Poca gente, aria stanca e rassegnata, un clima da sconfitta. Non è Baghdad ma sala San Leonardo dove i "soliti noti", che altro dire?, hanno invitato la Città per iniziare la riscossa contro il Mose. Ma la Città non s'è vista, e la mobilitazione generale, semmai ci sarà, non comincia sotto i migliori auspici. I rappresentanti delle associazioni ambientaliste coordinate dal Comitato "Salvare Venezia con la laguna", però, non sono né degli sciocchi né degli illusi e hanno messo bene a fuoco la situazione, sottolineando chiaramente il loro obiettivo: stanare il Comune e la Provincia.
Ha cominciato Cristiano Gasparetto (Italia Nostra), chiedendosi cosa fare dopo la sconfitta politica. «Dobbiamo fare mea culpa - ha sostenuto - per non essere riusciti a far capire alla gente che è possibile vivere senza l'acqua alta anche senza realizzare il Mose, e dunque dobbiamo mobilitarci tutti, a Venezia e in Terraferma, per la divulgazione delle conoscenze e dei pericoli che le dighe mobili rappresentano».
Facile a dirsi, ma Stefano Boato (Ecoistituto) ha messo il dito nella piaga. «Ciascuno di noi - ha sottolineato - ha fatto quanto ha potuto, ma non possiamo sopperire noi alla mancata informazione in città e un referendum senza informazione - ha aggiunto attaccando frontalmente la proposta del leader del Polo rossoverde, Gianfranco Bettin - è un controsenso». «Un alibi», ha aggiunto l'ex senatore dei Verdi Giorgio Sarto.
Boato ha poi ricordato che, durante la procedura di Valutazione di impatto ambientale sul progetto delle dighe mobili, aveva funzionato a Bacino Orseolo un punto informativo «velocissimamente demolito», e quindi ha criticato violentemente il Comune, da due anni inesistente sul fronte dell'informazione. «Dove sono le forze politiche - ha polemizzato -? dove le giunte? dove gli assessori alla Legge speciale e all'Ambiente? La responsabilità prima di informare la popolazione - ha concluso Boato - spetta all'istituzione, altrimenti la lotta col Consorzio è impari». L'assessore Paolo Cacciari, presente in sala, ha incassato in silenzio.
Nessuno del Comitato, ovviamente, ha scordato la via giudiziaria, da perseguire, è stato detto, ad ogni livello, per le tali e tante forzature compiute dal Governo e dal Consorzio Venezia Nuova. «C'è una dodicesima condizione - ha sostenuto Sarto -: visto che i lavori cominciano da un'inutile lunata bocciata dal Comune, perché il sindaco in Comitatone non ne ha chiesto il depennamento»?.
«Anche l'ultima delibera del Comitatone è un atto amministrativo», ha sottolineato il parlamentare diessino Michele Vianello invitandone l'impugnazione. «Un atto amministrativo - ha scandito - al quale il Comune ha detto sì, che dà il via libera alla progettazione esecutiva e alla realizzazione del Mose secondo il progetto definitivo, rimandando a studi successivi le undici condizioni del Comune».
Vianello ha sottolineato che di fatto il Comitatone ha riportato il progetto delle dighe al centro del processo di Salvaguardia. «Altro che concezione sistemica - ha polemizzato -! Tutto è ritornato indietro di 20 anni, e questo è il capolavoro fatto in Comitatone! Il Comune - ha aggiunto - doveva dire di no, perché ora è complicato dire "faccio il referendum" dopo aver detto di sì».
Vianello ha poi sottolineato il problema dello stato d'avanzamento dei lavori ai sensi della legge 139/'92 che la delibera del Comitatone, approvata dal sindaco Paolo Costa, dà per realizzato all'87 per cento (facendo riferimento ai fondi stanziati e non al fabbisogno) quando un ordine del giorno del Consiglio comunale lo giudica insufficiente. «Nella tanto vituperata Prima repubblica su cose così si cambiavano i sindaci», ha concluso, e anche Andreina Zitelli (che ha battibeccato con Cacciari) ha sottolineato il clima di debolezza e di indifferenza che sembra aver contagiato le forze politiche veneziane, augurandosi un rilancio nella chiarezza a partire dalle prossime amministrative.
Il Comitato ha concluso l'incontro con un documento in più punti per chiedere a Comune e Provincia: di far sospendere i lavori a Malamocco; di avviare da subito alternative al Mose incentrate su opere «sperimentali, graduali, reversibili» (pennelli removibili, bacini autoaffondanti, navi porta); rivedere l'intera progettazione e la scansione temporale degli interventi per diversificare il traffico portuale, anche con un avamporto al Lido; pretendere una Valutazione di impatto ambientale nazionale sul Mose (il presidente del Wwf, Fulco Pratesi, ha scritto in questo senso a Costa); costituire in entrambe le amministrazioni gruppi tecnici di lavoro che verifichino il rispetto formale e sostanziale delle leggi speciali e delle decisioni del Comitatone.
Silvio Testa
Vedere anche:
Dialogo tra E. Salzano e Piero Bevilacqua
La VIA sul MoSE, articolo di E. Salzano
Il Sistema MoSE: che cos’è
Accordo al Comitatone sul Mose
Le scoperte del giorno dopo
Proteste per l’approvazione del MoSE
Non è frequente che un uomo del Sud, abituato agli orizzonti definiti da rocce e scogliere, si affezioni alla vastità senza confini di un paesaggio lagunare. Eppure Edoardo Salzano, napoletano, settantatré anni, urbanista, ex professore universitario e preside di Facoltà, vive da quasi trent’anni a Venezia e della laguna è appassionato. Ne è un custode perché a lungo l’ha studiata, a lungo ha affinato gli strumenti per tutelarla e per diffonderne la conoscenza. E a Venezia, di cui è stato anche assessore, alle sue isole, alla fauna e alla vegetazione della laguna, al suo disegno ramificato e venoso e alle minacce che gravano su di essa, è intitolata una delle sezioni più frequentate di un sito internet che ha aperto qualche tempo fa e che ormai è un repertorio ricchissimo di notizie, di commenti e di forum sul territorio, sul paesaggio e sull’urbanistica (l’indirizzo è www.eddyburg.it).
Agli occhi di Salzano la laguna è pregevole per le barene e per il gioco delle maree che le fa emergere e poi le sommerge. Per le isole maggiori (Murano, Burano, Torcello, San Francesco del deserto, Pellestrina, Sant’Erasmo), per il Lido o per le isole più piccole, sulle quali i veneziani costruivano conventi e lazzaretti e ci tenevano in quarantena le merci e i naviganti. Per le luci, che al tramonto salgono una scala che va dal rosa al rosso più intenso. Ma anche perché è un laboratorio. «È il risultato di un’applicazione intelligente dell’azione umana alla natura», spiega, «un’applicazione che usa strumenti come il tempo, il flusso delle maree, le fasi della luna. E che si serve di una costante manutenzione, costruendo assetti sempre diversi». Un caso esemplare, insomma. Modernissimo.
La laguna non è un elemento stabile. «È una fase transitoria, un momento di passaggio nel conflitto fra le acque che vengono dai fiumi, e che portano il limo, e le acque che vengono dal mare e che quel limo tendono a farlo uscire dal bacino. Se vince la forza dei fiumi la laguna diventa uno stagno, se vince la forza del mare, la laguna diventa mare». I veneziani volevano conservare la laguna per motivi economici. Serviva per costruire e per riparare le barche in acque tranquille. E con i suoi pesci, dava da mangiare.
«La Repubblica di Venezia ha mantenuto per secoli questo equilibrio. Giovanni Astengo, grande urbanista, citava sempre un canale detto "della scomenzera". Nel suo nome era iscritto un metodo: ogni volta che si "scomenzava", che si avviava un’opera in laguna, tutti osservavano gli effetti che si producevano. E solo se le conseguenze non erano dannose si andava avanti, altrimenti si ricominciava daccapo».
Da un certo momento in poi l’equilibrio è saltato. E il sintomo più appariscente di questa rottura è l’acqua alta, che, con particolari condizioni di clima, sommerge parte del centro storico di Venezia. La laguna ha mostrato un volto matrigno e ostile (terribile l’alluvione del 1966). Ma l’acqua alta non è una malattia che la città trascina con sé nei secoli, la patologia naturale con cui sconta la fragile convivenza fra le sue terre e il suo mare. L’acqua alta è una malattia storica, insiste Salzano. Fino al 1962 – sono dati forniti dal Consorzio Venezia Nuova, la cui mole di studi storici e di storia del territorio è imponente – l’acqua alta non era un fenomeno preoccupante: nel decennio che inizia nel 1953 sono 18 le volte in cui il livello della laguna supera i 110 centimetri. Dopo il ‘62 le inondazioni crescono vistosamente: 32 nel decennio fino al '72, 37 in quello successivo. Nel decennio 1993-2002 schizzano a 53.
Se è un problema storico e non dipende dalla fisiologia lagunare, l’acqua alta avrà pure delle cause. Una si trova nei libri di Luigi Scano, Venezia terre e acqua, scritto nel 1985, e di Piero Bevilacqua, Venezia e le acque, del 1995 (nuova edizione nel 1998). La storia inizia nel Cinquecento, quando Cristoforo Sabbadino, tecnico idraulico alle dipendenze della Repubblica, sostenne l’urgenza di una serie di interventi che restituissero alla laguna la sua massima capacità di funzione, evitando ogni opera che ne riducesse la capienza: il "sovracomun", come si chiamava l’acqua alta, non era dovuta – assicurava Sabbadino – all’"alciamento" del mare, bensì al restringimento del bacino causato dal sedimento lasciato dai fiumi che in essa sfociavano. Per questo motivo nei decenni successivi furono deviate le foci di molti fiumi fuori dalla laguna e rimossi tutti gli ostacoli che impedivano in essa l’ingresso e l’espansione dell’acqua. Misure rigorose, punizioni severissime vennero adottate contro chi interrava porzioni della superficie d’acqua per ricavarne terreni coltivabili o per arginature e bonifiche, o contro chi si azzardava a privatizzare dossi, barene e paludi per attrezzarvi una coltivazione di pesci.
«Venezia imparò a vivere in un ambiente vulnerabile. Accumulò sapienza e competenze, che divennero le basi della sua forza», ricorda Salzano. I suoi eroi erano tecnici idraulici, pescatori e boscaioli. E sui loro saperi si consolidò una classe dirigente che garantì alla città continuità di governo e ricchezza. «La condizione anfibia ha spinto Venezia ad attuare pratiche di salvaguardia naturale, senza strappi, pur ricorrendo alle "grandi opere" di quei tempi: la deviazione dei fiumi e la costruzione, nel 1744, dei Murazzi, una barriera di pietre che corre lungo il limite esterno della laguna».
Crollata, a fine Settecento, l’autonomia della Repubblica, Venezia imbocca un’altra strada. Nel corso dell’800 vennero interrati canali e rii nel centro storico, riducendo la capienza del bacino. Nel 1917, poi, iniziò l’avventura industriale di Porto Marghera che produsse tanti veleni, ma anche l’ulteriore interramento di altre porzioni di laguna. Secondo i calcoli di Scano, il bacino lagunare ha perso nei decenni 7 mila ettari, mentre altri 8 mila sono stati sottratti con gli sbarramenti delle valli da pesca: circa un terzo della sua superficie totale. Contemporaneamente si aumentava la profondità delle bocche di porto e si scavavano canali perché le navi potessero raggiungere il porto. A metà degli anni Sessanta, all’imboccatura di Malamocco, si arrivò fino a una quota di meno 57 metri per consentire alle petroliere di scaricare e caricare greggio nei depositi di Marghera.
Queste due condizioni - laguna più stretta, fondale più basso – sono sconvolgenti rispetto agli equilibri passati e accelerano l’ingresso del mare in laguna, spiega Salzano. E’ come se si aprisse un rubinetto al massimo e l’acqua finisse in un recipiente nel quale un burlone avesse sistemato tante pietre: l’acqua esce ed è così che Venezia finisce sotto.
Per contenere l’acqua alta si è avviato, alla fine degli anni Ottanta, il progetto del Mose (acronimo per Modulo sperimentale elettromeccanico), la cui prima pietra è stata posata da Silvio Berlusconi nel maggio scorso. Il Mose è un sistema di dighe mobili costruito alle bocche di porto del Lido, di Malamocco e di Chioggia. Sul fondale verrà sistemata una grande struttura in cemento sulla quale saranno montate delle paratoie. Le paratoie si innalzano quando il livello del mare supera i 110 centimetri, e restano erette tanto quanto dura il fenomeno e poi rientrano sul fondo.
Secondo i tecnici del Consorzio Venezia Nuova, il raggruppamento di imprese che ha messo a punto il progetto, l’uso delle paratoie sarà molto limitato. Si eleveranno, assicurano, fra le 3 e le 5 volte ogni anno: tante volte, infatti, l’acqua del mare ha superato mediamente negli ultimi anni il livello dei 110 centimetri (ma, informano le stesse fonti, nel solo dicembre 2002 si sono verificati 15 scavalcamenti di quella quota). Niente paura, giurano, per la vita della laguna che ha bisogno di un continuo riciclo d’acqua onde evitare di trasformarsi in un lago, il che ne certificherebbe la morte, e con la morte della laguna la morte di Venezia.
Salzano è un avversario del Mose (e con lui la gran parte del fronte ambientalista: Italia Nostra veneziana ha preparato un voluminoso dossier). Ai suoi occhi, a parte tante questioni tecniche, è un grande artificio che confligge con la storia di manutenzione naturale di cui Venezia può menar vanto. Ed è un’opera costosissima, aggiunge: 2 miliardi 300 milioni di euro per progettazione e realizzazione (3 miliardi 700 milioni, secondo altre fonti); 9 milioni di euro ogni anno per gestione e manutenzione. Inoltre, insiste, «non è detto che funzioni e con quei costi non possiamo permetterci una "grande opera" che non offra certezza assoluta di risultati» (Gli esami per il Mose iniziano a metà anni Novanta: voto favorevole di un collegio internazionale di esperti - luglio ‘98 - e della Regione - ottobre ‘98 -, voto negativo - dicembre ‘98 - da parte della Commissione Via, Valutazione di impatto ambientale, poi annullata dal Tar per vizio di forma).
La disputa sul Mose prosegue da anni, divide i tecnici e gli schieramenti politici (gli argomenti a suo favore vengono riassunti nel box qui accanto). Le dighe dovrebbero funzionare nel 2011. E fino ad allora Venezia dovrà comunque convivere con l’acqua alta. «Il cantiere avrà un impatto pesantissimo in laguna», aggiunge Salzano. «Sul fondale marino saranno sistemati enormi cordoni di calcestruzzo che interromperanno la continuità che sempre ha tenuto legata la laguna al mare aperto».
Un’alternativa vera al Mose non c’è. O almeno non c’è nulla di tecnologicamente così dirompente. L’alternativa rimanda a una diversa idea di Venezia, fonda le sue ragioni sulle cause dell’acqua alta, proponendosi di eliminarle o quantomeno di attutirne gli effetti. Già dalla prima giunta di Massimo Cacciari si sono avviate due operazioni (che proseguono ora con l’amministrazione di Paolo Costa): la pulizia e lo scavo dei rii, intasati da sedimenti e rifiuti e ormai otturati, per ripristinare la loro antica capienza e consentire all’acqua di espandersi con più agio; e l’innalzamento della superficie cittadina fino a una quota di 120 centimetri. Sono questi gli interventi di "cuci e scuci", come li chiama Salzano, di cui hanno bisogno Venezia e la laguna. Salzano cita il Laboratorio Grandi Masse del Cnr, secondo il quale queste e altre "piccole opere" (riapertura di parti di laguna occluse, rimodellamento dei fondali, ricostruzione del tessuto dei canali naturali, per esempio) potrebbero ridurre mediamente di 20-25 centimetri le punte massime di marea. «Ciò significherebbe», aggiunge Salzano, «che la frequenza delle acque alte si ridurrebbe a pochi giorni l’anno, così come è sempre stato da che Venezia è Venezia».
(4. Fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 23, il 28 agosto e l’11 settembre) La difesa
Le ragioni del Mose LA DIFESA del Mose si fonda su alcuni argomenti. Secondo i tecnici che lo stato realizzando, nel Novecento il suolo lagunare si è abbassato rispetto al livello del mare di oltre 23 centimetri. Ciò è dovuto alla crescita del livello del mare (eustatismo) e all’abbassamento del suolo (subsidenza). È questa, a detta degli stessi tecnici, la causa principale delle acque alte. Lo scavo del canale dei petroli è stato una delle cause del degrado della laguna, ma non avrebbe rilevanza sul fenomeno. Basti pensare, aggiungono, che quando vi fu l’alluvione del 1966 non era ancora stato scavato.
L’ipotesi che interventi come l’apertura delle valli da pesca e il "tombamento" del canale dei petroli possano ridurre i livelli di marea in laguna, secondo i tecnici del Mose, è stata sottoposta ad analisi. Ma i risultati avrebbero dimostrato che questi interventi non possono avere effetti sulle acque alte. Inoltre il sollevamento di intere parti di territorio non basta perché restano notevoli incertezze sia sui modi che sui risultati. Interventi di questo tipo, soprattutto, non sarebbero in grado di assicurare un sollevamento uniforme. Sono dunque improponibili in centri storici preziosi e fragili come quelli delle città lagunari.
Oggi "la madre di tutte le leggi speciali per Venezia" (la 171) compie 30 anni. Approvata in Parlamento il 13 aprile 1973 è stata firmata tre giorni dopo da Leone - allora presidente della Repubblica - Andreotti, Gullotti, Malagodi, Taviani, Scalfaro, Gonella. È datata, dunque, 16 aprile 1973.
La legge 171 è figlia del 4 novembre 1966, a sua volta madre di tutte le acque alte, un evento epocale che ha segnato nell'esistenza della città di San Marco lo spartiacque fra due culture: quella dello sviluppo - per lo più incontrollato - e quella della conservazione, più avveduta e premiante.
La vita della comunità è stata in questi trent'anni del tutto condizionata da detta legge, fitta di indicazioni, vincoli, intimazioni. E, soprattutto, generosa di risorse. Per essa si sono sviluppate nuove opportunità, sono stati suscitati intrecci di colossali interessi ed esemplari passioni civili, si sono infranti sogni che erano offesa alla storia ed al mito. È stato arrestato l'incombente regresso.
Se non è pensabile di poter dare la misura delle energie che quella legge ha sprigionato, e men che meno ridurle ad una elencazione che stia entro uno scritto di giornale, è lecito riecheggiare - pur nella più rapida sintesi e semplicazione - alcuni passaggi di quella temperie che - sull'onda dell'"aqua granda" del '66 - è stata principio di rinnovamento o piuttosto rivoluzione per cui il mito "progressivo" dell'espansione dell'area industriale, ritraendosi, ha lasciato spazi sempre più ampi alla ricostruzione o almeno alla salvaguardia di ciò che resta. Penetrati molti dei segreti della natura, è stato possibile formulare un programma di difesa del tessuto urbano che per l'operare di detta legislazione è ancora pensabile quale scrigno affollato di risorse per un domani anche lontano.
Quella legge aveva trovato sulle barene il progetto di creare - con i fanghi di un grande canale già in corso di éscavo - cinque estesissime casse di colmata, protese verso la bocca di porto di Malamocco, sulle quali si sarebbe andati ad edificare un'enorme, vessatoria terza zona industriale. La laguna, a sua volta, gravata da processi naturali - o inescati da antiche e recenti interferenze - era recapito di ogni indecenza dei nostri dì. Con l'acqua, anche l'aria soffriva. E soffrivano le Pietre.
Parte di questi pericoli più non esistono o si sono attenuati. Ad altra, sostanziosa, è stata posta mano ed è da ritenere ancora sarà posta nel prossimo futuro, pur nella continuità delle tergiversazioni, dei temporeggiamenti, dei tentativi, errori, sprechi, contraddizioni, frammezzo a critiche, biasimi, impulsi irosi, in un mare di bisogni, disagi, emergenze.
Se un tempo la laguna veniva lastricata di ducati - così ha riconosciuto uno scrittore di eventi idraulici - oggi ben si può dire che lo è di lire: 14 mila miliardi. Sia il compimento dell'opera giunto ad un terzo, lo sia a mezzo, il cammino è ancora lungo. Domani il manto steso sulla laguna si potrà dire costituito da euro. La 171 ha figliato e lo farà ancora, almeno fino a quando il Mose non sarà cosa fatta e avrà guadagnato pieno successo: ha generato la 798 dell'84, la 139 del '92, la 539 del '95, la 515 del '96, la 345 del '97, la 295 del '98, la 448 del '99, la 388 del 2000, la 448 del 2001. Ha messo lo zampino anche nella 166 del 2002. Così prolifica la legislazione per Venezia, che ha subito ampie correzioni, aggiunte, aggiornamenti.
Augusto Pulliero
Impossibile fornire un elenco dei lavori eseguiti in questi trent'anni e valutarli singolarmente nella loro efficacia. Unico metro è il rapportare il tutto all'importo globale speso anche se in esso entrano dispersioni, sprechi o qualche strafalcione. Fra quelli di competenza dello Stato (per 2.774.655.000 euro) - eseguiti dal Magistrato alle acque in amministrazione diretta o dal Consorzio Venezia Nuova da citare per primo, per il suo valore simbolico, l'apertura delle casse di colmata. Nel 2002, comunque, erano stati chiusi 93 cantieri e se ne andavano completando 44: marginamenti a difesa degli abitati dalle acque alte in città e nelle isole (da segnalare l'innalzamento dell'insula dei Tolentini e l'intervento in Malamocco); rafforzamento dei moli foranei; difesa dei litorali (spicca la nuova spiaggia lungo tutta l'isola di Pellestrina); messa in sicurezza di discariche e località inquinate; ricostruzione di ponti, rifacimento di barene; dragaggi allo scopo di vivificazione di siti lagunari asfittici; restauro di edifici demaniali e di carattere storico. E studi. Tantissimi. E progettazioni per l'intervento alle bocche di porto, che hanno impegnato centinaia di consulenti e diversi istituti stranieri.
