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Sono passati soltanto pochi giorni da quando, presentando il “nuovo” progetto per l’autostrada lombarda Pedemontana, il presidente ne enfatizzava il potenziale ruolo di vero e proprio corridoio verde dentro la cosiddetta “città infinita”. Contemporaneamente, una dettagliata analisi pubblicata dai Comitati territoriali di alcune aree interessate sottolineava il rischio, quasi ovvio, che qualunque intenzione e dichiarazione in questo senso potesse rivelarsi alla fine assai debole: sia in una prospettiva storica, visto che puntualmente l’infrastruttura stradale a tutte e latitudini si tira appresso forme di urbanizzazione conseguenti; sia nella contingenza politica e culturale italiana e specie padana, dove dietro altisonanti quanto banali “misure d’uomo” e altrettanto rituali “attenzioni all’ambiente”, spunta sempre implacabile la necessità di “sviluppo del territorio”.

Quasi contemporaneamente alle rassicuranti e propositive dichiarazioni sulla Pedemontana, in altra sede non troppo discosta si presentava il progetto di legge lombardo Infrastrutture di Interesse Concorrente Statale e Regionale, che mira a definire “procedure scandite da tempistiche veloci e da meccanismi di reazione all’inerzia degli organi istituzionali”, si orienta in particolare all’autostrada Pedemontana, al nuovo collegamento Milano-Brescia, alla Tangenziale Esterna del capoluogo, e vedi vedi “valorizzazione massima delle aree infrastrutturali, comprese le aree connesse”.

Insomma, detto in altre parole: che ce ne facciamo di tutto quel verde, che poi i paroloni tipo greenway non li capisce nessuno? Molto meglio, che so, l’ outlet del fuoristrada, la boutique dell’insaccato, il mega-fashion-district della calzatura sportiva.

Vicolungo insegna: fuori dall’oblio della storia, a colpi di comodi parcheggi e trompe l’oeil precompressi studiati dai migliori megavetrinisti.

Proprio mentre il comune di Milano inaugura il suo nuovo rapporto col territorio agricolo post-Expo, dedicando al Farmers’ Market un rettangolo di (esageriamo) mille metri quadrati in piazza San Nazaro, affacciato sul corso di Porta Romana, fuori dalla cerchia delle tangenziali, hic sunt peones, l’ineluttabile “sviluppo del territorio” si è già mangiato virtualmente qualche migliaio di ettari, rigorosamente a nastro, lungo le nuove arterie, magari anche in pieno parco Ticino sulle fasce laterali dell’appena inaugurata A4-Malpensa.

Come? Il nostro bel Progetto di Legge lo esplicita all’articolo 10, dove si spiega che “per ottenere maggiori introiti dalla possibilità di sfruttare economicamente aree attigue ai tracciati ed ammortizzare più facilmente gli investimenti attraendo capitali privati, le concessioni possano riguardare anche aree esterne alle infrastrutture, ma con le stesse collegate, sicché i relativi margini di gestione possano contribuire all’abbattimento dei costi dell’esposizione finanziaria dell’iniziativa complessiva”.

Chiaro, inequivocabile, squadrato. Ricorda proprio la forma di quegli insediamenti “esterni alle infrastrutture ma ad essi collegati” che allietano nella logica del massimo sfruttamento i vari serpentoni stradali di piano e di valle.

Maggiori particolari, nell’allegato.

Nota: Chi non ama le cose esterne alle infrastrutture ma ad esse collegate, può aderire alla Petizione contro il PdL (f.b.)

Galan, presidente Regione Veneto:

“Un secondo “hub” in Italia non ci sta. Non ho conosciuto nessun imprenditore che per poter andare all'estero abbia preso l'aereo a Malpensa”.

Chiamparino, sindaco di Torino:

“Malpensa e Alitalia hanno bisogno di una dose di mercato, il loro limite è che entrambi sono cresciute con eccessive protezioni e non dalla reale capacità competitiva".

Cacciari, sindaco di Venezia: “Venezia è il terzo aeroporto in Italia. Mi sembra che l’80% del traffico gravita su Francoforte o su Roma, non su Malpensa. Quindi per me Malpensa è un problema della Lombardia… su Malpensa si arrangino. A me va benissimo come hub, ma non perché lo è per decreto dello Spirito Santo, ma per logiche di mercato”.

Formigoni, presidente Regione Lombardia:

“Lo si voglia o no, il traffico aereo è qui”.

Letizia Moratti, sindaco di Milano:

“Sì a una moratoria di tre anni per l’hub lombardo”.

Bonomi, presidente di SEA, la società che gestisce lo scalo: “Nel breve e medio periodo l’aeroporto sarà “point to point”.

31 marzo 2008: Alitalia riduce del 72% i suoi voli da Malpensa e risparmia circa 200 milioni di euro annui di costi.

31 marzo 2008: Malpensa è semi deserta, 900 dipendenti di SEA sono in cassa integrazione a rotazione. 400 lavoratori stagionali non avranno il rinnovo del contratto.

30 marzo 2008: La superstrada Boffalora-Malpensa che collega l’A4 Torino-Milano viene inaugurata. Permetterà di velocizzare il tragitto da Torino alla Malpensa. 18,6 km, due corsie per senso di marcia, 260 milioni di euro di spesa. Interessa i comuni di Lonate Pozzuolo, Castano, Buscate, Cuggiono e Inveruno. La superstrada attraversa il Parco del Ticino, una delle poche zone non cementificate della Lombardia.

La Malpensa è un finto hub figlio delle tangenti point to point craxiane. I suoi successori non se la sono sentita di buttare via lo scalo insieme al latitante. L’economia ha dovuto fare il lavoro sporco. Malpensa, al massimo è un point to point, un piccolo aeroporto regionale. Chi vive a Torino parte da Caselle. Chi sta a Treviso vola da Venezia. Volano verso gli hub di Londra, Francoforte, Parigi. Lo fanno da sempre, non perché l’Alitalia è fallita.

L’Italia può permettersi un solo hub. Con Malpensa deserta, con decine di aeroporti nel Nord Italia, si inaugura una nuova superstrada, si asfalta un parco nazionale. I torinesi continueranno a partire da Caselle, i veneziani da Venezia. Per i politici italiani “ nulla si crea, tutto si distrugge” con i soldi pubblici. Le cattedrali nel deserto una volta rendevano sotto forma di tangenti, oggi producono voti e poltrone. Marx inventò il plusvalore, i nostri politici la teoria del disvalore: l'utilizzo del lavoro dei cittadini per produrre valore personale e distruggere il Paese.

Nota: si veda come esempio di parallela "follia aeroportuale padana" il caso parzialmente ricostruito su queste pagine, dell'altro Hub virtuale a Montichiari, di cui chissà perché non parla più nessuno (f.b.)

D. Lunedì a Parigi si decide l'assegnazione dell'edizione 2015 dell'Esposizione internazionale. In gara ci sono Milano e Smirne. Un attesa e un evento solo e soltanto milanese o che coinvolge anche la provincia? La sua città si sente coinvolta in questa sfida?

R. Sfida per cosa? Per esaltare un modello di sviluppo che sta portando la pianura padana al collasso ambientale e l'intero pianeta alla distruzione?

Una premessa storica. Le esposizioni universali nascono a metà dell'ottocento per magnificare lo sviluppo poderoso e all'apparenza inarrestabile del liberalismo politico e del liberismo economico.

Questi grandi avvenimenti nascono sostanzialmente per celebrare i successi, i progressi scientifici, i prodotti dell'industria. Nascono per mettere a disposizione della conoscenza globale i progressi dell'uomo. L'ottimismo regnava. L'uomo vedeva davanti a se un futuro grandioso.

Credo che i tempi siano "leggermente" cambiati. Intanto oggi, nell'era di internet, organizzare tali eventi è uno spreco, di energia e di risorse. Con le stese risorse si potrebbero risolvere problemi ben più importanti rispetto al desiderio di "passare alla storia" di alcuni sindaci, presidenti di provincia o di regione.

Oggi non c'è nulla da celebrare o da magnificare. 800 milioni di persone soffrono di fame e malnutrizione, più di un miliardo non ha accesso all'acqua potabile. Ogni ora 1200 bambini muoiono per malattie curabili.

La vera esposizione universale dovrebbe essere fatta su questo.

E il titolo scelto dalla Moratti "nutrire il pianeta, energia per la vita" è del tutto fuorviante se non beffardo. Infatti nel programma dell'expo non si legge nessuna critica al modello agroalimentare fin quì seguito, imposto dalle stesse multinazionali che co-organizzeranno l'evento. Nessuna critica all'imposizione di monoculture che impoveriscono il suolo e affamano milioni di contadini. Nessuna obiezione all'obbligo di usare il terreno per produrre soia per il nostro bestiame. Nessuna parola verso l'impego di OGM.

Lo so. Credo che la grande maggioranza dei cittadini delle nostre città vogliano expo 2015. Ma sono realmente informati sullo stato del pianeta.

Anche le comunità della valle padana, sono portate a idolatrare questo mito della crescita economica, osannato dal concerto messo in piedi ad arte dai poteri economici, politici e massmediatici. Però non viene mai detto loro al Telegiornale che stiamo consumando più di quanto il pianeta è in grado di produrre. E che per garantire il nostro apparente benessere, stiamo dilapidando il capitale ambientale, a tutto danno del sud del mondo e delle generazioni future.

Se Milano otterrà l'Expo 2015 prevede più svantaggi o più benefici per il Comune da lei amministrato e per il territorio circostante?

In molti affermano che vi saranno enormi benefici da expo 2015. Sicuramente per qualcuno ci saranno grandi affari economici e commerciali. Per altri si apriranno le porte per grandi investimenti immobiliari.

Io, per il territorio, prevedo grossi problemi. Expo metterà il turbo a tanti progetti di devastazione ambientale. Dalla rimessa in discussione dei parchi, alla realizzazione di grandi opere faraoniche sul modello già visto in occasione dei mondiali Italia '90.

Dicono che ci saranno 70 mila posti di lavoro. Però si dice una mezza verità. Expo durerà 6 mesi, sarà pertanto lavoro precario. Magari in nero.

Non prevedo quindi benefici, ma soltanto l'avvio di una nuova stagione di consumo di territorio. Sempre all'insegna della rincorsa della fantomatica crescita economica e del PIL.

Se Milano otterrà l'Expo quali aspettative si creeranno per la sua città?

Le vere aspettative per il nostro paese sono, o dovrei dire erano, legate ad un serio investimento nel campo del turismo ambientale. La navigazione sui navigli per godere delle ville di delizia, la fruibilità dei nostri parchi, la bellezza del paesaggio da mettere a disposizione di quanti non immaginano che a pochi km da Milano ci siano posti come i nostri.

Purtoppo, a breve avremo già un antipasto di quello che ci aspetta con la nuova autostrada Malpensa-Magenta. Che dovrebbe proseguire fino alla tangenziale ovest, con tanti saluti al Parco del Ticino e alla riserva della Biosfera Unesco.

Credo che osservare dal Navilgio Grande di Cassinetta di Lugagnano una delle belle ville del '600 non sarà poi così entusiasmante se a pochi metri vedi e senti frecciare uno, dieci, cento tir carichi magari di bottiglie di acqua minerale provenienti dalla Sicilia e dirette in Valle d'Aosta.

Quali eventi, iniziative, progetti la sua città potrebbe attuare per arrivare preparata all'evento del 2015? Ritiene che possa essere in grado di riscuotere l'interesse di almeno una parte di visitatori stranieri attesi?

Se Milano otterrà Expo 2015, a Cassinetta di Lugagnano e ovunque altre comunità del Parco del Ticino lo proporranno, ci prepareremo a realizzare una contro-esposizione universale, una rassegna-manifestazione nazionale permanente, già a partire dal 2008 per promuovere un modello di sviluppo alternativo, che metta al centro il benessere delle persone, che non si può continuare a misurare con il PIL. Un indicatore, che come ha detto Bob Kennedy nel celebre, ma spesso dimenticato discorso tenuto all'università del Kansas, è del tutto inadeguato. Un discorso non molto lungo, che davvero invito a leggere.

Un discorso di un uomo politico molto lontano da quell'ideologia che spesso viene appicciccata a coloro che oggi propugnano la teoria della decrescita come unico mezzo per salvare il pianeta e con esso l'uomo e le generazioni future.

Quindi ci prepareremo anche noi a expo 2015. Ma a modo nostro e sui temi che davvero servono a rilanciare non l'economia, ma la speranza di una vita futura e migliore.

L’aeroporto di Malpensa, a 45 km. da Milano, si trova tra due autostrade e poteva essere logico pensare che dovesse essere collegato con entrambe.

Il collegamento con la A8 è stato “ammodernato” grazie ai mondiali di calcio “Italia 90” ma è costituito da un “budello” a due carreggiate senza corsie di emergenza e, quindi, con svincoli molto pericolosi.

La Malpensa-Boffalora, collegamento con la A4, che viene inaugurata oggi, ca. 10 anni dopol’apertura dell’ampliamento di Malpensa, è quindi un esempio di programmazione fallita.

Viene inaugurata solo oggi, mentre se ne parla dal 1998 (anno di inaugurazione di Malpensa 2000), oggi, quando si parla di ridimensionare Alitalia e Malpensa.

E’ tuttavia doveroso chiedersi perché c’è voluto così tanto tempo, così come altrettanto tempo ci vorrà per completare il raccordo FFSS-Ferrovie Nord a Castellanza per il collegamento delle FFSS da MICentrale a Malpensa. In compenso è stato progettato un assurdo (tanto costoso quanto devastante sotto il profilo di impatto ambientale) collegamento denominato “Accesso ferroviario da nord a Malpensa”.

Progetti “faraonici”, senza avere, dei faraoni, né le risorse economiche, né le capacità decisionali, né gli spazi per realizzarli. E’ fin troppo evidente che l’area di Malpensa non è in grado di ospitare un hub, se non a prezzi economici, sociali e ambientali impossibili da sostenere. La Boffalora-Malpensa ne è un esempio paradigmatico: è un disastro ambientale.

Questo collegamento, lungo 18 km., è stato realizzato scavando una trincea larga ca. 60 m e profonda ca. 10 m. Lo sbancamento ha riguardato 1.080.000 mq, pari a 108 ettari, e sono stati rimossi qualcosa come 10 milioni di mc. Questo per il tracciato, a cui va aggiunto un ulteriore consumo di suolo per i 6 svincoli: in media uno svincolo ogni 3 km. Logico o assurdo?

Si tratta inoltre di uno dei maggiori impatti ambientali causati da infrastrutture nel Nord Italia dell’ultimo decennio: i 18 Km di trincea sono infatti tutti in un’area tutelata da un parco.

Molti critici, cioè quei Tecnici che non sono pagati per sostenere quel che serve ai cattivi politici ed ai pessimi Amministratori, l’hanno definita , da tempo, un tragico sproposito.

E inoltre, brillante, ironica e satirica ciliegina sulla torta, amara, di questa cerimonia, l’inaugurazione dell’opera tanto attesa e celebrata, coincide con il tracollo di Malpensa, l’hub che non c’è, che non c’è mai stato.

Ma se Malpensa crescesse davvero fino ad un traffico di 40-50 milioni di passeggeri/anno, più del doppio di quelli raggiunti finora, cosa faremmo del territorio, del Parco Ticino, dei paesi e delle persone che vivono da sempre intorno all’aeroporto e che finiranno sotto le nuove rotte?

Si propone ancora, per salvare Malpensa, di potenziare la sezione Cargo 24 ore su 24 (lo si dice con vanto: l’unico aeroporto, in Europa, con i voli notturni...) “Delocalizzeremo” ancora altre migliaia di persone: a Tornavento, ad Arsago, a Somma, com’è già stato deciso, ma non ancora attuato completamente, a Case Nuove, Lonate e Ferno, perchè la delocalizzazione, oltre ad un costo sociale, ne ha uno, altrettanto elevato, economico?

Purtroppo non è finita qui: altri danni incombono a partire dal prolungamento della Malpensa- Boffalora fino alla Tangenziale Ovest, ulteriore devastazione ambientale ed economica



Noi non siamo contro il progresso, le infrastrutture, lo sviluppo.

Siamo contro un certo tipo di “sviluppo”, che va a favore dei grandi interessi economici, delle speculazioni edilizie, dei “signori del cemento” (e in questo caso dell’asfalto).

Malpensa, al di la delle strumentali e paradossali polemiche e manifestazioni di campagna elettorale, può benissimo rappresentare un aeroporto importante, funzionale, redditizio ed attraente senza ulteriori colate di danaro pubblico e cemento, e senza devastare ulteriormente il territorio, semplicemente svolgendo un ruolo primario in un moderno e concreto “sistema aeroportuale del Nord”, produttivo, funzionale, razionale,compatibile e non necessariamente “malpensocentrico”.

Anche perché, da sempre, abbiamo avuto il sospetto che non di Malpensa 2000 si trattasse, ma di 2000 speculazioni su Malpensa...

Gallarate, 30 marzo 2008

- WWF Italia

- LEGAMBIENTE

- UNI.CO.MAL. Lombardia (Unione Comitati Comprensorio Malpensa)

- Amici della Natura - Arsago Seprio

- EXCALIBUR Alternativa Verde - Lonate Pozzolo

Con la legge regionale 11 marzo 2005, n. 12, la Regione Lombardia ha imposto a tutti i comuni lombardi di provvedere alla sostituzione dei vecchi Piani Regolatori Generali con il nuovo Piano di Governo del Territorio;

Negli ultimi decenni, in particolare nella Brianza, si è assistito ad uno sproporzionato ed insensato consumo di suolo inedificato, senza preoccupazione alcuna delle conseguenze che un tale fenomeno produce sull’ambiente nel quale viviamo, sulla sicurezza alimentare e sulla salute dei cittadini;

Già nel 2004 nell’ambito del convegno provinciale “Il sistema del verde nord Milano”, tenutosi a Desio e organizzato da Legambiente Lombardia, con il patrocinio del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano e della Provincia di Milano, al quale hanno partecipato esponenti del mondo accademico, amministrativo, associativo e politico accomunati da una visione unitaria sulle politiche di salvaguardia del sistema delle aree verdi nord milanesi, si era posta l’attenzione sul ruolo chiave e fondamentale di questi anni per decidere che futuro si vuole costruire per i cittadini della Brianza e che destino si vuole dare a questo sistema del verde. Il convegno ha evidenziato che le decisioni cruciali, se si vogliono perseguire delle serie politiche di salvaguardia del verde e della salute dei cittadini, devono essere prese ora, poiché più tardi il modello di sviluppo in atto non permetterà più di tornare indietro: tutto ciò, purtroppo ha riscosso un appoggio “verbale” di alcuni amministratori locali a cui non sono seguiti fatti concreti;

Sempre nel 2004, il tavolo “A – ambiente e biodiversità” di Agenda 21 intercomunale di Desio-Cesano Maderno-Meda-Seveso, nel suo piano d’azione conclusivo, aveva evidenziato attraverso la mappatura cartografica e fotografica delle aree azzonate dai Piani Regolatori Comunali “a verde”, “agricole” e “a standard” dei 4 comuni, l’esiguità delle superfici allora disponibili da destinare a corridoi ecologici per mettere in rete le macroaree verdi presenti sui 4 comuni, ribadendo quindi l’urgenza di una politica di pianificazione urbanistica di salvaguardia e di valorizzazione delle stesse aree, che sinora è rimasta inascoltata;

Un’importante iniziativa in controtendenza rivolta “alla salvaguardia ambientale, alla tutela e riqualificazione degli spazi verdi esistenti” è stata l’istituzione in Comune di Seregno nel 2001 del PLIS “Brianza Centrale”. Questo parco, in posizione baricentrica rispetto ad alcuni grandi parchi di interesse regionale (Groane, Alta Valle del Lambro, Brughiera Briantea), pur essendo nato con il proposito di comprendere aree via via più ampie dei comuni contermini è rimasto per ora limitato entro i confini del comune di Seregno;

Il nuovo P.G.T., dal nostro punto di vista, se attuato con lungimiranza e con saggezza, attraverso il coinvolgimento di tutte le componenti della società civile, può diventare un’occasione unica per recuperare il tempo perduto ponendo al centro della pianificazione urbanistica le tematiche ambientali e di riduzione del consumo di suolo, fondamenta sulle quali costruire una nuova qualità dell’abitare, dove le aree verdi, agricole ed a standard, da semplici indici urbanistici, diventino aree strategiche, veramente fruibili da tutti i cittadini, sulle quali realizzare interventi di compensazione ambientale integrati fra loro (agricoltura produttiva, parchi urbani ed intercomunali, oasi e corridoi ecologici), finalizzati a porre un limite agli effetti negativi già evidenti (traffico, inquinamento, disgregazione sociale, impoverimento della biodiversità) provocati da questo eccesso di urbanizzazione del territorio;

Il contestuale rifacimento della pianificazione urbanistica in tutti i comuni della Lombardia in un medesimo ristretto periodo, fornisce un occasione unica per affrontare, attraverso il confronto e la collaborazione fra più comuni confinanti, tematiche che travalicano i singoli territori, come i corridoi ecologici o l’impatto dell’autostrada “ PEDEMONTANA”, progetti che, se affrontati con lungimiranza di vedute, eviterebbero alla Brianza di diventare definitivamente una megalopoli insalubre, invivibile e sepolta sotto un mare di cemento;

La PEDEMONTANA nasce vecchia e occorre prendere subito provvedimenti radicali e innovativi. Se ci sono soldi, questi dovrebbero essere spesi per costruire – ora non tra dieci anni – quelle infrastrutture che permettano di mantenere stili di vita dignitosi in situazioni critiche: quindi occorrerebbe impegnarsi a migliorare il trasporto pubblico rendendo meno appetibile la macchina privata, incrementare la qualità energetica delle abitazioni; la PEDEMONTANA rischia di diventare uno dei più grossi progetti di speculazione edilizia camuffata da intervento viabilistico;

Il progetto d’autostrada “PEDEMONTANA” produce un ulteriore grave impatto sul territorio della Brianza, senza produrre per i suoi abitanti benefici per quanto concerne gli aspetti relazionali, viabilistici ed urbanistici, privandoli oltretutto della superstrada MILANO-MEDA e dei diversi accessi che ripartivano in ambito locale i flussi di traffico, senza peraltro provvedere ad un potenziamento contestuale del trasporto pubblico;

É molto facile immaginare inoltre enormi quantità di nuove costruzioni, visto il progetto di legge della Giunta Regionale del 3 aprile 2007, che prevede che i concessionari che realizzeranno l'autostrada saranno autorizzati – per recuperare più velocemente gli investimenti – a costruire nelle vicinanze ulteriori costruzioni con aggravio del carico ambientale dovuto ai nuovi residenti e a nuove strutture;

Il recente tentativo, fortunatamente fallito, fatto attraverso l’emendamento 13 bis, detto “ammazzaparchi”, dimostra che la Regione Lombardia non ha alcuna intenzione di tutelare efficacemente il nostro territorio;

SI RICHIEDE DUNQUE

• che i Piani di Governo del Territorio dei singoli comuni perseguano, attraverso una progettazione sovracomunale, la preservazione, la salvaguardia e la valorizzazione delle residue aree agricole ed a standard, che in un territorio fortemente urbanizzato come la Brianza, hanno assunto un valore ambientale, che è anche economico, che deve essere riconosciuto formalmente e conformato anche dagli strumenti di pianificazione urbanistica, poiché contribuisce al miglioramento della vita di ogni cittadino. Tali aree per questi motivi devono rimanere escluse da processi speculativi che contribuiscono a ridurne le superfici per diventare invece parte di una progettazione ambientale di qualità che le renda fruibili ed integrate nella rete ecologica provinciale, attraverso la realizzazione di parchi;

• che vengano realizzati parchi urbani che, messi in rete da una pianificazione urbanistica condivisa a livello sovracomunale, costituiscano la spina dorsale di un corridoio ecologico del nord Milano che metta in comunicazione e renda fruibili da tutti i cittadini i “polmoni verdi” già esistenti della futura provincia di Monza e Brianza: Parco delle Groane, Parco della Brughiera Briantea, Parco del Grugnotorto-Villoresi, Parco Brianza Centrale, Parco della Valle del Lambro, Parco dei Colli Briantei, Parco del Molgora e Parco del Rio Vallone.

