Infine, è auspicabile che gli articoli riguardanti le aree produttive siano inseriti in un provvedimento diverso, magari a termine (viste le analogia con il cosiddetto 'piano casa') e non inseriti in una legge fondamentale di governo del territorio; in fin dei conti si tratta di una strategia 'edilizia' subita piuttosto che voluta, mentre ben altri provvedimenti sono necessari per il rilancio e la riconversione in chiave competitiva e moderna delle attività industriali toscane.

Non si può non essere d’accordo con una prima diagnosi dell’articolo di Asor Rosa sul ‘neo-ambientalismo italiano’, preliminare a ogni ulteriore considerazione: ovunque in Italia, in molteplici circostanze urbane e territoriali, per motivi simili, fioriscono e sono attivi comitati, a volte effimeri, a volte consolidati localmente come quasi mini-partiti politici. Questa Italia migliore – perché più altruista – esprime quanto esiste nel nostro paese in tema di democrazia partecipata. Dall’altra parte, da parte delle forze politiche, tutte, stanno risposte negative, l’indifferenza o l’ostilità, un comportamento che deriva prima di tutto dall’interesse di una classe ad auto perpetuarsi.

Veniamo alla parte propositiva. E’ essenziale l’idea che il paesaggio sia considerato ‘bene comune’, già lo è secondo la Costituzione. Per questo, una delle proposte cardine della Rete dei comitati per la difesa del territorio è di amministrare questo bene comune sulla base di una carta statutaria, uno ‘statuto’ appunto, fatto delle regole di uso e trasformazione del paesaggio e dei ‘paesaggi’.

Statuto del territorio a livello regionale, perciò, da articolare in tanti statuti locali, a livello di ‘ambiti’, distinti e sovraordinati ai piani, da cui discendano politiche urbanistiche comunali coerenti. Questa potrebbe essere una proposta unificante per la costellazione neo-ambientalista. Una proposta da praticare in forme di democrazia diretta – un esempio in Toscana è lo statuto partecipato di Montespertoli coordinato da Alberto Magnaghi – e da adattare a seconda delle realtà regionali, delle leggi, della qualità delle rappresentanze politiche. Va da sé che gli statuti una volta approvati non possano essere modificati con delibere di variante come avviene nei piani in un circuito interno alle amministrazioni.

Statuti e movimenti, termini apparentemente contraddittori, ma in realtà i primi possono prefigurare lo sfondo politico, unificante dei secondi, non fosse altro per un conseguente spostamento di potere decisionale verso il basso. Tenendo conto che i secondi, i comitati, ma anche movimenti, associazioni, costituiscono nel complesso una cittadinanza politicamente delusa, propensa ad astenersi dal voto perché non rappresentata se non combattuta dalle forze politiche di destra e di sinistra.

Ma le forze politiche perché sono così sorde nei fatti alle ragioni del paesaggio e dell’ambiente nonostante che la loro sostenibilità sia spesa (a parole) in ogni circostanza? Alla base – come sottolinea Asor Rosa - c’è un capitalismo oligopolistico, colluso con il potere politico, che in Italia si esprime nei grandi gruppi di costruzione e si sostanzia negli appalti, nei sub appalti, nelle ditte mafiose, nelle amministrazioni conniventi, nelle valutazioni ambientali fasulle, nei mancati controlli … tutte cose note, ma su cui è necessario insistere. E alla base della base ci sono le banche che finanziano le grandi opere, le Tav, le autostrade, le ferrovie i trafori; tanto più costano meglio è, più corrono interessi: rendite sicure perché tutte le perdite sono a carico dello Stato. Business che deve andare avanti, mal che vada a spesa del contribuente.

Ma allora, ci si può chiedere, di fronte a questo moloch cosa possono fare i comitati? In realtà quello che possono fare non è poco, prima di tutto resistere come fece il popolo vietnamita, che conosceva il suo territorio, di fronte allo strapotere militare americano. Poi, come dice Asor Rosa “allargare attorno a sé il consenso popolare”. Aggiungo, da professore universitario, svegliando la coscienza dei giovani, non con la propaganda ma mostrando la bellezza, (nel senso più pieno del termine), la profondità identitaria del paesaggio, l’unico vero bene non esclusivo, non riservato, aperto all’esperienza di tutti, bene comune appunto.

