Continuano a Venezia le contestazioni al Mose, il sistema di dighe mobili per la salvaguardia della città dalle acque alte, sostenuto dal governo nazionale e regionale. L’ultima sabato scorso, da parte dell’“Assemblea Permanente No Mose” che riunisce le associazioni che si battono contro la realizzazione della mega opera alle bocche di porto. I “No Mose” hanno ribadito la contrarietà al progetto, appendendo alla facciata della Basilica di San Marco uno striscione con scritto “No Mose, Grandi Opere Grandi Bidoni. Il Mose serve solo a chi lo fa”. Semplice ed efficace. Uno slogan che ricorda il megaspot, mal camuffato come campagna istituzionale, realizzato della presidenza del Consiglio dei ministri, che ci racconta quante e quali siano le Grandi Opere avviate dal governo per far “crescere l’Italia”. Tra queste ovviamente il Mose, che però è in buona compagnia con il ponte di Messina, il viadotto della Salerno-Reggio Calabria, la Tav, eccetera eccetera. Il sistema di dighe mobili, assieme alle altre Grandi Opere – come dice lo spot – dovrebbe far crescere l’Italia, ma intanto, anziché salvare Venezia dall’acqua alta, affossa la città, privandola dei fondi necessari per realizzare gli interventi di manutenzione di cui ha bisogno il centro storico. Perciò quest’anno, poiché il governo ha dirottato sul Mose tutti i finanziamenti per Venezia, i 100 milioni di euro che servivano per lo scavo dei rii, il rifacimento dei ponti e altri interventi, sono stati di fatto tolti alla città. Era dal 1984 che Venezia non rimaneva senza un soldo. In più anche la Commissione europea, qualche settimana fa, ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia sul progetto delle paratie mobili del Mose, sostenendo che il governo italiano non ha adottato misure idonee a prevenire l’inquinamento e il deterioramento dell’ecosistema lagunare – come affermano da anni le associazioni ambientaliste, e non solo – e violando specifiche direttive sulla tutela degli uccelli.
La stessa giunta veneziana, guidata com’è noto dal sindaco Massimo Cacciari, ha finalmente preso una posizione precisa sul problema Mose e, a fine gennaio, ha approvato all’unanimità un documento che chiede la revisione progettuale delle opere alle bocche di porto. L’ordine del giorno è stato inviato a tutti i gruppi consiliari per avviare il percorso di valutazione e discussione, che dovrebbe condurre, subito dopo l’esame del bilancio di previsione 2006, a un pronunciamento del Consiglio comunale. Il documento approvato afferma che il Mose non rispetta i criteri di reversibilità, gradualità e sperimentalità e che, fino ad oggi, non è mai stata considerata la specificità delle singole bocche di porto. Il documento inoltre ricorda che esistono dei progetti per la salvaguardia di Venezia alternativi a quello che si sta attuando, presentati a dicembre in municipio con un incontro pubblico. Tutti progetti che, al contrario del Mose, si differenziano per la loro semplicità, rapidità di realizzazione, e reversibilità, nonché per avere un costo di attuazione molto più contenuto rispetto all’attuale sistema di dighe mobili. Cacciari intanto confida sul nuovo governo, ma per il momento nel programma dell’Unione di progetti per la salvaguardia di Venezia non c’è traccia.
E intanto il Mose avanza, nonostante tutto. La prima fase dei lavori, che consiste nella costruzione delle opere complementari, è quasi ultimata. La seconda fase, cioè la costruzione della parte portante del sistema, procede, mentre la terza e ultima fase, che dovrebbe concludersi nel 2012 e dovrebbe consistere nella realizzazione effettiva delle dighe con l’installazione delle paratoie, non è ancora stata avviata. Costo complessivo della Grande Opera: 4,2 miliardi di euro, di cui 1,2 miliardi già spesi o impegnati
Postilla
Tutto vero. Ma il costo della realizzazione sarà certramente più alto. E nessuno ha ancora calcolato (o reso pubblici i dati) del costo della gestiobne. Questo sarà certamente molto alto, tenendo conto della complessità dei meccanismi (meccanici, elettrici e informatici), del fatto che l'impianto è quasi completamente sommerso, che la vigilanza e la capacità di manovra devono essere continue, che i grandi pannelli d'acciaio devono essere smontati e sostituiti per le operazioni di manutenzione ecc. Chi gestirà? Chi èpagherà i costi di gestione? Non si sa.
Abbiamo seguito le argomentazioni pro MoSE esposte da Mario Pirani in alcuni recenti articoli apparsi su Repubblica (“Le diffidenze sulla TAV e sul MoSE”, ed altri), ed abbiamo molto apprezzato alcuni Suoi commenti sul sito eddyburg. In qualità di ingegneri che hanno progettato una delle alternative al MoSE oggi in esame da parte del Comune di Venezia, la Paratoia a Gravità, ci sentiamo chiamati in causa e vorremmo esporre il nostro punto di vista.
Dobbiamo dire con franchezza che la curiosità ed il buon umore suscitato da alcune battute spiritose degli articoli di Pirani, è diventato per noi un vero sconcerto quando è emerso il suo vero punto di vista sul MoSE. Stentiamo a credere che un giornalista del suo livello culturale sembra aver sposato la teoria del dualismo assoluto tra il “fare” ed il “non fare”, usata come un’arma da molti fautori e sostenitori del MoSE, per bollare coloro che criticano l’opera come quelli che non vogliono salvare Venezia. Noi siamo ingegneri che hanno impostato tutta la loro vita professionale nel “fare” ma soprattutto fare bene per competere nel mercato internazionale per acquisire i progetti che abbiamo realizzato con successo e considerati pietre miliari nel campo dell’ingegneria marina ed “offshore”.
Il MoSE, dice in sostanza Pirani, nel suo iter ventennale è stato approvato in diverse sedi, da governi di diversa coloritura politica e da una commissione di esperti internazionali.
Diciamo subito che queste approvazioni, quando ci sono state, sono sempre state date avendo sul tavolo soltanto una soluzione, il progetto del MoSE appunto e noi pensiamo che in diversi casi può anche aver giocato un ruolo decisivo il fatto che nessuno voleva o poteva assumersi, giustamente, la responsabilità morale di schierarsi contro la salvaguardia di Venezia. Anche perché negli scorsi anni si è voluta far passare l’equazione che chi è contro il MoSE è contro la salvezza di Venezia.
Pirani cita la legge speciale del 1984, ma dimentica che essa fissava per le opere di difesa i tre principi irrinunciabili di gradualità, sperimentalità, reversibilità. E dato che il MoSE, per la sua concezione monolitica e le scelte tecnologiche e di sistema fatte, non rispetta e non potrà mai rispettare tali principi, se ne deduce che le approvazioni da esso ricevute, sono da considerare illegittime: non si può approvare un progetto che non rispetta requisiti fondamentali imposti dalla legge speciale.
Si cita poi la famosa approvazione della commissione di Esperti Internazionali che in realtà è avvenuta in termini molto più sofferti da quello lapidario indicato: “ Parere nettamente favorevole al MoSE”.
Da una lettura attenta del documento si può facilmente evidenziare che:
1. Gli esperti premettono che accettando le premesse di progetto del MoSE, hanno escluso a-priori di far confronti con altre tipologie di soluzioni.
2. Gli esperti valutano molto negativamente un punto cruciale del progetto: l’analisi dinamica della schiera di paratoie MoSE, che per effetto della condizione di risonanza cui si trovano a lavorare, produce il famoso “sfarfallamento”, cioè la oscillazione sfasata delle paratoie.
E’ vero che alla fine il progetto viene accettato, ma con forti critiche e suggerimenti che, da quanto ci risulta, non sono stati accolti.
Il nostro progetto, la Paratoia a Gravità, sviluppato a partire dal 2002, oltre a rispettare i tre principi irrinunciabili suddetti, presenta numerosi altri decisivi vantaggi, che richiederebbero molto spazio e non possono essere illustrati in questa sede.
Ci limitiamo a dire che la nostra trentennale esperienza nel campo delle tecnologie marine ed offshore ci ha consentito in primo luogo di focalizzare le inadeguatezze ed i punti critici del MoSE, e che partendo da essi abbiamo sviluppato una soluzione tecnica alternativa (il sistema di sbarramento delle bocche di porto basato sul concetto della Paratoia a Gravità) che soddisfa pienamente i criteri di progetto imposti dalla legge speciale, in particolare i principi di gradualità, sperimentalità e reversibilità e non è in risonanza con le onde . La nostra soluzione utilizza componenti, tecniche e procedure di progettazione e realizzazione che sono standard nell’ingegneria marina, ha impatto ambientale, costi, tempi e rischi di sviluppo estremamente inferiori al progetto del Consorzio Venezia Nuova e non prevede componenti critici e mai sperimentati (nel cosiddetto “progetto definitivo” del MoSE, citiamo un solo esempio su altri, non esiste il progetto dei connettori meccanici sconnettibili delle cerniere delle paratoie dalle basi di cemento armato, componenti innovativi e chiave per la fattibilità stessa dell’intero sistema).
Abbiamo appreso dai media che il nostro progetto è stato “scartato” e, nonostante le nostre ripetute richieste, non ci è mai stata data la ragione tecnica del giudizio “non positivo” espresso dal Magistrato alle Acque di Venezia. Facciamo presente che durante la presentazione del nostro progetto al Magistrato alle acque, abbiamo dimostrato tutte la carenze progettuali del MoSE, anche per evidenziare le differenze e i vantaggi che questo presenta; in quella occasione i tecnici del Magistrato, il progettista del MoSE e i massimi esperti presenti non furono in grado di contestare le nostre affermazioni e dissero che dovevano pensarci con calma per poter fare domande “intelligenti e non banali” sul nostro progetto (il verbale dell’incontro è a disposizione).
Ci permettiamo di suggerire al dott. Pirani di venire a Venezia per rendersi conto di persona di quello che sta bollendo in pentola ed in quella occasione saremmo lieti di illustrargli il nostro progetto. Siamo sicuri che scoprirà e prenderà atto di novità importanti che da lontano gli sono sfuggite, anche perché siamo certi che una persona del suo livello culturale, su un argomento così importante, non voglia e non possa ragionare sulla base di preconcetti. In alternativa, se vuole, può organizzare lui stesso una tavola rotonda in cui si possa fare un confronto tecnico pubblico fra il nostro progetto ed il MoSE.
Non possiamo che rammaricarci per il fatto che queste stesse considerazioni, inviate a Repubblica ed a Pirani, non siano state prese in considerazione da un giornale così importante, che purtroppo, ci pare di constatare, non è particolarmente attento a quanto sta accadendo per la salvezza di questa nostra città.
Ingegneri Vincenzo Di Tella, Gaetano Sebastiani, Paolo Vielmo
Venezia
Pecoraro Scanio ha scritto a "Repubblica" una lunga lettera per contestare l’ultima mia rubrica dedicata ad un richiamo della Commissione di Bruxelles al governo italiano sulla protezione degli uccelli selvatici, che, secondo il leader dei Verdi, andava inteso come un veto europeo al Mose. Pecoraro scrive, tra l’altro, che «la commissione europea non si limita a contestarci la non osservanza della Direttiva uccelli, ma ci contesta anche di non aver identificato né adottato misure idonee a prevenire l’inquinamento o il deterioramento degli habitat, in questo caso la laguna di Venezia. Il funzionamento delle paratie per un’ora determinerebbe un cambiamento delle correnti che avrebbero bisogno di circa due giorni per ristabilire il normale ciclo. Ma anche volendo ignorare tutto ciò... bisogna tenere conto che l’evento del 1966, che provocò morte e distruzione... fu dovuto ad una serie di eventi concomitanti incluso un grande apporto di acqua dall’entroterra. In uno scenario di questo tipo, chiudere le bocche della laguna significherebbe correre il rischio di trasformarla in una piscina. Il Comune di Venezia ha recentemente esaminato 15 progetti alternativi al Mose e le decisioni sul da farsi sembrano interessare tutte le forze politiche. Più in generale, poi, vorremmo rassicurare Pirani che i Verdi saranno tra i maggiori e più convinti sponsor delle grandi opere utili... comprese metropolitane e linee urbane di superficie. Due snodi di logistica integrata per lo spostamento delle merci su treno-nave su entrambe le sponde italiane. Il completamento della Salerno-Reggio Calabria. La costruzione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili e tanto altro ancora. È inaccettabile continuare a descrivere i Verdi, che hanno contribuito a governare il Paese e che governano in regioni, province e comuni italiani, come una forza frenante».
Rispondo cercando di tener distinti i due temi: la turbativa che il Mose potrebbe portare alle diverse specie di volatili, e il più generale contenzioso sull’opera. Per il primo punto l’avviso della Commissione europea si riferisce esclusivamente alla conservazione degli uccelli selvatici e a questo fine richiama anche alle direttive per la conservazione dell’habitat lagunare. Un obbiettivo senz’altro importante ma che non può essere posposto alla messa in salvaguardia di Venezia. Pecoraro Scanio, peraltro, avanza dubbi sulla eventualità che un evento catastrofico come l’alluvione del 1966, quando il livello toccò i 194 centimetri, abbia a ripetersi.
Purtroppo è un ottimismo poco suffragato, dato che la dinamica atmosferica è in rapido peggioramento in tutto il mondo (vedi New Orléans). Per quanto riguarda Venezia, se nel decennio 1963/1972 le acque alte superiori ai 110 cm si verificarono 32 volte, già nel decennio 1993/2002 la frequenza fu di 53 volte. Quanto agli eventi eccezionali (quando l’acqua supera i 140 cm) essi, non solo si sono verificati con un crescendo impressionante, ma si è calcolato che se l’acqua alta del 6 novembre 2000, quando raggiunse i 144 cm, si fosse presentata quattro giorni dopo, in coincidenza con l’alta marea astronomica, il livello avrebbe oltrepassato quello del 1966! Con buona pace non solo dell’habitat degli uccelli. Quanto ai progetti alternativi essi non sono allo stato delle cose neppure comparabili con il Mose che ha alle spalle molti anni di studi e migliaia di ore di ingegneria. Per generale indicazione di tanti esperti, in particolare i componenti della commissione di grandi studiosi internazionali, nominata a suo tempo dal governo Prodi, il Mose è la soluzione d’ingegneria idraulica tecnicamente preferibile a tutte le altre ipotizzate.
Nella loro relazione scrivevano: «Il sistema delle barriere mobili è flessibile e robusto e sarà efficace per proteggere Venezia dall’acqua alta per un ampio spettro di scenari di aumento del livello del mare». Sempre che si voglia considerare serio il pericolo. Se così non fosse né Mose né i progetti alternativi avrebbero senso. Va anche aggiunto che il Mose verrà utilizzato anche per difendersi dagli allagamenti dovuti alle acque medio alte, più frequenti.
Sono passati 40 anni dalla terribile mareggiata del 1966, 33 anni dalla emanazione della legge sulla salvaguardia della città, 22 dalla seconda. In questo lunghissimo arco di tempo si sono tenuti un numero incalcolabile di verifiche e confronti in tutte le sedi. Sono stati inoltre impiegati ingentissimi investimenti pubblici in sperimentazioni, progetti e opere ormai avviate. Dopo tutto questo sarebbe oltremodo singolare ricominciare da capo e tornare allo stadio del concorso di idee.
Postilla
Questo articolo, a differenza degli altri di Pirani sul medesimo argomento, ha un merito: riporta l’intelligente replica di Pecoraro Scanio. Quando poi si tratta di replicare a sua volta, continua a prendere lucciole per lanterne. Per esempio:
1) Non è vero che Pecoraro Scanio “avanza dubbi sulla eventualità che un evento catastrofico come l’alluvione del 1966 [...] abbia a ripetersi”. Ricorda invece che quell’alluvione di manifestò per la concomitanza di più fenomeni, in particolare l’esondazione dei fiumi compresi nel comprensorio lagunare. Per la regimazione dei fiumi poco o nulla si è fatto. Sicché se quei fenomeni si ripetessero oggi le barriere sarebbero - come ha scritto Pecorario Scano - un ostacolo al deflusso anziché all’ingresso dell’acqua.
2) E’ vero che in quarant’anni ci sono state molte verifiche, ma sono state tutte (eccetto una, peraltro discutibile) di parte: cioè la regia è stata sempre di quel Consorzio Venezia Nuova, onnipotente concessionario dello Stato per opera di Franco Nicolazzi, il cui interesse è legato all’interesse delle imprese (in grande maggioranza del mondo delle costruzioni) che lo costituiscono. Le verifiche non di parte (come quella della Commissione ministeriale per l’impatto ambientale) hanno dato invece responsi negativi.
3) In tutte le sedi scientifiche si è sempre riconosciuto che gli eventi catastrofici si evitano affrontando il riequilibrio della Laguna nel suo complesso. Pirani non si è mai domandato perchè tutti gli interventi soft , molto più utili di quello ferrocementizio alle Bocche e, a sua differenza, non dannosi, sono sacrificati a quelli hard ?