• che si utilizzi sin d’ora lo strumento del Piano di Governo del Territorio affinché le aree libere che in un malaugurato futuro dovessero essere attraversate dal tracciato della “PEDEMONTANA”, rimangano prive di costruzioni di qualsiasi tipo per destinarle al contrario ad opere di compensazione ambientale caratterizzate da una progettazione di effettiva qualità al fine di realizzare opere ambientali che abbiano una positiva ricaduta in ogni singolo comune ed una rilevanza ambientale sovracomunale;

• che ci sia sinergia e coordinamento con quei Comuni che hanno espresso criticità rispetto agli elaborati progettuali della Pedemontana per le pesanti ricadute causate, tenendo in considerazione tali richieste per una riformulazione progettuale

• che si faccia ogni sforzo in fase di progettazione esecutiva per ridurre l’impatto ambientale della Pedemontana, mitigandone la percezione, riducendo i carichi di traffico forzato indotti dalle opere accessorie all’interno dei comuni attraversati quali le strade d’arroccamento, evitando lo sviluppo edilizio intensivo attorno alla nuova viabilità in quanto fattore non più sostenibile di sfruttamento del territorio;

• nell’ipotesi che l’autostrada Pedemontana venga comunque realizzata, sarà compito del coordinamento vigilare attentamente con tutti i mezzi a disposizione, affinché le risorse finanziarie delle compensazioni ambientali – così come più volte dichiarato dallo stesso presidente di Società Pedemontana Fabio Terragni – vengano destinate ad EFFETTIVE OPERE di COMPENSAZIONE AMBIENTALE, per ricucire il territorio che verrà ulteriormente deturpato da questa infrastruttura e per realizzare i parchi urbani ed i corridoi ecologici utili alla formazione della rete ecologica provinciale e non ad opere inutili o che nulla hanno a che vedere con essa.

IN PARTICOLARE, SI RITIENE FONDAMENTALE:

• la riduzione delle superfici fuori terra legate direttamente o indirettamente alla nuova viabilità;

• la realizzazione di sistemi accessori di viabilità lenta (piste ciclabili);

• il supporto economico ai Parchi (locali e regionali) delle zone interessate dalla Pedemontana per interventi ambientali negli stessi;

• la realizzazione di collegamenti per garantire la continuità delle aree protette attualmente esistenti;

• il recupero e/o la realizzazione di nuove aree verdi in ambito comunale e sovracomunale pensate non solo come aree attrezzate ma come veri e propri parchi naturali;

• che le risorse da spendere in compensazione ambientale legate all’autostrada Pedemontana, NON DOVRANNO ricadere “a pioggia” sui singoli Comuni unicamente in forma di risarcimento del danno prodotto. Priorità quindi ad una REALE COMPENSAZIONE AMBIENTALE PIANIFICATA PER MEZZO DI UNA PROGETTAZIONE CONDIVISA

PER QUANTO CONCERNE LA PROGETTAZIONE A SCALA TERRITORIALE DEGLI INTERVENTI DI RIFORESTAZIONE E DI RIQUALIFICAZIONE DEL PAESAGGIO si prospettano i sottoindicati interventi:

CESANO MADERNO:

- zona ricadente nel Parco della Baruccanetta e delle Rogge: coerentemente con il progetto preliminare relativo alla creazione del Parco della Baruccanetta e delle Rogge, approvato dall’Amministrazione Comunale di Cesano Maderno nel luglio del 2006, si chiede di realizzare una fascia di mitigazione e compensazione ambientale, in parte a prato rustico stabile e in parte a forestazione urbana, a cavallo del futuro tracciato autostradale, che in questo tratto scorrerà in galleria artificiale e verrà sostituito da una viabilità di arroccamento a raso. Ciò consentirà di creare una vera e propria spina verde nord-sud tra il centro di Cesano e le frazioni di Molinello e Cascina Gaeta, come negli obiettivi del Parco della Baruccanetta e delle Rogge, nonché a scala più ampia un corridoio ecologico e di fruizione ciclopedonale di collegamento con il Bosco delle Querce a nord e con il PLIS del Grugnotorto Villoresi a sud.

- zona compresa tra il grande svincolo di Cascina Gaeta-Binzago e il confine di Desio: si richiede una riqualificazione ambientale complessiva delle aree adiacenti al tracciato PEDEMONTANA mediante mirate opere di mitigazione e compensazione ambientale e ripristinando la naturalità dei luoghi, oggi in parte compromessi dall’uso improprio dei suoli, con la realizzazione di fasce boscate, siepi e filari che andrebbero a connettersi con il sistema del verde presente in territorio di Desio. Si ricorda che quest’ambito è inoltre interessato dalla presenza di un corridoio ecologico secondario (art. 58) e da una zona extraurbana con presupposti per l’attivazione di progetti di consolidamento ecologico (art. 61) individuati dal PTCP della Provincia di Milano. Inoltre si richiede che per tale area venga richiesta l’adesione all’esistente Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale”.

DESIO:

- zona Villa Buttafava, cascina San Giuseppe e aree agricole circostanti: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale che preservi il carattere rurale attuale e si adoperi per rendere fruibili, attraverso la realizzazione di percorsi ciclopedonali a siepi e filari, i tracciati interpoderali e vicinali già esistenti, anche attraverso convenzioni con singoli coltivatori diretti presenti sulle aree. Inoltre si richiede che per tale area venga richiesta l’adesione all’esistente Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale”;

- zona fra le località di San Giuseppe e San Carlo: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale, in parte a prato rustico stabile e in parte a forestazione urbana, per mitigare la presenza della PEDEMONTANA con costruzione di percorsi ciclopedonali. Inoltre si richiede che per tale area venga richiesta l’adesione all’esistente Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale”

- zona in località San Carlo, Ospedale, via per Cesano e via per Bovisio: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale conformata come parco urbano d’interesse sovracomunale, con opere che ne realizzino la piena fruibilità cittadina, sull’esempio del parco della Porada a Seregno, preservandone per quanto possibile il carattere rurale di alcune aree ancora coltivate, caratterizzate dalla presenza della rete di tracciati interpoderali e vicinali, anche attraverso convenzioni con singoli coltivatori diretti presenti sulle aree. La finalità di questo parco a oltre mitigare la presenza della PEDEMONTANA, sarebbe di creare un nodo ecologico che metterebbe in comunicazione diretta altri parchi esistenti nei comuni contermini: Parco di Cassina Savina e Parco della Baruccanetta e delle Rogge a Cesano Maderno, con il Parco del Meredo e il Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale” a Seregno;

- dorsale verde nord-sud, San Carlo-Valera, attraversata dalla nuova tangenziale ovest di Desio: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale con funzione di corridoio ecologico, con opere che ne realizzino la piena fruibilità cittadina, preservandone per quanto possibile il carattere rurale di alcune aree ancora coltivate, caratterizzate dalla presenza della rete di tracciati interpoderali e vicinali, anche attraverso convenzioni con singoli coltivatori diretti presenti sulle aree. Finalità di questo parco, creazione un corridoio ecologico che metterebbe in comunicazione diretta il Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale” a Seregno, con il Parco del Grugnotorto-Villoresi di Varedo, attraverso il proposto parco urbano di San Carlo del precedente punto;

- dorsale verde est-ovest, Valera-Prati, caratterizzata dalla presenza del cimitero di Desio ed in parte attraversata dalla nuova tangenziale sud di Desio: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale con funzione di corridoio ecologico, con opere che ne realizzino la piena fruibilità cittadina, preservando per quanto possibile il carattere rurale di alcune aree ancora coltivate, caratterizzate dalla presenza della rete di tracciati interpoderali e vicinali e da un tessuto agricolo antico quale quello della cascina Valera e della zona dei “Prati” (così chiamata in memoria dei prati adacquatori della roggia di Desio, di cui rimangono le testimonianze nei terreni agricoli di competenza delle cascine Antona Traversi e Prati in territorio di Muggiò) anche attraverso convenzioni con singoli coltivatori diretti presenti sulle aree. La finalità di questo parco è la creazione di un corridoio ecologico che metterebbe in comunicazione diretta, per mezzo dell’area di pertinenza del cimitero nuovo e di alcune aree libere su quella direttrice, il centro storico di Desio ed il suo parco comunale Cusani-Traversi-Tittoni con il Parco del Grugnotorto-Villoresi di Muggiò e da lì verso Varedo, Seregno e Cesano Maderno, attraverso i già proposti corridoi ecologici dei precedenti punti;

MACHERIO – LISSONE – SOVICO – ALBIATE: - rispetto le aree agricole e standard, indicate nei piani urbanistici vigenti, dei comuni di: MACHERIO zona Torrette – Pedresse – Santa Margherita (aree a nord dell’asse viario costituito dalle vie S. Ambrogio, Cardinal Ferrari e Regina Margherita delimitate a est dalla via Bosco del Ratto)

LISSONE zona Santa Margherita – Cascina Bini (aree a est dell’asse viario costituito dalle vie Angelo Arosio, Giusti, Pasolini, Verga, Lecco e Raiberti)

SOVICO zona Boscone (Bosco del Ratto) (aree a ovest della linea ipotetica che, idealmente, congiunge le cascine Greppi, Virginia e Canzi; aree prospicienti via A. Volta e la Strada Comunale delle Prigioni)

ALBIATE zona Dosso – C.na Canzi (aree a ovest dell’asse viario costituito dalle vie Adamello, Trieste, Aquileia, Montello e Gorizia; aree prospicienti le vie Dosso, Pasubio e delle Valli; aree a sud della ferrovia “Seregno-Carnate”)

si richiede la creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale conformata come ampliamento del Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale” da attuarsi attraverso: interventi di riforestazione su aree standard o da acquisire; la ricomposizione delle caratteristiche del paesaggio rurale delle aree coltivate, con messa a dimora di siepi e filari lungo la rete esistente di tracciati interpoderali e vicinali da recuperare anche in funzione ciclopedonale per garantirne una piena fruibilità cittadina; la creazione di corridoi ecologici e di una rete di percorsi a servizio della mobilità lenta per una comunicazione diretta con le aree protette esistenti (Parco della Valle del Lambro, Parco urbano di Lissone, ecc.); la conservazione e la valorizzazione dei beni storici ed architettonici esistenti.

- in particolare si chiede:

la formazione di fasce boscate, per la mitigazione ambientale e paesistica, in prossimità del tracciato della Pedemontana e della nuova SP n. 6 “Monza–Carate”;

la salvaguardia ed il recupero paesistico dell’area circostante l’oratorio di Santa Margherita alle Torrette (Macherio), della strada vicinale alberata per la frazione S. Margherita e del prospiciente contesto agricolo; l’ampliamento e la riqualificazione dell’area forestale del Boscone (Bosco del Ratto) con mirati interventi di riforestazione e il mantenimento dei prati stabili e degli incolti esistenti;

il consolidamento, nei comuni di Albiate e Carate Brianza, del corridoio ecologico secondario (art. 58 PTCP della Provincia di Milano) di rilevante importanza strategica per la connessione tra la zona del Dosso (Seregno – Albiate) ed il Parco Regionale della Valle del Lambro;

MEDA: - progettazione integrata del corridoio ambientale di collegamento tra la porzione meridionale del Parco della Brughiera in direzione del Bosco delle Querce Attraverso la Valle dei Mulini, percorso ambientale ancora riconoscibile percepibile di cui il Vecchio Mulino e l’area “Cave” (da recuperare) di Meda costituiscono il il primo elemento da collegare agli ambiti con le medesime funzioni in direzione di Lentate sino a Cantù Asiago. Il sistema avrà altri elementi minori anche utilizzando il corridoio del Torrente Terrò, sino a ricongiungere il sistema al Parco Brianza Centrale lungo la direttrice da Meda Sud al Meredo;

- ripristino della comunicazione interpoderale e di quella intercomunale interrotte sin dall’evento diossina a partire dal Bosco delle Querce con la creazione di una rete a servizio della mobilità lenta con innesti al centro abitato (mantenimento dello scavalcamento della sede ferroviaria e prosecuzione in direzione nord, anche ripristinando i camminamenti in fregio al Terrò sino a ricongiungersi alla direttrice Parco della Porada – Parco della Brughiera lungo Via Trieste e Via Valseriana);

- Consentire, con adeguata copertura finanziaria, l’acquisizione da parte dell’ente Parco Sovracomunale Brughiera Briantea dell’ex FORNACE CEPPI da adibire a “porta del Parco” con museo delle attività lavorative, estrattive d’argilla in primis, ora scomparse, nonché possibile sede del Parco stesso

SEREGNO:

- valorizzazione dell’esistente PLIS “Brianza Centrale” – ampliato mediante adesione di aree nei comuni limitrofi – tramite interventi di riforestazione su aree da acquisire e la realizzazione di percorsi ciclopedonali su tracciati interpoderali e vicinali già esistenti, in particolare nella zona Dosso.

- acquisizione delle aree della porzione di territorio (comunale e sovracomunale) denominato “Meredo” e realizzazione delle opere di forestazione e delle attrezzature già previste nel PP del PLIS “Brianza Centrale”. In subordine acquisizione delle aree medesime e cessione al comune delle stesse, oppure la stipula di contratti decennali di comodato ad uso pubblico sempre con il comune interessati e sempre per la medesima tipologia di opere;

- studio della fauna selvatica esistente nel PLIS al fine di favorirne per quanto possibile la diffusione, anche mediante la realizzazione di piccole opere di collegamento per superare i principali assi di comunicazione: Nuova Valassina, futura Pedemontana, ferrovia Milano-Como-Chiasso (linea di cui è previsto il quadruplicamento);

SEVESO:

per la presenza del casello di uscita della Pedemontana si determinerà una forte pressione sia sul Bosco delle Querce che su le residuali aree verdi di Baruccana. La compensazione in tale ambito dovrà garantire e rafforzare la continuità delle aree verdi anche con interventi di riforestazione.

? la conservazione del corridoio ambientale in direzione del Meredo e l’ampliamento delle aree assegnate al Bosco delle Querce dovranno raccordasi alle medesime azioni prospettate per i comuni limitrofi a costruire una rete ambientale in comunicazione.

VIMERCATESE: la realizzazione di collegamenti per garantire la continuità delle aree protette attualmente esistenti con riferimento ai corridoi ecologici già individuati nel progetto Dorsale Verde della Provincia di Milano. Nel vimercatese in particolare occorre pianificare il collegamento dei parchi presenti nella direttrice da Ovest ad Est con interventi di riqualificazione ambientale finalizzati a connettere tra loro le aree del Parco dei colli Briantei con il Parco del Molgora e di qui, proseguendo verso Est, con il Parco del Rio Vallone fino al Parco Adda

Firmatari del documento:

- Alternativa Verde per Desio – Desio;

www.alternativaverde.it ;
info@alternativaverde.it

- Associazione per i Parchi del Vimercatese;

www.parchivimercatese.it ;
parchivimercatese@brianzaest.it

- Associazione Econazionalista Domà Nunch – Uboldo,Barlassina;

www.eldraghbloeu.com ;
redazion@eldraghbloeu.com

- Associazione Torrette Bini Dosso Boscone per l’ampliamento del Parco Brianza Centrale – Macherio;

www.macherio.net/comitatotorrette.htm ;
dantedinanni@libero.it

- Cesano per Noi-Noi per Cesano – Cesano Maderno;

noipercesano@hotmail.it

- Circolo Legambiente “Roberto Giussani” – Desio;

legambientedesio@libero.it

- Legambiente Seregno ONLUS – Seregno;

www.legambienteseregno.it ;
info@egambienteseregno.it

- Sinistra e Ambiente – Meda;

www.centrosinistrameda.it/sinistra_e_ambiente.htm

- WWF Sezione Groane;

http://web.tiscali.it/wwfgroane/index.html ;
groanewwf@yahoo.it;

Chi più ne ha, più ne spreca. Stiamo parlando del territorio agricolo lombardo, sempre più 'terreno di conquista' per iniziative immobiliari e opere infrastrutturali che non tengono in conto il valore dei suoli: un valore che è allo stesso tempo ambientale, paesaggistico e agricolo, ma che sparisce di fronte alle rendite speculative connesse alla sua trasformazione in terreno edificabile. Di questo si è parlato al convegno organizzato oggi da Legambiente Lombardia con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale Lombardo.

Quanto siano speculative le rendite connesse al consumo di suolo lo si capisce dalla pressione che esse esercitano sui terreni agricoli della 'Bassa'. A Mantova spetta il titolo di 'provincia sciupasuoli'. In tutta la provincia mantovana, ogni anno, 'spariscono' 616 ettari di suolo prevalentemente agricolo, cioè una superficie pari a quella di un migliaio di campi di calcio, per far fronte ad un fabbisogno che non ha nulla a che fare con la domanda di residenza: infatti, con una popolazione che è appena un decimo di quella della provincia di Milano, a Mantova si consumano ogni anno 16 metri quadri di suolo per abitante (a Milano il dato pro capite è 2,4 mq). Ma nella categoria 'sciupasuoli' ci sono un po' tutte le provincie della 'Bassa': Pavia e Lodi (11 mq/ab*anno), Cremona (8,6) e Brescia (8,0 mq/ab*anno). Tutti territori di conquista per una alluvione di capannoni spesso vuoti, centri commerciali con annessi parcheggi, strade. Certo, la 'bolla immobiliare' ha giocato a favore di questa crescita inflattiva di consumi di suolo, ma il dato è destinato a consolidarsi, e forse anche a peggiorare, con le previste nuove opere autostradali (Cremona-Mantova, Tirreno-Brennero, Broni-Mortara, BreBeMi) che porteranno con sé anche una crescita di valore immobiliare per i suoli in prossimità dei futuri svincoli. Le situazioni più gravi restano, come ovvio, quelle dell'area metropolitana che da Varese e Milano si estende ormai senza interruzione fino a Brescia, provincia in cui il dato del consumo di suolo è in assoluto il più alto della Lombardia (929 ettari all'anno nel periodo 1999-2004), di poco superiore perfino a quello milanese che tuttavia presenta una situazione ormai consolidata di cementificazione pervasiva, specie nel quadrante nord. Tuttavia il dato delle province meridionali lombarde è preoccupante perchè indica una tendenza alla crescita del cosiddetto sprawl urbanistico, un termine anglosassone che significa 'sparpagliamento' disordinato degli insediamenti e che porta con sé costi ambientali crescenti, a partire dall'aumento della mobilità commerciale e privata, e quindi dell'inquinamento atmosferico, ai danni di un territorio agricolo che è tra i più fertili e produttivi d'Europa.

I primi dati raccolti ed elaborati dal DiAP (Dipartimento di Architettura e Pianificazione) del Politecnico di Milano, nell'ambito del costituendo Osservatorio Nazionale sul Consumo di Suolo promosso da INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) e Legambiente, parlano di una Lombardia che consuma quasi 5000 ettari di suolo ogni anno, pari a circa 140.000 metri quadri di terra Lombarda che ogni giorno vengono coperti di cemento e asfalto.

“Suolo e acqua sono le risorse naturali più preziose di cui dispone la nostra regione – commenta Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia –, il suolo in particolare è una risorsa non rinnovabile e che quindi, una volta consumato, non sarà più disponibile per le generazioni che verranno. Occorrono politiche e norme efficaci contro la dilapidazione del patrimonio territoriale lombardo, che purtroppo è favorito dai comuni per i quali le concessioni di nuovi volumi edificabili rappresentano il modo più facile per fare cassa”.

Per raggiungere l'obiettivo della tutela dei suoli, Legambiente propone di attuare la 'compensazione ecologica preventiva': si tratta in pratica di vincolare ogni trasformazione di suoli alla realizzazione di interventi di riqualificazione e cura del paesaggio attraverso azioni di rinaturazione, per responsabilizzare il settore delle costruzioni e incentivare l'edilizia della ristrutturazione e del riuso delle aree dismesse rispetto a quella che occupa territori 'vergini'.

“Sono sempre di più i Paesi europei che mettono in campo norme rigorose per preservare le proprie risorse di natura e paesaggio connesse con la conservazione del territorio rurale concludeDi Simine -. In Italia e in Lombardia non esiste ancora nulla di simile, ma non c'è tempo da perdere se vogliamo impedire che la nostra regione diventi una distesa caotica di piastre commerciali, autostrade e parcheggi”.



Dati sul consumo di suolo in Lombardia:


Provincia Suolo consumato annuo, ettari/anno (1999-2004) Indice di consumo di suolo,

% suolo consumato annuo/ superficie provinciale

Consumo annuo pro capite

m2 / ab * anno

Varese 312 0,26 4,0
Como 243 0,20 4,0
Lecco 149 0,18 5,0
Sondrio 123 0,04 7,0
Milano e Monza 893 0,45 2,4
Bergamo 634 0,23 6,5
Brescia 929 0,19 8,0
Pavia 544 0,18 11,0
Lodi 219 0,28 11,0
Cremona 289 0,16 8,6
Mantova 616 0,26 16,0
LOMBARDIA 4950 0,20 5,5

Fonte: elaborazioni Legambiente – DIAP Politecnico, su dati ARPA Lombardia riferiti al periodo 1999-2004. La popolazione di riferimento è desunta dal censimento ISTAT 2001

Una striscia di asfalto con tanto verde accanto. Sarà così la Pedemontana, l’autostrada che collegherà le province nord da Bergamo a Varese attraverso cinque parchi naturali: le opere di compensazione ambientale prevedono anche una pista ciclabile di 90 chilometri, siepi e filari. Gli ecologisti si dicono d’accordo «a patto che non attiri altro cemento» dice Damiano Di Simine, di Legambiente.

