|
Torna a: Venezia: a rischio?
Venezia, 24 marzo 2005 - Ho letto con interesse la postilla alle notizie sulla ripresa degli scavi del Canale dei petroli. Sin dall'alluvione del 1966 fu indicato dalla Sezione veneziana di Italia Nostra come una delle cause del degrado lagunare. Studi successivi hanno rivelato che il canale Malamocco-Marghera ha generato danni irreversibili, provocando l’appiattimento dei fondali in tutta la Laguna sud, l’asportazione della terra dalle barene e dalle isole: in una parola, la distruzione della complessa e ricca morfologia caratteristica della Laguna, ragione principale della sua capacità di moderare le maree, di nutrire una flora e una fauna uniche al mondo, e di costruirne l’incomparabile paesaggio. È davvero stupefacente come nessuno si domandi da dove vengano i milioni di metri cubi di fanghi che ci si propone di dragare dal canale dei petroli! Sono esattamente il prodotto dell’aspirazione, da parte della depressione costituita dal canale, dei limi che costituiscono la vita stessa della Laguna.
Grazie della precisazione alla postilla. Negli ultimi 40 anni si sono imparate molte cose della Laguna. Purtroppo non le ha imparate chi governa la Regione e la Repubblica (e neppure tutti i governanti locali) Per troppi decisori la Laguna è un terreno incolto sul quale si possono montare tutti i caroselli e gettare tutti i rifiuti.
LIDO. «Il Mose è un progetto da bocciare». Questo il parere di almeno 200 lidensi intervenuti mercoledì sera al Palazzo del Cinema all’assemblea contro la realizzazione delle dighe mobili con l’intento - da parte delle associazioni ambientaliste - di sensibilizzare la cittadinanza sui danni che il sistema di paratie provocherebbe all’ecosistema lagunare in vista della sentenza del Tar il 6 maggio.
Prossime tappe di questa campagna itinerante di conferenza saranno Mestre e la serata conclusiva il 5 maggio in centro storico. Durante la serata i tecnici e gli ingegneri dei gruppi organizzatori - Rocchetta e Dintorni e Murazzi e difesa del territorio - hanno focalizzato la loro attenzione su alcuni aspetti del Mose. L’impatto ambientale e estetico, la relativa efficacia delle paratie mobili, l’irreversibilità della costruzione, i costi esorbitanti dell’operazione, i tempi di realizzazione nonché quelli di funzionamento. Sono state poi presentate alcune soluzioni alternative già in uso con successo in alcuni paesi europei.
«C’è stata poca informazione reale sul progetto - dice l’igegner Fabio Cavolo - la gente non sapeva realmente cosa fosse il Mose, le sue dimensioni reali, i costi, i danni, le sue alternative. Il nostro intento dichiarato era quello di portare il maggior numero di informazioni possibili a disposizione della cittadinanza. Ora chi ci ha seguito potrà valutare meglio quello che sta succedendo».
Su tutti i temi trattati uno in particolare ha sollevato le maggiori critiche da parte della gente. La sparizione dell’oasi estiva del Bacàn come conseguenza dello scavo delle conche di navigazione. «Un’ipotesi catastrofica» è stato detto «per chi come i veneziani vive parte delle loro vacanze estive in quel piccolo angolo di pace alle bocche di porto». Grande interesse poi hanno suscitato le opere alternative. Ad esempio l’innalzamento del fondale delle bocche di porto, o ancora, la loro restrizione. Lavorando cioè dal punto di vista idraulico su una diminuzione dell’afflusso delle acque. «Sono opere - dice ancora Fabio Cavolo - che potrebbero portare a una diminuzione dei livelli di marea di almeno 15 centimetri, salvaguardando la città dalla maggior parte delle acque alte», Ma anche utilizzando sistemi di corpi morti affondati. «Tutte opere - insiste l’ingegnere - che avrebbero due pregi, di avere dei costi molto inferiori e di essere di natura reversibile».
Ora gli ambientalisti replicheranno. Mestre la prossima settimana e il 5 maggio a Venezia. Poi il giorno seguente la sentenza del delTar. «Aspettiamo con il fiato sospeso» dicono gli ambientalisti.
Che cos'è la Laguna di Venezia
Something about MoSE, in english
VENEZIA. Le vibrazioni puntualmente registrate sul rullo del Mareografo del Campanile di San Marco si impennano quando in Bacino passano le grandi navi da crociera, confermando le preoccupazioni del Quartiere di Castello e le proteste dei residenti della zona sugli effetti del passaggio delle grandi navi. E proprio agosto è uno dei mesi più a rischio, secondo le rilevazioni dell’Istituto Idrografico.
Un esempio per tutti: il 26 agosto di due anni fa, perché la situazione oggi, rispetto al passaggio delle navi da crociera, è esattamente la stessa. Il mareografo registra le oscillazioni di marea, ma funziona anche - in qualche modo - come un sismografo, registrando le vibrazioni sull’acqua. Dopo una notte senza registrare vibrazioni, la curva del mareografo comincia a vibrare verso le 5 del mattino, quando entra in Bacino, diretta verso la Marittima, la Splendid of the Seas, una delle navi da crociera che fanno rotta a Venezia.
Dopo un periodo di quiete, un’altra violenta increspatura verso le 8.30, quando a transitare per San Marco è la Costa Atlantica, in arrivo. Il tracciato del mareografo, quel giorno, resta abbastanza tormentato, ma si impenna bruscamente verso le 17, in concomitanza con la partenza della Rotterdam 6, per toccare poi il punto di maggiore oscillazione poco dopo le 18, quando è nuovamente la Costa Classica a partire dalla Marittima e ad attraversare maestosa per il bacino di San Marco, per regalare ai suoi passeggeri un’immagine da cartolina della Venezia monumentale.
Poi, le increspature del mareografo si placano, come le grandi navi che passano per l’area marciana. Ma il giorno dopo si ricomincia, con nuove oscillazioni sul tracciato. Quando? Intorno alle 8.30, quando a passare è la Costa Classica.
Una corrispondenza impressionante, nonostante solo pochi mesi fa i consulenti incaricati dal Porto di rispondere alle preoccupazioni dell’opinione pbblica sugli effetti del passaggio delle grandi navi, abbiano ribadito che, a loro avviso, «le navi da crociera da 60 mila tonnellate di stazza, secondo gli esperti idraulici, «generano un moto ondoso molto contenuto, che non si distingue dal cosiddetto rumore di fondo, cioè dalle onde provocate dalle altre barche che passano ogni giorno per il canale della Giudecca». Più della Mistral o della Princess, insomma, farebbero onde «le barche a motore, i mezzi Actv e quelli della polizia». Come spiegare, allora, quelle vibrazioni che il mareografo di San Marco registra al loro passaggio?
«E’ assurdo - spiega uno dei rappresentanti dell’Associazione Arco, che raccoglie i residenti di Castello orientale preoccupati per l’impatto delle grandi navi sulla zona - che solo per non privare i crocieristi del passaggio in bacino di San Marco, si creino seri fastidi a molti veneziani e si metta a rischio il suo patrimonio monumentale. Le navi da crociera potrebbero infatti passare tranquillamente per il canale dei Petroli, e lo dimostra il fatto che, per la festa del Redentore, per una delle navi della Costa crociere, questo è puntualmente avvenuto».
Le vibrazioni e le emissioni sonore dei motori continuano a preoccupare e la stessa Arpav - l’agenzia regionale per la protezione ambientale - ha riconosciuto l’incompatibilità dei livelli acustici e la stesso Commissioine Ambiente del Comune ha richiesto una Valutazione d’impatto ambientale. Un problema sempre aperto e sul quale anche il sindaco e commissario al traffico acqueo Paolo Costa ha promesso risposte
Alla relazione ha fatto seguito il Decreto congiunto del ministero dell'Ambiente e del ministero per i Beni Culturali (cosiddetto decreto Ronchi-Melandri), del 24 dicembre 1998, che respingeva il progetto subordinandolo ad altri interventi giudicati prioritari. Contro il decreto ricorreva la Regione Veneto e otteneva vittoria al Tribunale amministrativo regionale, per vizi formali. La sentenza del TAR non inficia la sostanza delle conclusioni della commissione VIA, che resta tuttora valida e illustra a sufficienza i dubbi e le preoccupazioni. Il testo è scaricabile in formato .pdf.
La Commissione ritiene che la salvaguardia di Venezia non possa perseguirsi senza il governo complessivo del sistema lagunare, inteso come l'insieme del bacino scolante in laguna e dei grandi fiumi contermini alla laguna stessa, dell'arco di costa e del settore marino sotteso tra le foci dei fumi Adige e Brenta, delle bocche lagunari, del bacino lagunare e delle sue unità morfologiche ed antropiche: gli eventi che in essi si determinano interagiscono in modo complesso e non lineare.
La Commissione ritiene che il Progetto, raccogliendo in un'unica azione e tipologia gli interventi relativi all'attenuazione delle maree in laguna medie e gli interventi volti alla regolazione delle “acque alte” eccezionali, anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolazione delle maree, e perciò comportando un sempre più elevato numero di chiusure, non è in grado di governare le maree più frequenti e medio-alte, se non a danno della portualità e dell'aperto e continuo scambio tra mare e laguna.
La Commissione ritiene il governo continuo dello scambio tra mare e laguna, uno degli elementi ineludibili per la ricomposizione ed il mantenimento dell'instabile e fragile equilibrio tra l'ambiente marino e l'ambiente della terraferma, da cui origina.
Tale equilibrio tra acque dolci e salmastre, non ë semplicemente uno stato morfologico ed idrodinamico, ma è la ragione della sopravvivenza del mosaico ambientale ed antropico che definisce la natura stessa della laguna.
La Commissione ritiene che tale equilibrio non possa che essere ottenuto con un insieme articolato di opere ed interventi nel rispetto delle caratteristiche della sperimentalità, reversibilità e gradualità, tutti concorrenti al perseguimento di tal fine.
Per tanto la Commissione ha reputato indispensabile uno stretto collegamento tra la valutazione del progetto e il Piano degli interventi per il recupero morfologico della laguna elaborato da Proponente all'interno della Concessione dal Magistrato alle Acque.
La Commissione alla luce delle considerazioni precedenti,valuta grave la mancanza della ricerca e della definizione di indicatori obiettivo per il sistema ambientale, verso i quali indirizzare la programmazione degli interventi e la progettazione delle opere.
A proposito del Piano per `il recupero morfologico
La Commissione ritiene opportuna, ma insufficiente l'azione di contrasto agli squilibri morfologici ìntrapresa dal Piano degli interventi per il recupero morfologico della laguna.
La Commissione ritiene gli obiettivi dichiarati dal Proponente per il Piano degli interventi per il recupero morfologico della laguna, non completamente assunti, e le azioni per raggiungerli contraddittorie e ìncapacì di garantire l'equilibrio dinamico sul lungo periodo;
La Commissione considera grave la mancanza di una esplicita discussione del processo evolutivo che in conseguenza degli interventi non solo morfologici proposti, dovrebbe pur condurre ad un nuovo stato di equilibrio dinamico lagunare. Né il Progetto di massima degli interventi per il recupero morfologico della laguna, né il SIA offrono a questo proposito adeguati riferimenti analitici e progettuali.
La Commissione ritiene, in assenza di qualunque dimostrazione, fuorviante la valutazione del proponente che l'erosione dei bassifondi e delle barene con interrimento dei canali sia un fenomeno più rilevante del deficit di sedimenti della laguna nel suo complesso. La rinuncia a considerare l'azzeramento del deficit come obiettivo primario produce mancanza di chiarezza su quale riequilibrio si voglia o si possa conseguire.
La Commissione ritiene che l'indifferenza. degli interventi proposti rispetto alla regolazione sia degli afflussi delle acque fluviali e di scolo, sia dei volumi di marea scambiati alla bocche, non può essere assunta quale criterio né di maggior accettabilità nel confronto tra le diverse soluzioni progettuali attualmente proponibili e perseguibili nel futuro, né di ottimizzazione del Progetto stesso, sino a quando non si sia sperimentalmente stabilito lo stato attuale dell'evoluzione morfologica della laguna e dimostrata l'efficacia del Piano degli interventi al fine di perseguire:
• l'azzeramento del deficit del bilancio degli scambi di materiale solido tra il sottosistema del bacino lagunare e gli altri sottosistemi;
• il determinarsi di sezioni di equilibrio sia nei canali lagunari che in quelli delle bocche;
• il riequìlìbrio lagunare ed il ristabilirsi di condizioni di resilienza e vitalità dell'ambiente lagunare,
La Commissione ritiene quindi assolutamente necessario procedere a tali verifiche ed al riesame critico, sia degli indicatori idrodinamici, morfologici ed ambientali che possano definire gli obiettivi di riequilibrio, sia dell'efficacia e della consistenza delle modellazioni numeriche proposte.
In conclusione la Commissione ritiene che:
a) il Progetto non dia certezza del perseguimento degli obiettivi fissati dal Piano per il riequilibrio morfologico in quanto per assunzione dello stesso Proponente, si rende indipendente da esso e, quindi, non contribuisce al riequilibrio stesso;
b) il Progetto possa essere incompatibile con la eventuale necessità di introdurre ulteriori interventi alle bocche al fine di perseguire il ripristino della morfologia ed in generale la salvaguardia lagunare, necessità che la Commissione ritiene attendibile. L'incompatibilità è da ricondurre alla filosofia di base del Progetto di perseguire la maggiore uniformità costruttiva e gestionale possibile evitando così la necessità di integrazione con altri possibili interventi. Ciò conferisce al Progetto caratteristiche difficilmente compatibili con la sperimentalità, reversibilità e gradualità richieste dal voto del Consiglio superiore dei lavori pubblici n.209 del 1982 ai fini del buon governo unitario del sistema lagunare.
La Commissione valuta necessario l'adeguamento di tutti gli interventi proposti e di quelli utili al governo unitario del sistema lagunare e al raggiungimento di una capacità cooperativa necessaria per:
• mantenere l'equilibro tra acque dolci e salmastre,
• aumentare la capacità di intercettazione dei sedimenti della laguna.
• massimizzare il trasferimento di materiale solido dal mare alla laguna, garantendo la tranquillità della navigazione, e dalla terraferma alla laguna, controllando gli agenti eutrofici.
La Commissione ritiene che il complesso degli interventi diffusi previsti dalla legislazione speciale costituisca la base indispensabile per il riequilibrio morfologico della laguna.
La Commissione pur ritenendo che gli interventi diffusi siano funzionali principalmente ai governo dell'evoluzione morfologica, valuta la loro realizzazione non alternativa alla regolazione dei flussi di marea attraverso interventi alle bocche, considerando che il loro contributo complessivo alla attenuazione dei livelli di marea in laguna debba comunque essere massimizzato.
La Commissione ritiene quindi che qualunque intervento di regolazione delle maree imposto alle bocche lagunari debba integrarsi con gli interventi diffusi ritenuti utili per il perseguimento degli obiettivi definiti dalla legislazione speciale per Venezia.
La Commissione valuta
• positivi ed adeguati tutti gli interventi destinati a rivitalizzare le parti più interne della laguna;
• opportuna l'attività di mantenimento all'interno della laguna dei materiali rimossi da canali navigabili attraverso la ricostruzione di strutture morfologiche, tuttavia, con una maggiore attenzione alla loro rinaturalizzazione e consolidamento ambientale;
• complessivamente indifferente la chiusura del tratto rettilineo del canale Malamocco - Marghera e la riapertura del Canale Fisolo;
• meritevole di attenzione e generalizzazione l'apporto artificiale continuo di sedimenti in laguna.
La Commissione valuta irrinunciabile una ricalibrazione della capacità dissipativa dei canali alle bocche di porto, soprattutto con opportuna composizione tra profondità e scabrezza delle bocche stesse, al fine sia di attenuare i livelli delle maree più rapide e ricorrenti in laguna, sia di aumentarne la capacità di intercettazione dei sedimenti. Tutto ciò nel rispetto delle caratteristiche di sperimentalità, reversibilità e gradualità, governando contemporaneamente il processo di riequilibrio delle sezioni dei canali e di consolidamento delle unità morfologiche lagunari.
La Commissione ritiene dannosi e non adeguati al governo unitario e complessivo del sistema lagunare le modifiche dei moli foranei presentate dal proponente.
La Commissione ritiene irrinunciabile la regolazione dell'idrografia superficiale, naturale e di bonifica, sfociante e sversante in laguna; tale regolazione dovrà essere preposta sia alla difesa delle attività antropiche nel bacino scolante, sia a minimizzare il contributo dei volumi idrici affluenti in laguna concorrenti a determinare eventi complessi di “acque alte” eccezionali, sia al perseguimento del massimo apporto sostenibile di acque dolci e sedimenti al bacino lagunare.
In assenza di interventi di regolazione idraulica del bacino scolante in caso di eventi eccezionali quali quelli del 1966 ingenti masse idriche verrebbero immesse in laguna dalla terraferma, aggirando le dighe mobili in progetto. La fattibilità degli interventi di regolazione idraulica non è ad oggi dimostrata ed è comunque prerequisito indispensabile per considerare le opere proposte effettivamente capaci di proteggere Venezia dagli eventi eccezionali.
La Commissione ritiene, quindi che il rialzo delle quote minime dei centri abitati lagunari sia comunque necessario per la difesa dei centri stessi da tali apporti del sistema idrografico e del bacino scolante, nonché per ridurre al minimo possibile la fallanza di qualunque sistema di attenuazione delle maree ricorrenti. La Commissione ritiene prioritario che la quota degli insediamenti urbani lagunari debba essere progressivamente innalzata ai livelli massimi perseguibili con le migliori tecnologie disponibili.
La Commissione ritiene tale intervento necessario e prioritario anche nel caso di realizzazione del Progetto in esame.
La Commissione valuta che il Progetto non dia sufficienti garanzie di poter ottenere gli obiettivi dichiarati in, quanto fortemente dipendente dai sistemi previsionali.
La Commissione ritiene che l'intervallo di confidenza, che accompagna attualmente le previsioni di marea medio-- alte ed eccezionali con un anticipo tra le 3 e le 6 ore, permane dimensionalmente rilevante in rapporto alle escursioni di marea in laguna ed alle ampiezze del fenomeno dell'acqua alta: infatti tale intervallo, di circa ± 20 cm, contiene tutte le normali oscillazioni delle maree e tutti gli eventi di sommersione del suolo a + 100 cm con tempo di ritorno 1 anno.
In particolare alla Commissione appare incerto il raggiungimento dei due principali obiettivi:
• l'impedimento dell'esondazione degli abitati a quota +100 entro le frequenze e la durata di chiusura prefigurate nel SIA,
• la sostenibilità del numero delle chiusure o degli annunci di chiusura, in particolare rispetto al sistema portuale
• La Commissione ritiene, altresì, che la dimostrata sensibilità dei fenomeni di “acqua alta” alle condizioni meteorologiche locali, nonché la riscontrata progressiva accentuazione dell'entità e della rapidità dei fenomeni meteorologici di breve e medio periodo ed il loro organizzarsi in eventi complessi, sia di tipo mareale che di tipo idrologico, faccia sì che il sistema previsionale debba essere considerato come uno dei fattori più critici per l'efficacia operativa del Progetto in esame.
