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Per ovvie esigenze redazionali La Nuova Venezia ha ridotto l’articolo dalle oltre 10mila battute originarie a circa 5mila. Inseriamo perciò anche il testo integrale, cortesemente trasmessoci dall’autore

Dando seguito alle raccomandazioni fatte qualche anno fa da alcuni cattedratici del settore marino offshore, il Comune ha commissionato uno studio volto ad analizzare il comportamento dinamico del progetto Mose (che contrasta la marea entrante con la spinta della paratoia inclinata verso la laguna). Lo studio è stato affidato alla Società francese Principia, uno dei leader mondiali nella modellazione e calcolo dinamico dei sistemi marini complessi in moto ondoso, studiosi recentemente contattati dallo stesso Consorzio Venezia Nuova per una consulenza. Sono state esaminate due frequenze del picco d’onda, dove si concentra la massima energia del mare irregolare. Con lo spettro di 8 sec la paratoia MoSE manifesta un comportamento caratterizzato da instabilità dinamica. La instabilità dinamica comporta una incontrollata amplificazione dell’oscillazione della paratoia che mette in discussione la efficacia stessa della barriera al contenimento della marea.

Nel caso di sistemi dinamicamente instabili al moto ondoso non è possibile identificare un dimensionamento attendibile delle strutture, delle cerniere e dei connettori. In tali condizioni non è neanche possibile utilizzare la sperimentazione in vasca su modelli in scala ridotta, come dicono gli esperti. I risultati dello studio sulla paratoia dimostrano che risulta instabile con mare irregolare e quindi confermano l’errore del Comitato Tecnico di Magistratura che ha approvato il progetto definitivo (8 novembre 2002). E contraddicono anche le conclusioni del Gruppo di lavoro che ha valutato negativamente le alternative al progetto Mose il 28 novembre 2006. Il progetto Mose prevede che la «parte femmina» delle cerniere resti al fondo, imbullonata al cassone di fondazione, per la vita dell’opera (100 anni). Allo stato dell’arte non si ha esperienza di una vita operativa così lunga per un organo meccanico sollecitato come questo e istallato sott’acqua. E oggi c’è la certezza che la paratoia Mose è instabile.

Il giorno dell’approvazione del progetto Mose in Commissione di Salvaguardia (20.1. 2004) in rappresentanza del Ministero dell’Ambiente ho inutilmente illustrato i problemi di inaffidabilità del progetto depositando agli atti dodici documenti che documentavano la «inaffidabilità della gestione delle paratoie» e la inaffidabilità del funzionamento del sistema di paratoie e la possibilità del fenomeno di entrata in risonanza delle paratoie. Ricordo inoltre che, nelle riunioni svoltesi a palazzo Chigi nel novembre 2006 per la verifica del progetto Mose e dei progetti alternativi, il Comune di Venezia presentò un dossier in undici punti sugli «Aspetti critici strutturali del Mose»; in particolare il primo punto era relativo alla «Instabilità intrinseca del Mose» e il secondo alla «Criticità dei connettori».

In quella occasione fui incaricato di presentare il documento ufficiale del ministero dell’Ambiente che in particolare recita quanto segue: «Valutazione dei progetti alternativi:...A.r.c.a. (cassoni autoaffondanti). Il progetto risulta particolarmente interessante perché permette di evitare quasi completamente gli impatti ambientali e paesaggistici...i criteri base sono la sperimentalità, la gradualità e la reversibilità. Analoghe valutazioni positive sono state date dalle Soprintendenze e dalla Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici sulla Paratoia a gravità, che funziona con la forza di gravità del peso proprio a differenza del Mose, e richiede pertanto struttura delle paratoie, basi di alloggiamento e impianti molto meno impegnativi. Di queste problematiche si è impedita la verifica.

Questi aspetti dovrebbero essere posti al centro di una revisione del Progetto che però non può essere fatta dalle stesse persone e strutture che hanno fino ad oggi già approvato più volte il Progetto Mose. Occorre individuare un gruppo di esperti estremamente competenti in tecnologie off shore in posizione terza per poter valutare in termini scientifici e tecnici posizioni molto diversificate e su taluni aspetti contrapposte. Il ministero dell’Ambiente è della convinzione che prima di procedere alla fase esecutiva il Progetto di Salvaguardia di Venezia e della sua Laguna debba essere adeguatamente modificato. Appare infatti auspicabile l’elaborazione di una radicale variante al progetto definitivo che recepisca compiutamente le indicazioni della deliberazione assunta dal Consiglio dei Ministri del 15.3.2001.

E come prescriveva il ministero dell’Ambiente «è indispensabile riesaminare il progetto Mose dal punto di vista strutturale, funzionale e gestionale».

In quella occasione il governo Prodi non ascoltò i rilievi critici e le alternative. Ora si dispone di un nuovo autorevole studio che conferma e ulteriormente approfondisce e dimostra la gravità delle criticità del progetto Mose. Il nuovo governo, con visione lungimirante e strategica, saprà assumere decisioni adeguate e intervenire per raddrizzare la barra di questa navigazione a vista prima di finire sulle secche o peggio sulle scogliere?

Il testo integrale dell’articolo

Nel 2005-2006 il Comune di Venezia ha effettuato una valutazione del MoSE e dei progetti alternativi e i risultati avevano evidenziato aspetti critici strutturali del MoSE. Dando seguito alle raccomandazioni fatte in quella occasione da alcuni cattedratici del settore marino offshore, il Comune ha commissionato uno studio volto ad analizzare il comportamento dinamico del progetto MoSE (che contrasta la marea entrante con la spinta della paratoia inclinata verso la laguna)e per confronto anche quello del progetto “Paratoia a gravità” (che agisce grazie al solo peso della paratoia inclinata verso il mare). Lo studio è stato affidato alla Società francese Principia, uno dei leader mondiali nella modellazione e calcolo dinamico dei sistemi marini complessi in moto ondoso, studiosi recentemente contattati dallo stesso Consorzio Venezia Nuova per una consulenza.