4) Pirani continua a sostenere che l’UE critica il Mose solo per il danno che “potrebbe portare alle diverse specie di volatili”. In realtà l’atto d’accusa della Commissione europea richiama esplicitamente (come la stampa ha riportato) l’atto d’accusa più forte che ci sia stato nei confronti del MoSE: la Valutazione d’impatto ambientale del ’98. Vada il lettore a leggersela, se Pirani non lo ha fatto.
Evidentemente questa volta Pecorario Scanio conta di vincere le sue spericolate battaglie con l´arma impropria dell´uccello selvaggio. Proprio così: stando alla informazione da lui trasmessa in anteprima l´altro giorno ai giornali, l´Unione europea avrebbe aperto una procedura d´infrazione contro l´Italia per bloccare la costruzione del Mose, il sistema di paratie mobili per proteggere Venezia dalle acque alte anomale. Un´opera osteggiata dai Verdi fin da quando venne ideata a metà degli anni Ottanta ma oggi in fase di attuazione. Non è mai detta, però, l´ultima parola: così i Verdi, che si erano rivolti a Bruxelles denunciando l´ennesima volta le conseguenze a loro avviso negativissime dell´odiato Mose, annunciano ora che la Commissione europea sarebbe del loro stesso avviso e, addirittura, avrebbe messo sotto accusa il governo italiano per inadempienze ambientali.
Quindi stop ai cantieri e intimazione a Prodi perché inserisca nel programma dell´Unione un No esplicito al Mose, in caso di vittoria del centro-sinistra.
Questa "svolta storica", come i suoi esaltatori l´hanno definita, consiste peraltro in una lettera di un direttore generale dell´Ambiente della Commissione europea, il signor Julio Garcìa Burgués, che annuncia la «messa in mora» dell´Italia per non aver ancora posto in essere le misure necessarie ad evitare «perturbazioni dannose agli uccelli» in relazione ai lavori sul bordo lagunare, non ottemperando così «alla direttiva 79/409 del Consiglio Cee del 2 aprile 1979 sulla conservazione degli uccelli selvatici». Il governo italiano ha due mesi di tempo per avanzare le sue osservazioni.
Tutto qui, poiché, come afferma il Magistrato alle Acque in una sua messa a punto, «la Commissione non ha espresso alcun giudizio sul Mose... ma si è limitata a chiedere una verifica sulle procedure di rispetto o meno della direttiva sugli uccelli selvatici». Non c´è, quindi, alcuna condanna poiché se, dopo la verifica, la Commissione si ritenesse ancora insoddisfatta essa dovrà trasmettere il dossier alla Corte di Giustizia di Lussemburgo, la sola autorizzata ad emettere una sentenza d´infrazione.
È però più che probabile che il Consorzio Venezia Nuova, responsabile della costruzione del Mose, garantirà la sua sensibilità ornitologica con altre pagliarelle e schermature anti rumore, così da assicurare la tranquilla nidificazione del fraticello (sterna albifrons), un gabbianello col cappuccio nero che si nutre di pesci con abili tuffi in laguna e in mare, diffuso nella zona.
Si tratta di una storia che, per il modo con cui è stata raccontata e presentata, supera nettamente la soglia del ridicolo. Pur tuttavia se Pecoraro Scanio ha pensato di farvi ricorso con tanta azzardata enfasi il motivo non è banale. Con ogni probabilità i Verdi reputano utile, per ragioni di visibilità, di riesumare quella strategia che praticamente impedì ai governi di centro sinistra (Prodi, D´Alema e Amato) di attuare tante opere infrastrutturali indispensabili, dal passante di Mestre al raddoppio dell´Autosole tra Firenze e Bologna. Il che nulla toglie alla giusta opposizione al ponte di Messina o a qualche altra iniziativa inutile e iper costosa. Non è, però, il caso del Mose, a fronte del pericolo che la città potrebbe correre se si ripetesse una marea delle dimensioni del 1964. Se mai un controllo e un monitoraggio attento andrebbero attuati per verificare il contestuale avanzamento di tutti gli altri interventi indispensabili per l´equilibrio e la salvezza della Laguna e della città (manutenzione urbana, traffico petrolifero, portualità commerciale e turistica, disinquinamento e miglioramento delle acque, ecc.) laddove il sistema delle dighe mobili sarebbe di per sé insufficiente.
Sapranno i Verdi elaborare una politica capace di contemperare la difesa dell´ambiente e le ragioni dell´ecologia con le esigenze di un paese moderno, bisognoso di infrastrutture grandi e piccole in buona parte vetuste o manchevoli? O andremo di nuovo incontro alla opposizione ad ogni iniziativa, ai veti su scala nazionale e locale, al proliferare, di fronte ad ogni concreto progetto, di fantasiose «alternative», inventate per perdere tempo e parodiare una «critica costruttiva»? Solo la disposizione a compromessi ragionevoli tra i valori della natura e quelli del progresso umano può fare della politica «verde» un lievito proficuo per la coalizione dell´Unione. Non la difesa a oltranza del fraticello che mi spinge a far proprio quell´aforisma di Oscar Wilde che suonava pressappoco così: «La natura, quel luogo orribile dove gli uccelli volano crudi».
Altro che uccellini. La contestazione inviata dall’Unione europea al governo italiano - con l’apertura di una procedura di infrazione sui lavori del Mose - accusa il progetto di «mutare in modo permanente il regime idraulico della laguna». Lo si legge nella lettera inviata dal commissario Stavros Dimas al ministro degli Esteri Gianfranco Fini. Una «messa in mora» su cui la Corte dell’Aja a deciderà, valutando le risposte fornite dal governo. Ma l’atto d’accusa è forte e richiama quanto finora ignorato dal Magistrato alle Acque, cioè la Valutazione d’impatto ambientale del ’98.
Uno studio monumentale redatto dalla commissione Via del ministero dell’Ambiente. Che aveva dato un parere di «compatibilità ambientale negativa» al progetto Mose. Un «no» poi annullato dal Tar per vizi formali. Ma l’annullamento del decreto, scrive oggi la commissione europea, «non inficia la validità delle argomentazioni di carattere scientifico in esso contenuto». Un brutto colpo per coloro che sostengono da anni che la Valutazione di Impatto ambientale non fosse per nulla necessaria. Ma l’Europa la pensa diversamente. E adesso ha accolto il primo dei numerosi esposti presentati in sede europea dai Verdi, contestando al governo la violazione di Direttive comunitarie sugli habitat. Ed entrando per la prima volta nel merito della questione. «Anche se il Mose è progettato per entrare in funzione soltanto a certe condizioni», scrive ancora il commissario Dimas, «in assenza di qualsiasi studio o valutazione degli impatti diretti e indiretti del progetto che prenda in considerazione tutta l’area classificata come Iba (cioè l’intera laguna, ndr) non è possibile, a parere della commissione, dimostrare che il progetto non avrà impatti significativi sui valori naturali».
Dunque, le assicurazioni contenute nel progetto non sono secondo i commissari europei sufficienti a garantire il rispetto delle norme comunitarie. Secondo la commissione è essenziale valutare il riflesso di quegli interventi sulle barene e sull’intero ecosistema della laguna, dal momento che soltanto a Ca’ Roman sono state identificate 101 specie di uccelli migratori. Attirati in laguna proprio dalla «biodiversità» e dalla ricchezza ambientale che il Mose potrebbe ora compromettere. Si richiamano infine le considerazioni della commissione Via, mai citate negli studi e nei progetti del concessionario. «Nel decreto di compatibilità ambientale negativo del 1998», scrive ancora Stavros Dimas, «è stato riconosciuto esplicitamente, oltre all’enorme fragilità ambientale del territorio interessato, l’insufficienza degli studi effettuati in relazione alla potenziale perdita di biodiversità». Non basta, secondo la commissione europea, le chiusure potranno essere superiori alle alte maree effettive, e in continuo aumento per l’aumento del livello dei mari, fino a 40-50 in un anno, concentrate in autunno-inverno: «In queste condizioni appare difficile, se non impossibile, parlare di mutamenti temporanei del regime idraulico della laguna e delle relative condizioni ecologiche». Se fosse stata attuata una Valutazione di incidenza, accusa l’Ue, «essa avrebbe consentito di individuare un grave impatto sull’area protetta». Che succederà adesso? Magistrato alle Acque, Consorzio Venezia Nuova e Regione tirano dritto. «I lavori non si fermano», ha ripetuto il presidente Galan. «Non è un giudizio, ma solo una contestazione a cui risponderemo», dice la presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva. Resta il fatto che per la prima volta dopo anni di critiche mai accolte da ministero e Regione, è l’Unione europea a mettere uno «stop» ai lavori del grande progetto. Che anche il Comune ha chiesto adesso di ridiscutere.
I lavori del Mose sono in contrasto con le Direttive Ue sull’ambiente. L’Europa accoglie l’esposto dei Verdi sul grande impatto ambientale delle dighe mobili e apre un’inchiesta sul progetto. A fine dicembre è stata inviata a Roma la procedura di infrazione per «inquinamento dell’habitat» lagunare. Esultano Verdi e comitati. «Le nostre critiche erano fondate» dice la deputata veneziana Luana Zanella. «Questo conferma i nostri dubbi», commenta il sindaco Cacciari, «è opportuno, senza scatenare tifosi ed estremisti di ambo le parti, che il progetto venga ridiscusso». Secondo il presidente della Regione Galan si tratta di «folaghe e pescetti». «Bufale confezionate dalla stampa - dice - sono sicuro che il Mose non subirà alcuna battuta d’arresto».
Minimizza la presidente del Magistrato alle Acque, Maria Giovanna Piva. «La commissione europea non ha espresso alcun giudizio di merito», assicura, «ha chiesto solo di verificare l’avvenuto rispetto della Direttiva europea sugli uccelli selvatici». In realtà la questione è molto più complessa. Da quasi due anni ambientalisti e comitati denunciano la violazione delle procedure comunitarie per i lavori avviati sulle aree Sic («Siti di interesse comunitario») in particolare nell’oasi della Lipu a Ca’ Roman e San Nicolò. E’ il tema di numerosi esposti inviati negli ultimi mesi all’Ue, ma anche alla magistratura ordinaria, dai Verdi, da Italia Nostra, dall’Ecoistituto Alex Langer, dalla stessa Lipu. L’accusa era quella di avere avviato i lavori in violazione delle normative Sic, che in quelle aree prevedono procedure particolari a tutela dell’ecosistema. In questo caso, aprendo formalmente un procedimento, la Commissione europea sembra aver dato per ora ragione ai ricorrenti piuttosto che al Magistrato alle Acque che ha sempre sostenuto la «regolarità» delle procedure adottate.
Nell’esposto presentato dai Verdi si invitava ad aprire un’indagine anche sul pesante impatto delle opere sull’intera laguna (milioni di metri cubi di cemento ai fondali delle bocche di porto, 150 cassoni di calcestruzzo e trentamila pali infissi nei fondali, la «devastazione dei litorali e dei fondali lagunari», una nuova isola artificiale di 9 ettari) e sui rapporti costi-benefìci. Ma anche la mancata presa in esame di alternative meno impattanti, visto che il Mose sarebbe, secondo i firmatari dell’esposto, «già obsoleto se, come sembra, il livello del mare aumenterà in questo secolo di 30 centimetri».
Per il momento l’Unione europea ha deciso di avviare l’inchiesta sulla violazione delle Direttive europee.
Un atto che potrebbe riaprire l’intera questione. «La messa in mora della Commissione europea», dice il sindaco Massimo Cacciari, «conferma le perplessità e i dubbi a suo tempo sollevati in modo anche formale con lettere al ministero delle Infrastrutture e alla Regione non solo da Venezia, ma anche dai comuni di Cavallino e Chioggia». Contestazioni che allora riguardavano la conformità urbanistica di quegli interventi, avviati contro la volontà degli enti locali. E contestazioni sollevate dai tecnici dell’Urbanistica. Ma anche allora, come per la presunta violazione della normativa sulla Valutazione di impatto ambientale, Regione, ministero e Magistrato alle Acque avevano risposto sempre allo stesso modo: «Tutto regolare, l’opera va avanti». «Non è una cosa seria», rincara la dose il presidente Galan, «tra uccelli di rovo e uccelli selvatici, cavoletti di Bruxelles e cavoli nostri». La presidente Piva precisa: «Se la Commissione europea non condividerà le argomentazioni portate dal governo italiano, potrà predisporre un parere motivato d’infrazione. In tal caso sarà la Corte di Giustizia europea ad esprimersi». Tranquillo anche il ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli: «Dall’Ue nessuna bocciatura, solo una richiesta di chiarimenti». Ma la procedura è avviata. Per sapere qualcosa sull’esito dell’inchiesta avviata dall’Europa bisognerà aspettare almeno due mesi. La «messa in mora» ha però già prodotto un effetto. E riaperto la polemica sull’utilità della grande opera.
Ecologisti e Verdi esultano
Il vicesindaco Vianello ricorda l’esposto firmato da 150 parlamentari dell’Ulivo - «In attesa di un pronunciamento, le ruspe vanno fermate» - Il Consorzio Venezia Nuova difende il sistema delle dighe mobili
A esultare sono gli ambientalisti, ma anche i comitati e le associazioni che da anni denunciano le «irregolarità» delle procedure adottate per approvare il grande progetto. «In attesa del pronunciamento definitivo di Bruxelles la scelta più giusta sarebbe quella di fermare i lavori», dice Stefano Micheletti dell’Assemblea No Mose, «lo chiediamo a nome degli oltre 12 mila cittadini che hanno firmato la petizione popolare». «Finalmente l’Europa riapre un capitolo che il governo e i suoi sponsor si illudevano di avere definitivamente chiuso», dicono i Verdi Zanella e Bettin.
«E’una grande vittoria di chi vuole la vera salvaguardia di Venezia», continua Bettin, «il Mose è un pericolo per l’ecosistema lagunare».
Secondo il vicesindaco Michele Vianello, «le irregolarità nelle procedure del Mose erano state segnalate anche da un esposto all’Ue firmato da 150 parlamentari dell’Ulivo. «E’ giusto che si faccia finalmente chiarezza su tutti questi aspetti», dice, «questo rafforza la nostra tesi. Che il nuovo governo dell’Ulivo dovrà fermare il progetto e discutere seriamente le alternative». «Una svolta decisiva», commenta il presidente nazionale di Italia Nostra Carlo Ripa di Meana, «è giunto il momento di riesaminare da cima a fondo un progetto e le opere messe in mora per inquinamento dell’habitat dalla Commissione europea e non condivise dalle amministrazioni locali». «Bisogna esaminare al più presto soluzioni alternative, più economiche e meno dannose per l’ambiente», dice Guido Pollice, presidente dell’associazione Verdi, ambiente e società. Danilo Selvaggi, portavoce nazionale della Lipu, ricorda i numerosi esposti inviati a Bruxelles dall’associazione a cui è affidata la gestione dell’oasi naturalistica di Ca’ Roman, in parte distrutta dalle ruspe del Consorzio Venezia Nuova. «Finalmente l’Europa mette al centro del suo interesse anche la biodiversità», dice, «il governo ha ora il dovere di valutare i progetti alternativi al Mose».
Anche perché, come ha ribadito ieri il sindaco Massimo Cacciari, «il Mose non abbatte tutte le acque alte, ma solo quelle superiori a 110 centimetri». «Ma il Mose elimina tutte le acque alte, non solo quelle eccezionali», ribatte il Consorzio Venezia Nuova, «il limite dei 110 è un accordo preso tra istituzioni e deriva dal livello a cui si è deciso di rialzare le rive delle parti più basse del centro storico». Affermazioni che gli esperti del Comune contestano nelle loro relazioni tecniche. «Sollevando le paratoie troppo frequentemente», dicono, «si rischiano contraccolpi sul ricambio delle acque e l’ecostistema. Meglio valutare con attenzione alternative “reversibili” che siano da subito efficaci nel combattere le acque medio alte». Nel corso del 2005 una sola è stata l’acqua alta superiore a 110 centimetri, quota in cui si allaga, per un paio d’ore, il 30 per cento della città storica. (a.v.)
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Tagli alla città, soldi a chi sostiene il Mose
Tra le molte vergogne accumulate dal governo Berlusconi questa è una delle più nefande. Premiata una pseudoassociazione nata per contrastare il successo degli ambentalisti compattamente schierati contro il MoSE. Da la Nuova Venezia del 27 dicembre 2005
Per Venezia non ci sono soldi. Ma per qualche associazione i soldi si trovano. La «Legge mancia» approvata dalle commissioni Programmazione economica e Lavori pubblici del Senato dispensa euro a valanga. Accanto a strade, bonifiche e infrastrutture per i piccoli comuni ecco il regalo di Natale. 39 mila euro sono stati destinati al «Forum per la laguna», fondato nel 1991 da Roberto Russo, impiegato comunale vicino a Rifondazione oggi passato ad An. «Un sistema vergognoso, che abbiamo già denunciato a Montecitorio», dice la deputata Verde Luana Zanella.