La Commissione ritiene che il Progetto non sia adeguato ad affrontare gli eventi mareali composti, in quanto, chiusure delle bocche prolungate o ripetute in rapida successione:
• pongono il sistema ambientale in uno stress cumulativo, la cui durata è valutabile in almeno 24 ore;
• accrescono la fallanza del sistema previsionale;
• diminuiscono la possibilità previsionale del sovralzo dei livelli idrici in laguna successivamente alla chiusura delle opere mobili, dovuto agli apporti del vento, della pioggia diretta, delle reti idrauliche superficiali scolanti e sfocianti in laguna, del volume d'acqua sversato inizialmente in laguna. durante la fase di sollevamento delle paratoie e quello transitante attraverso i traferri delle paratoie alzate.
La Commissione valuta che il sovralzo complessivo massimo sia stato sottovalutato dal Proponente, sia per una incompleta stima dei possibili afflussi in laguna dalla terraferma, e dalla pioggia diretta, sia per una sottostima del contributo del vento di scirocco e di bora per la laguna, rispettivamente, nord e sud .
La Commissione valuta che in presenza di moto ondoso con stretto spettro di frequenza, la fallanza del sistema sarebbe più probabile a causa della risonanza . del sistema stesso, le cui conseguenze sono un aumento significativo dell'afflusso in laguna dai traferri nonché delle sollecitazioni aggiuntive ai sistemi di ancoraggio e delle fondazioni.
la Commissione condivide quanto già detto dal Collegio degli esperti, e cioè che gli studi e le modellizzazioní fisiche non hanno riprodotto le condizioni più gravose e più favorevoli all'innesto della risonanza, per cui il sistema non appare sufficientemente sperimentato ed è quindi ragione di ulteriore inaffidabilità.
La Commissione rileva inoltre che il sistema delle strutture sommerse (paratoie, cerniere, giunti, ecc.) rappresenta l'elemento di debolezza nei confronti dell'aggressività ambientale da parte degli agenti fisici e biologici, Non esistono al momento strutture che, sommerse per lungo durata, possano essere difese dal deterioramento fisico e chimico e dal biodeterioramento esercitato dal microfouling. Di conseguenza alla imprevedibilità dell'azione biodeteriogena, il presidio manutentivo è, in realtà, inestimabile
La Commissione ritiene immotivata l'opzione pregiudiziale di attestare la quota delle difese locali a +100 cm s.I.P.S. a Venezia e Murano;
La Commissione ritiene che si debba prioritariamente utilizzare un sistema di tecnologie integrate, coordinato e sinergico con il progetto di manutenzione straordinaria urbana ventennale previsto nell'Accordo di programma stipulato tra il Comune di Venezia, la Regione Veneto, il Magistrato alle Acque, ai sensi dell'art.5 della legge 5 febbraio 1992, n.139.
Tale intervento, pur nel rispetto delle diverse situazioni strutturali, infrastrutturale ed urbanistiche e della disponibilità dei privati, è attualmente il più adatto a massimizzare i benefici degli interventi di difesa locale nel consenso, anche culturale, della popolazione veneziana, attestando almeno a circa +120 cm s.I.P.S. la quota delle pubbliche pavimentazioni e ad oltre +160 cm s.I.P.S. la quota di messa in sicurezza della residenzialità.
La Commissione ritiene attendibile la valutazione presentata dall'Amministrazione comunale di Venezia circa la fattibilità di tale intervento
con un costo complessivo pari a circa 118 miliardi di lire aggiuntivi al costo del già previsto progetto di manutenzione straordinaria urbana.
La Commissione auspica l'estensione di tali tecnologie anche alle unità edilizie a destinazione non residenziale.
La Commissione ritiene, altresì, meritevole di considerazione e di sviluppo progettuale l'intervento di difesa perimetrale con dispositivi fissi e mobili per gruppi di isole, noto come “MacroInsulae”.
Tale soluzione si presenta potenzialmente dotata di non trascurabili caratteristiche di efficacia e semplicità, potendo conseguire quote di salvaguardia anche pari +140 cm s.I.P.S., in modo analogo e migliorativo di quanto già sperimentato a Malamocco.
La Commissione valuta positive le esperienze di rialzi compresi tra +110 cm e +120 cm s.l.P. S. in presenza di valori architettonici, storici e monumentali e ritiene non ancora dimostrata l'ineludibilità della quota +100 cm s.l.P.S. come livello massimo della salvaguardia attuabile nel rispetto della monumentalità delle “insulae” di S.Marco e di Rialto.
La Commissione valuta grave il mancato approfondimento da parte del Proponente di tecnologie, consolidate o sperimentali per il sollevamento territoriale, profondo ed anche superficiale.
Le tecnologie che oggi si presentano più mature e fertili di possibilità sono il sollevamento confinato superficiale e la reiniezione pressurizzata in acquiferi profondi. La Commissione ritiene utile e necessario l'aggiornamento della fattibilità di tali interventi attraverso, studi, ricerche e sperimentazioni, anche in previsione della potenziale crescita del livello del medio mare per fenomeni eustatici.
La Commissione ritiene che si debbano valutare i risultati conseguiti con il rialzo della quote di salvaguardia non solo in termini di riduzione delle superfici urbane allagabili, ma soprattutto di riduzione della frequenza media di accadimento di tali allagamenti.
La Commissione considera grave la mancata valutazione ed esposizione degli impatti economici ed ambientali conseguenti alla sistemazione delle reti idrografiche principali e minori.
La Commissione ritiene errato considerare i costi di ripristino e riequilibrio morfologico, in quanto variazioni rispetto allo stato di fatto attuale, danni, in quanto lo stato morfologico attuale della laguna non è né uno stato di equilibrio e non può rappresentare l'obiettivo né del riequilibrio idrogeologico, né del ripristino morfologico della laguna. Essi devono essere assunti quali costi ineludibili per la salvaguardia lagunare.
Il rialzo dei centri abitati lagunari a quote superiori a quelle attuali e l'attenuazione dei livelli di marea in laguna dovuta agli interventi morfologici, determina una diminuzione del rischio di allagamento e di danno, che non può essere trascurata nella valutazione complessiva dell'opzione “T, cioè il termine di paragone a cui riferire l'analisi degli impatti e dei benefici del Progetto proposto
In fase di realizzazione delle opere, l'Autorità Portuale e la Capitaneria di Venezia hanno evidenziato che le previsioni progettuali e le specifiche simulazioni modellistiche elaborate dal proponente non appaiono sufficienti a rassicurare circa la reale possibilità di mantenimento, durante i lavori, dei livelli di funzionalità per il traffico marittimo attraverso le Bocche né a garantire sufficientemente la sicurezza.
In fase di funzionamento sono stati evidenziati i rischi per l'attività portuale derivanti dal moltiplicarsi del numero delle chiusure e del numero di avvisi di chiusura, anche qualora non seguiti da effettive chiusure.
Ai fini delle valutazioni dei possibili effetti dell'opera in progetto sull'ambiente di riferimento, la Commissione ha considerato l'eccezionalità dell'ecosistema di riferimento, frutto dell'azione combinata di fattori naturali ed antropici nel corso dei secoli, e di fatto unico nella sua struttura e nelle sue regole funzionali.
La Commissione ha verificato come tale valore eccezionale sia stato riconosciuto con specifici atti a livello internazionale, nazionale e regionale.
Considerato che ai fini della sua valutazione la Commissione ha ritenuto indispensabile tener conto dell'articolazione spaziale e temporale del sistema, e che a tale riguardo devono essere considerate almeno tre grandi componenti, da considerare sia separatamente sia nelle relazioni reciproche : la laguna, la città di Venezia, il bacino scolante.
La Commissione ha verificato altresì che all'interno di tale sistema si individuano aree di particolare rilevanza dal punto di vista naturalistico ed ecosistemico, quali i cordoni litorali presso Cà Roman e la zona delle velme del Bacan.
La Commissione ha preso atto delle particolari condizioni di equilibrio dinamico del sistema, che nei secoli passati hanno consentito l'assorbimento delle pressioni prodotte dalle azioni umane con il conseguente mantenimento sia delle principali funzioni ecologiche (bilanciamento tra azioni erosive e di deposito, equilibrio tra i diversi livelli di produzione ecologica, mantenimento degli elementi specifici di biodiversità ecc.), sia di fruizioni diversificate da parte della popolazione veneziana. Preso atto altresì della rottura di tale equilibrio dinamico nel corso di questo secolo in conseguenza di molteplici azioni antropiche caratterizzate da elevate pressioni sull'ambiente.
La Commissione ha valutato che l'impianto metodologico adottato dal SIA esaminato non può essere considerato corretto ed esauriente per il caso in esame per i seguenti motivi
• gli indicatori sono stati selezionati secondo criteri imprecisi, prevedendo variabili difficilmente utilizzabili, mescolando indicatori di previsione e di solo controllo, utilizzando in alcuni casi variabili non appropriate per gli oggetti della valutazioni;
• sono state riscontrare gravi lacune analitiche alla base del SIA, quali ad esempio i mancati approfondimenti analitici relativamente ai siti di maggiore sensibilità ambientale interessati dalle opere in progetto, o la considerazione di linee di impatto prioritarie quale quella relativa agli effetti sulla situazione igienico - sanitaria della città di Venezia;
• nel quadro complessivo di valutazione mancano la parametrizzazione degli indicatori e le stime quantitative dei relativi impatti, elementi necessari alla formulazione ad una valutazione complessiva del complesso degli effetti previsti.
La Commissione ha verificato in ogni caso, sulla base degli ampi elementi di informazione disponibili, che la realizzazione del progetto prefigura impatti diretti di elevata gravità in fase di realizzazione delle opere, quali
• verrebbero consumate quote significative, solo superficialmente definite dallo SIA, di unità ambientali di importanza prioritaria quali i litorali di Cà Roman ospitanti specie di valore primario ai fini della biodiversità;
• verrebbero significativamente perturbate unità ambientali, quali le velme del Bacan, che costituiscono sito di importanza primaria per l'ornitofauna lagunare, di valore internazionale;
• si produrrebbero alterazioni significative del paesaggio attuale considerate non risolte dallo stesso Studio di Impatto Ambientale, tra cui la realizzazione di una grande isola artificiale all'imbocco della bocca di Lido,
• si avrebbero pressioni e disturbi complessivi legati alle dimensioni dei cantieri stessi e quindi molto elevati; si può al riguardo ricordare che saranno complessivamente impiegati circa 8 milioni di tonnellate di materiale lapideo provenienti da cave esterne anche molto lontane, che si prevedono lavori di demolizione di opere esistenti (moli alle bocche di Malamocco e di Chioggia) per 350.000 mc, che l'insieme di operazioni di dragaggio, movimentazione e scarico in nuova sede dei sedimenti interesserà un volume complessivo di circa 5.000.000 di m3 di materiale, che verrà utilizzata una flotta di navigli particolarmente numerosa;
• il complesso del cantiere durerà, se verranno rispettati i tempi previsti, 8 anni; gli impatti prodotti sulle singole aree interessate dureranno anni con potenziali effetti sinergici tra loro, non esaminati dal SIA. Qualora tali tempi non possano essere rispettati, ad esempio nel caso ipotetico di scarsità futura di risorse,
• l'impegno complessivo di ambiente da parte del cantiere potrà invece superare il decennio, con conseguente prolungamento degli impatti.
Sempre per quanto riguarda le implicazioni ambientali della fase di realizzazione, la Commissione considera inoltre che
• l'elevata variabilità delle caratteristiche geotecniche dell'area di sedime avrebbe necessitato di un maggior numero di indagini dirette del sottosuolo al fine di definire con maggiore precisione i cedimenti in corrispondenza di ciascun punto del profilo di sbarramento, in modo da poter stimare l'effettivo comportamento del suolo sotto il carico dell'opera;
• risulta con forte evidenza che l'opera rappresenta un intervento molto intrusivo nel contesto fisico-morfologico dei lidi e che, cosi' come progettata, essa non presenta caratteristiche di reversibilità;
• l'eventuale modifica anche parziale di parti sostanziali dell'opera, dovuta alla necessità di eventuali successive modifiche all'assetto delle bocche per assicurare varchi di continuità tra mare e laguna, peraltro indicate anche dal Collegio, comporterebbe o lavori di demolizione di entità e complessità rilevanti, o la realizzazione di ulteriori strutture in aree e sedi diverse da quelle delle bocche di porto;
• la dismissione o l'abbandono dell'opera, prima o alla fine della sua vita utile, non è stata analizzata nelle sue conseguenze e costi, mentre non è stato chiarito l'aspetto molto problematico relativo alla manutenzione delle gallerie e vani che, come detto dal Proponente e rilevato anche dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, sono ricettacolo di flussi di metano e richiedono pertanto una ventilazione forzata e continua;
• le operazioni in argomento sono di entità tale da richiedere, anche secondo le valutazioni del Collegio degli esperti, demolizioni di volumi considerevoli e costituirebbero inoltre un'impresa onerosa e tecnologicamente complessa, dovendo i cantieri operare in condizioni meteomarine difficili.
La Commissione ha verificato che il progetto ed il SIA non prefigurano per quanto riguarda la fase di realizzazione interventi di mitigazione e/o compensazione minimamente adeguati.
La Commissione ha considerato che nel corso delle analisi sono emersi rischi ambientali potenzialmente di elevata criticità qualora in fase di esercizio vi fossero chiusure successive ravvicinate, o si prevedesse un elevato numero di chiusure l'anno (eventualità ammessa per gli scenari futuri assunti a giustificazione dell'opera):
• vi potrà essere un aumento significativo del rischio di crisi anossiche in unità lagunari importanti dal punto di vista sia ecosistemico sia delle attività di acquacoltura condotte;
• la regolazione, ottenuta mediante la chiusura, in casi di alta marea, delle bocche di Porto ridurrà la capacità di scambio tra la laguna ed il mare, diminuendo così la possibilità di diluizione dei carichi inquinanti esistenti in laguna o di nuova immissione; per particolari sostanze potenzialmente pericolose, quale lo zinco, si avranno incrementi locali significativi delle concentrazioni attualmente presenti;
• allo stato attuale delle conoscenze, la interruzione del ricambio idrico tra mare e laguna deve essere considerato altamente rischioso per quanto attiene la sicurezza igienico-sanitaria a Venezia; come è infatti noto attualmente la depurazione degli scarichi civili cittadini, potenzialmente pericolosi sotto il profilo igienico-sanitario, è affidata alla capacità del sistema ambientale di ridurre significativamente i fattori di rischio microbiologici attraverso meccanismi diversi di autodepurazione e dipendenti dallo stato di qualità e manutenzione dei canali cittadini.
La Commissione ha considerato che gli impatti ed i rischi di cui sopra sarebbero aggravati in modo particolare dalla situazione attuale di criticità e di vulnerabilità della laguna.
Nelle attuali condizioni l'ecosistema “città/laguna/territorio connesso” deve infatti essere considerato fragile, scarsamente resiliente, ovvero potenzialmente incapace di rispondere a nuove pressioni significative; la sua resilienza è da considerarsi scarsa, e condizione prioritaria di intervento; preliminarmente a qualsiasi ipotesi di nuovi rilevanti interventi sull'ambito in oggetto, devono quindi essere completati i programmi di consolidamento ecologico che le istituzioni hanno già avviato riconoscendo tale condizione di criticità, in particolare
• devono essere minimizzati gli scarichi di nutrienti provenienti dal bacino scolante dal Piano di risanamento della Regione Veneto, obiettivo non ancora raggiunto, per cui si prevede il raggiungimento nel secondo decennio del prossimo secolo;
• deve essere meglio garantita l'efficacia dei processi di autodepurazione che consentono l'abbattimento dei fattori di rischio associati agli scarichi cittadini, ovvero deve essere portato a termine il lavoro attualmente avviato dal Comune di Venezia di spurgo dei canali;
• devono essere conseguiti gli obiettivi di ripristino della morfologia lagunare e del relativo mosaico di barene e velme, anche attraverso una revisione della qualità e dell'efficacia dei primi interventi ad oggi condotti al riguardo in attuazione della Legge speciale per Venezia;
• deve essere avanzato in modo sufficiente il previsto programma di attuazione della Legge speciale per Venezia anche per quanto i capitoli non ancora iniziati, quali l'apertura delle valli da pesca all'espansione delle maree e la sostituzione del traffico petrolifero in laguna;
• deve essere portato avanti ad un livello adeguato il programma di decontaminazione della laguna, ovvero devono essere impostate e realizzate le azioni prefigurate dal decreto Ronchi- Costa ;
La Commissione ritiene che per rispettare un criterio generale di ricettività ambientale sarebbe necessario far precedere alla realizzazione di una qualunque opera di regolazione l'effettivo raggiungimento di obiettivi di consolidamento ecologico del sistema attraverso gli strumenti sopra indicati.
La Commissione ha verificato che nè progetto nè il SIA si sono basati su scenari di intervento che prevedano preliminarmente la realizzazione degli interventi di consolidamento indicati, che potrebbero forse consentire un migliore assorbimento degli impatti sopra prefigurati; ha valutato quindi che l'attuazione del progetto e delle pressioni ad esso collegate comporterebbe erosioni potenzialmente critiche della ricettività residua dell'ecosistema di riferimento.
La Commissione ha infine verificato che non sussistono ragioni di urgenza collegate ai fenomeni eustatici per invocare una rapida attuazione del progetto, in quanto
• come sostiene anche il “Collegio” degli esperti internazionali, “in caso dì un aumento del livello del mare indotto da cambiamenti climatici, ci si attende che l'avvio del fenomeno sarà lento”; secondo gli scenari di crescita più critici adottati dal Proponente e dallo stesso Collegio l'ordine di grandezza sarà di circa 3 cm al decennio per i primi 50 anni ;
• il trend eustatico degli ultimi 25 anni a Venezia non ha evidenziato un innalzamento del livello del medio mare; non è confermata, per ora, l'ipotesi di una correlazione tra l'incremento della temperatura sul pianeta e nello specifico sul Mare Mediterraneo ed una crescita dei livelli eustatici; non ci troviamo pertanto oggi a Venezia in condizioni di criticità per quanto riguarda crescite eustatiche;
• non si possono peraltro completamente escludere per il prossimo secolo scenari di eustatismo anche più critici di quello ipotizzato, tali ad esempio da rendere inutili le dighe in progetto; ciò che diventa realmente essenziale, in questa ottica, è l'attivazione di una seria politica di monitoraggio e controllo a livello dell'intero bacino Mediterraneo, in modo da poter riconoscere per tempo eventuali effettivi trend di crescita eustatica e da prendere al tempo giusto le decisioni più appropriate del caso (che potranno comprendere anche una revisione sostanziale dell'attuale progetto);
• sono state avanzate, anche recentemente, soluzioni tecniche alternative o di sostanziale integrazione dell'attuale progetto, ad oggi non approfondite e non valutate comparativamente con il progetto in esame; la mancata attuazione del progetto in empi ravvicinati non solo non farebbe perdere l'opzione di opere di regolazione delle bocche di porto, ma consentirebbe, in funzione dei risultati del monitoraggio sull'eustatismo reale, di attivarle quando sarà effettivamente necessario; tale arco di tempo potrà quindi essere utilizzato per poter definire un progetto che non presenti le gravi carenze di quello attuale, nonché per completare gli indispensabili interventi di preventivo consolidamento ambientale, secondo quanto esposto in precedenza.