Il documento descrive la metodologia, le assunzioni numeriche e gli strumenti usati per le analisi, che rappresentano lo stato dell’arte più avanzato nella modellazione idrodinamica e nell’interazione tra più corpi in moto ondoso. Sono state esaminate due frequenze del picco d’onda, dove si concentra la massima energia del mare irregolare. Con lo spettro di 8 sec la paratoia MoSE manifesta un comportamento caratterizzato da instabilità dinamica. Lo studio ha dimostrato che la instabilità inizia con condizioni che hanno una probabilità di verificarsi molto alta, che si sono già verificate due volte nei 4 anni di registrazione dei parametri d’onda.

La instabilità dinamica comporta una incontrollata amplificazione dell’oscillazione della paratoia ed una “risposta caotica con elevata amplificazione dinamica” che mette in discussione la efficacia stessa della barriera al contenimento della marea. Nel caso di sistemi dinamicamente instabili al moto ondoso non è possibile identificare un dimensionamento attendibile delle strutture, delle cerniere e dei connettori. In tali condizioni non è neanche possibile utilizzare la sperimentazione in vasca su modelli in scala ridotta che, data l’impossibilità di modellare correttamente gli effetti viscosi, non consente un trasferimento diretto dei dati misurati al sistema vero in scala reale (aspetto evidenziato anche dagli Esperti internazionali che esaminarono il progetto di massima del MoSE).

L’analisi della schiera di paratoie, effettuata tenendo conto di una differenza di 2 metri tra i livelli mare-laguna. ha dimostrato che l’interazione idrodinamica tra le 20 paratoie ha una notevole influenza sui moti relativi tra paratoie adiacenti.

In conclusione dallo studio risulta che:

- il sistema instabile (MoSE) non può essere analizzato neppure con i software di simulazioni più avanzati esistenti e non è possibile ottenere risultati affidabili per un progetto corretto;

- la paratoia MoSE richiede un sistema di controllo attivo continuo dell’acqua di zavorra.

I risultati dello studio sulla paratoia isolata del MoSE dimostrano che risulta instabile con mare irregolare e quindi confermano l’errore del Comitato tecnico di magistratura che ha approvato il progetto definitivo (8 novembre 2002) quando afferma che “ la instabilità dinamica viene introdotta dalla schiera di paratoie e si verifica solo con onde regolari e non si ha con il mare irregolare”. E contraddicono anche le conclusioni del Gruppo di lavoro che ha valutato negativamente le alternative al progetto MoSE (Relazione del 28 novembre 2006) e che il giorno dopo nella veste di Comitato tecnico di magistratura ha approvato la sua stessa relazione.

Si consideri in particolare che:

- lo studio fatto ha dimostrato rilevanti criticità funzionali della paratoia MoSE, anche con condizioni di mare relativamente ricorrenti: ci si chiede con quali criteri e con quali carichi sono state dimensionate queste cerniere.

- il progetto MoSE prevede che la “parte femmina” delle cerniere resti al fondo, imbullonata al cassone di fondazione, per la vita dell’opera (100 anni); allo stato dell’arte non si ha esperienza di una vita operativa così lunga per un organo meccanico sollecitato come questo ed istallato sott’acqua; deve garantire che non si verifichino nel tempo delle vie d’acqua che porterebbero all’allagamento del tunnel sottostante;

- a suo tempo si era da più parti espressa pubblicamente la necessità che un componente così essenziale e critico come i connettori del Mose fosse opportunamente progettato, collaudato e qualificato per l’uso prima di dare inizio al progetto esecutivo ed alla costruzione dell’opera; oggi c’è la certezza che la paratoia MoSE è instabile. Le normali tecniche di progettazione non permettono di definire i carichi trasmessi alla base di fondazione per mezzo delle cerniere e quindi i carichi di progetto. Per un motivo molto semplice: nessuno progetta un sistema instabile. Allorquando si individua che un sistema è instabile il progettista ne cambia le caratteristiche perché diventi stabile.

Giunti a questo punto di consapevolezza, devo ricordare che il giorno dell’approvazione del progetto MoSE in Commissione di salvaguardia (20.1. 2004) in rappresentanza del ministero dell’Ambiente ho inutilmente illustrato i problemi di inaffidabilità del progetto depositando agli atti dodici documenti tra cui in particolare tre che documentavano la “Inaffidabilità della gestione delle paratoie” (rapporto del CNR italiano e CNRS francese), la “Inaffidabilità del funzionamento del sistema di paratoie” e la possibilità del fenomeno di entrata in risonanza delle paratoie (relazione e lettera dell’ing. Di Tella inviate al Magistrato alle acque e alla Commissione di salvaguardia); criticità già inutilmente da me contestate all’ing. Scotti (progettista del MoSE) in sede di sotto-Commissione di salvaguardia.

Ricordo inoltre che, nelle riunioni svoltesi presso il governo a Roma (a palazzo Chigi) nel novembre 2006 per la verifica del progetto MoSE e dei progetti alternativi, il Comune di Venezia presentò, tra gli altri documenti, un dossier in undici punti relativi agli “Aspetti critici strutturali del MoSE”; in particolare il primo punto era relativo alla “Instabilità intrinseca del MoSE” e il secondo alla “Criticità dei connettori”.

In quella occasione fui incaricato di presentare il documento ufficiale del Ministero dell’Ambiente che in particolare recita quanto segue.

“Valutazione dei progetti alternativi:

A.R.C.A. (cassoni autoaffondanti). Il progetto risulta particolarmente interessante perché permette di evitare quasi completamente gli impatti ambientali e paesaggistici…i criteri base sono la sperimentalità, la gradualità e la reversibilità (come da prescrizione di legge speciale) e la stagionalità (i cassoni si installano a settembre e si rimuovono a marzo) … analoghe valutazioni positive sono state date dalle Soprintendenze e dalla Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici’.