Tuttavia non si possono omettere i punti deboli della proposta federativa dei comitati. Il fatto è che qualsiasi federazione, qualsiasi coordinamento con finalità in qualche modo politiche richiede un’infrastruttura. E questa infrastruttura suppone ruoli, organizzazione, risorse finanziarie, tutto ciò che in realtà i comitati non possiedono e che è, oltretutto, lontano dal loro modo di essere. Infrastruttura che non può essere surrogata dalle prestazioni volontaristiche – il volontarismo è una fiammata, non un fuoco continuo. Si capisce perciò la decisione (nel convegno tenuto a settembre a Sarzana) del movimento ‘no consumo di territorio’ di rimanere allo stato di movimento – una decisione accompagnata, però, dalla dichiarazione della stanchezza per un lavoro volontario alla lunga insostenibile.

Qui, a mio avviso, potrebbero entrare in gioco le amministrazioni di sinistra, se sono tali non solo a parole e se capiscono che dare ascolto e supporto a movimenti e comitati è l’unica o quasi chance di rinnovamento. Iniziando da fatti semplici: rendere gli atti urbanistici trasparenti e accessibili, in particolare le ‘conferenze di servizi’ dove si consumano i peggiori crimini contro il territorio, sostenere processi partecipativi non istituzionali, rivedere le leggi e i piani - la Rete toscana ha fatto molte proposte circostanziate in proposito, come d’altronde le associazioni ambientaliste tradizionali. In Toscana, l’assessore al territorio, Anna Marson, si sta muovendo in questa direzione e ora la questione fondamentale è se la giunta regionale le darà quel supporto politico che nasce da una condivisone di valori.

Su un piano più generale ognuno può fare le considerazioni che crede. Certo sarebbe interessante se almeno un partito di sinistra non marginale fosse capace di rappresentare questa cittadinanza non rappresentata – diciamo il 10% degli elettori, ma forse sottostimo. Non per tatticismo o per opportunità locale, ma per reale adesione al principio che paesaggio e territorio sono beni comuni. Quindi con un conseguente cambiamento di programmi e di uomini.

PS Riccardo Conti ex assessore al territorio della Regione Toscana, grande sostenitore della autostrada tirrenica e di ogni altro tipo di opera è diventato il 21 giugno di quest’anno coordinatore nazionale del settore infrastrutture del Pd e da poco è entrato nel consiglio di amministrazione di F2i Sgr, Fondo italiano (chiuso) per le infrastrutture. “F2i Sgr nasce da un progetto condiviso tra Vito Gamberale, manager di lunga esperienza al vertice di importanti aziende italiane e, in qualità di sponsor, primarie istituzioni, istituti di credito, banche d’affari internazionali, fondazioni bancarie e casse di previdenza” (dal sito della società). Tanto per dire che il conflitto di interessi non è solo di Berlusconi.

«Siamo il Comune dove si è costruito meno all’Elba. Avremo pur il diritto di ritagliarci anche noi il nostro sviluppo? È la convinzione del sindaco di Rio Marina, Francesco Bosi (Pdl), smentita proprio ieri dalla giunta della Regione Toscana che ha annunciato la sospensione dell’efficacia di cinque previsioni contenute nel regolamento urbanistico, in quanto si ravviserebbero possibili profili di incompatibilità e contrasto tra le previsioni del Comune e la disciplina paesaggistica del Piano di indirizzo territoriale». (Corriere di Firenze, pagina locale del Corriere della Sera, 8 agosto) Lo stesso sindaco: «Se questo è il nuovo corso stiamo freschi» (Repubblica, 8 agosto)