Ma che cos’è il Forum? Nel sito Internet si possono conoscere i «partner» dell’associazione, che ha sede a San Marco in calle Vitturi 2923, a due passi dall’Istituto veneto di Scienze lettere ed Arti e dalla sede del Consorzio Venezia Nuova. I «partner» del Forum sono tre: Sal.Ve, cioè Salvaguardia di Venezia, il sito informativo del Magistrato alle Acque-Consorzio venezia Nuova. L’Icram, istituto per la pesca, e un’associazione italo americana «Order sons of Italy in America». Che ci azzecchi questa con la laguna non si capisce. In ogni caso sulla foto di copertina campeggiano sorridenti i due presidenti Berlusconi e Bush. Tra le attività esibite dal Forum la collaborazione ad alcuni progetti europei, concorsi, e una «pagina di informazione su un quotidiano locale nel 1995». Il Forum è un’associazione «No profit per lo sviluppo del turismo ecosostenibile», anche se non c’è traccia concreta di tutte queste attività nella documentazione ufficiale. Il fondatore Roberto Russo è ora presidente nazionale, il presidente veneto è Carmine De Martino. L’attività del Forum si svolge soprattutto a livello istituzionale. E già negli anni scorsi l’associazione era riuscita ad ottenere finanziamenti dal ministero dell’Ambiente e da altri dicasteri. La svolta si è avuta qualche mese fa. Quando il Forum aveva tappezzato la città di manifesti a favore del Mose. Volantini e depliants distribuiti in massa alla Mostra del Cinema e nei giorni affollati della Regata Storica, per far sapere che i «veri» ambientalisti sono favorevoli al Mose. Reazioni furibonde da parte di Wwf, Italia Nostra, Verdi e Greenpeace, gli ambientalisti storici che si erano accorti dello «scippo» da parte del fantomatico Forum. La campagna era proseguita con «gazebo» paralleli a quelli dell’Assemblea permanente No Mose che ha raccolto in città oltre 13 mila firma contro le dighe in laguna. Simili ai documenti ufficiali anche gli «11 punti» richiesti dal Forum e da altre associazioni, alcune nuove di zecca. Unica differenza era che al primo punto si chiedeva di accelerare i lavori per il Mose. Adesso il Forum, a differenza del Comune e degli altri enti locali, ha avuto il finanziamento dallo Stato per il 2006.
Agli albori del 1500 il ponte di Rialto, che era allora di legno, cedette. Si cominciò a discutere se fosse il caso di ricostruirlo in pietra. Un primo progetto di frà Giocondo non ebbe fortuna. Seguirono nell´arco di parecchi decenni altri progetti ad opera via via di Michelangelo, Palladio, il Vignola, Sansovino ma la loro fama non bastò a convincere il Senato né ad ottenere il consenso dei veneziani, divisi tra "pontisti" e "antipontisti" che volevano rifarlo in legno. Infine nel 1588, quasi un secolo dall´inizio della diatriba, il doge Pasquale Cicogna dette il via libera e la costruzione in pietra, affidata a Giovanni da Ponte, ebbe inizio. Discussioni e tentennamenti non per questo si affievolirono, tanto che, gettate le fondamenta, gli ardimentosi costruttori furono costretti ancora una volta a sospendere i lavori. La voce popolare sosteneva, infatti, che un manufatto in pietra sarebbe crollato. Si racconta che un giorno da un crocchio vociante attorno al cantiere si levò la voce di una donna che esclamò: « El ponte starà in pìe quando la mona farà fogo», cui rispose stentoreo un uomo: «... e quando al casso sponterà l´ongia!». Giovanni da Ponte rispose iconograficamente, quando l´opera fu compiuta, con due bassorilievi scolpiti ancor oggi visibili sul palazzo dei Camerlenghi, prospiciente Rialto: uno raffigura un uomo accosciato con un pene unghiato, l´altro una donna che erutta una fiammata all´altezza del basso ventre.
Sono passati più di quattro secoli, il ponte è sempre in piedi ed è considerato in tutto il mondo uno dei grandi simboli della Serenissima.
Nessuno ricorda che venne tanto contestato e perché. Non è, però, un caso unico. Nella storia lontana e recente spesso una nuova impresa edificatoria incontra diffidenze, avversioni emotive più o meno motivate, obiezioni di principio, di natura a volte ideologica o culturale. Talora questi ostacoli suscitano impedimenti così forti da pregiudicare il compimento dell´opera.
Solo il tempo consente, ma non sempre, di giudicare a posteriori. Oggi ci si dilania sulla Tav ma ricordo negli anni ´60 l´ostilità del Pci alla Autostrada del Sole considerata un regalo alla Fiat tanto che si arrivò a dire «la ferrovia è di sinistra, l´autostrada di destra». Trent´anni dopo il paesaggio e la vita quotidiana della Penisola non sono neppure immaginabili senza Autosole. Se mai fu un errore farla a due corsie.
Oggi le difficoltà si sono accresciute con l´emergere di partiti che trovano in un ambientalismo assoluto la loro ragion d´essere. La vicenda del Mose è emblematica.
L´alluvione che minacciò la sopravvivenza di Venezia è del 4 novembre 1966, orsono quarant´anni. La prima delle quattro leggi speciali per la salvaguardia della città con indicazione prioritaria la difesa dalle acque è del 1973.
La legge che affida ad un soggetto unico le competenze per l´intervento e fissa le funzioni di indirizzo e controllo per il riequilibrio ambientale e la difesa fisica della Laguna è del 1984. Da allora fu prima elaborato e approvato un progetto preliminare, quindi un progetto di massima.
Furono confrontate varie soluzioni alternative e prevalse l´installazione delle dighe mobili, completata con interventi morfologici diffusi così da ridurre l´impatto anche delle maree medio alte, sempre più frequenti. Nel 1992 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici approvò il progetto. Il sindaco Cacciari chiese e ottenne che un panel di grandi esperti italiani e internazionali studiasse a fondo l´impresa. Il loro parere sarà nettamente favorevole al Mose. Di fronte alle obiezioni del ministero dell´Ambiente, di cui all´epoca erano titolari i Verdi, i governi D´Alema, prima, e Amato, poi, aprirono una fase di ulteriore confronto. Una volta completata questa ennesima istruttoria il Consiglio dei ministri, presieduto da Amato, diede il via alla progettazione esecutiva nella primavera 2001. Poi subentrò Berlusconi che mise il suo cappello sull´iniziativa mentre si iniziarono le opere di completamento precedentemente richieste. Nel 2003 vennero accolte altre richieste aggiuntive del Comune e i cantieri partirono dalla primavera 2003. A tutt´oggi sono stati investiti 1.188 milioni di euro e si calcola che a Mose completato il costo sarà di 4.159 milioni. Se mai sarà completato perché è ora ripresa l´antica diatriba: Mose o no Mose. Cacciari, pur essendo stato eletto per fortuna senza il voto dei verdi e della sinistra ds, sente probabilmente la necessità politica di allargare le sue basi di consenso ed ha riconvocato un ennesimo confronto sulle soluzioni alternative. Qualcuno vorrebbe la sospensione dei lavori. Fino a quando «la mona farà fogo»?
Italie : La grogne s'intensifie contre le projet "Moïse", censé sauver des eaux Venise et sa lagune
VENISE ENVOYÉ SPÉCIAL - JEAN-JACQUES BOZONNET
Une île a surgi à l'entrée nord de la lagune. Des pelleteuses entassent inlassablement les milliers de tonnes de roches que de vieux cargos fatigués apportent en noria depuis la côte croate. Ce gros tas de cailloux servira bientôt de point d'ancrage à l'immense digue mobile censée protéger Venise des trop fortes marées. Des travaux de terrassement pareillement spectaculaires sont en cours aux deux autres "bouches" de la lagune pour ménager des refuges aux pétroliers et aux navires de croisière lorsque "Moïse" bloquera les eaux de l'Adriatique.
"Moïse", ce projet pharaonique qui fait appel à une technologie encore inédite, est contesté par les écologistes. Mais les Vénitiens craignent surtout qu'il assèche tous les crédits que la cité des Doges consacre à sa sauvegarde quotidienne. "J'ignore si "Moïse est dangereux, mais je sais qu'il est coûteux et inutile", tonne le maire de Venise, Massimo Cacciari. Sous son impulsion, Venise a adopté une méthode douce pour se préserver des eaux qui l'agressent. Depuis 1997, les deux tiers des 47 km de canaux ont été curés (313 000 m3 de boues évacués) et restaurés. En moins de huit ans, 95 petits chantiers ont été ouverts et refermés aux quatre coins de la ville ; 19 sont en cours ; d'autres sont programmés. Déjà 186 ponts sur 364 (51 %) ont été restructurés.
Ce travail de fourmis, qui n'avait pas été fait depuis une cinquantaine d'années, permet de colmater les murs mangés par le sel marin, de consolider les fondations. On en profite pour moderniser l'évacuation et l'épuration des eaux usées et pour mettre en place un nouveau réseau pour le gaz, l'électricité et les télécommunications.
Surtout, avant de remettre en place les dalles du pavage, numérotées et soigneusement stockées pendant les travaux, on rehausse les quais de 15 à 20 cm. "Pour un coût ridiculement bas, nous mettons ainsi la ville à l'abri de 90 % des marées", explique Ivano Turlan, directeur technique d'Insula, la société d'économie mixte chargée de cet entretien.
Sans faire de vagues, Venise est en train de retrouver son niveau d'avant les années 1950, quand elle s'était enfoncée de 12 cm en douze ans, soit autant qu'au cours des trois siècles précédents. "C'est l'intervention de l'homme et la reprise de l'activité industrielle qui, en puisant dans les nappes souterraines, a créé cette situation, mais, depuis quarante ans, Venise est à peu près stable", rappelle Paolo Canastrelli, directeur du Centre de prévision des marées.
"UNE VILLE VOLÉE À LA MER"
Désormais, elle devrait échapper aux marées inférieures à 1,20 m, hormis les points les plus bas comme la place Saint-Marc, inondée dès que l'eau monte de 90 cm. Installé dans un palais du Grand Canal, le service dirigé par M. Canastrelli est une mine statistique : il y a eu 185 marées de plus de 1,20 m en un siècle, et seulement 11 à plus de 1,40 m, dont la fameuse inondation du 4 novembre 1966 (1,94 m). "La tendance est plutôt à la hausse, analyse ce spécialiste. Il n'y a eu que 2 épisodes à 1,40 m avant 1976 et 9 depuis, dont 2 très rapprochés, en 2000 et 2002."
Les adversaires du projet "Moïse" dénoncent une dépense démesurée pour un équipement qui ne servira que deux ou trois fois par an. L'éventuel réchauffement climatique, en renforçant les vents de sirocco qui poussent l'eau vers le nord de l'Adriatique, pourrait accroître le niveau, mais les scientifiques sont très divisés, évoquant une fourchette de hausse potentielle allant de 9 à 88 cm. "Dans ce cas extrême, ce n'est plus une digue mobile, mais une digue fixe qu'il faudrait pour fermer définitivement la lagune", ironise M. Cacciari. "On se préoccupe des hautes eaux en oubliant que Venise a les pieds dans l'eau 365 jours sur 365. C'est une ville volée à la mer qui nécessite une approche globale et un entretien constant", explique Luigi Torreti, directeur général d'Insula, dont les crédits ne cessent de diminuer depuis deux ans. Depuis 2002, les financements de l'Etat vont prioritairement au chantier "Moïse", l'un des trois "grands travaux" lancés par Silvio Berlusconi, avec la liaison Turin-Lyon et le pont de Messine. "Pour les seuls travaux de recherche, 'Moïse' a englouti 750 millions d'euros, alors que les travaux réalisés depuis huit ans par Iinsula n'ont coûté que 428 millions", s'insurge le maire. Il n'est pas sûr que le projet vénitien, qui prévoit un investissement total de 1,2 milliard d'euros sur vingt ans, puisse aller jusqu'à son terme. Pas un centime n'est prévu dans la loi de finances 2006 : "Nous ne pourrons pas ouvrir un seul nouveau chantier l'an prochain", regrette Massimo Cacciari. Elu sous l'étiquette de la Marguerite (centre gauche), il met ses espoirs dans un changement de gouvernement, à l'occasion des élections législatives d'avril 2006 : "Peut-être comprendront-ils que notre démarche est stratégique."
Article paru dans l'édition du 03.12.05
LE MONDE | 02.12.05
http://www.lemonde.fr/web/article/0,1-0,36-716710,0.html
http://www.lemonde.fr/web/imprimer_element/0,40-0,50-716710,0.html
Les "No Mosè" ne baissent pas les bras
Article paru dans l'édition du 03.12.05
LE MONDE | 02.12.05
http://www.lemonde.fr/web/article/0,1-0,36-716710,0.html
CHIFFRES
COÛT. 4,3 milliards d'euros, dont 1,2 milliard a été affecté.
TRAVAUX. Onze chantiers sont ouverts et 18 % des travaux ont été réalisés. 280 ouvriers sont au travail ;
ils seront 1 500 au plus fort des travaux.
DIGUES. 78 panneaux mobiles seront installés aux trois entrées de la lagune : sur les bouches du Lido (41), de Malamocco (19) et de Chioggia (18). Chacun mesure 30 m de long, 20 m de large et 5 m d'épaisseur.
TEMPS. Quatre à cinq heures seront
nécessaires pour relever les digues,
lorsque la marée dépassera un mètre.
CALENDRIER. Commencés en 2003, les travaux seront achevés en 2011.
Sauvetage de Venise difficile à mettre en oeuvre
40 ans après la gigantesque montée des eaux de 1966, Venise n'est toujours pas à l'abri. Le programme de préservation a pris beaucoup de retard et les financements de l'Etat arrivent au compte-goutte. Le projet Moïse, qui prévoit la construction d'un système de vannes mobiles, rencontre l'opposition des écologistes et de nombreux vénitiens en général.
Depuis les années 1960, Venise continue de suffoquer, les 160 canaux sont obstrués par les déchets et la boue , qui tel un limon épais, réhausse le niveau de la lagune.
Le projet Moïse est estimé à 4,3 milliards d'euros et seulement 1,2 milliards d'euros ont été débloqué pour le moment. Le gouvernement va revoir à la hausse ses aides à la cité lacustre, et durant les 10 prochaines années, les institutions locales et la région recevront 380 millions d'euros par an. Cette somme permettra peut-être à la société mixte Insula de terminer le nettoyage des canaux entrepris en 1997, soit 22 kilomètres de canaux à draguer.
Insula doit aussi procéder au lifting de Venise avec la restauration des soubassements et de plus de 400 ponts, le câblage de la ville en fibre optique, la mise aux normes de certains ponts pour le déplacement des handicapés.
Actualités News Environnement - 30 oct 2005
http://news.google.fr/news?q=venise+%22projet+moise
Ingénierie
Sauver Venise avec... des injections d'eau de mer
Associated Press (AP) - Par Marta Falconi
Venise, ses canaux, ses gondoles et ses plans de sauvetage. Des ingénieurs et géologues proposent une nouvelle solution pour protéger la Sérénissime, qui s'enfonce et est menacée par les inondations: injecter de l'eau de mer sous la ville pour la rehausser de 30 centimètres.
Ce plan ambitieux de 100 millions d'euros prévoit de creuser 12 trous de 30 centimètres de diamètre autour de la ville pour injecter de l'eau de mer à 700 mètres de profondeur, explique Giuseppe Gambolati, le chef du projet. «Son principal avantage est qu'il permettra à Venise de regagner le nombre de centimètres qu'elle a perdu ces 300 dernières années.»
L'eau de mer ferait gonfler la couche de sable présente sous la cité, et qui est elle-même recouverte d'une couche d'argile imperméable. Cela aurait pour effet de faire remonter mécaniquement le niveau du sol, selon M. Gambolati, un ingénieur et professeur à l'université de Padoue.
Les experts comptent d'abord tester la technique sur une zone réduite. «Si le projet-pilote réussit, nous verrons une amélioration immédiate bien que progressive, mais le processus d'élévation ne sera achevé que dans dix ans environ», souligne M. Gambolati.
Encore en phase initiale, le plan devra être débattu et évalué par plusieurs commissions officielles avant d'être validé. Mais il est loin de convaincre tout le monde. L'expert Michele Jamiolkowski estime ainsi qu'il faudra des années de recherche et des millions d'euros d'investissement avant d'envisager sa mise en oeuvre concrète.
«Nous sommes en pleine science-fiction, ce plan n'est pas très réaliste», affirme ce professeur d'ingénierie géotechnique, qui a présidé la commission ayant supervisé le projet de stabilisation de la tour de Pise.
M. Jamiolkowski, qui a mené une évaluation indépendante, estime qu'avec le projet, la ville ne remonterait que d'une quinzaine de centimètres. En outre, prévient-il, cette technique pourrait entraîner une élévation inégale entre les différents quartiers, menaçant ainsi des bâtiments historiques.
Reste que la cité des Doges est menacée par les eaux. Elle s'affaisse en effet progressivement alors que le niveau de la mer Adriatique monte et que les fortes marées sont plus fréquentes, inondant en particulier la célèbre place Saint-Marc.
La menace a conduit les autorités à lancer en 2003 un projet pharaonique baptisé «Moïse» visant à construire une digue amovible aux limites de la lagune pour la protéger des fortes marées. Le chantier de 4,3 milliards d'euros devrait être achevé à l'horizon 2010-2011.