Paratoia a gravità. Il progetto prevede un tipo di paratoie ‘intrinsecamente stabili’ che funziona con la forza di gravità del peso proprio (funzionamento diverso da quelle del MoSE ‘intrinsecamente instabili’ che agiscono per spinta creata di momento in momento dagli impianti) e richiedono pertanto struttura delle paratoie, basi di alloggiamento e impianti molto meno impegnativi. La Sovrintendenza per i Beni Archeologici ritiene il progetto decisamente poco impattante e particolarmente flessibile, permette di seguire in modo quasi perfetto l’attuale profilo dei fondali con la riduzione drastica dei volumi di dragaggio previsti dal MoSE”.

“Relativamente al progetto MoSE e alle criticità irrisolte:

“Queste problematiche, in parte aggiuntive a quelle che hanno portato, nel 1998, alla Valutazione di impatto ambientale negativa, sono state formalmente poste dal rappresentante di questo Ministero nella Commissione di salvaguardia nel gennaio 2004 ma se ne è impedita la verifica rinviando ad una risposta scritta (dopo la votazione) da parte del Presidente del Magistrato alle Acque (ing. Piva) che non è mai pervenuta. Sono documentati e depositati agli atti della Commissione i quesiti relativi al …funzionamento e inaffidabilità tecniche del sistema di paratoie … inaffidabilità della gestione delle paratoie.

“Questi aspetti dovrebbero essere posti al centro di una revisione davvero competente del progetto in quanto investono problemi strutturali altamente specialistici. Come richiesto dal Comune questa revisione non può però essere fatta dalle stesse persone e strutture che hanno fino ad oggi già approvato più volte il Progetto MoSE. Occorre individuare un gruppo di esperti estremamente competenti in tecnologie off shore in posizione “terza” per poter valutare in termini scientifici e tecnici posizioni molto diversificate e su taluni aspetti contrapposte.

“Il Ministero dell’Ambiente è della convinzione che prima di procedere alla fase esecutiva il Progetto di Salvaguardia di Venezia e della sua Laguna debba essere adeguatamente modificato.

“Appare infatti auspicabile l’elaborazione di una radicale variante al progetto definitivo che recepisca compiutamente le indicazioni della deliberazione assunta dal Consiglio dei Ministri del 15.3.2001 e sia adeguato ai criteri di gradualità e reversibilità ed in grado si affrontare i problemi lagunari in una ottica di stagionalità.

“In relazione alle competenze di questo Ministero, i riscontri di cui sopra relativi all’avanzamento dei cantieri, appaiono di tutta gravità dal punto di vista contabile, della legittimità delle autorizzazioni e del danno ambientale.

“Nel cercare soluzioni più idonee a rispondere alla compatibilità ed alla funzionalità per la salvaguardia di Venezia è indispensabile riesaminare il progetto Mo.S.E. dal punto di vista strutturale, funzionale e gestionale in quanto non vi sono certezze dimostrate innanzitutto in termini di funzionalità, affidabilità, gestibilità nel tempo”.

In quella occasione il governo Prodi non ascoltò i rilievi critici e le proposte alternative. Ora si dispone di un nuovo autorevolissimo studio che conferma e ulteriormente approfondisce e dimostra la gravità delle criticità del progetto MoSE. Il nuovo Governo, con visione lungimirante e strategica, saprà assumere decisioni adeguate ai problemi rilevati e intervenire per raddrizzare la barra di questa navigazione “a vista” prima di finire sulle secche o peggio sulle scogliere

Quanto costa il monopolio? In tempi di tagli ai finanziamenti e di scarse risorse per gli enti locali, si fanno i conti in tasca al Consorzio Venezia Nuova. Pool di imprese che ha dal 1984 la concessione unica delle opere di salvaguardia. E i finanziamenti garantiti dallo Stato per la realizzazione del Mose e di altri interventi in laguna come i marginamenti, le barene, gli scavi dei canali industriali, le nuove rive delle Zattere, Giudecca, Fondamente Nuove. Rilievi che animano la polemica politica di fine luglio. Ma che sono scritti nero su bianco sulla recente ordinanza della Corte dei Conti sullo stato di avanzamento dei lavori in laguna. La relazione finale firmata da Antonio Mezzera e dal presidente nazionale della Corte Tullio Lazzaro, avanza pesanti rilievi sulla gestione della salvaguardia. E soprattutto sui costi lievitati, su consulenze e collaudi affidati «con scarsa trasparenza e un rapporto sbilanciato a favore del concessionario».

Mose. Il costo della grande opera, scrivono i giudici contabili, è passato da 2700 milioni di euro a 4271, adesso il «prezzo chiuso» è stato aggiornato a 4 miliardi e 700 milioni. Dei costi originari circa la metà (1200 milioni su 2700) se ne vanno in «oneri tecnici e per il concessionario, somme a disposizione e Iva».

Gli oneri. Da sempre tutti i lavori affidati al Consorzio Venezia Nuova costano il 12 per cento in più. Gli «oneri del concessionario» consentono di mantenere la struttura organizzativa e comunicativa del Consorzio Venezia Nuova. «Ingenti appaiono gli oneri di concessione», scrivono ancora i giudici nella loro ordinanza. E aggiungono: «Alcune di tali risorse si sarebbero potute utilizzare per il rafforzamento dell’apparato amministrativo pubblico». Una percentuale, il 12 per cento, che era stata ridotta qualche anno fa dall’allora presidente del Magistrato alle Acque Felice Setaro al 10.

Gli appalti. Per il particolare status di concessionario unico il Consorzio non ha bisogno di indire gare d’appalto per l’affidamento dei lavori. Che vengono assegnati quasi sempre alle imprese che compongono il pool, a conminciare dall’azionista di maggioranza Mantovani spa. Un altro punto che fa lievitere i costi. Non si applica infatti ai lavori la procedura del massimo ribasso, come invece succede per gli interventi di restauro appaltati da Comune o da Insula, la società di manutenzione di Ca’ Farsetti. E secondo l’Ance la media dei ribassi si aggira intorno al 15-20 per cento del valore dell’appalto.

