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Edoardo Salzano
20050700 Venezia, un presepio vuoto per il turismo
23 Novembre 2011
Articoli e saggi
Il conflitto tra difesa del bene comune e dominio dei poteri forti nella città e nella Laguna, in un articolo scritto per la rivista mensile Carta etc n.1, luglio 2005

Una città unica al mondo

Il conflitto a Venezia è come in molte altre città italiane: tra la difesa del bene comune e il dominio dei poteri forti. Questi ultimi, dove governa il centro destra sono smaccatamente nella sala di comando, mentre dal centro sinistra sono privilegiati nella ricerca del consenso. Nella Laguna veneziana questo conflitto ha una luce particolare, perché particolarissime sono le caratteristiche assunte dal bene comune.

Domandiamoci perché Venezia (come si dice) è una città unica al mondo. Perché è una città che ha conservato quasi intatta la sua forma: le grandi trasformazioni avvenute negli ultimi due secoli, se l’hanno indubbiamente guastata, non hanno cancellato il predominio dell’immagine progressivamente composta nel corso di un millennio. Perché è una città ancora viva: non solo un palcoscenico sul quale recitano compagnie forestiere, e neppure ridotta a parte (“centro storico”) imbalsamata o irrimediabilmente trasformata a frazione di un’area urbana più vasta, ma una città dove cittadini stabili abitano, lavorano, si incontrano, si sentono (ancora) cittadini normali di quel luogo millenario. Perché, infine, è una città che testimonia ancora, nella sua forma e nella sua vita, una capacità di governare il rapporto tra intervento dell’uomo e ambiente utilizzando la natura – la sua forma come le sue risorse, la trama del suo disegno come i suoi elementi – senza negarla, senza violentarla, senza distruggerla né degradarla.

Tensioni distruttive

Questa singolarità di Venezia l’ha resa soggetta a due grandi tensioni di trasformazione.

Da una parte, come ogni luogo eccezionalmente dotato di qualità particolari, è divenuta il bersaglio di correnti di visita e d’interesse sempre più vaste. Il turismo d’élite dei tempi di Thomas Mann si è rapidamente trasformato (soprattutto nell’ultimo mezzo secolo) in un turismo di massa sempre più devastante: sia per l’incompatibilità dei grandi numeri (oramai oltre dodici milioni di presenze all’anno) con le dimensioni limitate, spesso anguste, comunque commisurate all’uomo, della città e dei suoi spazi; sia per gli effetti che esso provoca – attraverso la mediazione dell’economia – sulla vita stessa della città. La fortissima riduzione delle case in affitto, la scomparsa dei negozi legati alla vita quotidiana, l’aumento dei prezzi al consumo, l’impoverimento della qualità dei servizi di cittadinanza, tutto ciò contribuisce a impoverire la vita sociale della città e a ridurla al rango di una qualsiasi San Marino: vuoto presepio mantenuto a vita artificiale per la rappresentazione turistica.

Dall’altra parte, la costante tendenza all’omologazione della città e del suo territorio ai modelli d’intervento caratteristici del resto del mondo. Mi riferisco soprattutto al particolarissimo rapporto che lega storicamente Venezia e il suo governo all’ambiente ambiente (alla Laguna), che è un possibile modello per uno sviluppo della società in armonia con la natura, e che negli ultimi secoli è stato sistematicamente violentato: negato nella sua autentica modernità in omaggio a una mercantile modernizzazione. Ma su questo punto conviene soffermarsi.

La Laguna

Venezia non è comprensibile e governabile senza la sua Laguna: ignorare questo sarebbe come ragionare su Roma riducendola al Colosseo. La Laguna è un sistema unico al mondo, in equilibrio instabile tra i suoi due possibili destini (un braccio di mare, o una distesa di terra), Un sistema la cui sopravvivenza è stata garantita per quasi un millennio da un governo assiduo delle acque e delle terre, orientato ad adoperare le forze della natura guidandole accortamente.

Le tre parole d’ordine, che costituivano precise direttive per i governanti della Serenissima, erano: sperimentalità, cioè studiare, verificare, monitorare, provare anche per decenni; gradualità, cioè progettare gli interventi in modo che la loro attuazione nel tempo avvenga per successione di elementi discreti; reversibilità, cioè possibilità, in ogni momento, di ripristinare la situazione preesistente. Parole d’ordine d’un ambientalismo ante litteram, rivelatrici di un’attenzione agli ecosistemi naturali e alle condizioni del loro uso da parte dell’uomo che appaiono oggi d’una modernità sconcertante: una sapienza da riscoprire.