L'amministrazione comunale ha operato con 1.710.116.000 euro. All'inizio il ritmo di utilizzo degli stanziamenti per il restauro della edilizia minore è stato lento, quasi indolente. A dieci anni dall'emanazione della legge nessun privato aveva ancora ricevuto un qualche contributo, forse a causa dell'imperante eccessivo timore di speculazioni e, anche, per la farragginosità delle procedure imposte dal decreto di risanamento allegato alla legge. Fra gli interventi sviluppati con qualche ritardo pure lo scavo dei rii divenuto però oggi uno dei fiori all'occhiello del Comune, ovvero di Insula. Per il risanamento degli immobili da destinare alla residenza sono stati impegnati 629 milioni di euro su 730 disponibili, per la realizzazione di opere di urbanizzazione 144 su 182, per contributi a privati 154 milioni su 181, per l'acquisizione di aree da destinare ad insediamenti produttivi 105 su 128, per il progetto integrato rii 187 su 187.
La Regione è quella che ha speso meno di tutti in proporzione a quanto assegnatole (il 30 per cento di 1.708.045.000 euro). Da ricordare il suo contributo alla realizzazione del progetto integrato rii nonché gli interventi a prevenzione dall'inquinamento nei territori del comuni della gronda lagunare e direttamente a Marghera, su acquedotti, ospedali, consorzi di bonifica e di disinquinamento.
Poi ci sono gli interventi operati a Chioggia (impegnati 162 milioni di euro su 269), e i contributi ad enti culturali e religiosi.
Scopo precipuo della legge speciale è stato quello di spingere le istituzioni veneziane ad adottare un nuovo modello di sviluppo ben più cauto che per il passato, con fondamento primario nella protezione dei valori culturali e sprone al risanamento. Essenziale nella nuova normativa è stata la attestazione che "la salvaguardia di Venezia e della sua laguna è problema di interesse nazionale". Sono state adeguatamente scisse le competenze fra Stato, Regione e Comune a dirimere ogni conflitto di competenza; è stata istituita la commissione di salvaguardia; sono state fissate indicazioni propedeutiche agli interventi intesi a controllare il fenomeno delle acque alte "in nessun caso rendendo impossibile o compromettere il mantenimento della unità e continuità fisica della laguna"; indicato, altresì, come procedere ad un primo risanamento delle acque, come al restauro conservativo dell'abitato, come alla stesura di un piano comprensoriale. Per il vero queste due ultime indicazioni della normativa sono state le più dibattute e trasformate. Infine, lo stanziamento, nel 1973, dei primi 300 miliardi di lire, seguiti da altri 14 mila (7.029.977.000 euro).
L'ultimo impegno deliberato è quello del Cipe pari a oltre novemila miliardi di lire (per la precisione 4.785 milioni di euro) in netta prevalenza destinati alla realizzazione del sistema Mose.
Gli anni fra il '66 ed il '73 furono densissimi di polemiche. Avanti alla sua emanazione, della 171 sono stati stesi almeno sette testi. Mezzo mondo si sentiva veneziano, la città intera stava duellando, divisa fra quanti testimoniavano della imprevedibilità dell'evento '66 e quanti, con la forza di una mareggiata politica di pari impeto di quella adriatica, si proponevano di spazzar via tutta la classe politica allora al potere. In quel tempo una foto di gruppo avrebbe messo assieme personaggi di cui oggi è doveroso ricordare il nome, da qualsiasi parte militassero. Ministri di alto bordo: Emilio Colombo, Antonio Giolitti, Salvatore Lauricella, Ugo La Malfa, Bruno Visentini, Mario Ferrari Aggradi; sindaci: Giovanni Favaretto Fisca, Giorgio Longo, Mario Rigo; politici in salita in discesa o soltanto testimoni: Wladimiro Dorigo (criticissimo nei confronti della nuova normativa), Giobatta Gianquinto, Gianni Pellicani, Gianni De Michelis, Gaetano Zorzetto, Vincenzo Gagliardi, Luigi Scano; giornalisti: Giovanni Spadolini, Dino Buzzatti, Indro Montanelli, Sandro Meccoli, Giulio Obici; membri di Italia Nostra: Teresa Foscari Foscolo, Anna Maria Cicogna, Antonio Casellati, Giorgio Bellavitis, Giampietro Puppi, Pino Rosa Salva; i giovani del Fronte; per finire con Renè Maheu dell'Unesco e Raffaele Mattioli, il procuratore dei primi fondi internazionali.
Fischia il vento e anche la sirena, quando il cavaliere esce dall'aula magna del collegio Morosini. Alle 13.10 attraversa il pontile, si confonde con le pietre nella chiatta e «vara» ufficialmente il Modulo sperimentale elettromeccanico. La Grandi Opere Spa del governo mette la prima pietra in laguna. Con tanto di pergamena benedetta dal patriarca Angelo Scola: «Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi inaugura il sistema Mose per la salvaguardia di Venezia a futura memoria della città e del mondo». Una cerimonia virtuale, in pompa magna, contestata dagli studenti dell'area Disobbedienti e da un piccolo corteo di battelli con le bandiere rosse di Rifondazione e dei Verdi. Fioccheranno le denunce? Di certo, a Venezia non tutti si sono bevuti i proclami ufficiali di premier, ministri (Lunardi, Matteoli, Buttiglione e Bossi) e il governatore della Regione Galan affiancati dal sindaco Paolo Costa targato Margherita.
Il Mose, infatti, continua a separare due schieramenti. Gli entusiasti cultori della mega-opera che il Consorzio Venezia Nuova propugnava fin dai tempi del «doge» De Michelis. E gli ecoscettici, criticamente attestati sulle posizioni ben radicate anche nella maggioranza che amministra Venezia.
Il Mose dovrebbe salvare la città e anche Chioggia dalle ondate di alta marea superiori ai 110 centimetri. Un sistema di paratoie mobili alle tre bocche (Lido, Malamocco, Chioggia) tutte agganciate a basi di cemento armato sul fondo marino. Dovrebbero scattare, appunto, ogni volta che la marea diventa pericolosa per Venezia. Ma il progetto del Ministero delle Infrastrutture in collaborazione col Magistrato alle acque affidato alla realizzazione del Consorzio Venezia Nuova, costa ben 2,3 miliardi di euro. Ma soprattutto comporterà una spesa di circa 9 miliardi di euro di manutenzione all'anno. E serviranno almeno otto anni di lavoro con un migliaio di persone addette a costruire la mega-opera. Si è cominciato dalla scogliera al largo di Malamocco e dalla prima pietra di ieri...
Una cerimonia «blindata» per le autorità. Ma lungo il canal grande la contestazione è stata visibile anche agli ignari turisti. Tant'è che da una delle barche del «corteo» sono stati gettati in acqua un Mose in polistirolo e un altro galleggiante con la scritta «No a Berlusconi a Venezia». I manifestanti hanno poi intonato Bella ciao e Bandiera rossa.
Da parte sua Gianfranco Bettin, prosindaco di Venezia e vice-presidente nazionale dei Verdi, commenta così l'inaugurazione berlusconiana: «La posa della prima pietra del Mose, cioè del “ geniale sistema di tutela ambientale più avanzato del mondo”, secondo lo sproposito appena declamato dal Presidente del Consiglio, al di là delle apparenze da inaugurazione di regime non è altro che una patacca mondiale, un propagandistico atto a uso elettorale. Come ormai è stato ben chiarito, le opere che Berlusconi inaugura oggi non sono che complementari al sistema di difesa complessivo della laguna, sono opere avviate da anni delle quali il suo governo non porta alcun merito o che, per altri versi, il governo Berlusconi ha solo peggiorato». Conclude Bettin: «In realtà, oggi Berlusconi inaugura (si fa per dire) un'opera di cui non è ancora stato predisposto il progetto esecutivo, che non è stata sottoposta a Valutazione di Impatto Ambientale ma che già oggi risucchia risorse altrimenti destinate a interventi ben più urgenti (scavo, rialzo, pavimentazioni, interventi ai litorali e alle bocche di porto) oltre che alla manutenzione e al restauro della città. Si tratta quindi di una patacca davvero costosa, oltre che rischiosa e probabilmente inutile».
VENEZIA. Il Tribunale amministrativo spiana la strada alla realizzazione del Mose. A 48 ore dall’udienza di merito, ieri i giudici hanno rigettato tutti e 8 i ricorsi della Provincia, del Comune, delle associazioni ambientalistiche e dei consumatori, che contestavano l’iter che ha portato il governo ad autorizzare il progetto esecutivo delle opere mobili alle bocche di porto.
Le motivazioni non sono ancora note, ma i giudici ritengono legittimi gli atti compiuti finora. «Non hanno avuto coraggio», commenta l’assessore provinciale all’Ambiente Da Villa, confidando nel ricorso all’Unione Europea. Quasi ultimate le barriere complementari alle bocche di porto, il Consorzio inizierà presto i lavori per il «muro» davanti al Cavallino.
VENEZIA. Il Tribunale amministrativo spiana la strada alla realizzazione del Mose. Ieri, a sole 48 ore dall’udienza di merito, i giudici del Tar hanno depositato il dispositivo con il quale la «sezione prima, definitivamente decidendo sui ricorsi in premessa, previa riunione degli stessi, li rigetta». I ricorsi sono quelli presentati da otto diverse amministrazioni ed associazioni contro i provvedimenti con i quali, tra il 2001 e il 2003, il Comitatone ha dato il via libera alle «opere complementari» a mare e al progetto esecutivo delle barriere mobili alle bocche di porto. I giudici non hanno ancora motivato la loro decisione - ci vorranno almeno venti giorni per la sentenza - ma hanno fatto ufficialmente sapere di ritenere legittimo il via all’intervento.
La questione è di quelle capaci di dividere come poche: come si salva Venezia? Costruendo gigantesche, potenti e sommerse saracinesche che fermino il mare quando si fa pressante, come vogliono governo, Magistrato alle Acque, Regione, Consorzio Venezia Nuova, sostenuti dalle categorie (Ascom, Confartigianato, Camera di commercio, Unione industriali, Forum per la laguna)? Oppure intervenendo con opere diffuse, manutenzioni, affondando semplici cassoni per rompere l’impeto delle correnti, come replicano Italia Nostra, Wwf, Lipu, Codacons, Eco Istituto Veneto, Sinistra ecologista, Movimento consumatori, la battagliera Provincia e il più soft Comune (sindaco e rosso-verdi, si sa, la pensano diversamente)? Questioni tecniche, politiche, conomiche. Il fronte del «no» ha giocato al Tar la carta dell’illegitimmità dell’iter che ha portato al via alle opere complementari (approvate con valutazione d’impatto ambientale della sola Regione) e al progetto esecutivo del Mose (non più sottoposto a Via come opera di carattere strategico e preminente interesse nazionale). Illegittimità che per i giudici non esiste. In attesa delle motivazioni, già si parla di ricorsi in appello. Nel mezzo, però, ci sono le elezioni.
«Per quanto ci riguarda», spiega l’assessore provinciale all’Ambiente, Ezio Da Villa, «andremo avanti. Abbiamo già impugnato all’Unione europea le forzature indicibili fatte per dare il via libera all’opera, senza Via e dando i lavori ad un unico concessionario. Sono molto deluso: mi pare che i giudici abbiano dimostrato ben poco coraggio davanti ad un sistema di poteri così fatto».
«Ancora una volta, secondo un metodo molto in voga in Italia», osserva l’avvocato Alfredo Bianchini, legale del Consorzio Venezia Nuova, «dopo 40 anni di studi che hanno coinvolto migliaia di persone - tra progettisti, esperti, amministratori, politici - si vorrebbe che tre magistrati decidessero nel merito tecnico di una questione tanto complessa, quando la loro competenza è sulla legittimità dell’iter. Eppoi quando questa legittimità viene riconosciuta, si vorrebbe sempre un altro grado di giudizio. E’ un vizio italiano sia non accettare mai le sentenze sia voler delegare l’ultima decisione all’organo meno indicato: come può un Tar decidere sulla validità del progetto Mose? Eppoi un intervento così complesso sarà sempre in continuo mutamento, perfezionabile: più che la costante contrapposizione è utile l’integrazione».
VENEZIA. Interventi alternativi al Mose e più”leggeri” per fermare l’acqua alta alla bocca di Lido e - da parte dei Verdi - il lancio del referendum consultivo tra i cittadini del Comune, perché esprimano il loro parere sul progetto di dighe mobili voluto dal Governo. Sono questi - al di là del probabile ricorso al Consiglio di Stato da parte delle associazioni ambientaliste e un’eventuale azione poi in sede europea - i punti tutti politici da cui ripartirà, nelle prossime settimane, la battaglia sulla salvaguardia, che si intreccerà, inevitabilmente, con l’ormai imminente scadenza elettorale. Il 7 giugno, infatti, a pochi giorni dal voto, il Consiglio comunale sarà chiamato a votare un ordine del giorno della maggioranza dove l’undicesimo dei punti approvati dal Comitatone diventerà il primo: appunto, la sperimentazione di progetti alternativi e meno impattanti rispetto al Mose.
«Quel punto - commenta Livio Marini, capogruppo dei Ds a Ca’ Farsetti - è fondamentale e non più rinviabile. La sperimentazione alle bocche di porto va fatta prima del Mose, perché l’intervento alle dighe mobili avrò un impatto tale che bisogna avere la certezza che altre soluzioni non risolvano il problema, permettendo, oltretutto, la realizzazione di quell’avamporto che risolverebbe anche il problema dell’allontanamento delle grandi navi. Sulla base di quest’ordine del giorno, il sindaco Costa potrà poi chiedere la sollecita convocazione del Comitatone che questoi unidici punti, compresi gli interventi sperimentali e alternativi alle bocche, ha approvato». In parte differente l’approccio di Gianfranco Bettin, per i Verdi. «Bisogna fare ricorso al Consiglio di Stato contro la bocciatura del Tar - commenta - ma la via maestra resta quella politica e le elezioni aiuteranno, a comimnciare delle Europee. Non ho ancora capito, ad esempio, quale sia la posizione della lista riformista sul Mose: quella di Costa o quella dei Ds? Noi Verdi proporremo comunque il referendum consultivo sul Mose, raccogliendo già quest’estate le firme necessarie. Chiameremo alle urne gli abitanti del Comune di Venezia, ma sarebbe importante che partecipassero anche i cittadini del Cavallino, di Chioggia e di Mira, direttamente interessati agli effetti del progetto di dighe mobili. Se comunque, alle Europee, la Casa della Libertà verrà sconfitta, si porranno le premesse politiche perché tra un anno e mezzo si possa avere un governo di centrosinistra alla guida del Paese, in grado di riprendere in mano tutta la questione delle grandi opere e del Mose».
(Enrico Tantucci)
VENEZIA. C’è chi si rallegra e chi si scandalizza. Queste le reazioni contrapposte all’esito della sentenza del Tar sul Mose, che ha bocciato tutti i ricorsi presentati dagli ambientalisti.
Tra i primi, il sindaco di Venezia Paolo Costa e il presidente della Regione Giancarlo Galan «Sono lieto - commenta Costa - che il Tar abbia analizzato con attenzione i ricorsi sulle procedure, perché era importante analizzare a fondo l’iter di un’opera fondamentale come il Mose. Credo quindi che sia stato positivo, anche da parte del Comune, chiedere tutte le verifiche possibili, per garantire che le procedure messe in atto sono fuori da ogni dubbio. Sono personalmente molto contento del fatto che sia stata riconosciuta la validità della procedura di valutazione di impatto ambientale speciale, definita da un decreto del Governo Prodi, di cui ero ministro, su mia proposta, sulla quale, al di là di ogni ragionevole evidenza, molti si ostinavano ad esprimere dubbi. Dopo questa sentenza si può ripartire con maggiore forza anche per chiedere l’applicazione degli undici punti del documento votato anche dal Comitatone come parte integrante del Mose».
Soddisfatto anche Galan: Oggi mi sento di poter dire di aver ricevuto una buona notizia, ma questo ha poca importanza. Credo che la decisione dei giudici del Tar, che va accolta senza alcun commento, appartenga comunque ad un percorso approvativo dove giustamente non sono mancati opportuni approfondimenti, controlli e verifiche».
Ben diversa la valutazione delle associazioni ambientaliste - come Wwf, Italia Nostra, Lipu, Vas, Ecoistituto Veneto, Codacons, Sinistra Ecologista - che attendono le motivazioni di una sentenza che lascia perplessi. «Ci riserviamo di valutare rapidamente - commentano Paolo Perlasca del Wwf e Alvise Benedetti di Italia Nostra -un rinvio della decisione definitiva al Consiglio di Stato e soprattutto un ricorso in sede di Unione Europea, come già avanzato dalla Provincia. Al di là di ogni giudizio sotto il profilo amministrativo, rimane fermo l’obbligo stabilito dalla legge italiana fin dal 1973 di salvare Venezia insieme alla Laguna e non contro La Laguna», ricordando comunque la necessità di una Valutazione d’impatto ambientale dell’intervento.
Rammarico per la sentenza del Tar anche da Guido Pollice, presidente di Verdi ambiente e Società, mentre Rifondazione Comunista, con il capogruppo a Ca’ Farsetti Pietrangelo Pettenò ribadisce: «Di questa giustizia avevamo poca fiducia, ma la battaglia contro il Mose ora deve diventare tutta politica, chiedendo il rispetto degli undici punti fissati dal Comitatone, a cominciare dai progetti
|
Torna a: Venezia: a rischio?
Venezia, 24 marzo 2005 - Ho letto con interesse la postilla alle notizie sulla ripresa degli scavi del Canale dei petroli. Sin dall'alluvione del 1966 fu indicato dalla Sezione veneziana di Italia Nostra come una delle cause del degrado lagunare. Studi successivi hanno rivelato che il canale Malamocco-Marghera ha generato danni irreversibili, provocando l’appiattimento dei fondali in tutta la Laguna sud, l’asportazione della terra dalle barene e dalle isole: in una parola, la distruzione della complessa e ricca morfologia caratteristica della Laguna, ragione principale della sua capacità di moderare le maree, di nutrire una flora e una fauna uniche al mondo, e di costruirne l’incomparabile paesaggio. È davvero stupefacente come nessuno si domandi da dove vengano i milioni di metri cubi di fanghi che ci si propone di dragare dal canale dei petroli! Sono esattamente il prodotto dell’aspirazione, da parte della depressione costituita dal canale, dei limi che costituiscono la vita stessa della Laguna.
Grazie della precisazione alla postilla. Negli ultimi 40 anni si sono imparate molte cose della Laguna. Purtroppo non le ha imparate chi governa la Regione e la Repubblica (e neppure tutti i governanti locali) Per troppi decisori la Laguna è un terreno incolto sul quale si possono montare tutti i caroselli e gettare tutti i rifiuti.
LIDO. «Il Mose è un progetto da bocciare». Questo il parere di almeno 200 lidensi intervenuti mercoledì sera al Palazzo del Cinema all’assemblea contro la realizzazione delle dighe mobili con l’intento - da parte delle associazioni ambientaliste - di sensibilizzare la cittadinanza sui danni che il sistema di paratie provocherebbe all’ecosistema lagunare in vista della sentenza del Tar il 6 maggio.
Prossime tappe di questa campagna itinerante di conferenza saranno Mestre e la serata conclusiva il 5 maggio in centro storico. Durante la serata i tecnici e gli ingegneri dei gruppi organizzatori - Rocchetta e Dintorni e Murazzi e difesa del territorio - hanno focalizzato la loro attenzione su alcuni aspetti del Mose. L’impatto ambientale e estetico, la relativa efficacia delle paratie mobili, l’irreversibilità della costruzione, i costi esorbitanti dell’operazione, i tempi di realizzazione nonché quelli di funzionamento. Sono state poi presentate alcune soluzioni alternative già in uso con successo in alcuni paesi europei.
«C’è stata poca informazione reale sul progetto - dice l’igegner Fabio Cavolo - la gente non sapeva realmente cosa fosse il Mose, le sue dimensioni reali, i costi, i danni, le sue alternative. Il nostro intento dichiarato era quello di portare il maggior numero di informazioni possibili a disposizione della cittadinanza. Ora chi ci ha seguito potrà valutare meglio quello che sta succedendo».
Su tutti i temi trattati uno in particolare ha sollevato le maggiori critiche da parte della gente. La sparizione dell’oasi estiva del Bacàn come conseguenza dello scavo delle conche di navigazione. «Un’ipotesi catastrofica» è stato detto «per chi come i veneziani vive parte delle loro vacanze estive in quel piccolo angolo di pace alle bocche di porto». Grande interesse poi hanno suscitato le opere alternative. Ad esempio l’innalzamento del fondale delle bocche di porto, o ancora, la loro restrizione. Lavorando cioè dal punto di vista idraulico su una diminuzione dell’afflusso delle acque. «Sono opere - dice ancora Fabio Cavolo - che potrebbero portare a una diminuzione dei livelli di marea di almeno 15 centimetri, salvaguardando la città dalla maggior parte delle acque alte», Ma anche utilizzando sistemi di corpi morti affondati. «Tutte opere - insiste l’ingegnere - che avrebbero due pregi, di avere dei costi molto inferiori e di essere di natura reversibile».
Ora gli ambientalisti replicheranno. Mestre la prossima settimana e il 5 maggio a Venezia. Poi il giorno seguente la sentenza del delTar. «Aspettiamo con il fiato sospeso» dicono gli ambientalisti.
Che cos'è la Laguna di Venezia
Something about MoSE, in english
VENEZIA. Le vibrazioni puntualmente registrate sul rullo del Mareografo del Campanile di San Marco si impennano quando in Bacino passano le grandi navi da crociera, confermando le preoccupazioni del Quartiere di Castello e le proteste dei residenti della zona sugli effetti del passaggio delle grandi navi. E proprio agosto è uno dei mesi più a rischio, secondo le rilevazioni dell’Istituto Idrografico.