Come un grande parco. Che costeggerà la cosiddetta "città infinita" tra Bergamo e le province che lambiscono il territorio di Malpensa. Fatto di case e capannoni. Praticamente senza soluzione di continuità. Una sorta di spina dorsale trasversale composta da una pista ciclabile innovativa lunga 90 chilometri. Circondata da siepi e filari, da Varese a Bergamo. Che collegherà i 5 parchi regionali (Ticino, Pineta di Appiano Gentile, Groane, Lambro, Adda Nord), i 12 parchi locali di interesse sovracomunale (Rugareto, Medio Olona, Rile-Tenore-Olona, Lura, Brughiera Briantea, Brianza Centrale, Grugnotorto Villoresi, Colline Briantee, Cavallera, Molgora, Rio Vallone, Brembo). Più 50 progetti locali di riqualificazione ambientale che saranno gestiti direttamente dai sindaci dei comuni interessati.

Si tratta del progetto delle opere di compensazione ambientale della Pedemontana, la nuova autostrada che collegherà tra loro le province nel nord della Lombardia, appena approvato dal collegio di vigilanza, che sarà presentato ufficialmente domani. Patrocinato sia dalla Provincia che dalla Regione e realizzato in collaborazione con il Politecnico. Un investimento di 100 milioni di euro, di cui 35 solo per la "greenway" che costeggerà il tracciato dell’autostrada a una distanza di circa 5 chilometri. Si tratta del 3,5% dell’importo per la realizzazione complessiva dell’opera. «Una cifra che potrebbe raddoppiare aggiungendo i fondi comunitari e regionali se altri seguiranno il nostro modello - assicura il numero uno di Pedemontana spa, Fabio Terragni - Abbiamo proposto alle amministrazioni interessate di evitare ogni dispersione delle risorse e di concentrarle su un progetto unitario». Sette tipologie di interventi, come spiega Arturo Lanzani, docente di Tecnica e Progettazione urbanistica al Politecnico, che con Antonio Longo ha coordinato il progetto. Ampliamenti di parchi urbani, interventi forestali, di connessione della mobilità lenta attraverso la nuova pista ciclabile, piantumazione di nuove aree, acquisizione di altre zone boschive, interventi di tipo agroambientale e di vera e propria riqualificazione del paesaggio rurale. «Questo - spiega Lanzani - è un territorio già straurbanizzato dove però esiste una emergenza infrastrutturale anche di tipo ambientale. Lo sforzo è stato quello di coniugare un ragionamento d’insieme».

La realizzazione della pista ciclabile (35 milioni di euro) sarà interamente a carico di Pedemontana spa. I 50 progetti di riqualificazione ambientale, invece, saranno promossi e sviluppati dai Comuni e dagli enti Parco. I lavori potranno in molti casi iniziare anche prima della realizzazione dell’opera. Si tratta di progetti di diversa natura e dimensione che potranno contare su gli altri 65 milioni di euro messi a disposizione da Autostrada Pedemontana Lombarda. La maggior parte saranno destinati alla riqualificazione del paesaggio agrario nel Vimercatese e nella piana agricola Comasca. Un intervento che interesserà centinaia di ettari di paesaggio.



Intervista al presidente di Legambiente

di Anna Cirillo



Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia, bastano queste opere di compensazione ambientale per una operazione come la Pedemontana?

«Il progetto Pedemontana è molto pesante. Le compensazioni ambientali per un totale di 100 milioni di euro sono una sfida interessante. Ma diciamo che in altri paesi, tipo Germania, per un’opera come questa, che supera i 4 miliardi di euro e che si sviluppa in aree già fortemente urbanizzate del nord Milano, si avrebbe diritto a compensazioni doppie, se non triple».

E quale giudizio dà sulla qualità delle compensazioni?

«La progettazione è di qualità, si sono individuate, per esempio, alcune aree sulle quali fare interventi, invece della solita politica a pioggia per accontentare tutti. La pista ciclabile va benissimo, ma spenderei di più per le forestazioni, per compensare con natura vera quello che alla natura viene sottratto con la Pedemontana. Inoltre le opere di compensazione, che pure sono irrinunciabili, non bastano. Bisogna fare di più».

Quanto e che cosa di più?

«La Pedemontana è l’ottava autostrada che si vuole costruire in Lombardia ed è quella che ha un senso, dare ordine alla mobilità caotica, mentre le altre hanno prevalentemente un interesse speculativo: urbanizzare la campagna, costruire dove costa meno, creare nuova urbanizzazione, con tutto quello che ciò comporta. Per la Pedemontana ci sono due cose che vanno fatte assolutamente. La prima, impedire con dei vincoli nuove costruzioni, tipo centri commerciali, perché significherebbero ancora più traffico».

E la seconda?

«Secondo, sottoporre l’autostrada ad una cura dimagrante, cioè tagliare sulla viabilità connessa, complementare alla Pedemontana: le nuove strade a scorrimento veloce che vanno ad inserirsi ovunque ci sia un po’ di territorio che ha potenziali urbanistici. Di queste, quella più pericolosa in termini di occupazione del suolo è la nuova Varesina, parallela all’attuale statale, che va inutilmente a distruggere nel Varesotto boschi e foreste, creando condizioni per una ulteriore invasione di cemento».

Negli ultimi mesi del 2007 si è sviluppato in Lombardia un vivace dibattito sul consumo del suolo, iniziato con la presentazione di uno studio curato dalla Provincia di Milano con il Politecnico di Milano in cui si dimostra la progressiva diminuzione del verde nell'hinterland milanese e, parallelamente, l'aumento dell'area urbanizzata che passerà nei prossimi anni dal 34 al 42, 7%, se si realizzeranno tutte le previsioni di espansione insite nei Piani di governo del territorio dei Comuni. Lo studio individua nella misura del 45% la soglia di sostenibilità ammissibile per il territorio: Oltre quel dato i terreni non garantiscono più la rigenerazione ambientale, spiega Maria Cristina Treu, docente del Politecnico che ha curato lo studio insieme alla Provincia. Di questo passo, la città infinita divorerà i campi e l'ambiente. (Davide Carlucci, “ Nell'allegra incoscienza di tutte le autorità responsabili per l'urbanistica dell’area metropolitana, il consumo di suolo ha raggiunto livelli paradossali”, la Repubblica, 20.10.07).

Lo studio precedeva l'illustrazione del nuovo Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) presentato dall'assessore provinciale al territorio, Pietro Mezzi: Uno strumento che dovrebbe aiutare a governare meglio i processi di trasformazione del territorio nell'area metropolitana milanese e a coordinare, per grandi temi, le pianificazioni dei 189 Comuni della Provincia, Milano compresa (...) È un Piano che cerca di mettere ordine e di semplificare le procedure, ma che si pone anche programmi ambiziosi: tra questi, creare la rete ecologica provinciale, in particolare nel Nord Milano; indicare i punti di forza dello sviluppo urbanistico dei Comuni; individuare le aree destinate all'attività agricola (Pietro Mezzi, “ È vicino il punto di non ritorno”, la Repubblica, 21.10.07).

Questa prospettiva tocca direttamente la pianificazione urbanistica dei Comuni racchiusi nei confini provinciali in quanto il Ptcp si prefigge di non superare la soglia stabilita nel 45% del consumo di suolo. Ancora Mezzi: Si pone così il problema di realizzare una concreta sostenibilità. Gli amministratori, i politici, gli ambientalisti, gli studiosi sapranno raccogliere questa sfida o si continuerà a pensare in termini di sviluppo infinito? E ad affidare al consumo del suolo l'unica risposta alla crisi strutturale della finanza locale? Il nuovo Piano territoriale di coordinamento provinciale si pone questo obiettivo e, con gli inevitabili e faticosi compromessi; propone una crescita giudiziosa. La più sostenibile in questa situazione.

A quel punto scoppia la polemica tra il Presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, e il suo assessore circa la libertà dei Comuni di costruire sul loro territorio, tesi sostenuta da Penati: limitare la crescita della grande Milano, imporre un tetto all'espansione urbana nell'hinterland? (...) "Ogni comune è libero di programmare il suo sviluppo con i piani di governo del territorio. E il nostro piano di coordinamento territoriale provinciale non può darsi il compito di programmare meglio lo sviluppo delle singole realtà. E un tema complesso e cruciale, la pianificazione sovracomunale è una materia delicata da affrontare rispettando il corretto ruolo della sussidiarietà” (...) Penati tira dritto anche sul Cerba, il Centro europeo di ricerca biomedica avanzata, 620mila metri quadrati nel parco Sud, voluto dall'oncologo Umberto Veronesi ma osteggiato dagli ambientalisti (Davide Carlucci, “ Penati: Comuni liberi di costruire", la Repubblica,22.10.07).

Diventa inevitabile la richiesta di alcuni Comuni, inseriti nel Parco Agricolo Sud Milano, di modificare i confini delle Zone tutelate in modo da poter disporre di maggiori superfici per lo sviluppo urbanistico. I Comuni del Parco agricolo Sud Milano convocati (. ..) in assemblea in Provincia hanno diverse motivazioni ma per 23 di essi (sono in tutto 61, compreso il capoluogo) c'è un fine comune. Vogliono la modifica dei confini del parco, fissati da una legge regionale 17 anni fa. Da allora, dicono i sindaci, sono cambiate molte cose. Non troppe, per fortuna, se oggi l'espansione urbanistica a sud di Milano è ancora ferma al 19% del territorio, mentre tocca quote preoccupanti nel capoluogo (70%) e soprattutto nell'hinterland (66% nella Brianza ovest, 60% lungo l' asse del Sempione, 57% nella Brianza centrale). (Stefano Rossi, “I Comuni scoppiano, 23 su 61 vogliono modificare i confini delle zone tutelate”, la Repubblica, 29.10.07).

In questo quadro già abbastanza ambiguo si inserisce, a livello regionale, un altro palese attacco alla cultura della difesa del territorio, quando l'assessore all'Urbanistica della Regione Lombardia Davide Boni, nella seduta della V Commissione consiliare del 7.11.07, annuncia alcune modifiche alla L.R.12/2005 Testo Unico sull'Urbanistica, consistenti nella possibilità di prevedere, nei nuovi Piani di governo del territorio, espansioni nel territorio dei Parchi regionali e, in caso di opposizione dell'ente parco, l'intervento diretto della Regione con procedure semplifìcate (si veda: Carlo Monguzzi, capogruppo dei Verdi in Regione Lombardia, “ Via libera alla cementificazione del parco sud, Milano”, pubblicato il 7.11.07 sul sito www.verdilombardi.org).

Questa manovra che di fatto permetterebbe ai Comuni lombardi di aggredire le aree tutelate dei parchi viene considerata un grave attacco all'ambiente e al diritto di tutti i cittadini a conservarsi parti di territorio di altissimo valore naturalistico, oltre a contrastare gravemente con l'Art. 9 della Costituzione italiana che prevede la salvaguardia del paesaggio, e quindi delle aree a forte valenza ambientale.

Fortunatamente insorge il fronte ambientalista e dal sito "Eddyburg", viene lanciato un appello al mondo della cultura delle professioni, delle istituzioni e ai comitati per la difesa del territorio affinché intervengano per chiedere di ritirare l'emendamento (si veda: “ Lombardia vergogna d'Europa?”, pubblicato il 16.11.07 sul sito www.eddyburg.it ). La mobilitazione è tale che l'emendamento in questione viene bloccato e la sua discussione, in Regione Lombardia, rimandata a gennaio. La delicata questione del consumo di suolo impone vigile attenzione a tutte le componenti della società civile, temi ribaditi recentemente in un convegno "Ambiente e Territorio" (Milano, 1-2 dicembre) in cui è stata proposta anche una legge che limiti lo spreco di suoli come già avvenuto in altri Paesi europei: Consumo di suolo come uso sbagliato di una risorsa irriproducibile, scarsa, preziosa. Un bene, il suolo, inteso come bene collettivo, come l'acqua, l'aria, l’energia. Da utilizzare con parsimonia e per la cui conservazione occorrono politiche locali e nazionali. Il documento finale della due giorni milanese infatti a governo e parlamento chiede addirittura una legge che ne limiti l'uso, come da tempo hanno legiferato in Germania, Olanda e Inghilterra (Pietro Mezzi, “ Raymond Unwin direbbe regional planning in practice. Contrastare il consumo di suolo a scala metropolitana”, il Manifesto, 12.12.07).

Questo obiettivo di equità nell'uso delle risorse appare motto difficile da raggiungere, soprattutto rispetto al contenimento dell'uso del suolo, se permangono alcune misure contenute nelle leggi finanziarie che, consentono ai Comuni di utilizzare gli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente, come spiega puntualmente Vittorio Emiliani: Non c'è pace per il paesaggio italiano che pure - assieme alle città d'arte ricomprese in esso in un unico palinsesto - rappresenta la superstite risorsa primaria per il nostro turismo di qualità (Vittorio Emiliani, “Un lucido aggiornamento sulla temperatura (febbre alta) del territorio italiano, mentre il medico pensa ad altro”, l'Unità, 20.12.07).

foto f. bottini

Settecento e qualcosa firme al giorno, praticamente senza copertura stampa. È la seconda, piccola mobilitazione di massa contro il progetto neocementificatore e paleoautoritario del centrodestra lombardo per abolire gli enti parco e l’idea di fondo della pianificazione territoriale.

Segue di una manciata di settimane, questa raccolta firme, quella dell’autunno scorso, che provocò anche se indirettamente il ritiro del cosiddetto “emendamento Boni”.

Si era detto allora: ci riproveranno. Ed eccola qui la junta padana a ribadire che un parco “ el custa un sacc del danée” perché bisogna pagare un consiglio, e i consigli sono una cosa inutile se le decisioni vengono prese altrove, no?

Si era detto anche: ma noi ci saremo ancora. Ed eccola qui, l’ormai ciclica raccolta di firme, stavolta su impulso di un piccolo gruppo pavese, ma che ha ripetuto e ampliato il sistema della partecipazione sicura e informata che già aveva caratterizzato la scorsa esperienza.

foto f. bottini

Mercoledì 13 febbraio, quando si è riunita nel primo pomeriggio la V Commissione Territorio per ri-discutere l’emendamento, i consiglieri sapevano già (ognuno dal suo punto di vista) delle più di mille firme che in poche ore si erano già accumulate sul sito www.piccolaterra.it . Non si è discusso in realtà di nulla: salvo rimarcare le due posizioni a quanto pare inconciliabili dei favorevoli e dei contrari, e rinviare l’eventuale voto al successivo mercoledì 20.

Il consigliere Monguzzi dei Verdi insieme a un altro ha segnalato l’ampiezza e coesione del movimento motivatamente contrario alle modifiche alla legge urbanistica regionale: un movimento che si esprime sia nel modo più istituzionale delle prese di posizione visibili di rappresentanti e stampa locale e non, sia appunto nelle forme anche più socialmente e culturalmente significative della partecipazione diffusa attraverso la raccolta firme.

Nel momento in cui vengono scritte queste note il numero delle firme sul sito ha raggiunto e superato quota 2.300, e non c’è motivo di ritenere che anche questo numero di adesioni non possa essere superato di molto. I due consiglieri hanno ottenuto che nella prossima seduta di Commissione venga ascoltato (ehm: per 15 minuti) un solo rappresentante del movimento di opposizione e dell’associazionismo.

Indipendentemente dai risultati istituzionali, che si spera comunque possano essere positivi, è comunque il caso di rimarcare ancora una volta come su un tema tanto tangibile e quotidiano come il verde, i fatti dimostrino come la cosiddetta “antipolitica” sia un’invenzione di alcuni politicanti di professione, eletti o meno, che vedono in una crescita della partecipazione diretta e consapevole un ostacolo ai propri tristi disegni, di non importa quale segno (anche perché spesso non li si distingue davvero, nel merito come nel metodo).

foto f. bottini

Nel caso specifico, è evidente l’orientamento dell’assessore e della maggioranza che lo sostiene: neocentralismo, culturalmente neolitico, complessivamente ostile nei confronti di qualunque forma di conflitto, per quanto incanalato e istituzionalizzato. Come quello che appunto nei meccanismi della pianificazione territoriale ai vari livelli e competenze vede una forma matura e consolidata.

E che si sostiene nelle sue forme non specialistiche su supporti come questo sito, e altri di varia ispirazione, a partire dal “glocale” www.piccolaterra.it al quale invitiamo per l’ennesima volta a far pervenire le adesioni, vostre e degli amici di tutta Italia (e del mondo, perché no?) che vorrete coinvolgere.

Cassinetta di Lugagnano [Milano] è uno di quei piccoli borghi padani che sembrano usciti da una cartolina: sul Naviglio Grande, circondata dalle campagne, grazie anche a un piano urbanistico a «crescita zero». Una cartolina che si deve anche, però, al ruolo di tutela giocato sinora dai grandi parchi lombardi. Non è un caso se proprio dal sindaco di questo piccolo comune è nata la proposta di un coordinamento delle forze ambientaliste e progressiste contro la trovata della junta ciellino-leghista che imperversa sulla padania: l’abolizione, di fatto, dei parchi come garanti delle reti ambientali [vedi Carta 41/2007].

E ben venga, una partecipatissima reazione di cittadini, amministrazioni, associazioni, per arginare la deriva suicida-sviluppista nascosta dietro un emendamento «tecnico» alla legge urbanistica già ritirato lo scorso autunno, grazie alla raccolta di un migliaio di firme in pochi giorni: vero record.

Ma sono fortissimi gli interessi per lo «sviluppo del territorio», in quella che certa sociofagia facilona ha ribattezzato la Città Infinita, a evocare mica tanto sottilmente inesauribili frontiere su cui far avanzare la marcia di villette e capannoni. Ma si spera, si spera sempre, che passi fra i cittadini il messaggio di Cassinetta di Lugagnano: sviluppo, qualità della vita, non sono sinonimo di superstrade, scatoloni in precompresso, incombenti luci al neon. C’è anche una trasformazione partecipata, come quella del piano regolatore, con al centro la tutela delle risorse aria, acqua, suolo, della qualità dei vita quotidiana degli abitanti, e perché no anche dello sviluppo, pur nel quadro generale della sostenibilità.

Ma, viene da chiedersi: è davvero proponibile un modello di questo genere, fuori dal presepe vivente dei piccoli borghi dove si praticano piani «esemplari»? O, meglio, è davvero esportabile a scala socioeconomica e territoriale vasta, un’idea di vita almeno in parte alternativa a quella che ci propone sul vassoio la pubblicistica corrente attuale?

Verrebbe da rispondere: certo che si, attraverso appunto gli strumenti della pianificazione territoriale, che servono proprio a questo. Non a caso, il centrodestra da sempre cerca di sabotare dall’interno proprio queste conquiste del secolo scorso, dove anche oltre la mediazione e discrezionalità politica trovano una camera di compensazione varie esigenze, soggetti, culture e prospettive. Ma c’è un dubbio: la pianificazione del territorio è capace di parlare alla gente? Oppure, istituzionalizzata e nascosta dietro le pareti dei propri uffici, usa un linguaggio che suona astruso, iniziatico e tutto sommato estraneo, affidandosi poi in tutto e per tutto a slogan semplicistici e fuorvianti, dalle vaghe «misure d’uomo» alle più recenti e fantasiose declinazioni sul tema della «sostenibilità».

È così che strisciante avanza ridicola la marinettiana Città Infinita, da riempire di chiacchiere e autostrade, per spostarsi poi da un centro congressi all’altro. Forse, dal piccolo borgo di Cassinetta di Lugagnano, può anche partire una nuova strategia di comunicazione.

Ambiente e territorio sono la cosa su cui appoggiamo i piedi. Un po’ sopra, senza soluzione di continuità, c’è la testa.

Il Corriere della Sera

Parchi, retromarcia della Regione

di Giovanna Maria Fagnani

Ritirata la norma contestata dagli ambientalisti. Forza Italia si dissocia

Esultano le associazioni di ecologisti e agricoltori: «Scongiurata una speculazione gigantesca»

MILANO - Non ci speravano neppure loro, tant'è vero che avevano già organizzato i comitati per la raccolta di firme per indire un referendum, se la legge fosse passata. Invece, a sorpresa, il «fronte verde » ce l'ha fatta.

Ieri, in apertura del consiglio regionale, l'assessore regionale leghista Davide Boni ha annunciato il ritiro dell'emendamento 13-bis, il cosiddetto «provvedimento ammazzaparchi ». La modifica affidava alla Regione l'ultima parola nel caso di contenziosi urbanistici fra i Comuni e le aree protette. Ora se ne riparlerà durante la stesura della nuova legge di riordino dei parchi regionali, il cui iter è appena iniziato.

«Non rinnego nulla: la norma non è mai stata un via libera alla cementificazione» ha detto Boni, che poco dopo in conferenza stampa ha spiegato le sue ragioni insieme a Milena Bertani, presidente del Parco del Ticino, che nei giorni scorsi, a differenza di altri quindici presidenti dei parchi lombardi, si era espressa a favore della nuova legge.

Alla notizia dello stralcio dell' emendamento, il presidio di protesta delle associazioni ambientaliste davanti al Pirellone si è trasformato in una festa. Esultano i Verdi e il «Coordinamento Salvaparchi», che riunisce tra gli altri Legambiente, Fai, Wwf e confederazioni agricole. «E' stata una vittoria straordinaria, dovuta alla mobilitazione di sindaci, cittadini e associazioni » spiega il portavoce Domenico Finiguerra. «Abbiamo salvato da una possibile speculazione edilizia trentotto chilometri quadrati di aree agricole del comune di Milano: con questo emendamento sarebbero diventate edificabili. Ora, però, occorre tener alta la guardia» precisa Carlo Monguzzi, capogruppo dei Verdi in Regione.

Anche l'assessore provinciale al Parco Agricolo Sud Milano, Bruna Brembilla, tira un sospiro di sollievo: la norma, secondo l'opposizione, era stata concepita proprio per favorire altri insediamenti in quest'area protetta. «In futuro invito i responsabili regionali ad ascoltare le istanze che provengono dai Comuni e dai parchi» dice la Brembilla.