Tutto ciò premesso e considerato, la Commissione ritiene che le opere in progetto:
• per la loro inadeguatezza rispetto agli obiettivi di riequilibrio morfologico della laguna
• per la mancata integrazione con gli altri interventi cooperanti per la salvaguardia di Venezia dalle acque medio-alte nonché dalle acque alte eccezionali, e anzi per il pregiudizio ad essi potenzialmente arrecato
• per il pregiudizio all'attività portuale
• per i rilevanti e potenzialmente irreversibili impatti ambientali,
non possano essere considerate compatibili con le attuali condizioni di criticità dell'ecosistema di riferimento, comprendente la laguna, la città di Venezia, il relativo bacino scolante.
10 dicembre 1998
Vedere anche:
Dialogo tra E. Salzano e Piero Bevilacqua
La VIA sul MoSE, articolo di E. Salzano
Il Sistema MoSE: che cos’è
Accordo al Comitatone sul Mose
Le scoperte del giorno dopo
Proteste per l’approvazione del MoSE
Con un'opera di limatura durata tutta la giornata (l'ultimo colpetto è stato dato alle 20.30, con una sospensione del consiglio comunale), la maggioranza di centrosinistra ha cercato di blindare il suo giudizio sfavorevole sul Mose con undici punti che, se per caso accolti domani in Comitatone, potranno però trasformare il no in un sì.
La maggioranza ha dunque votato unanime (26 a 12) un no secco - l'iniziale «non può essere espresso parere favorevole» proposto dal sindaco, Paolo Costa, nella mozione in consiglio comunale, è diventato un ben più radicale «il parere non può essere che negativo» - che però alla fine lascia aperta la porta a un'inversione di rotta qualora le richieste del Comune vengano accolte.
Ma cosa vuol dire accolte? Accolte "formalmente" dal Governo? Accolte con "delibera del Comitatone"? Accolte con "atto formale"? Sono tre delle versioni, tanto per chiarire il clima che ha connotato la giornata, con le quali le diverse anime della coalizione di Costa (esclusa ovviamente la Margherita che ha giocato in difesa) hanno mirato a limitare il mandato del sindaco, riducendone lo spazio di autonomia.
Alla fine, per la cronaca, è passata l'ultima versione, con la sottolineatura che per mutare in sì il no del Comune gli undici punti andranno accolti «tutti». «Nella sostanza - ha spiegato Andrea Dapporto (Ds) - vogliamo sapere come si entra e come si esce in Comitatone. Entriamo con undici punti e con undici dobbiamo uscire, ma scritti, e con certezza di tempi e di finanziamenti».
Non è, dunque, quel no al Mose senza se e senza ma chiesto da tutte le associazioni ambientaliste veneziane. «Ma noi amministratori - ha spiegato l'assessore all'Ambiente, Paolo Cacciari - abbiamo altre responsabilità, e a fronte di un Governo comunque intenzionato ad andare per la sua strada dobbiamo garantire una posizione che in qualche modo mitighi e compensi il danno». Senza contare, come ha poi sottolineato il leader del Polo rossoverde, Gianfranco Bettin, che la scommessa di chi non vuole il Mose è che le undici condizioni del Comune, semmai accolte, aprano un percorso alla fine del quale le chiuse mobili non servano più.
L'insieme degli undici punti, infatti, che privilegiano con grande complessità di indicazioni gli interventi di tipo morfologico, la ricalibratura e il ridisegno delle bocche di porto (a partire dal Lido), l'introduzione di conche di navigazione e l'innalzamento dei fondali, sono tali, alla fin fine, da imporre l'adeguamento progettuale delle opere mobili, che infatti la mozione votata giudica «necessario». Ciò vuol dire prendere il giocattolo e buttarlo via per comprarne uno di nuovo, ed è praticamente impossibile che il Governo sia d'accordo, ma le vie del Signore sono infinite.
Costa ha sostenuto che la Salvaguardia è un processo complesso e articolato risemplificato in modo negativo dal Governo che ha inserito il Mose nella legge obiettivo delle grandi opere quale unico intervento salvifico. «Il nostro - ha dunque spiegato - è un parere negativo a causa della perdita di complessità, che noi vogliamo ricreare». Il leader dell'opposizione, Renato Brunetta (Fi), ha replicato invece che compito di un amministratore è ridurre a semplicità le complessità. «La vostra mozione è fatta per perdere tempo, per non decidere nulla, un documento inutile e ipocrita» ha accusato e il dialogo tra i due, tra appelli alla «complessificazione» (Costa) e alla «compressione semantica» (Brunetta), è parso tra sordi.
Il Polo ha proposto una mozione alternativa, con un sì secco addirittura alla «costruzione» del Mose (il Governo si accontentava di un sì al progetto definitivo), firmato anche da chi come Giorgio Suppiej e Paolo Bonafé (Udc), e Nicola Bottacin (Lega), si è sempre detto contrario all'intervento alle bocche, ma i numeri (25 a 12) gli hanno dato torto. Ignazio Musu (Margherita) si è però astenuto.
Silvio Testa
FINITA LA LUNGA BATTAGLIA DEL MOSE, ORA SI FA
Accordo e voto unanime al Comitatone: via libera «con prescrizioni» al progetto. Già il 29 aprile Berlusconi poserà la «prima pietra» - Il governo ha accolto le undici «condizioni» poste dal Comune che prevedono altri interventi di protezione contro l’acqua alta
Una seduta notarile del Comitatone - un'oretta e via - ha dato ieri a Roma lo storico via libera al progetto delle chiuse mobili alle bocche di porto, che dovrà però essere «integrato e migliorato» (parole del sindaco di Venezia, Paolo Costa) con tutte le undici prescrizioni poste dal Comune che solo in virtù di tale impegno ha trasformato in sì un parere sul progetto altrimenti negativo, formulato martedì scorso dal consiglio comunale.
Per il progetto esecutivo ci vorranno, per stralci, almeno 4 anni, e comunque nel 2111 tutto sarà realizzato, ma intanto è stato annunciato che il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, verrà a Venezia il 29 aprile per la fatidica posa della prima pietra. In realtà, quella di una "lunata" a mare (una specie di diga frangionde) che però è ritenuta afferente al "sistema Mose".
Che i giochi fossero già fatti prima del Comitatone, lo hanno dimostrato due cose, al di là della brevità della seduta che è stata presieduta dal sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri, Gianni Letta: l'espressione non propriamente serena del presidente della giunta regionale, Giancarlo Galan, prima di entrare nella riunione, e un comunicato stampa di Costa, evidentemente preconfezionato, che ha reso nota la soddisfazione del sindaco ancor prima che uscisse la notizia dell'intesa e del via libera al progetto.
Fino a un minuto prima il governatore veneto aveva accusato Costa e il Comune di Venezia di manovre dilatorie, e il fatto che le "manovre dilatorie" siano state tutte riconosciute meritevoli di grande attenzione da parte del Governo ha evidentemente spiazzato Galan. Costa e il suo staff (in primis l'assessore ai Lavori pubblici, Marco Corsini, che è avvocato dello Stato, e la direttrice generale, Ilaria Bramezza), dunque hanno lavorato bene. Costa aveva avuto un abboccamento con Lunardi a Padova ancora mercoledì scorso, e ha trascorso tutta la vigilia del Comitatone a Roma, e la pressione ai fianchi evidentemente ha fruttato.
Tra Roma e Venezia, infatti, poteva consumarsi una clamorosa rottura, e per il Governo sarebbe stata dura spiegare al mondo perché veniva imposta in laguna un'opera che la città rifiutava. Non per autolesionismo, ma perché finalizzata a incidere più sugli effetti (l'acqua alta) che non sulle cause del degrado della laguna. «Mio compito - ha spiegato Costa - era continuare la storia di ben 30 deliberazioni del consiglio comunale tutte col filo conduttore riassunto dallo slogan "non solo Mose». Un'opera, ha sottolineato Costa, «che affronta solo una parte del problema», cioé le acque alte eccezionali, non proteggendo Venezia da tutta «l'area grigia» di quelle medio - basse, e che non ripristina l'equilibrio della laguna.
A questo, invece, miravano le undici prescrizioni del Comune, incentrate sull'introduzione di "strutture permanenti" alle bocche di porto e su una complessa rete di interventi di recupero e di ripristino morfologico della laguna. Le "strutture alle bocche", in particolare, in pratica delle conche di navigazione, hanno lo scopo di liberare dai vincoli reciproci navigazione e salvaguardia, consentendo di intervenire con più libertà sulle sezioni e sulle profondità dei canali portuali. E il Governo ha accettato tutto legando la progettazione di quanto richiesto ai finanziamenti già stanziati per il "sistema Mose" dalla legge obiettivo sulle grandi opere. Si partirà dalla conca di Malamocco.
Il ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, ha così potuto annunciare «fumata bianca per il Mose e per le opere integrative». Il ministro ha espresso grande soddisfazione per il risultato, esempio, ha sottolineato, di collaborazione tra il Governo, la Regione, i Comuni competenti (con Costa, infatti, c'erano i sindaci di Cavallino, Chioggia, Mira, tutti sulle stesse posizioni, e di Jesolo). «Oggi - ha detto Lunardi - dopo 37 anni di discussioni siamo finalmente riusciti a portare in porto un progetto che è patrimonio dell'umanità, e che dà risposte non solo ai cittadini di Venezia, ma anche al Veneto e al mondo intero».
Sulla stessa linea il commento del ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, che ha giudicato superato il contenzioso con la Regione sulla titolarita delle procedure di Valutazione di impatto ambientale di alcune delle opere complementari al Mose. «Dopo tanti anni - ha sostenuto -, ed era inevitabile che su un tema così complesso ci volessero tempi lunghi, trattative e frizioni, siamo arrivati a un accordo che ci tranqullizza anche sotto il profilo ambientale».
Il problema del Comune è ora che tali impegni vengano rispettati nella sostanza. «Continueremo la nostra sorveglianza», ha garantito Costa.
Dopo la decisione del Comitatone, i Ds insistono nella revisione del progetto: «Che siano state accolte le prescrizioni del consiglio comunale - dice il vice sindacoMichele Mognato- non può che essere positivo, a dimostrazione della capacità del centrosinistra di proporre soluzioni. E il governo ha capito che si doveva tener conto di queste osservazioni. Quindi ora ci aspettiamo un adeguamento del progetto e si apre una nuova fase, quella della verifica del rispetto degli impegni presi». Sulla stessa linea il segretario provinciale della Quercia,Andrea Martella: «Il governo ha dovuto tenere conto delle prescrizioni del Comune ed è evidente che non si fanno scelte di questo genere sopra la testa della città. Se sono state accettate le 11 condizioni poste dal Comune, che aveva espresso sul progetto definitivo un parere negativio, vuol dire che adesso quel progetto va rivisto radicalmente. Ora bisogna evitare forzature da parte del governo e fare in modo che ci sia congruenza tra questa decisione e gli atti conseguenti».
Secondo il capogruppo nonché eurodeputato di Forza Italia,Renato Brunetta, ciò che conta è che «il Mose si faccia» e che «abbiano perso i fondamentalisti rossoverdi e pure i Ds e un sindaco che ora non ha più la sua maggioranza. Certo, sono stati accolti i suggerimenti dei Comuni, ma la cosa più importante decisa dal Comitatone è che il Mose, finalmente, si fa». Brunetta quindi esultaper quello che definisce un «giorno storico per Venezia. Il Governo ha dimostrato responsabilità e ha assunto una decisione efficace, rompendo definitivamente con gli eterni compromessi immobilizzanti, le proroghe dilatorie, i tentativi di sottile sabotaggio. Il sindaco, che ha votato a favore, prenda atto di non aver più una maggioranza e tragga le conseguenze politiche. Se lo farà, si dimostrerà all'altezza del suo ruolo. Se, come temo, dichiarerà tutto e il contrario di tutto continuerà a far male alla città e sarà definitivamente travolto, ma dal ridicolo».SecondoMaurizio Lupi, responsabile del dipartimento lavori pubblici di Forza Italia, «dalle parole si è passati ai fatti. Si è vinta una grande scommessa: quella del rilancio delle grandi opere nel nostro Paese, rilancio che passa attraverso l'impiego di procedure di semplificazione e di tempi certi».
«Profondo disappunto», invece, viene manifestato daSalvatore Lihard(Cgil): «Eravamo convinti che fosse meglio un processo più graduale, così come individuato negli ordini del giorno del consiglio comunale». Di diverso avviso il partito del sindaco: «Sono soddisfatto - ha commentato il coordinatore della Margherita,Alessandro Maggioni- per un risultato di questo genere, soprattutto perché frutto della capacità di un'amministrazione di centrosinistra».
Le prime reazioni del mondo ambientalista alle decisioni del Comitatone sono improntate a una grande diffidenza, per non dire a un'aperta ostilità, e le prime spiegazioni del direttore del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, su come interpretare le indicazioni del Governo sembrano benzina buttata sul fuoco.
Il primo a scendere in campo è stato il leader dei Verdi veneziani, Gianfranco Bettin, che ha proposto di sottoporre il Mose a referendum. «Su una scelta epocale come questa - ha sostenuto - si deve pronunciare la città. Chiediamo che sia il Comune a farlo, altrimenti raccoglieremo le firme». Bettin ha sostenuto che la decisione del Comitatone «implica una radicale revisione degli interventi, un cambiamento delle priorità, perché prima si devono fare le opere da noi prooste, e poi eventualmente il Mose». Sulla stessa linea la parlamentare verde Luana Zanella, per la quale il Mose cessa di essere una priorità. «Il Comune di Venezia - ha detto - ha imposto una visione sistemica, e se la delibera del Comitatone non è una furbata il Mose ora diventa opera secondaria».
Se il vicepresidente nazionale dei Verdi Ambiente società si è detto stupito «come attraverso la politica si possano far passare interessi che con l'ambiente e la salvaguardia della città non hanno nulla a che spartire», il Wwf ha fatto sapere che tutte le perplessità restano. «È possibile - ha affermato l'associazione ambientalista - che l'opera chiave di Venezia sia deliberata sulla base di una Valutazione d'impatto ambientale regionale»? A opera straordinaria, procedure straordinarie ha invece chiesto il Wwf, mentre il consigliere nazionale di Italia Nostra Gherardo Ortalli ha sostenuto che le garanzie ottenute sono fragili, e funzioneranno solo se sostenute da una forte volontà politica. «Ogni volta che si cerca di salvare capra e cavoli - ha concluso - la capra mangia i cavoli».
A chi gli osservava che anche il Governo Amato aveva prescritto di adeguare il Mose alle opere dissipative, ma che invece il progetto non era poi stato modificato (è la posizione ufficiale del Comune, sostenuta anche dal sindaco Costa) Mazzacurati ha risposto che il Consorzio ha fatto quanto chiedeva il Governo. «Lo faremo anche adesso», ha replicato, annunciando che il primo stralcio esecutivo sarà quello della conca a Malamocco. «La conca dovrà stare fuori dalla bocca perché per noi non può stare dentro», ha precisato, indicando che l'eventuale innalzamento dei fondali verrà fatto non là dove è già prevista la platea del Mose, ma prima, verso il mare, come a far da tappo. Il progetto, insomma, è quello già noto, illustrato in Comune a febbraio, e non si tocca.
Silvio Testa
1966 - 4 NOVEMBRE -Catastrofica mareggiata di 194 centimetri.
1973 -La legge speciale n. 171 dichiara il problema di Venezia "di preminente interesse nazionale".
1975 - Appalto-concorso internazionale indetto dal ministero dei Lavori Pubblici per la difesa contro le acque alte. Partecipano cinque gruppi di imprese. Non c'è aggiudicazione, ma i progetti vengono utilizzati per l'elaborazione del cosiddetto "Progettone".
1981 - "Progettone", primo studio di fattibilità per la difesa dalle acque alte, redatto dall'equipe dell'ing. Pier Francesco Ghetti.
1984 - La legge n. 798 ridefinisce gli obiettivi generali degli interventi, suddividendoli fra Stato, Regione Veneto e Comuni. Istituisce la concessione per gli interventi a carico dello Stato (verrà poi individuato il Consorzio Venezia Nuova) e il Comitato di indirizzo, coordinamento e controllo, il cosiddetto "Comitatone".
1987 - Inizio dell'operatività del Consorzio Venezia Nuova.
1988 - 1992 - Sperimentato il "MO.S.E", Modulo Sperimentale Elettromeccanico.
1992 - Viene ultimato progetto di massima delle opere mobili.
1995 - 4 LUGLIO -Il Comitatone, su istanza di Ca' Farsetti, decide di sottoporre il progetto alla Valutazione di Impatto Ambientale e di chiedere il parere di un collegio di esperti internazionali.
1998 - 21 LUGLIO -Il collegio di esperti esprime parere positivo.
1998 - OTTOBRE -A favore anche la Regione.
1998 - 10 DICEMBRE -La Commissione Via del Ministero dell'Ambiente esprime parere negativo.
1998 - 24 DICEMBRE -Decreto congiunto del ministero dell'Ambiente e del ministero per i Beni Culturali (cosiddetto decreto Ronchi-Melandri) che respinge il progetto subordinandolo ad altri interventi giudicati prioritari.
1999 - 8 MARZO -Il Comitatone richiede approfondimenti progettuali.
2000 - 12 LUGLIO -Il Comitatone, permanendo difformità di vedute fra il ministero dei Lavori Pubblici e quello dell'Ambiente, rimanda la decisione sul proseguimento della progettazione al Consiglio dei Ministri.
2000 - 14 LUGLIO -Il Tar annulla il decreto Ronchi-Melandri.
2001 - 6 DICEMBRE -Il Comitatone vara il "completamento della progettazione delle opere di regolazione delle maree alle bocche di porto".
2002 - 30 SETTEMBRE -Il Consorzio Venezia Nuova consegna il progetto definitivo del sistema Mose.
2002 - 29 NOVEMBRE -Il Cipe finanzia la prima tranche del sistema Mose (triennio 2002-2004) pari a 450 milioni di euro.