Un esempio per tutti: il 26 agosto di due anni fa, perché la situazione oggi, rispetto al passaggio delle navi da crociera, è esattamente la stessa. Il mareografo registra le oscillazioni di marea, ma funziona anche - in qualche modo - come un sismografo, registrando le vibrazioni sull’acqua. Dopo una notte senza registrare vibrazioni, la curva del mareografo comincia a vibrare verso le 5 del mattino, quando entra in Bacino, diretta verso la Marittima, la Splendid of the Seas, una delle navi da crociera che fanno rotta a Venezia.
Dopo un periodo di quiete, un’altra violenta increspatura verso le 8.30, quando a transitare per San Marco è la Costa Atlantica, in arrivo. Il tracciato del mareografo, quel giorno, resta abbastanza tormentato, ma si impenna bruscamente verso le 17, in concomitanza con la partenza della Rotterdam 6, per toccare poi il punto di maggiore oscillazione poco dopo le 18, quando è nuovamente la Costa Classica a partire dalla Marittima e ad attraversare maestosa per il bacino di San Marco, per regalare ai suoi passeggeri un’immagine da cartolina della Venezia monumentale.
Poi, le increspature del mareografo si placano, come le grandi navi che passano per l’area marciana. Ma il giorno dopo si ricomincia, con nuove oscillazioni sul tracciato. Quando? Intorno alle 8.30, quando a passare è la Costa Classica.
Una corrispondenza impressionante, nonostante solo pochi mesi fa i consulenti incaricati dal Porto di rispondere alle preoccupazioni dell’opinione pbblica sugli effetti del passaggio delle grandi navi, abbiano ribadito che, a loro avviso, «le navi da crociera da 60 mila tonnellate di stazza, secondo gli esperti idraulici, «generano un moto ondoso molto contenuto, che non si distingue dal cosiddetto rumore di fondo, cioè dalle onde provocate dalle altre barche che passano ogni giorno per il canale della Giudecca». Più della Mistral o della Princess, insomma, farebbero onde «le barche a motore, i mezzi Actv e quelli della polizia». Come spiegare, allora, quelle vibrazioni che il mareografo di San Marco registra al loro passaggio?
«E’ assurdo - spiega uno dei rappresentanti dell’Associazione Arco, che raccoglie i residenti di Castello orientale preoccupati per l’impatto delle grandi navi sulla zona - che solo per non privare i crocieristi del passaggio in bacino di San Marco, si creino seri fastidi a molti veneziani e si metta a rischio il suo patrimonio monumentale. Le navi da crociera potrebbero infatti passare tranquillamente per il canale dei Petroli, e lo dimostra il fatto che, per la festa del Redentore, per una delle navi della Costa crociere, questo è puntualmente avvenuto».
Le vibrazioni e le emissioni sonore dei motori continuano a preoccupare e la stessa Arpav - l’agenzia regionale per la protezione ambientale - ha riconosciuto l’incompatibilità dei livelli acustici e la stesso Commissioine Ambiente del Comune ha richiesto una Valutazione d’impatto ambientale. Un problema sempre aperto e sul quale anche il sindaco e commissario al traffico acqueo Paolo Costa ha promesso risposte
Alla relazione ha fatto seguito il Decreto congiunto del ministero dell'Ambiente e del ministero per i Beni Culturali (cosiddetto decreto Ronchi-Melandri), del 24 dicembre 1998, che respingeva il progetto subordinandolo ad altri interventi giudicati prioritari. Contro il decreto ricorreva la Regione Veneto e otteneva vittoria al Tribunale amministrativo regionale, per vizi formali. La sentenza del TAR non inficia la sostanza delle conclusioni della commissione VIA, che resta tuttora valida e illustra a sufficienza i dubbi e le preoccupazioni. Il testo è scaricabile in formato .pdf.
La Commissione ritiene che la salvaguardia di Venezia non possa perseguirsi senza il governo complessivo del sistema lagunare, inteso come l'insieme del bacino scolante in laguna e dei grandi fiumi contermini alla laguna stessa, dell'arco di costa e del settore marino sotteso tra le foci dei fumi Adige e Brenta, delle bocche lagunari, del bacino lagunare e delle sue unità morfologiche ed antropiche: gli eventi che in essi si determinano interagiscono in modo complesso e non lineare.
La Commissione ritiene che il Progetto, raccogliendo in un'unica azione e tipologia gli interventi relativi all'attenuazione delle maree in laguna medie e gli interventi volti alla regolazione delle “acque alte” eccezionali, anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolazione delle maree, e perciò comportando un sempre più elevato numero di chiusure, non è in grado di governare le maree più frequenti e medio-alte, se non a danno della portualità e dell'aperto e continuo scambio tra mare e laguna.
La Commissione ritiene il governo continuo dello scambio tra mare e laguna, uno degli elementi ineludibili per la ricomposizione ed il mantenimento dell'instabile e fragile equilibrio tra l'ambiente marino e l'ambiente della terraferma, da cui origina.
Tale equilibrio tra acque dolci e salmastre, non ë semplicemente uno stato morfologico ed idrodinamico, ma è la ragione della sopravvivenza del mosaico ambientale ed antropico che definisce la natura stessa della laguna.
La Commissione ritiene che tale equilibrio non possa che essere ottenuto con un insieme articolato di opere ed interventi nel rispetto delle caratteristiche della sperimentalità, reversibilità e gradualità, tutti concorrenti al perseguimento di tal fine.
Per tanto la Commissione ha reputato indispensabile uno stretto collegamento tra la valutazione del progetto e il Piano degli interventi per il recupero morfologico della laguna elaborato da Proponente all'interno della Concessione dal Magistrato alle Acque.
La Commissione alla luce delle considerazioni precedenti,valuta grave la mancanza della ricerca e della definizione di indicatori obiettivo per il sistema ambientale, verso i quali indirizzare la programmazione degli interventi e la progettazione delle opere.
A proposito del Piano per `il recupero morfologico
La Commissione ritiene opportuna, ma insufficiente l'azione di contrasto agli squilibri morfologici ìntrapresa dal Piano degli interventi per il recupero morfologico della laguna.
La Commissione ritiene gli obiettivi dichiarati dal Proponente per il Piano degli interventi per il recupero morfologico della laguna, non completamente assunti, e le azioni per raggiungerli contraddittorie e ìncapacì di garantire l'equilibrio dinamico sul lungo periodo;
La Commissione considera grave la mancanza di una esplicita discussione del processo evolutivo che in conseguenza degli interventi non solo morfologici proposti, dovrebbe pur condurre ad un nuovo stato di equilibrio dinamico lagunare. Né il Progetto di massima degli interventi per il recupero morfologico della laguna, né il SIA offrono a questo proposito adeguati riferimenti analitici e progettuali.
La Commissione ritiene, in assenza di qualunque dimostrazione, fuorviante la valutazione del proponente che l'erosione dei bassifondi e delle barene con interrimento dei canali sia un fenomeno più rilevante del deficit di sedimenti della laguna nel suo complesso. La rinuncia a considerare l'azzeramento del deficit come obiettivo primario produce mancanza di chiarezza su quale riequilibrio si voglia o si possa conseguire.
La Commissione ritiene che l'indifferenza. degli interventi proposti rispetto alla regolazione sia degli afflussi delle acque fluviali e di scolo, sia dei volumi di marea scambiati alla bocche, non può essere assunta quale criterio né di maggior accettabilità nel confronto tra le diverse soluzioni progettuali attualmente proponibili e perseguibili nel futuro, né di ottimizzazione del Progetto stesso, sino a quando non si sia sperimentalmente stabilito lo stato attuale dell'evoluzione morfologica della laguna e dimostrata l'efficacia del Piano degli interventi al fine di perseguire:
• l'azzeramento del deficit del bilancio degli scambi di materiale solido tra il sottosistema del bacino lagunare e gli altri sottosistemi;
• il determinarsi di sezioni di equilibrio sia nei canali lagunari che in quelli delle bocche;
• il riequìlìbrio lagunare ed il ristabilirsi di condizioni di resilienza e vitalità dell'ambiente lagunare,
La Commissione ritiene quindi assolutamente necessario procedere a tali verifiche ed al riesame critico, sia degli indicatori idrodinamici, morfologici ed ambientali che possano definire gli obiettivi di riequilibrio, sia dell'efficacia e della consistenza delle modellazioni numeriche proposte.
In conclusione la Commissione ritiene che:
a) il Progetto non dia certezza del perseguimento degli obiettivi fissati dal Piano per il riequilibrio morfologico in quanto per assunzione dello stesso Proponente, si rende indipendente da esso e, quindi, non contribuisce al riequilibrio stesso;
b) il Progetto possa essere incompatibile con la eventuale necessità di introdurre ulteriori interventi alle bocche al fine di perseguire il ripristino della morfologia ed in generale la salvaguardia lagunare, necessità che la Commissione ritiene attendibile. L'incompatibilità è da ricondurre alla filosofia di base del Progetto di perseguire la maggiore uniformità costruttiva e gestionale possibile evitando così la necessità di integrazione con altri possibili interventi. Ciò conferisce al Progetto caratteristiche difficilmente compatibili con la sperimentalità, reversibilità e gradualità richieste dal voto del Consiglio superiore dei lavori pubblici n.209 del 1982 ai fini del buon governo unitario del sistema lagunare.
La Commissione valuta necessario l'adeguamento di tutti gli interventi proposti e di quelli utili al governo unitario del sistema lagunare e al raggiungimento di una capacità cooperativa necessaria per:
• mantenere l'equilibro tra acque dolci e salmastre,
• aumentare la capacità di intercettazione dei sedimenti della laguna.
• massimizzare il trasferimento di materiale solido dal mare alla laguna, garantendo la tranquillità della navigazione, e dalla terraferma alla laguna, controllando gli agenti eutrofici.
La Commissione ritiene che il complesso degli interventi diffusi previsti dalla legislazione speciale costituisca la base indispensabile per il riequilibrio morfologico della laguna.
La Commissione pur ritenendo che gli interventi diffusi siano funzionali principalmente ai governo dell'evoluzione morfologica, valuta la loro realizzazione non alternativa alla regolazione dei flussi di marea attraverso interventi alle bocche, considerando che il loro contributo complessivo alla attenuazione dei livelli di marea in laguna debba comunque essere massimizzato.
La Commissione ritiene quindi che qualunque intervento di regolazione delle maree imposto alle bocche lagunari debba integrarsi con gli interventi diffusi ritenuti utili per il perseguimento degli obiettivi definiti dalla legislazione speciale per Venezia.
La Commissione valuta
• positivi ed adeguati tutti gli interventi destinati a rivitalizzare le parti più interne della laguna;
• opportuna l'attività di mantenimento all'interno della laguna dei materiali rimossi da canali navigabili attraverso la ricostruzione di strutture morfologiche, tuttavia, con una maggiore attenzione alla loro rinaturalizzazione e consolidamento ambientale;
• complessivamente indifferente la chiusura del tratto rettilineo del canale Malamocco - Marghera e la riapertura del Canale Fisolo;
• meritevole di attenzione e generalizzazione l'apporto artificiale continuo di sedimenti in laguna.
La Commissione valuta irrinunciabile una ricalibrazione della capacità dissipativa dei canali alle bocche di porto, soprattutto con opportuna composizione tra profondità e scabrezza delle bocche stesse, al fine sia di attenuare i livelli delle maree più rapide e ricorrenti in laguna, sia di aumentarne la capacità di intercettazione dei sedimenti. Tutto ciò nel rispetto delle caratteristiche di sperimentalità, reversibilità e gradualità, governando contemporaneamente il processo di riequilibrio delle sezioni dei canali e di consolidamento delle unità morfologiche lagunari.
La Commissione ritiene dannosi e non adeguati al governo unitario e complessivo del sistema lagunare le modifiche dei moli foranei presentate dal proponente.
La Commissione ritiene irrinunciabile la regolazione dell'idrografia superficiale, naturale e di bonifica, sfociante e sversante in laguna; tale regolazione dovrà essere preposta sia alla difesa delle attività antropiche nel bacino scolante, sia a minimizzare il contributo dei volumi idrici affluenti in laguna concorrenti a determinare eventi complessi di “acque alte” eccezionali, sia al perseguimento del massimo apporto sostenibile di acque dolci e sedimenti al bacino lagunare.
In assenza di interventi di regolazione idraulica del bacino scolante in caso di eventi eccezionali quali quelli del 1966 ingenti masse idriche verrebbero immesse in laguna dalla terraferma, aggirando le dighe mobili in progetto. La fattibilità degli interventi di regolazione idraulica non è ad oggi dimostrata ed è comunque prerequisito indispensabile per considerare le opere proposte effettivamente capaci di proteggere Venezia dagli eventi eccezionali.
La Commissione ritiene, quindi che il rialzo delle quote minime dei centri abitati lagunari sia comunque necessario per la difesa dei centri stessi da tali apporti del sistema idrografico e del bacino scolante, nonché per ridurre al minimo possibile la fallanza di qualunque sistema di attenuazione delle maree ricorrenti. La Commissione ritiene prioritario che la quota degli insediamenti urbani lagunari debba essere progressivamente innalzata ai livelli massimi perseguibili con le migliori tecnologie disponibili.
La Commissione ritiene tale intervento necessario e prioritario anche nel caso di realizzazione del Progetto in esame.
La Commissione valuta che il Progetto non dia sufficienti garanzie di poter ottenere gli obiettivi dichiarati in, quanto fortemente dipendente dai sistemi previsionali.
La Commissione ritiene che l'intervallo di confidenza, che accompagna attualmente le previsioni di marea medio-- alte ed eccezionali con un anticipo tra le 3 e le 6 ore, permane dimensionalmente rilevante in rapporto alle escursioni di marea in laguna ed alle ampiezze del fenomeno dell'acqua alta: infatti tale intervallo, di circa ± 20 cm, contiene tutte le normali oscillazioni delle maree e tutti gli eventi di sommersione del suolo a + 100 cm con tempo di ritorno 1 anno.
In particolare alla Commissione appare incerto il raggiungimento dei due principali obiettivi:
• l'impedimento dell'esondazione degli abitati a quota +100 entro le frequenze e la durata di chiusura prefigurate nel SIA,
• la sostenibilità del numero delle chiusure o degli annunci di chiusura, in particolare rispetto al sistema portuale
• La Commissione ritiene, altresì, che la dimostrata sensibilità dei fenomeni di “acqua alta” alle condizioni meteorologiche locali, nonché la riscontrata progressiva accentuazione dell'entità e della rapidità dei fenomeni meteorologici di breve e medio periodo ed il loro organizzarsi in eventi complessi, sia di tipo mareale che di tipo idrologico, faccia sì che il sistema previsionale debba essere considerato come uno dei fattori più critici per l'efficacia operativa del Progetto in esame.
La Commissione ritiene che il Progetto non sia adeguato ad affrontare gli eventi mareali composti, in quanto, chiusure delle bocche prolungate o ripetute in rapida successione:
• pongono il sistema ambientale in uno stress cumulativo, la cui durata è valutabile in almeno 24 ore;
• accrescono la fallanza del sistema previsionale;
• diminuiscono la possibilità previsionale del sovralzo dei livelli idrici in laguna successivamente alla chiusura delle opere mobili, dovuto agli apporti del vento, della pioggia diretta, delle reti idrauliche superficiali scolanti e sfocianti in laguna, del volume d'acqua sversato inizialmente in laguna. durante la fase di sollevamento delle paratoie e quello transitante attraverso i traferri delle paratoie alzate.
La Commissione valuta che il sovralzo complessivo massimo sia stato sottovalutato dal Proponente, sia per una incompleta stima dei possibili afflussi in laguna dalla terraferma, e dalla pioggia diretta, sia per una sottostima del contributo del vento di scirocco e di bora per la laguna, rispettivamente, nord e sud .
La Commissione valuta che in presenza di moto ondoso con stretto spettro di frequenza, la fallanza del sistema sarebbe più probabile a causa della risonanza . del sistema stesso, le cui conseguenze sono un aumento significativo dell'afflusso in laguna dai traferri nonché delle sollecitazioni aggiuntive ai sistemi di ancoraggio e delle fondazioni.
la Commissione condivide quanto già detto dal Collegio degli esperti, e cioè che gli studi e le modellizzazioní fisiche non hanno riprodotto le condizioni più gravose e più favorevoli all'innesto della risonanza, per cui il sistema non appare sufficientemente sperimentato ed è quindi ragione di ulteriore inaffidabilità.
La Commissione rileva inoltre che il sistema delle strutture sommerse (paratoie, cerniere, giunti, ecc.) rappresenta l'elemento di debolezza nei confronti dell'aggressività ambientale da parte degli agenti fisici e biologici, Non esistono al momento strutture che, sommerse per lungo durata, possano essere difese dal deterioramento fisico e chimico e dal biodeterioramento esercitato dal microfouling. Di conseguenza alla imprevedibilità dell'azione biodeteriogena, il presidio manutentivo è, in realtà, inestimabile
La Commissione ritiene immotivata l'opzione pregiudiziale di attestare la quota delle difese locali a +100 cm s.I.P.S. a Venezia e Murano;
La Commissione ritiene che si debba prioritariamente utilizzare un sistema di tecnologie integrate, coordinato e sinergico con il progetto di manutenzione straordinaria urbana ventennale previsto nell'Accordo di programma stipulato tra il Comune di Venezia, la Regione Veneto, il Magistrato alle Acque, ai sensi dell'art.5 della legge 5 febbraio 1992, n.139.
Tale intervento, pur nel rispetto delle diverse situazioni strutturali, infrastrutturale ed urbanistiche e della disponibilità dei privati, è attualmente il più adatto a massimizzare i benefici degli interventi di difesa locale nel consenso, anche culturale, della popolazione veneziana, attestando almeno a circa +120 cm s.I.P.S. la quota delle pubbliche pavimentazioni e ad oltre +160 cm s.I.P.S. la quota di messa in sicurezza della residenzialità.
La Commissione ritiene attendibile la valutazione presentata dall'Amministrazione comunale di Venezia circa la fattibilità di tale intervento
con un costo complessivo pari a circa 118 miliardi di lire aggiuntivi al costo del già previsto progetto di manutenzione straordinaria urbana.
La Commissione auspica l'estensione di tali tecnologie anche alle unità edilizie a destinazione non residenziale.
La Commissione ritiene, altresì, meritevole di considerazione e di sviluppo progettuale l'intervento di difesa perimetrale con dispositivi fissi e mobili per gruppi di isole, noto come “MacroInsulae”.
Tale soluzione si presenta potenzialmente dotata di non trascurabili caratteristiche di efficacia e semplicità, potendo conseguire quote di salvaguardia anche pari +140 cm s.I.P.S., in modo analogo e migliorativo di quanto già sperimentato a Malamocco.
La Commissione valuta positive le esperienze di rialzi compresi tra +110 cm e +120 cm s.l.P. S. in presenza di valori architettonici, storici e monumentali e ritiene non ancora dimostrata l'ineludibilità della quota +100 cm s.l.P.S. come livello massimo della salvaguardia attuabile nel rispetto della monumentalità delle “insulae” di S.Marco e di Rialto.
La Commissione valuta grave il mancato approfondimento da parte del Proponente di tecnologie, consolidate o sperimentali per il sollevamento territoriale, profondo ed anche superficiale.
Le tecnologie che oggi si presentano più mature e fertili di possibilità sono il sollevamento confinato superficiale e la reiniezione pressurizzata in acquiferi profondi. La Commissione ritiene utile e necessario l'aggiornamento della fattibilità di tali interventi attraverso, studi, ricerche e sperimentazioni, anche in previsione della potenziale crescita del livello del medio mare per fenomeni eustatici.
La Commissione ritiene che si debbano valutare i risultati conseguiti con il rialzo della quote di salvaguardia non solo in termini di riduzione delle superfici urbane allagabili, ma soprattutto di riduzione della frequenza media di accadimento di tali allagamenti.
La Commissione considera grave la mancata valutazione ed esposizione degli impatti economici ed ambientali conseguenti alla sistemazione delle reti idrografiche principali e minori.
La Commissione ritiene errato considerare i costi di ripristino e riequilibrio morfologico, in quanto variazioni rispetto allo stato di fatto attuale, danni, in quanto lo stato morfologico attuale della laguna non è né uno stato di equilibrio e non può rappresentare l'obiettivo né del riequilibrio idrogeologico, né del ripristino morfologico della laguna. Essi devono essere assunti quali costi ineludibili per la salvaguardia lagunare.
Il rialzo dei centri abitati lagunari a quote superiori a quelle attuali e l'attenuazione dei livelli di marea in laguna dovuta agli interventi morfologici, determina una diminuzione del rischio di allagamento e di danno, che non può essere trascurata nella valutazione complessiva dell'opzione “T, cioè il termine di paragone a cui riferire l'analisi degli impatti e dei benefici del Progetto proposto
In fase di realizzazione delle opere, l'Autorità Portuale e la Capitaneria di Venezia hanno evidenziato che le previsioni progettuali e le specifiche simulazioni modellistiche elaborate dal proponente non appaiono sufficienti a rassicurare circa la reale possibilità di mantenimento, durante i lavori, dei livelli di funzionalità per il traffico marittimo attraverso le Bocche né a garantire sufficientemente la sicurezza.
In fase di funzionamento sono stati evidenziati i rischi per l'attività portuale derivanti dal moltiplicarsi del numero delle chiusure e del numero di avvisi di chiusura, anche qualora non seguiti da effettive chiusure.
Ai fini delle valutazioni dei possibili effetti dell'opera in progetto sull'ambiente di riferimento, la Commissione ha considerato l'eccezionalità dell'ecosistema di riferimento, frutto dell'azione combinata di fattori naturali ed antropici nel corso dei secoli, e di fatto unico nella sua struttura e nelle sue regole funzionali.
La Commissione ha verificato come tale valore eccezionale sia stato riconosciuto con specifici atti a livello internazionale, nazionale e regionale.
Considerato che ai fini della sua valutazione la Commissione ha ritenuto indispensabile tener conto dell'articolazione spaziale e temporale del sistema, e che a tale riguardo devono essere considerate almeno tre grandi componenti, da considerare sia separatamente sia nelle relazioni reciproche : la laguna, la città di Venezia, il bacino scolante.