«Ha vinto il buon senso — spiega, invece il consigliere regionale del Pd Franco Mirabelli — Questa legge sulla normativa urbanistica è in discussione da quasi un anno proprio per responsabilità dell'assessore, che ha voluto caricarla di argomenti che non c'entrano nulla ». Osservazione, in parte, condivisa anche da Stefano Galli, capogruppo della Lega Nord, che pur negando spaccature interne («Si è trattato solo di uno spostamento della questione da una legge all'altra»), precisa: «Quella norma nella legge urbanistica non aveva alcun senso».

Lo stralcio ha provocato reazioni anche all'interno della maggioranza. Giulio Boscagli, capogruppo di Forza Italia, è critico: «Appare strano che dopo quattro mesi di dibattito in Commissione l'assessore Boni, decida improvvisamente di ritirare l'emendamento, assolutamente non "ammazzaparchi" ma volto a valorizzare il territorio lombardo e a rispettare la sua specificità — sottolinea Boscagli —. Accettiamo la scelta, ma non la condividiamo. Non siamo disposti ad accettare, senza essere preventivamente coinvolti, decisioni che con tutta evidenza sono dovute assai più a dissensi e lotte interne alla Lega e non alla difesa del nostro territorio».

La Repubblica

La brezza delle elezioni

di Ivan Berni



La marcia indietro della giunta regionale sull’emendamento ammazzaparchi contiene tre buone notizie in una. La prima è che, per ora, i parchi lombardi sono salvi. Pare poco e invece è già molto, se si considera che l’emendamento dell’assessore leghista Boni svuotava, di fatto, gli enti di gestione di qualsiasi potere, permettendo ai Comuni di programmare edificazioni e alla Regione di autorizzarle in barba all’orientamento espresso dai parchi medesimi. Chiunque abbia una briciola di buon senso e buona fede non può sostenere la ragione stessa di esistenza dei parchi se gli organismi che li devono gestire non sono messi in condizione di tutelarne il perimetro e l’integrità. Da questo punto di vista il ripensamento del centrodestra va salutato davvero come una vittoria (parziale, temporanea?) della ragione sulla cieca furia cementificatrice.

La seconda buona notizia è che la battaglia contro l’emendamento Boni è stata vinta anche grazie al convinto, e all’apparenza unanime, schieramento del Partito Democratico. Non era così scontato come sembra. Il via libera ai sindaci di costruire nei parchi rappresenta infatti una di quelle tentazioni che spesso hanno fatto breccia anche a sinistra. Soprattutto quando gli oneri di urbanizzazione da incassare rappresentano una boccata d’ossigeno per casse comunali sempre più vuote.

Come sovente capita quando si tratta di infrastrutture e nuove edificazioni, la tentazione fa il ladro (in senso metaforico, s’intende) e qualche volta si trasforma in posizione politica. Si temeva, insomma, che in nome della realpolitik ci sarebbero state smagliature e distinguo da parte del Pd. Invece così non è andata, e nella regione dove il consumo di suolo è al limite della capacità di rigenerazione del territorio, il Partito Democratico si schiera in modo netto, scegliendo di stare con le associazioni ambientaliste, con le migliaia di persone che hanno sottoscritto appelli online e petizioni, ed evitando ai Verdi di rimanere l’unico referente politico di questa battaglia civile in Consiglio regionale.

La terza buona notizia, filiazione diretta delle prime due, è che finalmente l’ambiente viene riconosciuto come una priorità dal centrosinistra e che questo stesso concetto comincia a farsi largo anche nel centrodestra. È un dato di grande valore, soprattutto se si considera che siamo in piena campagna elettorale. Vuol dire che chi pensava di incassare consensi aprendo le porte dei parchi al cemento ha sbagliato i conti, o comunque ha dovuto rinculare dal proposito perché le minacce al verde e all’ambiente, lo scempio delle risorse naturali sono percepite dagli elettori per quello che sono: un intollerabile attacco alla qualità della vita. Attenzione: non una qualità della vita astratta, ma proprio quella di ciascuno dei 10 milioni di lombardi, che dei parchi sono massicci fruitori. E questo vale per gli elettori di centrosinistra quanto per quelli di centrodestra.

Per una volta sembra abbiano contato di più le ragioni della sostenibilità che gli argomenti della speculazione. Forse è merito del vento elettorale: per una volta una brezza piacevole.

La Repubblica

Boni ritira la legge ammazzaparchi

di Stefano Rossi

Ha difeso la sua posizione, ma ieri ha dovuto cedere: l’assessore regionale al Territorio Davide Boni ha ritirato l’emendamento 13 bis, "l’ammazzaparchi", stralciandolo dalla legge urbanistica. Una vittoria per gli ambientalisti, che avevano organizzato un presidio sotto il Pirellone, e per il centrosinistra. «La giunta dev’essere come la moglie di Cesare, non voglio si dica che cementifichiamo le aree naturali. Questa norma è stata strumentalizzata», abbozza Boni che però rilancia: l’emendamento tornerà in commissione, in vista di un inserimento nell’imminente nuova legge sui parchi.

Salta in Regione l’emendamento ammazzaparchi, contestato da centrosinistra e ambientalisti e difeso strenuamente dall’assessore leghista al Territorio, Davide Boni. Quest’ultimo decide di stralciare il provvedimento dalla legge urbanistica proprio mentre inizia in consiglio regionale la discussione sulla norma: l’opposizione ha pronti 409 emendamenti e associazioni come Wwf, Legambiente, Italia Nostra, Fai presidiano l’esterno del Pirellone.

Il discusso emendamento 13 bis sui parchi regola i rapporti fra la Regione, gli enti parco e i Comuni all’interno dei 24 parchi regionali. Secondo l’opposizione, l’emendamento attribuisce alla giunta regionale la facoltà di approvare o respingere le varianti urbanistiche proposte dai Comuni e rifiutate dai parchi. Largo agli appetiti immobiliari, traduce insomma il centrosinistra che per Milano evoca i nomi di Ligresti e Cabassi.

Boni, sostenuto da Milena Bertani, presidente del parco del Ticino ed ex assessore regionale ai Lavori pubblici, spiega che la giunta regionale interverrebbe solo in caso di mancata risposta dell’ente parco alla richiesta di variante urbanistica del Comune. «In commissione - risponde Franco Mirabelli del Pd - è stato detto chiaramente che, se il parco si oppone, decide la giunta». E il verde Carlo Monguzzi: «Oggi se il parco dice no non si costruisce. In futuro non sarebbe più così».

Ad ogni modo, in aula Boni ha già fatto marcia indietro: «La giunta dev’essere come la moglie di Cesare, non voglio si dica che cementifichiamo le aree naturali. È vero piuttosto il contrario. Guardate com’è ridotto il parco delle Cave. O il parco delle Grigne, dove si costruisce a Olginate. Eppure non sono parchi regionali. Questa norma è stata strumentalizzata in modo incredibile».

Il 13 bis torna in commissione, in vista di un inserimento nell’imminente nuova legge sui parchi. Il 19 marzo Boni incontrerà i presidenti delle aree naturali «e fino ad allora lavoreremo su questo testo». L’assessore, così, evita la conta. Marco Cipriano di Sd aveva chiesto il voto segreto puntando sulle divisioni della Lega. L’emendamento sarebbe afflitto da «centralismo regionale», tanto che alcuni amministratori leghisti hanno partecipato alle proteste, come a Cassinetta di Lugagnano, dove il sindaco Domenico Finiguerra (Sinistra Arcobaleno) ha già all’attivo la battaglia contro la tangenziale per Malpensa.

Giulio Boscagli, capogruppo azzurro, bacchetta Boni: «Non siamo disposti ad accettare, senza essere preventivamente coinvolti, decisioni evidentemente dovute assai più a dissensi e lotte interne alla Lega che alla difesa del nostro territorio». L’assessore replica: «Qualcuno non ha letto a fondo l’emendamento. Tutti i colleghi sono degni di attenzione».

Boni incassa l’appoggio del sindaco Letizia Moratti, che parla di «sintonia e pieno accordo» e di emendamento «pensato per superare eventuali conflitti fra enti». Esulta invece il centrosinistra, che critica tuttavia la legge urbanistica passata in serata con un altro emendamento di Boni: il mantenimento o la creazione di un campo rom in un Comune subiranno il parere vincolante dei Comuni limitrofi. Sgradite anche le limitazioni per la costruzione di moschee e - in particolare a Rifondazione - il 15 per cento di volumetria in più concesso in caso di edificazione nelle aree ferroviarie dismesse.

il manifesto

L’ammazzaparchi non c’è più

di Luciano Muhlbauer

L’emendamento “ammazzaparchi” non c’è più. L’assessore Boni ha dovuto ritirarlo in aula di fronte all’opposizione della sinistra e soprattutto delle forze della società civile lombarda. La nostra soddisfazione è grande, perché è stata impedita un’ulteriore calata di cemento sui parchi lombardi. Perché questa era la ratio della norma voluta da Formigoni e dal partito degli affari.

Ma il pacchetto di modifiche della legge urbanistica regionale non prevedeva soltanto questa norma, bensì molto di più e, purtroppo, se ne’è parlato poco. Come ormai accade da oltre due anni, le continue modifiche della l.r. 12/2005 non sono ispirate al governo pubblico delle trasformazioni urbanistiche in atto, bensì alla tutela di interessi particolari, affaristici o politici. E così, ad esempio, è stata varata una norma che favorisce gli interessi dei poteri forti, concedendo un aumento delle volumetrie nella misura del 15%, per quanto riguarda gli interventi edificatori sulle aree dismesse delle Ferrovie dello Stato. E non stiamo parlando di briciole, ma di uno degli affari del secolo, cioè di un milione di metri quadrati nella sola Milano.

Come d’abitudine, però, la legge 12 è stata utilizzata anche per fini che con l’urbanistica non c’entrano un bel niente, ma che fanno comodo alle campagne securitarie delle destre. Ci sono dunque nuove regole , di carattere restrittivo, per l’insediamento dei “campi nomadi” e la contemporanea abrogazione dell’art. 3 della l.r. 77/89, cioè viene abrogato l’obbligo di “evitare qualsiasi forma di emarginazione urbanistica” e di “facilitare l’accesso ai servizi e la partecipazione dei nomadi alla vita sociale”.

Non manca, ovviamente, un altro “cult” leghista, con l’introduzione di una nuova regola che rende ancor più difficoltosa la costruzione di moschee. E così, dopo la norma “urbanistica” speciale del 2006, che aveva messo fuori legge pregare, senza permesso del sindaco, in un luogo non considerato ufficialmente di culto, ora si vuole ostacolare persino la costruzione di nuovi luoghi di culto regolari.

In altre parole, questioni di carattere sociale o attinenti alla libertà religiosa vengono trasformati in problemi urbanistici e, per questa via, in questioni di ordine pubblico. Insomma, il solito squallido gioco del tanto peggio, tanto meglio.

Per questo, pur essendo soddisfatti per il ritiro dell’emendamento “ammazzaparchi”, occorre essere consapevoli che la battaglia per un governo pubblico e sostenibile delle trasformazioni urbanistiche è ancora lunga. In fondo, si tratta di stabilire chi decide: o i grandi costruttori oppure i cittadini e i lavoratori che abitano i territori.

postilla

Tra le moltissime cose positive emerse anche da questo “secondo round” del conflitto fra il governo lombardo e una parte della società locale, continua in gran parte a restare sospesa nel vuoto la questione centrale: esiste un’idea di territorio del centrosinistra? Non a caso aveva facile gioco l’assessore Davide Boni solo qualche giorno fa, quando dichiarava alla stampa “se davvero non si può costruire nei parchi, qualcuno del centrosinistra mi spieghi come sono nati Ieo e Cerba ”. E sarebbe certo il caso di iniziare a risolvere questo nodo, perché uno schieramento di pura opposizione ha necessariamente vita breve, nonostante appaia in crescita la partecipazione e consapevolezza diffusa ai temi dell’ambiente e dello sviluppo. Se “ambientalismo del fare”, slogan molto in voga di questi tempi, significa poi adottare gli stessi metodi (e meriti) del centrodestra, al massimo favorendo qualche cordata concorrente di grandi interessi, non si andrà molto lontano. Come insegna anche la presa di posizione di alcuni esponenti della base leghista, a quanto pare fondamentale nel ritiro dell’emendamento, sul governo del territorio si gioca davvero la credibilità di una proposta politica. Ovvero, distinguendo tra interesse generale e alchimie fra interessi particolari (f.b.)

Contro la legge regionale anche sindaci leghisti, martedì il sit-in

di Franco Vanni

Si sono dati appuntamento per martedì, davanti al Pirellone, per un presidio di protesta. Il nemico comune è il "decreto ammazzaparchi", la parola d’ordine «resistenza». Ieri a Cassinetta di Lugagnano, nella riunione che ha tenuto a battesimo il Coordinamento regionale Salvaparchi, la scandivano i sindaci del Milanese e la ripetevano i rappresentanti di comitati e associazioni ambientaliste. A guidare il coordinamento è Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta, che dice: «L’emendamento che consente alla Regione di autorizzare costruzioni nei parchi è un rischio mortale per il verde e apre la strada alla cementificazione selvaggia».

Davanti al municipio del minuscolo Comune a due chilometri da Abbiategrasso, nel parco del Ticino, si sono detti pronti a «resistere fino alla vittoria» gli attivisti di Wwf e Legambiente, gli Amici di Beppe Grillo e persino alcuni leghisti in disaccordo con il loro assessore. L’obiettivo è fermare l’emendamento 13 bis alla legge urbanistica regionale, approvato dalla commissione Territorio del Pirellone su proposta dell’assessore al Territorio Davide Boni, che sarà votato martedì. Due le strategie concordate per quel giorno: l’ostruzionismo in Consiglio e il presidio davanti al grattacielo, con la consegna alla Regione di migliaia di impronte digitali fatte con inchiostro verde, i "pollici verdi". Se l’emendamento passerà, il Coordinamento si attiverà per chiedere il referendum abrogativo.

Al Salvaparchi aderiscono una trentina di Comuni, i consiglieri regionali Carlo Monguzzi dei Verdi e Francesco Prina del Pd, i presidenti di 15 parchi lombardi su 25 e oltre cinquanta fra associazioni e comitati. Per Paola Santeramo, della Confederazione italiana agricoltori, «è assurdo che, mentre Milano si candida a ospitare l’Expo nel 2015 sull’alimentazione, la Regione vari una legge che rischia di danneggiare la nostra agricoltura». Per Ernesto Beretta, agricoltore con un piccolo terreno a Robecco, «se si lascia briglia sciolta all’edilizia la terra aumenterà di valore e ci sarà la corsa a vendere. È così che muore la campagna». Ieri a Cassinetta c’era anche Massimo Olivares, vicesindaco leghista di Marcallo con Casone. Quando l’assessore provinciale al Territorio, Pietro Mezzi, attacca l’assessore Boni lui scuote la testa, ma tiene a precisare: «Se sono qui è perché ho a cuore i parchi, come tutti voi».

Boni: "Macché verde a rischio Sono solo polemiche elettorali"

intervista all’assessore regionale

di Luigi Bolognini

Davide Boni, assessore al Territorio, sereno in vista della discussione della legge sull’urbanistica?

«Sereno e tranquillo. Le polemiche sono montate solo da una parte politica. Siamo in campagna elettorale, non dimentichiamolo. Poi scopro che dei 12 parchi che hanno protestato in realtà 2-3 non hanno davvero firmato la lettera».

Neanche la valanga di emendamenti e ordini del giorno dell’opposizione la preoccupa?

«Perché dovrebbe? Sono un diritto dell’opposizione. Presentino quello che vogliono, ne discuteremo con tutti i tempi tecnici del caso e poi approveremo la legge».

Senza neppure aspettare l’approvazione della legge sui parchi?

«E perché? Comunque va nella stessa direzione, di governo del territorio e rispetto della natura».

Insomma, il famoso 13-bis non è un emendamento ammazzaparchi?

«Serve solo a dirimere eventuali contenziosi tra Comuni ed enti di gestione. E poi, se davvero non si può costruire nei parchi, qualcuno del centrosinistra mi spieghi come sono nati Ieo e Cerba».

Mirabelli: "Territorio indifeso c’è il pericolo speculazioni"

intervista a un consigliere PD

di Luigi Bolognini

Franco Mirabelli, consigliere regionale del Pd, a che cosa mira con le centinaia di emendamenti e di ordini del giorno che presenterà martedì sulla legge urbanistica?

«A ottenere lo stralcio dell’emendamento 13-bis, l’ammazzaparchi, dal provvedimento. Primo perché lo chiedono i presidenti dei parchi, secondo perché adesso è in discussione la legge sui parchi, ed è giusto che le norme siano coerenti e omogenee tra di loro».

Queste sono questioni di procedura. Ma nel merito che cosa non la convince?

«La proposta è che se un Comune vara una variante al piano regolatore su territorio del parco e l’ente di gestione si oppone, sia la Regione a risolvere il contenzioso. Ma se togliamo agli enti parchi anche il compito di salvaguardare il loro territorio, a che servono? E non è chiaro con che criteri la Regione possa decidere i contenziosi».

Un maligno potrebbe dire che ci sono dietro interessi di speculazione.

«Io no. Cioè, non lo so. Però è vero che una legge così può autorizzare il sospetto. E anche per questo il provvedimento va fermato».

Quando una città cresce e si espande sente il bisogno affannoso di reperire nuove aree edificabili; e le cerca nelle immediate vicinanze, occupando senza scrupoli i terreni ancora liberi, sotto la spinta di una miope ed esclusiva ricerca di speculazione. Analogamente, una tribù di selvaggi, quando cresce di numero, occupa violentemente nuovi territori limitrofi, sotto la spinta di una impellente necessità di sopravvivenza. Una stessa legge della giungla domina due comportamenti ugualmente violenti. Tuttavia, mentre una città retta dal "buon governo" padroneggia la sua espansione e la inquadra in piani di razionale sviluppo urbanistico, volti a conseguire un auspicabile bene comune; al contrario una città retta dal "mal governo", come quello che amministra oggi Milano, allunga i tentacoli della sua espansione su qualsiasi territorio a portata di mano, evitando deliberatamente di accertarsi se questi territori abbiano un valore ambientale o storico, o monumentale. Nei programmi del "malgoverno" non esiste il concetto di bene comune, esiste soltanto l’interesse ed il tornaconto dei singoli gruppi privati, cioè delle lobby.

In questi giorni sta per essere presa dalla Regione Lombardia una iniziativa offensiva e sciagurata; una offensiva che modifica la attuale legge urbanistica e peggiora sensibilmente le norme di protezione dei parchi naturali. I parchi naturali, quando si trovano ai margini della città, vengono comprensibilmente valutati, da parte di costruttori avidi e di amministratori poco scrupolosi, come tesori rari ed inestimabili. Una edificazione interamente collocata nel verde acquista infatti un invidiabile pregio e garantisce un altissimo profitto.

Con la precedente legge regionale era stata ottenuta una lodevole conquista, culturale e civica allo stesso tempo: il paesaggio, sia naturale che monumentale, veniva considerato come un bene di assoluta proprietà collettiva, un bene da salvaguardare gelosamente in nome di comuni e generali principi etici ed estetici; principi analoghi a quelli invocati dall’Unesco quando si impegna a salvaguardare luoghi di particolare valore, definiti "patrimonio dell’umanità". La nuova legge regionale calpesta questi principi e apre la porta a una distruzione dei parchi naturali, selvaggia e indiscriminata. Ipocritamente presentata come una occasione di abbellimento del territorio lombardo, la nuova legge in realtà apre le strade alla distruzione di quella parte di territorio ancora verde posto a Sud di Milano, e sopravvissuto alla edificazione caotica del dopoguerra; mentre dalla stessa edificazione è stata irrimediabilmente sfigurata la parte posta a Nord, la (un tempo) amena Brianza. Con una subdola norma, che può sembrare innocua ed è invece letale, la nuova legge demanda alla Regione il potere di concedere nuove edificazioni all’interno dei parchi, anche contro il parere dei Comuni interessati, cioè dei primi ufficialmente autorizzati a deliberare, perché inclusi nei confini del Parco e costituenti di questo parte integrante. "Allarme cemento nei parchi", diceva ieri, con enfasi appropriata, questo quotidiano; si dovrebbe aggiungere oggi, con toni angosciati, "Allarme, eccidio del paesaggio".

Firmate contro l'obbrobrio !

la Repubblica

Un duro conflitto appena cominciato

di Paolo Hutter

«La nuova legge permette di operare per una Lombardia ancora più bella». La dichiarazione è del presidente della commissione Territorio, il forzista Marcello Raimondi. È da incorniciare quell’"ancora".

È segno di orgoglio lombardo, anzi di sguardo velato da compiacimento verso la megalopoli di villette e capannoni che è colata da tutte le parti negli ultimi decenni. Bisognerebbe invertire la rotta, non andare "ancòra" avanti nella direzione del cemento, delle ruspe e del mattone. E invece la legge contiene proprio quell’emendamento che gli ambientalisti uniti hanno cercato di respingere e hanno battezzato "ammazzaparchi". Si tratta di una questione che al momento, si presenta solo come attribuzione di potere, ma dietro la quale si agitano le pressioni a edificare, soprattutto nel Parco Sud Milano. Finora un Ente Parco, che poi è composto dai Comuni, non da marziani verdi, poteva bloccare, a maggioranza, giudicandole incongrue col parco, delle iniziative edilizie in un singolo comune. Con il testo della nuova legge, la giunta regionale si attribuisce un potere a senso unico. Le associazioni ambientaliste sono state audite, ma il loro parere è stato scavalcato. Tutte le forze di centrosinistra si oppongono, in questo caso unite. Forse il conflitto sta solo cominciando. Il tema del consumo del suolo sta diventando sempre più caldo in Europa e in particolare nella densa Italia, e lo sta diventando per ragioni sia climatiche che energetiche che paesaggistiche. È vero che a livello locale ci possono essere esigenze diverse difficili da comporre ma in termini generali l’opinione pubblica si sta spostando verso la salvaguardia, anzi la ri-estensione delle aree verdi e agricole. Chissà se qualcuno ne terrà conto, anche nella campagna elettorale che si sta aprendo.

la Repubblica

L’affare mattone nella zona sud

di Stefano Rossi

Con l’emendamento Boni approvato in Regione vengono resi edificabili 38 milioni di metri quadrati di Parco Sud entro i confini di Milano, 38 chilometri quadrati su un totale di 182. Oltre un quinto del territorio cittadino.