Giovanni Mazzacurati, président du Consortium nouvelle Venise, qui supervise «Moïse», souligne que le nouveau projet devra être étudié soigneusement pour vérifier qu'il n'entraînera pas une élévation inégale selon les secteurs.
«Venise est dans une situation délicate, sa structure est très fragile», souligne-t-il. «Si certains quartiers étaient surélevés de manière inégale, cela causerait l'écroulement de la ville.»
De son côté, M. Gambolati estime, sur la base d'études préliminaires, que son projet ne devrait pas affecter la stabilité de la cité.
Les deux experts soulignent que le nouveau projet n'est pas en concurrence avec «Moïse» mais pourrait apporter une aide supplémentaire à Venise dans le cas où le niveau de la mer continuerait à monter.
Canoë - 24 nov 2005
http://www2.canoe.com/techno/nouvelles/archives/2005/11/20051124-114611.html
78 digues protégeront Venise des inondations
Batiactu avec AFP le 25/05/2004
http://sympa.archi.fr/wws/arc/revue-presse/2004-05/msg00089.html
Un projet de 78 digues mobiles immergées
Moïse veut sauver Venise des eaux
Pour sauver Venise qui s'enfonce lentement dans la lagune, l'Italie lance un énorme projet de digues immergées, baptisé Moïse. Ces digues seraient utilisées les jours de grande marée quand l'eau envahit la Cité des Doges...................
Journal Ouest-France du jeudi 15 mai 2003
http://www.ouestfrance-ecole.com/commun/scripts/blocsmetiers/com_frame.asp?lien=/DossierEau2.asp¶m=IdArt=2289
Le Projet Mose à Venise
Analyse du projet Mose à Venise
ENPC - Ecole Nationale des Ponts & Chaussées
Ce site Internet s’inscrit dans le cadre d’un cours sur la méthodologie des études d’impact.
http://www.enpc.fr/enseignements/Legait/projet/MEI-2003/Mose/
Dossier - La sauvegarde de Venise
Futura-Sciences.com
http://www.futura-sciences.com/comprendre/d/dossier266-1.php
COMUNE DI VENEZIA
http://www.comune.venezia.it/
Con ciclo periodico come le fasi lunari, con maggiore intensità in vista di elezioni e convention, ci spiegano che l’unica salvezza di Venezia sono le dighe mobili. Ciascuno è libero di pensarla come vuole, ma la realtà non può essere piegata a dimostrare una tesi. Perché il premier Berlusconi non verifica quei dati poco attendibili che gli passano tecnici e collaboratori? Nel 2003 non c’è stata nemmeno un’acqua alta superiore a 110. Il Mose non sarebbe mai stato utilizzato e l’acqua a San Marco sarebbe arrivata lo stesso. (a.v.)
VENEZIA. Si riaccende la battaglia sul Mose. «Senza le paratoie del Mose, Venezia non sarebbe più una città di case che stanno in piedi», ha detto senza mezzi termini il premier Berlusconi ai microfoni di Italia 1. E ancora: «35 anni fa l’acqua alta invase Venezia, oggi il fenomeno si ripete 60 volte l’anno. Noi abbiamo la responsabilità di conservare questo gioiello, e il merito di aver fatto partire l’opera.
In realtà il Mose è ancora soggetto al giudizio di legittimità del Tar, dopo il ricorso presentato dagli ambientalisti - la sentenza è attesa per il 6 maggio - e dalla Corte europea, a cui si sono rivolti con un esposto la Provincia, le associazioni ambientaliste e 150 parlamentari del centrosinistra. E sulla grande opera gli ambientalisti annunciano una campagna a tappeto per i prossimi mesi. Migliaia di manifesti saranno affissi sui muri della città. In mezzo, una foto della nuova isola artificiale per ancorarvi le paratoie: cemento, massi e ciminiere al posto della sabbia. «Così il Mose devasterà il bacàn» si legge nello slogan coniato dai Verdi. «Save Venice without Mose», è l’appello rivolto ai comitati internazionali. «Fare il Mose», si legge nel documento, «vuol dire sbancare gli attuali moli foranei e i fondali per metterci milioni di metri cubi di cemento e migliaia di pali in acciaio. Devastare la bocca di Lido e spendere 4 miliardi di euro e 10 anni di lavori, per non risolvere il problema». Per ridurre l’acqua alta, propongono ambientalisti e comitati di cittadini come «Salvare Venezia», si potrebbe cominciare a lavorare da subito sulla riduzione delle bocche di porto con interventi sperimentali e opere removibili, ricostruendo l’antica morfologia lagunare.
Il governo, forte del voto del Comitatone dell’anno scorso, punta invece tutto sulla grande opera. La diga che ancora non ha sciolto tutti i dubbi, ma che secondo il Magistrato alle Acque e il ministro Lunardi è «l’unico rimedio» per fermare le acque alte. Acque alte che, come ricorda il vicepresidente del Consiglio comunale Sandro Bergantin, «nel 2003 non si sono mai viste al di sopra dei 110 centimetri». «Perché allora puntare sulla grande opera», replica Luana Zanella, parlamentare verde, «sottraendo i fondi per la manutenzione alla città?» Proprio la mancata manutenzione, più dell’acqua alta, sostengono gli ambientalisti, mette a rischio le fragili pietre di Venezia. La battaglia continua. (a.v.)
VENEZIA. Ruspe in piena attività per sbancare il litorale, chiatte che trasportano dall’Istria in laguna 8 milioni di metri cubi di pietre (un’intera montagna) per farne fondamenta: a Punta Sabbioni sta già nascendo il Mose. La Nuova Venezia è andata a vedere i cantieri del Consorzio.
Mentre le imprese sono già al lavoro, il Magistrato alle Acque minimizza i risultati di uno studio sull’impatto negativo delle dighe mobili sulla vita del porto: «Risolveremo i problemi». Ma sulla questione fioccano le prese di posizione in difesa della «prima industria della città». Intanto si fa strada la soluzione per scavare i canali portuali ed aumentarne la potenzialità: i fanghi saranno scaricati in laguna sud, creando una nuova barena.
VENEZIA. Pietroni e cemento in bocca di porto. Il Mose comincia a materializzarsi. E mentre in Comune si discute e i ricorsi non sono conclusi, le ruspe lavorano a pieno ritmo. A Punta Sabbioni il paesaggio è già radicalmente cambiato rispetto a un mese fa. Una distesa di massi bianchi chiude a sud la diga ottocentesca. Qui dovrà sorgere il «porto rifugio» in previsione della costruzione delle grandi dighe del Mose ancorate ai fondali della bocca di porto. Finita l’estate, le chiatte e le ruspe dell’impresa Mantovani accelerano indisturbate.
Il paesaggio è inquietante, il silenzio irreale, rotto solo dai colpi delle benne. Le enormi boe gialle che delimitano l’area assegnata all’impresa del Consorzio Venezia Nuova sono piegate pericolosamente, quasi spezzate dalla furia della marea calante. Ci avviciniamo con discrezione al cantiere, pedinati da due barche con lampeggiante giallo. La grande ruspa sposta e sistema centinaia di massi appena scaricati dalle chiatte della Mantovani. Per trovare le pietre, hanno svuotato un’intera montagna in Istria. La riempiranno a fine lavori con la terra scavata dai fondali delle bocche di porto, 8 milioni di metri cubi di materiale. Le motonavi Slavutich fanno la spola con l’Istria, e i massi vengono scaricati nei tanti cantieri aperti in laguna. Quello di Malamocco, dove la diga foranea lunga un chilometro e 300 metri (in mare, a protezione della futura conca di navigazione) è quasi ultimata. A San Nicolò, dove sono ben visibili i già avviati lavori di «consolidamento» per preparare le spalle in cemento alle grandi dighe.
L’enorme ruspa gialla sembra sospesa in mezzo all’acqua. Spiana a grande velocità i massi sistemandoli con la benna. Dalla parte verso il bacàn di Sant’Erasmo è già ben visibile l’apertura della nuova conca. Che tra poco dovrà essere riempita con il cemento per cominciare i lavori. Una piccola parte dell’opera ciclopica che tra poco strabolgerà per sempre il paesaggio lagunare. Difficile tornare indietro, anche se i dubbi aumentano, il ricorso contro le procedure adottate è ora all’esame del Consiglio di Stato, i comuni interessati chiedono di rallentare e sperimentare soluzioni diverse. «Il nostro Comune ha votato contro il progetto del Mose», scandisce Claudio Orazio, sindaco del Cavallino, «a questo punto vorremmo almeno sapere come procede quel lavoro, quali saranno le conseguenze per la laguna e il nostro territorio». Il porto rifugio, in particolare, ricorda Orazio, è stato presentato come uno stralcio funzionale al Mose, già finanziato con 50 milioni di euro stanziati dal Cipe. «Ma gli stralci si fanno se hanno una funzionalità in sé», dice Orazio, «se l’opera non si fa a cosa servirà lo stralcio?» Gli enti pubblici, ricorda Orazio, non dovrebbero autorizzare lavori se il progetto non è integralmente approvato e finanziato.
Ma il Mose va avanti lo stesso. In pochi mesi, la bocca di Lido ha cambiato aspetto. Tra poco sulla strada lungolaguna che costeggia la diga di Punta Sabbioni, saranno alzati muretti in cemento. Un’area vicina ai campeggi è già stata richiesta per sistemarci il nuovo cantiere e gli alloggi degli operai che arriveranno tra poco, quando anche gli altri lavori partiranno. In teoria il grande sbancamento è previsto tra due anni. Quando si dovranno avviare i ciclopici lavori di costruzione dell’isola artificiale davanti al bacàn di Sant’Erasmo (sette ettari e mezzo di isola alta quattro metri per ancorarci le due file di paratoie) e partiranno gli scavi per sistemare sui fondali gli enormi cassoni in calcestruzzo e gli alloggiamenti per le dighe in acciaio.
I lavori fervono anche a Ca’ Roman, dove il cantiere ha già invaso una parte dell’oasi naturalistica della Lipu. «Invitiamo tutti i cittadini alla mobilitazione», dicono gli ambientalisti della Lipu. Le ruspe sono in azione anche dalla parte di San Nicolò, con interventi anche nell’area Sic interesse comunitario. Tutto mentre il Comune, la Provincia e gli ambientalisti chiedono di verificare le procedure e chiedono sperimentazioni alternative. Ma c’è un miliardo di euro da spendere. E i cantieri non si fermano.
VENEZIA - «Dove sono i grandi mecenati, i Volpi, i Cini, gli Agnelli, o, almeno, per stare ad oggi, i Tronchetti Provera e i Benetton?» Massimo Cacciari, il più filosofo tra i politici e il più politico tra i filosofi, oscillante - come dice qualcuno - tra Marx e Nietzsche, lancia un grido di dolore e denuncia la mancanza di un mecenate, dopo la Finanziaria dei tagli agli enti locali che considera «l’ultima malefatta di Berlusconi».
Il taglio a Venezia affossa la salvaguardia, svuota le casse comunali, per puntare tutto sull’»opera di regime», il Mose, le dighe mobili che dovrebbero difendere la città dall’acqua alta, di cui il premier, dopo una diatriba ventennale, tra squilli di tromba, pose la prima pietra insieme al ministro Lunardi.
Sindaco Cacciari, è uno schiaffo alla miseria: possibile che una città come la sua, seduta su una miniera d’oro, si faccia dire dall’"Economist" che Venezia è il simbolo della decadenza dell’Italia, della "Dolce vita" perduta, e che un sindaco come lei, se permette dotato di rilevante autostima, abbia bisogno di un mecenate per sopravvivere?
«La città ha un livello di reddito reale secondo a poche altre, diciamo un miliardo di euro all’anno ufficiale derivante dal turismo, che piove su 25 mila addetti. Ma questi soldi sono dispersi in una miriade di piccole attività».
E allora? «Allora il Comune deve gestire una città di 80 mila abitanti, che in realtà col turismo ne ha 150 mila, senza ricavare alcun beneficio per la salvaguardia, la manutenzione, la pulizia. Sono solo costi».
Ma avete il casinò.
«Anche lì abbiamo una flessione del reddito, perché lo Stato ci fa una concorrenza spietata con giochi di tutti i tipi».
Per questo lei sente la necessità di un mecenate?
«Ci manca un interlocutore-leader. L’ultimo fu Raul Gardini, che è finito come è finito. Ci manca un grosso referente economico, finanziario, industriale, quello che per Torino fu Gianni Agnelli e che per Venezia furono Volpi e Cini».
Ma i tempi, sindaco, sono cambiati. Nessuno dà più niente per niente, in pura perdita, ammesso che sia mai accaduto.
«Prenda le fondazioni bancarie. Io vedo, per esempio, che la Cassamarca investe bei soldi su Treviso. Qui a Venezia la Fondazione della Cassa di risparmio è piccola, non ha una lira. Prenda Veltroni. Fa un festival del cinema e trova su subito 9 milioni di euro. A me ci vorrebbero 9 milioni di anni».
Teme la concorrenza cinematografica di Veltroni, finanziato da Regione, Camera di commercio e dal presidente di Capitalia Geronzi, ora che le hanno tagliato anche i fondi per la Biennale?
«Ma no, ne faccio una questione di crisi di classe dirigente. Il festival di Roma non è una minaccia, è una manifestazione popolare, non una mostra d’arte come la nostra. Da noi Truffaut, a Roma James Bond».
E allora il rimpianto per Volpi e Cini?
«Volpi e Cini nel bene e nel male. Le partecipazioni statali, alla fine, sono state un disastro, non hanno fatto crescere una classe economico-finanziario-industriale capace di affrontare le sfide di una città pazzesca. Ora forse qualcosa si muove con l’intervento dei privati su Marghera, l’aeroporto, il Lido, il palazzo del Cinema, l’Arsenale. Noi ce la mettiamo tutta, nonostante le penalizzazioni del governo, che ha eliminato ogni parvenza di autonomia, in onore forse alla pseudo-devolution di Bossi».
Dice che vi penalizzano perché siete politicamente disomogenei alla maggioranza di governo?
«Dico che al Mose hanno stragarantito una corsia preferenziale in modo che si pappi tutti i soldi della salvaguardia. Se la priorità del governo è quella, non si fa la salvaguardia».
Ha suscitato scandalo che lei abbia scritto una lettera di protesta bipartisan insieme al presidente forzista della Regione, Giancarlo Galan, che pure, diversamente da lei, al Mose è favorevole perché illustra le magnifiche sorti e progressive del governo Berlusconi.
«E perché? Il Mose è ormai un dato di fatto, anche perché è già costato un migliaio di miliardi di ex lire. Ma io dico che col Mose tutto il resto finisce in cavalleria».
E lei il Mose continua a vederlo come il fumo negli occhi?
«Non sono un ingegnere idraulico, ma non ci vuol molto a capire che se nell’arco di 30-40 anni il medio mare s’innalza di 40 centimetri, come dicono gli esperti, entro il secolo Venezia sarà comunque sommersa per quattro mesi l’anno. Stivaloni e sempre stivaloni. Allora che senso ha investire 8 mila miliardi di lire o quel che sarà in un’opera inutile entro una o due generazioni? Meglio allora il Ponte sullo stretto di Messina che, se mai si farà, durerà per secoli. E poi chi pagherà la manutenzione delle dighe che, sempre in lire, costerà 50-60 miliardi l’anno? Altro che la Finanziaria di quest’anno. Sarà sempre una guerra».
Quindi lei preferirebbe sollevare la città con iniezioni d’acqua o sollevando i palazzi con pali di ferro, calcestruzzo e martinetti?
«Voglio solo informare tutti i cittadini sui molti progetti alternativi. Rotterdam, con un problema analogo, ha fatto un concorso di idee. Così si fa in tutto il mondo. Non si va per progetti esecutivi».
Pensa che se il centrosinistra vincerà le elezioni sarà possibile una marcia indietro sul Mose?
«Non credo che il centrosinistra possa più stravincere. Il Cavaliere, stando fermo e senza colpo ferire, gli ha già inflitto una sconfitta di 3-4 punti. Quanto al Mose, deciderà il nuovo governo, io mi preoccupo del fatto che la salvaguardia di Venezia oggi non è più garantita».
Sindaco, se potesse scegliere il suo mecenate?
«Benetton».
Se andate a questo indirizzo e cliccate su Ascolta potete scaricare il file sonoro. Dopo una dozzina di minuti sentirete discutere, per la conduzione di Fabio Pagan, sulla Laguna e il MoSE. Un po' frustrante la tirannia del tempo.
Sarà anche una questione di sovranità, ma questo Mose Venezia davvero non lo vuole. Calato dall'alto da Stato e Regione e affidato ad un consorzio di imprese con le mani in pasta ovunque, l'imponente sistema di dighe mobili a protezione dalle alte maree non piace troppo né al sindaco Massimo Cacciari né alla sinistra e al movimento.
C'è che è troppo costoso (4,3 miliardi di euro, manutenzione ordinaria esclusa), che danneggia l'ambiente e che dall'ultima finanziaria Tremonti prosciuga anche le risorse che la città vecchia riceve dal governo per sistemare i canali e i palazzi che sprofondano. Per il Mose i soldi ci sono (700 milioni la franche del 2005). Per ì veneziani, invece, un po' meno.