La Commissione ha verificato altresì che all'interno di tale sistema si individuano aree di particolare rilevanza dal punto di vista naturalistico ed ecosistemico, quali i cordoni litorali presso Cà Roman e la zona delle velme del Bacan.
La Commissione ha preso atto delle particolari condizioni di equilibrio dinamico del sistema, che nei secoli passati hanno consentito l'assorbimento delle pressioni prodotte dalle azioni umane con il conseguente mantenimento sia delle principali funzioni ecologiche (bilanciamento tra azioni erosive e di deposito, equilibrio tra i diversi livelli di produzione ecologica, mantenimento degli elementi specifici di biodiversità ecc.), sia di fruizioni diversificate da parte della popolazione veneziana. Preso atto altresì della rottura di tale equilibrio dinamico nel corso di questo secolo in conseguenza di molteplici azioni antropiche caratterizzate da elevate pressioni sull'ambiente.
La Commissione ha valutato che l'impianto metodologico adottato dal SIA esaminato non può essere considerato corretto ed esauriente per il caso in esame per i seguenti motivi
• gli indicatori sono stati selezionati secondo criteri imprecisi, prevedendo variabili difficilmente utilizzabili, mescolando indicatori di previsione e di solo controllo, utilizzando in alcuni casi variabili non appropriate per gli oggetti della valutazioni;
• sono state riscontrare gravi lacune analitiche alla base del SIA, quali ad esempio i mancati approfondimenti analitici relativamente ai siti di maggiore sensibilità ambientale interessati dalle opere in progetto, o la considerazione di linee di impatto prioritarie quale quella relativa agli effetti sulla situazione igienico - sanitaria della città di Venezia;
• nel quadro complessivo di valutazione mancano la parametrizzazione degli indicatori e le stime quantitative dei relativi impatti, elementi necessari alla formulazione ad una valutazione complessiva del complesso degli effetti previsti.
La Commissione ha verificato in ogni caso, sulla base degli ampi elementi di informazione disponibili, che la realizzazione del progetto prefigura impatti diretti di elevata gravità in fase di realizzazione delle opere, quali
• verrebbero consumate quote significative, solo superficialmente definite dallo SIA, di unità ambientali di importanza prioritaria quali i litorali di Cà Roman ospitanti specie di valore primario ai fini della biodiversità;
• verrebbero significativamente perturbate unità ambientali, quali le velme del Bacan, che costituiscono sito di importanza primaria per l'ornitofauna lagunare, di valore internazionale;
• si produrrebbero alterazioni significative del paesaggio attuale considerate non risolte dallo stesso Studio di Impatto Ambientale, tra cui la realizzazione di una grande isola artificiale all'imbocco della bocca di Lido,
• si avrebbero pressioni e disturbi complessivi legati alle dimensioni dei cantieri stessi e quindi molto elevati; si può al riguardo ricordare che saranno complessivamente impiegati circa 8 milioni di tonnellate di materiale lapideo provenienti da cave esterne anche molto lontane, che si prevedono lavori di demolizione di opere esistenti (moli alle bocche di Malamocco e di Chioggia) per 350.000 mc, che l'insieme di operazioni di dragaggio, movimentazione e scarico in nuova sede dei sedimenti interesserà un volume complessivo di circa 5.000.000 di m3 di materiale, che verrà utilizzata una flotta di navigli particolarmente numerosa;
• il complesso del cantiere durerà, se verranno rispettati i tempi previsti, 8 anni; gli impatti prodotti sulle singole aree interessate dureranno anni con potenziali effetti sinergici tra loro, non esaminati dal SIA. Qualora tali tempi non possano essere rispettati, ad esempio nel caso ipotetico di scarsità futura di risorse,
• l'impegno complessivo di ambiente da parte del cantiere potrà invece superare il decennio, con conseguente prolungamento degli impatti.
Sempre per quanto riguarda le implicazioni ambientali della fase di realizzazione, la Commissione considera inoltre che
• l'elevata variabilità delle caratteristiche geotecniche dell'area di sedime avrebbe necessitato di un maggior numero di indagini dirette del sottosuolo al fine di definire con maggiore precisione i cedimenti in corrispondenza di ciascun punto del profilo di sbarramento, in modo da poter stimare l'effettivo comportamento del suolo sotto il carico dell'opera;
• risulta con forte evidenza che l'opera rappresenta un intervento molto intrusivo nel contesto fisico-morfologico dei lidi e che, cosi' come progettata, essa non presenta caratteristiche di reversibilità;
• l'eventuale modifica anche parziale di parti sostanziali dell'opera, dovuta alla necessità di eventuali successive modifiche all'assetto delle bocche per assicurare varchi di continuità tra mare e laguna, peraltro indicate anche dal Collegio, comporterebbe o lavori di demolizione di entità e complessità rilevanti, o la realizzazione di ulteriori strutture in aree e sedi diverse da quelle delle bocche di porto;
• la dismissione o l'abbandono dell'opera, prima o alla fine della sua vita utile, non è stata analizzata nelle sue conseguenze e costi, mentre non è stato chiarito l'aspetto molto problematico relativo alla manutenzione delle gallerie e vani che, come detto dal Proponente e rilevato anche dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, sono ricettacolo di flussi di metano e richiedono pertanto una ventilazione forzata e continua;
• le operazioni in argomento sono di entità tale da richiedere, anche secondo le valutazioni del Collegio degli esperti, demolizioni di volumi considerevoli e costituirebbero inoltre un'impresa onerosa e tecnologicamente complessa, dovendo i cantieri operare in condizioni meteomarine difficili.
La Commissione ha verificato che il progetto ed il SIA non prefigurano per quanto riguarda la fase di realizzazione interventi di mitigazione e/o compensazione minimamente adeguati.
La Commissione ha considerato che nel corso delle analisi sono emersi rischi ambientali potenzialmente di elevata criticità qualora in fase di esercizio vi fossero chiusure successive ravvicinate, o si prevedesse un elevato numero di chiusure l'anno (eventualità ammessa per gli scenari futuri assunti a giustificazione dell'opera):
• vi potrà essere un aumento significativo del rischio di crisi anossiche in unità lagunari importanti dal punto di vista sia ecosistemico sia delle attività di acquacoltura condotte;
• la regolazione, ottenuta mediante la chiusura, in casi di alta marea, delle bocche di Porto ridurrà la capacità di scambio tra la laguna ed il mare, diminuendo così la possibilità di diluizione dei carichi inquinanti esistenti in laguna o di nuova immissione; per particolari sostanze potenzialmente pericolose, quale lo zinco, si avranno incrementi locali significativi delle concentrazioni attualmente presenti;
• allo stato attuale delle conoscenze, la interruzione del ricambio idrico tra mare e laguna deve essere considerato altamente rischioso per quanto attiene la sicurezza igienico-sanitaria a Venezia; come è infatti noto attualmente la depurazione degli scarichi civili cittadini, potenzialmente pericolosi sotto il profilo igienico-sanitario, è affidata alla capacità del sistema ambientale di ridurre significativamente i fattori di rischio microbiologici attraverso meccanismi diversi di autodepurazione e dipendenti dallo stato di qualità e manutenzione dei canali cittadini.
La Commissione ha considerato che gli impatti ed i rischi di cui sopra sarebbero aggravati in modo particolare dalla situazione attuale di criticità e di vulnerabilità della laguna.
Nelle attuali condizioni l'ecosistema “città/laguna/territorio connesso” deve infatti essere considerato fragile, scarsamente resiliente, ovvero potenzialmente incapace di rispondere a nuove pressioni significative; la sua resilienza è da considerarsi scarsa, e condizione prioritaria di intervento; preliminarmente a qualsiasi ipotesi di nuovi rilevanti interventi sull'ambito in oggetto, devono quindi essere completati i programmi di consolidamento ecologico che le istituzioni hanno già avviato riconoscendo tale condizione di criticità, in particolare
• devono essere minimizzati gli scarichi di nutrienti provenienti dal bacino scolante dal Piano di risanamento della Regione Veneto, obiettivo non ancora raggiunto, per cui si prevede il raggiungimento nel secondo decennio del prossimo secolo;
• deve essere meglio garantita l'efficacia dei processi di autodepurazione che consentono l'abbattimento dei fattori di rischio associati agli scarichi cittadini, ovvero deve essere portato a termine il lavoro attualmente avviato dal Comune di Venezia di spurgo dei canali;
• devono essere conseguiti gli obiettivi di ripristino della morfologia lagunare e del relativo mosaico di barene e velme, anche attraverso una revisione della qualità e dell'efficacia dei primi interventi ad oggi condotti al riguardo in attuazione della Legge speciale per Venezia;
• deve essere avanzato in modo sufficiente il previsto programma di attuazione della Legge speciale per Venezia anche per quanto i capitoli non ancora iniziati, quali l'apertura delle valli da pesca all'espansione delle maree e la sostituzione del traffico petrolifero in laguna;
• deve essere portato avanti ad un livello adeguato il programma di decontaminazione della laguna, ovvero devono essere impostate e realizzate le azioni prefigurate dal decreto Ronchi- Costa ;
La Commissione ritiene che per rispettare un criterio generale di ricettività ambientale sarebbe necessario far precedere alla realizzazione di una qualunque opera di regolazione l'effettivo raggiungimento di obiettivi di consolidamento ecologico del sistema attraverso gli strumenti sopra indicati.
La Commissione ha verificato che nè progetto nè il SIA si sono basati su scenari di intervento che prevedano preliminarmente la realizzazione degli interventi di consolidamento indicati, che potrebbero forse consentire un migliore assorbimento degli impatti sopra prefigurati; ha valutato quindi che l'attuazione del progetto e delle pressioni ad esso collegate comporterebbe erosioni potenzialmente critiche della ricettività residua dell'ecosistema di riferimento.
La Commissione ha infine verificato che non sussistono ragioni di urgenza collegate ai fenomeni eustatici per invocare una rapida attuazione del progetto, in quanto
• come sostiene anche il “Collegio” degli esperti internazionali, “in caso dì un aumento del livello del mare indotto da cambiamenti climatici, ci si attende che l'avvio del fenomeno sarà lento”; secondo gli scenari di crescita più critici adottati dal Proponente e dallo stesso Collegio l'ordine di grandezza sarà di circa 3 cm al decennio per i primi 50 anni ;
• il trend eustatico degli ultimi 25 anni a Venezia non ha evidenziato un innalzamento del livello del medio mare; non è confermata, per ora, l'ipotesi di una correlazione tra l'incremento della temperatura sul pianeta e nello specifico sul Mare Mediterraneo ed una crescita dei livelli eustatici; non ci troviamo pertanto oggi a Venezia in condizioni di criticità per quanto riguarda crescite eustatiche;
• non si possono peraltro completamente escludere per il prossimo secolo scenari di eustatismo anche più critici di quello ipotizzato, tali ad esempio da rendere inutili le dighe in progetto; ciò che diventa realmente essenziale, in questa ottica, è l'attivazione di una seria politica di monitoraggio e controllo a livello dell'intero bacino Mediterraneo, in modo da poter riconoscere per tempo eventuali effettivi trend di crescita eustatica e da prendere al tempo giusto le decisioni più appropriate del caso (che potranno comprendere anche una revisione sostanziale dell'attuale progetto);
• sono state avanzate, anche recentemente, soluzioni tecniche alternative o di sostanziale integrazione dell'attuale progetto, ad oggi non approfondite e non valutate comparativamente con il progetto in esame; la mancata attuazione del progetto in empi ravvicinati non solo non farebbe perdere l'opzione di opere di regolazione delle bocche di porto, ma consentirebbe, in funzione dei risultati del monitoraggio sull'eustatismo reale, di attivarle quando sarà effettivamente necessario; tale arco di tempo potrà quindi essere utilizzato per poter definire un progetto che non presenti le gravi carenze di quello attuale, nonché per completare gli indispensabili interventi di preventivo consolidamento ambientale, secondo quanto esposto in precedenza.
Tutto ciò premesso e considerato, la Commissione ritiene che le opere in progetto:
• per la loro inadeguatezza rispetto agli obiettivi di riequilibrio morfologico della laguna
• per la mancata integrazione con gli altri interventi cooperanti per la salvaguardia di Venezia dalle acque medio-alte nonché dalle acque alte eccezionali, e anzi per il pregiudizio ad essi potenzialmente arrecato
• per il pregiudizio all'attività portuale
• per i rilevanti e potenzialmente irreversibili impatti ambientali,
non possano essere considerate compatibili con le attuali condizioni di criticità dell'ecosistema di riferimento, comprendente la laguna, la città di Venezia, il relativo bacino scolante.
10 dicembre 1998
Vedere anche:
Dialogo tra E. Salzano e Piero Bevilacqua
La VIA sul MoSE, articolo di E. Salzano
Il Sistema MoSE: che cos’è
Accordo al Comitatone sul Mose
Le scoperte del giorno dopo
Proteste per l’approvazione del MoSE
Titolo originale: Venice Turns to Future to Rescue Its Past – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
VENEZIA – Quando Jane da Mosto si arrampica dal motoscafo taxi fino ai gradini di ingresso dell’antico palazzo di famiglia sul Canal Grande, il suo sguardo si tinge di tristezza. Quella che era un tempo la gloriosa Casa da Mosto ora è poco più di un guscio vuoto in decadenza, con l’acqua salata di Venezia che lambisce la porta e consuma le pareti.
”Un giorno o l’altro finirà per scivolare nel canale” ci dice da Mosto, ricercatore per il Corila, un consorzio di gruppi che studia la laguna di Venezia nella speranza di salvarla.
Ora, un audace progetto di costruzione multimiliardario sponsorizzato dal governo italiano sta per iniziare, tentando di raggiungere questo obiettivo. Ma molti, compresa la signorina da Mosto, sono scettici sul fatto che sia sufficiente. “Preferisco non pensare a dove sarà Venezia fra cento anni” dice. “È opprimente, e triste. Magari sarà chiusa, come un lago. Magari sarà sott’acqua, e i turisti potranno vederla da una barca col fondo di vetro”.
La Laguna di Venezia è uno degli ecosistemi più delicati e instabili del mondo, uno spazio unico dove la salvezza dell’ambiente naturale che scompare è fondamentale per la tutela della storia e cultura umana: secoli di arte e architettura se ne stanno in mezzo alla riserva naturale, e andranno persi se la laguna muore. Tutto questo ha stimolato un appassionato dibattito sui drastici progetti ora in corso per salvarla: progetti che stanno ai confini delle conoscenze scientifiche e delle capacità ingegneristiche. Il cuore della contesa sono i contrasti fra chi crede nel potere della tecnica umana di piegare le forze della natura, e chi teme che i principali ingegneri italiani, con la loro presunzione, possano solo complicare i problemi di Venezia.
Il punto centrale dell’ambizioso progetto governativo italiano – chiamato MOSE, dalla separazione delle acque del Mar Rosso – è una serie di 78 gigantesche dighe subacquee mobili che riposano sul fondo del Mare Adriatico, imponenti barriere pronte ad alzarsi meccanicamente in superficie quando sorge il bisogno di fermare maree di altezza straordinaria. Queste maree, che generalmente si verificano qualche volta l’anno, provocano rapidamente danni a Venezia, a volte disastrosi come nell’alluvione del 1966. Come uno dei progetti prioritari del primo ministro Silvio Berlusconi, le barriere high-tech hanno un peso politico del tutto paragonabile a quello fisico, di 300 tonnellate ciascuna, e al loro costo, che è di 4,5 miliardi di dollari.
“Queste barriere sono un enorme intervento ambientale, di una dimensione mai tentata prima” dice Alberto Scotti, ingegnere a capo del progetto, tanto fiducioso e concreto quanto altri sono emotivi.
I critici sono preoccupati dal fatto che questi enormi sbarramenti possano modificare ulteriormente il delicato equilibrio naturale. Sottolineano che le barriere non fanno nulla per alleviare il degrado quotidiano della città, effetto di forze molto più sottili che operano nella laguna morente, e che richiedono soluzioni meno fascinose.
L’acqua che lentamente si alza e si abbassa, lascia molte pareti degli edifici costantemente sotto il livello. La quantità di sale in aumento nelle acque dei canali minaccia le fondamenta. La scomparsa della vita vegetale sul fondo della laguna ha trasformato quelli che un tempo erano canali dalla vita complessa in condotti che riversano acqua in città ad ogni burrasca.
”Al momento, si concentra tutto sugli sbarramenti: che spaventano parecchio perché si tratta di una soluzione rigida e non sperimentata” dice la signorina da Mosto, coautrice di The Science of Saving Venice, libro sponsorizzato da “Venice in Peril”, un’organizzazione non governativa britannica. ”Molti scienziati pensano che risolverà il problema, e molti pensano di no” aggiunge. “Non posso dire quale sia la soluzione, ma occorre anche stabilizzare l’ambiente. Quello che so, è che la laguna è immensamente complicata, e quanto più ci si basa su soluzioni diversificate e reversibili, tanto meglio è”.
Alberto Scotti sostiene il suo progetto con modelli complessi computerizzati e studi di fattibilità. “Abbiamo verificato tutto attraverso modelli” dice con una punta di esasperazione. “Abbiamo modelli di morfologia della laguna. Possiamo riprodurre i venti, il tempo atmosferico e le maree. E i nostri modelli ci dicono che funzionerà, e che non ci saranno impatti ambientali negativi”. Rappezzare costantemente le ferite di Venezia è diventata un’ossessione, e un’occupazione a tempo pieno per il comune e gli abitanti.
Recentemente allo Squero di San Trovaso, sede dei famosi laboratori veneziani per le gondole, i canali sono stati prosciugati per manutenzioni. Dozzine di operai della Insula, struttura pubblico-privata di manutenzione dei canali, osservano ogni centimetro delle sponde, riparando le superfici danneggiate e pompando schiuma da tubi verdi dentro le pareti, per rinforzarle. ”Venezia deve essere mantenuta in efficienza come un barca: si tira in secco e si ripara”, dice Giorgio Barbarini, conducente di motoscafo taxi. ”Venezia sta cadendo a pezzi perché è difficile mantenere in efficienza un’intera città”.
Dal punto di vista strettamente evolutivo, il declino di Venezia forse è inevitabile. Le lagune, con i loro acquitrini e le acque salmastre, sono ecosistemi costieri di transizione, che tendono nel tempo a diventare laghi d’acqua dolce o a mescolarsi alle acque marine. È un processo che viene accelerato quando l’uomo abita entro questi pezzetti instabili di natura, come è accaduto qui per oltre mille anni. I veneziani hanno a lungo amministrato le acque per proteggere la propria città, deviando fiumi nel XIV secolo.
Ma le rapide trasformazioni dell’ecosistema sono avvenute col XX secolo. A partire dagli anni ’30 sono state create una zona industriale e altre superfici pompando via acqua, e accelerando drammaticamente la subsidenza. La navigazione e l’inquinamento che ne sono seguiti hanno eroso le principali caratteristiche difensive della laguna, che per secoli avevano aiutato a tenere a bada il mare. Per esempio, quello che una volta era il complesso fondale della laguna oggi è per la gran parte piatto e privo di vegetazione, e lascia che l’acqua venga spinta dalle burrasche in città senza incontrare ostacoli.
Come conseguenza il livello medio dell’acqua a Venezia è di quasi 30 centimentri più alto di quanto non fosse un secolo fa, e probabilmente un metro più di 250 anni fa, secondo i ricercatori del Corila. L’acqua, un tempo salmastra, ora è salata come quella del mare.
Il riscaldamento globale, qui non ha ancora contribuito in modo sostanziale all’innalzamento del livello, dice la signorina da Mosto. Le previsione sugli effetti finali per l’Adriatico variano di molto: alcuni scienziati stimano un innalzamento di soli sette centimetri, e altri che possa avvicinarsi al metro. L’acqua già ora riempie le piazze e filtra nelle chiese. Sale nelle case attraverso gli scarichi. Corrode le pareti dei edifici che non erano stati pensati per stare sommersi. Se le fondamenta dei palazzi veneziani sono state costruite con materiali che resistono all’acqua, i muri sono di mattoni, porosi. ”È stato speso molto denaro per rifare gli intonaci e sostituire le pareti mattone su mattone. Lo chiamiamo strato sacrificale”, dice da Mosto. “Ma dopo qualche anno si sbriciola”.
Al contrario, i progettisti del MOSE sembrano piuttosto perplessi di fronte alla resistenza, nella città che si sono impegnati a salvare.Ci sono stati anni di negoziati con rappresentanti locali e gruppi ecologisti prima che iniziassero i lavori, nel maggio 2003. Scotti sottolinea che il progetto non comprende solo le barriere, che saranno portate a termine nel 2010, ma anche piani di consolidamento per le pareti degli edifici, per proteggerli dalle maree minori, e progetti per ripristinare le zone umide. I critici contestano che si tratta solo di ripensamenti poco studiati.
”La gente, qui, accetta gli allagamenti e gli stivali come parte della vita” dice Scotti. “Ma vivere in queste condizioni li pone in una situazione di svantaggio rispetto agli abitanti di Milano o Roma. Questo significherà un cambiamento nella loro vita”. La sfida ingegneristica di Scotti è enorme, sia dal punto di vista della forza delle maree, sia per la richiesta da parte del governo che gli sbarramenti siano invisibili (al largo sul mare) quando non utilizzati, una decisione che molti ritengono non necessaria, e che ha aggiunto milioni di costi al progetto.
Le squadre di lavoro stanno ora costruendo frangiflutti artificiali per rallentare le maree. Col tempo, verranno inserite migliaia di pali d’acciaio nel fondale lagunare. Sul fondo del mare, per sistemare le barriere, saranno sistemati blocchi di cemento di 60x40x10 metri.
È la semplice dimensione del progetto a terrorizzare gli scettici, che temono un enorme sforzo che disturberà ancora di più la Laguna.
La Laguna di Venezia è stata ampiamente studiata dagli scienziati, ma molto del lavoro è stato svolto localmente, e mai coordinato o presentato sulla stampa scientifica, dice da Mosto. Di conseguenza, si comprende ancora poco del complesso ecosistema.