Non si vuole dire che su questa enorme serie di aree a ferro di cavallo, da sud-ovest a sud-est, da domani si vedranno ruspe e cantieri. È vero però che «d’ora in poi il sindaco, non la giunta o il consiglio comunale - dicono i verdi Carlo Monguzzi e Paolo Lozza - potrà di sua iniziativa proporre al parco di trasformare tutte le aree che ricadono nei suoi confini amministrativi. Fino a ieri il parco diceva di no. Domani deciderà la Regione». E ci sono circa 60 Comuni nel perimetro del parco Sud, 400 dentro i parchi dell’intera Lombardia.

A metà marzo la Provincia esaminerà le richieste di modifica dei confini del parco Sud da parte dei Comuni inclusi. Le motivazioni sono le più svariate, dalla correzione di errori cartografici alla richiesta di sviluppo urbano e industriale. Se venissero accolte tutte le istanze, il consumo del territorio, vale a dire la parte "popolata" del suolo (case, uffici, strade, parcheggi), aumenterebbe di 8 punti percentuali. Arriverebbe al 42 per cento del totale contro il 34 attuale, che peraltro è un dato medio. E a contenere la media finale, il parco Sud contribuisce in modo significativo, con un 19 per cento di consumo del territorio.

Si diceva che il Comune non edificherà su tutte le aree «liberate» dall’emendamento Boni. Anzi, l’assessore all’Urbanistica, Carlo Masseroli, si difende: «Non abbiamo megaprogetti nel cassetto, non siamo cementificatori». Il Comune vuole assegnare a ogni area vincolata a uso agricolo un indice di edificabilità, che sarà aggiunto ai diritti di costruzione dello stesso proprietario su altri terreni. Per i grandi immobiliaristi come Ligresti, Cabassi, Zunino, si aprono prospettive interessanti di utilizzo, sia pure indiretto, di terreni improduttivi, finalmente in grado di generare altrove cubature di costruito. Per Masseroli il bilancio rimarrà in equilibrio grazie al fatto che le aree agricole protette, spogliate dei loro diritti edificatori, passeranno in proprietà al Comune con destinazione a parco. Mentre ora, così come sono, rimangono abbandonate: «I contenziosi generano paralisi e degrado delle aree protette, dunque la norma regionale è corretta. Con la Provincia (guidata dal centrosinistra, ndr) stiamo facendo un ottimo lavoro per rendere fruibili grandi pezzi di parco dentro la città».

Andrà così? Non moltissimi anni fa il parco delle Groane, visto dall’alto, si confondeva con il tessuto agricolo circostante. Oggi è ben individuabile, delimitato dall’urbanizzazione. «Il Comune di Senago da tempo vuole costruire dentro le Groane un grosso insediamento residenziale, il quartiere Mascagni - racconta Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia - e sarebbe un bel morso alle zone protette. C’è un’aspettativa enorme di edificazione sui parchi, che finora hanno resistito alla ondata immobiliare più potente del Nord Italia».

Ora l’argine scompare. Un altro esempio? La futura cittadella dell’ingrosso cinese al Gratosoglio. È prevista su un’area industriale, ma dove sono gli spazi per allargare le strade e accogliere il maggior flusso di camion? Su aree di Ligresti, nel parco Sud. Il Comune ha un interesse forte e giustificato e la Regione difficilmente dirà di no, quand’anche il Parco si opponesse. Maria Grazia Fabrizio, consigliera regionale del Pd, ha chiesto «cosa potrebbe succedere al parco di Trenno o all’ippodromo di San Siro, che sono nel parco Sud? Chi garantisce contro l’idea, molto redditizia, di farci delle belle villette?». Marco Cipriano di Sd si augura che in aula «la maggioranza si divida. L’emendamento è presentato dall’assessore leghista Boni, però Boni non è tutta la Lega. Ad altri nel partito potrebbe non piacere». Ma gli ambientalisti non ci sperano troppo: «Come tanti anni fa, il vero sindaco di Milano è Ligresti».

la Repubblica

Allarme cemento nei parchi

di Andrea Montanari

Nuovi edifici nei parchi lombardi, tutto il potere al Pirellone. Tra le proteste dell’opposizione di centrosinistra, Fai, Italia nostra, Legambiente e Federparchi, la commissione regionale Territorio ha approvato l’emendamento dell’assessore leghista Davide Boni dà il potere alla Regione di decidere sulle controversie tra comuni e le amministrazioni dei parchi sulle nuove costruzioni nella aree protette. Ora la battaglia si trasferisce in consiglio regionale. Per il Pd e la Sinistra «sarà la cementificazione dei parchi». Ribatte il Pirellone: «Non è vero, così finalmente si potrà decidere».

Il via libera della commissione regionale Territorio all’emendamento dell’assessore lombardo all’Urbanistica Davide Boni, della Lega, che attribuisce solo alla Regione l’ultima parola sull’edificazione anche nei parchi e nelle aree verdi, è arrivato ieri. Ed è giunto nonostante il parere negativo ribadito sempre ieri a chiare lettere, durante la loro audizione, da Fai, Wwf, Italia Nostra, Legambiente, rappresentati da Costanza Pratesi, e Federparchi presente con il suo presidente Agostino Agostinelli. La modifica della legge urbanistica, che da ora in poi assegnerà solo al Pirellone e non più ai comuni ogni decisione, e toglierà ai responsabili dei parchi il potere di veto, è stata approvata dal voto compatto di tutta la maggioranza di centrodestra, che nel frattempo ha approvato tutta la legge 12: un "sì" a poche settimane dal varo della giunta del nuovo piano regionale del territorio, destinato a cambiare il volto e soprattutto il paesaggio della Lombardia nei prossimi anni. Ora la battaglia per l’approvazione definitiva si sposterà in aula, a partire dal 4 marzo.

Nella nuova legge, fortemente voluta dal Carroccio, sono comprese, tra l’altro, nuove norme restrittive sulla realizzazione in Lombardia di nuove moschee e l’insediamento di campi rom solo con il consenso di tutti i comuni limitrofi, e quelle più permissive che, ad esempio, consentiranno di costruire anche nelle "aree standard" come nel caso ormai noto della Cascinazza, a ridosso del parco di Monza. Per l’assessore provinciale al Territorio Pietro Mezzi, dei Verdi, è a rischio l’integrità delle zone protette. «Quello che lo scorso novembre era stato impedito da una vasta mobilitazione - denuncia - si è purtroppo verificato. Con l’approvazione dell’emendamento Boni, anche in presenza di un "no" dei parchi a progetti comunali di insediamento, un parere della Regione potrà consentire comunque l’intervento». Pronta la replica dell’assessore regionale all’Urbanistica Davide Boni, che spiega: «Sono tranquillo come lo ero due mesi fa. Perché questa norma non dà alcuna possibilità a nessuno di edificare dove non si può. Io sono per salvaguardare l’ambiente il più possibile, ma non per salvaguardare i 1900 euro al mese che guadagna ogni presidente di parco. Dopo il via libera della giunta al nuovo piano regionale del territorio è arrivato il momento di decidere». Dello stesso avviso il presidente della commissione Territorio del Pirellone, Marcello Raimondi di Forza Italia: «Le nuove norme tutelano il territorio e i cittadini. Si prospetta così il disegno di una Lombardia ancora più bella. Con questa legge, ad esempio, tutte le strade e le infrastrutture di mobilità dovranno prevedere adeguate opere di mitigazione ambientale». «Finalmente», esulta anche il capogruppo di An in Regione, Roberto Alboni.

Di parere diametralmente opposto tutto il centrosinistra. «La maggioranza è stata sorda al richiamo del buon senso» attacca Franco Mirabelli del Pd. «La Cdl ha fatto carta straccia degli emendamenti dell’opposizione, che comunque si è duramente opposta all’emendamento ammazzaparchi, e dei pareri contrari di urbanisti e associazioni ambientaliste - aggiunge Luciano Muhlbauer di Rifondazione comunista - si tratta di un provvedimento inaccettabile».

Corriere della Sera

Parchi, nuove norme al via Fronte verde contro la Regione

di Laura Guardini

«Sì» della commissione Territorio del Consiglio regionale della Lombardia alle modifiche alla legge urbanistica

MILANO — Da una parte la Regione: «Le nuove norme urbanistiche tutelano territorio e cittadini. E permettono di lavorare per una Lombardia più bella » assicura Marcello Raimondi, presidente della commissione Territorio che ieri ha votato le modifiche alle legge del 2005. Dall'altra ambientalisti e gestori delle aree protette, che hanno battezzato appunto «ammazzaparchi » il nuovo assetto legislativo. In commissione, ieri, sono stati ascoltati. Ma poi, come si aspettavano, l'emendamento 13 bis è passato: la norma contesa, intorno alla quale le polemiche si susseguono da mesi.

Il meccanismo: la legge regionale del novembre 1983, oltre a istituire parchi e aree protette e a classificarli a seconda delle caratteristiche, affidava sostanzialmente ai parchi stessi — formati dai Comuni interessati — la pianificazione territoriale. Una delle modifiche alla legge urbanistica — predisposte dall'assessorato al Territorio guidato dal leghista Davide Boni, mentre l'assessore alla Qualità dell'Ambiente Marco Pagnoncelli, Forza Italia, prepara la revisione alla legge sui parchi che andrà in commissione a partire dal 29 febbraio — prevede ora che i Comuni possano chiedere varianti al piano territoriale del parco. E se il parco stesso dice no, la richiesta può essere sottoposta alla giunta regionale. «La Regione sarà garante di ciò che avviene nei parchi, non vedo perché questo debba essere preso come un via libera alla cementificazione », ha detto e ripetuto l'assessore Boni.

Ma, nel preannunciare ancora battaglia quando, il 4 marzo, la legge urbanistica andrà in consiglio regionale, verdi e Federparchi rincarano la dose. «Provvedimento inaccettabile, che può segnare la fine dei parchi lombardi — dicono i consiglieri Carlo Monguzzi (Verdi), Marco Cipriano (Sd) e Luciano Muhlbauer (Prc). E ricordano che, nel Parco Agricolo Sud — quello sul quale sembrano soprattutto incombere voglie di edificazione — il Comune di Milano ha 38 chilometri quadrati di verde: la superficie totale del territorio municipale è di 182 chilometri quadrati. «Ma a preoccuparci non è tanto una criticità localizzata quanto la voragine che si sta per aprire: l'ordine gerarchico degli strumenti urbanistici viene stravolto », dice Attilio Dadda, presidente di Federparchi Lombardia.

E aggiunge: «Con queste regole qualsiasi Comune può mettere davanti i propri interessi di campanile. Così si cancella la legge del 1983, innovativa, moderna, che metteva davanti l'interesse collettivo». Che è «tutela del paesaggio, ma anche della salute»: Dadda ricorda lo studio dell'Istituto dei tumori che, a causa dell'inquinamento atmosferico, ha stimato che gli abitanti della Pianura Padana vivano 36 mesi meno degli altri italiani.

«La legge è rispettosa dei parchi — ribatte Marcello Raimondi. — . Per evitare dissidi inconcludenti abbiamo previsto una novità importante costituita dal ruolo di arbitrato assegnato alla Regione per risolvere conflitti tra ente parco e singoli Comuni».

«L'avevo definito emendamento vergogna e confermo questo giudizio», replica da Palazzo Isimbardi Pietro Mezzi, assessore al Territorio della Provincia di Milano. «Alla Regione viene assegnato un potere sostitutivo decisionale», protesta per il Pd Maria Grazia Fabrizio e Franco Mirabelli aggiunge che il centrodestra «è stato sordo al richiamo del buonsenso », mentre dal Wwf la segretaria lombarda Paola Brambilla parla di «ritorno del furore cementificatore». Con Fai, Italia Nostra e Legambiente, il Wwf ha promesso di «portare all'attenzione del Bureau International des Expositions quello che sta succedendo, perché in netto contrasto con le linee di sostenibilità ambientale espresse dalla candidatura di Milano per l'Expo 2015 e supportate dalla Regione».

Nota: L'emendamento andrà adesso in Consiglio, dove passerà lo stesso. Si può comunque aderire ancora alla campagna contro l'emendamento al sito http://www.piccolaterra.it a sostenere il lavoro dell'opposizione istituzionale e stimolare una crescita e visibilità del movimento di opinione civile (parola assai adeguata, di fronte a certe scimmie nude elette e non)

É di questi giorni la notizia che in Italia il numero di abitazioni ha superato quota 30 milioni. Rispetto ai dati di dieci anni fa, si registra una crescita del 9 per cento: nel 2001, infatti, le case erano 27 milioni. La Lombardia, con l'11,9 per cento del totale degli edifici, è seconda solo alla Sicilia, 12,2 del totale, nella pattuglia delle regioni più costruite d'Italia. Un quinto delle abitazioni sparse sul territorio nazionale non risulta occupato e, tuttavia, in questo "Bel Paese", dalle Alpi all'Etna negli ultimi anni è stato tutto un fervore di cementificazioni. La malattia del mattone che sta trasformando l'intero Paese, è ormai visibile anche in una provincia come quella di Pavia che, pure, continua ad avere un addensamento della popolazione tra i più bassi in Lombardia.

Ogni Comune si fa puntiglio di estendere le zone urbanizzate, di consentire voraci lottizzazioni, di far nascere nel tempo più breve interi quartieri: il risultato è che vi sono settori cittadini, a Pavia, e paesi, nei dintorni del capoluogo, che nel giro del prossimo quinquiennio aspirano ad avere il trenta, cinquanta per cento di popolazione in più. Con tutti i conseguenti squilibri che ne deriveranno nell'assetto di comunità investite da impatti massicci, troppo veloci perché siano gestiti con armonia e razionalità.

Pensiamo solo alle conseguenze che questi nuovi flussi avranno sull'erogazione di servizi fondamentali: da quelli scolastici a quelli sanitari, dalla nettezza urbana alla rete idrica.

Ma, come si è già detto, le amministrazioni comunali contano sugli oneri di urbanizzazione per far quadrare sull'immediato i bilanci. E' una visione dai tempi corti, ma la lungimiranza di molti sindaci e assessori sembra spingersi, al massimo, sino alla conclusione del loro mandato. Poi il cerino acceso passerà ai loro successori e, ovviamente, sarà quel che sarà.

A rendere ancora più grave la situazione, in una parte significativa della Lombardia, finora tutelata dalla speculazione edilizia grazie alle normative di tutela dei parchi, ritorna adesso la proposta di modifica dell'art. 13 della legge urbanistica regionale (legge 12/05). Qualcuno vuol farla passare per una questione tecnica, da addetti ai lavori, ma non è affatto così perché le conseguenze ci coinvolgeranno tutti. E penalizzeranno non poco la nostra Provincia.

Come si ricorderà, la Commissione Territorio della Regione Lombardia a dicembre - dopo non poche proteste e prese di posizione, non solo degli ambientalisti - aveva deciso di congelare una proposta di emendamento all'art. 13. Ora, in base a chissà quali nuovi equilibri politici, la maggioranza che regge la Lombardia ritorna sui propri passi.

Nonostante in questa settimana siano state raccolte in provincia di Pavia, da diverse organizzazioni locali di difesa del territorio, più di duemila firme che chiedono di rinunciare alla modifica, in Regione si punta a emendare l'art. 13. Così, di fatto, si vareranno norme che faciliteranno un ulteriore, devastante consumo di territorio nei Comuni inseriti nei Parchi. Comuni che, in nome di interessi immobiliari sempre più arroganti, avranno, ognuno per quanto è di sua competenza, mano libera nel consentire di costruire anche in aree finora protette.

Le conseguenze - se all'ultimo momento questo emendamento non sarà eliminato - saranno pesanti anche per la nostra Provincia: investiranno infatti aree quali il Parco del Ticino e, soprattutto, il Parco Agricolo sud Milano. Con l'emendamento cadrebbe infatti l'ultimo baluardo che si frappone a una cementificazione ulteriore in quella zona. La situazione che ne deriverà sarà ancora più devastante di quanto è stato prodotto, nell'ultimo ventennio, sull'asse Binasco-Melegnano. E da lì dilagherà ancora di più in buona parte del territorio del Pavese.

Ora tutto dipende da quello che mercoledì si deciderà in Commissione Territorio e, in qualche misura, dalla capacità dei nostri concittadini, delle istituzioni che li rappresentano, di farsi sentire. Possibilmente prima che i signori del mattone impongano le loro scelte.

Perché poi sarà tardi, visto che, come dice il proverbio, con le ragioni del dopo si lastricano le strade dell'inferno. Anzi, visti i tempi, le si cementifica.

Nota: in quanti altri modi si può declinare localmente (in Lombardia, ma in futuro chissà dove coi tempi che corrono) questo articolo? L'invito per tutti coloro che non l'hanno ancora fatto è di continuare a aderire all'Appello sul sito http://www.piccolaterra.it Non è un problema locale (f.b.)

Dopo una breve pausa per le feste natalizie, il centrodestra lombardo ripropone con pochissime modifiche i cambiamenti alla legge urbanistica in particolare per quanto riguarda i residui spazi verdi regionali. Verrà ripresentato l’emendamento che consente, quando i sindaci decidano così, di ritagliare un pezzo di parco con procedura abbreviata, anche contro il volere dell’Ente parco. Si tratta di un intervento che va contro qualunque logica dell’ambiente naturale inteso come sistema. Un sistema che respira ampio, e non finisce col cartello che segna i confini comunali.

Oltre quel cartello, forse non si vota più per il medesimo sindaco, ma al cambio di circoscrizione purtroppo non corrisponde automaticamente e per decreto l’interruzione delle reti naturali, dei percorsi e sistemi di riproduzione della poca flora e fauna residua.

Naturalmente, anche la conservazione e tutela delle reti e dei sistemi diversi da quelli asfaltati, non è un oggetto sacro e inviolabile. Affatto. Esistono da decenni, e si evolvono continuamente, ampie ed elasticissime procedure per cercare di adattare la crescita delle attività umane (anche quelle metropolitane, industriali, le grandi infrastrutture …) alla natura. Si chiama, tutto questo, pianificazione territoriale: una cosa che da sempre piace assai poco ai sostenitori dello “sviluppo del territorio”.

Ha una storia moderna lunga almeno un secolo e mezzo, e per quanto riguarda le aree verdi urbano-metropolitane inizia a metà del XIX secolo col grande rettangolo del Central Park di New York, a interrompere l’edificato compatto e mastodontico di Manhattan, e continua di qua e di là dall’oceano, fino ai nostri giorni e alla ancora un po’ verde padania (quella con la p minuscola), ad esempio nelle fasce naturali della valle del Ticino, o nel vasto arco di verde agricolo del Parco Sud Milano. Quanto più sono grandi, tanto più la pianificazione territoriale dei parchi diventa complessa, e si allontana dall’idea del progetto di un giardino o di un’oasi naturale, per quanto ampia. Bisogna equilibrare sia le esigenze delle grandi reti della vegetazione, delle acque, che quelle delle attività umane, e delle amministrazioni che gestiscono quei territori per abitare, lavorare, far spesa, spostarsi. A questo serve il piano territoriale: a evitare che un solo interesse, o pochi interessi (che siano quello delle mucche, o delle autostrade, o dei boy scout) prevalgano indebitamente su quello generale.

Aggirare questa dimensione, come di fatto si vorrebbe fare istituendo un filo diretto (questo in sostanza prevede l’emendamento proposto alla legge urbanistica) tra la discrezionalità della Regione e le esigenze puntuali di singoli Comuni, significa avere un’idea quantomeno singolare dell’interesse collettivo: pura somma aritmetica, al massimo, di quelli particolari. Insomma l’esatto contrario di quanto prevedono i complessi meccanismi delle responsabilità e partecipazione caratteristici della pianificazione territoriale.

Contro questo tentativo, del resto coerente con altri programmi della medesima parte politica, in autunno si sono mobilitati migliaia di cittadini, molto consapevoli sia del valore ambientale dei grandi parchi, sia di quello sociale e partecipativo che si affianca alla delega del voto nel costruire una vera democrazia, in queste così come in altre questioni.

Evidentemente, chi rappresenta le istituzioni in questo momento non condivide in alcun modo questi valori, e preferisce appunto farsi arbitro e punto di equilibrio di interessi particolari, che dovrebbero (è l’unica ipotesi ragionevole) in teoria trovare composizione nella sterminata personalità degli amministratori regionali. Se c’è un’altra risposta, siamo qui ad aspettarla. Ma temiamo sia quella sbagliata. É già successo, e succederà di nuovo.

Per concludere (si fa per dire), un breve recentissimo estratto dal blog dell’assessore lombardo al territorio Davide Boni, che dovrebbe chiarirne ulteriormente il punto di vista:

“ho preparato una modifica di legge che riguarda la competenza dei comuni rispetto ai parchi.E qui apriti cielo,hanno iniziato a dirmi che voglio cementificare i parchi…so che parlare del mio lavoro di assessore non è simpatico,come nel penultimo post,ma almeno vorrei confrontarmi con voi rispetto alle politiche del territorio.

Vi faccio un paio di domande:sapete che i 20 parchi lombardi sono gestiti da consorzi che costano un sacco di soldi,nel senso che ogni parco ha un consiglio di amministrazione che el custa un sacc de danee…scusate i termini milanesi,ma andava detto. Questo c.d.a. non deve fare altro che far rispettare le leggi di tutela e vincoli imposti dalla regione e parlare con i Sindaci,se questi hanno intenzione di variare i loro piani regolatori,…quindi dico perchè tenere in pieni questo ambaradam se potremmo usare un persona (leggi direttore),che segue pedissequamente le norme impartite dalla Regione?

Last but not Least,avete visto con me sono spesso conciati i parchi?Non intendo quelli cittadini,quelli ne parleremo un’altra volta,ma quelli magari di cintura?

Insomma, pare che nella migliore tradizione di raffinatezza pianificatoria e culturale, si voglia far piazza pulita di un “ambaradam” (ci-ci-co-co?) che comprende tutto quanto al mondo non va a genio, tipo la democrazia, che quando non si tratta degli emolumenti degli assessori “la custa un sacc de danee”.

Firmiamo. Che quello non ci costa niente. E faremo felice anche Davide Boni. Lui non se ne accorgerà, ma sarà più felice.

Al sito www.piccolaterra.itdella Associazione “La Rondine”: troverete l’ avviso pulsante “ cliccate qui per aderire alla raccolta firme

La Lombardia è ricca, ma è anche fra le aree più inquinate al Mondo. Lo dicono delle che rilevano la qualità dell’aria, lo dicono le foto che riceviamo dai satelliti. La ricchezza della sua economia è importante, ma non deve intaccare i pilastri della vita.

La pianura lombarda è governata da un modello di sviluppo che divora a ritmi crescenti suoli agricoli, un patrimonio sottratto alle future generazioni, risorsa fondamentale per un Paese - l’Italia - che di risorse naturali è assai povero.