2002 - 16 DICEMBRE -Consegna dei lavori per la posa "della prima pietra" del sistema Mose, la realizzazione della scogliera a sud della bocca di Malamocco.
2003 - 4 FEBBRAIO -Il Comitatone rinvia la decisione sul progetto definitivo del Mose per consentire l'acquisizione dei pareri dei Comuni e della Regione.
2003 - 3 APRILE -Via libera al Mose.
Vedere anche:
Dialogo tra E. Salzano e Piero Bevilacqua
La VIA sul MoSE, il decreto del Ministero dell’ambiente
La VIA sul MoSE, articolo di E. Salzano
Il Sistema MoSE: che cos’è
Il parere del Comune di Venezia sul MoSE
VENEZIA - (S.T.) Uno stuolo di avvocati ha stilato mercoledì la delibera del Comitatone, che Costa e i suoi (in particolare l'assessore "giurista", Marco Corsini, e la direttrice generale, Ilaria Bramezza) avevano trovato inizialmente tutta strutturata per fronteggiare il no del Comune. Dovrebbe essere a prova di bomba, dunque, anche se nelle premesse vi si leggono evidenti contraddizioni e forzature, dove eventuali ricorsi si potrebbero insinuare, dovute al complesso lavorio di crasi tra posizioni distanti e al timore del Governo, ben descritto da Costa, «che qualsiasi aggiunta non fosse un cavallo di Troia per mettere in discussione il punto 1, cioè la progettazione esecutiva e la realizzazione delle chiuse mobili».
Sul punto dell'art. 3 della legge speciale 139 del '92 che subordina i finanziamenti per il Mose a un "adeguato avanzamento" di interventi alternativi, ad esempio, le premesse da un lato richiamano l'ordine del giorno del consiglio comunale che giudica insufficiente l'avanzamento e che non riconosce né «l'avvenuto arresto del degrado della laguna e tantomeno l'inversione del processo di degrado», dall'altro affermano che lo stesso stato d'avanzamento «è da ritenersi adeguato ai fini e agli effetti di cui alla stessa norma».
Tale "adeguato avanzamento" doveva riguardare anche estromissione del traffico petroli e apertura delle valli da pesca, praticamente all'anno zero, ma nelle premesse si sostiene che il Piano generale degli interventi «non contempla né opere rivolte all'apertura delle valli da pesca né interventi finalizzati alla sostituzione del traffico petrolifero». L'avanzamento, dunque, è giudicato dell'87 per cento, ma sulle cifre stanziate, e non sul fabbisogno totale.
Quanto alle 11 condizioni del Comune, la prima (ripristino della morfologia naturale delle bocche) «produce solo effetti temporanei (1 o 2 anni) stante il grave stato di degrado della laguna, ma che diventano irrilevanti nei confronti di un'opera con una vita utile non inferiore a 100 anni», altre sette «non vincolano la realizzazione delle opere mobili», il punto relativo all'adeguamento progettuale del Mose «avrà pratica e automatica applicazione in relazione allo sviluppo progettuale». Quanto agli ultimi due punti su struttura permanente d'accesso e più efficienti opere dissipative si sostiene «che la conca di navigazione già prevista alla bocca di Malamocco nel progetto definitivo soddisfi con modesti adeguamenti l'esigenza indicata dal Comune stesso» e che le capacità dissipative «vengano inserite solo in una zona particolare del canale di bocca che è lontana dalle opere mobili e, quindi, da esse indipendenti».
Se le posizioni ambientaliste ostili al Mose troveranno in sede istituzionale una loro più o meno faticosa mediazione, come testimoniano i commenti politici a Ca' Farsetti sul dopo-Comitatone, pur improntati al "solito" braccio di ferro, in sede "civile" non ci sono compromessi che tengano e si annunciano i ricorsi. «Gli avvocati si stanno già muovendo - ha avvisato ieri il presidente della sezione veneziana di Italia Nostra, Maurizio Zanetto - Consideriamo il Mose una sciagura per la città, non per preconcetto, ma per fondati convincimenti». Su una linea consimile anche il Wwf Italia, per il quale «la decisione presa dal Comitatone rischia di essere un inganno sia per l'ambiente che per i cittadini». Il Wwf ha giudicato «gravissime» le dichiarazioni del ministro per l'Ambiente, Altero Matteoli, secondo il quale non esisterebbero più obblighi legislativi di Valutazione di impatto ambientale sul Mose . «Anche il Comune di Venezia - ha concluso il Wwf ricordando il ricorso al Tar - deve chiedere e pretendere che sia avviata la procedura di Via». Anche il Comitato "Salvare Venezia con la laguna", che coordina tutte le associazioni ambientaliste veneziane, ha annunciato che al ricorso già depositato al Tar contro le opere dissipative aggiungerà la richiesta di sospensiva immediata dei lavori. «I nostri timori si sono verificati tutti - ha sostenuto Stefano Boato -: giovedì prossimo a San Leonardo inizieremo la mobilitazione pubblica della città». Sul piano politico, se il Polo rossoverde per bocca del prosindaco Bettin ha rilanciato l'idea del referendum, il gruppo consiliare Ds ha sostenuto che l'opposizione locale, guidata da Renato Brunetta, è stata delegittimata e sconfessata dal suo stesso governo, e ha chiesto che il Comune si faccia promotore di iniziative pubbliche «per un grande confronto civile su questi temi».
Vedere anche:
Dialogo tra E. Salzano e Piero Bevilacqua
La VIA sul MoSE, articolo di E. Salzano
Il Sistema MoSE: che cos’è
Una brutta pagina della sinistra veneziana
Il governo di centro sinistra della città ha contribuito all’approvazione della realizzazione del progetto esecutivo del MOS.E.
Una scelta scellerata che la città e la laguna pagheranno cara.
Il sindaco, da sempre convinto paladino del MO.S.E., è riuscito alla fine ad omologare le posizioni della sinistra cittadina a quelle del governo Berlusconi nella costruzione dell’opera di regime (né a poco valgono i pietosi distinguo o proclami postumi o le gentili concessioni governative di interventi integrativi).
Stupore e condanna soprattutto per coloro che nella sinistra passavano per gli acerrimi nemici del MO.S.E. (ma conta ormai così tanto l’attaccamento alle poltrone?).
Quell’equivoco tatticismo politico incomprensibile ai nostri elettori che ha impedito di affermare con chiarezza nelle sedi giuste che quel progetto non s’ha da fare perché è datato e sbagliato, che altri sono gli interventi che la città e la laguna attendono, ha condotto al brillante risultato che la nostra città, alla fine, dovrà sorbirsi il MO.S.E. con l’aggravamento aggiuntivo di una deleteria struttura di accesso permanente a Malamocco che penalizzerà il porto e di inutili dighe a mare i cui lavori a Malamocco sono peraltro già iniziati. E tutto ciò con il timbro della sinistra!
Purtuttavia, dopo tanto disastro e con la forza della ragione, siamo convinti che in questi due anni di mandato che restano alla sinistra, ci siano in città ancora tutte le condizioni per sapere ricondurre nelle giuste dimensioni le azioni per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna.
Il Mo.S.E.? Mettiamoci una pietra sopra!
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha affermato che il 29 aprile poserà la prima pietra del MO.S.E. Ma quanto peserà quella pietra su Venezia e sulla sua laguna? Quasi tutti i finanziamenti pubblici per la salvaguardia di Venezia e della laguna nel 2003 verranno impegnati per realizzare il progetto di dighe mobili.
Il governo fa ma non dice: la realtà del MO.S.E.
Il MO.S.E. entrerà in funzione solo tra 11 anni e con acque alte superiori a + 110 cm. Nel corso del 2002 ci sono state 111 maree sopra + 80 che hanno allagato le zone più basse della città, tra cui Piazza S.Marco.
I veneziani dovranno continuare a mettere gli stivali per un lungo periodo.
Verranno spesi 3700 milioni di euro per un’opera che dovrebbe realizzarsi in 11 anni e comunque non garantirà la salvaguardia complessiva di Venezia e della laguna. Ma soprattutto il MO.S.E. potrà avere pesanti interferenze con l’attività portuale e con il ricambio delle acque.
Subito entro 2-3 anni gli interventi alternativi al MO.S.E. per salvare Venezia con la Laguna!
Le Associazioni Veneziane affermano che eliminare le acque alte è possibile. Gli interventi alternativi per ridurre il fenomeno delle acque alte in modo efficace e senza compromettere l’equilibrio naturale mare/laguna sono:
alzare i fondali alle bocche di porto e ridurre il Canale dei Petroli;
diversificare il traffico portuale e creare un avanporto al Lido;
eliminare il traffico petrolchimico dalla laguna;
disinquinare le acque ed aprire le valli da pesca all’espansione delle maree.
Si devono dirottare i soldi del MO.S.E. subito verso questi interventi previsti dalle Leggi Speciali per Venezia.
ASSEMBLEA PUBBLICA
Giovedì 10 aprile ore 17.30, Sala S.Leonardo (Cannaregio)!
Comitato “Salvare Venezia con la laguna”
e-mail: salviamovenezia@libero.it
VENEZIA. La Provincia va fino in fondo nella sua battaglia giuridico-politica contro il via libera alla realizzazione del Mose e dagli annunci è passata alle vie di fatto. Ieri, ha così depositato al Tribunale amministrativo il ricorso che impugna l’atto con il quale il Comitatone ha dato il via libera al progetto esecutivo dell’opera e, da subito, alle opere «complementari», già in cantiere. Contestualmente, però, è stato chiesto ai giudici di attendere - per decidere - l’esito del ricorso che Ca’ Corner ha presentato alla Corte europea. «Mi aspetto che vengano sospesi immediatamente i lavori», commenta l’assessore Ezio Da Villa, «sarebbe grave che proseguissero: chi pagherebbe se poi i giudici dovessero darci ragione, ritenendo illegittimo l’iter di approvazione?». La giunta provinciale, infatti, sostiene che la procedura attuata dal Comitatone abbia violato una serie di norme: italiane (non è stata ripetuta la valutazione d’impatto ambientale, dopo che la prima Via era stata annullata dal Tar, mentre per le opere complementari si è proceduto solo con una Via regionale) ed europee. A questo proposito, si contesta che non sia stata seguita la direttiva Habitat 1992 che tutela i siti di interesse comunitario, com’è certamente Venezia e la sua laguna, e dunque non si sia acquisita una specifica valutazione d’impatto ambientale europea. Infine, si contesta anche la violazione delle norme sulle opere pubbliche, che prevedono gare d’appalto a livello europeo, dal momento che qui il Consorzio Venezia Nuova opera in regime di concessione unica. (r.d.r.)
La giunta ha deciso contro il parere del sindaco. E’ la prima volta in cinque anni, e su una questione non proprio secondaria come il progetto Mose. Il ricorso al Consiglio di Stato si farà, anche se Paolo Costa non avrebbe voluto. Uno schiaffo che non modifica la rotta del primo cittadino. «Il siluro si è infranto sulla corazzata», scherza Costa, «il ricorso è un atto irrilevante, e anche inutile. Non sposta di un ette la politica del Comune sulla salvaguardia e la coerenza di quanto abbiamo fatto finora».
Una sicurezza che però non modifica la situazione di grande tensione all’interno del centrosinistra sulla questone Mose. I prossimi giorni saranno decisivi. Perché il governo Berlusconi ha convocato per il 22 ottobre il Comitatone a Roma. E venerdì il Consiglio comunale dovrà dare il suo parere sulla questione dei cantieri per la costruzione dei cassoni del Mose, che il Consorzio Venezia Nuova vuole aprire a Santa Maria del Mare e Ca’ Roman. Ma due anni dopo il Comitatone che diede il via libera al Mose (nonostante il parere contrario del Consiglio comunale) gli unici interventi che procedono spediti sono quelli delle grandi dighe. Per il resto non ci sono progetti né finanziamenti. Ma sulla prossima riunione del 22 ottobre Costa ripone buone speranze.
«Mi aspetto che il governo dimostri la stessa leale collabotrazione che abbiamo dimostrato noi», dice. Basteranno un po’ di soldi tolti al progetto Mose (che ha avuto 709 milioni di euro dal Cipe, mentre la Finanziaria non ha stanziato nemmeno una lira per la città) ad accontentare il Comune?
Costa prende fiato. «Ci aspettiamo anche risposte sulle sperimentazioni promesse sui fondali. Ma è bene chiarire che quelle sperimentazioni sono inserite nel Mose. Nessuno può pensare che siano alternative. Sono interventi complementari che ridurranno l’impiego del Mose. Quello è il patto che abbiamo sottoscritto». Eccola la divisione, sempre più profonda, tra Costa e la sua maggioranza. Mentre sono sempre di più coloro che nel centrosinistra chiedono la «revisione del progetto Mose», il sindaco non nasconde di essere a favore delle grandi dighe. Una posizione che a dispetto degli alleati porta avanti con coerenza, da quando era ministro dei Lavori pubblici con il governo Prodi. Ecco il motivo della resistenza a presentare il ricorso al Tar, e della soddisfazione con cui lo stesso Costa aveva accolto la discussa bocciatura da parte dei giudici amministrativi veneti di tutti i ricorsi presentati dalle associazioni, dalla Provincia e dallo stesso Comune. Così il Comune ha tirato in lungo. Mentre Ca’ Corner, Italia Nostra e Wwf hanno depositato da tempo il loro ricorso, la giunta comunale è arrivata a discuterne l’altro ieri, a tre giorni dalla scadenza dei termini. Decisione presa a maggioranza, su proposta dell’assessore alla Legge Speciale Paolo Sprocati, del viccesindaco Mognato e dell’assessore all’Ambiente Paolo Cacciari. Il sindaco ha dichiarato il suo parere contrario, poi si è astenuto, insieme a Ugo Campaner e Loredana Celegato, assenti Marco Corsini e Giorgio Orsoni.
«Decisione inutile», ripete, «invece di perdere tutto questo tempo a mettere ostacoli si facciano proposte. Non vedo proposte che non siano per ritardare l’avvio del Mose». Una tesi che pochi, nella sua maggioranza condividono. C’è anche chi (Ds, Verdi, Rifondazione, Gruppo Misto), propone la linea dura. Cioè di rimettere in discussione la delibera del 3 aprile. perché attuata «senza rispettare le condizioni poste dal Comune». Un atto già impugnato alla Corte dell’Aja da 150 parlamentari del centrosinistra, su iniziativa del deputato Ds Michele Vianello. Clima che si riscalda, mentre la legittimità del Mose torna sotto i riflettori. Poteva un’opera così enorme essere approvata prima di ottenere il via libera della Salvaguardia, senza la Valutazione di impatto ambientale nazionale? Lo decideranno adesso i giudici del Consiglio di Stato.
VENEZIA — Spetta al ministro Lunardi abbattere il Mose fuorilegge. A sostenerlo è il Comune di Venezia, secondo il quale rompete al ministro delle Infrastrutture ordinare la sospensione dei lavori del sistema di barriere mobili contro l'acqua alta che lui stesso ha fatto iniziare, e disporre la demolizione delle opere costruite finora perché «difformi» rispetto a tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, comunali e regionali, oggi vigenti.
La «diffida» a Pietro Lunardi è contenuta nel dossier che il Sindaco di Venezia Massimo Cacciari ha inviato al ministro e al governatore della Regione Veneto Giancarlo Galan, sulla base di una relazione dell'architetto Giovanni Tornato, dirigente dell'ufficio comunale «Controllo del territorio». In essa si sostiene che, secondo la legge, l'articolo 28 del titolo IV del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (il Dpr 6-6-2001 n. 380), impone al Comune che riscontra degli abusi edilizi nelle opere realizzate da amministrazioni statali, come nel caso del Mose, di informare «immediatamente» il ministro delle infrastrutture e il presidente della Regione. A questi, dice la legge, rompete la «adozione dei provvedimenti previsti». In caso di abusi commessi da privati tocca invece ai Comuni intervenire. E i «provvedi-
menti previsti», in questi casi, sono drastici: sospensione «immediata» dei lavori, e demolizione delle opere abusive con «ripristino dello stato dei luoghi» entro 45 giorni dalla sospensione. Le violazioni alle leggi in vigore riscontrate dai tecnici comunali nei cantieri del Mo-
se, dove verranno installate le barriere mobili, sono 17: sette sulla «bocca di porto» di Malamocco, sei su quella di Chioggia, quattro su quella del lido. Sono le «bocche» che mettono in comunicazione il mare con la laguna.
Sulla «bocca» di Malamocco sarebbero abusive, secondo il Comune, la costruzione di una conca di . navigazione per le grandi navi e della relativa «spalla» di sostegno, i rinforzi al molo nord, l'eliminazione di una parte del molo sud, la realizzazione di un sostegno alle barriere mobili, il rafforzamento del muro del forte di San Pietro, e lo scavo di un canale per le opere di cantiere. Su quella di Chioggia sarebbero fuorilegge la realizzazione di un porto-rifugio peri pescherecci e dei relativi moli di sponda, la demolizione di parte del molo esistente, lo scavo di una porzione della battigia, la costruzione di un nuovo molo di contenimento dell'isola di Pellestrina e la formazione di una nuova isola vicino al forte Barbarigo. Sulla «bocca» del Lido, gli abusi riguarderebbero la realizzazione di un porto-rifugio per le barche, la costruzione di una nuova isola davanti a Sant'Erasmo, il rafforzamento del molo sud e lo scavo di un canale per il cantiere.
Se ministero e Regione non interverranno, il Comune di Venezia, insieme a quelli di Chioggia e Cavallino, si rivolgerà alla magistratura. E la battaglia del Mose si trasferirà nelle aule giudiziarie. Anche perché il Sindaco di Cavallino, Erminio Vanin, intende chiedere il risarcimento dei danni subiti per i lavori del Mose sia da privati cittadini che da aziende che dalla stessa amministrazione. «Chi ha deturpato una delle aree più belle • del nostro litorale — dice — dovrà anche farsi carico della sua ricomposizione complessiva».
«Noi non possiamo intimare nulla allo Stato — spiega Cacciari — però abbiamo segnalato le violazioni che abbiamo riscontrato, e abbiamo chiesto al ministero e alla Regione che cosa hanno intenzione di fare a questo punto». Maria Giovanna Piva, presidente del Magistrato alle acque, che è il braccio operativo del ministero delle infrastrutture, da cui dipende la costruzione del Mose, sostiene invece che tutti i lavori in corso sono «pienamente legittimi», perché l'approvazione del progetto Mose da parte della commissione perla salvaguardia di Venezia avrebbe «sanato» le violazioni urbanistiche riscontrate dal Comune. Le associazioni ambientaliste contrarie alla grande opera si sono costituite in una «Assemblea permanente No Mose». Simbolo uno squalo e lo slogan: «II Mose fa bene solo a chi lo fa».