I costi. E’ il punto finito nel mirino dei giudici contabili. Che hanno messo sotto accusa proprio la procedura della concessione unica, abolita dalle leggi europee e nazionali ma rimasta in essere per il Mose. «Sotto il profilo dell’economicità dell’agire amministrativo», scrivono nell’ordinanza, «suscita perplessità che la determinazione delle voci di costo e dell’elenco prezzi sia stata rimessa al concessionario».

I poteri. Polemica rilanciata in questi giorni dall’economista Giavazzi. «Chi comanda in città è chi ha i soldi, cioè il Consorzio Venezia Nuova», ha detto. Polemica a cui se ne aggiunge un’altra. In periodo di carenza di fondi, con il Comune costretto a chiudere i suoi cantieri perché i finanziamenti non arrivano, si riapre il dibattito sui costi del Mose. «La situazione di monopolio ha portato al lievitare dei costi e la mancanza di alternative non ha consentito di studiare soluzioni più economiche.

«Di questo la politica si deve occupare», dice il senatore del Pd Felice Casson, che da pm aveva avviato numerose inchieste proprio sul monopolio della salvaguardia in laguna.

Postilla

Questi sono i maggiori costi che si valutano per la sciagurata decisione, presa da Franco Nicolazzi, ministro per i Lavori pubblici, venticinque anni fa (e confermata da Antonio Di Pietro, Paolo Costa, Romano Prodi, Silvio Berlusconi) di assegnare a un consorzio di imprese private gli studi, le sperimentazioni, la progettazione e l’esecuzione delle opere nella Laguna. Ma nessuno mette in conto i costi giganteschi che si dovranno pagare (e che pagheremo noi e i nostri posteri) per la gestione manutenzione del complicatissimo sistema, se mai dovesse entrare in funzione. E neppure quelli, che pagherà l’intera umanità, per la distruzione di quell’ecosistema, assolutamente unico al mondo, costituito dalla Laguna di Venezia.

Infine, come non indignarsi se si considera che il Comune di Venezia, che si lamenta di non avere le risorse per i restauri degli edifici, ha investito i finanziamenti della legge speciale per Venezia nella costruzione dell’inutile ponte di Calatrava? Se ne stima il prezzo in 15 milioni di euro.

Si legga l’articolo di Luigi Scano su La nascita e i primi anni del Consorzio Venezia Nuova. Per approfondire, il suo libroVenezia. Terra e acqua, Corte del fòntego editore, Venezia 2009.

Un grande business. Che potrebbe avere come contropartita la rottura definitiva dell’equilibrio lagunare. La nuova frontiera per la «Venezia del futuro» riguarda i fondali, quote e i canali di accesso al porto. Una disputa sulle profondità che torna in questi giorni alla ribalta. «Scavare i fondali a quote troppo elevate è la prima causa dell’aumento delle acque alte, dell’erosione delle barene e dunque della scomparsa della laguna», ripeteva lo scomparso Pino Rosa Salva, protagonista delle battaglie per la salvaguardia di Venezia e presidente di Italia Nostra. Parola d’ordine rilanciata anche dalle associazioni e dal ministero per l’Ambiente. Il nuovo obiettivo, annunciato sabato mattina a Fusina dal presidente del Porto Paolo Costa, è quello di scavare il canale dei Petroli fino a 14 metri, il resto del canale Malamocco Marghera a quota -12. «Non avrebbe alcun effetto idraulico indesiderato», assicura Costa, «e ci consentirebbe di portare in laguna le navi oceaniche di ultima generazione». Linea condivisa anche dal Pdl veneziano che propone di realizzare un nuovo porto commerciale a San Leonardo. E la polemica infuria, non solo da parte ambientalista.

Meno 11. Il commissario straordinario per i fanghi Roberto Casarin ha illustrato ieri tre anni di interventi per scavare il canale - che si interra ogni anno essendo artificiale - fino alla quota di meno undici metri. E’ questa secondo lui la quota massima possibile, come del resto autorizzato dalla commissione di Salvaguardia due anni fa.

I fanghi. Un metro in più di profondità nel canale di Marghera significa almeno un milione di metri cubi di fanghi. Un problema quasi irrisolvibile la loro collocazione - oltre alla spesa - visto che la laguna è ormai satura e per stoccare i fanghi è stata utilizzata l’isola delle Tresse, e poi il Molo Sali e adesso l’area dei Moranzani.

Il Prg del porto. Nonostante il Palav preveda il suo adeguamento dal 1995, il Prg portuale è rimasto quello del 1963, a dispetto della Legge speciale che prevede tra l’altro il mai attuato estromissione del traffico delle petroliere dalla laguna.

Le grandi navi. Studi e pronunciamenti di Comune e ministero per l’Ambiente prevedono che la bocca di Lido sia portata a 9 metri di profondità, Malamocco a 12. Invece adesso si scava fuori del Lido fino a meno 12 per garantire l’accesso anche alle navi da crociera di enorme generazione. A Malamocco il Mose sarà fissato a meno 14, così come la conca di navigazione e si vuole portare anche il canale dei Petroli a meno 14 (oggi è a 13, con buche più profonde), nonostante vi sia un progetto del Magistrato alle Acque per ridurne la profindità.

L’idraulica. Dei progetti del Comune per il rialzo dei fondali per limitare il numero di acque alte non si parla più. «Si affrontano solo gli effetti delle acque alte con opere inutili come il Mose», scrive Italia Nostra, «ma non si affrontano le cause. E la prima di queste è lo scavo dei canali, che aumenta i volumi scambiati tra mare e laguna». Il dibattito è aperto.

Postilla

Dietro c’è una strategia infame. Approfondiscono i canali, così entra più acqua marina, c’è più spesso acqua alta in città, e i mass media aiutano a consolidare la sensazione (errata) che il Mose è indispensabile per “salvare la città”. Contemporaneamente, consolidano l’abnorme passaggio delle “le navi oceaniche di ultima generazione” - dei transatlantici per turisti - così aumento la commercializzazione della città. E magari provano a vendere i fanghi, che non so come mettere, come “materie prime seconde” per costruire qualche isola artiificiale sulla quale – magari – realizzare qualche albergo di lusso.