Ma i progettisti sostengono che costruiranno lentamente e con eccezionale cura, per creare un ambiente protetto ai veneziani – anche se non corrisponde alla forma naturale della laguna. “Vede, non c’è più ambiente naturale da recuperare, qui a Venezia” dice Scotti. “È stato modificato dall’uomo per centinaia di anni”.
”Quello che è importante è creare una laguna con molte possibilità di vita” continua. La forma non sarà naturale. La vegetazione non sarà la stessa. Ci saranno materiali artificiali. Non esistono manuali su come si costruisce una laguna”. ”Siamo umani, e ovviamente non siamo in grado di rifare quello che Dio ha già fatto”.
Non c'è bisogno di "rifare quello che Dio ha già fatto”.Chiederemmo solo di fare come faceva la Repubblica Serenissima: interventi sperimentali, flessibil, reversibili. Che cosa c'è di sperimentale, flessibile e soprattutto reversibile in una serie di "palazzi", di 60x40x10 metri, posti a separare sott'acqua la Laguna dal mare? Che cosa c'è di reversibile nella distruzione di ettari di fondali alle bocche di porto? Non servono nuovi manuali, ingegner Scotti, basta saper leggere il manuale che la storia e la natura hanno costruito insieme.
VENEZIA. Sentenza rinviata al 6 maggio. Il verdetto sulla legittimità del Mose arriverà fra tre mesi. Così hanno stabilito ieri i giudici della prima sezione del Tar, dopo aver esaminato il ricorso e la richiesta di sospensiva sui lavori del Mose presentato dagli ambientalisti. Una decisione che accontenta tutti, anche se Wwf, Italia Nostra ed Ecoistituto si dicono preoccupati che i lavori non si fermino.
Un accordo di massima (non scritto) è stato comunque raggiunto ieri mattina. In questi tre mesi proseguiranno soltanto i lavori già avviati della lunata di Malamocco. Iter per ora sospeso è quello della conca di Malamocco (con la prevista demolizione della diga ottocentesca) e delle spalle del Mose alla bocca di Lido. «Siamo soddisfatti», commenta il legale delle associazioni Paolo Seno, «sono sicuro che riusciremo a dimostrare la fondatezza delle nostre obiezioni». Secondo il plotone di avvocati che tutelano gli interessi del Consorzio Venezia Nuova (coordinati dagli avvocati Alfredo Bianchini e Alfredo Biagini) si tratta invece di provvedimenti «del tutto legittimi». I giudici del Tar (presidente Baccarini, relatori Di Piero e Franco) hanno applicato un articolo della Legge Obiettivo,- proprio quella contestata nel ricorso - che obbliga a emettere la sentenza per temi che riguardano le grandi opere dopo 45 giorni dal deposito. Il 6 maggio si deciderà anche sulla sospensiva, cioè se fermare o no i lavori. I giudici hanno tempo fino ad allora per studiare i documenti prodotti dalle parti. Le associazioni (Wwf, Italia Nostra, Ecoistituto, Movimento dei consumatori e Comitato Salvare Venezia) chiedono l’annullamento di una serie di provvedimenti ritenuti illegittimi che hanno autorizzato il progetto Mose. La delibera del comitatone dell’aprile 2003, che ha dato il via libera a un progetto senza Valutazione di Impatto ambientale. E’ questo il punto più controverso. Secondo il Comitatone (ma anche per la Regione e il Magistrato alle Acque) la Valutazione negativa del 1998 era da considerarsi annullata dal Tar e dal Consiglio dei ministri. Per questo era stata sostituita dalla Via regionale, per la prima volta applicata nella storia della salvaguardia. Illegittima, secondo le associazioni, anche la delibera del Cipe che assegnava i fondi alle grandi opere senza che la procedura fosse conclusa. E, infine, la delibera della commissione di Salvaguardia, che ha approvato in sole tre sedute, tra le proteste di Provincia e Comuni interessati, 72 volumi di progetto definitivo.
Gli ambientalisti insistono sui «danni irreversibili» che la grande opera potrà portare all’ecosistema lagunare. E chiedono che il progetto sia sottoposto a una seria Valutazione di Impatto ambientale, come del resto previsto dalle norme europee.
«Anche il Comune e la Provincia devono prendere posizione, pretendere il rispetto della legalità per evitare colpi di mano irreversibili», denuncia la deputata dei Verdi Luana Zanella. E attacca i colleghi della Casa delle Libertà, che in risposta all’iniziativa del deputato Michele Vianello (150 firme di parlamentari per chiedere all’Europa di fermare il Mose e il suo iter illegittimo), avevano scritto al commissario Mario Monti difendendo la «bontà dell’opera». «Si assumono una grave responsabilità», scrive la Zanella, «quella di dirottare i pochi fondi disponibili per la salvaguardia su un progetto inutile e dannoso».
Anche il Mose ha un peccato originale. Una scelta progettuale che a cascata ha imposto enormi appesantimenti e irrigidimenti dell'intera struttura, facendo lievitare a dismisura costi e tempi di realizzazione e costringendo a complicare, e dunque a rendere meno affidabile, l'architettura dell'intera macchina che dovrebbe difendere Venezia dalle acque alte eccezionali.
«Il risultato sarà un impatto devastante per l'ambiente lagunare», ha denunciato ieri l'ing. Vincenzo Di Tella, che a 4 anni dall'ideazione ha potuto illustrare alla commissione Legge speciale del Comune il suo progetto alternativo, sviluppato allo stadio di preliminare in collaborazione con gli ingegneri Paolo Vielmo e Gaetano Sebastiani: una sorta di Mose riveduto e corretto, che Di Tella ha brevettato.
«Il Mose è nato 30 anni fa e non tiene assolutamente conto dell'evoluzione dell'ingegneria off shore», ha sostenuto Vielmo, ricordando di essere stato incaricato dalla Fiat Impregilo, quand'essa faceva ancora parte della compagine societaria del Consorzio Venezia Nuova, dell'analisi critica del progetto. «Ma tutti i suggerimenti per la sua ottimizzazione - ha ricordato - più che un muro di gomma hanno trovato un muro di cemento armato».
Peccato che le opposizioni abbiano disertato in massa l'audizione: Di Tella, Sebastiani e Vielmo, infatti, non sono scatenati ambientalisti, né tre persone qualunque, ma probabilmente i tre massimi esperti italiani in progettazioni off shore, una vita professionale spesa nella Tecnomare a realizzare piattaforme oceaniche e le più diverse tecnologie marine in giro per il mondo, sopra e sotto l'acqua.
«Il Mose emerge contro corrente», ha spiegato Di Tella, evidenziando come la risultante tra la spinta netta di galleggiamento sulle paratoie, che si innalzano svuotandosi con pompe di aria compressa dei quasi 2 mila metri cubi d'acqua che le tengono a riposo sul fondo, e la spinta del battente di marea si traduca in una inversione dei carichi sui giunti che fissano i portelloni ai loro alloggiamenti. «La paratoia - ha insomma tradotto Di Tella - tende a strappare le sue cerniere, e sono pronto a discuterlo a tutti i livelli».
C'è, insomma, la possibilità di ribaltamento delle paratoie, e ciò ha imposto al progettista, Alberto Scotti, di prevedere delle strutture a collasso determinato che possano rompersi prima che cedano le paratoie, allagando tutto il tunnel di servizio e mettendo in crisi l'intero sistema. «Se Scotti ci facesse avere un suo curriculum - ha polemizzato Di Tella - dimostrandoci quante strutture off shore ha progettato in vita sua, forse capiremmo qualcosa di più».
Secondo Di Tella, il peso delle paratoie, sovradimensionate per evitare problemi di risonanza con le onde del mare, la necessità di enormi e non sperimentati connettori meccanici, il fatto che la loro gestione richieda un continuo e controllato pompaggio d'aria, hanno imposto il tunnel, 12 mila pali in cemento per le fondazioni per evitare cedimenti, ciclopiche spalle di sostegno, l'isola davanti al Bacàn, una centrale elettrica da 10 mila megawatt, i cantieri di costruzione a Malamocco, la conca di navigazione, il dragaggio di milioni di metri cubi di fondali, la demolizione delle dighe foranee. «Tutto - ha sottolineato Di Tella - tranne che graduale, sperimentale, reversibile come richiesto dalla legge».
Nel progetto Di Tella, invece, le paratoie a gravità si innalzano con la marea, restando zavorrate tranne una piccola camera di manovra che, svuotata di appena 50 tonnellate d'acqua con banali compressori, mette il sistema in movimento. «È il livello dell'acqua che fa salire le paratoie - ha spiegato il progettista -, il sistema è intrinsecamente stabile, non serve alcun controllo perché non dobbiamo lottare con la corrente, anche nel peggior dislivello di marea non c'è inversione di carico sulle cerniere». Dunque, tutto più leggero, più agile, adattabile ai fondali esistenti, realizzabile in un normale cantiere navale con tecnologie sperimentate e affidabili, installabile a pezzi.
A materiali e costi unitari analoghi, il Mose2 richiederebbe 2 anni di lavori contro 8 del Mose e costerebbe 1382 milioni di euro contro 2296 (2070 ha precisato Di Tella contro 3440 se venissero applicati i «mai visti» corrispettivi e gli oneri aggiuntivi del 50 per cento calcolati dal Consorzio), ma in acciaio e a gara d'appalto costerebbe 402,5 milioni di euro contro i 753,6 dei lavori in concessione unitaria al Consorzio. «Il Comune chiederà un confronto pubblico tra i due progetti nelle massime sedi», ha concluso la Commissione, ed è curioso che il Magistrato alle Acque, a cui Di Tella ha chiesto a luglio e a dicembre del 2003 di presentare il suo progetto, non abbia mai neppure risposto.
Critiche anche al Terminal petrolifero
(S.T.) All'ing. Alberto Scotti, progettista del Mose, ieri devono essere fischiate le orecchie. Gli ingegneri Vincenzo Di Tella e Paolo Vielmo, infatti, non hanno solo attaccato la sua creatura (vedi servizio qui sopra ), ma hanno anche pesantemente criticato con una nota il suo progetto per la realizzazione di un terminal petrolifero in mare. «Un progetto - hanno scritto - che si basa su soluzioni inusuali rispetto a tecnologie sperimentate e consolidate senza motivarne la scelta, carente per quanto riguarda le procedure operative per la gestione del terminale e la realizzazione delle condotte sia nella parte in laguna che in mare».
I due tecnici ex Tecnomare hanno sostenuto che non sono state esaminate soluzioni flessibili negli obiettivi, nei tempi di realizzazione e nei costi, e che dai dati meteo e dalle elaborazioni presentate si evince una discutibile determinazione delle condizioni estreme di progetto per le opere civili. «Il progetto - hanno sottolineato - esamina solo condizioni estreme per le opere civili, e non prende in considerazione le condizioni ambientali limite per le manovre di entrata nel porto e accosto agli attracchi».
La soluzione progettuale, hanno poi aggiunto Di Tella e Vielmo, non è mai messa in discussione e data come la migliore possibile. «Una soluzione del tutto inusuale di un megaporto off shore - hanno sostenuto -, e condotte in un tunnel a pressione atmosferica, con i costi di investimento così elevati e senza un'analisi dei rischi e una stima dei costi di gestione, richiede per legge un confronto tecnico/economico con soluzioni classiche di ormeggio a punto singolo, per il terminale off shore, e di condotte sottomarine interrate o protette in ambiente bagnato ("Wet") anche per la parte lagunare».
I due ingegneri hanno illustrato brevemente le più classiche soluzioni alternative suggerendo, per il terminal, di chiedere referenze alle tre ditte più conosciute al mondo, la Sbm di Monaco, la Bluewater olandese, la Sofec americana, e per le condotte ai leader mondiali che sono invece le italiane Saipem e Snamprogetti.
Cinque "barene" per proteggere il canale dei petroli
Anche l'iter del progetto riguardante la protezione del canale dei Petroli nel tratto - di poco inferiore ai 4.5 chilometri - che va da Porto San Leonardo a Marghera, canale industriale, è arrivato alla conclusione. A breve termine l'apertura del cantiere. È ben da dire che l'interesse che ha accompagnato prima l'esame e poi l'esito in commissione di salvaguardia della votazione sul progetto «definitivo» riguardante l'intervento alle bocche di porto, ha finito con il far passare sotto silenzio l'approvazione finale, da parte della stessa commissione, di questo disegno. Anche solo 20 anni fa tale proposito avrebbe scatenato in città scontri omerici. Sarebbe stato interpretato come realizzazione propedeutica alla attuazione di un operato finale blasfemo: la divisione in due della laguna: a nord Venezia, a sud grandi aree barenose e la bocca di Malamocco, entrambe a disposizione delle industrie e del porto. A tanto oggi non si pensa più: non ci si può pensare più. Molti protagonisti delle battaglie succedute all'«aqua granda» del '66, dell'uno e dell'altro fronte sono invecchiati. Alcuni, anzi parecchi, se ne sono andati. C'è, poi, la legge speciale che proibisce quell'intendimento. Si vuole che il nemico ora sia un altro.
Lo scopo del progetto, di cui si dice, è, dunque, di impedire l'interrimento di quella grande, discussa via d'acqua aperta negli anni fra il '60 e il '70 e con i cui fanghi sono state costruite le casse di colmata B, D-E. Lo provocano, l'interrimento, le stesse navi che con il loro passaggio trascinano i sedimenti in cunetta. E lo provocano, altresì, le correnti trasversali che dominano gli adiacenti fondali i quali, pertanto, sempre più appiattiscono. Il progetto prevede, dunque, la realizzazione di cinque «strutture morfologiche» che qualcuno potrebbe anche benignamente chiamare «barene», lungo il bordo est del canale. A completamento vengono anche programmate protezioni lungo i bordi ovest del medesimo canale i quali poi altro non sono che i cigli delle casse di colmata pur essi in erosione. Queste «strutture morfologiche» saranno costituite da riporti di sabbia che potrà essere prelevata dalla bocca di porto di Malamocco o dalla Val di Rio (ne indicano l'estensione la quantità prevista: 380 mila metri cubi). Avranno i bordi protetti da «burghe» che sono sacconi riempiti di pietrame posati su materassi di geotessuto.
Fra «barena» e «barena» - si assicura - verranno mantenuti aperti varchi in corrispondenza alle incisioni dei canali preesistenti: il Lussariol e il Rischio. L'intervento - si assicura pure - sarà eseguito per stralci al fine di constatarne e studiarne le conseguenze. Inizialmente il progetto prevedeva una protezione sassosa dal canale dei Petroli, elevata sul medio laguna, una sessantina di centimetri. Poco diversa dunque dalle due già in esercizio costruite in passato al tempo dello scavo del canale. Il disegno è stato modificato per l'intervento della Sovrintendenza.C'è chi assicura che queste opere contrasteranno gli effetti, in termini di appiattimento della laguna, della riduzione dei ricambi quale dovrebbe conseguire alla realizzazione degli interventi «complementari» per intenderci i «digoni» fuori in mare. Appare un poco tirata. Il tema di un possibile appiattimento della laguna ovvero della scomparsa dei canali interni viene comunque agitato con particolare insistenza in questi ultimi anni. Il moto ondoso e le correnti mettono in sospensione i sedimenti che - si sottolinea - trasmigrano poi nei canali. È questo, anzi, uno dei motivi per i quali studiosi della laguna, anche in Magistrato alle Acque, mostrano ostilità ad un possibile innalzamento dei fondali alle bocche di porto oltre i -14 metri. Ne conseguirebbe, viene detto, una diminuzione della energia delle correnti che favorirebbe appunto il fenomeno.
A.P.
Mose, è scoppiata la guerra "vera"
Il Magistrato alle Acque avvia il progetto, gli ambientalisti scatenano i ricorsi, il Comune sta a guardare
Per quegli strani scherzi del destino, l'uno all'insaputa delle altre, il Magistrato alle Acque ha avviato ieri la costruzione del Mose, quello vero e non le "prime pietre" di opere di contorno, e le associazioni ambientaliste veneziane, capitanate da Italia Nostra e dal Wwf, hanno notificato agli "avversari" un nuovo ricorso al Tar che si aggiunge a quello già depositato circa un anno fa contro le opere complementari.La differenza, però, è sostanziale: se un anno fa nel mirino c'erano solo le lunate a mare approvate con una Valutazione di impatto ambientale regionale, giudicata illegittima, ora il Comitato Salviamo Venezia con la laguna ha sparato ad alzo zero contro la stessa delibera del Comitatone che un anno fa autorizzò il passaggio alla progettazione esecutiva del Mose e contro tutti gli atti che da allora si sono susseguiti, fino all'ultimo voto della Commissione di Salvaguardia.Insomma, parte il Mose (vedi servizio sotto), e partono le carte bollate: la guerra è scoppiata! Ma Comune e Provincia stanno ancora a guardare, perché mentre le giunte si cincischiano tra 11 punti e attese di Comitatoni, Magistrato e Consorzio Venezia Nuova vanno avanti a rullo compressore, e tra due mesi si apriranno i cantieri della conca di navigazione: quella che nei disegni del Comune avrebbe dovuto innescare una radicale modifica del progetto delle chiuse mobili; quella che nei progetti del Consorzio sarà invece la "prima pietra" tombale di ogni ipotesi alternativa!
Ieri, intanto, ha annunciato la sua mobilitazione generale contro il Mose anche la "Sinistra Ecologista", un'associazione ambientalista di area Ds, con oltre 8 mila iscritti e presente in 80 città italiane, nella quale militano molti parlamentari della Quercia. Tra questi, Michele Vianello, che ha illustrato la strategia di guerra. «Per prima cosa - ha spiegato - stiamo studiando ulteriori ricorsi per invalidare la delibera del Comitatone del 3 aprile dell'anno scorso. È la madre di tutte le battaglie - ha sottolineato - perché quella delibera autorizza il passaggio alla progettazione esecutiva del Mose e alla sua realizzazione».
Insomma, si mira al cuore del "nemico", denunciando almeno 3 violazioni di legge: il passaggio all'esecutivo senza tutti i pareri sul progetto definitivo; l'aggiramento dell'art. 3 della 139 del '92 che consentiva il passaggio alla progettazione esecutiva solo in presenza di un "adeguato avanzamento" di tutti gli interventi di ripristino morfologico della laguna; la mancanza della Valutazione di impatto ambientale sul progetto.
«Che la più importante opera di ingegneria ambientale d'Europa avvenga senza la Via è una forzatura inaccettabile», ha sostenuto Vianello, annunciando la seconda iniziativa. «La prossima settimana - ha detto - cominceremo una raccolta di firme in Parlamento per chiedere alla Commissione Europea che il Mose sia sottoposto alla Via». Con Vianello, l'on. Fabrizio Vigni, responsabile nazionale Infrastrutture dei Ds, ha denunciato il fallimento delle promesse del Governo sul piano delle grandi opere. «Il Mose - ha spiegato - è una delle 276 opere della legge obiettivo, il cui costo complessivo è di 125,8 miliardi di euro. Oggi, dopo 3 anni, sono stati stanziati 5,3 miliardi di euro, circa il 4 per cento. Miracoli all'orizzonte non se ne vedono - ha concluso -, e con questa tabella di marcia le opere annunciate verranno realizzate nel 2079»!
Il presidente nazionale di Sinistra Ecologista, Sergio Gentili, ha spiegato che la raccolta di firme in Parlamento è una risposta eccezionale rispetto a un'emergenza connotata da ripetute violazioni di un corretto iter decisionale. «Qui siamo di fronte - ha concluso - alla cultura politica dei condoni, dell'abusivismo, della vendita del patrimonio culturale: non si aprono cantieri senza avere la certezza del finanziamento per chiudere, se non nel vecchio sistema affaristico».
Silvio Testa
Ieri mattina il Comitato tecnico di magistratura che è sezione del Consiglio superiore del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha preso in esame i primi progetti esecutivi riguardanti parti essenziali dell'intervento alle bocche di porto. È avvenimento di primaria rilevanza. È preludio all'apertura dei cantieri. Chi ha seguito la telenovela-Salvaguardia che dura, di puntata in puntata, da oltre trent'anni può anche stentare a credere che si sia arrivati in dirittura. Pensiamo che qualche incredulità l'abbiano provata anche diversi degli ingegneri e docenti che erano ieri, per l'ennesima volta, attorno al grande tavolo nella sala d'onore del Magistrato alle Acque dove si sono riuniti, nel lunghissimo periodo di gestazione del Mose, i primi ministri di una decina di governi, colà a giudicare le cose soprattutto dal punto di vista politico.
Quelle proposte ieri sono davvero le opere alle bocche non le «complementari». E la discussione è stata puramente tecnica. Non per questo meno impegnata. Il Mose è idea nuova, senza precedenti e, per questo, con alcune incognite anche, o soprattutto, tecniche. I progetti in discussione ieri sono stralci della grande impresa destinata a salvaguardare Venezia dalle acque alte. Riguardano il porto - rifugio alla bocca del Lido, in zona Punta Sabbioni, la radice del molo sud di Lido, la conca di navigazione alla bocca di Malamocco, il porto - rifugio di Chioggia. Sono stati tutti approvati con raccomandazioni, prescrizioni, esortazioni. Come a dire che ci si è imbarcati. Ma che occorrerà stare bene allerta. La navigazione non sarà delle più facili. La rotta è comunque segnata.
Il progetto più importante riguardava la conca di navigazione alla bocca di Malamocco. È opera ciclopica negli scavi e nelle edificazioni delle spalle che proteggeranno le navi in attesa di entrare od uscire. A Treporti va preparata la «tura» con il quale termine si intende il grande scavo per il porto rifugio che servirà alle imbarcazioni che dovessero trovarsi in mare al momento della chiusura delle paratoie. Il rinforzo della diga sud di Lido viene invece previsto per la semplice ragione che l'opera attuale è soggetta ad infiltrazioni. Si costruirà un tratto di diga parallela a quella esistente e si riempirà lo spazio con materiale adeguato. A Chioggia si incomincerà con una dighetta trasversale protettiva al porto rifugio. Le imprese scalpitano. Così come sono le cose si va all'apertura dei cantieri fra non più di due mesi, con i primi venticelli di primavera.È già all'apertura (fra due settimane) il «campo prove» alla radice della diga di Lido e a Treporti (di fronte al camping) per la sperimentazione dei sistemi operativi previsti per il consolidamento dei fondali, per l'esecuzione di prove di laboratorio relative alla compattazione dei materiali e la lavorazione del fondo dei cassoni di alloggiamento delle paratoie. Si incomincia con indagini archeologiche e di bonifica. Riferiamo anche che, fra una ventina di giorni si apre il cantiere in Lazzaretto Vecchio, l'isola sita davanti al Lido già conosciuta come «isola dei cani» (che resteranno in loco). Si procederà al restauro statico ed architettonico dei fabbricati e delle mura perimetrali della parte est dell'isola. Si fermeranno i crolli, E si ricostruirà. Nella memoria del passato.