«Più posti barca, ma meno cemento e costi più bassi per una clientela medio-bassa. Così l’assessore all’urbanistica Anna Marson sintetizza il nocciolo politico delle modifiche al master plan sui porti, allegato al Pit, che l’ex assessore regionale Riccardo Conti fece approvare nel 2007. Un nuovo strappo rispetto alle linee di politica urbanistica della precedente giunta guidata da Claudio Martini.» (Tirreno, 10 agosto). «La linea dell’assessore è chiara: più posti barca, ma meno cemento e costi più bassi per una clientela medio-bassa. Questo perché, dicono dalla Regione, i costi di un posto barca oggi sono troppo elevati e penalizzanti per una clientela medio bassa» (Corriere fiorentino, 11 agosto). Risponde Gianni Anselmi, sindaco di Piombino di centro sinistra: «sbagliato, nella mia città voglio portare i mega yacht» (Tirreno, 11 agosto). «Urbanistica, il Pd frena la Marson. Direzione regionale contro l’assessore di Rossi» (Titolo del Corriere di Firenze, 12 agosto). E ancora: «La volontà di ritoccare il master plan dei porti varato nel 2007 dall’allora assessore Riccardo Conti ha provocato parecchi mal di pancia proprio a Piombino, città del segretario regionale (del Pd) Andrea Manciulli. » (Corriere di Firenze, 12 agosto.) «Di fronte alle parole della Marson, il malumore del sindaco di Piombino Gianni Anselmi, … è rilevante, ma ad aprire un caso politico sono le parole del responsabile ambiente e infrastrutture del Pd toscano Matteo Tortolini che boccia su tutta la linea l’impostazione dell’assessore regionale.» (Tirreno, 12 agosto). «Pd contro Marson. Sani (deputato e coordinatore della segreteria del Pd toscano): nessuna sfiducia, ma deve confrontarsi» (Unità 15 agosto).

Sono alcuni esempi dell’insofferenza, in consonanza con il Pdl, di parte del Pd, quella sviluppista che ha come referenti la vecchia guardia del partito e la sua burocrazia. E’ il Pd che si trova molto più a suo agio con i Ligresti e i Frattini che con la gente comune. Nello sfondo una nuova versione dell’assalto del territorio più pregiato – le coste, ma proprio sul mare – condotta dal grande capitale: a Donoratico, a Talamone, al parco di Rimigliano a Capalbio e via cementificando. Non che sia finita l’era delle villette legali o abusive. Completamente abusive quelle scoperte dalla Guardia di Finanza, quando già erano state messe in vendita: 98 villette costruite nel comune di Scarlino (amministrazione di centrosinistra) al posto di una residenza turistico-alberghiera - che Comune distratto!

Le buone notizie sono: 1) alcune grandi opere sciagurate e fortemente sostenute dalla passata amministrazione regionale stanno entrando in crisi per mancanza di risorse finanziarie, in primis l’autostrada tirrenica dove la stessa Sat vuole ritornare al tracciato sull’Aurelia. 2) molti sindaci eletti nel centrosinistra o del Pd sono favorevoli al nuovo corso della Regione: si veda il sindaco di Portoferraio che dice «basta seconde case solo la qualità ci fa vincere! » (in effetti uno studio dell’Irpet dimostra che producono una perdita secca per l’isola). 3) Il sostegno del presidente Rossi ad Anna Marson. 4) La conseguente iniziativa di rivedere il Pit e la legge di governo del territorio, non per ristabilire vecchi e ormai anticostituzionali principi gerarchici, ma per rendere effettiva una collaborazione fra Regione, Province e Comuni che assicuri la sostenibilità del territorio e un’efficace tutela del paesaggio; e anche di uno sviluppo a favore dei redditi medi e bassi e non degli speculatori edilizi e del grande capitale interessato solo alla clientela affluente, quella che si arricchisce nelle crisi economiche. E’ una (moderata) politica di sinistra, ma che male c’è?