Si chiama Assemblea Permanente contro il Mose il comitato lagunare che si batte per un progetto alternativo a quello attuale («meno costoso e a minore impatto ambientale»). L'hanno costituito a fine giugno Rifondazione Comunista e Verdi veneziani, sigle ambientaliste come Italia Nostra, Legambiente e la Lipu, e il movimento come il Social Forum, il Global Beach, i centri sociali. La richiesta è quella, appunto, di far conoscere ai veneziani i 6 o 7 progetti alternativi al vaglio di una commissione speciale del consiglio comunale. «Tra due settimane i lavori della commissione termineranno, e noi proponiamo un'assemblea comunale straordinaria, in un luogo ampio che possa accogliere tutti i cittadini che vogliano conoscere questi progetti anti-Mose», spiega Luciano Mazzolin, segretario Prc del circolo del Lido e Pelestrina.
Combattiva, l'Assemblea Permanente: da quest'estate si è impegnata in varie manifestazioni di popolo, dal No Mose party nella facoltà di Architettura, alla protesta della Mostra del Cinema al Global Beach. O in atti di disobbedienza, come l'occupazione" dei cantieri del lido con il risultato di bloccare i lavori per tutta la giornata. C'era anche Luca Casarini. Senza contare le decine di gazebi sparsi a Venezia e Mestre per sensibilizzare la popolazione. E una petizione, che ha già raccolto 9mila fìrme, anche on-line sul sito www. nomose. splinder.com.
Il comitato spera di arrivare ad almeno 10mila per poi presentarle al Parlamento Europeo, o affidarle a europarlamentari del Prc o dei Verdi perché tentino di bloccare quello che ormai in laguna viene chiamato «l'ecomostro». Un appellativo che la Lipu non usa a caso, visto che una ventina di giorni fa ha presentato un ricorso a livello europeo per denunciare il grave impatto ambientale che la grande opera avrebbe sull'oasi di Ca' Roman, zona di interesse UE gestito proprio dalla Lega per la Protezione degli Uccelli.
Altro punto negativo:il Mose, imponente, non proteggerebbe Venezia che dalle alte maree eccezionali, quelle che superano i 11O centimetri. Ma ogni veneziano verace sa che quel tipo di acqua alta si manifesta, appunto, molto di rado, e che le maree minori di 110 centìme-trine nel 2004 sono state 66.
Secondo l'Assemblea Permanente, i progetti alternativi «sono sperimentabili prima della loro realizzazione, mentre il sistema Mose è concettualmente vecchio di trent'anni, è tecnicamente sbagliato e controproducente, non ha alcuna verifica alle spalle»; con l'aggiunta che non sarebbe modificabile se l'effetto sera innalzasse ulteriormente il livello del mare nella laguna.
E allora chi lo vuole il Mose? Non è una novità: il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dell'opera. Che il 28 settembre scorso ha ricevuto una nuova tranche di 700 milioni stanziato dal Comitato Interministeriale, in base alla Legge Obiettivo. Questo senza recepire le lamentele di Cacciari (Massimo, perché il fratello Paolo fa parte dell'Assemblea Permanente) e degli anti-Mose più radicali: i cantieri che nelle bocche di porto stanno realizzando lavori preliminari alle paratie mobili, dicono, non sono conformi ai piani urbanistici comunali e regionali, né alle norme ambientali europee.
Il Consorzio Venezia Nuova tace e va avanti. L'impresa più in vista fino a qualche tempo fa era la Impregilo, che ora gode dell'appalto per il Ponte di Messina. Oggi la star del Consorzio è la Mantovani s. p. a., che conserva il monopolio assoluto di tutte le grandi opere del Veneto: le bonifiche di Porto Marghera, il nuovo ospedale di Mestre, l'autostrada Nuova Romea e il passante autostradale.
Su Liberazione vedi anche E. Salzano
Poche volte Berlusconi è andato così vicino alla verità come quando ha detto che il MoSE è un’opera emblematica del suo governo. Il MoSE (Modulo elettrostatico sperimentale), e il complesso di opere che sotto questo acronimo sono comprese, è una icona del berlusconismo per tre motivi: la distruzione di un delicatissimo ambiente dove natura e storia hanno collaborato fruttuosamente per un millennio, mantenendo con il lavoro diuturno un equilibrio irripetibile; la devastazione delle finanze pubbliche per un’opera costosa perchè inutile e perchè comunque molto più dispendiosa di quanto sarebbe possibile per raggiungere il medesimo risultato; la cessione della sovranità democratica a un cartello di imprese private lautamente finanziate con danaro pubblico.
La Laguna di Venezia (pochi l’hanno compreso) è l’unico sistema del genere rimasto immutato fino ai nostri giorni. Ciò è dovuto all’impegno straordinario di intelligenza, di lavoro, di tecnologia, di scienza dell’amministrazione impiegati per molti secoli dalla Repubblica Serenissima, ispirati a un principio e guidati da tre comandamenti. Il principio è stato quello di collaborare con la natura, di guidarla assecondandola e dirigendola ai propri fini senza mai violentarla. I tre comandamenti erano quelli della gradualità nelle trasformazioni, della reversibilità di tutti i cambiamenti nell’assetto naturale provocati, nella sperimentalità d’ogni intervento posto in essere.
Applicare alla Laguna quel principio e quei comandamenti significava considerare il territorio un bene comune e pubblico, governarlo giorno per giorno con un’amministrazione severa, monitorarne sistematicamente gli eventi e correggerne quotidianamente gli errori. Con la caduta della Repubblica (1797) e con la rivoluzione nei codici sociali e nelle regole tecnologiche apportate nei secoli successivi, la Laguna iniziò il suo deperimento: le grandi opere cementizie, l’apertura di canali rettilinei e profondi in un tessuto variegato e mutevole, la sottrazione al gioco delle maree di aree trasformate in terreni arabili e in industrie, l’incuria nella regimazione dei fiumi che mescolavano le loro acque con quelle marine, tutto ciò aggravò l’abbandono della manutenzione sistematica e provocò eventi sempre più catastrofici: fino alla grande alluvione del novembre 1966.
A partire da quella data iniziò una fase di analisi e riflessione. Sembrava che si fosse compreso quali erano stati gli errori e come si dovesse evitarli per il futuro e correggerne oggi le conseguenze. Una visione sistemica della Laguna e il rigoroso rispetto dei tre comandamenti della gradualità, reversibilità, sperimentalità dovevano essere i presupposti di un insieme di interventi da compiere per ripristinare l’equilibrio devastato dagli interventi ingegneristici, dalla miopia e dall’incuria, dalle privatizzazioni. Così, gradualmente, si sarebbero evitate le minacce di catastrofi analoghe a quella del 1966.
Ma parallelamente a questa linea di azione un’altra si manifestò, e si rivelò più forte. Fu quella di puntare ogni sforzo sulla soluzione di un solo aspetto del problema: la regolazione dell’ingresso delle acque marine dai tre varchi tra mare e laguna. Violando la volontà dei comuni (e dei partiti di sinistra in Parlamento) il ministro Nicolazzi affidò a un consorzio di imprese gli studi, la progettazione, la sperimentazione e l’esecuzione delle opere, in regime di concessione. Il consorzio (che alla fine è risultato composto di imprese di costruzione, ovviamente più interessate alla quantità di opere da realizzare che alla qualità e alla durata dell’intervento naturalistico) ebbe ingenti finanziamenti. Promosse studi che coinvolsero la stragrande maggioranza della cultura tecnica ed economica locale. Promise occupazione per molti anni. Conquistò insomma vasti consensi.
Non tutte le voci critiche si spensero. Grazie soprattutto alle associazioni protezioniste e ambientaliste locali (in prima fila la sezione di Venezia di Italia Nostra) i progetti del Consorzio Venezia nuova furono sottoposti ad analisi critiche puntuali. A livello ministeriale la Commissione d’impatto ambientale espresse un parere critico assolutamente negativo, mettendo in evidenza gli errori, le incompletezze, l’inaffidabilità, i danni e i rischi dei progetti; per un vizio di forma il TAR annullò l’efficacia amministrativa dell’atto, ma nessuno potè contestare la sua sostanza. Nel frattempo, in sede tecnica si definirono soluzioni alternative, molto più ragionevoli, più efficaci, più affidabili, meno devastanti per l’ambiente, e soprattutto reversibili e meno costose.
Debolissima, invece, fu la risposta politica alla marcia del MoSE. All’entusiastico consenso delle formazioni di destra corrispose una critica esitante, dubbiosa, e in definitiva inconcludente dei partiti del centrosinistra. Le poche voci nettamente contrarie erano pesantemente neutralizzate dall’esplicito consenso dell’ex sindaco Paolo Costa (il successore di Massimo Cacciari, da lui stesso designato a proseguire il suo mandato), e da un clima generale dominato dall’ansia di “fare” e di favorire qualsiasi “sviluppo”. La nuova maggioranza, eletta dopo una lacerante divisione a sinistra, sembra decisa a contrastare il mostruoso progetto. Ma esita ad aprire uno scontro deciso col potente Consorzio, rinviando tutto alla speranza di una vittoria di un centrosinistra più attento alle ragioni della ragione che a quelle degli interessi. Così come non sembra comprendere la necessità assoluta di una vasta campagna di opinione pubblica, che – smontando il castello propagandistico del Consorzio - chiarisca all’opinione pubblica nazionale e internazionale la reale portata del progetto MoSE:, i danni ormai visibili dove i lavori sono iniziati, i costi ancora in larga misura indeterminati, i rischi e la sostanziale inutilità agli stessi fini che si propone, l’esistenza di soluzioni alternative migliori sotto tutti gli aspetti, l’illegittimità delle procedure seguite. Oggi, del resto, la critica al progetto incontra a Roma difficoltà ancora maggiori che per il passato, e richiederebbe perciò un più marcato impegno.
Berlusconi ha compreso infatti che il progetto MoSE è pienamente “emblematico” del suo regime. Opere molto consistenti, sebbene inutili, che mettono in moto cospicui finanziamenti premiando potenti aziende del settore delle costruzioni; sostituzione di poteri aziendali ai poteri tradizionalmente pubblici, e di scelte compiute dalle aziende alle scelte degli istituti democratici; distruzione di valori e beni eminentemente comuni, come sono quelli dell’ambiente lagunare; utilizzazione di risorse pubbliche per finanziare opere e interventi la cui progettazione ed esecuzione è di preminente interesse privato; esercizio del potere centrale per mortificare le esigenze espresse dai poteri locali: non si tratta forse di caratteristiche generali del regime che il cavaliere di Arcore sta tentando di imporre all’intero Paese?
Se volete capire qualcosa in più
La prima
Citta’ tradita e soldi al MOSE
Quando hanno rifinanziato il MoSE avevano dato qualche caramella al Comune: ma c’era solo la carta. Da la Nuova Venezia del 5 ottobre 2005
Soldi garantiti solo per il Mose. Di tutto il resto, nella Finanziaria 2006, non c’è traccia. Sembra passato un secolo dalle dichiarazioni trionfali di Berlusconi e del presidente del Veneto Galan al termine del Comitatone. Via libera al Mose, soldi ai Comuni, alla Regione, al Magistrato alle Acque, soldi per il palazzo del Cinema, la sublagunare, i restauri e il rilancio socio-economico. Una tabella con le divisioni percentuali approvate dal Comitatone, tutti a casa con la promessa dei finanziamenti.
Altro film. Solo poche ore dopo cominciava la riunione fiume per approvare la Finanziaria. E il governo ha garantito solo i soldi per il Mose, 200 milioni di euro per quindici anni. Del resto non c’è traccia. Solo i finanziamenti per le grandi opere, da cui sarà forse stornata qualche briciola, come negli ultimi tre anni dopo la Legge Obiettivo. I casi sono due. O c’è un accordo segreto di cui in pochissimi sono a conoscenza, e tra questi nemmeno il sindaco Cacciari. Oppure la città è stata presa in giro due volte. Roma non ha mantenuto le promesse e in cambio ha ceduto con un «blitz» mezzo Arsenale al Consorzio Venezia Nuova per 19 anni. Se questa è devolution... (a.v.)
Cacciari: «Così si bloccano tutti i cantieri»
Per il 2006 non ci sono fondi «Dopo il Comitatone la beffa»
Venezia senza un euro. La Finanziaria garantisce i soldi solo al Mose, e la città rischia di chiudere. Il sindaco Massimo Cacciari lancia l’allarme: «Per tutto il 2006 non avremo soldi», dice, «i cantieri e le imprese dovranno fermarsi. Le decisioni del Comitatone sono state disattese».
Il sindaco filosofo non ama far la parte di chi è stato preso in giro. Ma il suo umore è nero, e le sue parole non lasciano spazio a dubbi. «Non voglio fare polveroni, il mio compito non è quello di fare casino ma di garantire un futuro a questa città», attacca, «ma è evidente che quanto abbiamo deciso insieme al Comitatone di mercoledì scorso è stato disatteso. Dobbiamo cercare in tutti i modi di far modificare questa Finanziaria».
Venerdì il vicesindaco Michele Vianello sarà a Roma al vertice dell’Anci, domenica Cacciari presenzierà alla manifestazione dell’Unione contro la Finanziaria. Intanto ieri il sindaco ha chiamato il sottosegretario Gianni Letta. «Gli ho espresso grande preoccupazione», dice, «perché così la città nel 2006 si blocca». Il primo punto riguarda i finanziamenti della Legge Speciale. «Avevamo deciso in Comitatone», attacca Cacciari, «che le quote dei finanziamenti destinati ai Comuni avrebbero seguito una filiera diversa, svincolati dalla Legge Obiettivo. Ma di questo non c’è traccia nella Finanziaria». E anche se al Comune arrivassero le «briciole» del Mose come negli anni scorsi, continua Cacciari, «stavolta quei soldi sarebbero spendibili solo dal 2007. Noi li abbiamo già impegnati tutti, dunque i cantieri si fermano».
Niente manutenzione della città, dunque, niente scavi dei rii e contributi ai privati, restauri dei palazzi. E stop anche agli accordi di programma con il Magistrato alle Acque per la difesa dalle acque alte a Burano, Sant’Erasmo, Pellestrina e anche per il terzo stralcio di piazza San Marco. «Non voglio fare polemiche con Galan», dice Cacciari, «ma se non sbaglio a Roma abbiamo assistito a uno spot, Galan ha definito il Comitatone storico, ci avevano promesso di tutto. Invece hanno garantito solo il Mose, il resto per Galan è solo poesia. E siamo qui con il rischio di dover chiudere i cantieri per un anno». Non basta la stangata della Legge Speciale, che non ha messo una lira. Il Comune dovrà affrontare adesso anche il tetto ai nuovi mutui, il taglio alle spese del 6,7 per cento, e un bilancio che non quadra dopo il taglio annunciato di almento 21 milioni di euro.
«Credo che per far quadrare i conti dovremo mettere mano a qualche dismissione», annuncia il sindaco, «case, palazzi, qualcosa dovremo fare se non vogliamo chiudere bottega». Perché anche il Casinò, la cassaforte di famiglia, comincia a risentire della crisi. «Per quest’anno riusciremo a incassare i 105 milioni di euro previsti», dice Cacciari, «ma temo che il prossimo anno dovremo rivedere la convenzione se non vogliamo far chiuderre la società». Ca’ Farsetti sull’orlo del fallimento, dunque. Mentre i sindaci si preparano a manifestare contro la Finanziaria che ha tradito le promesse e la giunta sta studiando i tagli che saranno annunciati a fine settimana.
Notizie e commenti da il Corriere della sera, il Gazzettino (un intervento di Stefano Boato), la Nuova Venezia (articoli di Alberto Vitucci e Roberta Dei Rossi)
Corriere della Sera, 28 settembre 2005
Venezia, scontro sul Mose Cacciari: ci sono alternative
VENEZIA — Mose ancora sotto esame, tra polemiche e proteste. Oggi alle 15 le sale di Palazzo Chigi ospiteranno il vertice del comitato interministeriale per la Salvaguardia di Venezia. Intorno allo stesso tavolo siederanno il ministro per le Infrastrutture Piero Lunardi, Giancarlo Galan e Massimo Cacciari, insieme agli amministratori dei comuni che usufruiscono della Legge speciale per Venezia. Al centro del dibattito c'è sempre lui, il Mose: i lavori, iniziati nell'aprile del 2003, proseguono, ma lo scontro è tutt'altro che chiuso. Sabato Lunardi aveva risposto così a chi, da Venezia e Chioggia, chiedeva una tregua in attesa di una verifica approfondita del piano: «C'è solo il Mose, non esistono progetti alternativi». Una stoccata contro Cacciari, che dapprima finge di minimizzare — «Nessuna polemica con Lunardi, per il semplice motivo che non l'ho ancora incontrato» —, poi rilancia: «Chiederò un sereno, corretto e fondato confronto sull'attuale progetto Mose e su eventuali idee e progetti alternativi che non hanno goduto dei 1.500 miliardi di finanziamenti per studi e ricerca che invece il Mose ha avuto».