La relazione della Sezione Centrale di controllo della Corte dei Conti sulla gestione delle amministrazioni potrebbe aprire finalmente una nuova stagione per quanto riguarda i problemi della Laguna di Venezia e della sua salvaguardia. La scrupolosa analisi compiuta mette in evidenza una serie di gravi problemi che da oltre un ventennio accompagnano i lavori di costruzione delle dighe mobili che sarebbero destinate a difendere Venezia dalle acque alte.

L’immagine che ne esce è di assoluta evidenza e estremamente preoccupante. In oltre cento pagine si segnalano i costi crescenti, l’assenza di una valutazione di impatto ambientale positiva, la sostanziale mancanza di un vero progetto esecutivo nonostante la massa di denari già spesi e i molti pesanti interventi già compiuti, il tutto accompagnato da "compensi inusuali". Si evidenzia altresì l’inosservanza dei principi relativi alla "parità di trattamento e trasparenza" per un’opera tra le più impegnative in corso nel Paese.

Il monopolio del Consorzio Venezia Nuova protrattosi per un ventennio viene finalmente denunciato in tutta la sua gravità, con le conseguenze avute (e che ancora permangono) quanto a mancanza di concorrenzialità e di confronto di idee e progetti alternativi.

Naturalmente tutto ciò comporta la contestabilità di quanto operato da organi dello Stato italiano, committente e quindi primo responsabile delle scelte compiute: a livello governativo e attraverso il suo organo periferico, il Magistrato alle Acque. Per tutto quanto finalmente chiarito, Italia Nostra deve essere grata una volta di più alla Magistratura e a quei suoi componenti che spesso appaiono come ultimo riferimento possibile per drammatiche questioni di salvaguardia del patrimonio culturale.

Nel contempo Italia Nostra deve ricordare con forte rammarico che quanto oggi evidenziato dalla relazione della Corte dei Conti corrisponde a ciò che la nostra associazione segnala da oltre vent’anni con denunce, interventi e ricorsi a livello locale, nazionale ed europeo. In questa prospettiva è magra consolazione che la ragionevolezza di tante delle nostre critiche, non volute ascoltare, venga ora confermata ad altissimo livello.

Rimane poi aperta (ma anche questo è evidenziato dalla relazione della Corte dei Conti) la questione dell’utilità degli enormi e costosissimi interventi, la cui efficacia potrà essere paradossalmente valutata soltanto dopo la loro conclusione. Per il momento l’unica certezza è la irreparabile alterazione già compiuta a danno della realtà lagunare.

Italia Nostra – Sede nazionale

Italia Nostra – Sezione di Venezia

Roma-Venezia, 28 febbraio 2009

Un regime di monopolio che dura da oltre vent’anni, in contrasto con le norme comunitarie. Costi lievitati e ritardi accumulati. Incarichi e collaudi affidati con «scarsa trasparenza», controlli non sufficienti esercitati dalla Pubblica amministrazione. Un duro atto di accusa quello pubblicato ieri dalla sezione centrale di controllo della Corte dei Conti. Che se non fermerà il Mose mette nero su bianco dubbi e critiche fino ad oggi sempre respinti dal Magistrato alle Acque e dal suo concessionario Consorzio Venezia Nuova. E potrebbe influire sul proseguimento dei lavori e sulla gestione dell’opera. Perché risulta ormai indifferibile, scrivono i giudici, «aprire il mercato alla concorrenza».

La sentenza. Un’ordinanza di cinquanta pagine, corredata da centinaia di note a margine, firmato dal magistrato istruttore Antonio Mezzera e dal presidente nazionale Tullio Lazzaro. Ci sono voluti quattro mesi per dare il via libera a un prvvedimento istruttorio concluso con l’udienza del 23 ottobre scorso. Qualche modifica al testo è stata effettuata in Camera di Consiglio, e - caso inusuale - l’indagine «avocata» a sè dal presidente in persona. «E’ un caso molto delicato», aveva detto Lazzaro. Adesso il provvedimento è pubblico. Gli atti sono stati inviati a Magistrato alle Acque, Regione e Comuni interessati. Che hanno trenta giorni di tempo per motivare alla Corte l’eventuale «non ottemperenza» ai rilievi contestati. Entro sei mesi gli enti dovranno poi comunicare alla Corte e al Parlamento le misure adottate. E la sentenza sarà inviata alla Procura regionale per eventuali provvedimenti sul possibile danno erariale.

Monopolio. «L’affidamento a trattativa privata senza gara pubblica e l’assenza di un confronto tecnico ed economico tra diverse soluzioni progettuali», si legge nell’o rdinanza, «ha reso impossibile mettere a confronto soluzioni alternative, con la maggior parte degli studi e delle ricerche affidati al concessionario. L’obbligo derivante dalle direttive comunitarie del rispetto dei principi di parità di trattamento e trasparenza che si realizza con gare pubbliche non risulta ancora osservato».

I costi. In 25 anni i costi dell’opera sono passati da da 1540 a 4271 milioni di euro. «Si sono incrementati», recita il provvedimento, «per per una serie di cause come le continue rimodulazioni, l’introduzione di nuove opere, indeterminatezza progettuale. Un rischio di spesa ancora presente, aggravato dal sistema dei mutui». Anche i costi di manutenzione e gestione, scrivono i magistrati, «potrebbero risultare superiori alle stime».

La concessione. La Corte dei Conti aveva ritenuto nel 1983 «illegittima» la convenzione firmata dallo Stato con il Consorzio Venezia Nuova perché in contrasto con le norme europee. Ma un anno dopo era arrivata la legge 798, e l’incarico era stato affidato. «Gli oneri di concessione», recita l’ordinanza, «appaiono ingenti (il 12% contro il 10 fissato come tetto massimo dalla legge del 1989). Risorse che si sarebbero potute utilizzare per il rafforzamento dell’apparato amministrativo del concedente». Negli anni il concessionario è venuto meno alle sue funzioni di controllo.