Augusto Pulliero
E' sperimentale, graduale, reversibile
22 gennaio 2005
È sperimentale, graduale, reversibile, come vuole la legge, ma soprattutto è "stagionale": si mette d'inverno, quando serve, e d'estate si toglie. Costa dieci volte meno del Mose (450 milioni di euro contro 4700 milioni), e si realizza in due anni e non in otto, mettendo da subito Venezia al riparo dall'acqua alta; non abbisogna di milioni di metri cubi di cemento, né di migliaia di pali infissi nel fondale, né di sbancamenti delle bocche di porto, ma solamente di spalle autoaffondanti in calcestruzzo (removibili), e della posa di un materasso antierosione di georete; infine può fronteggiare qualsiasi innalzamento del livello medio del mare che i lidi e la costa possano reggere, semplicemente aumentando lo spessore del materasso antierosione.
Stiamo parlando di Arca (Apparecchiature rimovibili contro l'acqua alta), l'anti Mose che stamane verrà presentato anche con animazioni dalle 10 nella Sala del Piovego di Palazzo Ducale, con interventi di Paolo Pirazzoli (ricercatore del Cnr francese) sugli scenari futuri dell'eustatismo e di George Umgiesser (Cnr Venezia) sui problemi idrodinamici. Seguirà un dibattito moderato dal prof. Bruno Rosada.
Arca è stato ideato da Antonio Ieno, un Carneade, accusano gli oppositori, ma dalla grande e lucida determinazione, la cui intuizione è stata poi tradotta in un progetto dall'aria assai solida dal prof. Maurizio De Santis, docente di Opere Marittime all'Università di Padova e componente dello staff che realizzò Voltabarozzo, e dagli ingegneri Giorgio La Valle (Strutture navali) e Filippo Valenti (Relazioni tecniche), con la collaborazione di Pirazzoli e Umgiesser. La progettazione delle automazioni è della Siemens Spa.
«In sostanza - ha spiegato ieri De Santis - si tratta di vere e proprie navi autoaffondanti di 120 metri, trainabili, in acciaio al carbonio». Esse andranno portate alle bocche di porto, il cui fondale dovrà essere preventivamente regolato portandolo a 9.50 metri al Lido, a 12 metri a Malamocco, a 8.50 a Chioggia, e lì verranno allineate tra di loro e incernierate su piloni che altro non sono che scafi autoaffondanti più piccoli. In condizioni normali, le navi stanno alla fonda lasciando ad esempio al Lido tre varchi di 190 metri ciascuno, poi al crescere della marea vengono ruotate di 90 gradi grazie a due eliche intubate trasversali ciascuna, e affondate con acqua, come i sommergibili. Una volta posate sul fondale, sul quale saranno state sagomate, le navi diverranno delle vere dighe contro la marea (vedi foto), potendo servire per acque alte fino a 2.50 metri. «E le eliche trasversali, pompando fuori ciascuna 30 metri cubi al secondo, possono ridurre di 6 millimetri all'ora il livello dell'acqua in laguna, tanta quanta ne piovve il 4 novembre del '66», ha sottolineato Pirazzoli.
«Il sistema - ha spiegato Ieno - consente chiusure parzializzate, a seconda dei livelli di marea». La navigazione resta garantita su tutte le bocche fino a 125 centimetri, chiudendo solo alcuni varchi, poi oltre i 125 centimetri resta garantita solo a Malamocco, mentre a 128 centimetri si chiudono tutte le bocche. «Sulla base delle statistiche di marea dal 1983 al 2002 - ha sottolineato Ieno - le chiusure totali sarebbero state solo 9»
Il progetto è stato presentato anche al Magistrato alle Acque. «Nessuna risposta - ha polemizzato Ieno, e scarsa attenzione è venuta anche dal Comune».
Davide contro Golia
23 gennaio 2004
Davide contro Golia. Ovvero Arca contro il Mose. Potrebbe riassumersi così il senso della presentazione alla città, ieri nella sala del Piovego di Palazzo Ducale, del progetto di chiusure mobili alle bocche di porto alternativo al Mose, ideato da Antonio Ieno e tradotto in forma progettuale da uno staff coordinato dal prof. Maurizio De Santis, docente di Opere marittime all'Università di Padova. Del tutto assenti le istituzioni, anche se Gianfranco Bettin e Flavio Dal Corso (Verdi) hanno poi chiesto di fermare il Mose e di sperimentare Arca .
Arca 2005 (Apparecchiature rimovibili contro l'acqua alta) è l'evoluzione del progetto già presentato quattro anni fa, raffinato e perfezionato. L'idea di fondo è sempre la stessa: l'utilizzo per chiudere le bocche di porto di cassoni autoaffondanti, che nell'ipotesi originaria erano in calcestruzzo, ma che nelle successive stesure del progetto sono diventati delle vere navi in acciaio al carbonio, trainabili. D'estate se ne stanno da qualche parte alla fonda, in manutenzione, ma d'inverno vengono collocate al loro posto, per fermare l'acqua alta.
Non richiedono strutture fisse, milioni di metri cubi di cemento, migliaia di pali di fondazione, ma solo delle spalle di ancoraggio fatte però anch'esse di scafi autoaffondanti, e la stesura di un materasso antierosione dello spessore di circa 30 centimetri sul fondale delle bocche di porto, che può essere sagomato alla profondità che si crede. «Noi abbiamo scelto i limiti attualmente necessari alla navigazione», ha spiegato De Santis, ovvero 9.50 metri al Lido, 12 a Malamocco, 8.50 a Chioggia.
Le navi, alte dai 6 ai 15 metri, vengono trainate al loro posto, e incernierate su dei piloni (anch'essi scafi autoaffondanti, più piccoli) in modo da lasciare dei varchi di 190 metri: 3 al Lido; uno a Chioggia e a Malamocco più un secondo varco da 90 metri. In ogni bocca di porto, sempre con scafi autoaffondanti, vengono realizzate delle conche di navigazione per il naviglio minore. Al crescere della marea, le navi vengono ruotate di 90 gradi (come porte sui cardini) grazie a eliche trasversali intubate, e affondate come i sommergibili, imbarca ndo acqua, fino a posarsi sul fondo, diventando delle dighe. Il sistema è modulare, perché permette anche chiusure parziali. «Il tutto - ha sottolineato Ieno - entra in esercizio in 15 minuti». Il progetto, è stato spiegato, può essere realizzato in due anni, e non in 8 come il Mose, mettendo da subito al sicuro Venezia dall'acqua alta, e costa "solo" 450 milioni di euro, cioé dieci volte meno del progetto ufficiale.
Arca e Mose sono stati messi a confronto da Paolo Pirazzoli, direttore di ricerca del Cnr francese, e da George Umgiesser, modellista del Cnr veneziano. Pirazzoli ha paragonato i risultati dei due sistemi nello scenario del 4 novembre 1966, corretto secondo le previsioni degli esperti dell'Ipcc (Intergovernamental panel on Cimate change) per i quali il livello del mare potrebbe crescere di 30 cm entro il 2050, e di mezzo metro entro il 2100.
Nel '66, ha ricordato Pirazzoli la marea toccò i 194 cm, rimase per 22 ore sopra i 110, la laguna crebbe di 7 millimetri all'ora solo per la pioggia. «Col Mose - ha sostenuto ricordando la tracimazione dell'acqua tra i portelloni -, si sarebbero superati i 110 cm in laguna, con Arca non si sarebbero toccati i 90». Addirittura i 60 se con le eliche si fosse pompata l'acqua fuori dalla laguna. Col mare cresciuto di 30 cm il Mose non avrebbe garantito i 140 cm, Arca sarebbe rimasto sotto il metro; col mare cresciuto di mezzo metro, il Mose non avrebbe impedito una marea di 170 cm, Arca avrebbe tenuto a 110.
Umgiesser ha invece paragonato gli effetti dissipativi di Arca rispetto a quelli proposti nel '99 dal Comune, e poi dal Consorzio Venezia Nuova, da De Piccoli (progetto Perla), dagli 11 punti. «Tranne le lunate del Consorzio - ha detto - assolutamente inutili, tutte le proposte sono efficaci per ridurre i picchi di marea tra i 10 e i 30 centimetri, ma con Arca si può scegliere la riduzione, continuando a permettere la navigazione. Arca - ha concluso - è l'unico progetto che unisce la possibilità della chiusura totale con le opere alternative».
Raccolta firme in Parlamento per chiedere l’intervento dell’Ue
VENEZIA. Due cannonate contro il Mose. Un appello all’Europa e la richiesta - senza precedenti - di annullare una delibera del Comitatone. Il deputato veneziano dei Ds Michele Vianello alza il tiro. E annuncia iniziative clamorose per fermare una procedura definita «illegittima».
Vianello, ex vicesindaco silurato dal sindaco Paolo Costa - con la «non opposizione» del suo partito - ora si prende la rivincita. E vuole dimostrare che gli allarmi lanciati erano fondati. La scelta del luogo, il Municipio, ha anche un valore simbolico, dal momento che il Comune un anno fa aveva votato a favore della delibera che dava il via libera al Mose. Ieri Vianello si è presentato con il portavoce nazionale della Sinistra ecologista Sergio Gentili e con il responsabile nazionale Infrastrutture dei Ds, capogruppo in commissione Ambiente, Fabrizio Vigni.
La clamorosa novità consiste nell’intenzione, annunciata ieri da Vianello e appoggiata da Vigni e Gentili, di presentare un ricorso per impugnare la delibera del Comitatone del 3 aprile 2003. «Sono state commesse tre pesanti violazioni di legge», accusa il parlamentare. La prima, quella di aver autorizzato quel giorno il passaggio alla fase esecutiva del Mose e la sua realizzazione senza che ci fossero tutti i pareri di legge. La dimostrazione, secondo il deputato Ds, è che l’ultimo, contestato via libera, è arrivato pochi giorni fa dalla Salvaguardia. «Adesso chiederò di acquisire i verbali del Cipe», spiega, «il Comitato per la programmazione economica presieduto dal ministro Lunardi che ha autorizzato i finanziamenti al Mose. Come ha potuto se il Cipe delibera solo a procedura conclusa?» La seconda violazione, spiega Vianello, riguarda l’articolo 3 della legge 139 del 1992. Quello inserito con emendamento del veneziano Sergio Vazzoler che subordinava l’uso dei fondi per il progetto Mose a «un adeguato avanzamento degli altri interventi di riequilibrio». «Anche questo non è stato fatto», accusa Vianello, «hanno guardato solo quanti soldi sono stati spesi, ed è un precedente gravissimo». Terza violazione di legge, la Valutazione di Impatto ambientale. «La più importante opera di ingegneria ambientale d’Europa viene approvata senza la Via, è una forzatura inaccettabile». Per questo Vianello intende ora con l’appoggio delle associazioni «invalidare» la seduta del Comitatone. Non basta. «Abbiamo raccolto già molte firme di colleghi parlamentari di tutti i partiti», dice Vianello, «e chiederemo ufficialmente alla commissaria europea Walstrom di aprire una procedura, e di approfondire le questioni già sollevate dal Wwf».
«Questo governo gioca la sua immagine sulle grandi opere», dice Fabrizio Vigni, responsabile nazionale dei Ds per le Infrastrutture «ma con questo flusso di finanziamenti le 276 opere promesse saranno concluse nel 2079. dei 126 miliardi di euro necessari ne sono stati stanziati solo 5,3. Non si possono aprire cantieri senza avere i soldi per finire l’opera. Questa è una politica improntata all’affarismo e non al rispetto dell’ambiente». Un concetto ripreso da Sergio Gentili, portavoce della Sinistra ecologista. «Per noi il Mose è un’opera sbagliata, che non risolve i problemi dell’acqua alta», dice, «per risolvere il problema non si può intervenire solo in ternmini idraulici, bisogna affrontare le cause del dissesto lagunare. Ma questo non fa parte della cultura di questo governo che usa il patrimonio ambientale in termini mercantili, come il condono e la svendita del patrimonio culturale». Nei prossimi giorni, gli avvocati della Sinistra ecologista metteranno a punto il ricorso. E la richiesta dei parlamentari di bloccare l’iter sarà inviata in Europa.
ALBERTO VITUCCI
VENEZIA. «La procedura adottata per dare il via libera al Mose è illegittima». La prima segnalazione, scritta, era arrivata al Magistrato alle Acque dal direttore generale del ministero per l’Ambiente Bruno Agricola. Alla fine del 2002, alla vigilia del Comitatone che avrebbe approvato il progetto Mose, Agricola aveva inviato una lettera che certificava l’obbligo, previsto dalla legge, di concludere la Valutazione di Impatto ambientale nazionale. Il Comitatone aveva deciso diversamente, affidando per la prima volta la Via alla Regione. Anche all’Ambiente c’erano state valutazioni differenti. Il ministro Altero Matteoli, che pure aveva criticato il progetto, aveva poi votato il via libera al Mose e dichiarato di «non riconoscersi» nelle posizioni espresse in Salvaguardia dal suo rappresentante, il docente Iuav Stefano Boato. «Ho fatto il mio dovere», ha risposto Boato, «sottoponendo alla commissione documenti che dovevano essere valutati per dare un giudizio di merito. Ma si è deciso di passare subito al voto, senza neanche una proposta di parere. Anche il presidente Galan mi ha dato atto della mia correttezza». (a.v.)
Mose, il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tar
Il Consiglio di Stato ha dato ragione al Consorzio Venezia Nuova (un consorzio di imprese di costruzione cui lo Stato ha delegato lo studio, la sperimentazione, la progettazione e l’esecuzione di tutte le opere per la salvaguardia della Laguna di Venezia): il vero Potere che, nell’assenza o nella complicità di quelli istituzionali, governa la città più bella del mondo. Le informazioni sono da la Nuova Venezia del 21 e 22 dicembre 2004
(21 dicembre) Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tar Veneto sul Mose. L’iter delle apporvazioni, secondo i giudici romani, sarebbe stato regolare. Ma il Codacons, l’associazione in difesa dei Consumetori, annuncia un nuovo ricorso all’Europa. «E’ un’opera inutile, che non risolverà il problema delle acque alte, stravolgerà l’ambiente e peserà sulle casse dello Stato», dice il presidente nazionale del Codacons, avvocato Carlo Rienzi.
Una storia che non è finita, quella della grande opera. Sabato il congresso provinciale dei Ds ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che invita il Comune a fare marcia indietro sulla salvaguardia, e a recuperare un ruolo da protagonista nella vicenda. E i dubbi sulla grande opera aumentano. Intanto però i cantieri proseguono spediti, A Punta Sabbioni è nato un nuovo comitato («I danni del Mose») che chiede di sapere cosa succederà al loro territorio. A Ca’ Roman gli ambientalisti della Lipu protestano perché l’oasi naturalistica sarà presto invasa dai cantieri. A Santa Maria del Mare è previsto il taglio della diga ottocentesca per realizzare l’enorme conca di navigazione. A Sant’Erasmo già si lavora ai fondali dell’isola artificiale da 7 ettari e mezzo che sorgerà davanti al bacàn. I progetti già in parte approvati prevedono lavori per 4 miliardi di euro e alle tre bocche una colata di milioni di metri cubi di cemento. Così il Codacons, come già le associazioni ambientaliste, hanno fatto ricorso all’Europa. (a.v.)
«Sul Mose ricorso alla Corte europea»
(22 dicembre) «Siamo stupefatti da questa sentenza che dà il via libera al Consorzio Venezia Nuova senza nemmeno considerare le normative europee e le alternative possibili». All’indomani della sentenza del Consiglio di Stato, che ha respinto in blocco i ricorsi contro le procedure di approvazione del progetto Mose, ambientalisti e Codacons annunciano un ricorso alla Corte europea. «Rischiano di stravolgere l’intero ecosistema lagunare senza risolvere il problema delle acque alte», protesta il responsabile nazionale del Wwf Stefano Lenzi, «c’erano soluzioni più economiche e reversibili che avrebbero permesso di affrontare il problema senza distruggere la laguna».
Di segno opposto il commento del presidente del Veneto Giancarlo Galan. «Il sindaco Costa ora dovrebbe chiedere i danni ai suoi assessori che lo hanno costretto a fare un ricorso assurdo», dice Galan, «la grande opera è partita e Venezia tra qualche anno sarà al riparo dalle acque alte eccezionali».
Una battaglia che continua in sede politica. I Ds hanno approvato al loro congresso un ordine del giorno che impegna la prossima amministrazione a «cambiare registro sulla salvaguardIa». «Il Mose è la madre di tutti gli sprechi», commenta la deputata dei Verdi Luana Zanella, «non risolverà il problema delle acque alte ma in compneso comprometterà l’attività del porto e provocherà seri problemi alla laguna».
Intanto l’iter del grande progetto va avanti. Sono decine i Grandi cantieri approvati in questi giorni dal Comitato tecnico di magistratura e dalla commissione di Impatto ambientale della Regione. Saranno installati dal Consorzio Venezia alle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Alberoni. Si comincia con le dighe foranee (già ultimate a Malamocco) e con i porti rifugio, in costruzione a Chioggia e a Punta Sabbioni. Nel litorale intanto si è costituito un nuovo comitato che si chiama «I danni del Mose», ed è intenzionato a battersi per cercare di ridurre al minimo il devastante impatto delle opere sul territorio. Un’opera che il governo ha inserito nella Legge Obiettivo, saltando così le procedure previste dalla Legge Speciale e affidando la Valutazione di Impatto alla Regione. (a.v.)
A proposito di quest’ultima notizia, pochi sanno che esiste un progetto, più volte presentato al Consorzio Venezia Nuova e al Magistrato alle acque, molto più morbido del MoSE e capace di raggiungere i medesimi risultati, in grado di soddisfare, a differenza del MoSE, i tre prescritti requisiti di “gradualità, flessibilità e reversibilità”, e infine molto meno costoso sia in fase di costruzione (si parla di risparmi di opere e di materiali tra il 50% e il 70%) sia, e ancor di più, in fase di gestione.
«Ricorsi? Non è il momento»
Il sindaco Costa gela le richieste degli alleati: «Le procedure vanno bene». Ma adesso potrebbe muoversi la Provincia - Bettin: «Per la Variante al Prg non sono stati così rapidi»
VENEZIA. «Il ricorso? E’ un’arma che abbiamo, la useremo nel momento più opportuno. Ma sulle procedure di questi giorni non ho niente da dire, l’accordo che abbiamo firmato a Roma è quello». E’ una vera doccia fredda quella che il sindaco Paolo Costa apre sugli alleati - in testa Ds e Verdi - che avevano chiesto di «bloccare la procedura del progetto Mose». «Io la verifica la chiederò al Comitatone», dice.
Lo «schiaffo» della Regione, che ha provocato l’uscita dall’aula al momento del voto dei rappresentanti di tutti i comuni di gronda e della Provincia, minacce di ricorsi e accuse di illegittimità, non scandalizza il sindaco. «Non ne voglio fare un uso strumentale», dice, «se qualcuno ha dubbi fondati, li avanzi». Quanto all’accordo tradito, Costa ammette che in un anno nulla si è mosso. E che i finanziamenti - a parte quelli del Mose - sono stati tagliati. «Ma la verifica si fa nell’unica sede titolata, il Comitatone», insiste Costa, «lì voglio arrivare con delle proposte». E precisa: «Non sta scritto da nessuna parte che le nostre erano condizioni vincolanti. Noi abbiamo approvato una strategia complessiva. Quel poco che abbiamo ottenuto lo porteremo a casa. Ma il progetto Mose deve andare avanti, era questo l’accordo».
Una linea che stride con le richieste pressanti da parte degli alleati di «assumere un’iniziativa per bloccare le ennesime forzature attuate sul progetto Mose da parte del presidente della Regione Giancarlo Galan. Il prosindaco Gianfranco Bettin ha presentato una interrogazione a Galan in cui chiede quali siano i motivi di una «evidente disparità di trattamento nell’esame di due pratiche in Salvaguardia». Se il Mose è stato approvato in tempo di record, senza nemmeno il tempo di esaminare il metro cubo di carte dei progetti, la Variante al Prg di Mestre ci ha messo un mese per essere trasmessa, un altro mese per fare un piano di scale ed essere protocollata. «Vorrei sapere», dice Bettin, «se Galan non ritenga di avviare un’inchiesta per verificare se vi siano state pressioni, violazioni di leggi o regolamenti e se si sia violato il principio di buona amministrazione, dato che la Variante interessa migliaia di cittadini». Una polemica per niente placata, quella sull’approvazione del progetto del Mose. Restano in piedi le minacce di ricorsi (anche sul «difetto di istruttoria» segnalato dall’avvocato Perulli, rappresentante del Comune). E ora potrebbe arrivare la richiesta di sospendere i lavori. Se non la farà il Comune, potrebbe farla la Provincia, che rappresenta tutti gli enti locali eslcusi dal voto. «Ne parleremo in giunta», dice l’assessore Ezio Da Villa. «Venezia è stata vittima di una forzatura politica», dice il vicepresidente Zoggia, «e di vendetta di chi non è riuscito a trovare ascolto in città. Ci attiveremo perché siano assunte tutte le iniziative a tutela del bene laguna».