La manovra correttiva annunciata dal governo ha un unico caposaldo indiscutibile, il taglio generalizzato degli stipendi ai dipendenti pubblici, siano essi poliziotti, insegnanti, infermieri, magistrati o nullafacenti nei tanti posti clientelari creati dagli enti locali, dove primeggia la Sicilia, peraltro feudo della destra. D’altra parte Berlusconi è coerente nel penalizzare ancora una volta quella parte dell’elettorato a lui meno favorevole e allo stesso tempo a premiare le partite Iva e i piccoli imprenditori, l’area dove si annida l’evasione e il lavoro nero. Ridicolo, infatti, l’annuncio dell’inasprimento della lotta all’evasione fiscale, dopo anni di provvedimenti di senso opposto e di ammiccamenti collusivi. Tutte questi aspetti della manovra sono stati ampiamente discussi dalla stampa e occultati dalle televisioni di regime. Vi è, tuttavia, un'altra componente dell’attacco al pubblico impiego che vorrei sottolineare, la sua demonizzazione. Già iniziata con Brunetta con il messaggio sui fannulloni della pubblica amministrazione ampiamente ripreso dai mass media, l’opinione pubblica è stata alimentata dall’immagine dello statale svogliato o assente dietro lo sportello, del ministeriale che va a fare la spesa nelle ore di ufficio. Questa visione arcaica dell’impiego pubblico ha una facile presa, ma non fa i conti (o li fa maliziosamente) col fatto che al capitalismo di mercato dovrebbe essere complementare uno stato moderno e efficiente. L’idea berlusconiana è invece, di delegare ai privati le funzioni pubbliche, fonti, peraltro di arricchimenti facili quando non illeciti. L’umiliazione sistematica del pubblico impiego, la sua demoralizzazione avrà conseguenze non piccole e, per quanto riguarda il territorio, aumenterà le sofferenze di tecnici delle soprintendenze e degli enti locali, già poco pagati e poco considerati. Si crea così il terreno favorevole alla corruzione alimentata dagli esempi che vengono dall’alto e tollerata se non incoraggiata.

Queste considerazioni mi venivano in mente leggendo il bel libro, a tratti addirittura commovente, di Vezio De Lucia, “Le mie città”. La storia di un urbanista che abbandona un lucroso incarico privato per farsi ‘servitore dello stato’. Che combatte innumerevoli battaglie per il bene collettivo. Chi potrebbe in questo clima essere sorretto dalla stessa passione e intraprendere una carriera preliminarmente additata al pubblico ludibrio? Domanda retorica, perché sono proprio i De Lucia di cui questo governo vuole liberarsi. Ammesso che ne nascano ancora.

É il titolo del programma della coalizione democratica. Di un programma elettorale, più che i cosiddetti ‘punti concreti’, è interessante capire i sentimenti che intende accendere, il senso comune che vuole evocare e quindi il consenso che si propone di ottenere. D’altra parte, ormai pochi prendono sul serio gli ‘impegni precisi’, sia perché, al contrario, sono spesso espressi in termini generici, sia perché vi sono sempre delle buone ragioni - la crisi, il governo, le emergenze – per disattenderli. Chi potrebbe ritenere – tanto per fare un esempio - un impegno concreto (come tale viene, infatti, presentato a p. 4 del documento) “Difendere il principio del ‘lavoro buono’ e della ‘buona impresa’che ha successo ed è orientata allo sviluppo economico locale, al rispetto dei diritti dei lavoratori e delle comunità di riferimento, in collaborazione con le parti sociali e gli enti locali”. Mi limito perciò a commentare il senso generale del documento, la cultura che vuole esprimere, le speranze che vuole suscitare, in riferimento al solo secondo punto del programma, quello dedicato ad ‘ambiente e territorio’. D’altronde, il territorio, oltre ad essere il tema centrale di eddyburg, è la grande ricchezza della Toscana, il suo ‘cavallo di battaglia’, l’eredità preziosa che deve essere spesa cautamente in termini di sostenibilità e di sviluppo.