In laguna arriveranno 38 cassoni
Una specie di Lego di ferro e cemento da montare sott’acqua
Alberto Vitucci, 28 agosto
Trentotto enormi cassoni in ferro e cemento da costruire in mezzo alla laguna. Il progetto Mose va avanti, e ieri il Consorzio Venezia Nuova ha spiegato cosa succederà nei prossimi anni al litorale, destinato a diventare un grande cantiere a cielo aperto. Primo atto della procedura di Impatto ambientale sui lavori della grande opera. «Sarà una specie di Lego», spiega soddisfatto il progettista del Mose Alberto Scotti, «i pezzi li faremo a fianco delle bocche di porto poi li monteremo sott’acqua». Le aree che saranno trasformate in cantiere sono Santa Maria del Mare a Malamocco (dove saranno costruite le grandi basi in cemento anche per San Nicolò), Chioggia e Treporti. Tutto per venire incontro, ha spiegato Scotti, «alla richiesta della commissione di Salvaguardia che ha voluto la produzione in loco, per incentivare l’occupazione e alla Regione che ci ha chiesto di delimitare le aree di lavoro». I cassoni saranno costruiti all’interno del porto rifugio, previsto al Lido e a Chioggia, mentre a Malamocco i lavori saranno compiuti su una collina artificiale a fianco della conca. Conseguenza sarà lo sbancamento di molte zone anche pregiate. «Vorrei sapere quali sono le misure di compensazione previste dal punto di vista ambientale», ha chiesto Federico Antinori, responsabile dell’oasi Lipu di Ca’ Roman, destinata in parte a scomparire, «e se avete avvisato l’Unione europea, secondo le procedure previste dalla direttiva Habitat». «No», è stata la secca risposta di Andrea Rinaldo, docente a Padova e consulente del Consorzio Venezia Nuova per lo Studio di Impatto ambientale. «La Valutazione di impatto ambientale ha superato queste analisi», ha precisato Scotti. «Ma quale Valutazione, se non è nemmeno stata fatta», sbotta Stefano Boato, che da anni segue la questione per il ministero dell’Ambiente. Anche per il nuovo progetto la procedura di Via sarà inviata alla Regione e non al ministero. Presenti in sala numerosi componenti dei comitati antiMose, che annunciano nuove manifestazioni di protesta dopo lo sbarco in bacàn di domenica scorsa. Il Wwf ha pronto il ricorso al Consiglio di Stato contro le sentenze del Tar Veneto che ha respinto in blocco tutti i ricorsi presentati sulle procedure, accogliendo completamente le tesi degli avvocati del Magistrato alle Acque e del Consorzio Venezia Nuova. Una battaglia destinata a infiammarsi a settembre, alla ripresa dell’attività politica. In Comune sono tante le forze politiche che chiedono alla giunta un «atto forte» dopo che l’ordine del giorno del Consiglio comunale che chiedeva di sospendere i lavori non è stato nemmeno preso in considerazione. Ma la procedura delle grandi opere va avanti spedita, e mentre il governo taglia anche le spese della carta igienica ai comuni, i fondi per le grandi opere non sono in discussione. Il ministro per le Infrastrutture Pietro Lunardi ha infatti ribadito che non ci saranno problemi, e la programmazione può proseguire. Il Mose è stato inserito tra le opere «intoccabili», insieme al ponte sullo Stretto, Frejus, Salerno-Reggio Calabria e passante di Mestre. Ma le perplessità in città sono molte. L’opposizione alla grande opera passa trasversalmente ai partiti, e interessa molti semplici cittadini che hanno aderito ai comitati. «Daremo battaglia», promette Salvatore Lihard, della Cgil, «e ci dovranno ascoltare». Intanto il progetto dei megacantieri è partito. Per le osservazioni ci sono 50 giorni di tempo.
Dopo lo sbarco in bacàn ricomincia la battaglia
Mose, pronti nuovi ricorsi,
28 agosto 2004
LIDO. Ricorso al Consiglio di Stato contro le procedure adottate per approvare il Mose. Il Comune tentenna, e l’iniziativa la prendono gli ambientalisti. Sinistra ecologista, il movimento fondato da Edo Ronchi e Fulvia Bandoli, ha già pronto il ricorso che sarà presentato nei prossimi giorni. Le associazioni contestano la decisione del Tar del Veneto (presidente Stefano Baccarini) che ha respinto in blocco i ricorsi presentati. Molte delle osservazioni riportate nelle motivazioni della sentenza, osservano gli ambientalisti, sono discutibili. Dunque gli estremi per un ricorso in secondo grado esistono. Ne sembra convinta anche la Provincia, che ha presentato due mesi fa un ricorso alla Corte europea dell’Aja. Il presidente Davide Zoggia ha annunciato la presentazione del ricorso al Consiglio di Stato. Diverso il caso del Comune, dove com’è noto il sindaco Costa è un sostenitore della grande opera fin dai tempi in cui era ministro dei Lavori pubblici. Costa ha annunciato di non voler presentare ricorsi, proprio mentre gran parte della sua maggioranza (Ds, Verdi, Rifondazione, Gruppo Misto) si sono espressi in modo esplicito contro i lavori alle bocche. Una manifestazione molto partecipata si è svolta domenica scorsa sulla spiaggia del bacàn di Sant’Erasmo, destinato a scomparire per far posto alla grande isola artificiale di sette ettari. Dopo la pausa estiva riprende dunque la battaglia contro il Mose. I comitati annunciano iniziative a raffica. «Per far capire alla gente», dicono, «quali saranno le conseguenze della costruzione delle dighe». Solo al Lido saranno scavati cinque milioni di metri cubi di fondali, sostituiti con il cemento, piantati migliaia di pali in ferro lunghi trenta metri. Un cantiere che durerà dieci anni e cambierà per sempre il volto della laguna, fissando i fondali alla quota di dieci metri per ospitare gli enormi cassoni. Molti, non soltanto tra gli ambientalisti, si chiedono se sia proprio necessario. E la campagna di autunno, anche in vista dell’elezione del nuovo sindaco, è già cominciata. (a.v.)
Gasparetto (Salvaguardia) polemizza con il sindaco Costa
GRANDI OPERE «Io voto seguendo la mia coscienza»
19 agosto 2004
Una bacchettata respinta al mittente. Con gli interessi. Una lettera durissima, quella inviata ieri dal rappresentante del Comune in commissione di Salvaguardia, l’architetto Cristiano Gasparetto, al sindaco Paolo Costa. Che qualche giorno fa aveva invitato i rappresentanti eletti dal Comune a «collaborare di più per far apoprovare i progetti presentati dalla giunta». «Non è concepibile», aveva scritto tra l’altro il sindaco, «che i rappresentanti del Comune non partecipino ai lavori o se vi partecipano non tengano in nessuna considerazione la volontà degli organi di governo della città». Un atteggiamento reiterato che secondo Costa avrebbe addirittura «danneggiato l’imagine dell’amministrazione, ritenendo poco credibili i progetti presentati». Ma secondo Gasparetto quelli del sindaco sono «rilievi errati e pretestuosi». «Per quanto riguarda le presenze basta guardare i verbali», scrive l’architetto, «il sottoscritto è tra i più presenti». «Per quanto riguarda l’allineamento alle scelte politiche dell’amministrazione», continua Gasparetto, «ella non può ignorare le leggi che costituiscono la commissione, né tantomeno il pronunciamento della Corte costituzionale del 1998». Secondo Gasparetto insomma, la commissione non è certo parificabile a una conferenza di servizi tra i vari enti, come sostenuto dal sindaco. E dunque ogni membro eletto (due dalla maggioranza e uno dalla minoranza in Consiglio comunale) ha «l’obbligo e il diritto ad agire in piena autonomia, secondo scienza e conoscenza». Gasparetto continua invitando il Comune ad adeguare invece tutti gli strumenti urbanistici alle norme del Palav (la legge speciale lo prevede da nove anni, e in quel caso la commissione sarebbe abolita, ndr), e citando due grandi progetti su cui lui stesso - e buona parte della maggioranza - non la pensano come Costa: Mose e sublagunare. «Il primo è inutile, pericoloso e costosissimo, la seconda un pericolo anche sociale per la città». «Mi pare che queste posizioni di Costa», conclude Gasparetto, «siano infondate, pretestuose e strumentali, «e forse la reprimenda scaturisce dall’impossibilità di accettare, su nodi di così grande rilievo, diversità non riducibili al solo piano politico, ma che rappresentano strutture culturali profonde. Ognuno, fortunatamente, ha la sua cultura». (a.v.)
Il sindaco bacchetta i consiglieri
8 agosto 2004
I consiglieri della Commissione di Salvaguardia nominati dal Comune di Venezia devono avere un occhio di riguardo per i progetti sottoposti al suo esame da Ca’ Farsetti. Non è una preghiera, ma una richiesta formale del sindaco Paolo Costa inviato agli architetti Cristiano Gasparetto e Antonio Gatto e all’avvocato Gianfranco Perulli, rappresentanti del Comune in Salvaguardia. «In più di un’occasione in merito a questioni le più diverse, ma tutte di grande interesse della città - scrive il sindaco ai tre consiglieri”tirando” loro le orecchie - ho dovuto, mio malgrado, rilevare come i componenti della Commissione per la Salvaguardia di Venezia espressi dall’Amministrazione Comunale abbiano brillato per le loro assenze nelle sedute della Commissione stessa e, se presenti, per la scarsa collaborazione rispetto ai progetti presentati dal Comune. Tale atteggiamento, reiterato, ha danneggiato l’immagine dell’Amministrazione Comunale nei confronti delle altre Amministrazioni rendendo poco credibili i progetti e i piani presentati nel Comune di Venezia». Costa ricorda che - se formalmente i tre consiglieri non sono legati a un esplicito vincolo di mandato - nello spirito della Legge Speciale che ha costrituito la Commissione di Salvaguardia, essi sono comunque tenuti a rappresentare la posizione del Comune e a tenere in considerazione la volontà di Giunta e Consiglio comunale. Visto che «nelle prossime settimane la Commissione di Salvaguardia sarà chiamata ad esaminare degli importantissimi provvedimenti di grande interesse per l’Amministrazione comunale - scrive ancora Costa - i tre consiglieri si regolino di conseguenza e non facciano scherzi. (e.t.)
Chi è serio si dimetta,
Ufficio di piano sotto tiro
VENEZIA. Un Ufficio di piano alternativo. Una sorta di governo ombra, composto di tecnici indipendenti, che possano fornire indicazioni tecniche sui progetti della salvaguardia. E’ la proposta provocatoria, avanzata dal capogruppo di Rifondazione a Ca’ Farsetti Pietrangelo Pettenò. «Hanno tradito i patti, quello è un gruppo di tifosi del Mose, in larga parte consulenti del Consorzio Venezia Nuova», accusa Pettenò. Che invita «le persone serie» nominate dal governo nell’Ufficio di Piano a dimettersi. «Hanno lasciato fuori il rettore di Ca’ Foscari», tuona Pettenò, «per mettere quello che è stato sconfitto nella corsa al rettorato, hanno messo i consulenti del Consorzio e non gli esperti di idraulica come D’Alpaos».
Monta la polemica sul fronte della salvaguardia. Oggi pomeriggio a Ca’ Farsetti si svolgerà l’atteso vertice di maggioranza con il sindaco Costa. Rifondazione, ma anche Ds, verdi, Gruppo Misto e Sdi, chiedono al sindaco di chiarire gli aspetti «poco chiari» della vicenda. Una delle richieste avanzate al Comitatone dell’anno scorso era quello di istituire l’Ufficio di Piano. «Adesso aspettiamo che siano mantenuti gli altri due punti», dice il sindaco, «cioè i finanziamenti alla città e l’avvio delle sperimentazioni alle bocche di porto. Solo così potremo vedere se è sono stati mantenuti i patti. Noi abbiamo sempre dato al governo una leale collaborazione».
Ma il problema sembra sempre più complicato. Mentre gli ambientalisti attendono l’esito del ricorso al Tar contro il progetto Mose (udienza fissata per il 6 maggio) in Parlamento il deputato Michele Vianello ha presentato un’interrogazione di fuoco denunciando un probabile «conflitto di interessi» tra tutti gli studiosi nominati nell’Ufficio di Piano che hanno svolto «attività di consulenza per il Consorzio progettista delle opere».
Una battaglia aperta su più fronti. E oggi la commissione Legge Speciale presieduta da Flavio Dal Corso ha in programma l’audizione dei rappresentanti del omune in seno alla commissione di Salvaguardia. L’architetto Cristiano Gasparetto e l’avvocato Gianfranco Perulli dovranno illustrare alla commissione l’andamento della seduta della commissione di Salvaguardia che aveva approvato il progetto definitivo del Mose tra accese polemiche. (a.v.)
MOSE Comune in fibrillazione
La maggioranza "convoca" Costa
I Ds pretendono un chiarimento
(S.T.) Il deputato diessino Michele Vianello ha mandato ieri un'interrogazione ai ministri Lunardi (Infrastrutture) e Matteoli (Ambiente) sulla costituzione dell'Ufficio di Piano, ricordando l'assoluta necessità della sua neutralità, dato che tra le sue funzioni c'è la verifica tra gli indirizzi del Comitatone e l'operato del Consorzio Venezia Nuova, e dunque chiedendo «se i singoli membri dell'Ufficio di Piano abbiano svolto attività, retribuite o non retribuite, direttamente o tramite società, Istituti universitari o altri Enti, per conto del concessionario Venezia Nuova o di società appartenenti al succitato Consorzio».
Una domanda retorica, perché tra i 13 componenti dell'Ufficio nominati da Berlusconi vi è certamente chi ha avuto rapporti anche professionali col Consorzio, e comunque destinata ad avere effetti non solo a Roma, ma anche a Venezia. «Eh sì - ammette Vianello -, ho fatto l'interrogazione anche perché ora i miei devono venire allo scoperto». I Ds, infatti, sul tema generale della Salvaguardia sono stati finora tra il timido e il diviso, ma l'ultimo schiaffo dell'Ufficio di Piano - un ufficio che Gianfranco Bettin (Verdi) non ha esitato a chiamare"Del Mose" per la sua composizione - sembra avere provocato una scossa. La Quercia alla fine si è data una linea unitaria incentrata su alcuni capisaldi: sostegno ai ricorsi al Tar contro il Mose; battaglia anche nazionale a favore degli 11 punti; accelerazione sugli interventi alternativi alle bocche di porto.
E ieri il capogruppo della Quercia in consiglio comunale, Livio Marini, ha convocato al volo una riunione di maggioranza, che si è conclusa con un documento che sarà la base di un incontro a 360 gradi col sindaco sulla Salvaguardia. «L'intento - ha spiegato Sandro Bergantin (Città nuova) - è mettere Costa alle strette». Nel mirino, infatti, c'è anche il sindaco, accusato senza mezzi termini di slealtà da Rifondazione, anche per la presenza di Ignazio Musu nell'Ufficio di Piano. Una candidatura sostenuta da Costa anche dopo che il professore s'era dimesso da consigliere comunale in polemica col il documento degli 11 punti, e nonostante il no sul suo nome di Ds e Polo rossoverde per l'incompatibilità che così si era creata.
Il documenro siglato ieri avverte che l'Ufficio di Piano, anche se richiesto da sempre dal Comune, «non può prescindere da regole di rigore istituzionale», a afferma che se i suoi componenti saranno quelli anticipati dalla stampa (il decreto, infatti, non è ancora pubblicato) «ci troveremmo in presenza di soggetti che avendo svolto compiti di consulenza per enti privati sulle opere, sarebbero ora chiamati a controllare le medesime e il proprio operato». Su Musu c'è un accenno senza far nomi, e il documento si conclude indicando che il chiarimento col sindaco dovrà comprendere, in vista del Comitatone, i temi dell'integrale applicazione degli 11 punti del Comune «a partire dall'indispensabile criterio della sperimentazione alle bocche di porto».
Il Consorzio Venezia Nuova, potente pool di imprese che ha proposto, elaborato e ora realizzato un particolare tipo di progetto per dividere il mare dalla laguna di Venezia, ha pure per trent'anni distorta l'informazione nazionale ed internazionale. Anche se ora risulta difficile comunicare una realtà assai complessa, la necessità di altre soluzioni realizzative lo impone. A Venezia le stesse forze politiche della sinistra hanno faticato a lungo per arrivare a capire ed ora finalmente a schierarsi tutte di conseguenza, che il MoSE «serve solo a chi lo fa» come recita un recente manifesto dell'Assemblea permanente contro il MoSE costituita da tutte le Associazioni che da anni lottano per la salvaguardia della laguna. Il progetto è un'opera ingegneresca, segnata tecnologicamente già dal tempo (scherzosamente detto il ferro vecchio), che da sola dovrebbe bloccare le acque alte nella laguna e gli allagamenti di Venezia e delle isole che avvengono con sempre maggiore frequenza ed intensità. Una mega opera salvifica che non interviene sulle cause del fenomeno (interramenti e canali devastanti la laguna) ma vorrebbe risolverlo operando solo sugli effetti. Esistono precise leggi speciali per Venezia che regolamentano cosa dovrebbe essere un'opera di salvaguardia lagunare: il MoSE non rispetta questi dettati, ma - cosa ancor più grave - è inefficiente e pericolosa proprio rispetto all'obiettivo che si propone. Inefficiente perché, ad esempio, delle 94 acque alte che nel 2003 hanno allagato piazza san Marco, se già costruito ne avrebbe evitate 7. Inutile perché se, nei prossimi anni, ci fosse un innalzamento del livello marino legato all'effetto serra come ampiamente previsto dagli scienziati, sarebbe del tutto inutilizzabile. Pericoloso fisicamente poiché non dà sufficienti garanzie di tenuta per certe particolari mareggiate (il cosiddetto «fenomeno della risonanza»). Non solo, il danno è anche sociale in quanto penalizza fortemente tutti i traffici commerciali marittimi che possono permettere una riconversione ecocompatibile dell'ex polo industriale di Marghera. Pericoloso perché modifica in maniera irreversibile l'ambiente lagunare devastandolo con una nuova isola, nel centro della bocca di porto, di 9 ettari; 9.000.000 di mc. di pietre; 8.000.000 mc. e 12.000 pali di cemento; 5.960 palancole d'acciaio; 157 enormi cassoni di cemento in parte sommersi; 560.000 mq. di pietrame ed infine 79 paratoie mobili per un totale, preventivato per la sola costruzione, di più di 8.000 miliardi di vecchie lire. Ma se il MoSE è tutto questo, come effettivamente è, e se non ci fossero alternative, sarebbe opportuno prenderlo in considerazione magari cercando di migliorarlo e mitigarne l'impatto. La situazione però non è questa: anni di studi, ricerche, opere e sperimentazioni hanno costruito le alternative.