«Perché insistere sulle dighe mobili senza valutare in modo approfondito soluzioni alternative al Mose?» Italia Nostra, l’associazione per la tutela del territorio, ha scritto un appello a Comune e Provincia, invitandoli a riflettere bene prima di dare il via a un progetto di quella portata. Il presidente della sezione veneziana Alvise Benedetti si dice «sempre più preoccupato per le decisioni assunte in questi giorni sul cosiddetto sistema Mose». Ricorda che esistono interventi alternativi (come i rialzi dei fondali, i pennelli, l’apertura delle valli, che possono proteggere per i prossimi venti-trent’anni la città dal 95 per cento delle acque medio alte.
Ma anche in tema di acque alte eccezionali - quelle sopra i 110 centimetri mai viste nel 2003 per cui il Mose è stato progettato - esistono soluzioni diverse da quelle proposte dal Consozio Venezia Nuova. Italia Nostra precisa che «non si tratta di sponsorizzare un progetto o l’altro», ma è dovere dell’associazione quello di sottoporre a chi ha la responsabilità di decisioni «il massimo delle conoscenze tecnico scientifiche, fino ad oggi puntate su un unico progetto».
Il progetto da esaminare con attenzione, secondo Italia Nostra, è quello illustrato qualche tempo fa dall’ingegner Vincenzo Di Tella, esperto di costruzioni marine. Che prevede in sostanza una chiusura parziale (ma reversibile, a differenza del Mose) delle bocche di porto, e il rialzo dei fondali nella parte rimanente della bocca. Vi sono anche altri progetti alternativi sul tavolo, fino ad oggi mai esaminati. «Questo», conclude Benedetti, «risponde alle condizioni di legge che prevedono opere sperimentali, graduali e reversibili». (a.v.)
VENEZIA. Non solo dighe. Il Mose prevede anche spalle in cemento e sbancamenti di milioni di metri cubi di materiale, tagli ai moli foranei ottocenteschi, grandi isole artificiali ed edifici costruiti in mezzo alle bocche di porto. Un impatto ambientale notevole, tra le osservazioni negative fatte dalla commissione Via che aveva bocciato il progetto nel 1999. Ma adesso il Mose va avanti. E l’unica osservazione di tipo «ambientale» arrivata dal ministero dei Beni culturali è stata quella di «porre attenzione nella tipologia dei nuovi edifici».
Per questo il Consorzio Venezia Nuova ha già dato incarico all’Iuav, la facoltà di architettura, di progettare gli edifici che dovranno sorgere in mezzo alla laguna. «Un incarico che abbiamo accettato», spiega il rettore dell’Iuav Marino Folin, «perché io sono convinto che se il Mose si farà almeno conviene farlo nel modo migliore possibile». L’Ufficio studi e progetti dell’Iuav ha già messo al lavoro i suoi esperti, ingegneri e architetti, per poter dare una risposta afeguata.
Nel progetto definitivo approvato in tempo di record dalla commissione di Salvaguardia sono previsti tra l’altro gli interventi di supporto alle paratoie. E’ il caso della grande isola artificiale davanti al bacàn di Sant’Erasmo, alta quattro metri, che dovrà agganciare le due file di paratoie da una parte e dall’altra della bocca di Lido. E ospitare i nuovi «edifici di controllo», le torrette di regia da dove dovrebbero in futuro essere azionate e controllate le paratoie. Ci sono anche i cantieri a terra, con le costruzioni «provvisorie» (dureranno però per i circa dieci anni di lavori) e gli altri edifici. Costruzioni che modificheranno radicalmente lo sky-line delle bocche di porto. E che il Consorzio Venezia Nuova vuole ora «mitigare» affidando il progetto alla facoltà di architettura. (a.v.)
La necessità istituzionale di dare un parere su una delle opere del Sistema MoSE (la “lunata”, una gigantesca diga in pietrame, lunga un chilometro e alta 4 metri sul livello del medio mare, da realizzare davanti alla Bocca di Lido) ha indotto il Consiglio comunale di Venezia a riesaminare la sua posizione sul MoSE. Nonostante i compromessi dovuti alla presenza, nella stessa maggioranza di centro-sinistra, di esponenti non contrari al MoSE, il documento votato dal Consiglio testimonia la volontà di prendere atto della debolezza della posizione assunta in precedenza (vedi i documenti dell’aprile 2003, in questa stessa cartella). E di passare da un “si condizionato” al MoSE a un netto No.
Il Gazzettino, 5 dicembre 2003
La nuova lunata è arrivata all'esame di Ca' Farsetti
Il progettista, Alberto Scotti, e i tecnici del Consorzio Venezia Nuova hanno illustrato ieri a Ca' Farsetti, in Commissione Ambiente (presidente il verde Flavio Dal Corso), la seconda versione dell'intervento di dissipazione della marea alla bocca di porto del Lido, nell'ambito del processo di Valutazione di impatto ambientale nel quale anche il Comune è tenuto a dare il suo parere.
Si tratta, come si ricorderà, di una grande "lunata ", di una diga in pietrame davanti alla bocca di San Nicolò, che la Commissione Via della Regione l'anno scorso aveva bocciato, e che il Consorzio ha recentemente ripresentato, modificando le prime ipotesi. La diga, inizialmente progettata di 1400 metri e con una particolare inclinazione rispetto alla costa, è stata ridotta a 1000 metri, e diversamente orientata, senza che ne vengano mutati gli effetti di riduzione della marea.«Il nodo - ha spiegato Scotti indicando il manufatto in pianta - è tutto nella testata Ovest». Quella è rimasta esattamente come era nel progetto originario, e non la si è spostata neppure di pochi metri, a differenza del resto della diga che attorno a questo caposaldo è ruotata come un compasso, e i modelli avrebbero dimostrato che così, anche accorciando la lunata , i risultati di dissipazione di marea non cambiavano.
La diga verrà eretta su un fondale tra gli 8 e i 10 metri, e sarà alta sull'acqua 4 metri. Costerà oltre 25 milioni di euro. Ridotto, secondo i tecnici del Consorzio, il possibile danno sulla qualità delle acque lungo i litorali, anche grazie a due interventi di fitodepurazione nel canale Silone e in aree barenose della laguna, che dovrebbero ciascuno ridurre l'apporto di fosforo di 80 tonnellate l'anno.
Andreina Zitelli, già componente della Commissione Via nazionale, ha ricordato che la delibera del Comitatone sugli 11 punti del Comune imponesse lo sviluppo progettuale di "tutti" gli interventi chiesti alla bocca di Lido dal consiglio comunale. «Questo è solo lo sviluppo di un progetto avvenuto prima - ha detto -. Dov'è il resto»? «Non ci sono altri interventi», hanno replicato i tecnici del Consorzio, rimandando ad altre trattative col Comune.
A Ca' Farsetti sono poi rimasti sì e no una ventina di giorni per dare un parere sul progetto di terminale petrolifero in mare, di cui Magistrato alle Acque & Consorzio hanno avviato la procedura di Via nazionale, visto che Venezia è stata considerata come un qualsiasi altro interlocutore non istituzionale. Al riguardo, il parlamentare diessino Michele Vianello ha chiesto al ministro Pietro Lunardi come intenda coinvolgere il Comune nella procedura, e con quali fondi intenda realizzare il terminale, dato che per la Salvaguardia la Finanziaria non prevede poste di bilancio.
Da ultimo, il Governo con un decreto sta cercando di porre rimedio alla bocciatura, subita al Tar, per il siluramento dei vecchi componenti della Commissione Via nazionale, tra cui le veneziane Zitelli e Maria Rosa Vittadini, ma al Senato è già battaglia.
Il Gazzettino, 5 dicembre 2003
«Si torni in Comitatone». È questo il grido di dolore
«Si torni in Comitatone». È questo il grido di dolore lanciato ieri dal consiglio comunale con un ordine del giorno, votato ovviamente a maggioranza, in cui si sottolinea «il perdurante inadempimento dello Stato agli impegni asssunti in sede di Comitatone, per il mancato assolvimento delle richieste già dettate dal consiglio comunale nell'ordine del giorno del 1. aprile 2003 come condizioni preliminari alla realizzazione delle opere mobili».
Tradotto: il consiglio comunale ha "scoperto" che dei famosi 11 punti con i quali il suo no al Mose si era magicamente tramutato ad aprile in un sì, 11 sono stati finora disattesi, mentre la "lunata " davanti a Malamocco sta ormai affiorando dal mare e il ricorso del Comune al Tar contro la Valutazione di impatto ambientale della Regione sul progetto della diga, non accompagnato a suo tempo da una richiesta di sospensiva, dorme da qualche parte.
«Si torni dunque in Comitatone», ha votato ieri il consiglio, dopo che la mozione stesa originariamente dall'assessore alla Legge speciale, Giampaolo Sprocati, aveva subìto limature e modifiche a più mani, e soprattutto una sostanziale cancellatura, proposta dall'assessore ai Lavori pubblici, Marco Corsini, e accettata dalla maggioranza. La versione originale, infatti, sosteneva che poiché degli 11 punti il Governo se n'era fatto un baffo, il sì al Mose tornava no, e si chiedeva che non venisse più autorizzato il passaggio alla progettazione esecutiva.
«Questo - ha poi spiegato il presidente della commissione Legge speciale, Flavio Dal Corso (Verdi) - lo faremo appunto in Comitatone». Per questa ragione, il Comune stilerà ora un corposo documento col quale, forte anche dei pareri e delle relazioni del consulenti del gruppo di lavoro, verrà dimostrato come e qualmente gli 11 punti siano stati disattesi. Il tema degli 11 punti è stato introdotto nell'articolata mozione con la quale il consiglio comunale ha bocciato, nell'ambito della procedura di Via regionale, il progetto della "lunata " a mare davanti alla bocca di porto del Lido che il Consorzio ha recentemente ripresentato in sostituzione di quello già respinto anche dalla Regione l'anno scorso. Si tratta di un'opera che dovrebbe dare effetti dissipativi della marea, cioé abbatterne i picchi, «ma il risultato - ha polemizzato Sprocati - è ridicolo, calcolabile in pochi millimetricon grande spreco di risorse pubbliche per un intervento che, così com'è, non ha senso di essere realizzato».
Sprocati, e con lui tutta la maggioranza, ha rilanciato invece l'approccio sistemico ai problemi della laguna. «Bisogna sperimentare le opere removibili, mobili» ha sostenuto Sandro Bergantin (Città nuova) rilanciando il principale degli 11 punti. «Qui ci prendono in giro», ha concluso Gianni Gusso (Ds), e la maggioranza ha votato compatta (24 sì, 12 no) anche se Saverio Centenaro (Fi) aveva irriso ai consulenti del Comune, arrivando a parlare di spese illegittime. Renato Darsié (Ci) ha duramente polemizzato per l'assenza del sindaco al momento del voto. Con 23 sì, 1 astenuto e soli 3 no (l'opposizione non ha votato) è stato bocciato anche il progetto del terminale petroli davanti a Malamocco, poi tutti a casa perché il Gruppo Misto ha lasciato l'aula, polemizzando per come era finito il voto sulla cartolarizzazione (vedi sopra), e la minoranza ha fatto saltare il numero legale.
La Nuova Venezia, 23 dicembre 2003
Bocciata la diga al largo del Lido
VENEZIA. Lo Stato è inadempiente sulla salvaguardia e non ha mantenuto gli impegni. La diga al Lido è inutile, e potrà provocare danni ambientali. Il Consiglio comunale rompe gli indugi e boccia a larga maggioranza i progetti delle nuove dighe al largo del Lido.
Un messaggio chiaro al governo, dopo quasi un anno di indugi. E una presa di posizione che potrebbe cambiare il corso della salvaguardia. Il via libera al progetto esecutivo del Mose era stato dato, nel dicembre 2002, con 11 condizioni «preliminari». Invece le richieste non sono state accolte. Così il Comune chiede ora di riconvocare il Comitatone per «verificare lo stato di attuazione delle attività del Magistrato alle Acque rispetto agli adempimenti fissati dal Comitatone in base alle richieste del Consiglio». Parere negativo anche sulla soluzione proposta dal Consorzio Venezia Nuova per le dighe al largo del Lido. Un chilometro di massi e una barriera alta quattro metri che avrebbe dovuto ostacolare l’ingresso dell’acqua in laguna. Ma il Consiglio ha ieri fatto proprio il giudizio espresso dalla commissione tecnica di Ca’ Farsetti. «Risulta totalmente insufficiente», si legge nel documento apoprovato ieri sera dall’assemblea, «e inoltre non risolve adeguatamente le problematiche ambientali».
Un documento duro, anche se la versione originale redatta dall’assessore alla Legge Speciale Paolo Sprocati è stata in parte limata. L’assessore Marco Corsini ha voluto aggiungere un passaggio che ricordava il ricorso al Tar sulle procedure dell’anno scorso (peraltro mai esaminato dal Tar perché il Comune non ha mai presentato la sospensiva). Ma ha modificato la parte che chiedeva di fermare la progettazione esecutiva fino alla messa in atto delle sperimentazioni chieste dal Comune. Cioè il «restringimento delle bocche con opere rimovibili e l’innalzamento dei fondali, senza creare problemi alla navigazione». Interventi di cui, secondo il Comune, bisognerebbe verificare i risultati prima di passare alla progettazione del Mose. «Il concetto è lo stesso», hanno garantito Ds e rossoverdi. Un ulteriore attacco al governo è stato votato sulla parte finanziaria, dopo il taglio dei fondi per la manutenzione ordinaria attuato - per la prima volta - dalla legge Finanziaria 2003.
Approvata ieri sera dal Consiglio comunale anche la delibera sulla cartolarizzazione. 25 milioni di euro di incassi previsti, a fronte della vendita di case, magazzini e palazzi di pregio (Ca’ Zaguri, Ca’ Nani, palazzo Costa) da affidare a una agenzia olandese che li metta sul mercato.
Proteste in aula da parte dei genitori dei bambini in attesa di un posto agli asili nido. E da parte di Zona bandita, un centro sociale che ha sede nella palestra della scuola. Il presidente del Consiglio di quartiere 1 Enzo Castelli ha preso la parola per esprimere «preoccupazione su una scelta sbagliata». «Prendo atto», dice, «che si è deciso di sottrarre spazi alle scuole». Qualche protesta anche da Rifondazione, che poi si è accontentata di un ordine del giorno che promette nuovi spazi. Pietrangelo Pettenò e Andreina Corso non hanno votato la delibera. «Un disguido tecnico» ha detto Pettenò. Alla fine, il provvedimento è passato con 22 voti a favore, 7 no e un astenuto (Bonafé).
La giunta ha deciso contro il parere del sindaco. E’ la prima volta in cinque anni, e su una questione non proprio secondaria come il progetto Mose. Il ricorso al Consiglio di Stato si farà, anche se Paolo Costa non avrebbe voluto. Uno schiaffo che non modifica la rotta del primo cittadino. «Il siluro si è infranto sulla corazzata», scherza Costa, «il ricorso è un atto irrilevante, e anche inutile. Non sposta di un ette la politica del Comune sulla salvaguardia e la coerenza di quanto abbiamo fatto finora».
Una sicurezza che però non modifica la situazione di grande tensione all’interno del centrosinistra sulla questone Mose. I prossimi giorni saranno decisivi. Perché il governo Berlusconi ha convocato per il 22 ottobre il Comitatone a Roma. E venerdì il Consiglio comunale dovrà dare il suo parere sulla questione dei cantieri per la costruzione dei cassoni del Mose, che il Consorzio Venezia Nuova vuole aprire a Santa Maria del Mare e Ca’ Roman. Ma due anni dopo il Comitatone che diede il via libera al Mose (nonostante il parere contrario del Consiglio comunale) gli unici interventi che procedono spediti sono quelli delle grandi dighe. Per il resto non ci sono progetti né finanziamenti. Ma sulla prossima riunione del 22 ottobre Costa ripone buone speranze.
«Mi aspetto che il governo dimostri la stessa leale collabotrazione che abbiamo dimostrato noi», dice. Basteranno un po’ di soldi tolti al progetto Mose (che ha avuto 709 milioni di euro dal Cipe, mentre la Finanziaria non ha stanziato nemmeno una lira per la città) ad accontentare il Comune?
Costa prende fiato. «Ci aspettiamo anche risposte sulle sperimentazioni promesse sui fondali. Ma è bene chiarire che quelle sperimentazioni sono inserite nel Mose. Nessuno può pensare che siano alternative. Sono interventi complementari che ridurranno l’impiego del Mose. Quello è il patto che abbiamo sottoscritto». Eccola la divisione, sempre più profonda, tra Costa e la sua maggioranza. Mentre sono sempre di più coloro che nel centrosinistra chiedono la «revisione del progetto Mose», il sindaco non nasconde di essere a favore delle grandi dighe. Una posizione che a dispetto degli alleati porta avanti con coerenza, da quando era ministro dei Lavori pubblici con il governo Prodi. Ecco il motivo della resistenza a presentare il ricorso al Tar, e della soddisfazione con cui lo stesso Costa aveva accolto la discussa bocciatura da parte dei giudici amministrativi veneti di tutti i ricorsi presentati dalle associazioni, dalla Provincia e dallo stesso Comune. Così il Comune ha tirato in lungo. Mentre Ca’ Corner, Italia Nostra e Wwf hanno depositato da tempo il loro ricorso, la giunta comunale è arrivata a discuterne l’altro ieri, a tre giorni dalla scadenza dei termini. Decisione presa a maggioranza, su proposta dell’assessore alla Legge Speciale Paolo Sprocati, del viccesindaco Mognato e dell’assessore all’Ambiente Paolo Cacciari. Il sindaco ha dichiarato il suo parere contrario, poi si è astenuto, insieme a Ugo Campaner e Loredana Celegato, assenti Marco Corsini e Giorgio Orsoni.
«Decisione inutile», ripete, «invece di perdere tutto questo tempo a mettere ostacoli si facciano proposte. Non vedo proposte che non siano per ritardare l’avvio del Mose». Una tesi che pochi, nella sua maggioranza condividono. C’è anche chi (Ds, Verdi, Rifondazione, Gruppo Misto), propone la linea dura. Cioè di rimettere in discussione la delibera del 3 aprile. perché attuata «senza rispettare le condizioni poste dal Comune». Un atto già impugnato alla Corte dell’Aja da 150 parlamentari del centrosinistra, su iniziativa del deputato Ds Michele Vianello. Clima che si riscalda, mentre la legittimità del Mose torna sotto i riflettori. Poteva un’opera così enorme essere approvata prima di ottenere il via libera della Salvaguardia, senza la Valutazione di impatto ambientale nazionale? Lo decideranno adesso i giudici del Consiglio di Stato.
VENEZIA — Spetta al ministro Lunardi abbattere il Mose fuorilegge. A sostenerlo è il Comune di Venezia, secondo il quale rompete al ministro delle Infrastrutture ordinare la sospensione dei lavori del sistema di barriere mobili contro l'acqua alta che lui stesso ha fatto iniziare, e disporre la demolizione delle opere costruite finora perché «difformi» rispetto a tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, comunali e regionali, oggi vigenti.
La «diffida» a Pietro Lunardi è contenuta nel dossier che il Sindaco di Venezia Massimo Cacciari ha inviato al ministro e al governatore della Regione Veneto Giancarlo Galan, sulla base di una relazione dell'architetto Giovanni Tornato, dirigente dell'ufficio comunale «Controllo del territorio». In essa si sostiene che, secondo la legge, l'articolo 28 del titolo IV del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (il Dpr 6-6-2001 n. 380), impone al Comune che riscontra degli abusi edilizi nelle opere realizzate da amministrazioni statali, come nel caso del Mose, di informare «immediatamente» il ministro delle infrastrutture e il presidente della Regione. A questi, dice la legge, rompete la «adozione dei provvedimenti previsti». In caso di abusi commessi da privati tocca invece ai Comuni intervenire. E i «provvedi-
menti previsti», in questi casi, sono drastici: sospensione «immediata» dei lavori, e demolizione delle opere abusive con «ripristino dello stato dei luoghi» entro 45 giorni dalla sospensione. Le violazioni alle leggi in vigore riscontrate dai tecnici comunali nei cantieri del Mo-
se, dove verranno installate le barriere mobili, sono 17: sette sulla «bocca di porto» di Malamocco, sei su quella di Chioggia, quattro su quella del lido. Sono le «bocche» che mettono in comunicazione il mare con la laguna.
Sulla «bocca» di Malamocco sarebbero abusive, secondo il Comune, la costruzione di una conca di . navigazione per le grandi navi e della relativa «spalla» di sostegno, i rinforzi al molo nord, l'eliminazione di una parte del molo sud, la realizzazione di un sostegno alle barriere mobili, il rafforzamento del muro del forte di San Pietro, e lo scavo di un canale per le opere di cantiere. Su quella di Chioggia sarebbero fuorilegge la realizzazione di un porto-rifugio peri pescherecci e dei relativi moli di sponda, la demolizione di parte del molo esistente, lo scavo di una porzione della battigia, la costruzione di un nuovo molo di contenimento dell'isola di Pellestrina e la formazione di una nuova isola vicino al forte Barbarigo. Sulla «bocca» del Lido, gli abusi riguarderebbero la realizzazione di un porto-rifugio per le barche, la costruzione di una nuova isola davanti a Sant'Erasmo, il rafforzamento del molo sud e lo scavo di un canale per il cantiere.
Se ministero e Regione non interverranno, il Comune di Venezia, insieme a quelli di Chioggia e Cavallino, si rivolgerà alla magistratura. E la battaglia del Mose si trasferirà nelle aule giudiziarie. Anche perché il Sindaco di Cavallino, Erminio Vanin, intende chiedere il risarcimento dei danni subiti per i lavori del Mose sia da privati cittadini che da aziende che dalla stessa amministrazione. «Chi ha deturpato una delle aree più belle • del nostro litorale — dice — dovrà anche farsi carico della sua ricomposizione complessiva».
«Noi non possiamo intimare nulla allo Stato — spiega Cacciari — però abbiamo segnalato le violazioni che abbiamo riscontrato, e abbiamo chiesto al ministero e alla Regione che cosa hanno intenzione di fare a questo punto». Maria Giovanna Piva, presidente del Magistrato alle acque, che è il braccio operativo del ministero delle infrastrutture, da cui dipende la costruzione del Mose, sostiene invece che tutti i lavori in corso sono «pienamente legittimi», perché l'approvazione del progetto Mose da parte della commissione perla salvaguardia di Venezia avrebbe «sanato» le violazioni urbanistiche riscontrate dal Comune. Le associazioni ambientaliste contrarie alla grande opera si sono costituite in una «Assemblea permanente No Mose». Simbolo uno squalo e lo slogan: «II Mose fa bene solo a chi lo fa».