Nei punti del programma leggiamo: “Accelerare i tempi per il completamento del ciclo integrato dei rifiuti”. “Valutare anche la sperimentazione di tecniche innovative come gli impianti a freddo e la bio-digestione anaerobica”. “Favorire nelle zone montane una corretta gestione del patrimonio boschivo”. “Sviluppare una pianificazione integrata energia-ambiente-sviluppo economico”. “Migliorare la gestione di parchi ed aree protette”. Ma, meglio ancora, la filosofia del programma è spiegata dalla premessa che recita “L’ambiente e il governo del territorio deve continuare ad ispirarsi ad una logica di utilizzo e preservazione. Sostenibilità energetico-ambientale e sviluppo economico sono infatti due obiettivi resi reciprocamente compatibili dalla crisi attuale. I toscani hanno necessità di tutelare il loro territorio come fattore di sviluppo turistico e agroalimentare, ma al tempo stesso hanno bisogno di produrre lavoro e ricchezza.”

Sono punti condivisibili, per carità. Ma, tutto qui? Il territorio è solamente fattore di sviluppo turistico e agroalimentare (che evidentemente non producono ricchezza per l’estensore del programma). E la necessità di tutelare il territorio dipende soltanto dal turismo e dall’industria agro-alimentare? La filosofia del programma è ribadita anche nell’ultimo punto: “Siccome poi l’agricoltura nella nostra regione non è finalizzata solo alla produzione ma svolge un ruolo plasmante del cosiddetto paesaggio toscano (sic), occorre fornire sostegno al settore …, perseguendo una strategia di sviluppo economico dell’intero settore in grado di favorire l’emergere di un’industria agroalimentare caratterizzata dalla multifunzionalità … , dalla tutela delle biodiversità, dalle agrienergie, dall’innovazione organizzativa di filiera, ma anche da una migliore governance operativa …”.

Di nuovo, a prescindere dalla perla del ‘cosiddetto paesaggio toscano’, lo sviluppo economico, sembra essere l’unica preoccupazione dell’estensore del programma che non comprende come sia l’articolazione del territorio la diversificazione dei paesaggi (non riducibili al ‘cosiddetto paesaggio toscano’), la conservazione di alcuni loro caratteri tradizionali, non l’industria agro-alimentare a tutelare la biodiversità.

Riassumendo: nel documento programmatico il territorio e il paesaggio, la grande ricchezza che abbiamo avuto in eredità, sono interamente assorbiti nell’idea di risorse da sfruttare. La loro tutela viene sentita in opposizione allo sviluppo. L’ambiente è coniugato come inceneritori e produzione di energia. Il documento è arretrato prima di tutto da un punto di vista culturale, non scalda il cuore di chi ama la Toscana. Enrico Rossi è stato un ottimo assessore alla sanità e come futuro presidente della Regione Toscana confidiamo che sia molto migliore, più intelligente, più innovativo, più moderno, di queste linee di programma; che abbia ben capito che la tutela del paesaggio è fonte di ricchezza non solo per ‘lo sviluppo turistico’ (magari inteso come proliferare di villaggi e residence), ma per la produzione di ricerca, conoscenza, servizi, tecnologia e - perché no? - per le stesse attività manifatturiere. A volte ‘avanti tutta’ significa in realtà andare indietro, mentre guardare indietro, avere attenzione alla storia, alle radici, alla profondità e non solo alla superficie del territorio, significa andare avanti.

Il piano paesaggistico della Toscana tutela efficacemente il territorio della regione, in particolare il suo patrimonio collinare? Si può discutere fin che si vuole sui principi, ma sono i fatti a dare le vere risposte. Circa due anni fa ho scritto su eddyburg.it a proposito di un caso esemplare di cattiva urbanistica: un villaggio turistico di circa 25.000 mc. – spacciato come complemento di un ‘parco’ di pochi ettari - da realizzare nel comune di Serravalle pistoiese, sul Montalbano, un territorio collinare delicato e di grande qualità paesaggistica. Si trattava di un insediamento che appariva nel regolamento urbanistico ma non era dimensionato nel piano strutturale, dove veniva adombrata tortuosamente l’eventualità che il RU prevedesse una struttura turistica ricettiva, “senza che ciò costituisse variante al PS (!)”. Procedura irregolare non solo per il mancato dimensionamento, ma perché, guarda caso, il RU localizzava l’intervento proprio in un’area di proprietà di un importante vivaista pistoiese, escludendo altre localizzazioni, possibili se si fosse seguita una procedura regolare.