I collaudi. Altro punto nero dell’attività di salvaguardia di questi anni, secondo i giudici contabili, riguarda i collaudi, milioni di euro dispensati a consulenti esterni. «Per questi e per le direzioni dei lavori si chiede maggiore trasparenza, e si impone una rigorosa attività di controllo al fine di di riequilibrare un rapporto sbilanciato a favore del concessionario».

Impatto ambientale. «Un’opera di tale rilevanza e impatto», recita l’ordinanza, «ubicata in un contesto di enorme delicatezza e di eccezionale complessità risulta priva di una Valutazione di impatto ambientale positiva». Un punto in favore degli ambientalisti e dei ricorsi presentati negli anni da Comune e ministero per l’Ambiente.



Progetto a stralci. Critica finale: manca un progetto esecutivo generale. Causa di «polemiche e aumenti dei costi».

L'inchiesta sul Mose scotta, meglio affidarla al presidente. Ma la sentenza della Corte dei Conti con i rilievi contabili sulla grande opera idraulica è nel cassetto da ottobre. "Molto singolare", dice il responsabile dell'Ufficio legale del Wwf Italia Stefano Lenzi, "su questa vicenda bisogna fare chiarezza". Succede che il presidente della Corte dei Conti Tullio Lazzaro, con procedura piuttosto inusuale, ha avocato a sé la firma del procedimento intentato dalla Corte dei conti sulle procedure contabili del progetto Mose. Istruttoria avviata due anni fa dal magistrato Antonio Mezzera, che aveva inviato al Consorzio Venezia Nuova e al Magistrato alle Acque 57 contestazioni formali. Sui costi, lievitati dai 1.540 milioni di euro del progetto di massima ai 4.271 milioni di oggi. Sull'indennità spettante al concessionario, il 12 per cento (invece del 10 fissato come tetto dalla legge 183 del 1989). Sui controlli e il mancato esame delle alternative proposte dal Comune di Venezia. Indagine complicata, ci vuole tempo, ma è questione di giorni, dice Lazzaro, che intanto ha firmato con il governo protocolli di intesa sul controllo delle opere pubbliche. Il senatore del Pd Felice Casson ha presentato una interrogazione al premier Berlusconi. "Troppi poteri al presidente", dice, "così i controlli sulla spesa pubblica non si faranno più".

Si parlava d’acqua, di acque alte, di grandi progetti, di immensi cantieri, di spese anche più grandi, e si è finiti a parlar d’uccelli. Capita che si divaghi. Per esempio, Al Capone lo hanno beccato, negli Stati Uniti, non perché aveva rubato o ucciso ma perché non aveva pagato le tasse. Così, a Venezia, mentre sembra che nulla e nessuno possa mettere i bastoni tra le ruote alla costruzione del semibiblico «Mose» contro le acque alte, ecco che si attende trepidi il responso di una commissione europea invitata a pronunciarsi sul tema: tutto quel baccano che stanno facendo per il Mose alle bocche di porto della laguna veneta sta davvero sballando le consuetudini degli uccelli del luogo o di quelli semplicemente in transito? Sembra una barzelletta, ma non lo è; lo ha capito perfino il ministro Brunetta che si è sentito in obbligo di scrivere una lettera a un quotidiano per dire che questa storia degli uccelli sfrattati gli sembra una battuta che non fa ridere. E che, ovviamente, è in gioco ben di più; quindi, si facessero da parte con queste obiezioni i nemici del Mose, i guastatori, quelli del partito del «no», alla salvaguardia della Serenissima ci pensano loro, quelli del «sì». Filerebbe, se in quella «fastidiosa» barricata di «resistenti» non fosse possibile riconoscere: il sindaco, Massimo Cacciari, la giunta, la maggioranza di centrosinistra, tutte le organizzazioni ambientaliste, una serie di autorevoli scienziati, i «no global», una buona parte della popolazione ancora sensibile ai problemi di un territorio che non si esaurisce tra i marmi di piazza San Marco e un pugno di botteghe.

Brunetta e i suoi colleghi di governo se la prendono con questo fronte, lo incalzano; in realtà si divertono a sparare sulla Croce Rossa: è il fronte che ha perso la partita, i giochi per loro sono chiusi, una stagione se n’è andata, le cose marciano in direzione contraria ai desideri di una cultura oggi perdente ma antica e degna.

Il sindaco, per esempio, sembra furibondo: «Sono stato sconfitto», sentenzia Cacciari fuori da ogni garbo politico. E spiega perché: «Bisognava affrontare la questione con una logica di sistema che prevedesse anche degli interventi alle bocche di porto, non solo quelli. Invece, si è data priorità assoluta a quel provvedimento di difesa. Ci siamo battuti affinché qualunque cosa messa in opera in laguna fosse sottoposta ai criteri di sperimentalità e di reversibilità. Niente da fare». E adesso che si fa? «Per quanto mi riguarda, stando così le cose, sono il primo a volere che il Mose sia fatto presto».

Lo si capisce. Però su questi temi eccoci di fronte a un paio di eventi che in qualche modo marcano un’epoca: la vicenda veneziana dimostra da un lato come oggi l’autonomia locale conti meno di zero anche quando si debba definire l’assetto territoriale, la sua difesa, lo sviluppo. In secondo luogo, la sconfitta di cui parla Cacciari è prima di tutto culturale e dice molto di quali siano i pensieri guida di questa Italia: non è più il tempo dell’approccio organico ai problemi, passino invece gli interventi e i rimedi a colpi di scure, quelli che tagliano la testa al toro. Riduzionismo e spettacolarizzazione, anche qui al potere, «con il contributo di destra e sinistra - commenta il sindaco - nel quadro di un imbarbarimento totale della dimensione della politica». Cacciari, ma non solo lui a Venezia, non dimentica che è stato proprio un governo di centrosinistra, e in particolare Antonio Di Pietro, allora ministro ai Lavori Pubblici, a dare la stura definitiva al Mose e alla contestata procedura del «taglione»: c’è l’acqua alta? Chiudi le bocche di porto e fregatene dell’ecosistema squilibrato e sempre meno in grado di tamponare da sé il fenomeno.