Caduta la Serenissima, le logiche della “modernizzazione” otto-novecentesca hanno provocato un degrado costante: con opere pubbliche coerenti con la mentalità cementizia, con l’abbandono dell’attività diuturna e severa di manutenzione dell’ambiente, con l’interramento e la privatizzazione (la sottrazione alla natura e al governo pubblico) di vaste porzioni di Laguna. L’alluvione del 1966 ha svelato gli effetti del malgoverno ma ne ha prodotto altri, più devastanti: la decisione del governo nazionale (ministro Nicolazzi) di affidare a un consorzio di imprese, sostanzialmente edilizie, i compiti di studio, progettazione, sperimentazione e attuazione degli interventi sulla Laguna, sostanzialmente costituiti dai faraonici interventi alle “bocche di porto”: il cosiddetto progetto Mo.S.E. (acrostico di Modulo Sperimentale Elettromeccanico). Questo consorzio è diventato il vero padrone della città, indubbiamente il più forte dei poteri che in essa (e su di essa) agiscono. Rispetto ad esso e alle sue scelte le forze che hanno governato la città hanno dimostrato una debolezza sconcertante, a volte si sono rivelate apertamente complici.

Riprendere una vigorosa iniziativa politica contro il Mo.S.E., denunciare i suoi primi devastanti effetti, documentarli sollecitando una presa di coscienza dell’opinione pubblica nazionale e internazionale (assolutamente disinformata della reale consistenza dei problemi e della pericolosità delle soluzioni in atto), sostenere le iniziative delle associazioni ambientaliste che tentano di contrastare i malanni, lanciare iniziative che rendano esplicita la possibilità di vivere la ricchezza paesaggistica, ambientale, culturale della Laguna in modo compatibile con la sua sopravvivenza, sperimentare in questo la possibilità di ricostruire un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente: questo dovrebbe essere l’impegno centrale di un governo intelligente di Venezia, che voglia sottrarre il bene comune della città e del suo ambiente al dominio dei poteri forti, per conservarlo intatto nell’interesse dell’umanità.

Il turismo e la casa

Turismo e residenza sono due aspetti, strettamente connessi, della vita sociale della città e, oggi, del suo degrado. Per combattere quest’ultimo è in primo luogo necessaria una politica del turismo che lo renda compatibile con la città (e quindi capace di contribuire alla ricchezza dei suoi cittadini ma non distruttivo della risorsa di cui si nutre). Ciò richiede la definizione e l’attuazione di una rigorosa politica di “razionamento programmato dell’offerta turistica”, quale fu proposta ai tempi della battaglia contro l’Expo. Si tratta di una linea che è indispensabile praticare per contenere un’invasione ormai insostenibile. Per farlo, bisognerebbe cominciare a rinunciare a tutti quegli eventi e quelle opere che accrescono il richiamo di Venezia sulle correnti turistiche: dai “grandi eventi” (la città seppe opporsi all’offerta di un Expo, e vincere la sfida), dall’apertura a ogni iniziativa commerciale che si proponga di utilizzare lo scenario offerto dalla città per celebrare i suoi prodotti, dall’ipotesi folle di una metropolitana sublagunare che accrescerebbe l’afflusso di massa dei visitatori.

La difesa della residenzialità “normale” aveva costituito a Venezia una linea costante delle forze politiche della sinistra e del centro, dagli anni Settanta all’inizio degli anni Novanta. La chiave di volta era stata quella di privilegiare l’intervento pubblico, in particolare nel campo delle nuove costruzioni, di arricchire il patrimonio abitativo pubblico, di difendere la residenza contro ogni cambiamento delle destinazioni d’uso. In quegli anni, tutti i partiti hanno rigorosamente tenuto fede all’impegno ”neppure una nuova costruzione per abitazioni a Venezia che non sia pubblica e destinata ai veneziani”.

A partire dagli anni Novanta il governo cittadino ha operato un drastico mutamento di rotta. Non si è fatto nulla per la programmazione del turismo, cedendo invece a ogni iniziativa di commercializzazione, e anzi stimolandole: dalle esposizioni di automobili nel “luogo sacro” di piazza San Marco alla proposta di una metropolitana sublagunare. Si è condotta una politica della casa pienamente coerente con quella sintetizzato nello slogan “meno Stato e più mercato”, che si manifestava in quegli anni nella sinistra a livello nazionale. E si sono frettolosamente smantellati tutti gli strumenti che avrebbero consentito di controllare le destinazioni d’uso: dalla revoca della delibera comunale di recepimento della legge nazionale sui vincoli alle tipologie di attività commerciali e assimilabili nei centri storici, al piano regolatore della città storica, profondamente snaturato proprio sulla sua capacità di controllo delle utilizzazioni degli spazi edilizi.

Controllare l’uso degli spazi, per finalizzarne l’utilizzazione all’interesse comune: questo è ciò che la Repubblica Serenissima ha saputo fare per secoli, e che ha prodotto il miracolo espresso nel nome di Venezia. Riprendere nelle proprie mani il controllo, contrastando i reiterati tentativi di adoperare privatizzazioni e commercializzazioni come motori di uno sviluppo misurato sul metro esclusivo della rendita: questa è l’unica strada che può consentire al mondo di utilizzare il laboratorio che la città e la sua Laguna possono diventare, nel faticoso tentativo della civiltà di recuperare, dopo i secoli dell’illusione sulle “magnifiche sorti e progressive” d’uno sviluppo affidato alla sfida tecnologica alla natura, gli insegnamenti di una raffinata esperienza di collaborazione tra storia e natura, tra sviluppo e ambiente.

Qui il sommario del numero del mensile Carta etc. n. 1 luglio 2005

Qui un saggio su

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