Finalmente nell’ottobre 2009 la vicenda può dirsi conclusa: il piano attuativo del villaggio è stato approvato, ed è interessante vedere come e in qual modo. In risposta ad una mia lettera pubblicata su Repubblica in cui segnalavo il caso all’assessore al territorio della regione Toscana, Riccardo Conti, questi, sempre su Repubblica, rispondeva nel novembre 2007 “non trovo scandalosa una previsione di piano che in un parco immagina un intervento edilizio da destinare ad una limitata capacità di accoglienza per studenti o studiosi di passaggio. Cosa diversa è se mi trovo di fronte a un complesso turistico vero e proprio. Il Pit pone una riserva tale fino a prevedere specifiche procedure di contrasto” e aggiungeva l’assessore “Abbiamo da mesi concordato una linea con il Comune di Serravalle che prevede che non si proceda all'adozione del piano attuativo prima che, in accordo con la Provincia di Pistoia e con la Regione, il Comune non abbia provveduto a una ricognizione dei propri strumenti urbanistici, nel senso di un adeguamento alla legge 1 e al Pit. Questo lavoro in corso nei prossimi mesi porterà a un adeguamento normativo degli strumenti urbanistici e a un'adeguata dislocazione dell'intervento”.

Vediamo dunque in cosa consista l’adeguamento alla legge 1/2005 (la legge di governo del territorio) e al PIT che nel marzo del 2009 è stato adottato come piano paesaggistico e quali siano state le procedure di contrasto e l’adeguata dislocazione. Per ciò che riguarda la legge 1/2005, il comune di Serravalle ha formalmente sanato l’illegittimità della procedura con una variante al PS in cui viene dimensionato l’intervento, senza alcuna ulteriore specificazione e rimanendo ferma la localizzazione già prevista nel RU.

Quanto al piano paesaggistico, questo prescrive che nel patrimonio collinare “gli strumenti della pianificazione territoriale dei comuni possono prevedere nuovi impegni di suolo a destinazione d’uso commerciale, ovvero turistica o per il tempo libero, … a condizione che dette destinazioni d’uso siano strettamente connesse e funzionali a quella agricolo-forestale (art. 21). Sempre secondo la disciplina del PIT, gli strumenti urbanistici comunali devono rispettare le direttive e prescrizioni contenute nelle ‘schede dei paesaggi’. Ma nella scheda 6, relativa all’ambito Pistoia, il Montalbano semplicemente non esiste. Un fatto stupefacente perché si tratta di un rilievo collinare posto ai margini della piana che va da Firenze a Pistoia, di grande valore paesaggistico, un patrimonio naturale e culturale che, secondo numerosi studi e progetti, dovrebbe diventare un’ area protetta.

Nel febbraio 2009 il comune di Serravalle ha adottato il piano attuativo del villaggio turistico. Nella valutazione ambientale del piano (una volta tanto fatta con serietà) si afferma che “le zone interessate dai cantieri potrebbero alterare la composizione specifica, la struttura e la densità delle zone effettivamente coperte da bosco” (VA, p. 96). Inoltre, per quanto riguarda il paesaggio la VA sottolinea che “la realizzazione della struttura turistico-ricettiva prevista determinerà inevitabilmente, in un ambiente praticamente libero di edifici, impatti visivi dovuti agli ingombri di nuove sagome e la modifica del contesto locale, pur in un’ottica di progetto che limiti e mitighi tali effetti” (VA, p. 98). Ulteriori elementi di criticità sono rilevati nella VA per ciò che riguarda la viabilità di accesso, lo smaltimento dei rifiuti, la mancanza di acquedotto, metanodotto e fognature, e soprattutto per il rifornimento idrico che dovrà esser effettuato tramite nuovi pozzi; inoltre, “eventuali infiltrazioni di acque dagli strati superficiali a quelli sottostanti potrebbero causare interferenze significative con l’acquifero”, una falda classificata di pericolosità da media ad estremamente elevata (VA, p. 95). In aggiunta la VA indica come misura necessaria la realizzazione di un invaso a fine antincendio boschivi ed irriguo”. Invaso che non è previsto negli strumenti urbanistici, di realizzabilità problematica e che comunque provocherà con le opere di sbarramento, per la viabilità necessaria alla manutenzione e per le opere accessorie, un impatto paesaggistico estremamente negativo andando a modificare sostanzialmente la morfologia del territorio.