Si possono: costruire sistemi che riducano la portata dell'acqua in entrata alle bocche, disinquinare la laguna ed aprire alla circolazione delle acque le valli da pesca aumentando così la dimensione dell'invaso lagunare, verificare la possibilità di innalzamento dei suoli con insufflazioni nel profondo. Oppure diversificare le bocche di porto in relazione al tipo di traffico (turistico, commerciale) e estromettere il traffico petrolifero in laguna con un terminal off-shore. Si può impedire anche l'attraversamento del bacino di San Marco alle enormi navi crociera con la costruzione di un terminal in prossimità della bocca di porto e quindi innalzare i fondali alle tre bocche con riduzioni dei varchi d'entrata.
L'insieme di queste opere sistemiche, nessuna sufficiente da sola ma virtuose nell'insieme, il cui scopo è essenzialmente diminuire in quantità e forza lo scambio acqueo col mare, può ridurre, come verificato dal C.N.R., di 22-27 cm. l'altezza di tutte le maree e non solo di quelle più alte, come dovrebbe fare il MoSE.
Questo significa tornare ad una situazione simile a quella della prima metà dell'800 (1 o 1,5 acque alte in media l'anno con valori ridotti per tutte di 27 cm. rispetto alle attuali) e attendere maggiore precisione nella previsione dell'innalzamento dei mari per l'effetto serra. Su queste basi si dovrebbero decidere eventuali interventi, se necessario ancor più radicali ma con tecnologie innovative appropriate e realmente efficienti anche per il futuro.
Comunque si voglia valutare, tutti i cantieri già iniziati da un anno sono illegittimi. Su questo sta operando l'amministrazione comunale per chiedere al ministero il fermo dei lavori. Sono illegittimi perché non conformi in ben 14 punti con i piani urbanistici di Venezia, 3 per i Comuni vicini, 8 col Piano Regionale della laguna e 4 con procedure obbligatorie europee per aree protette. Su questa realtà si basa il nuovo conflitto che sta montando. Conflitto particolarmente complesso perché coinvolge i movimenti, le istituzioni (anche al loro interno) e le omertà dei poteri forti capaci di trasversalità politica; l'informazione gioca un ruolo particolarmente attivo che i movimenti hanno ben compreso facendosi carico unitariamente dell'allargamento del fronte di lotta, anche a livello europeo, con controinformazioni e presidi attivi sul territorio. Il sindaco Cacciari è stato esplicito nel rilevare l'irregolarità dei lavori: a breve si vedrà come si comporterà la maggioranza, in gran parte Margherita, che lo ha eletto. La sinistra tutta che ha raggiunto processualmente una difficile unità, dovrà rafforzarla per imporre, con i movimenti, il blocco immediato di tutti i lavori. Un blocco che rimanderebbe tutto al dopo elezioni, quando un governo rinnovato dovrebbe uscire dalle ambiguità che nel passato hanno permesso di portare il progetto all'inizio dei lavori.
Un'illustrazione più ampia delle alternative al MoSE negli articoli sul progetto Di Tillo e altri e sull'ARCA.
Non ci sono i soldi, ma i lavori del Mose accelerano. Il giorno dopo l’avvio ufficiale del cantiere, con l’occupazione da parte della ditta Mantovani (Consorzio Venezia Nuova) dello spazio acqueo davanti a Punta Sabbioni, la polemica non si placa.
«Si fanno forzature proprio quando il Comune chiede con un ordine del giorno di sospendere i lavori e il Cipe taglia i finanziamenti statali», accusa il deputato dei Ds Michele Vianello. Intanto il Magistrato alle Acque ha stanziato un milione di euro per una polizza che garantisca le future dighe da «attacchi terroristici». Da innocuo braccio di laguna, le tre bocche di porto potrebbero diventare una centrale appetibile per azioni terroristiche con macchinari, edifici e cabine di regia per il sollevamento delle paratoie. Un cantiere che durerà dieci anni e bloccherà in buona parte la navigazione e gli spostamenti dei mezzi in laguna.
Intanto da ieri l’area vicina a Punta Sabbioni è stata consegnata (per tre anni) alle imprese del Consorzio. Che la occuperanno con una trentina di draghe, motopontoni, rimorchiatori. Secondo il progetto dovranno costruire nel canale di Treporti, a ridosso della diga di Punta Sabbioni, due porti rifugio per consentire alle imbarcazioni di entrare in caso di maltempo con le paratoie sollevate. Un’opera che non era prevista nel progetto definitivo, aggiunta al Comitatone dello scorso anno. Perché cominciare dalla fine? «E’ chiaro che è partita una corsa per vedere chi fa prima», dice Pietrangelo Pettenò, capogruppo di Rifondazione, «credo che sia il momento di fare qualcosa. Il sindaco adesso deve andare a Roma e non muoversi di là finché il governo non convoca il Comitatone e accoglie le richieste del Comune». Richieste inascoltate da un anno e mezzo, che secondo il Consiglio comunale dovevano costituire «condizioni vincolanti per l’approvazione del progetto». Il Comitatone (con il voto favorevole del sindaco Costa) ha approvato non soltanto il progetto ma anche l’avvio dei lavori di costruzione del Mose, nonostante la progettazione non sia ancora ultimata, siano pendenti ricorsi sulla mancanza di Valutazione di impatto ambientale, e non siano certi i finanziamenti. «Il pre-Cipe ha bloccato una serie di grandi opere», spiega Vianello, «perché il governo di centrodestra non è in grado di garantire i flussi finanziari. Alcune opere potrebbero essere sbloccate, se arrivano finanziamenti privati. Ma non è il caso del Mose. Rischiamo di trovarci con i cantieri aperti di un’opera che non sarà mai ultimata».
Mentre il Magistrato alle Acque accelera, le perplessità aumentano. Uno studio dell’Università di Padova ha messo in luce le difficoltà per i basamenti in calcestruzzo di sostenere il peso delle enormi paratoie, dubbi espressi anche da Vincenzo Di Tella, ingegnere della Tecnomare che aveva collaborato con il Consorzio e che ha presentato un progetto alternativo di chiusure. Un’altra alternativa è quella del progetto Arca, per sperimentare con cassoni autoaffondanti la riduzione della sezione delle bocche che dovrebbe ridurre le acque alte senza opere fisse. Infine, il progetto De Piccoli, per portare il porto fuori della laguna. La grande opera è partita, gli appalti assegnati (al Lido lavorerà l’impresa Mantovani, capofila dal Consorzio e titolare di buona parte dei grandi lavori lavori in area veneziana).
«Non si può dare la colpa di tutto al Comune», dice il prosindaco Gianfranco Bettin, «adesso dobbiamo sperare che questo governo che ci ha portato la guerra, i tagli al sociale e le grandi opere cada al più presto. Il Mose distruggerà l’ecosistema lagunare e colpirà a morte la stessa economia portuale e risorse fondamentali della città. Il Comune di Venezia deve reagire a questo atto di prepotenza impugnando ogni strumento a sua disposizione. Intorno a questo nodo va costruita la nuova coalizione che si candiderà a guidare Venezia nei prossimi 5 anni».
VENEZIA. «Il Mose è tecnicamente superato e culturalmente datato. Il Comune lo deve dire forte, e rilanciare il suo ruolo di guida nella salvaguardia. Altrimenti le grandi scelte sul futuro di questa città saranno prese in sedi esterne alla politica e all’interesse dei cittadini».
Cesare De Piccoli, ex vicesindaco e segretario regionale dei Ds, raccoglie la sfida lanciata da Michele Vianello. E rilancia.
Autore di una proposta alternativa al Mose per la difesa delle acque alte, De Piccoli punzecchia il presidente Galan e invita il centrosinistra a «riprendere la politica». «Il trionfalismo di Galan è fuori luogo», attacca, «non c’è stato nulla di storico nella decisione della Salvaguardia. Semmai una forzatura delle procedure, in un meccanismo farraginoso sempre più separato dall’opinione pubblica. Puntano a prendere la gente per stanchezza»
Un deputato del suo partito, l’ex vicesindaco Michele Vianello, ha lanciato accuse gravi. Invitando i Ds a «non far finta di nulla».
«Non ne farei una questione interna a un partito. Vianello ha posto degli interrogativi di merito, che non possono essere liquidati con la solita polemica. Sono quesiti posti da un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni.
Esempio?
«Non è pensabile che la più grande opera europea sia realizzata senza la Via».
Questione di procedure e di diverse interpretazioni.
«Eh no. Non è un problema solo di cavilli giuridici ma di sostanza progettuale, se si possa realizzare un’opera così impattante per l’ambiente quando la Valutazione di impatto ambientale è stata negativa. E’ ovvio che restando questi gravi punti interrogativi si legittimano tutti i dubbi possibili e si dà la stura a contenziosi infiniti. Non è accettabile, perché non si tratta solo di dubbi ambientalisti, ma del futuro di questa città».
Secondo i progettisti sarà il Mose a salvare Venezia.
«Invece si è persa un’occasione irripetibile per voltar pagina e perseguire un’idea di modernità di Venezia senza rotture con la sua storia com’è invece avvenuto nel secolo scorso».
Insomma il Mose è già vecchio?
«Sì, perché rimane all’interno del vecchio paradigma industrialista. Non è vetusto il funzionamento delle paratoie, che possono anche funzionare, ma la logica progettuale. Oltre al fatto che si tratta di un progetto rigido. Nel 2003 non sarebbe mai servito, nel 2002, alzando troppe volte, si sarebbe paralizzato il porto».
Allora è un progetto da buttare?
«Avevamo proposto al Consorzio Venezia Nuova di avviare una revisione progettuale. Purtroppo dobbiamo prendere atto che sono prevalse le logiche aziendali».
Il progetto definitivo è stato approvato anche dal Comune.
«Negli anni scorsi, anche quando in Regione e al governo vi erano amministrazioni politicamente ostili, il Comune aveva una funzione di dominus dei processi di salvaguardia. Oggi questo ruolo si è offuscato, Galan e Lunardi possono usare il bastone e la carota a loro piacimento».
Vuol dire che il Comune non conta più nulla?
«Dico che anche il punto di equilibrio trovato dal sindaco Costa e dal Consiglio doveva rappresentare una condizione per approvare il Mose. Così non è stato. E il rischio è che la città ora sia fuori gioco e le scelte siano fatte altrove.
Non a Venezia?
«Se si continua con questo balletto di tatticismi e di forzature puntando sulla stanchezza dei cittadini, della politica resta poco. Forse dovremo affidarci a Beppe Grillo».
Mose, la mega-opera che salverebbe Venezia dall'acqua alta, affonda ancora. Questa volta affiorano cantieri «fuorilegge», lavori «fantasma», violazioni delle norme ambientali. Insomma, il progetto del Consorzio Venezia Nuova (inaugurato in pompa magna da Silvio Berlusconi e cullato dal ministro Lunardi, insieme al governatore Galan) sta scivolando sul piano inclinato della regolarità urbanistica. E non solo. Sulla graticola, il presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva che firma i contratti e quindi risponde davanti alla Corte dei conti. All'attacco, i sindaci interessati: Massimo Cacciari a Venezia, Erminio Vanin a Cavallino e Fortunato Guarnirei a Chioggia. In difesa, arroccati all'appalto, gli industriali capitanati dal presidente Antonio Favrin che hanno perso il loro naturale punto di riferimento, l'ex sindaco della Margherita Paolo Costa. Esultano, invece, gli ambientalisti che continuano a spulciare ogni atto, procedura, voto e autorizzazione che riguarda il Mose. «La difesa di Venezia non è di destra né di sinistra. Ma bisogna scegliere la soluzione migliore senza pregiudizi. Finalmente, il Comune fa sentire forte la sua voce. Ci sono contestazioni tecniche, tuttavia la questione Mose resta sostanzialmente politica. E' arrivato il momento di una discussione pubblica. Sulle modifiche che non vogliono solo gli ambientalisti, ma anche sulla difesa della città a prezzi più bassi e sulle sperimentazioni mai avviate come sui progetti alternativi al Mose» spiega Alberto Viticci, cronista della Nuova Venezia che da vent'anni segue la vicenda.
L'ultimo capitolo risale a primavera, quando il Consorzio lavora fra mare e laguna lasciando intravedere dall'alto il disegno delle paratie mobili. A fine giugno, piomba a Venezia in incognito il ministro Lunardi e i Disobbedienti gli danno il benvenuto occupando gli uffici del Magistrato alle Acque. Nessuno lo sa, ma è già cominciato un sotterraneo braccio di ferro sulle verifiche dei cantieri. E ora, a polemica esplosa, spuntano perfino segnalazioni su lavori in corso a Ca' Roman e San Nicolò che rappresenterebbero inquietanti «novità», forse perfino inedite per la burocrazia. Fino a ieri, Maria Giovanna Piva ha preferito abbozzare. Ma il sindaco-filosofo di Venezia non molla: aspetta una risposta ufficiale alla lettera firmata insieme ai due colleghi dei Comuni interessati dai cantieri del Consorzio Venezia Nuova.
Tutto è nato in base ai controlli degli atti amministrativi da parte degli ambientalisti. A Ca' Farsetti, sono in primavera le segnalazioni firmate dall'Ecoistituto Alex Langer, Italia Nostra e Lipu. Una copia era indirizzata, per altro, anche alla Procura, ai Ministeri delle Infrastrutture e dell'Ambiente e al Consorzio Venezia Nuova. Il documento degli ambientalisti evidenziava il mancato rispetto della legge. Ma non c'è stata nessuna risposta. Di qui, la diffida vera e propria che invece ha scosso i sindaci. Racconta Michele Boato, ex assessore regionale dei Verdi e ora responsabile dell'Ecoistituto Langer: «Ci siamo accorti che i cantieri aperti erano tutti non previsti da strumenti urbanistici comunali e regionali. Di conseguenza, non rientrando nel Palav erano tutti fuori legge. Inoltre fuori dalle direttive europee per quanto riguarda i diversi siti di importanza comunitaria dal punto di vista ambientale interessati loro malgrado dai lavori, come la zona di Ca' Roman. Dopo un mese ci siamo resi conto che tutto tardava e siamo partiti con una seconda diffida, visti i danni che rischiavano di essere irreparabili, in particolare alla diga di Malamocco, tutelata da uno specifico vincolo della sopraintendenza, ignorato: ora il Comune di Venezia si è mosso come la città aspettava». Così si è messa in moto la giunta Cacciari: la Direzione centrale sviluppo del territorio e mobilità del Comune ha elencato 19 presunte violazioni alle norme ambientali all'interno dei cantieri nelle bocche di porto. Ma sono Ministero e Regione a decidere sull'immediata sospensione dei lavori. Quindi è scattata l'iniziativa dei sindaci: lettera ufficiale al Magistrato alle Acque con sollecitazione a fermare il Mose per «difformità urbanistica delle opere».
Cacciari, dunque, rilancia la sfida. E fa contenti i Verdi, per altro esclusi dalla nuova giunta dopo il «ballottaggio fratricida» nell'Ulivo. Luana Zanella, deputato del Sole che ride, sottolinea: «Dopo l'intervento del sindaco, il ministro Lunardi non può restare silente: i lavori del Mose devono essere bloccati. Ormai esistono le condizioni per fermare i cantieri che sono illegittimi rispetto alle norme di pianificazione dei comuni della Laguna e a quelle stabilite dall'Ue. La Commissione di Salvaguardia, inoltre, come chiarisce bene la sentenza della Corte Costituzionale 375/98, non ha affatto i poteri per derogare le norme urbanistiche stabilite dai comuni stessi perché non è una conferenza dei servizi». Il cerchio si chiude. La storica approvazione del Mose da parte della Commissione di Salvaguardia non si rivela più così inossidabile. Anzi, c'è chi segnala l'istruttoria tutt'altro che completa. Ma soprattutto quell'approvazione non «cancella» di certo le difformità fra progetto e urbanistica dei tre Comuni. Lo ribadisce l'avvocato Gianfranco Perulli, rappresentante del Comune di Venezia in Commissione: «Al momento del voto sono uscito dall'aula con altri cinque commissari, dopo aver verbalizzato che la commissione non aveva potuto completare l'indagine sul progetto e sugli allegati, esaminati solo in parte. Certo, il numero legale restava. Ma il parere resta viziato».
Come era di facile previsione il Sindaco Costa, non ha avuto difficoltà a firmare il documento della maggioranza del Consiglio Comunale che negli auspici dovrebbe fermare i lavori del Mose. Un documento di carattere puramente ordinatorio dei lavori, nel quale avremmo auspicato una premessa di impegno politico.
Timeo Danaos et dona ferentes: può essere la più pura delle speranze a guidare questa maggioranza e nel caso di Costa dobbiamo essere anche disposti a pensare ad una conversione sulla via di Damasco di Strasburgo!
Spieghiamoci:
1. In tutti i ruoli che ha rivestito da ministro dei LL.PP.( Presidente del Consiglio Prodi), a Sindaco, a europarlamentare, Costa (demiurgo anche in Europa del Ponte di Messina!) è stato ed è, del Mose, il massimo propugnatore pubblico.
2. Ne fa fede lo stesso Prodi, leader degli Uniti nell'Ulivo, (candidato alla prossima Presidenza del Consiglio), che venuto pochi giorni fa qui in laguna, non si è trattenuto dall'auspicare, coerente con le azioni e convinzioni comuni, che i lavori del Mose procedano spediti!
3. Le deliberazioni di cui, infatti, entrambi si sono fatti promotori, dal 1998, sono state all'origine del più colossale pasticcio di procedura amministrativa per un' opera pubblica. Tutti i Governi, che da allora si sono succeduti, sono rimasti più o meno consapevolmente invischiati e ne hanno vieppiù complicato la macchinosità: dai cosiddetti Esperti Internazionali, all'accettazione inusuale dell'annullamento del Tar del Veneto del Decreto di VIA negativa, all'annientamento di un autentico controllo scientifico, alla negazione di una interdisciplinarietà nelle decisioni, all'inserimento del Mose tra le infrastrutture della Legge Obiettivo, al susseguirsi di mere approvazioni burocratiche delle sostanziali modifiche inserite sul Progetto originario, da parte di Uffici periferici regionali e statali, normalmente coinvolti nelle fasi sub-procedimentali.
4. L' Ufficio di Piano, istituzione sussidiaria alla VIA (!) che doveva presiedere all'aggiornamento del Progetto ed alla sua revisione è rimasto fantomatico per anni, coinvolto in un defadigante quanto inutilelavoro preparatorio
5. L'Ufficio di Piano vede solo ora la luce, a decisioni prese, e sua la composizione, seppure di nomina del Governo Berlusconi, è di netta impronta "costiana",con qualche rara eccezzione.
6. Nel frattempo spropositate proposizioni e contraddittorie decisioni sono state assunte.
7. Ben oltre 1 anno fa, il 1 aprile del 2003, la maggioranza vota del Consiglio Comunale di Venezia votò quell'odg di 11 punti che, il 3 aprile 2003, il Comitatone, presente il Sindaco, ha tempestivamente assunto quale viatico per deliberare "di passare alla progettazione esecutiva ed alla realizzazione delle opere di regolazione delle maree alle bocche di porto ('progetto Mo.S.E.') e contemporaneamente alla realizzazione della struttura di accesso permanente alla bocca di Malamocco".