I PROGETTI ALTERNATIVI — Il fronte delle soluzioni alternative vede Cacciari scontrarsi non solo con il ministro, ma anche con il presidente forzista della Regione Veneto. Con Galan l'unico accordo sembra essere quello sui soldi necessari per la «sopravvivenza» della città lagunare. Cacciari oggi non chiederà al governo di bloccare i cantieri del Mose, ma è vero che l'amministrazione comunale, a differenza di quella regionale, vuole tornare a Venezia con l'impegno del governo a discutere dei progetti alternativi al Mose che in questi mesi sono stati discussi nella sede consiliare. In ballo ci sono anche gli 11 punti un tempo posti dal Comune come condizione preventiva per il sì al Mose: punti che però aveva senso discutere — ha sottolineato Cacciari in un incontro con il Magistrato alle acque — «solo se avessero potuto precedere i lavori del Mose». a soluzione è un mese di convegni seri, perché Venezia possa confrontarsi con il suo futuro: «Non esiste che un'opera del genere venga realizzata bypassando la città e il consiglio comunale». Ma questo vuol dire «tirare» fino a dicembre, quando a pronunciarsi dovrà essere il Consiglio, e arrivare a ridosso del confronto elettorale. Chiosa Cacciari: «Aspetto un governo di centrosinistra, più ancora che per fermare o meno il Mose, per i soldi di cui Venezia ha bisogno. Mi auguro una sensibilità maggiore di quella dimostrata dal governo negli ultimi due anni».
LE RICHIESTE AL GOVERNO — Oggi, dunque, in pieno clima-Finanziaria, Venezia batterà cassa per 1.800 milioni di euro per il triennio 2006-2008, risorse per il Mose escluse, visto che per la terza tranche di lavori il Magistrato alle acque chiederà al governo 900 milioni di euro. Di questi 1.800, 129 servono al Comune solo per quest'anno, per la sopravvivenza di Insula, la società che gestisce le manutenzioni della città e lo scavo dei canali, per il restauro dei musei, ma anche per dare nuovi contributi alla casa e scongiurare l'esodo. Seicento milioni li chiede la Regione, in parte anche per gli interventi di disinquinamento di Porto Marghera. Ufficialmente il governo ha «blindato» il Comitatone — organo tradizionalmente tecnico — con un ordine del giorno senza spiragli per discussioni politiche. Ma è chiaro che — su fronti opposti — sia Cacciari che Galan premeranno per mandare i propri messaggi. Di Cacciari si è detto. Quanto al presidente del Veneto, non gli sfugge che questo potrebbe essere l'ultimo Comitatone guidato da un governo di centrodestra. E il suo obiettivo è incassare un segnale politico: avanti col Mose. Senza aprire la via ai confronti.
«Non è vero che le chiuse mobili sono prescritte dalla legge»
Stefano Boato
il Gazzettino, 29 Settembre 2005
Sulla salvaguardia di Venezia si registrano alcune cadute di responsabilità.
Il Procuratore della Repubblica Fortuna si lascia andare ad una difesa d'ufficio, inopportuna se non altro per il suo ruolo di giudice, nella quale sostiene che il progetto Mose è automaticamente approvato dalla legge.
Ma la legge del 1992 da lui citata prescrive che le opere di regolazione delle maree sono subordinate allo "adeguato avanzamento" del riequilibrio idraulico-morfologico, dell'arresto del processo di degrado della laguna, della sostituzione del traffico petrolifero, dell'apertura delle valli da pesca all'espansione delle maree. Opere che il "Piano degli Interventi" del 1991 citato dal dott. Fortuna prevedeva di dover completare entro il 1997 e che invece sono appena avviate o neppure iniziate (come certificato dal voto del Consiglio Comunale di Venezia).
Le verifiche scientifiche (del Ministero dell'Ambiente e del Comune) hanno confermato che con questi interventi si possono ridurre da subito le punte di marea di almeno 20-25 cm eliminando il problema delle acque alte per alcuni decenni. Perché dobbiamo subirle ancora mentre il fenomeno si accentua di anno in anno ? Perché, contro la legge, si vuole imporre invece prima l'attuazione del Mose?
Spiace dover spiegare a un giudice che le prescrizioni di legge vanno rispettate e devono poi attuarsi con progetti e cantieri approvati con le procedure delle leggi ordinarie e speciali.
Inoltre il progetto Mose non rispetta neppure le prescrizioni di base: non è "graduale", né "sperimentale", né "reversibile". Rispetto poi alla supposta già avvenuta approvazione per legge, il progetto ha già cambiato gran parte delle "proposte" iniziali del Piano degli Interventi del 1991 citato: le profondità (e quindi l'entrata di marea) alla bocca di Lido sono aumentate contravvenendo i principi enunciati dal Piano stesso (!), le configurazioni della bocca di Malamocco e di Chioggia sono state completamente stravolte, la conca di navigazione per le mega navi allora esclusa è stata invece inserita, i mega-cassoni di base che dovevano essere prefabbricati altrove vengono invece costruiti in loco, l'ubicazione dei cantieri non é decisa "d'intesa con le Amministrazioni locali" ma con la loro (Comune e Provincia) formalizzata netta opposizione, ecc.
Del progetto sono stati certificati, dalla Commissione Nazionale Statale, i gravissimi e devastanti impatti ambientali e paesaggistici sin dal 1998; giudizio negativo di merito scavalcato con decisione politica. Ma ancor più grave è il fatto che ormai da almeno cinque anni sono stati evidenziati anche gli errori di impostazione del progetto: non affidabilità delle fondazioni, sistema intrinsecamente instabile che comporta la necessità di monitoraggio e azione continua con enormi e complessi impianti sotterranei e subacquei, rischi di guasti anche catastrofici (allagamento dei tunnel sottomarini), possibilità di rottura per oscillazione in risonanza con le onde e/o per ribaltamento delle paratoie, inaffidabilità delle cerniere-connettori, gravi tempi e modalità di costruzione e installazione, enormi costi ed esigenze di gestione e manutenzione, inoperosità per le acque alte più frequenti e non gestibilità nell'ipotesi di un grande innalzamento del livello medio marino (paratoie sempre chiuse), ecc.
Chi ha responsabilità pubblica vuole farsi carico di questa situazione?
A proposito della legittimità dei cantieri, spiace che il Presidente Galan, nel ritenerli "conformi" ai piani territoriali e urbanistici (resta incontestato il mancato rispetto delle normative ambientali europee) dimentichi e contraddica la sua delibera di fine 1998 con cui prendeva atto della difformità con il Piano Paesaggistico Regionale (Palav), con il Piano Territoriale Provinciale e con i Piani Urbanistici Comunali e della necessità di convocare una "Conferenza dei Servizi" (ed eventuali successive ulteriori procedure parlamentari e governative) ai sensi delle norme vigenti.
la Nuova Venezia, 29 settembre 2005
Berlusconi: il Mose si fa
Alberto Vitucci, Roberta Dei Rossi
ROMA. I lavori del Mose non si possono più fermare. Questo il concetto ribadito con forza da Silvio Berlusconi al termine della seduta del Comitatone, riunitosi ieri a Palazzo Chigi. Il premier ha presieduto di persona la seduta e ha assicurato l’impegno del governo per il reperimento dei fondi: «Un’opera epocale, che sarà il simbolo di questo governo e che ci costerà 4,3 miliardi di euro». «Un’opera di regime», taglia corto il sindaco Massimo Cacciari.
Il capo del governo ha annunciato lo stanziamento da parte del Cipe di 700 milioni. Quindi ha ascoltato le richieste degli altri enti presenti, dando soddisfazione un po’ a tutti. Esulta Galan. Una parola di riguardo è arrivata per il nuovo Palazzo del Cinema: «Mi impegno fin da stanotte - ha detto Berlusconi - a mettere in Finanziaria i soldi necessari». Poi però ha aggiunto che «la coperta è corta e il denaro a disposizione è poco».
Berlusconi: «Per il Mose 4,3 miliardi»
Subito altri 700 milioni. Il premier promette i soldi per il palazzo del Cinema
ROMA. Avanti tutta con i lavori del Mose, rifinanziato con 700 milioni di euro. E qualche lira dalla Finanziaria (380 milioni di euro in tre anni, invece dei 1800 richiesti) agli enti locali. Sono le decisioni prese ieri a Roma dal Comitatone, presieduto per l’occasione da Silvio Berlusconi. «L’opera è decisa e finanziata, si va avanti», ha detto il premier, affiancato in sala stampa dal solo presidente del Veneto Giancarlo Galan, «mi pare che oggi siano stati risolti tutti i dubbi che si sentivano ancora nell’aria rispetto a questa grande opera». Nessun cenno alle alternative.
«Noi non abbiamo alcun potere di fermare alcunché», dice il sindaco davanti a palazzo Chigi alla fine, «ma posso assicurare che in città si discuteranno presto i progetti alternativi. Se il Magistrato alle Acque ci sta, bene. Altrimenti faremo da soli». Ma lo scontro per ora è rinviato. Due ore di riunione nella sala verde di palazzo Chigi. E poi la conferenza stampa di Berlusconi e Galan.
MOSE «Non si torna più indietro - scandisce Berlusconi - l’opera è decisa, in parte finanziata e in stato avanzato di realizzazione. Costerà 4 miliardi e 300 milioni di euro. Ne sono già stati attivati 1200, e 700 arriveranno dal Cipe. Una sicurezza per le imprese. Dopo 37 anni abbiamo varato quest’opera epocale, grazie all’attività del governo. E per il 2011 contiamo di vederla realizzata. Realizzeremo presto anche il ponte sullo Stretto, oltre al traforo del Frejus. Sono le tre opere epocali che resteranno come segno del nostro operato».
IL FILM In apertura di seduta il Consorzio Venezia Nuova proietta un filmato sullo stato dei lavori delle opere preliminari del Mose in laguna. «Roba da istituto Luce», sbottano i delegati del Comune, «si vedevano sassi buttati in acqua e ruspe». Berlusconi è di parere opposto. «Il filmato ci ha mostrato l’avanzamento dei lavori che è rilevante. Anche da profani possiamo dire che il modo con cui si presentano dà garanzia che sia la soluzione giusta di un problema di sempre. I dibattiti sono ormai alle spalle, si va avanti».
I FONDI «La coperta è corta e i soldi sono pochi. Ma mi impegnerò anche stanotte per portare a casa i fondi che sono stati richiesti», dice Berlusconi con tono da buon padre di famiglia. Per ora la ripartizione dei fondi è solo teorica. E il totale disponibile sulla carta è circa un quinto delle richieste avanzate soltanto ieri. Per i prossimi tre anni la Finanziaria dovrebbe rendere disponibili 380 milioni. Di questi un terzo andranno alla Regione per il disinquinamento e lo scavo dei canali portuali (137 milioni), altrettanti al Comune per la manutenzione ordinaria, i restauri e i contributi ai privati (129 milioni). 84 milioni saranno invece destinati al Magistrato alle Acque per i restauri di chiese e edifici demaniali, 23 milioni e mezzo andranno al Comune di Chioggia, 6 e mezzo al Cavallino. Le necessità degli altri enti - su richiesta di Cacciari - saranno valutate dal Comune.
CIPE Resta separato il canale di finanziamenti del Mose attraverso il Cipe. La prossima tranche dovrebbe prevedere fondi per almeno 700 milioni di euro in tre anni. Per realizzare il Mose sono già stati stanziati 100 milioni di euro da vecchie Leggi Finanziarie, 450 milioni di euro dal Cipe nel novembre 2002, 638 milioni di euro dal Cipe nel dicembre 2004. Il decreto dei 638 milioni è stato firmato il 25 luglio scorso dal ministro Siniscalco e dovrebbe coprire i lavori preliminari, le conche di navigazione e l’isola del bacàn a partire dal 2007. Sei progetti sono stati approvati in luglio dal Comitato tecnico di magistratura nonostante la diffida inviata dagli ambientalisti e dal Comune. I 700 milioni annunciati ieri serviranno per avviare la seconda fase, qualla della costruzione dei cassoni in calcestruzzo e delle paratoie.
11 PUNTI Le condizioni che il Consiglio comunale aveva posto nel 2003 all’avanzamento del progetto Mose sono ormai in larga parte superate. Alcune proposte sono state presentate ieri dal Magistrato alle Acque e riguardano la possibilità di sperimentare a Malamocco (e non al Lido come era richiesto in origine) forme di riduzione dell’impatto della marea con cassoni carichi di pietre adagiati sul fondo. L’Ufficio di Piano dovrà ora condurre un approfondimento tecnico sugli undici punti.
MARGHERA Via libera al marginamento delle aree inquinate, che sarà affidato al Consorzio Venezia Nuova con i finanziamrenti versati dalla Montedison per il processo del Petrolchimico e altri 66 milioni di euro disponibili da altre transazioni giudiziarie (Eni e Sindyal). 40 milioni di euro saranno destinato allo scavo dei canali portuali, su richiesta del commissario straordinario Vittorio Casarin. «Non basta sostituire le celle a mercurio con celle a membrana», ha detto Galan, «occorre cambiare rotta e garantire la sicurezza». «Un siparietto del solito Galan», ha commentato Cacciari.
LA CURIOSITA’ La sala stampa deserta si riempie appena viene dato l’annuncio: «Sta arrivando il Presidente». Scende Berlusconi, seguito dal solo Giancarlo Galan, che mostra ai giornalisti un libro nuovo di stampa. Si intitola «Berlusconi ti odio». «Che vergogna, sono raccolte di agenzie», sbotta Galan, «in un Paese civile non si dovrebbe fare».
SUBLAGUNARE Il Comune e la Provincia hanno bocciato il progetto. Ma ieri ci ha pensato la Regione a ritirarlo fuori, chiedendo i finanziamenti al Comitatone. «Occorre risolvere una volta per tutte il non più procrastinabile problema degli accessi al centro storico lagunare - ha detto ancora Galan -. Senza la sublagunare il nuovo disegno di salvaguardia e di sviluppo non ha senso».
PALAZZO DEL CINEMA E’ a sorpresa lo stesso Berlusconi ad annunciare, dopo il Mose, la volontà del governo di costruire il nuovo palazzo del Cinema al Lido. «Mi impegnerò già stanotte - scandisce - per inserire nella Finanziaria i fondi per il nuovo palazzo del Cinema. Un’aspettativa non solo della città ma anche dell’intero mondo del cinema. Crediamo si debba trovare con il Comune una soluzione per poterlo realizzare».
IL COMUNE Soddisfazione è stata espressa dalla delegazione di Ca’ Farsetti, perché il Comitatone ha accolto la richiesta di tornare all’antico sistema di finanziamenti per la città attraverso la Legge Finanziaria. Continua invece il braccio di ferro sul Mose. Nei prossimi giorni in Comune si decideranno le modalità del dibattito sulle proposte alternative.
IL PROGETTO Secondo il Consorzio Venezia Nuova il progetto Mose dovrebbe essere ultimato nel 2011. Prevede la chiusura delle tre bocche di porto con 79 paratoie in acciaio, ancorate sul fondo a 157 cassoni di calcestruzzo di 50 metri per 30 e alti 3. Dai fondali della laguna saranno scavati 8 milioni di metri cubi di materiali e infissi 12 mila pali di cemento armato lunghi fino a 19 metri. Sulle procedure del Mose pende un ricorso alla Corte europea. Gli uffici tecnici del Comune hanno dichiarato i cantieri «illegittimi» e la Procura ha aperto un’inchiesta per verificare la fondatezza dell’esposto delle associazioni ambientaliste.
«Opera inutile, di sola immagine»
Verdi, Pdci e Legambiente compatti nell’attacco al governo
VENEZIA. «Allora per la salvaguardia di Venezia c’è solo da sperare che cambi presto il governo», commenta la deputata Verde Luana Zanella, «la pressione delle lobby è tale da schiacciare le volontà dei sindaci, mentre il governo non si ferma nemmeno a valutare progetti più flessibili, meno costosi, graduali e reversibili come richiesto dalla legge di salvaguardia». «Il Mose è un’opera dai costi economici ed ambientali enormi. Insostenibili per il delicatissimo ecosistema lagunare. Faremo un’opposizione ferrea alla prosecuzione dei lavori», le fa eco Francesco Ferrante, di Legambiente, «l’unico obiettivo del Governo è lasciare il segno, senza preoccuparsi delle conseguenze sui cittadini e sull’ambiente, evidenti dopo le prime devastazioni dei cantieri». «Quel che conta per il Cavaliere è giocarsi il tutto per tutto», afferma Marco Rizzo, eurodeputato del Pdci, «Berlusconi vede avvicinarsi giorno per giorno la sconfitta e gioca la carta delle grandi opere, ma non si illuda: dopo 5 anni di malgoverno, nemmeno i fasti imperiali renderebbero la credibilità ad una compagine governativa ridotta a gruviera». Di tutt’altro avviso Mauro Fabris, vicepresidente della commissione Lavori pubblici e senatore dell’Udeur, che accoglie invece come «positive» le decisioni del Comitatone: «Ho sempre considerato il Mose, assieme alle altre opere di rivisitazione e tutela della laguna opera essenziale per garantire la salvaguardia della città stessa. Il progetto fu studiato e voluto anche dai governi precedenti: va considerato un’opera su cui non sono ammissibili speculazioni di natura politica e di piccolo cabotaggio».