Ritorniamo al PIT. La disciplina del piano (art. 36) prevede che “le previsioni dei vigenti piani regolatori generali soggette a piano attuativo …, sono attuabili esclusivamente a seguito di deliberazione comunale che - per i comuni che hanno approvato ovvero solo adottato il Piano strutturale - verifichi e accerti la coerenza delle previsioni in parola ai principi, agli obiettivi e alle prescrizioni del Piano strutturale, vigente o adottato, nonché alle direttive e alle prescrizioni del presente Piano di indirizzo territoriale”. E, in effetti il Comune di Serrravalle ha deliberato nel giugno 2009 che il piano attuativo del villaggio è conforme al PIT.

Poiché la localizzazione del villaggio ricade all’interno di un’area boscata (per inciso: la tutela del patrimonio collinare presuppone che, nell’ambito degli strumenti di pianificazione, sia limitato al massimo il fenomeno della sottrazione di suolo agroforestale, PIT, art. 22) e quindi in un’area in cui vige il vincolo paesaggistico, il piano attuativo è stato sottoposto a conferenza di servizi (PIT, art. 36, 2ter) nel settembre 2009. Alla conferenza hanno partecipato, oltre al comune, regione, provincia e soprintendenza, ma non gli altri 8 comuni del Montalbano, nonostante che il ‘patto del Montalbano’, ratificato un protocollo d’intesa del 21/12/1999, impegni i comuni a coordinare le proprie iniziative, forse perché in data 17 marzo 2005 tutti i sindaci espressero unanimemente parere contrario alla proposta dell’insediamento turistico ricettivo delle Rocchine. La conferenza ha dato il via libera al piano con alcune prescrizioni da rispettare nel progetto esecutivo. Conseguentemente, il piano attuativo è stato approvato il 9 ottobre 2009. Si tratta di un complesso turistico vero e proprio di 80 appartamenti e 372 posti letto e non un intervento edilizio da destinare ad una limitata capacità di accoglienza per studenti o studiosi di passaggio. L’osservazione di legambiente di Pistoia, ampia e argomentata, è stata respinta dal comune con l’incredibile motivazione che non è pertinente al piano particolareggiato, una scorciatoia che risparmia anche la fatica delle controdeduzioni.

La lezione che si ricava dalla vicenda è che il piano paesaggistico viene gestito dalla regione Toscana in modo burocratico, e che le sue prescrizioni sono inefficaci. Il nodo critico rimane nel fatto che sono i comuni a autocertificare la conformità dei propri strumenti urbanistici al PIT, ignorando le valutazioni ambientali quando non sono acquiescenti, mentre le osservazioni di associazioni o cittadini se scomode non sono prese in considerazione. Le conferenze di servizi sono precluse alla partecipazione dei comuni limitrofi, ancorché direttamente interessati (non parliamo delle associazioni e dei comitati). Un ultimo consiglio agli altri comuni del Montalbano. Lasciate perdere il progetto di iscrivere il Montalbano nel patrimonio mondiale dell’Unesco. Prevedete, sull’esempio di Serravalle, un bel villaggio turistico, ognuno nel proprio territorio, e state tranquilli che – dato il precedente - né PIT, né conferenze di servizi avranno alcunché da obiettare in proposito. Ma mi raccomando, come prescrive il regolamento urbanistico di Serravalle, evitate l’uso di ‘tegoli portoghesi’ nelle coperture.

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