In laguna arriveranno 38 cassoni
Una specie di Lego di ferro e cemento da montare sott’acqua
Alberto Vitucci, 28 agosto
Trentotto enormi cassoni in ferro e cemento da costruire in mezzo alla laguna. Il progetto Mose va avanti, e ieri il Consorzio Venezia Nuova ha spiegato cosa succederà nei prossimi anni al litorale, destinato a diventare un grande cantiere a cielo aperto. Primo atto della procedura di Impatto ambientale sui lavori della grande opera. «Sarà una specie di Lego», spiega soddisfatto il progettista del Mose Alberto Scotti, «i pezzi li faremo a fianco delle bocche di porto poi li monteremo sott’acqua». Le aree che saranno trasformate in cantiere sono Santa Maria del Mare a Malamocco (dove saranno costruite le grandi basi in cemento anche per San Nicolò), Chioggia e Treporti. Tutto per venire incontro, ha spiegato Scotti, «alla richiesta della commissione di Salvaguardia che ha voluto la produzione in loco, per incentivare l’occupazione e alla Regione che ci ha chiesto di delimitare le aree di lavoro». I cassoni saranno costruiti all’interno del porto rifugio, previsto al Lido e a Chioggia, mentre a Malamocco i lavori saranno compiuti su una collina artificiale a fianco della conca. Conseguenza sarà lo sbancamento di molte zone anche pregiate. «Vorrei sapere quali sono le misure di compensazione previste dal punto di vista ambientale», ha chiesto Federico Antinori, responsabile dell’oasi Lipu di Ca’ Roman, destinata in parte a scomparire, «e se avete avvisato l’Unione europea, secondo le procedure previste dalla direttiva Habitat». «No», è stata la secca risposta di Andrea Rinaldo, docente a Padova e consulente del Consorzio Venezia Nuova per lo Studio di Impatto ambientale. «La Valutazione di impatto ambientale ha superato queste analisi», ha precisato Scotti. «Ma quale Valutazione, se non è nemmeno stata fatta», sbotta Stefano Boato, che da anni segue la questione per il ministero dell’Ambiente. Anche per il nuovo progetto la procedura di Via sarà inviata alla Regione e non al ministero. Presenti in sala numerosi componenti dei comitati antiMose, che annunciano nuove manifestazioni di protesta dopo lo sbarco in bacàn di domenica scorsa. Il Wwf ha pronto il ricorso al Consiglio di Stato contro le sentenze del Tar Veneto che ha respinto in blocco tutti i ricorsi presentati sulle procedure, accogliendo completamente le tesi degli avvocati del Magistrato alle Acque e del Consorzio Venezia Nuova. Una battaglia destinata a infiammarsi a settembre, alla ripresa dell’attività politica. In Comune sono tante le forze politiche che chiedono alla giunta un «atto forte» dopo che l’ordine del giorno del Consiglio comunale che chiedeva di sospendere i lavori non è stato nemmeno preso in considerazione. Ma la procedura delle grandi opere va avanti spedita, e mentre il governo taglia anche le spese della carta igienica ai comuni, i fondi per le grandi opere non sono in discussione. Il ministro per le Infrastrutture Pietro Lunardi ha infatti ribadito che non ci saranno problemi, e la programmazione può proseguire. Il Mose è stato inserito tra le opere «intoccabili», insieme al ponte sullo Stretto, Frejus, Salerno-Reggio Calabria e passante di Mestre. Ma le perplessità in città sono molte. L’opposizione alla grande opera passa trasversalmente ai partiti, e interessa molti semplici cittadini che hanno aderito ai comitati. «Daremo battaglia», promette Salvatore Lihard, della Cgil, «e ci dovranno ascoltare». Intanto il progetto dei megacantieri è partito. Per le osservazioni ci sono 50 giorni di tempo.
Dopo lo sbarco in bacàn ricomincia la battaglia
Mose, pronti nuovi ricorsi,
28 agosto 2004
LIDO. Ricorso al Consiglio di Stato contro le procedure adottate per approvare il Mose. Il Comune tentenna, e l’iniziativa la prendono gli ambientalisti. Sinistra ecologista, il movimento fondato da Edo Ronchi e Fulvia Bandoli, ha già pronto il ricorso che sarà presentato nei prossimi giorni. Le associazioni contestano la decisione del Tar del Veneto (presidente Stefano Baccarini) che ha respinto in blocco i ricorsi presentati. Molte delle osservazioni riportate nelle motivazioni della sentenza, osservano gli ambientalisti, sono discutibili. Dunque gli estremi per un ricorso in secondo grado esistono. Ne sembra convinta anche la Provincia, che ha presentato due mesi fa un ricorso alla Corte europea dell’Aja. Il presidente Davide Zoggia ha annunciato la presentazione del ricorso al Consiglio di Stato. Diverso il caso del Comune, dove com’è noto il sindaco Costa è un sostenitore della grande opera fin dai tempi in cui era ministro dei Lavori pubblici. Costa ha annunciato di non voler presentare ricorsi, proprio mentre gran parte della sua maggioranza (Ds, Verdi, Rifondazione, Gruppo Misto) si sono espressi in modo esplicito contro i lavori alle bocche. Una manifestazione molto partecipata si è svolta domenica scorsa sulla spiaggia del bacàn di Sant’Erasmo, destinato a scomparire per far posto alla grande isola artificiale di sette ettari. Dopo la pausa estiva riprende dunque la battaglia contro il Mose. I comitati annunciano iniziative a raffica. «Per far capire alla gente», dicono, «quali saranno le conseguenze della costruzione delle dighe». Solo al Lido saranno scavati cinque milioni di metri cubi di fondali, sostituiti con il cemento, piantati migliaia di pali in ferro lunghi trenta metri. Un cantiere che durerà dieci anni e cambierà per sempre il volto della laguna, fissando i fondali alla quota di dieci metri per ospitare gli enormi cassoni. Molti, non soltanto tra gli ambientalisti, si chiedono se sia proprio necessario. E la campagna di autunno, anche in vista dell’elezione del nuovo sindaco, è già cominciata. (a.v.)
Gasparetto (Salvaguardia) polemizza con il sindaco Costa
GRANDI OPERE «Io voto seguendo la mia coscienza»
19 agosto 2004
Una bacchettata respinta al mittente. Con gli interessi. Una lettera durissima, quella inviata ieri dal rappresentante del Comune in commissione di Salvaguardia, l’architetto Cristiano Gasparetto, al sindaco Paolo Costa. Che qualche giorno fa aveva invitato i rappresentanti eletti dal Comune a «collaborare di più per far apoprovare i progetti presentati dalla giunta». «Non è concepibile», aveva scritto tra l’altro il sindaco, «che i rappresentanti del Comune non partecipino ai lavori o se vi partecipano non tengano in nessuna considerazione la volontà degli organi di governo della città». Un atteggiamento reiterato che secondo Costa avrebbe addirittura «danneggiato l’imagine dell’amministrazione, ritenendo poco credibili i progetti presentati». Ma secondo Gasparetto quelli del sindaco sono «rilievi errati e pretestuosi». «Per quanto riguarda le presenze basta guardare i verbali», scrive l’architetto, «il sottoscritto è tra i più presenti». «Per quanto riguarda l’allineamento alle scelte politiche dell’amministrazione», continua Gasparetto, «ella non può ignorare le leggi che costituiscono la commissione, né tantomeno il pronunciamento della Corte costituzionale del 1998». Secondo Gasparetto insomma, la commissione non è certo parificabile a una conferenza di servizi tra i vari enti, come sostenuto dal sindaco. E dunque ogni membro eletto (due dalla maggioranza e uno dalla minoranza in Consiglio comunale) ha «l’obbligo e il diritto ad agire in piena autonomia, secondo scienza e conoscenza». Gasparetto continua invitando il Comune ad adeguare invece tutti gli strumenti urbanistici alle norme del Palav (la legge speciale lo prevede da nove anni, e in quel caso la commissione sarebbe abolita, ndr), e citando due grandi progetti su cui lui stesso - e buona parte della maggioranza - non la pensano come Costa: Mose e sublagunare. «Il primo è inutile, pericoloso e costosissimo, la seconda un pericolo anche sociale per la città». «Mi pare che queste posizioni di Costa», conclude Gasparetto, «siano infondate, pretestuose e strumentali, «e forse la reprimenda scaturisce dall’impossibilità di accettare, su nodi di così grande rilievo, diversità non riducibili al solo piano politico, ma che rappresentano strutture culturali profonde. Ognuno, fortunatamente, ha la sua cultura». (a.v.)
Il sindaco bacchetta i consiglieri
8 agosto 2004
I consiglieri della Commissione di Salvaguardia nominati dal Comune di Venezia devono avere un occhio di riguardo per i progetti sottoposti al suo esame da Ca’ Farsetti. Non è una preghiera, ma una richiesta formale del sindaco Paolo Costa inviato agli architetti Cristiano Gasparetto e Antonio Gatto e all’avvocato Gianfranco Perulli, rappresentanti del Comune in Salvaguardia. «In più di un’occasione in merito a questioni le più diverse, ma tutte di grande interesse della città - scrive il sindaco ai tre consiglieri”tirando” loro le orecchie - ho dovuto, mio malgrado, rilevare come i componenti della Commissione per la Salvaguardia di Venezia espressi dall’Amministrazione Comunale abbiano brillato per le loro assenze nelle sedute della Commissione stessa e, se presenti, per la scarsa collaborazione rispetto ai progetti presentati dal Comune. Tale atteggiamento, reiterato, ha danneggiato l’immagine dell’Amministrazione Comunale nei confronti delle altre Amministrazioni rendendo poco credibili i progetti e i piani presentati nel Comune di Venezia». Costa ricorda che - se formalmente i tre consiglieri non sono legati a un esplicito vincolo di mandato - nello spirito della Legge Speciale che ha costrituito la Commissione di Salvaguardia, essi sono comunque tenuti a rappresentare la posizione del Comune e a tenere in considerazione la volontà di Giunta e Consiglio comunale. Visto che «nelle prossime settimane la Commissione di Salvaguardia sarà chiamata ad esaminare degli importantissimi provvedimenti di grande interesse per l’Amministrazione comunale - scrive ancora Costa - i tre consiglieri si regolino di conseguenza e non facciano scherzi. (e.t.)
Chi è serio si dimetta,
Ufficio di piano sotto tiro
VENEZIA. Un Ufficio di piano alternativo. Una sorta di governo ombra, composto di tecnici indipendenti, che possano fornire indicazioni tecniche sui progetti della salvaguardia. E’ la proposta provocatoria, avanzata dal capogruppo di Rifondazione a Ca’ Farsetti Pietrangelo Pettenò. «Hanno tradito i patti, quello è un gruppo di tifosi del Mose, in larga parte consulenti del Consorzio Venezia Nuova», accusa Pettenò. Che invita «le persone serie» nominate dal governo nell’Ufficio di Piano a dimettersi. «Hanno lasciato fuori il rettore di Ca’ Foscari», tuona Pettenò, «per mettere quello che è stato sconfitto nella corsa al rettorato, hanno messo i consulenti del Consorzio e non gli esperti di idraulica come D’Alpaos».
Monta la polemica sul fronte della salvaguardia. Oggi pomeriggio a Ca’ Farsetti si svolgerà l’atteso vertice di maggioranza con il sindaco Costa. Rifondazione, ma anche Ds, verdi, Gruppo Misto e Sdi, chiedono al sindaco di chiarire gli aspetti «poco chiari» della vicenda. Una delle richieste avanzate al Comitatone dell’anno scorso era quello di istituire l’Ufficio di Piano. «Adesso aspettiamo che siano mantenuti gli altri due punti», dice il sindaco, «cioè i finanziamenti alla città e l’avvio delle sperimentazioni alle bocche di porto. Solo così potremo vedere se è sono stati mantenuti i patti. Noi abbiamo sempre dato al governo una leale collaborazione».
Ma il problema sembra sempre più complicato. Mentre gli ambientalisti attendono l’esito del ricorso al Tar contro il progetto Mose (udienza fissata per il 6 maggio) in Parlamento il deputato Michele Vianello ha presentato un’interrogazione di fuoco denunciando un probabile «conflitto di interessi» tra tutti gli studiosi nominati nell’Ufficio di Piano che hanno svolto «attività di consulenza per il Consorzio progettista delle opere».
Una battaglia aperta su più fronti. E oggi la commissione Legge Speciale presieduta da Flavio Dal Corso ha in programma l’audizione dei rappresentanti del omune in seno alla commissione di Salvaguardia. L’architetto Cristiano Gasparetto e l’avvocato Gianfranco Perulli dovranno illustrare alla commissione l’andamento della seduta della commissione di Salvaguardia che aveva approvato il progetto definitivo del Mose tra accese polemiche. (a.v.)
MOSE Comune in fibrillazione
La maggioranza "convoca" Costa
I Ds pretendono un chiarimento
(S.T.) Il deputato diessino Michele Vianello ha mandato ieri un'interrogazione ai ministri Lunardi (Infrastrutture) e Matteoli (Ambiente) sulla costituzione dell'Ufficio di Piano, ricordando l'assoluta necessità della sua neutralità, dato che tra le sue funzioni c'è la verifica tra gli indirizzi del Comitatone e l'operato del Consorzio Venezia Nuova, e dunque chiedendo «se i singoli membri dell'Ufficio di Piano abbiano svolto attività, retribuite o non retribuite, direttamente o tramite società, Istituti universitari o altri Enti, per conto del concessionario Venezia Nuova o di società appartenenti al succitato Consorzio».
Una domanda retorica, perché tra i 13 componenti dell'Ufficio nominati da Berlusconi vi è certamente chi ha avuto rapporti anche professionali col Consorzio, e comunque destinata ad avere effetti non solo a Roma, ma anche a Venezia. «Eh sì - ammette Vianello -, ho fatto l'interrogazione anche perché ora i miei devono venire allo scoperto». I Ds, infatti, sul tema generale della Salvaguardia sono stati finora tra il timido e il diviso, ma l'ultimo schiaffo dell'Ufficio di Piano - un ufficio che Gianfranco Bettin (Verdi) non ha esitato a chiamare"Del Mose" per la sua composizione - sembra avere provocato una scossa. La Quercia alla fine si è data una linea unitaria incentrata su alcuni capisaldi: sostegno ai ricorsi al Tar contro il Mose; battaglia anche nazionale a favore degli 11 punti; accelerazione sugli interventi alternativi alle bocche di porto.
E ieri il capogruppo della Quercia in consiglio comunale, Livio Marini, ha convocato al volo una riunione di maggioranza, che si è conclusa con un documento che sarà la base di un incontro a 360 gradi col sindaco sulla Salvaguardia. «L'intento - ha spiegato Sandro Bergantin (Città nuova) - è mettere Costa alle strette». Nel mirino, infatti, c'è anche il sindaco, accusato senza mezzi termini di slealtà da Rifondazione, anche per la presenza di Ignazio Musu nell'Ufficio di Piano. Una candidatura sostenuta da Costa anche dopo che il professore s'era dimesso da consigliere comunale in polemica col il documento degli 11 punti, e nonostante il no sul suo nome di Ds e Polo rossoverde per l'incompatibilità che così si era creata.
Il documenro siglato ieri avverte che l'Ufficio di Piano, anche se richiesto da sempre dal Comune, «non può prescindere da regole di rigore istituzionale», a afferma che se i suoi componenti saranno quelli anticipati dalla stampa (il decreto, infatti, non è ancora pubblicato) «ci troveremmo in presenza di soggetti che avendo svolto compiti di consulenza per enti privati sulle opere, sarebbero ora chiamati a controllare le medesime e il proprio operato». Su Musu c'è un accenno senza far nomi, e il documento si conclude indicando che il chiarimento col sindaco dovrà comprendere, in vista del Comitatone, i temi dell'integrale applicazione degli 11 punti del Comune «a partire dall'indispensabile criterio della sperimentazione alle bocche di porto».
Il Consorzio Venezia Nuova, potente pool di imprese che ha proposto, elaborato e ora realizzato un particolare tipo di progetto per dividere il mare dalla laguna di Venezia, ha pure per trent'anni distorta l'informazione nazionale ed internazionale. Anche se ora risulta difficile comunicare una realtà assai complessa, la necessità di altre soluzioni realizzative lo impone. A Venezia le stesse forze politiche della sinistra hanno faticato a lungo per arrivare a capire ed ora finalmente a schierarsi tutte di conseguenza, che il MoSE «serve solo a chi lo fa» come recita un recente manifesto dell'Assemblea permanente contro il MoSE costituita da tutte le Associazioni che da anni lottano per la salvaguardia della laguna. Il progetto è un'opera ingegneresca, segnata tecnologicamente già dal tempo (scherzosamente detto il ferro vecchio), che da sola dovrebbe bloccare le acque alte nella laguna e gli allagamenti di Venezia e delle isole che avvengono con sempre maggiore frequenza ed intensità. Una mega opera salvifica che non interviene sulle cause del fenomeno (interramenti e canali devastanti la laguna) ma vorrebbe risolverlo operando solo sugli effetti. Esistono precise leggi speciali per Venezia che regolamentano cosa dovrebbe essere un'opera di salvaguardia lagunare: il MoSE non rispetta questi dettati, ma - cosa ancor più grave - è inefficiente e pericolosa proprio rispetto all'obiettivo che si propone. Inefficiente perché, ad esempio, delle 94 acque alte che nel 2003 hanno allagato piazza san Marco, se già costruito ne avrebbe evitate 7. Inutile perché se, nei prossimi anni, ci fosse un innalzamento del livello marino legato all'effetto serra come ampiamente previsto dagli scienziati, sarebbe del tutto inutilizzabile. Pericoloso fisicamente poiché non dà sufficienti garanzie di tenuta per certe particolari mareggiate (il cosiddetto «fenomeno della risonanza»). Non solo, il danno è anche sociale in quanto penalizza fortemente tutti i traffici commerciali marittimi che possono permettere una riconversione ecocompatibile dell'ex polo industriale di Marghera. Pericoloso perché modifica in maniera irreversibile l'ambiente lagunare devastandolo con una nuova isola, nel centro della bocca di porto, di 9 ettari; 9.000.000 di mc. di pietre; 8.000.000 mc. e 12.000 pali di cemento; 5.960 palancole d'acciaio; 157 enormi cassoni di cemento in parte sommersi; 560.000 mq. di pietrame ed infine 79 paratoie mobili per un totale, preventivato per la sola costruzione, di più di 8.000 miliardi di vecchie lire. Ma se il MoSE è tutto questo, come effettivamente è, e se non ci fossero alternative, sarebbe opportuno prenderlo in considerazione magari cercando di migliorarlo e mitigarne l'impatto. La situazione però non è questa: anni di studi, ricerche, opere e sperimentazioni hanno costruito le alternative.
Si possono: costruire sistemi che riducano la portata dell'acqua in entrata alle bocche, disinquinare la laguna ed aprire alla circolazione delle acque le valli da pesca aumentando così la dimensione dell'invaso lagunare, verificare la possibilità di innalzamento dei suoli con insufflazioni nel profondo. Oppure diversificare le bocche di porto in relazione al tipo di traffico (turistico, commerciale) e estromettere il traffico petrolifero in laguna con un terminal off-shore. Si può impedire anche l'attraversamento del bacino di San Marco alle enormi navi crociera con la costruzione di un terminal in prossimità della bocca di porto e quindi innalzare i fondali alle tre bocche con riduzioni dei varchi d'entrata.
L'insieme di queste opere sistemiche, nessuna sufficiente da sola ma virtuose nell'insieme, il cui scopo è essenzialmente diminuire in quantità e forza lo scambio acqueo col mare, può ridurre, come verificato dal C.N.R., di 22-27 cm. l'altezza di tutte le maree e non solo di quelle più alte, come dovrebbe fare il MoSE.
Questo significa tornare ad una situazione simile a quella della prima metà dell'800 (1 o 1,5 acque alte in media l'anno con valori ridotti per tutte di 27 cm. rispetto alle attuali) e attendere maggiore precisione nella previsione dell'innalzamento dei mari per l'effetto serra. Su queste basi si dovrebbero decidere eventuali interventi, se necessario ancor più radicali ma con tecnologie innovative appropriate e realmente efficienti anche per il futuro.
Comunque si voglia valutare, tutti i cantieri già iniziati da un anno sono illegittimi. Su questo sta operando l'amministrazione comunale per chiedere al ministero il fermo dei lavori. Sono illegittimi perché non conformi in ben 14 punti con i piani urbanistici di Venezia, 3 per i Comuni vicini, 8 col Piano Regionale della laguna e 4 con procedure obbligatorie europee per aree protette. Su questa realtà si basa il nuovo conflitto che sta montando. Conflitto particolarmente complesso perché coinvolge i movimenti, le istituzioni (anche al loro interno) e le omertà dei poteri forti capaci di trasversalità politica; l'informazione gioca un ruolo particolarmente attivo che i movimenti hanno ben compreso facendosi carico unitariamente dell'allargamento del fronte di lotta, anche a livello europeo, con controinformazioni e presidi attivi sul territorio. Il sindaco Cacciari è stato esplicito nel rilevare l'irregolarità dei lavori: a breve si vedrà come si comporterà la maggioranza, in gran parte Margherita, che lo ha eletto. La sinistra tutta che ha raggiunto processualmente una difficile unità, dovrà rafforzarla per imporre, con i movimenti, il blocco immediato di tutti i lavori. Un blocco che rimanderebbe tutto al dopo elezioni, quando un governo rinnovato dovrebbe uscire dalle ambiguità che nel passato hanno permesso di portare il progetto all'inizio dei lavori.
Un'illustrazione più ampia delle alternative al MoSE negli articoli sul progetto Di Tillo e altri e sull'ARCA.