Replica alle polemiche ambientaliste il deputato azzurro Cesare Campa: «Ancora una volta la sinistra, che tiene in sacco Venezia, si è dimostrata estranea alla vasta azione d’intervento del governo Berlusconi a favore della salvaguardia, obiettivo prioritario per garantire il futuro della Serenissima», «mi auguro che il sindaco non sia costretto ad assecondare la politica dello sfascio di una sinistra incapace di progettare la modernizzazione».
L’Arsenale sarà il cantiere per i cassoni
VENEZIA. Che la giornata non avrebbe riservato alcun clamoroso dietro front del governo sul via libera al Mose, lo si era capito in mattinata, quando è stata apposta la firma sul contratto con il quale il Demanio ha concesso in uso al Consorzio Venezia Nuova le Tese Nuovissime e i Bacini di carenaggio dell’Arsenale Nord, per farne - una volta restaurati - proprio la sede della centrale operativa e dei cantieri per la manutenzione dei cassoni del Mose, come già annunciato nei mesi scorsi.
Un progetto che - quando la Nuova ne diede notizia, all’inizio dell’estate - aveva lasciato «stupefatto e sconcertato» il vicesindaco Michele Vianello e si era tirato dietro gli strali di Italia Nostra, con il presidente veneziano Alvise Benedetti che rifuggiva da «un Arsenale caduto così in basso, trasformato in cantiere per costruire enormi cassoni in ferro».
Per converso, sottolineandone la piena sintonia con il piano particolareggiato del Comune sull’area, in una nota il Demanio saluta l’intesa firmata con il Magistrato alle Acque e il Consorzio Venezia Nuova, come «un’importante operazione grazie alla quale si potrà finalmente realizzare definitivamente il restauro di una buona parte dei suggestivi edifici storici collocati nella parte Nord dell’Arsenale di Venezia e si restituirà compiutamente allo stesso compendio immobiliare la funzione simbolo di “luogo della produzione” che per 900 anni ha caratterizzato l’Arsenale veneziano». La concessione, che prevede la corresponsione allo Stato di canoni concessori a valore di mercato, avrà durata di 19 anni e potrà essere rinnovata. Da parte sua, il Consorzio Venezia Nuova - concessionario unico del Ministero delle Infrastrutture e del Magistrato alle Acque di Venezia per la realizzazione degli interventi per la salvaguardia - ultimerà la ristrutturazione degli edifici e la realizzazione delle nuove opere finalizzate al loro utilizzo entro la fine del 2008, quando l’Arsenale Nord potrà diventare a tutti gli effetti la sede della centrale di coordinamento del Mose e un cantiere per il rimessaggio dei cassoni, che a quel punto - stando al cronoprogramma - dovrebbero iniziare ad essere infissi sui fondali delle bocche di porto. «Si tratta di un atto estremamente importante», commenta entusiasta il governatore Giancarlo Galan, «viene così proseguita e intensificata l’opera di restauro e di rivitalizzazione di una gran parte dell’Arsenale, ma soprattutto la concessione prevede che proprio in quel mitico luogo avverrà la realizzazione, manutenzione e gestione del Mose».
(Roberta De Rossi)
Cacciari «Le paratoie un esempio di regime»
ROMA. «La grande opera di regime procede, e certo non potevamo essere noi a fermarla. Prendo atto che per il confronto sulle alternative non c’è alcuna disponibilità da parte di questo governo. Temo che dovremo procedere da soli, almeno fino a un prossimo futuro». E’ soddisfatto solo a metà, il sindaco Massimo Cacciari. Sono state accolte le sue proposte sui fondi da destinare direttamente agli enti locali attraverso il vecchio meccanismo della Finanziaria. «Ho molto apprezzato - dice Cacciari - il fatto che il presidente del Consiglio sia stato sempre presente, nell’imminenza della discussione sulla Finanziaria. Questo implica una sua assunzione diretta di responsabilità, e speriamo che le nostre richieste siano accolte per garantire la manutenzione della città», Sulle contestazioni alla legittimità dei cantieri del Mose. Cacciari ha detto che «nella sua relazione il Magistrato alle Acque ha confermato la sua assoluta tranquillità Stato sulle procedure adottate. I dubbi saranno sciolti da chi di dovere». (a.v.)
GALAN «E’ tutto andato per il meglio»
ROMA. «Sono visibilmente soddisfatto, come direbbero i giornalisti. Oggi si è chiuso un percorso lungo 37 anni, 1500 milioni di euro di consulenze e di valutazioni. Si va avanti con il Mose, e le alternative sono soltanto fantasie».
Giancarlo Galan in versione discreta, quello che compare - unico e solo. perché gli altri ministri se ne vanno in anticipo e Cacciari non partecipa - in sala stampa accanto al presidente Berlusconi. Il Capo del governo parla per un quarto d’ora, poi gli cede la parola. «Prego presidente». Galan è davvero soddisfatto. Sottolinea con piacere il fatto che ai dubbi di Cacciari il tavolo del Comitatone non ha concesso spazi. «Anche i cinque saggi del governo Prodi», conclude, «avevano confermato l’insussistenza di alternatiove a questo progetto». «Oggi si apre la seconda fase della costruzione del Mose», conclude il presidente della Regione, «con nuove prospettive per passare da una politica conservatrice e difensivistica alla metropoli di equilibrio tra cultura, ambiente ed economia». (a.v.)
Le cronache della New Orleans devastata dall'uragano Katrina narrano di Ray Nagin, il sindaco della città distrutta, che continua a urlare e strepitare lanciando insulti e male parole contro il presidente Bush, contro la governatrice Bianco, contro la Fema, l'impacciata protezione civile federale del defenestrato Mike Brown, e contro chiunque altro gli capiti a tiro. E' da capirlo. La disgrazia che gli è capitata addosso, personale e politica, è di dimensioni tali da far perdere le staffe a chiunque; soprattutto al sindaco il cui nome resterà associato per sempre alla tragedia della città e che si gioca tutto sulla sua ricostruzione. Al momento il gioco inesorabile del cerino delle responsabilità fa delle urla di Nagin la sua arringa difensiva per le accuse specifiche a lui rivolte: dal ritardo nell'ordine di evacuazione all'inadeguatezza del Superdome come rifugio. Poca cosa rispetto alle responsabilità statali e federali. Il tardo agitarsi di Bush ne è la conferma più lampante. Il fatto è che pur di fronte alla incontenibile forza distruttrice di Katrina nessun potere pubblico locale, statale o federale competente su New Orleans può dirsi esente da colpe.
Nessun personaggio pubblico anche marginalmente coinvolto può dire di aver fatto tutto il possibile, di avere la coscienza a posto. Con, forse, una eccezione, piccola ma signifi-
cativa: Marc H. Morial che di New Orleans è stato sindaco fino al 2002. Il sindaco Morial era consapevole dei pericolo che incombeva sulla sua città «per l'innalzamento del livello del mare, ma anche per l'intensificarsi di fenomeni climatici estremi» ed era anche per questo impegnato nel sensibilizzare il presidente Bush e l'amministrazione federale degli Usa sui temi dei cambiamenti climatici e dell'effetto serra. Tanto consapevole e impegnato da accettare subito di firmare (il 24 agosto. 2001) con pochi altri sindaci americani, ma con un centinaio di altri sindaci di città costiere del mondo (da Rio de Janeiro a Oslo, da Città del Capo a Fukuoka, da Dakar a Dubai, da Honolulu a Na-di—Fiji, da Tallinn a Dhaka—Bangladesh), la lettera da me proposta, quale sindaco di Venezia del tempo, e diretta al presidente Bush, che «esprimeva la più profonda preoccupazione riguardo alla posizione che l'amministrazione Usa ha di recente assunto nei riguardi del Protocollo di Kyoto». Morial si univa a me e agli altri sindaci nel testimoniare con forza a Bush «la convinzione che il protocollo di Kyoto non debba essere messo da parte». Morial aveva accettato che la lettera facesse cenno solo al caso di Venezia e alla contraddizione "americana" tra l'amministrazione Usa che non firmava il protocollo di Kyoto e i molti cittadini che fin dal 1966 si preoccupavano - e finanziavano - i comitati per la salvaguardia di Venezia e per la conservazione del suo patrimonio culturale. La lettera venne spedita a Bush e presentata pubblicamente al Senato di Washington. Non fece cambiare idea a Bush; ma dimostrò che esistevano americani come Morial che "facevano tutto il possibile": non per evitare l'inevitabile Katrina, ma per rafforzare le difese di New Orleans e per organizzare
soccorsi più efficienti.
Viene spontaneo domandarsi - e molti in questi giorni lo hanno fatto - fino a dove arrivino le analogie con Venezia. Per fortuna un Katrina non potrebbe verificarsi in Adriatico: mancano le condizioni di riscaldamento di grandi masse d'acqua e del trasferimento di energia capace di produrre i venti degli uragani. Ma è anche vero: che a Venezia basterebbero burrasche con onde di due metri per mettere a repentaglio la città storica; che il fenomeno già prodottosi nel 1966 ha un periodo di ritorno stimato in 150 anni; e che lo stesso non si è ripetuto il 6 novembre 2000 solo perché la marea astronomica era bassa. Se la burrasca si fosse prodotta quattro giorni dopo ci saremmo trovati di nuovo di fronte a una Venezia sommersa da più di 190 centimetri d'acqua.
Al contrario di New Orleans la consapevolezza del pericolo che Venezia corre e l'impegno a risolverlo da parte del governo nazionale esistono da tempo. Dico governo, come istituzione, non solo governo Berlusconi, che ha cercato di attribuirsi l'intero merito dell'avvio dei lavori per la realizzazione del sistema di paratie mobili - il Mose - assieme agli altri interventi locali e ai possibili restringimenti alle bocche di porto. Se oggi possiamo prevedere che entro sei anni Venezia verrà definitivamente protetta dalle grandi inondazioni, ma anche dal fastidio di molte acque alte, lo dobbiamo prima di tutto ai governi Prodi, D'Alema e Amato che hanno gestito con scrupolo la fase di messa a punto e di autorizzazione conclusiva del progetto. In un esempio, positivo come pochi, di "leale collaborazione" tra i livelli di governo, quello regionale e quelli locali hanno collaborato per migliorare la decisione, ma senza sottrarsi alle proprie responsabilità.
Da sindaco mi sono trovato a gestire il raccordo tra i governi di centro-sinistra, che avevano dato via libera a un progetto complesso di salvaguardia "non solo Mose", e il governo Berlusconi interessato solo ad avviare la grande opera. Berlusconi è stato tenuto sulla linea tracciata da Prodi-D'Alema-Amato da un Comune di Venezia che ha coinvolto al meglio anche quelle forze politiche, Verdi e Rifondazione, tradizionalmente poco favorevoli alla soluzione Mose. Oggi dal lato locale - Comune di Venezia - e da qualche forza politica in cerca di visibilità differenziale si sentono nuove, pericolose, voglie di tornare all'antico, di usare il miraggio di ipotesi alternative per riprendere l'andazzo di non decidere per non perdere consensi da nessuna parte, anche a costo di continuare a tenere Venezia a rischio. Il sindaco Costa-Morial ha la coscienza a posto: sa di aver fatto tutto il possibile. Non auguro a Cacciari né a nessuno sindaco dopo di lui di trovarsi nella condizione di poter solo gridare come Nagin.
La devastazione di un cantiere del Mose al Lido di Venezia ad opera di un gruppo di no global, guidati dall´ormai ben noto leader dei centri sociali, Luca Casarini, è un fatto di notevole gravità che va al di là delle eventuali critiche al Mose e trascende per più di un motivo i limiti di un «atto di illegale idiozia», come lo ha definito il sindaco Cacciari.
Riassumo: la mattina del 6 us un centinaio di no global si sono presentati al cantiere di S. Nicolò (uno degli 11 in funzione), hanno scardinato le recinzioni e sono penetrati nel perimetro dei lavori. La Polizia allertata inviava quattro camionette di agenti che si limitavano a filmare e fotografare i sabotatori mentre arrecavano danni gravissimi ai macchinari (gru, caterpillar, cingolati, pontoni semoventi ecc.). Ma lascio la parola allo stesso Casarini che ha dichiarato all´Ansa: «Non solo rivendichiamo i danni, giustificandoli come legittimi, ma annunciamo che continueremo in modo permanente questa nostra opera di sabotaggio... abbiamo voluto trasformare la nostra azione di sabotaggio in un gioco di ruolo... con tanto di classifica delle squadre in cui ci siamo divisi: prima è arrivata quella che doveva rimuovere la recensione, seconda quella che ha messo fuori uso i camion bucandone le gomme, terzo quella che ha versato sabbia nei motori, quarta quella che ha danneggiato l´impianto elettrico della gru che sta in diga e ultima quella che doveva togliere la segnaletica di cantiere... le prossime manche potrebbero riguardare gli uffici del Consorzio Venezia Nuova... perché noi ci sentiamo legittimati a devastare chi devasta l´ambiente.. il signor Mantovani (titolare di una delle ditte, ndr) sappia che è stato inserito nei nostri "giochi senza frontiere"... che un giorno potrebbero riguardare anche il presidente della Regione, Galan, e la sua villa». La sostanziale tolleranza verso queste minacce, anche personali, accompagnate da azioni delittuose specifiche, di cui fin da ora si annuncia la reiterazione, è un sintomo pauroso del cedimento psicologico, ancor prima che politico, nei confronti di frange estremiste e violente, erroneamente considerate come innocue portatrici di folclore sociale. La filosofia della colpevole tolleranza ha impregnato ormai i poteri istituzionali, le forze politiche e anche i mass media. In primo luogo riguarda le forze dell´ordine che non possono limitarsi a filmare un raid squadristico e a denunciarne, poi, gli autori alla Autorità giudiziaria. Esse sono obbligate dalla legge e dal loro ruolo ad impedire che un reato si compia sotto i loro occhi. Non è un motivo valido il timore che, intervenendo si sarebbero rischiati incidenti in vicinanza della Mostra del Cinema. Per contro si è avallata la praticabilità impunita per futuri atti vandalici e violenti.
Ma questa è solo un aspetto del cedimento collettivo. Anche la stampa non sembra cogliere sempre l´esigenza di isolare la violenza. Sul tradizionale quotidiano veneziano, Il Gazzettino, ha trovato ospitalità un editoriale di Luca Casarini dal titolo significativo "Il blocco del cantiere del Mose a difesa del bene comune Laguna" in cui il portavoce no global esalta "la grande iniziativa che ha dimostrato che, senza delegare niente a nessuno... la gente si è organizzata e ha agito". A questa esaltazione dell´azione diretta fa riscontro, per esempio, anche una intervista che l´Unità su una intera pagina a tal Tommaso Cacciari, altro esponente locale dei no global e partecipante al blitz ma la cui unica qualifica è quella di esser nipote del sindaco e come tale autorizzato a un certo familiare ludibrio («Anche se in 28 anni non ho mai parlato con lui né di Mose né di qualsiasi altra cosa... negli anni Novanta non posso dire che facesse schifo... ma la nuova giunta è un comitato d´affari... in confronto quello che abbiamo fatto è nulla, cosa volete che sia un serbatoio buttato in mare o una ruota sgonfiata rispetto al Mose, il mostro a cui vogliono sacrificare la nostra città».
Ma, oltre alla Polizia e i media, il fatto solleva un interrogativo di non poco rilievo. I primi governi di centro sinistra si trovarono alle prese coi veti dei Verdi nei confronti di quasi tutte le opere pubbliche progettate (dal raddoppio della variante di valico dell´Autostrada del Sole al passante di Mestre e naturalmente al Mose, già allora discusso). Sarebbe opportuno, in vista di una possibile vittoria di Prodi, che la questione venisse responsabilmente affrontata subito, in sede di programma, piuttosto che trovarsi domani alla mercé dei vari Casarini e dei loro eventuali e tolleranti padrini politici.
Postilla
La memoria degli uomini è corta e l'attenzione dei giornalisti modesta. Altrimenti Pirani avrebbe potuto ricordare un precedente molto interessante. Nel 1969 un pericoloso sobillatore, un Luca Casarini dell'epoca (il suo nome era Indro Montanelli, giornalista e direttore di giornali conservatori) sollevò gli animi contro un'anticipazione del MoSE: il Canale dei petroli. L'eccitazione no.global (allora non si diceva ancora così) spinse qualche decina di funzionari di banca, maestri e maestre, impiegati, casalinghe, studenti e studentesse universitari, ad organizzare azioni molto simili a quelle degli attuali oppositori dll'impresa del Consorzio Venezia Nuova. Un focoso e "ingiurioso" manifesto e l'assalto alla petroliera Supercortemaggiore, blocata per una giornata intera mentre inaugurava il famigerato Canale (oggi in via di ulteriore consolidamento) furono gli episodi di maggior spicco, che provocarono raffiche di avvisi di reato. Ma alla fine, il processo si concluse con un'assoluzione per gli intenti civili, e salvifici della Laguna, che animavano quei "contestatori. In tribunale erano stati difesi da un ex sindaco (Gianquinto, comunista) e da un futuro sindaco (Casellati, repubblicano).