8. Comunque vada l'elezione in Europa, per l'anno che gli resterebbe da governare a Venezia, Costa, risulta già ora e risulterà più che mai completamente svincolato da qualsiasi rapporto fiduciario sia con la sua maggioranza e con il proprio gruppo politico, la Margherita ("con cui farò i conti al momento opportuno",si legge!) .
Oggi il Sindaco e la sua maggioranza ritornano a firmare un ordine del giorno (una paginetta) da esibire ad un prossimo, peraltro, non previsto Comitatone. È vero che Davide fermò Golia con un sasso: ma la mano di Davide era armata dalla purezza! Davvero questo è un atto sincero? Davvero il Sindaco e la sua maggioranza credono che si fermeranno i cantieri, davvero vi crede il verde Bettin?
Non si vuole precludere ogni via alla provvidenza, ma in nome del realismo politico e per conto della Lista Verde Boato Zitelli si chiede che:
- La maggioranza ulivista e rosso verde del Consiglio Comunale di Venezia, con un nuovo ordine del giorno, inviti Prodi, Presidente della Commissione Europea e leader dell'Ulivo di vincolarsi a fermare il Mose e a iniziare un diverso progetto di interventi. - in questo senso Prodi si obblighi già ora a vigilare sulla procedura di infrazione intentata dalla Commissione all'Italia, e riattivi l'azione della Commissione Europea sulla procedura di infrazione riprendendo le indagini, qualunque sia stata la risposta dello Stato italiano,
- il leader dell' Ulivo si vincoli da subito con dichiarazione esplicita, che qualora rinominato Presidente del Consiglio, Egli e i suoi Ministri riconosceranno le conseguenze legittime della Valutazione di Impatto Ambientale negativa sul Mose, quella valutazione che fu tanto avversata, ma che deve essere ripresa e aggiornata in sede nazionale,
- che si impegni a dare esecutività alle sentenze che reinseriscono nelle funzioni la Commissione per le Valutazioni dell'Impatto Ambientale che il Governo Berlusconi, con il Ministro Matteoli, ha dimesso. Solo così potranno essere dissipate le naturali perplessità sulla buona fede dei nostri rappresentanti politici.
Intanto ancora ieri si sono potute osservare attività di un consistente scavo all'interno del Canale di Malamocco, lato di Pellestrina a ridosso del piede della diga di Santa Maria del Mare: non erano "gusci di conchiglie", come pare abbia dichiarato il Consorzio Venezia Nuova, ma parecchie tonnellate di sabbia, nulla poi a che vedere "con il miglioramento della navigazione" come sembra abbia dichiarato il presidente dell'Autorità portuale, dal momento che le navi tengono rotta al centro del canale e non a ridosso del molo.
Intanto, i membri della Commissione di salvaguardia di obbedienza politica Forza Italia dichiarano che, per vincere le resistenze degli ambientalisti, voteranno con la maggioranza tutti gli interventi vavorevole al MoSE e alle altre opere di impatto devastante per la città storica, come la metropolitana sublagunare (da La Nuova Venezia del 22 giugno 2004)
VENEZIA. Centocinquanta firme di parlamentari in poche ore. Ha riscosso un grande successo l’iniziativa avviata dal deputato veneziano dei Ds Michele Vianello e dalla Sinistra ecologista per impugnare davanti all’Unione europea le «procedure irregolari» del progetto Mose.
Il risultato ha pochi precedenti nella storia della salvaguardia, e anche dell’attività parlamentare. Centocinquanta deputati del centrosinistra hanno sottoscritto l’appello che sarà ora inviato alla commissaria europea all’Ambiente Margot Wallstrom. La richiesta è quella di avviare le opportune verifiche sulla legittimità del percorso seguito. E, soprattutto, di sottoporre a Valutazione di Impatto ambientale la grande opera, le dighe per sbarrare le bocche di porto, nel frattempo già approvata e in parte finanziata dal governo.
Molte le firme illustri, con i Ds quasi al completo (il capogruppo Luciano Violante, il vicepresidente della Camera Fabio Mussi, Anna Finocchiaro, Livia Turco, Giovanna Melandri, Pietro Folena e Vannino Chiti, i veneti Andrea Martella, Bruno Cazzaro e Piero Ruzzante), il capogruppo di Rifondazione Franco Giordano e del Gruppo Misto Marco Boato, Ermete Realacci, Giulio Santagata e il vicecapogruppo Giacchetti per la Margherita, Luana Zanella e Paolo Cento per i Verdi. Una pattuglia folta, che Vianello conta di ingrossare ulteriormente nei prossimi giorni.
«Di fronte alla richiesta di una parte del Parlamento italiano», dice, «l’Europa non potrà non intervenire. L’appello è fatto di due pagine, dove sono riassunti i principali contestati passaggi di approvazione del progetto Mose e vengono sintetizzate le obiezioni.
La prima riguarda la mancanza di una Valutazione di Impatto ambientale. «Gli esperti del ministero avevano depositato il loro lavoro e la Valutazione era stata negativa», dice Vianello, «poi il Tar aveva annullato il decreto del governo per vizio formale, ma non il giudizio tecnico. Da allora l’esame non è stato più fatto. E’ possibile che la più grande opera di ingegneria ambientale d’Europa sia approvata senza la Via, come previsto dalle normative europee?» Altrettanto illegittimi, secondo la petizione firmata dai 150 parlamentari, sono i finanziamenti concessi dal Cipe, il Comitato per la programmazione delle grandi opere che fa capo al ministro Lunardi.
«450 milioni di euro», si legge nella lettera inviata alla Wallstrom, «sono stati stanziati per il Mose senza che l’iter fosse stato completato». «Palesi irregolarità» secondo i deputati, sono da registrare anche nella seduta del Comitatone del 3 aprile 2003, che aveva autorizzato il progetto esecutivo e la realizzazione della grande opera senza che la procedura fosse conclusa.
Una iniziativa che potrebbe rallentare la corsa intrapresa dal progetto Mose, di cui il premier Berlusconi ha già posato nella primavera scorsa, la «prima pietra». «Ma il sistema Mose è un’invenzione, non è contemplato dalle leggi», conclude l’appello dei deputati, «esiste soltanto un sistema laguna, nel quale è inserita una città unica al mondo che va tutelata. E contrariamente a quanto si pensa il problema di Venezia non è riconducibile esclusivamente alla difesa dalle acque alte».
«Com’è possibile pensare», conclude la lettera, «che non si debba valutare la compatibilità ambientale di un’opera da inserire in un ambiente così delicato?».
Il comune boccia il Mose
il manifesto
C'è ora anche il comune di Venezia tra coloro che si oppongono al Mose, il sistema di dighe mobili in corso di realizzazione a Venezia, una delle grandi opere del governo Berlusconi. Il comune ha infatti disposto un'informativa su 19 presunte violazioni alle norme comunali, regionali e comunitarie in materia ambientale, riscontrare nei cantieri alle bocche di porto. Mentre il sindaco Cacciari, sostenuto dai pareri dei primi cittadini di Cavallino e Chioggia, ha inviato una relazione dell'ufficio urbanistica al Magistrato delle acque sulle presunte violazioni, chiedendo di fermare i nuovi progetti esecutivi. Il comune si sarebbe convinto a intervenire dopo due diffide inviate dagli ambientalisti dell'Ecoistituto Alex Langer, da Italia nostra e dalla Lipu. Ma il magistrato avrebbe comunque deciso di dare il via libera a sei progetti, sostenuto dal ministro Lunardi. Mentre gli industriali di Venezia sostengono che il progetto deve andare avanti.
Mose, polemiche sulla Salvaguardia
la Nuova Venezia
Mose, stop ora o mai più: nel senso che o si fermano i lavori da qui all’inverno oppure, a fondamenta posate, saranno arrivati ad uno stadio troppo avanzato per essere bloccati. Così il confronto tra i due schieramenti si fa serrato, con il fronte del «No» che tenta l’ultimo affondo.
Il sindaco Massimo Cacciari - perizia tecnica alla mano, che ha rilevato ben 19 violazioni amministrative ed urbanistiche al mega-progetto - ha invitato il Magistrato alle acque (ma il sapore è quello della diffida) a non procedere con nuove approvazioni in attesa di chiarire i punti dubbi. Ufficialmente la presidente Giovanna Piva ieri non ha replicato, ma in sede di Comitato tecnico ha spiegato che i nuovi progetti esecutivi avranno un iter sufficiente lungo per permettere gli approfondimenti richiesti. Nel frattempo è però stato dato, tra l’altro, il via libera allo scavo di un nuovo canale a San Nicolò. «Solo uno sbuffo di china sul progetto, del quale non si è mai parlato prima: incredibile», commenta l’urbanista Stefano Boato.
Quando al Mose, si sa, la posizione di Magistrato e ministero delle Infrastrutture è sempre stata: il benestare è giunto dalla Commissione di Salvaguardia che, in sede di conferenza di servizio, ha sanato ogni pendenza. Equiparazione contestata da ambientalisti e amministrazione, che ricordano come la Corte Costituzionale abbia chiarito (375/98) che la Commissione non ha i poteri per derogare alle norme urbanistiche.
Di più, ora si apre un nuovo contenzioso, perché l’avvocato Gianfranco Perulli - rappresentante del Comune in seno alla commissione - ha messo nero su bianco come la decisione fu assunta pressoché a scatola chiusa. «Al momento del voto», spiega Perulli, «io e altri 5 commissari, come Stefano Boato e Cristiano Gasparetto, siamo usciti dall’aula, dopo aver fatto verbalizzare che la commissione non aveva potuto completare l’indagine sul progetto e gli allegati, esaminati solo in piccola parte. Un fatto del tutto pacifico, che rende viziato il parere e travolge l’intero procedimento amministrativo».
A spingere il sindaco Cacciari ad intervenire sono state due diffide, presentate dagli ambientalisti dell’Ecoistituto Alex Langer, Italia Nostra e Lipu. Ne è derivata un’indagine amministrativa della Direzione centrale sviluppo del territorio e mobilità, che ha evidenziato 19 presunte violazioni alle norme comunali, regionali e comunitarie in materia ambientale, inviata al ministero delle Infrastrutture e alla Regione Veneto, competenti sui provvedimenti di immediata sospensione delle opere abusive.
Il dibattito impazza. Se il presidente degli industriali di Venezia, Antonio Favrin, chiede che i lavori proseguano - «E’ un’idea che riteniamo valida» - la deputata verde Luana Zanella chiede invece al ministro Lunardi di bloccare i cantieri «assolutamente illegittimi rispetto alle norme di pianificazione dei comuni della laguna e a quelle dell’Ue per i siti Sic». Intanto, a Ca’ Farsetti si aspettano risposte ufficiali del ministro e del Magistrato alle acque. Nell’attesa, ieri, seduta balneare per l’intera giunta, riunita in conclave per tutto il giorno alla Colonia Morosini, con l’unica sosta per il pranzo insieme ai bambini del centro degli Alberoni: risotto di mare e pesce arrosto per tutti. Ogni assessore ha fatto il punto della situazione ed è stata stesa la scaletta del da farsi. Alla fine, sorrisi, ma bocche cucite. (r.d.r.)
Per comprendere perchè il MoSE non va bene si veda, per cominciare, questo articolo
4 giugno 2004 - Romano Prodi, in visita a Venezia per promuovere la lista unitaria dell'Ulivo, ha sostanzialmente approvato il progetto delle dighe mobili. Dopo aver apprezzato il lavoro di ricostruzione fatto alla Fenice, dopo essere rimasto incantato soprattutto dall'oro degli ornamenti, il presidente dell'Unione europea ha fatto una breve passeggiata in piazza San Marco. Curiosamente, lungo Calle larga XXII marzo, prima del passaggio del corteo gli ambulanti extracomunitari, che di solito affollano la calle, erano stati fatti allontanare.
Affiancato dal fratello Vittorio, dal sindaco Paolo Costa (che gli ha brevemente illustrato anche i progetti del rialzo della pavimentazione in piazza San Marco) e dal candidato alla presidenza della Provincia Davide Zoggia, Prodi ha così detto la sua sul Mose. «Non conosco nel dettaglio il ricorso contro il Mose, ma posso affermare che il progetto è comunque un punto di riferimento per la sicurezza di questa città, lo ho seguito per anni e spero che vada avanti. Da quello che ho potuto capire Venezia ha davvero bisogno di sicurezza». Dopo aver affermato di essere rimasto colpito dall'attentato all'ambasciata in Iraq, Prodi ha parlato al telefono da un tavolino del caffé Todaro con il primo ministro russo Michail Fradkov per sbloccare un problema relativo all'esportazione di carne tra l'Europa e il Paese dell'est. Incuriosite dalla piccola folla radunata al bar vicino all'illustre ospite, due turiste americane hanno chiesto ed ottenuto di farsi fotografare con il presidente. Anche in campo San Fantin i turisti erano rimasti a sbirciare, c'è anche chi, vedendo guardie del corpo e fotografi all'opera, lo ha confuso nientemeno che con Berlusconi. A San Marco Prodi, Costa, Zoggia e i giornalisti sono poi saliti a bordo di un battello elettrico dell'Actv.
Per il sindaco, visibilmente soddisfatto dell'incontro contrariamente a molti cronisti immobilizzati nel battello per tentare di sentire la debolissima voce del preside europeo sovrastata dal rumore del motore, è necessario insistere sul progetto di conversione dell'alimentazione dei vaporetti. Costa ha parlato del piano che prevede l'alimentazione ad idrogeno, una scelta costosa e soprattutto poco inquinante (è augurabile che sia anche meno rumorosa).
Il sindaco punta così ad ottenere la relativa approvazione, anche in chiave europea, nonchè i fondi necessari. «Ho sempre pensato che l'idrogeno fosse l'ideale per questa città - ha aggiunto Prodi - la sperimentazione a Venezia mi sembra la cosa più giusta, deve essere affrettata. Mi pare una combinazione ideale, tra Venezia e l'idrogeno, che mantiene anche la città più pulita».Ne hanno avute davvero tante
di Silvio Testa
5 giugno 2004 - Ne hanno avute davvero per tutti: per Costa, per Prodi, ma soprattutto per il Polo Rossoverde. Le dichiarazioni di Prodi sul Mose (vedi riquadro sotto) hanno scatenato Michele Boato (Verdi colomba) e Andreina Zitelli (Pri), candidati alla Provincia con la lista che porta il loro nome, che ieri hanno denunciato le contraddizioni del Centrosinistra e hanno chiesto che il sindaco sia mandato a casa con un anno d'anticipo. «Gianfranco Bettin, Beppe Caccia, Paolo Cacciari - ha scandito Boato - sono lì per i loro interessi, i loro fili rossi realmente attivi sono le alleanze strategiche con il mondo dei violenti d'Italia, ed è meglio un commissario per gli ultimi mesi dell'amministrazione che Costa svincolato da tutto».
L'analisi dei due è netta: il Mose è invasivo, dannoso, irreversibile, illegittimo, ma se siamo arrivati alla fase dei cantieri è anche perché il Centrosinistra nel merito si regge sull'ambiguità, e si arriva al paradosso che il sindaco è lieto che il Tar bocci il ricorso del Comune. «O è cosa da Corte dei Conti, perché si pagano gli avvocati per perdere, o è un manicomio» ha scandito Boato, affermando che le parole di Prodi hanno solamente messo una volta di più l'equivoco in rilievo.
«Costa farà appassire la Margherita», ha concluso Boato, sostenendo che anche in quel partito vi sono tante persone contrarie alle grandi opere stravolgenti e chiedendo se vi siano imprese del Consorzio Venezia Nuova che abbiano finanziato questa o la precedente campagna elettorale del sindaco per le europee.
«In sede locale - ha sostenuto la Zitelli - rimane innegabile il dato che il Polo Rossoverde ha condiviso tutte le decisioni del governo Costa, senza mai mettere in discussione la presenza dei suoi assessori nella giunta comunale. Le dichiarazioni di Prodi sul Mose - ha aggiunto - rappresentano per loro una batosta, e affossano l'ordine del giorno post elettorale annunciato da Pettenò, Bettin e Dal Corso».
Ergo? «Invitiamo tutto l'associazionismo, le remiere, le persone di buon senso, tutti coloro che hanno a cuore la laguna e la salute dei veneziani - ha concluso la Zitelli - a sostenere alle provinciali la nostra lista: non scendiamo né scenderemo a compromessi, siamo l'unica vera novità nel panorama politico locale, persone con vite chiare sempre nell'ambientalismo».La collocazione, hanno precisato entrambi, sarà nel Centrosinistra, anche se condizionata ai temi ambientali. «Vogliamo che la maggioranza di adesso vinca, ma nella chiarezza», ha affermato Boato, mentre la Zitelli ha sottolineato che la posizione storica e maggioritaria del Pri, ancorché oggi schierato col Polo, è contro il Mose. Lo conferma anche il segretario Pierre Zanin. «E mai nessuno - ha concluso - potrà impedirmi di fare in sede locale un'alleanza sui programmi».
Nel Polo Rossoverde, comunque, non si disconoscono le difficoltà della coalizione sui temi ambientali, soprattutto dopo le affermazioni di Prodi. «Sono state uno spot per Costa, ed è chiaro che sul piano politico sono un problema», ha sostenuto il capogruppo di Rifondazione Comunista, Pietrangelo Pettenò. Del resto, ha aggiunto, nessuna sorpresa, perché si tratta di una linea di piena continuità nel Centrosinistra.«Sia il Governo Prodi che il Governo Amato, con dentro i verdi di Boato e i repubblicani della Zitelli - ha sostenuto - l'hanno perseguita, e dunque non è mandando a casa Costa che non si fa più il Mose. Ronchi e la Melandri - ha aggiunto Pettenò - l'hanno forse fermato? La battaglia politica varrebbe la giunta, ma credere che in questo clima ciò basti a fermare il progetto significa essere degli illusi, fuori della storia».
La scelta giusta, ha dunque sostenuto Pettenò, sono gli 11 punti, e la mozione che ne chiederà la sperimentazione e, in attesa dei risultati, lo stop ai lavori propedeutici del Mose. «È però chiaro - ha concluso - che su questo si arriva alla resa dei conti: non gli chiediamo di abiurare al Mose, ma Costa deve impegnarsi su questa posizione. Niente forzature, altrimenti si rompe e nei mesi che mancano Rifondazione non parteciperà più al governo della città».