La Lombardia ha il bisogno stringente di tutelare al meglio il suo potenziale bio produttivo (suoli agricoli, foreste, aree naturali…). Ce lo dice la scienza, basata sui numeri, e i numeri non ammettono discussioni.

A fronte di questa necessità, in molti avevate aderito all’appello delle Associazioni per scongiurare il tentativo di fare a pezzi i Parchi della Lombardia che la Giunta Regionale aveva tentato di mettere in atto con un emendamento alla legge urbanistica regionale (legge 12/05) presentato prima di Natale. L’emendamento avrebbe favorito l’urbanizzazione dei suoli compresi in territorio di Parco.

Molti di Voi avevano sottoscritto messaggi di protesta per scongiurare il tentativo di fare a pezzi il territorio e l’appello aveva avuto effetto: emendamento ritirato.

Passato il Natale, speravano che ci fossimo dimenticati di tutto. Ecco allora la ripresentazione dello stesso emendamento nei giorni scorsi, un testo quasi uguale a quello presentato in precedenza. Poche parole in più, che non cambiano la sostanza. Vogliono approvarlo la prossima settimana, il famigerato emendamento: noi non vogliamo e non possiamo permetterglielo.

Vogliono fare fuori il Parco agricolo sud Milano, il baluardo alla delirante cementificazione della Lombardia, vogliono fare fuori i vincoli, cementificare anche i suoli dei Parchi contro la logica e le leggi della natura.

Vi chiediamo di non rassegnarvi, di essere presenti, di farvi sentire. Preparatevi a mobilitarvi e a mobilitare tutti coloro che conoscete. Dobbiamo essere in tanti. Vi faremo sapere al piu’ presto.

Dobbiamo nuovamente farci sentire con le nostre e mail per dire che non siamo d’accordo: la societa’ civile, unita, per tutelare l’interesse piu’ alto, quello di tutti: di coloro che sono, di coloro che saranno.

Associazione per il Parco sud Milano, Amici di Beppe Grillo Pavia, Associazione “La Rondine”, Comitati contro la Broni Mortara, Italia Nostra Pavia, Legambiente provinciale Pavia, WWF Oltrepo Pavese

Collegatevi al sito www.piccolaterra.it della Associazione “La Rondine”: troverete l’ avviso pulsante “cliccate qui per aderire alla raccolta firme”.

Qui il racconto del primo tentativo e della sua sconfitta

Giorgio Salvetti, Tutti i mercanti alla fiera di Letizia

Milano vestita a festa accoglie e coccola i commissari che a marzo decideranno dove si terrà fra sette anni l'esposizione universale. Il sindaco Moratti e tutto il paese rischiano di perdere, ma la città è già un enorme cantiere a cielo aperto che macina decine di miliardi di euro

Per il sindaco Moratti è l'ultima occasione. Si vince o si perde. Il 31 marzo, a Parigi, si deciderà se l'Expo 2015 si terrà a Milano o a Smirne (Turchia). In questi giorni il capoluogo lombardo si gioca tutto. Sono arrivati a Milano i 140 commissari del Bie, l'intero comitato giudicante. Passeranno gradevoli giornate di turismo e shopping. Oggi gran galà con ballo in maschera e visita a San Siro per vedere l'Inter. E domani, convegno al Museo della Scienza e della Tecnica con i ministri D'Alema, Rutelli e Bonino. Ospite d'onore Jacques Attali, l'uomo per le riforme di Sarkozy.

Vincere a tutti i costi

Mai come oggi la vittoria appare tutt'altro che scontata. Questioni geopolitiche: molti paesi non intendono scontentare la Turchia, per ora fuori dall'Europa e la Cina preme per favorire il porto di Smirne. Sulla carta i voti per Milano ci sono, o almeno c'erano. Ma l'entrata di 40 nuovi membri nel Bie non favorisce Milano: basta pochissimo perché il verdetto sia ribaltato, e le diplomazie vociferano di compravendita di voti. «E' un po' come il voto di fiducia al Senato», esagerano alcuni. A proposito, la caduta del governo certo non aiuta, per non parlare della crisi di Malpensa. Vittorio Sgarbi, assessore alla cultura di Palazzo Marino, è pessimista, e non è il solo. Ma Letizia Moratti su Expo ha puntato tutto. Perdere sarebbe una sconfitta quasi irrimediabile, un grosso problema anche e soprattutto per tutti coloro che grazie alla spinta di Expo contano di fare affari da miliardi di euro costruendo e facendo fruttare al massimo i terreni di Milano e hinterland. E sì, perché se è difficile negare che Expo sia un'occasione da non perdere, è anche evidente che intorno all'Expo ruotano tutti i colossali progetti di trasformazione della città. Affari enormi, ma per pochi privati. Costruire, ovunque e comunque, e troppo spesso con poco rispetto per il verde, per la vivibilità, e senza un euro per l'edilizia popolare (gli affitti a Milano, solo negli ultimi sei mesi, sono saliti del 2,7% a fronte dell'inflazione all'1,8%: in media, 932 euro al mese per una casa di 65 metri quadri). Questo è il risulato della politica dell'ex sindaco, Gabriele Albertini, il quale ha dato il benestare a grandi operazioni immobiliari in totale assenza di un piano generale e in mancanza di consultazioni democratica. Il sindaco Moratti, prima ancora di cominciare, si è trovata così i cantieri già aperti e i cittadini imbufaliti. Che fare? Ecco l'idea geniale: candidarsi per l'Expo. Moratti ha mostrato tutta la sua abilità politica, mediatica e imprenditoriale. Grazie alla sua «trovata», in un colpo solo ha incassato l'appoggio incondizionato del governo Prodi, della Provincia di centrosinistra e del competitor Formigoni, e si è lanciata sulla piazza nazionale e internazionale. Ha azzittito la sua maggioranza divisa sull'ecopass, e di fatto ha cancellato l'opposizione. Cosa non meno importante, è riuscita a dare l'impressione di una gestione unitaria dei progetti disaggregati, e contestati, approvati da Albertini.

I numeri di Expò 2015

Ma cos'è Expo? Sei mesi di fiera, tra sette anni. Un tema appetitoso e molto made in Italy: «Nutrire il mondo. Energia per la vita», grande kermesse dell'alimentazione e dell'agricoltura contro la fame nel mondo; con strizzatina d'occhio all'ambiente: tutto sarà a impatto zero con un importante potenziamento dei trasporti pubblici (a fare da garante Legambiente). Una promessa fa ancora più gola: «Il 90% delle strutture rimarranno a servizio della città». Non basta? Allora: 65 mila posti di lavoro, 7 mila eventi, 160 mila visitatori al giorno, per un totale di 29 milioni in sei mesi. Cifre forse troppo ottimistiche, ma irresistibili per qualsiasi città del mondo. La location di Expo è in progetto accanto alla nuova fiera di Rho-Pero: 1,7 milioni di metri quadri per i nuovi padiglioni, una torre e la nuova fermata della Tav Torino-Milano, per un investimento di 1,4 miliardi di euro. Il tutto in project financing, con investimenti da privati, Governo, Regione, Comune Provincia e soprattutto Ue. Di contorno, è previsto un gigantesco piano di infrastrutture. Si parla di 11 miliardi di euro per un giro d'affari che potrebbe arrivare a 34 miliardi di euro. Tra le opere strettamente connesse figurano una nuova linea della metropolitana, la terza pista di Malpensa (per quali voli, a questi punti non si sa...), e le strade (tanto per non scontentare gli automobilisti): Pedemontona, BreBeMi (Brescia-Bergamo-Milano), Broni-Mortara, e l'anello tangenziale esterno. C'è dell'altro. Verranno recuperati 124 mila posti letto (nuovi alberghi), per finire con l'improbabile opera faraonica di ispirazione leonardesca: una via d'acqua che da Rho porta ai Navigli. Su tutto, naturalmente, milioni di metri cubi di cemento.

E qui Expo ricorda molto i progetti di speculazione dell'era Albertini. Il sito accanto alla nuova fiera di Rho, che a pochi anni dall'inaugurazione è già in crisi, sorgerà su un'area di 1,7 milioni di metri quadri di proprietà per 2/3 della Fondazione Fiera e per 1/3 della famiglia Cabassi. L'affare è semplice: l'area sarà gratuitamente disponibile per Expo, e in cambio, al termine della fiera, i terreni torneranno ai privati trasformati da agricoli in edificabili. Un business miliardario.

Il cantiere Milano

Ma Rho-Pero è niente rispetto al «radicale processo di rigenerazione urbana» già in atto. Secondo Legambiente, negli ultimi 15 anni, a Milano, 30 progetti hanno trasformato 11,248 milioni di metri quadri di territorio, in 40 anni Milano ha consumato il 37% delle aree agricole: un record in Europa. Le aree dismesse sono ancora immense, le altissime rendite del mattone attirano i privati e il pubblico si limita a fare da sponda. Expo potrebbe fungere da propulsore per progetti già approvati, gli stessi che hanno incontrato l'opposizione dei cittadini. Piani edilizi da miliardi di euro per l'80% finanziati dalle banche: il Sole 24Ore parla di debiti per 7 miliardi.

Alla vecchia Fiera, in piena città, è in stand by il progetto Citylife. Su un'area di 225 mila quadrati, venduta per 583 milioni di euro da Fondazione Fiera ai privati, è prevista la costruzione di tre grattacieli firmati dagli architetti Isozaki, Hadid e Libeskind. Gli indici di edificabilità sono stati appositamente raddoppiati. L'operazione è gestita da Generali, Ras, Lar, Lamaro e Progestim (ovvero Ligresti). Investimenti per 2 miliardi di euro finanziati da una cordata di banche (Mediobanca, Popolare Milano, Capitalia, Banca Intesa) coordinate dalla tedesca Eurohypo. Per ora è tutto fermo. Il comitato di cittadini della zona, «Vivi e progetta un'altra Milano», chiede di spalmare le volumetrie su un'area maggiore. «Ho l'impressione che fino a marzo, e cioè fino alla scadenza per la candidatura di Expo - dice Ronaldo Mastrodonato - tutto resterà fermo». Altro progetto strenuamente avversato dalla cittadinanza del quartiere Isola è la cosiddetta «città della moda» in zona Garibaldi-Repubblica, nelle mani della americana Hines: costo complessivo 2,5 miliardi. A Santa Giulia (Rogoredo) costruisce invece il gruppo Zunino. A Sesto San Giovanni, su progetto di Renzo Piano, ancora Zunino investe 4 miliardi di euro su un'area di 1,3 miliardi di metri quadri delle ex acciaieria Falck (anche qui, indici di edificabilità raddoppiati). E' poi in progetto la costruzione dell'istituto di ricerca di Veronesi, il Cerba, sui terreni agricoli del Parco Sud. E ancora, la probabile riqualificazione dell'area dell'Ortomercato (non a caso appena «visitato» dalla Finanza con una retata) e delle aree dismesse delle ex stazioni delle Ferrovie (1,5 milioni di metri quadri, trasformati in aree edificabili senza alcun vincolo purché Fs costruisca il secondo passante ferroviario, un altro buon affare).

Chi dice sì, chi dice no, chi dice nì

Soldi e cemento contraddicono i buoni propositi ecologisti di Expo. Ma come dire no a una simile occasione di sviluppo? Insomma, stiamo parlando solo di un modo più elegante per continuare l'opera di deregulation urbanistica, oppure del meritevole tentativo di darle almeno una qualche forma di coordinamento pubblico? Sergio Brenna, urbanistica del Politecnico, non ha dubbi. «Nell'inquadramento urbanistico del 2000 - spiega - l'area di Rho era destinata a un intreccio di parchi e servizi e invece diventa edificabile. Stanno preparando il piano di governo del territorio ma la valutazione ambientale strategica non si fa. Tutto si riduce a una somma di operazioni contingenti». Nettamente contrario Luca Trada del comitato NoExpo, che domani consegnerà un dossier ai delegati Bie. «Expo è un grande affare, una fiera dei e per i privati che trasforma la città in un grosso mercato a scapito del verde e della vivibilità». Più possibilista, invece, il consigliere verde a Palazzo Marino Maurizio Baruffi: «Non si tratta di dire no, si tratta di vedere come verrà realizzato Expo. Per quelli che temono che sia la fiera delle industrie agroalimentari pro Ogm, ricordo che nel comitato scientifico c'è Carlo Petrini (Slow Food). Per quanto riguarda il nesso con gli altri progetti edilizi, come Garibaldi-Repubblica, va detto che sono già stati approvati prima di Expo. Bisogna che davvero sia l'occasione per incentivare i mezzi pubblici, per garantire uno sviluppo diverso, ma non si può dire no a priori. Se Milano dovesse perdere sarebbe una sconfitta per tutti». Il mondo del lavoro, ovviamente, deve starci. Non si oppone Antonio Lareno, segretario della Cgil di Milano. «La Cgil non è contraria ma vigile - spiega - per quanto riguarda gli indici di edificabilità e per quanto riguarda il lavoro. Abbiamo firmato con la Moratti un memorandum che istituisce un tavolo con i sindacati, contro il lavoro irregolare e per la sicurezza dei lavoratori. Bisogna dire che la Moratti ha inaugurato un nuovo modello di partecipazione neo-corporativa che esclude il consiglio comunale ma che coinvolge gli altri enti, sindacato compreso». Più disarticolata la posizione del Prc, più o meno contrario a seconda delle varie anime. Luciano Muhlbauer, consigliere regionale, è contrario: «Non si tratta di un no pregiudiziale, ma così com'è Expo non è un'occasione di riqualificazione per chi vive in città ma solo un'opportunità per i costruttori. E' evidente che sponsorizza una gestione urbanistica negoziata e non programmata, con probabili leggi speciali che aprono la pista a ulteriori libertà di manovra. Quanto alle promesse sulla tutela dei lavoratori, di tavoli ne ho visti...ma poi c'è la realtà: in Lombardia il 50% del lavoro è irregolare, e basta ricordare cosa è successo nei cantieri della nuova Fiera tra infiniti subappalti».

Alle stelle, o alle stalle

Mancano due mesi al giudizio finale. Se Milano perderà sarà un mazzata, soprattutto per Lady Letizia che rimarrà qui a bocca asciutta: le elezioni sono alle porte e Formigoni è già ministro. Se vincerà, invece, le sue quotazioni saliranno alle stelle e avrà gioco facile a travestirsi da simbolo della Milano che cresce e trascina l'immagine dell'Italia fuori dalla monnezza. E se sarà una valagna di soldi e di cemento, sarà difficile fermarla.

Luca Fazio, L'altra Moratti, un'altra Milano

Si tratta forse della più grande trasformazione di un'area urbana a livello mondiale, un vortice di miliardi che è difficile anche solo quantificare. Dunque, come si fa ad essere contro l'Expo? Lo chiediamo a Milly Moratti, storica pasionaria dell'ambientalismo milanese, figura di spicco «prestata» al Partito democratico, nonché cognata del sindaco che in queste ore si sta giocando il tutto per tutto.

L'occasione da non perdere, dicono tutti.

Può darsi. Ma noi, intendo dire la cittadinanza, non abbiamo ancora capito in che cosa consiste questo progetto strategico. Milano è stata oltraggiata e bloccata per molto tempo, questo è vero, ma in tutti questi anni di frenetici lavori in corso ci sembra di non aver scorto alcuna idea di città. Ci hanno raccontato che grazie a colossali finanziamenti ci saremmo ritrovati una città ricostruita senza spendere soldi, ma siamo sicuri che tutto ciò sia nell'interesse pubblico dei cittadini?

La sinistra, come sempre, è divisa e comunque non ha un'idea diversa di città.

Non c'è il coraggio di pretendere l'elaborazione di un progetto condiviso dai cittadini, è come se non ci sentissimo all'altezza di confrontarci con i portatori di interessi forti. La sinistra è in soggezione. I costruttori hanno tutto il diritto di costruire, ma è compito dell'amministrazione studiare piani più equilibrati nell'interesse di chi vive la città. I cittadini hanno bisogno di politici che non siano deboli rispetto al dovere di emanciparsi dai poteri economici e finanziari.

Si dice che l'Expo serve a far da volano ai vecchi progetti già in fase di realizzazione che sono stati e sono contestati.

Ma certo. Di per sé l'Expo non è cosa buona né cosa cattiva, ma bisogna rivalutare tutte le situazioni. Purtroppo stiamo ancora partendo dai soliti progetti già in corso d'opera, e sono frammentati, discutibili, e non incontrano il favore dei cittadini. Il Comune sta gettando il cuore oltre l'ostacolo per ottenere i finanziamenti ma non ha ancora elaborato un piano strategico. Avere a disposizione fondi importanti è positivo, ma mi spaventa questo voler attrarre tutto senza aver sviluppato una visione complessiva della città. Stiamo solo pensando ad acquisire i voti per battere Smirne, invece, Expo o non Expo, bisogna impegnarsi per la revisione del progetto strategico per Milano.

Altra obiezione. Di fronte a un'immagine dell'Italia piuttosto desolante, molti sostengono che Milano in qualche modo è una realtà che si muove e guarda al futuro...

Ma bisogna muoversi bene, agitarsi scompostamente potrebbe risultare dannoso. Mi dispiace constatare che la gran parte della città non abbia partecipato alla formulazione di idee e speranze per risolvere problemi fondamentali. Esempio: sappiamo cosa potrebbe significare per Milano un aumento considerevole del volume di traffico?

Milano o Smirne?

Sono esterrefatta. Sembra una tombola. Se è con questi metodi che si offrono le occasioni di crescita ai paesi del mondo, questo mondo mi spaventa. Del contenuto fondamentale dell'Expo - l'alimentezione del genere umano - si discute poco. Stiamo andando incontro agli Ogm, oppure stiamo pensando a un'agricoltura di prossimità? Niente di tutto questo, stiamo solo discutendo su come conquistare il voto delle Maldive o di altre isole strane. Se le cose stanno così, è come puntare sul rosso o sul nero, la spunterà il più furbo...

Quanto peserà sulla carriera del sindaco una eventuale sconfittà?

In questo caso, tutti, seriamente, dovremo ricominciare a pensare alla città, alla salute di chi la vive, ai bambini, la rapacità di voler attrarre tutto ad ogni costo deve essere sostituita dalla volontà di ascolto dei milanesi.

Cosa dirà ai commissari del Bie che oggi vanno a San Siro a vedere la sua Inter?

Non lo so, il calcio è un linguaggio universale, probabilmente si divertiranno...

Nota: per chi se lo fosse perso, qui il documento del Comitato No Expo (f.b.)

Intendiamo esprimere e motivare, con il presente documento, il punto di vista dei cittadini dell'area urbana e periurbana di Milano contrari al progetto di candidatura per ospitare l'esposizione universale del 2015.

Riteniamo che la candidatura di Milano, al di là della retorica dei buoni propositi e delle pompose dichiarazioni di pura immagine contenute nel dossier circa il tema della manifestazione, risponda in realtà essenzialmente ad interessi ed affari privati, ben poco solenni, che peggioreranno la sitazione ambientale e sociale già compromessa di un vasto territorio, proseguendo una linea di scelte politiche che negli ultimi anni non abbiamo potuto condividere.

Amiamo la nostra città e ovviamente non siamo contrari ad interventi strutturali che garantiscano un miglioramento della qualità della vita dei suoi abitanti, ma proprio per questo crediamo che si debba guardare al progetto Expo per quello che sarà, non come alla vetrina scintillante, la Milano-Disneyworld fantasiosamente disegnata dal sindaco Moratti nel dossier ufficiale. Crediamo che non sarà l’Expo a risolvere i problemi della città di Milano e che non saranno i milanesi a trarne benefici.

Oltre al lato ambientale ed economico della questione, crediamo che la candidatura di Milano costituisca innanzitutto un grave esempio di pessima amministrazione democratica delle problematiche del nostro territorio. Sappiamo infatti che la candidatura di Milano ad un evento di tale portata è di fatto una decisione imposta direttamente in sedi isituzionali senza consultazione dei territori e senza l'opportuna partecipazione da parte di un adeguato numero di cittadini sufficientemente informati (dove sono le decine di migliaia di volontari che dovrebbero partecipare all'evento?). Il Governo ha proposto Milano come candidatura italiana; Regione Lombadia, Provincia e Comune hanno accettato entusiasti; ma nessun organo elettivo è stato consultato e nessun Ente Locale interessato dalle opere ha potuto preventivamente pronunciarsi.

Ancora una volta grandi progetti e grandi opere vengono portati avanti senza chiedere nulla ai milioni di uomini e donne coinvolti dalle loro conseguenze, mentre viene rigorosamene curato il beneficio di pochi soggetti economici in grado di trarne profitti e benefici a lunga distanza. Pensiamo invece che la logica di un’amministrazione pubblica rchieda di agire in direzione di una tutela dei beni comuni (a cominciare da aria, acqua, suolo, energia) nell’interesse della cittadinanza. La candidatura all’Expo 2015 e il progetto presentato confermano invece che sempre più a Milano la politica rinuncia ad avere un piano di controllo, procedendo piuttosto per singoli progetti, separati e derivanti dalle proposte di forti poteri contrattuali in vista di grandi interessi privati. Si prevede che l’intervento verrà attuato con l’adozione del General Contractor, un sistema di Appalto regolato dalla L. 443/01, la Legge Obiettivo introdotta da Lunardi, che presuppone l’individuazione di un Concessionario – il Contraente generale – cui sono delegati tutti i compiti di vigilanza, controllo, collaudo, contabilità e subappalto, proprio mentre il decreto Bersani ha revocato le concessioni sulla TAV e la Corte dei Conti (sezione controllo sulle pubbliche amministrazioni) evidenziando un “caos contabile” nelle Grandi Opere che non consente di avere idee chiare sul loro stato di avanzamento. Sappiamo già che non è da escludere una richiesta di poteri speciali conferiti al sindaco Moratti per portare avanti i lavori, il che ci pare l'ennesima coltellata al processo democratico, alle norme di salvaguardia ambientale, al sistema dei controlli e delle garanzie.

Se guardiamo al processo decisionale, agli operatori coinvolti, agli sponsor dell’operazione, emerge una prima verità: l’Expo sarà l’occasione per attirare concentrare e spartire decine di miliardi di euro (si parla di un volume complessivo di 34 mld di business vari), consolidando quel sistema affaristico e di potere che da qualche anno sta coprendo Milano e provincia di quartieri esclusivi, centri commerciali e operazioni immobiliari varie che niente hanno a che vedere con uno sviluppo sostenibile del territorio. Un sistema trasversale agli schieramenti politici, che detta lo sviluppo urbanistico della metropoli suddividendosi gli interventi relativi a tutte le grandi trasformazioni urbanistiche che stanno interessando la città sulle ex aree industriali e sui terreni agricoli della cintura metropolitana. Esempi di nomi dei protagonisti? Ente Fiera, LegaCoop, gruppi della Grande Distribuzione, Cabassi, Pirelli, Zunino, Caltagirone, le grandi banche, Ligresti, Compagnia delle Opere, Assolombarda, Camera di Commercio. Ognuno di questi attori, coinvolto a vario titolo nell’operazione Expo, è parte di una nuova mappa del potere, di una nuova stratificazione sociale, culturale, economica, che porta avanti il disegno di un nuovo modello di città fuzionale a logiche di profitto finanziario anzichè a valutazioni di impatto ambientale, sociale o lavorativo.