VENEZIA. Il Tribunale amministrativo spiana la strada alla realizzazione del Mose. A 48 ore dall’udienza di merito, ieri i giudici hanno rigettato tutti e 8 i ricorsi della Provincia, del Comune, delle associazioni ambientalistiche e dei consumatori, che contestavano l’iter che ha portato il governo ad autorizzare il progetto esecutivo delle opere mobili alle bocche di porto.
Le motivazioni non sono ancora note, ma i giudici ritengono legittimi gli atti compiuti finora. «Non hanno avuto coraggio», commenta l’assessore provinciale all’Ambiente Da Villa, confidando nel ricorso all’Unione Europea. Quasi ultimate le barriere complementari alle bocche di porto, il Consorzio inizierà presto i lavori per il «muro» davanti al Cavallino.
VENEZIA. Il Tribunale amministrativo spiana la strada alla realizzazione del Mose. Ieri, a sole 48 ore dall’udienza di merito, i giudici del Tar hanno depositato il dispositivo con il quale la «sezione prima, definitivamente decidendo sui ricorsi in premessa, previa riunione degli stessi, li rigetta». I ricorsi sono quelli presentati da otto diverse amministrazioni ed associazioni contro i provvedimenti con i quali, tra il 2001 e il 2003, il Comitatone ha dato il via libera alle «opere complementari» a mare e al progetto esecutivo delle barriere mobili alle bocche di porto. I giudici non hanno ancora motivato la loro decisione - ci vorranno almeno venti giorni per la sentenza - ma hanno fatto ufficialmente sapere di ritenere legittimo il via all’intervento.
La questione è di quelle capaci di dividere come poche: come si salva Venezia? Costruendo gigantesche, potenti e sommerse saracinesche che fermino il mare quando si fa pressante, come vogliono governo, Magistrato alle Acque, Regione, Consorzio Venezia Nuova, sostenuti dalle categorie (Ascom, Confartigianato, Camera di commercio, Unione industriali, Forum per la laguna)? Oppure intervenendo con opere diffuse, manutenzioni, affondando semplici cassoni per rompere l’impeto delle correnti, come replicano Italia Nostra, Wwf, Lipu, Codacons, Eco Istituto Veneto, Sinistra ecologista, Movimento consumatori, la battagliera Provincia e il più soft Comune (sindaco e rosso-verdi, si sa, la pensano diversamente)? Questioni tecniche, politiche, conomiche. Il fronte del «no» ha giocato al Tar la carta dell’illegitimmità dell’iter che ha portato al via alle opere complementari (approvate con valutazione d’impatto ambientale della sola Regione) e al progetto esecutivo del Mose (non più sottoposto a Via come opera di carattere strategico e preminente interesse nazionale). Illegittimità che per i giudici non esiste. In attesa delle motivazioni, già si parla di ricorsi in appello. Nel mezzo, però, ci sono le elezioni.
«Per quanto ci riguarda», spiega l’assessore provinciale all’Ambiente, Ezio Da Villa, «andremo avanti. Abbiamo già impugnato all’Unione europea le forzature indicibili fatte per dare il via libera all’opera, senza Via e dando i lavori ad un unico concessionario. Sono molto deluso: mi pare che i giudici abbiano dimostrato ben poco coraggio davanti ad un sistema di poteri così fatto».
«Ancora una volta, secondo un metodo molto in voga in Italia», osserva l’avvocato Alfredo Bianchini, legale del Consorzio Venezia Nuova, «dopo 40 anni di studi che hanno coinvolto migliaia di persone - tra progettisti, esperti, amministratori, politici - si vorrebbe che tre magistrati decidessero nel merito tecnico di una questione tanto complessa, quando la loro competenza è sulla legittimità dell’iter. Eppoi quando questa legittimità viene riconosciuta, si vorrebbe sempre un altro grado di giudizio. E’ un vizio italiano sia non accettare mai le sentenze sia voler delegare l’ultima decisione all’organo meno indicato: come può un Tar decidere sulla validità del progetto Mose? Eppoi un intervento così complesso sarà sempre in continuo mutamento, perfezionabile: più che la costante contrapposizione è utile l’integrazione».
VENEZIA. Interventi alternativi al Mose e più”leggeri” per fermare l’acqua alta alla bocca di Lido e - da parte dei Verdi - il lancio del referendum consultivo tra i cittadini del Comune, perché esprimano il loro parere sul progetto di dighe mobili voluto dal Governo. Sono questi - al di là del probabile ricorso al Consiglio di Stato da parte delle associazioni ambientaliste e un’eventuale azione poi in sede europea - i punti tutti politici da cui ripartirà, nelle prossime settimane, la battaglia sulla salvaguardia, che si intreccerà, inevitabilmente, con l’ormai imminente scadenza elettorale. Il 7 giugno, infatti, a pochi giorni dal voto, il Consiglio comunale sarà chiamato a votare un ordine del giorno della maggioranza dove l’undicesimo dei punti approvati dal Comitatone diventerà il primo: appunto, la sperimentazione di progetti alternativi e meno impattanti rispetto al Mose.
«Quel punto - commenta Livio Marini, capogruppo dei Ds a Ca’ Farsetti - è fondamentale e non più rinviabile. La sperimentazione alle bocche di porto va fatta prima del Mose, perché l’intervento alle dighe mobili avrò un impatto tale che bisogna avere la certezza che altre soluzioni non risolvano il problema, permettendo, oltretutto, la realizzazione di quell’avamporto che risolverebbe anche il problema dell’allontanamento delle grandi navi. Sulla base di quest’ordine del giorno, il sindaco Costa potrà poi chiedere la sollecita convocazione del Comitatone che questoi unidici punti, compresi gli interventi sperimentali e alternativi alle bocche, ha approvato». In parte differente l’approccio di Gianfranco Bettin, per i Verdi. «Bisogna fare ricorso al Consiglio di Stato contro la bocciatura del Tar - commenta - ma la via maestra resta quella politica e le elezioni aiuteranno, a comimnciare delle Europee. Non ho ancora capito, ad esempio, quale sia la posizione della lista riformista sul Mose: quella di Costa o quella dei Ds? Noi Verdi proporremo comunque il referendum consultivo sul Mose, raccogliendo già quest’estate le firme necessarie. Chiameremo alle urne gli abitanti del Comune di Venezia, ma sarebbe importante che partecipassero anche i cittadini del Cavallino, di Chioggia e di Mira, direttamente interessati agli effetti del progetto di dighe mobili. Se comunque, alle Europee, la Casa della Libertà verrà sconfitta, si porranno le premesse politiche perché tra un anno e mezzo si possa avere un governo di centrosinistra alla guida del Paese, in grado di riprendere in mano tutta la questione delle grandi opere e del Mose».
(Enrico Tantucci)
VENEZIA. C’è chi si rallegra e chi si scandalizza. Queste le reazioni contrapposte all’esito della sentenza del Tar sul Mose, che ha bocciato tutti i ricorsi presentati dagli ambientalisti.
Tra i primi, il sindaco di Venezia Paolo Costa e il presidente della Regione Giancarlo Galan «Sono lieto - commenta Costa - che il Tar abbia analizzato con attenzione i ricorsi sulle procedure, perché era importante analizzare a fondo l’iter di un’opera fondamentale come il Mose. Credo quindi che sia stato positivo, anche da parte del Comune, chiedere tutte le verifiche possibili, per garantire che le procedure messe in atto sono fuori da ogni dubbio. Sono personalmente molto contento del fatto che sia stata riconosciuta la validità della procedura di valutazione di impatto ambientale speciale, definita da un decreto del Governo Prodi, di cui ero ministro, su mia proposta, sulla quale, al di là di ogni ragionevole evidenza, molti si ostinavano ad esprimere dubbi. Dopo questa sentenza si può ripartire con maggiore forza anche per chiedere l’applicazione degli undici punti del documento votato anche dal Comitatone come parte integrante del Mose».
Soddisfatto anche Galan: Oggi mi sento di poter dire di aver ricevuto una buona notizia, ma questo ha poca importanza. Credo che la decisione dei giudici del Tar, che va accolta senza alcun commento, appartenga comunque ad un percorso approvativo dove giustamente non sono mancati opportuni approfondimenti, controlli e verifiche».
Ben diversa la valutazione delle associazioni ambientaliste - come Wwf, Italia Nostra, Lipu, Vas, Ecoistituto Veneto, Codacons, Sinistra Ecologista - che attendono le motivazioni di una sentenza che lascia perplessi. «Ci riserviamo di valutare rapidamente - commentano Paolo Perlasca del Wwf e Alvise Benedetti di Italia Nostra -un rinvio della decisione definitiva al Consiglio di Stato e soprattutto un ricorso in sede di Unione Europea, come già avanzato dalla Provincia. Al di là di ogni giudizio sotto il profilo amministrativo, rimane fermo l’obbligo stabilito dalla legge italiana fin dal 1973 di salvare Venezia insieme alla Laguna e non contro La Laguna», ricordando comunque la necessità di una Valutazione d’impatto ambientale dell’intervento.
Rammarico per la sentenza del Tar anche da Guido Pollice, presidente di Verdi ambiente e Società, mentre Rifondazione Comunista, con il capogruppo a Ca’ Farsetti Pietrangelo Pettenò ribadisce: «Di questa giustizia avevamo poca fiducia, ma la battaglia contro il Mose ora deve diventare tutta politica, chiedendo il rispetto degli undici punti fissati dal Comitatone, a cominciare dai progetti
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LIDO. «Il Mose è un progetto da bocciare». Questo il parere di almeno 200 lidensi intervenuti mercoledì sera al Palazzo del Cinema all’assemblea contro la realizzazione delle dighe mobili con l’intento - da parte delle associazioni ambientaliste - di sensibilizzare la cittadinanza sui danni che il sistema di paratie provocherebbe all’ecosistema lagunare in vista della sentenza del Tar il 6 maggio.
Prossime tappe di questa campagna itinerante di conferenza saranno Mestre e la serata conclusiva il 5 maggio in centro storico. Durante la serata i tecnici e gli ingegneri dei gruppi organizzatori - Rocchetta e Dintorni e Murazzi e difesa del territorio - hanno focalizzato la loro attenzione su alcuni aspetti del Mose. L’impatto ambientale e estetico, la relativa efficacia delle paratie mobili, l’irreversibilità della costruzione, i costi esorbitanti dell’operazione, i tempi di realizzazione nonché quelli di funzionamento. Sono state poi presentate alcune soluzioni alternative già in uso con successo in alcuni paesi europei.
«C’è stata poca informazione reale sul progetto - dice l’igegner Fabio Cavolo - la gente non sapeva realmente cosa fosse il Mose, le sue dimensioni reali, i costi, i danni, le sue alternative. Il nostro intento dichiarato era quello di portare il maggior numero di informazioni possibili a disposizione della cittadinanza. Ora chi ci ha seguito potrà valutare meglio quello che sta succedendo».
Su tutti i temi trattati uno in particolare ha sollevato le maggiori critiche da parte della gente. La sparizione dell’oasi estiva del Bacàn come conseguenza dello scavo delle conche di navigazione. «Un’ipotesi catastrofica» è stato detto «per chi come i veneziani vive parte delle loro vacanze estive in quel piccolo angolo di pace alle bocche di porto». Grande interesse poi hanno suscitato le opere alternative. Ad esempio l’innalzamento del fondale delle bocche di porto, o ancora, la loro restrizione. Lavorando cioè dal punto di vista idraulico su una diminuzione dell’afflusso delle acque. «Sono opere - dice ancora Fabio Cavolo - che potrebbero portare a una diminuzione dei livelli di marea di almeno 15 centimetri, salvaguardando la città dalla maggior parte delle acque alte», Ma anche utilizzando sistemi di corpi morti affondati. «Tutte opere - insiste l’ingegnere - che avrebbero due pregi, di avere dei costi molto inferiori e di essere di natura reversibile».
Ora gli ambientalisti replicheranno. Mestre la prossima settimana e il 5 maggio a Venezia. Poi il giorno seguente la sentenza del delTar. «Aspettiamo con il fiato sospeso» dicono gli ambientalisti.
Che cos'è la Laguna di Venezia
Something about MoSE, in english
VENEZIA. Le vibrazioni puntualmente registrate sul rullo del Mareografo del Campanile di San Marco si impennano quando in Bacino passano le grandi navi da crociera, confermando le preoccupazioni del Quartiere di Castello e le proteste dei residenti della zona sugli effetti del passaggio delle grandi navi. E proprio agosto è uno dei mesi più a rischio, secondo le rilevazioni dell’Istituto Idrografico.
Un esempio per tutti: il 26 agosto di due anni fa, perché la situazione oggi, rispetto al passaggio delle navi da crociera, è esattamente la stessa. Il mareografo registra le oscillazioni di marea, ma funziona anche - in qualche modo - come un sismografo, registrando le vibrazioni sull’acqua. Dopo una notte senza registrare vibrazioni, la curva del mareografo comincia a vibrare verso le 5 del mattino, quando entra in Bacino, diretta verso la Marittima, la Splendid of the Seas, una delle navi da crociera che fanno rotta a Venezia.
Dopo un periodo di quiete, un’altra violenta increspatura verso le 8.30, quando a transitare per San Marco è la Costa Atlantica, in arrivo. Il tracciato del mareografo, quel giorno, resta abbastanza tormentato, ma si impenna bruscamente verso le 17, in concomitanza con la partenza della Rotterdam 6, per toccare poi il punto di maggiore oscillazione poco dopo le 18, quando è nuovamente la Costa Classica a partire dalla Marittima e ad attraversare maestosa per il bacino di San Marco, per regalare ai suoi passeggeri un’immagine da cartolina della Venezia monumentale.
Poi, le increspature del mareografo si placano, come le grandi navi che passano per l’area marciana. Ma il giorno dopo si ricomincia, con nuove oscillazioni sul tracciato. Quando? Intorno alle 8.30, quando a passare è la Costa Classica.
Una corrispondenza impressionante, nonostante solo pochi mesi fa i consulenti incaricati dal Porto di rispondere alle preoccupazioni dell’opinione pbblica sugli effetti del passaggio delle grandi navi, abbiano ribadito che, a loro avviso, «le navi da crociera da 60 mila tonnellate di stazza, secondo gli esperti idraulici, «generano un moto ondoso molto contenuto, che non si distingue dal cosiddetto rumore di fondo, cioè dalle onde provocate dalle altre barche che passano ogni giorno per il canale della Giudecca». Più della Mistral o della Princess, insomma, farebbero onde «le barche a motore, i mezzi Actv e quelli della polizia». Come spiegare, allora, quelle vibrazioni che il mareografo di San Marco registra al loro passaggio?
«E’ assurdo - spiega uno dei rappresentanti dell’Associazione Arco, che raccoglie i residenti di Castello orientale preoccupati per l’impatto delle grandi navi sulla zona - che solo per non privare i crocieristi del passaggio in bacino di San Marco, si creino seri fastidi a molti veneziani e si metta a rischio il suo patrimonio monumentale. Le navi da crociera potrebbero infatti passare tranquillamente per il canale dei Petroli, e lo dimostra il fatto che, per la festa del Redentore, per una delle navi della Costa crociere, questo è puntualmente avvenuto».
Le vibrazioni e le emissioni sonore dei motori continuano a preoccupare e la stessa Arpav - l’agenzia regionale per la protezione ambientale - ha riconosciuto l’incompatibilità dei livelli acustici e la stesso Commissioine Ambiente del Comune ha richiesto una Valutazione d’impatto ambientale. Un problema sempre aperto e sul quale anche il sindaco e commissario al traffico acqueo Paolo Costa ha promesso risposte
Venezia, 24 marzo 2005 - Ho letto con interesse la postilla alle notizie sulla ripresa degli scavi del Canale dei petroli. Sin dall'alluvione del 1966 fu indicato dalla Sezione veneziana di Italia Nostra come una delle cause del degrado lagunare. Studi successivi hanno rivelato che il canale Malamocco-Marghera ha generato danni irreversibili, provocando l’appiattimento dei fondali in tutta la Laguna sud, l’asportazione della terra dalle barene e dalle isole: in una parola, la distruzione della complessa e ricca morfologia caratteristica della Laguna, ragione principale della sua capacità di moderare le maree, di nutrire una flora e una fauna uniche al mondo, e di costruirne l’incomparabile paesaggio. È davvero stupefacente come nessuno si domandi da dove vengano i milioni di metri cubi di fanghi che ci si propone di dragare dal canale dei petroli! Sono esattamente il prodotto dell’aspirazione, da parte della depressione costituita dal canale, dei limi che costituiscono la vita stessa della Laguna.
Grazie della precisazione alla postilla. Negli ultimi 40 anni si sono imparate molte cose della Laguna. Purtroppo non le ha imparate chi governa la Regione e la Repubblica (e neppure tutti i governanti locali) Per troppi decisori la Laguna è un terreno incolto sul quale si possono montare tutti i caroselli e gettare tutti i rifiuti.