Sconcerto anche tra Verdi e Ds. «Adesso, oltre a Costa, c'è Prodi a dire 'avanti col Mose': si può sapere - ha chiesto il capogruppo dei Verdi, Flavio Dal Corso-, giusto perché gli elettori ne abbiano un'idea, come si comporterà il listone in Europa a proposito del Mose? Per ora ha aggiunto -, la verità è solo una: il solo voto anti Mose dato alle prossime europee sarà quello dato a chi non ha nessuna ambiguità su questo punto. Esattamente come i Verdi». E nella Quercia ieri Mara Rumiz si è affrettata a segnalare ai giornali che Giovanni Berlinguer, candidato nel listone alle europee, si è subito affrettato a subordinare ogni decisione sul Mose «a una attenta e meticolosa valutazione dell'impatto ambientale».
4 giugno 2004 - . Una visita alla Fenice, una passeggiata in piazza San Marco. E un sostegno, anche se prudente, al progetto Mose: «E’ sempre stato un punto di riferimento sulla sicurezza, spero che vada avanti». E’ durata meno di due ore la visita veneziana del presidente della commissione europea Romano Prodi. A fargli da guida il sindaco Paolo Costa, che lo ha accompagnato insieme al candidato presidente dell’Ulivo per la Provincia, Davide Zoggia.
Prodi è parso molto affaticato, e non ha risposto a domande su Berlusconi e Bush. Limitandosi a esprimere la sua «crescente preoccupazione» per le notizie che arrivano dall’Iraq. «Sono molto colpito», ha detto Prodi, «dall’attentato alla nostra ambasciata. Spero non ci siano state vittime».
Il presidente è arrivato da Padova nel pomeriggio, e a bordo del motoscafo della Prefettura ha raggiunto Santa Maria del Giglio. Prima tappa, la Fenice. «Non era potuto venire all’inaugurazione», spiega Costa, «gli avevo promesso di aprire il teatro solo per lui». Prodi, Costa e Zoggia salgono le scale del teatro illuminato a festa. Nel gruppo c’è anche il fratello di Prodi Vittorio, presidente della Provincia di Bologna e candidato all’Europarlamento nel Nord Est. Entrano a decine. Il solerte cerimoniale di Ca’ Farsetti decide di lasciar fuori soltanto i giornalisti.
Prodi ammira i restauri. Si fa spiegare dai progettisti le tecniche per la doratura dei decori e dei soffitti. «Ma è oro sul serio?», chiede. Gli spiegano che sotto i pavimenti ci sono tonnellate d’acqua per garantire la sicurezza in caso di incendi. Qualcuno, non visto, fa gli scongiuri. Si va alla sala Rossi, gioiellino in legno aggiunto al teatro «dov’era e com’era». «Bella, bella», commenta il presidente.
Tutti di corsa verso piazza San Marco. I vigili urbani e la Digos fanno strada. Qualche commerciante di via XXII marzo non perde l’occasione: «Ci vorrebbe tutti i giorni, Prodi, non abbiamo mai visto la strada così ordinata». Gli ambulanti senegalesi, abusivi e autorizzati, sono spariti come d’incanto.
A San Marco si posa per la foto. I professionisti dell’immagine tirano il collo per riuscire a venire immortalati «proprio accanto al presidente». A un certo punto qualcuno del cerimoniale ci prova: «Una foto del presidente con il sindaco, loro due da soli». Fatica sprecata, perché il gruppo non molla. Scattata la foto di rito davanti alla Basilica si fa rotta verso il Molo. Il cantiere metallico del Consorzio Venezia Nuova oscura l’isola di San Giorgio. Prodi si informa: «Cosa stanno facendo?». «Mettono a posto la pavimentazione, poi isolano il sottosuolo», risponde Costa, «qui sotto è pieno di cunicoli. Quanto tempo ci vorrà? Qualche anno».
Sotto le colonne di Marco e Todaro squilla il cellulare. Il capoufficio stampa Nino Rizzo Nervo, già direttore del Tg3 Rai, prende Prodi e lo fa sedere a un tavolino del Caffè Todaro. Dall’altro capo del filo c’è il primo ministro russo Mikhail Fradkov. La telefonata dura un buon quarto d’ora. «Abbiamo parlato del problema dell’improvviso blocco di esportazioni di carne dai Paesi dell’Unione alla Russia», spiegherà Prodi più tardi, «un problema che preoccupa gli allevatori di molti Paesi europei e che vale un miliardo e trecento milioni di euro. Abbiamo cercato di risolvere questo problema». Alla fine della telefonata, foto ricordo richiesta da una studentessa americana. «Mi chiamo Taylor», ha detto, «e ho fatto un master in Europa, volevo conoscere il presidente Prodi».
Tutti in battello. Si parla dell’energia pulita, ma anche dei lavori del Mose, che hanno subìto un’accelerazione. «Non ho seguito le ultime fasi di questo progetto», scandisce Prodi, «ma credo che il Mose sia uno dei punti di riferimento per la sicurezza della città. Io ho un certo passato, perché per anni ho assistito alle sperimentazioni e ai progetti nell’ambito del Consorzio, e quindi spero che possa andare avanti». Presidente, lei lo sa che in Europa ci sono due ricorsi, di cui uno firmato da 150 parlamentari dell’Ulivo?, gli chiedono. «Non sono un esperto di procedure, non ne sono al corrente», taglia corto Prodi. «Ma non è vero che manca la Via», corregge Costa, «e comunque le responsabilità sono tutte mie».
5 giugno 2004 - . Uniti nell’Ulivo, ma non sul Mose. Non è piaciuta ai Ds l’esternazione del presidente della commissione europea Romano Prodi in favore del progetto. «Non si può prescidnere da un’attenta valutazione di impatto ambientale», corregge il tiro Giovanni Berlinguer. Michele Vianello, deputato veneziano, è più duro: «Il presidente Prodi forse non è aggiornato o è stato male informato», dice.
Vianello era stato tra i promotori della raccolta di firme che aveva portato 150 parlamentari dell’Ulivo a presentare un ricorso all’Europa contro le procedure utilizzate dal governo per approvare l’opera. «Non ne so nulla», aveva detto Prodi. «Si informi dalla commissaria all’Ambiente Margot Wallstrom». E nel merito: «Noi che viviamo in questa città e non ci veniamo una volta ogni tanto, sappiamo che questa è un’opera inutile per garantire la sicurezza della città». Era stata proprio questa l’espressione usata da Prodi nel suo tour insieme a Paolo Costa, da sempre sostenitore della grande opera.
«La sicurezza della città certo va perseguita, ma i parlamentari Ds hanno contestano l’attualità dell’opera e la forzatura delle procedure attuata dal governo Belusconi», specifica Andrea Martella, parlamentare della Quercia.
Mara Rumiz, presidente del Consiglio comunale, invita a «rispettare la volontà della città e quello che ha deciso il Consiglio comunale». Da sempre molto critico sulla bontà del progetto e autore dei famosi 11 punti, ignorati dal governo e definiti da Costa «non ostativi all’avvio del Mose». I lavori intanto vanno avanti, con i primi interventi «pesanti» che che secondo gli ambientalisti stravolgeranno per sempre gli Alberoni, Punta Sabbioni il paesaggio delle bocche di porto.
«Il Mose è invasivo e dannoso, perché scavando i fondali le acque alte aumenteranno», attacca Michele Boato, candidato presidente alla Provincia, «non è reversibile, e questo è contro la legge, ed è stato approvato senza Valutazione di impatto ambientale». Poi attacca frontalmente il sindaco Costa: «Il Tar ha respinto un ricorso presentato dal Comune», dice, «e il sindaco se n’è detto lieto. E’ un caso da Corte dei Conti oppure da manicomio». Quanto a Prodi, Boato solleva il «conflitto di interessi» del presidente che con Nomisma sarebbe stato in passato «consulente» del Consorzio Venezia Nuova. «Vorremmo sapere dal sindaco Costa», continua, «se è vero che imprese del Consorzio gli hanno finanziato la campagna elettorale». «Vogliono cancellare Ca’ Roman e il paesaggio lagunare», gli fa eco la docente Iuav Andreina Zitelli, «Costa in questo modo farà appassire la Margherita».
Qualche imbarazzo nei Verdi. Che invitano a scegliere chi «ha sempre detto no al Mose». «Il listone sciolga le sue ambiguità», dice il capogruppo in Comune Flavio Dal Corso. L’atteggiamento di Prodi viene definito «ridicolo» dal leghista Alberto Mazzonetto. «Prodi ha detto quelle cose per far contento il suo pupillo che sostiene il Mose», dice, «ecco un buon motivo per non votare i due poli ma votare per noi».
Se volete capirne più di Prodi andate qui
Premesso che la grande opera di chiusura con dighe mobili alle bocche di porto per regolazione dei flussi di marea denominata Mo.S.E. è stata inserita tra le infrastrutture della Legge Obiettivo ed il Governo ha approvato la sua realizzazione
ritenuto
che tale opera, eseguita da un pool di imprese private in regime di monopolio e praticamente prive di controllo:
- elude il principale e prioritario problema del riequilibrio ambientale dell’ecosistema lagunare;
destinata a giacere sul fondo marino per almeno 100 anni per emergere in autunno con ritmicità anche quotidiana è circondata da fondati forti dubbi sulla sua efficacia;
- non risponde a quelle caratteristiche di sperimentalità, gradualità e reversibilità previste dalle leggi speciali per Venezia vigenti;
- è priva di un giudizio positivo di impatto ambientale;
in previsione di un presumibile fenomeno di sostenuto eustatismo si rivelerebbe presto obsoleta, penalizzante per l’attività portuale e dannosa per l’ecosistema lagunare;
- con i suoi altissimi costi di investimento e gestione dragherà tutte quelle risorse necessarie invece per il proseguimento di quegli interventi altrettanto fondamentali per la manutenzione urbana e per la rivitalizzazione socio-economica, per il riequilibrio idraulico, morfologico ed ambientale della laguna e per il risanamento del bacino scolante.
considerato
che già da tempo esistono soluzioni progettuali alternative meno costose, di scarso impatto ambientale, continuamente negate ed oscurate dal governo e dalle istituzioni, capaci di fornire efficaci risultati in termini di abbattimento delle acque alte salvaguardando contemporaneamente lo sviluppo portuale ed il riequilibrio lagunare nonché meglio rispondenti all’applicazione del principio di precauzione sull’eustatismo.
Invita
i Ds, le forze della sinistra e le associazioni ambientaliste ad attivarsi affinchè:
- la lotta contro la realizzazione del Mo.S.E. assuma rilevanza nazionale ed internazionale
- sia data voce a quelle proposte alternative volte al riequilibrio della laguna, all’arresto ed inversione del processo di degrado del bacino lagunare ed all’eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all’attenuazione dei livelli di marea in laguna con interventi che risolvono i nodi strutturali del problema, soprattutto la portualità lagunare e le compatibilità ambientali, ed affronti con soluzioni graduali e reversibili la regolazione delle maree alle bocche di porto.
esprime
infine un netto disaccordo verso tutte quelle posizioni, che hanno attraversato anche la sinistra veneziana, che hanno consentito all’ultimo Comitatone di poter deliberare la redazione del progetto esecutivo e la realizzazione del Mo.S.E.
Alberto Viticci,
Mose, il progetto è definitivo
Ma in Commissione di Salvaguardia un mare di polemiche
Il Comitatone lo aveva già approvato il 3 aprile scorso, il premier Berlusconi aveva posato la prima pietra. Ma al Mose mancavano ancora alcuni pareri. Ieri la commissione di Salvaguardia ha dato il via libera al «progetto definitivo» delle dighe mobili tra aspre polemiche.
Un parere approvato con 15 voti favorevoli, mentre i sei rappresentanti degli enti locali sono usciti dall’aula per protesta. «Ci potrebbero essere dei risvolti penali», spiega l’avvocato Gianfranco Perulli, rappresentante del Comune di Venezia, «perché i membri eletti non sono stati messi in condizione di valutare tecnicamente il progetto». Un metro cubo di carte arrivato poco prima di Natale e approvato senza dibattito. Secondo il legale ci potrebbe essere una violazione dell’articolo 97 della Costituzione, che richiede «il buon andamento dell’amministrazione pubblica». Ma la commissione non ha sentito ragioni. Presieduta per la prima volta dal presidente della Ragione Giancarlo Galan, ha espresso il parere favorevole. Per l’occasione si sono visti al gran completo anche i rappresentanti dei ministeri.
Stefano Boato, per il ministero dell’Ambiente, ha elencato una lunga serie di dubbi sull’opera, tra cui gli effetti negativi che questa avrà sul traffico delle navi, l’impatto ambientale provocato dai circa 8 milioni di metri cubi di materiale che sarà scavato, l’irreversibilità dei nuovi fondali, cementati a quote superiori a quelle di oggi. Il ministro Matteoli ha fatto sapere in serata di «non riconoscersi nella posizione del professore».
«Un vero blitz», lo hanno definito i componenti degli enti locali, «per il più grande progetto mai esaminato la commissione ha impiegato un mese e due sedute, meno della metà di quanto occorre per un’altana».
Michele Vianello, deputato veneziano dei Ds, ha depositato ieri una durissima interrogazione al ministro dei Trasporti Lunardi. Ricorda che il Comitatone aveva deliberato il 3 aprile scorso di passare all’esecuzione del Mose «in mancanza della prescritta Valutazione di Impatto ambientale, per cui l’Ue ha chiesto spiegazioni al governo, e in mancanza del parere della Salvaguardia». «Vorrei sapere», scrive Vianello, «se la realizzazione del sistema Mose stia procedendo in prsenza di palesi irregolarità nella procedura».
E un nuovo ricorso al Tar minacciano gli ambientalisti. Stavolta chiedendo anche la «sospensione dei lavori». «Il Comune deve avanzare la sospensiva», dice il presidente della commissione Legge Speciale Flavio Dal Corso. Aprendo formalmente un fronte nella maggioranza di Ca’ Farsetti che nonostante la decisione di un anno fa non ha mai inteso fermare i lavori. «Questa della commissione di Salvaguardia è l’ennesima forzatura nelle procedure», dice l’assessore Paolo Sprocati, «convocheremo i nostri tecnici e poi decideremo il da farsi». «Per Venezia non potevamo aspettarci di peggio», gli fa eco la parlamentare verde Luana Zanella, «il business del Mose ha dirottato su di sè tutte le risorse». Intanto il Mose fa un altro passo avanti. «Per noi il progetto è quello», sorrideva ieri l’ingegnere Alberto Scotti, progettista del Mose, «ora possiamo andare avanti con l’esecutivo come chiesto dal Comitatone».
VENEZIA. Il primo ad andarsene sbattendo la porta è il rappresentante dei comuni della gronda (Chioggia, Mira, Codevigo, Campagna Lupia) Guido Moressa. «Non intendo votare», scandisce, «perché la commissione non è stata messa in grado di valutare il progetto, e soprattutto le conseguenze che avrà sul nostro territorio». «Abbiamo ricevuto le carte pochi giorni prima di Natale e oggi ci costringono a votare. Un atteggiamento che può avere soltanto spiegazioni politiche». Giuseppe Ambrosio, direttore generale del ministero dell’Agricoltura, scalpita e impreca contro chi parla troppo ed «entra nel merito di un progetto di cui si parla da anni» e rischia di fargli perdere l’aereo. «Quando arriveranno le pratiche edilizie dei comuni farò anch’io così, tirerò in lungo», si lascia sfuggire, «il parere l’hanno già dato, è ora di votare». Il Mose non è questione un tantino più compless? «Ne vogliono fare una questione politica», dice. E’ proprio l’accusa che muovono compatti alla maggioranza della commissione i rappresentanti di Comune, Provincia e comuni di gronda. E, a sorpresa, il rappresentante della Regione Ubaldo De Bei. «Non è serio», dice, guardato con diffidenza dai funzionari di palazzo Balbi, «non me la sento proprio di votare per un progetto che non ho fatto in tempo a leggere». Andrea Ballin, a nome della Provincia, esprime «rammarico». «Avevamo chiesto un rinvio per leggere le carte», dice, «non ci hanno ascoltato». Cristiano Gasparetto, rappresentante del Comune, sottolinea che si tratta di «scelta illegittima»: «Quel progetto è stato approvato senza Valutazione di impatto ambientale, come previsto dalla normativa europea e il voto della Salvaguardia arriva a cose fatte, con i dubbi procedurali espressi dagli enti locali. Daremo battaglia». (a.v.)
VENEZIA. «Forzature? Le uniche forzature le fanno da anni quelli che vogliono bloccare l’opera. Il Comune che ha fatto il Ponzio Pilato, l’assessore Sprocati che con una lettera un po’ vergognosa voleva sollevare i suoi rappresentanti in commissione. Venezia può essere sicura. Da oggi finisce il suo secolare martirio di acque alte». Non si cura delle plemiche il presidente della Regione Giancarlo Galan. E annuncia trionfale l’avvio «definitivo» del Mose.
Il presidente della Regione non si era mai visto in quest’aula.
«Sono venuto per l’insediamento. E oggi per l’importanza dell’argomento trattato e per rispetto nei confronti di chi ha assunto le decisioni precedenti».
Una decisione assunta in contrasto con gli enti locali, i comuni di gronda e la Provincia.
«Avevano già votato a favore, La delibera che dà il via al Mose è stata approvata dal Comitatone del 3 aprile all’unanimità».
Ma il Comune aveva posto 11 condizioni preliminari.
«Nel verbale del Comitatone è scritto con estrema chiarezza che si trattava di una problematica distinta, non ostativa alla realizzazione del progetto. Se qualcuno ha avuto interesse a raccontare verità diverse, mi dispiace per lui, ma le indicazioni del Comitatone sono chiarissime»
Al progetto manca ancora la Valutazione di impatto ambientale.
«La Via l’ha fatta la Regione. Ognuno adesso può fare ricorsi, aprire indagini. Ma l’opera è partita. Il governo ha mantenuto le promesse». (a.v.)
Una grande opera di cui si discute da un quarto di secolo. Risale infatti ai primi anni Ottanta il progetto di massima del ministero dei Lavori pubblici sulle chiusure alle bocche di porto. Nel 1984 la progettazione è stata affidata al Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per le opere di salvaguardia creato con la seconda Legge Speciale.
Del 1988 è il progetto preliminare, con l’inaugurazione fatta dall’allora vicepresidente del Consiglio Gianni de Michelis del prototipo Mose. Nel 1992 arriva il progetto di massima, nel 2002 quello definitivo. Il sistema Mose prevede la chiusura delle tre bocche di porto con una serie di enormi paratoie (82) cementate sul fondo, che si alzano riempite d’aria in caso di marea superiore ai 110 centimetri. Costo stimato, circa 3 miliardi di euro. Sulla grande opera i pareri anche scientifici sono contrastanti. Promosso dai cinque esperti nominati dal ministero, il Mose è stato bocciato dalla Valutazione di impatto ambientale nel 1999. Nei primi mesi del 2003 è cominciata la costruzione della diga foranea di Malamocco, «opera preliminare» che servirà per proteggere la conca di navigazione. (a.v.)