E dove non bastano gli affari ci pensa la politica: rinunciando ad un ruolo del pubblico nei grandi progetti sulle aree dismesse, emanando provvedimenti che hanno favorito la speculazione e il proliferare di centri commerciali, preparando una nuova legge urbanistica per la Regione Lombardia che permetterà di costruire senza freno anche nei parchi regionali. Forse soltanto chi è sull’orlo della bancarotta (come Zunino) o dispone della proprietà di padiglioni inutilizzati (Fiera) potrà tirare un sospiro di sollievo: ma che ne sarà del patrimonio lasciato ai cittadini alla fine dell'evento?

Se l'interesse del BIE è "to lead, promote and foster Universal Exhibitions for the benefit of the citizens of the international community", attraverso la proposta World’s Fairs come "unique global gathering places for living participation fostering education through experimentation, participation through cooperation, development through innovation", pensiamo che sia opportuno valutare le proposte nei termini della loro reale utilità sociale, dal momento che, come si è visto in passato, non tutte le manifestazioni sinora svolte sono state un esempio di successo in questi termini. Pensiamo che occorra dare una valutazione del reale impatto sul territorio delle proposte se non si vuole squalificare l'operato stesso dell'organizzazione e il suo prestigio futuro. Da più parti sentiamo dichiarare, da parte delle istituzioni che hanno proposto l'evento, in alleanza con gli interessi di cui si è detto, che l'Expo a Milano si presenterebbe come una grande "opportunità" di sviluppo per il territorio. Nient'altro. Ma "opportunità" è una parola vuota finchè non si entra nel merito dei fini che ci si propone di conseguire: l'idea di "opportunità" segnala qualcosa di strumentale, una dimensione di utilità, funzionalità, potenzialità, un mezzo per conseguire degli obiettivi. Ma non serve a nulla inseguire ciecamente un'opportunità finchè non è chiara la direzione in cui ci muoviamo. Un conflitto internazionale è forse un'opportunità per esportare un sistema istituzionale? La proliferazione di cantieri edili e grandi opere di discutibile senso è forse un'opportunità di lavoro per pochi (facilmente sfruttabili)?

Pensiamo che la logica di esercizio di una politica che preveda un controllo democratico del territorio debba passare primariamente attraverso la discussione dei fini che vogliamo raggiungere, prima di discutere dei mezzi e delle opportunità, prima di stanziare fondi e inviare da qualche parte documenti di candidatura per grandi eventi: rinunciare a questo spazio di dialogo significa già consegnare le decisioni che contano agli interessi econimici di pochi a svantaggio della comunità.

Ma non certo è compito di questo documento avanzare le istanze di un progetto alternativo del territorio: crediamo che un simile "progetto" non possa neppure essere concepito in sede "architettonica" prima di emergere dal tessuto vivente e dalle pratiche stesse che coinvolgono il territorio. La città non può essere disegnata nelle aule prima di essere vissuta, tantomeno può essere disegnata dai piani affaristici dei grandi proprietari immobiliari e delle imprese edilizie, o magari dalla pesante eredità lasciata da un grande evento espositivo dominato da zone d'ombra come quello presentato dalla città di Milano. Una città sostenibile e a livello d'uomo può emergere solo da un confronto reale che avviene in uno spazio di esercizio di partecipazione democratica.

Quale scenario si configura invece con l'attuale proposta di candidatura?

Proviamo ad immaginare Milano tra una decina d'anni? Maggio 2015: viene finalmente inaugurata l’Esposizione Universale più attesa della storia. Enorme il lavoro preparatorio: migliaia di cittadini hanno portato idee e proposte in centinaia di assemblee locali. Finalmente tutto questo ha dato i suoi frutti. L’Expo milanese è il primo esempio ad impatto zero nella storia: nessuna speculazione, nessuna nuova edificazione, ma un grande lavoro di recupero, riutilizzo e valorizzazione del patrimonio urbano esistente. Strutture sicure che verrano riconvertite in alloggi per gli studenti. 200000 visitatori attesi al giorno che si muoveranno solo con mezzi di trasporto pubblico a emissione zero. Un nuovo look, perchè anche l'estetica, a dispetto della sua difficile trattazione in termini di deliberazione per costi-benefici, vuole la sua parte: il nuovo bosco urbano, realizzato al posto del vecchio quartiere fieristico, è il simbolo della prima città mondiale ad aver risolto i problemi energetici e della mobilità con un ricorso totale ad energie rinnovabili, con una rete di linee pubbliche e percorsi ciclabili che non ha paragone al mondo. I quartieri periferici sono stati trasformati in tante cittadelle dove cultura, socialità e vivibilità sono le nuove parole d’ordine. Il Parco Agricolo Sud è diventato il principale fornitore di alimenti biologici per la città. Spicca l'innovazione di una rete wireless gratuita, fruibile da milioni di persone quotidianamente, che potenzia la comunicazione e gli scambi. Il 40% del territorio comunale è stato pedonalizzato. Solo alcuni esempi dei fiori all’occhiello del Rinascimento ambrosiano. Insomma oggi Milano è una città dove chiunque vorrebbe vivere, modello cui tutte le metropoli si ispirano per superare i problemi che stanno portando il pianeta al collasso...

Sarà così? Purtroppo crediamo di no.

Gli obiettivi dell'attuale candidatura milanese si discostano profondamente da questa visione. Di tre livelli del progetto, quello che ci sembra più chiaro è unicamente quello speculativo. Ad un secondo livello, per quanto riguarda la "vetrina commercale" e l'opportunità di far convergere le eccellenze agricole della regione in relazione al tema trattato, non dubitiamo che i padiglioni dell'Expo potranno offrire attrezzature all'altezza dell'organizzazione; ma ricordiamo che fermo obiettivo del BIE è una "regolazione" di questa dimensione, come leggiamo ove si scrive "the degree of commercial activity carried out at BIE exhibitions is carefully regulated". D'altra parte, per quanto riguarda il tema dell'esposizione, ci riserviamo di esprimere la nostra posizione più avanti nel presente testo.

Un'attenzione speciale merita dapprima l’area su cui dovrebbe sorgere l’Expo.

Situata al centro di una zona già congestionata, densamente popolata e ad alto tasso di inquinamento, durante lo scorso settembre, in occasione della Fiera del Ciclo, ha registrate punte di oltre 32 km di coda in Tangenziale in direzione Fiera. Dalle immagini si vede abbastanza chiaramente che il grigio-nero è territorio vivo, con insediamenti residenziali e produttivi: sembra "ground zero", con attorno poche costruzioni superstiti e un po' di verde che resiste. Si tratta sicuramente di un territorio già massacrato dai lavori per la nuova Fiera e per la viabilità circostante (viabilità in corso di realizzazione per opera dell’impresa Grassetto di Gavio e Ligresti). Un’area organizzata in un sistema complesso, composto da 3 autostrade (Milano-Torino, Milano-Varese, Tangenziale Ovest), dall’Alta Velocità, dalla s.s. 33 del Sempione, da aree industriali dismesse e da aree abitate contese tra Milano, Pero e Bollate, che meriterebbero interventi di riqualificazione, non certo 10 anni di cantieri, 6 mesi di EXPO, altri 10 anni di cantieri ed alla fine una bella speculazione edilizia a vantaggio di pochi immobiliaristi, con terreni la cui destinazione d'uso è stata come per magia cambiata per ospitare strutture residenziali, commerciali, uffici per strati sociali che non sono certo in cima a urgenze di sostegno.

Sappiamo che l’accordo tra Ente Fiera, Cabassi e Comune di Milano, in cui vengono definiti i termini per l’uso e la trasformazione del territorio, è stato infatti siglato il 19 luglio 2007 a Malpensa. Il Gruppo Cabassi e l’Ente Fiera hanno ceduto in diritto di superficie al Comune di Milano l’area (in totale: due milioni di metri quadri di intervento): in cambio, hanno ottenuto la nuova destinazione d’uso. E' previsto che la costruzione e la demolizione dell’Expo sarà a spese del Comune. L'accordo prevede che il diritto di superficie concesso al Comune si estingua dopo l´Expo e che le aree tornino ai privati, finalmente edificabili. L´indice di edificabilità concesso è ricco, mentre non risultano vincoli per le proprietà, a parte il divieto di installare attività produttive insalubri.

Anche se quello presentato è un progetto di massima che verrà ampiamente ricontrattato nei suoi dettagli, è evidente l’impatto che l’Expo avrà sul territorio. Grandi interventi urbanistici trasformeranno molte zone di Milano (CityLife, Santa Giulia, Città della moda, per esempio) secondo una logica che non risponde nè a esigenze di gestione della manifestazione nè al governo del territorio in futuro: sono interventi comunque pesanti che muteranno per sempre il carattere sociale, culturale ed economico della città. Quartieri esclusivi, case per manager e società multinazionali. Niente a che vedere con la socialità, con i bisogni dei cittadini, con la Milan cunt el coeur in man.

Oltre al territorio immediatamente circostante, l’Expo 2015 sembra presentarsi come occasione per accelerare una serie di interventi legati ad infrastrutture per la mobilità, completando la saturazione di un territorio ampio che va dal Piemonte al Veneto, dalle Prealpi al Po. L’obiettivo emergente è un grande conglomerato dedito alla logistica e allo smistamento di merci, alla loro commercializzazione in spazi sempre più grandi e diffusi. La ValPadana e i suoi circa 10.000.000 di abitanti potrà essere trasformata in un grande centro intermodale per i trasporti, con autostrade che solcano la superficie in ogni direzione collegando centri commerciali, interporti, grandi infrastrutture; mentre i nostri diritti alla salute, ad un territorio libero dal cemento, ad una mobilità sostenibile, a beni comuni fruibili, puliti, accessibili... dimenticati.

Basta leggere alcune cifre del progetto:

- 1.700.000 mq di superficie per realizzare il sito dell’Expo adiacente all’attuale Fiera di Rho-Pero sui terreni attualmente a destinazione agricola

- 2.100.000 mq di superficie per possibili strutture di servizio e supporto all’Expo (potrebbe essere sull’area ex-Alfa Romeo di Arese ma anche altrove)

- opere ricettive per un fabbisogno stimato di 124.000 posti letto al giorno

- opere per la mobilità per far viaggiare i 160.000 visitatori al giorno previsti e le merci del caso, in particolare

1. realizzazione della terza pista a Malpensa e collegamento diretto Malpensa-Fiera

2. parcheggi presso il sito Expo e in corrispondenza di nuovi centri di interscambio

3. realizzazione stazione TAV tratta Lione-Torino-Milano presso la Fiera

4. realizzazione 4^ linea metropolitana da Linate al Giambellino

5. nuove tangenziali per Milano (la nuova Est più esterna, il completamento a Nord dell’anello)

6. realizzazione delle autostrade Pedemontana, BreBeMi e Broni-Mortara

7. nuovo raccordo A4 Boffalora-Malpensa

- più di 4 miliardi di Euro di costi diretti per realizzare il sito dell’Expo e tutto ciò che serve all’evento (di cui 1,400 milioni di denaro pubblico)

- svariati miliardi di Euro (si suppone in parte pubblici) per realizzare le altre opere suddette.

Pensiamo che Milano e la Lombardia siano vittime di un modello socio-economico che sta portando il territorio al collasso, e non da oggi. Diverse fonti statistiche indicano senza dubbio un quadro allarmante: la densità di auto per abitante è tra le più alte al mondo, il trasporto di merci e persone è prevalentemente su gomma. Spicca l’assenza di politiche energetiche e sui rifiuti che puntino alla rinnovabilità delle fonti, al riciclo totale e all’emissione zero di CO2. La mobilità sostenibile resta un lontano obiettivo. Per 2/3 dell’anno Milano è oltre le soglie di rischio per polveri sottili e altri inquinanti (e la Val Padana è tra le regioni più congestionate del pianeta). Senza considerare l’incidenza di tumori e altre patologie di tipo cardio-circolatorio sopra le medie: bambini che imparano fin da piccoli a conoscere asmi, bronchiti, bruciori a occhi, naso e gola. Senza contare i disagi del traffico, le code, i tempi esagerati di percorrenza per i pendolari (anche più di un’ora di treno o di altro mezzo pubblico per fare poche decine di km in condizioni spesso disumane).

Per un malato in queste condizioni, normalmente, si somministrano cure drastiche. Quali cure sono contenute nel progetto per l'Expo? Gli investimenti sulla rete della metropolitana erano già previsti a prescindere dalla candidatura. Altri interventi sul trasporto pubblico sono insignificanti rispetto alla quantità di soldi e di cemento che caleranno sulla Lombardia nei prossimi anni. Non è difficile immaginare lo scenario post Expo: urbanizzazione intensa del territorio a nord-ovest di Milano, saturazione delle aree residue attorno alla Nuova Fiera, realizzazione di nuove infrastrutture e nuove residenze, erosione delle aree verdi (Parco delle cave, Parco di Trenno, Parco Agricolo Sud Milano), ed infine “valorizzazione” del territorio. Ma per chi? E’ un progetto ad impatto ambientale enorme, economicamente costoso. Prendiamo il caso della terza pista di Malpensa. Oggi Malpensa è in crisi, inutile e inutilizzato come hub, soffocato dalla concorrenza di almeno altri dieci aeroporti sparsi lungo la direttrice Torino-Trieste. Come si può pensare di ingrandirlo? E quando si concluderà l’Expo cosa succederà? Cosa ci faremo con la terza pista? Gare di auto?

Nel presentare la candidatura ad un'esposizione universale non si dovrebbe trascurare di dare una fotografia reale della situazione attuale. Perchè si dipingono tanti ghirigori ma si tace, per esempio, che questa città da un anno non riesce a trovare una sede per una scuola elementare islamica, o un luogo sicuro per vivere a circa 600 ROM? Si persegue invece un modello di città esclusiva, il Downtown di tanti film americani, dei tanti progetti in corso (Citylife, Santa Giulia, Portello, Garibaldi-Repubblica, etc); torri scintillanti e giardini pensili di lusso.

E perchè organizzare la manifestazione nell'unica area verde prossima all'attuale polo fieristico di Rho- Pero? Perchè consentire facili speculazioni di Cabassi o Ente Fiera? Perchè non riutilizzare strutture già esistenti? Perchè non ripiegare sugli attuali mezzi del polo fieristico e sospendere nel periodo interessato tutte le altre manifestazioni? Queste sono domande ineludibili e prive di risposta, che secondo noi rivelano la vera posta in gioco presente nell'attuale progetto di candidatura.

Infine, cosa dire onestamente del tema scelto per l'Expo?

"NUTRIRE IL PIANETA - ENERGIA PER LA VITA". In estrema sintesi: ci sembra una presa in giro.

Vorremmo sgombrare il campo da un'equivoco: pensiamo che il Nord del mondo non debba affatto nutrire il pianeta. Non dobbiamo vendere i nostri modelli. Dobbiamo semplicemente permettere al mondo di nutrirsi da solo.

Il fallimento delle politiche delle organizzazioni a livello internazionale, FAO, FMI, Banca Mondiale, WTO, riguardanti la cancellazione o riduzione della fame nel mondo è sotto gli occhi di tutti. Siamo la prima generazione ad essere in possesso di strumenti e mezzi per debellare la fame e la povertà nel mondo e, nonostante questo, il divario tra paesi ricchi e poveri aumenta sempre più ogni anno, come dimostrano i rapporti dell’UNDP ( Programma Delle Nazioni Unite) sullo sviluppo umano.

Nel mondo, due miliardi e 800 milioni di persone vivono con meno di due dollari al giorno (pari ai sussidi che riceve quotidianamente dai governi ogni mucca occidentale) e 852 milioni soffrono la fame. Le persone malnutrite sono in aumento. Ogni anno, 5 milioni di bambini muoiono di fame. Nel mondo, 2 miliardi di persone ogni anno si ammalano per mancanza di acqua pulita e 2 milioni ne muoiono. Un miliardo e mezzo di persone subisce le conseguenze della privatizzazione dell’acqua.

Pensiamo che questi siano i risultati delle politiche delle Organizzazioni Mondiali, ma soprattutto il risultato del nostro modello di sviluppo, i risultati del libero mercato.

Notiamo che nel programma dell’Expo, purtroppo, non si legge nulla al riguardo: nessuna critica al modello agro-alimentare fin qui seguito; nessuna critica all’imposizione delle monoculture che impoveriscono il suolo e affamano milioni di contadini; nessuna critica all’impiego nell’agricoltura di Organismi Geneticamente Modificati, di sementi ibride che spegneranno la biodiversità.

L’Expo, come si legge nel programma, si configura come un luogo dove le multinazionali potranno tranquillamente tornare all’attacco per esporre i vantaggi degli OGM e farci credere che sono un mezzo per lottare contro la fame nel mondo.

Ma la fame nel mondo non è legata principalmente alla scarsa resa dei terreni e dei semi, bensì alle sovvenzioni all’agricoltura in Europa e negli USA che consentono massicce esportazioni di alimenti dal Nord del mondo verso i paesi più poveri; direttive che hanno l'effetto principale di buttare fuori dal mercato le economie locali, così che si arriva al paradosso per cui il riso locale costa di più di quello in arrivo dall'occidente. Il risultato è la distruzione dei mercati locali e la spinta obbligata a comprare OGM che devono essere comprati ogni anno, mentre i semi naturali posso essere ripiantati. Questo è stato finora l’atteggiamento dei Paesi ricchi e delle multinazionali, il che ci sembra perfettamente compendiato nel titolo “Nutrire il pianeta”.

Durante l’Expo ci sarà l’esposizione della produzione elitaria dei cosiddetti prodotti tipici. Ma non dobbiamo tanto propagandare i prodotti tipici, quanto valorizzare la cultura dei contadini nostrani e dei contadini del Sud del mondo. Dobbiamo pensare a un nuovo rapporto con la terra, che lasci spazio a produzioni e consumi tipici non d’élite. Dobbiamo proporre un’offerta di cibi che diano la possibilità di acquisto diretto a prezzi ragionevoli, accompagnati da informazioni e incontri produttore/consumatore. Dobbiamo comprare soprattutto cibi che vengono dalle nostre campagne, e non cibi che hanno fatto il giro del mondo aumentando il tasso di anidride carbonica con un trasporto selvaggio.

Se Milano vuole valorizzare la propria agricoltura, ad esempio, dovrebbe far vivere e valorizzare il Parco Agricolo Sud, mettendo in pratica il Piano di Settore Agricolo e proponendo leggi per il cambio d’uso delle terre. L'esatto contrario di quanto avverrà prefigurando gli attuali scenari del progetto.

Viviamo come se avessimo tre pianeti da consumare. Se non modificheremo radicalmente i nostri comportamenti e il nostro modello di sviluppo, si prevede entro breve tempo una crisi drammatica, con un crollo della produzione di alimenti e della produzione industriale dovuto alla progressiva diminuzione delle risorse naturali. Nei paesi ricchi viviamo ampiamente al di sopra delle nostre possibilità ecologiche: il nostro benessere materiale è possibile solo a prezzo dello sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro di quei tre quarti dell’umanità che vive nel Sud del mondo. Siamo una società miope, incapace di guardare oltre se stessa e i propri immediati vantaggi, sia nel tempo, ignorando del tutto i diritti delle generazioni future, sia nello spazio, ignorando tranquillamente anche i diritti delle altre comunità umane.

Dunque, non “Nutrire il pianeta”, ma “riutilizzare”, “riciclare”, “riparare” dovrebbero essere i temi di un’Expo credibile oggi.

Anche per questo motivo vogliamo ribadire la nostra contrarietà all'attuale progetto di candidatura per ospitare l'esposizione universale del 2015 a Milano. Siamo cittadini che hanno a cuore sia lo sviluppo del territorio milanese e circostante, sia i grandi temi della fame nel mondo e delle prospettive future del nostro modello economico. Ma non crediamo che tutto questo sia neppure lontanamente rappresentato dal progetto in questione, che invece rischia di arrecare danni irreparabili alle nostre vite. Sulla base di quanto sommariamente detto, vogliamo sottolineare che dal nostro punto di vista la candidatura di Milano somiglia più ad una sciagura da evitare che ad una "grande opportunità". Nel simbolo di Leonardo, "uomo che fa girare il mondo", non vediamo la logica di uno sviluppo e di una crescita senza limiti connessa ad un'onnipotenza produttiva, e celebrata da una Grande Esposizione Universale dello scempio del territorio lombardo: ci piacerebbe invece riconoscere in questo simbolo la comunità umana che torna a partecipare attivamente al controllo del suo mondo. Quella stessa comunità che non è stata consultata per la candidatura all'Expo 2015.

[di seguito pdf allegato con tabella e illustrazioni f.b.]

Comitato No Expo - Milano – Febbraio 2008

www.noexpo.it

info@noexpo.it

Caro Ministro,

leggo una tua intervista di ieri ad un giornale di tiratura nazionale dal titolo “Io e Formigoni uniti per salvare l’hub” nel quale ribadendo una Tua posizione del resto già nota, favorevole allo sviluppo dell’hub e quindi contrario alla cessione di Alitalia ad Air France, che porterebbe al declino di Malpensa, affermi testualmente:

“….Il mio impegno è fare in modo che il traffico aereo su Malpensa possa crescere ancora.”

Ora, nella mia veste di coordinatore per la provincia di Novara di Italia dei Valori, di capogruppo in provincia sempre per Italia dei Valori nonché di presidente del Consiglio Provinciale, quale espressione del territorio soggetto all’inquinamento acustico ed ambientale, in nome delle popolazioni che mi hanno e Ti hanno votato, mi sento di affermare

Ministro DiPietro, NON SONO D’ACCORDO

Credo che esperti in tutti i settori, ben più credibili di me, abbiano detto tutto di tutto e di più sul tema delle ripercussioni economiche relativamente ad un alleggerimento di Alitalia su Malpensa.