C’è chi, pur sullo stesso fronte, lamenta che il Comune di Venezia si sia mosso tardi sulla questione. È il professor Gherardo Ortalli, di Italia Nostra, molto ascoltato in città. «Non siamo cassandre: cerchiamo solo di recuperare ragionevolezza al corso delle cose. Quello che la costruzione del Mose ha fin qui prodotto è un’alterazione fortissima dell’equilibrio della laguna. Stiamo marciando a tappe forzate verso l’artificializzazione di ogni soluzione, molto costosa e molto irreversibile. Mentre lo Stato si ritira dalle sue prerogative, il Consorzio amministra un monopolio e nessuno e niente è in grado di dire se quello che sta facendo è giusto o sbagliato».

Allora, sentiamo il Consorzio, mano e mente del progetto, ma qui ti rispondono che il solo soggetto in grado di dare risposte autorevoli è il Magistrato alle acque. Istituto antico, un tempo potentissimo, ora meno, emanazione dello Stato, da poco diretto da Patrizio Cuccioletta mandato in laguna dal ministro Matteoli. Qualche settimana fa, in un’intervista rilasciata ad Alberto Vitucci della Nuova Venezia, Cuccioletta aveva affermato e non aveva poi smentito che «un monitoraggio oggi non avrebbe senso, le opere ancora non ci sono». Monitoraggio sta per controllo continuo. Ora, invece, ci ha detto che si seguono con attenzione gli effetti delle opere del Mose sull’ecosistema ma tuttavia, per quanto riguarda la variazione della velocità delle correnti sostiene che «bisognerà vedere cosa accade a lavori finiti».

La velocità delle correnti è fondamentale: scavano il fango e lo portano via, possono rendere impossibile la navigazione, decidono in quanto tempo la laguna può riempirsi d’acqua, decidono in pratica se la città va sotto. Auguri. Il Magistrato alle Acque è un entusiasta: «Da fuori ci ammirano per quello che stiamo facendo, le obiezioni appartengono a un dibattito francamente provinciale». Ah sì? E il fatto che esista ancora un Canale dei Petroli che con le sue profondità e la sua linearità sta spianando la laguna centrale mentre si chiudono le bocche di porto? «È vero, ma è un altro problema».

Magari lo fosse. Intanto, alle bocche di porto il cemento si sostituisce alle barene, crescono muraglioni impressionanti e piattaforme che devastano l’ordine naturale delle cose. E gli uccelli se ne vanno altrove.

L’EQUILIBRIO DELLA LAGUNA

CHE CHI TOCCA MUORE

L’accusa alle aziende di Marghera: hanno sottratto milioni di tonnellate di acqua sotto la piattaforma su cui poggia Venezia provocandone l’abbassamento. Poi è stato scavato il canale dei petroli, una specie di aspira-tutto gigante che sta livellando la laguna centrale

Conviene riepilogare, sennò non si capisce niente di questa matassa. Cominciando dalla laguna, che non è un catino pieno d’acqua, ma un sistema molto complesso in perenne movimento, elastico, come una spugna, e come una spugna ricco - sempre meno da qualche decennio a questa parte - di resistenze interne (bassi fondali, velme, barene, canali tortuosi) che frenano la velocità dell’acqua che penetra in laguna dall’alto Adriatico.

L’acqua alta non è che un fenomeno socialmente rilevante giusto a Venezia, strana città che se ne sta da millenni nell’unica laguna urbanizzata della terra. La laguna, tutte le lagune, vanno in una direzione: sono destinate a interrarsi. Il corso d’acqua dolce che le ha create, col tempo le cancella e le copre di terra. Così i veneziani di un tempo, approfittando dell’assenza di Brunetta, decisero di deviare dalla laguna la foce del fiume Brenta per impedire proprio questa sorte naturale. Ma, tolto di mezzo il fiume, ecco che il destino della laguna si inclina in senso opposto: senza apporto continuo di sabbia, governa l’erosione progressiva di quel sistema di resistenze alle escursioni di marea, e di conseguenza tende a trasformarsi in un braccio di mare. Questo è il pendolo naturale delle cose.

È importante saperlo, perché questa consapevolezza è stata, con successo, il fondamento dell’azione politica sul territorio della Serenissima Repubblica. Per intendersi: tagliavano la testa a chiunque avesse modificato anche in minima parte la libera circolazione delle acque. Pena di morte a parte: erano pazzi o sapevano quel che facevano? Avrebbero comunque - per il piacere della cronaca - tagliato la testa ai responsabili dei seguenti interventi: 1) nel corso degli ultimi cento anni, è stato sottratto alla laguna un terzo della sua superficie, abbassando drasticamente i tempi di invaso; 2)le grandi aziende di Porto Marghera hanno munto milioni di tonnellate d’acqua sotto la piattaforma su cui poggia Venezia provocandone l’abbassamento; 3) è stato scavato il canale dei petroli, profondissimo e lineare: una specie di aspira-tutto gigante che sta livellando la laguna centrale, ossia cancellando rapidamente quelle famose resistenze.

Fermiamoci qui. Con una spiegazione supplementare: il sistema delle resistenze opera facendo in modo che in laguna, a Venezia, ci sia sempre un livello d’acqua inferiore rispetto a quello che, nello stesso istante, si registra davanti ai lidi. Più lungo, in virtù di queste resistenze, è il tempo di invaso, meno acqua alta vedremo in Piazza San Marco. Fatte salve le occasioni eccezionali, le inondazioni. Ecco spiegata l’apparente cattiveria dei veneziani con chi sgarrava in questa materia e insieme la tenacia del fronte che si è opposto, e si oppone, al «Mose», accusato di pensare alle acque alte a Venezia fregandosene del suo ecosistema, in pratica applicando tre enormi rubinetti alle bocche di porto che mettono la laguna in comunicazione con l’alto Adriatico.