Io vorrei sommessamente ribadire che il problema dei posti di lavoro sarebbe ben presente anche con la soluzione Air One e che si, sono stati spesi dal contribuente alcune migliaia di miliardi delle vecchie lire a realizzare Malpensa , ma occorre anche dire che indirettamente lo stesso contribuente brucia 300 milioni di Euro all’anno a tenere in piedi Alitalia in funzione Malpensa. Vogliamo continuare così?!

Se effettivamente c’è questo mercato allora dov’è il problema?

La Pedemontana serve perché serve indipendentemente da Malpensa inoltre, come dice Spinetta, normalmente sono gli aeroporti che si adeguano alle Compagnie aeree ed al mercato e non viceversa.

Ma parliamo di ambiente, di inquinamento, di qualità della vita dei cittadini residenti attorno all’Aeroporto, parliamo di leggi da rispettare, di legalità, Ministro Di Pietro, non è un Tuo cavallo di battaglia?

E’ su questo tema che ti ho seguito, che Ti abbiamo seguito, è su questo tema che l’Ovest Ticino ti diceva grazie per le tue istanze in Comunità Europea, assieme ad altri Europarlamentari, istanze che hanno comportato ben due messe in mora al Governo Italiano per mancata Valutazione Ambientale sugli ampliamenti di Malpensa.

Non eri tu il 30 Gennaio 2004 ad Oleggio a bollare Malpensa come la madre di tutte le tangenti?

Come si concilia il Tuo attuale atteggiamento con quello che dicevi appena 3 anni fa?

Tutti sappiamo che Malpensa è cresciuta in un modo molto, ma molto, “border line” dal punto di vista autorizzativo e, malgrado questo, per il secondo anno consecutivo sono stati superati i volumi di traffico già così spesse volte derogati.

E Tu chiedi che cresca ancora sempre senza Valutazioni di Impatto Ambientale?

Riconosco comunque che è grazie al partito se mi è stata data la possibilità di essere eletto e ha consentito al territorio di raggiungere risultati significativi e di questo devo dartene atto, però mi è d’obbligo chiederti cortesemente di prendere una posizione coerente col Tuo passato e con gli ideali per i quali Ti abbiamo seguito e creduto.

Mi è anche d’obbligo comunicarti che io non ho cambiato idea e continuerò nella battaglia di civiltà che sto conducendo e in cui credo, anche in completo disaccordo con le Tue posizioni, lasciandoti la responsabilità politica di creare le future mie condizioni per continuare la Tua rappresentanza.

Cordialmente

Renzo Tognetti

Presidente del Consiglio Provinciale di Novara

Mario Agostinelli, Il polverone Malpensa (estratto di un articolo più ampio sul 2007 lombardo), il manifesto ed. Milano, 3 gennaio 2007

Da mesi come PRC andiamo ripetendo che è solo propaganda la riproposizione di Malpensa come secondo hub italiano e che è ridicola la proposta di costituire una compagnia aerea del Nord. Meglio sarebbe difendere l’occupazione, migliorarne la qualità sottraendola al precariato e rendere definitivamente possibile la convivenza di un’opera sbagliata con l’ambiente circostante. E’ sull’insieme del sistema aeroportuale del Nord che si deve riprogettare il traffico aereo e i collegamenti, evitando la congestione di un’area già provata da cementificazione e infrastrutture mal programmate. Invece Formigoni si è messo alla testa di una insana sollevazione a difesa di un futuro che Malpensa non avrà mai e che è stato in gran parte pregiudicato dai clamorosi errori prioprio di chi, come Forza Italia e Lega, ha pensato in piccolo e non in dimensione adeguata al nuovo assetto delle comunicazioni e allo sviluppo equilibrato e qualitativo del territorio. Sono i nodi del modello di rapina di questi ultimi 20 anni che vengono al pettine e non basterà l’illusione di un grande hub nella brughiera o di 20 grattacieli per Expo 2015 a curare le ferite inferte e la mancanza di una progettualità partecipata.

Temo molto la virulenza di una protesta tanto più truculenta quanto più carente di proposte realizzabili e desiderabili.

Claudio Del Frate, Nuova strada per Malpensa dimezzata, Il Corriere della Sera ed. Milano, 3 gennaio 2007

Il disimpegno di Alitalia rischia di penalizzare Malpensa proprio nel momento in cui arrivano al traguardo i lavori per la realizzazione di importanti infrastrutture. Il 31 marzo prossimo, 24 ore prima della data in cui è previsto che scattino i tagli ai voli, è programmata infatti anche l'apertura del nuovo collegamento tra l'hub e l'autostrada A4 Milano-Torino. Quasi una beffa.

Ieri ha preso posizione anche «Fiera Milano»: «Condividiamo la battaglia che i vertici delle istituzioni lombarde portano avanti affinché Malpensa non venga privata del suo status di hub e delle sue rotte e collegamenti intercontinentali».

Il pesce d'aprile, in aeroporto, quest'anno cadrà il 31 di marzo. Ventiquattr'ore prima della data in cui è previsto che scattino i tagli ai voli (il primo aprile, per l'appunto) è prevista infatti anche l'apertura del nuovo collegamento tra l'aeroporto e l'autostrada A4 Milano-Torino. Come dire: le infrastrutture arrivano quando i voli sono ormai cancellati. È l'ultima beffa di Malpensa, è la contraddizione in cui si dibatte un'infrastruttura sulla quale lo Stato aveva impegnato miliardi di euro, ma che adesso si va svuotando.

A oggi, con la Lombardia intera in gramaglie per la vendita di Alitalia ad Air France e la conseguente smobilitazione dei voli da Malpensa, è difficile immaginare tagli di nastro, fasce tricolori e fanfare di ottoni, ma nei giorni scorsi era data per sicura l'apertura al traffico della nuova strada proprio il 31 di marzo. L'arteria, realizzata dall'Anas, era da anni ritenuta di vitale importanza per l'aeroporto: avrebbe consentito a tutti i passeggeri che risiedono a Torino e in Piemonte (ma a chiunque fosse destinato a raggiungere quelle zone) di andare e venire dall'aeroporto senza passare per le forche caudine della tangenziale di Milano. E soprattutto avrebbe tolto l'hub da quell'isolamento che i suoi critici hanno sempre additato come una delle pecche maggiori. Detto e fatto: adesso la strada c'è, ma nel frattempo sono spariti in voli e Malpensa, al 31 marzo, avrà probabilmente smesso di essere uno snodo del traffico dei cieli così come era stato ipotizzato per anni. Il piano «di sopravvivenza » di Alitalia, condizione per la vendita ad Air France prevede infatti di tagliare 14 delle 17 destinazioni intercontinentali e altri 130 voli cosiddetti di «feederaggio», cioè rotte brevi ma che portano passeggeri da imbarcare sulle tratte più lunghe. In pratica questo si tradurrebbe, dall'oggi al domani, in un taglio del 25% del traffico di Malpensa.

Paradossalmente la mazzata della vendita ad Air France non sembra avere intaccato la fiducia di molti amministratori locali nel futuro dello scalo. Il Comune di Gallarate, ad esempio, è intenzionato a tirare dritto nella realizzazione del cosiddetto business park, una maxivariante urbanistica che preve la nascita, alla periferia della città di un'area di 900.000 metri quadrati di uffici, centro direzionale, logistica, aree produttive alternate al verde. Il tutto, ovviamente, come indotto dell'attività dell'aeroporto.

«La nostra volontà è confermata — dice il sindaco di Gallarate Nicola Mucci — perché continuiamo a credere che Malpensa sarà una risorsa del Paese e per il nostro territorio, nonostante la vendita ad Air France ». Anche Lonate Pozzolo, il Comune ai margini delle piste dove sono stati spesi buona parte dei circa 400 milioni di euro per le cosiddette «delocalizzazioni » (lo Stato ha acquistato le case degli abitanti che si trovavano sotto le rotte di decollo e atterraggio), niente cambierà.

«Chiediamo innanzitutto che le delocalizzazioni vengano completate — dichiara il sindaco Piergiulio Gelosa — perché il rumore dei sorvoli continua e continuiamo a credere che quegli edifici oggi svuotati possano servire ad attività di supporto a Malpensa. Adesso lo shock è forte ma in futuro, specie quando Alitalia avrà lasciato liberi i suoi slot, siamo convinti che la struttura riprenderà a crescere ».

Nota: altri elementi per giudicare il tema, nelle ormai parecchie (ahimé) pagine questa stessa ricca sezione SOS padania (f.b.)

Le levate di scudi contro il progetto di AirFrance sono, ancora, l'ennesimo italiano modo di affrontare situazioni internazionali.

In poche parole il criterio, che assolutamente non condividiamo, è: bisogna mantenere l'inefficienza a spese dell'intera collettività ed a vantaggio di poche categorie.

Malpensa potrebbe invece essere un aeroporto che produce utili per tutti, Alitalia compresa, senza essere un hub e senza devastare definitivamente il territorio e la salute dei cittadini che lo abitano.

Quindi fare del terrorismo ideologico su presunte italianità è del tutto strumentale e, soprattutto, non costruttivo a lungo termine per la sopravvivenza della stessa Malpensa.

Bisogna considerare il fatto che il primo tentativo di vendita di Alitalia è andato a vuoto per i troppi “paletti”, tra cui il mantenimento di due hub.

Questo secondo tentativo è avviato a raggiungere l’obiettivo grazie alla premessa costituita dal Piano industriale di Alitalia che ridimensiona Malpensa, a favore di Fiumicino, ponendo fine alla catastrofe economica dei due hub, fonte solo di doppi costi.

Secondo il piano di AirFrance-KLM, con tre aeroporti di concentrazione ben distanziati, l’alleanza può funzionare e, per Alitalia c’è, nuovamente, un futuro, nel senso dell’interesse nazionale italiano.

Gli strepiti dei nordisti ci spingono a ricordare che l’ampliamento di Malpensa non aveva l’obiettivo di trasformare un aeroporto con scarso traffico in un hub: stabiliva invece una crescita fino a una media di 274 movimenti/giorno “senza limitare la capacità operativa dell’aeroporto di Linate”.

Invece, per arrivare a 750 movimenti al giorno a Malpensa, sono stati “prelevati” centinaia di voli da Linate, da Fiumicino e da altri aeroporti del nord.

L’elevata concentrazione di voli (forzando il mercato) e di lavoratori costituiva (costituisce) a Malpensa una bolla destinata a scoppiare. Siamo ora al punto in cui la bolla scoppia facendo pagare ai più deboli o, nella migliore delle ipotesi, ai contribuenti, gli errori di politici e amministratori.

Ma oltre agli aspetti del mercato ci sono gli aspetti ambientali: il pesante impatto ambientale di Malpensa non è mai stato valutato.

L’ampliamento di Malpensa era stabilito con il limite di 12 milioni di passeggeri.

Ora siamo al doppio e non basta neppure il ridimensionamento programmato da Alitalia a far rientrare il traffico di Malpensa nei limiti di sviluppo stabiliti dal Piano regolatore dell’aeroporto.

E, come hanno denunciato 87 sindaci lombardi e piemontesi, delle province di Varese, Milano e Novara sul giornale “Ticinia”, questa situazione è “illegale”: è il mancato rispetto del Piano regolatore aeroportuale.

I programmi noti e sbandierati di raddoppio addirittura rispetto agli attuali volumi di traffico, ora accantonati perchè le vicende legate alla vendita del Vettore nazionale pongono altri problemi, costituiscono una ulteriore ed ancor più grave minaccia ambientale e mettono addirittura a rischio l’esistenza del Parco del Ticino, oltre al futuro di circa 500.000 cittadini residenti intorno all’aeroporto nel raggio di pochi chilometri.

L’attuale crociata contro i piani riguardanti Alitalia ci conferma che c’è chi, anche contro le regole del mercato, è determinato a sacrificare l’Ambiente allo sviluppo incontrollato ed immotivato di Malpensa.

Dilapidare un patrimonio come il Parco del Ticino lombardo e piemontese, dichiarato dall’UNESCO “Riserva della Biosfera”, è un lusso che ci possiamo permettere?

Gallarate, 26 dicembre 2007

WWF Italia,

LEGAMBIENTE di Varese e Novara,

C.OVES.T. ONLUS-Varallo Pombia,

UNI.CO.MAL. LOMBARDIA-Gallarate,

EXCALIBUR-Lonate Pozzolo,

AMICI DELLA NATURA-Arsago Seprio

Lettera aperta a Dario Grilanda, Segretario provinciale Fit Cisl Varese

Egregio Segretario provinciale,

leggo su “Varese news” il Suo intervento: Malpensa deve avere il ruolo per cui è stata creata e, naturalmente, non mi stupisco più: non è la prima volta che vengono scritte queste deformazioni della realtà, così come non è la prima volta che abbiamo (l’Unione dei Comitati e le altre Associazioni) l’opportunità di smentirle.

Per assurdo la Sua asserzione è, anche da noi, fortemente sostenuta, nel senso della lettera del Piano Regolatore Generale Aeroportuale (P.R.G.A.) di Malpensa, il quale definisce l’ampliamento dell’aeroporto con funzione point to point e non hub. Stabilisce inoltre la crescita di Malpensa fino al limite di traffico di 12 milioni di passeggeri/anno “senza limitare la capacità operativadell’aeroporto di Milano-Linate”.

In questo senso anche noi diciamo che Malpensa deve avere il ruolo per cui è stata creata.

In conseguenza dei Decreti Burlando e di altre manovre spregiudicate, cioè gli spostamenti di voli (oltre che da Linate) da Fiumicino e da altri aeroporti del Nord, si è tentato di attribuire a Malpensa un altro ruolo: quello dell’hub che non c’è.

Questo ruolo contro il P.R.G.A. ha costretto 87 sindaci delle province di Varese, Novara e Milano a proclamare sul giornale “Ticinia” una manifestazione “Contro i soprusi e le illegalità di Malpensa”. Questo aeroporto, non è stato sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale, malgrado fosse dovuta e tuttora non viene sottoposto a V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica) malgrado venisse sbandierata (prima della pubblicazione dell’attuale Piano industriale di Alitalia) la volontà di incrementare il traffico fino a 40 milioni di passeggeri ed oltre.

Numerose pubblicazioni, studi, convegni e la V.A.S. redatta dal Parco del Ticino hanno dimostrato che un tale aeroporto non è compatibile con questo territorio e, quindi, fa danno alla salute degli abitanti e, anche, dei lavoratori di Malpensa. Questo perchè, se è vero che gli abitanti dell’intorno aeroportuale (500.000 cittadini) respirano aria inquinata, non è che invece i lavoratori, per pochi e faticati Euro, respirano altro.

Ella sa bene che l’affermazione: “ il 70 per cento dei biglietti è staccato nel Nord Italia” è un’affermazione che non corrisponde al vero in quanto si tratta, forse, dei soli biglietti businessclass, quindi qualche per cento del totale. E come mai Fiumicino muove 30 milioni di passeggeri, ottavo nella classifica europea, e Malpensa con “solo” 20 milioni, è al quattordicesimo posto?

Ora Alitalia riporta a Fiumicino 20 voli del lungo raggio, li riporta da dove sono venuti e, di conseguenza, 134 voli feeder (corto raggio), a Malpensa non servono più: Lei, che si occupa di trasporti, capisce meglio di noi che è una razionalizzazione, capisce che, con questo piano, forse, la privatizzazione avrà successo: l’alternativa, sempre pronta, è solo il fallimento.

Noi diciamo: portare il servizio dove c’è l’utenza. Nel Nord ci sono 13 aeroporti, uno ogni 50 km., che realizzano, per l’utenza, un servizio migliore del sistema malpensocentrico.

Certo il piano di Alitalia crea un pesante problema occupazionale ma, secondo noi, conoscendone e condividendone le ragioni, per il Sindacato questo sarebbe il momento di indicare finalmente al Paese i responsabili di questa situazione: tutti quelli che hanno sostenuto le strategie pro-Malpensa degli anni recenti, strategie contrarie all’interesse nazionale.

L’alta concentrazione sia di voli che di lavoratori di Malpensa ha gonfiato una bolla destinata a scoppiare.

Siamo ora al punto in cui la bolla scoppia facendo pagare ai più deboli o, nella migliore delle ipotesi, ai contribuenti, gli errori di politici e amministratori.

Nel salutarLa, Le propongo la visita di:

http://www.unicomal.blogspot.com/

il blog per la decrescita felice di Malpensa

Gallarate, 4 dicembre 2007

UNI.CO.MAL. Lombardia

Il Presidente

Beppe Balzarini

Nota: qui su eddyburg, a proposito del tema aeroportuale padano si vedano la documentazione su Malpensa nella Pagina di Storia dedicata al Parco Ticino, e la descrizione del parallelo "hub virtuale", peraltro assai concreto in termini di cemento e opere varie, fantasiosamente e spudoratamente approvato a Montichiari (f.b.)

In Consiglio si discute nuovamente di modifiche della legge regionale n. 12 sul governo del territorio. Per i cultori della materia questa è una perfetta non notizia, poiché quella legge, sin dalla sua frettolosa approvazione nel 2005, con un solo voto di maggioranza, assomiglia a una sorta di tela di Penelope, dove ogni modifica ne preannuncia già la successiva e dove le incursioni politico-affaristiche sono diventate la norma.

A mo’ di esempio, possiamo citare i reiterati interventi “ad hoc” per Monza, un autentico “cult” nel suo genere, che nel luglio 2006 intendevano bloccare il nuovo Pgt, accorciandone i tempi di approvazione, mentre due mesi fa è stato imposto l’esatto contrario, cioè la proroga dei tempi. Ma che cosa è cambiato in un solo anno? Semplice, il colore della giunta comunale monzese, di centrosinistra un anno fa e di centrodestra ora, mentre l’oggetto del contendere è sempre il medesimo: la Cascinazza.

Cioè, un bel po’ di verde da rendere edificabile e i relativi interessi immobiliari della società di Paolo Berlusconi.

E siccome la faccia per queste operazioni la deve mettere l’assessore leghista al territorio, il partito degli affari, che fa capo al vero padrone di casa, gli concede un po’ di demagogia. E così hanno fatto il loro ingresso nella legge 12 delle norme che con l’urbanistica c’entrano un bel niente, come quel capolavoro padano che stabilisce che se qualcuno (“leggi”: islamico) si mette a pregare in un edificio non classificato “luogo di culto”, allora deve chiedere al sindaco il “permesso di costruire”, anche in assenza di opere edilizie. Insomma, uno scambio di favori tra mattoni e xenofobia. Ebbene, tutti gli ingredienti sopra ricordati li troviamo anche nel provvedimento ora in discussione, compresa la razione di xenofobia. Infatti, ci sono ben due norme destinate, l’una, a rendere più difficoltosa l’apertura di nuove “attrezzature per servizi religiosi” (“leggi”: moschee) e, l’altra, ad abrogare la vigente normativa regionale sui “campi di sosta o di transito”, cioè l’articolo 3 della l.r. 77 del 1989 per la “tutela delle popolazioni nomadi e seminomadi”. Orbene, è senz’altro vero che la legge 77 è un po’ vecchia e di fatto disapplicata da anni, causa veto di Lega e An, ma il citato articolo 3 prevedeva pur sempre l’obbligo di contrastare l’emarginazione urbanistica.

Ora, invece, si tratta soltanto di rendere il tutto più restrittivo e senza obiettivi di inclusione sociale.

Ma arriviamo al vero cuore dell’operazione, che questa volta punta diritto su Milano, cioè sull’area metropolitana che in questi anni vive una fase di intense trasformazioni urbanistiche, ma in piena assenza di un’idea di città e di una mano pubblica che progetta e guida. Anzi, il ritmo e la qualità sono dettati dai grandi interessi fondiari e immobiliari privati, mentre le esigenze di vivibilità dei cittadini e di riqualificazione dei quartieri popolari finiscono per essere considerati un ingombro da rimuovere.

E tutto questo avviene su un territorio densamente popolato e saturo. Infatti, si costruisce sempre più in alto, come nel quartiere Isola, oppure in basso, come nel caso dei tanti parcheggi sotterranei, mentre gli spazi liberi si riducono di fatto alle aree dismesse e a quelle (poche) verdi. Per quanto riguarda le prime, si avvicina uno degli affari del secolo, cioè le proprietà delle ferrovie dello stato in disuso: un milione di metri quadrati. Per quanto riguarda le seconde, c’è invece un problema, ovvero, sono in gran parte aree protette.

In un contesto del genere diventa decisiva la questione del chi decide e come. E, infatti, esattamente su questo punto intervengono due modifiche della legge 12, proposte dall’assessore per conto del presidente.

La prima, pretendeva introdurre una norma speciale per la sola Milano, prevedendo la possibilità di poter adottare e approvare i piani attuativi e le loro varianti nella solo giunta, senza più bisogno di interventi da parte del consiglio comunale. In altre parole, sarebbe stato possibile prendere le decisioni fondamentali senza la fastidiosa pubblicità e partecipazione che la discussione in consiglio comunque comporta.

Una norma talmente a rischio illegittimità che l’assessore ha dovuto fare un mezzo passo indietro: ora la norma proposta stabilisce che la giunta adotta, ma è il consiglio ad approvare e questa novità è valida per tutti i comuni lombardi. Una mezza vittoria per l’opposizione, ma il rilancio di Formigoni è arrivato immediatamente: appena l’Expo sarà assegnata a Milano, si farà un’intera legge speciale per il capoluogo!

La seconda è più conosciuta, poiché la stampa cittadina ne ha parlato ampiamente, e intende facilitare interventi edificatori sul territorio dei parchi regionali. Si tratta del famigerato nuovo articolo 13bis che introduce il principio, secondo il quale la Giunta regionale potrà imporre agli enti gestori dei parchi e all’insieme dei comuni interessati, anche contro il loro parere, delle varianti richieste da un solo comune. Insomma, se la Moratti volesse far cementificare una parte del parco Sud, allora le sarebbe sufficiente mettersi d’accordo con Formigoni e l’affare è fatto. Una norma tanto scandalosa che si è sollevato un vespaio e il voto in Commissione è stato rinviato. Ma domani ci riprovano, magari addolcendo la pillola con qualche emendamento.

Insomma, questa modifica della legge 12 fa schifo quanto e più di quelle precedenti. E il prezzo, questa volta, lo pagheranno prima di tutto i cittadini milanesi, o meglio, quelli tra noi che non possiedono un’impresa di costruzioni. Noi faremo la nostra parte, opponendoci con tutti i mezzi a disposizione, ma tutto questo non basta. Urge ricostruire un tessuto di comunicazione tra le varie realtà che nei singoli territori cittadini resistono al sacco di Milano e la sinistra milanese, da ricostruire anch’essa, dovrà inserire tra le sue priorità la definizione di un’idea e di un progetto alternativi di città, anzi di area metropolitana, che metta al centro gli uomini e le donne e non il business di alcuni.

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