Una volta piazzati, resteranno dove sono, salta il concetto prudente della reversibilità. L’intero progetto, dicono al Consorzio di imprese che se ne sta occupando, costerà quattro miliardi e trecento milioni di euro. Ne hanno già spesi circa la metà e si vedono.

Postille

(1) Massimo Cacciari dice: «Bisognava affrontare la questione con una logica di sistema che prevedesse anche degli interventi alle bocche di porto, non solo quelli. Invece, si è data priorità assoluta a quel provvedimento di difesa. Ci siamo battuti affinché qualunque cosa messa in opera in laguna fosse sottoposta ai criteri di sperimentalità e di reversibilità. Niente da fare». Dimentica di dire che quel modo di affrontare la questione è previsto da una legge dello Stato, la quale ha recuperato il vecchio principio della Repubblica Serenissima secondo il quale ogni intervento il Laguna deve essere “graduale, sperimentale, reversibile”. La legge 29 novembre 1984, n.798 stabilisce che gli obiettivi degli interventi sulla Laguna devono essere «volti al riequilibrio della laguna, all’arresto e all’inversione del processo di degrado del bacino lagunare e all’eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all’attenuazione dei livelli delle maree in laguna, alla difesa con interventi localizzati delle insulae dei centri storici, e a porre al riparo gli insediamenti urbani lagunari dalle acque alte eccezionali, anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolamentazione delle maree» (vedi l’articolo di Luigi Scano su eddyburg La nascita e i primi anni del Consorzio Venezia Nuova).

Un’altra legge dello Stato, la legge 24 dicembre 1993, n.527, prescrive che "il Governo è delegato ad emanare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, diretti a razionalizzare l'attuazione degli interventi per la salvaguardia della laguna di Venezia con l'osservanza di princìpi e criteri che dovevano comportare la restituzione alla Regione, alla provincia e ai comuni delle competenze inizialmente affuidate al consorzio di imprese. Nessuno ne fece nulla. Come osservava Luigi Scano, l’Italia è un paese davvero singolare. «Se un impiegatucolo dell'anagrafe comunale si rifiuta di consegnarmi il certificato di nascita commette il reato di omissione di atti di ufficio, ed è passibile delle sanzioni di cui al relativo articolo del codice penale. Se un generale compie atti contrari alla volontà espressa dal Governo, o non provvede a quanto dallo stesso Governo ordinatogli, è definito (anche dai media) "fellone", ed è passibile delle sanzioni, variabili in rapporto alle diverse fattispeci concrete, di cui ai relativi articoli del codice penale militare (di pace o di guerra). E se un Ministro (cioé un componente di quello che il notorio estremista Charles-Louis de Secondat barone de La Brède e de Montesquieu ha definito come "esecutivo") omette di "eseguire" ciò che è stato deciso dal Parlamento (cioè da quello che lo stesso pericoloso sovversivo francese ha chiamato "potere rappresentativo", della volontà popolare democraticamente espressasi)? Si "lascia perdere"? si "chiude un occhio"? questo sì a me pare porre il problema "necessario e urgente" di "un approfondimento concettuale su cosa sia la democrazia in un Paese civile"!» (vedi l’articolo di Luigi Scano per eddyburg , Piccole verità e grandi bugie dell'ex ministro Lunardi)

(2) Gherardo Ortalli, il benemerito dirigente di Italia Nostra veneziana, sbaglia quando dice «Non siamo cassandre». Come quelli che denunciano l’inutilità e il danno del MoSE Cassandra, nelle sue profezie, vedeva il futuro: aveva ragione, le sue profezie erano verità anticipate nel tempo.

(3) La storia della laguna di venezia e del MoSE è davvero lunga e complessa. Jop la racconta bene, ma con la necessaria sintesi. Chi ne vuole sapere di più può rovistare nella ricchissima documentazione raccolta su eddyburg, in questa cartella /article/archive/178/ dedicata alla Laguna e al MoSE. Lì si scopriranno magagne, illegittimità, sopraffazioni, disattenzioni e miopie che hanno caratterizzato l’atteggiamento di quasi tutte le autorità che si sono cimentate con il problema. Ancora oggi, nessuno sa quanto precisamente costerà il funzionamento e la manutenzione del complesso sistema di regolazione, e chi ne pagherà le spese.

Con la tranquilla consuetudine con cui al cader delle prime nevi il lettore di provincia legge il titolo di sempre, "La bianca visitatrice è tornata", così il primo dicembre i telespettatori hanno guardato le immagini di Venezia semi sommersa dall´acqua alta. I cronisti spiegavano tranquilli che il mareografo di Punta della Salute aveva raggiunto i 156 cm di marea, tutti i pianterreni erano rimasti sommersi e la città isolata.

Si era sommata, infatti, la marea astronomica prevista (quella derivante dagli allineamenti tra terra, sole e luna), con l´ulteriore ondata dovuta alla bassa pressione e al vento. Nella grande alluvione del 4 novembre 1966 l´altezza delle acque fu di 194 cm, 38 cm in meno dell´ultimo primo dicembre.

Anche questa volta, se lo scirocco avesse seguitato a soffiare, avremmo potuto vivere una analoga catastrofe. Mi ha colpito in un telegiornale l´esclamazione di un passante che lamentava l´inefficienza del Mose: «Ci avevano raccontato che ci avrebbe salvato dall´acqua alta ed invece siamo stati traditi una volta ancora!» Non è certo un dovere civico essere informati, ma, per contro, è un diritto non essere disinformati dalla Tv pubblica. Disinformazione subìta da alcuni milioni di tele spettatori, visto che il cronista non si è sentito in obbligo di precisare che le paratoie mobili del Mose non avrebbero potuto ergersi contro l´urto delle maree per il semplice fatto che non sono state ancora installate. Certo, se il progetto non fosse stato continuamente rimandato, bloccato, rivisto, contestato da una assurda opposizione che avanzava continui piani alternativi (13 a cantieri già in funzione), bocciati in sede tecnica, sottoposto a dieci ricorsi al Tar e all´Unione europea (per la presunta minaccia alla tranquillità delle gabianelle), interrotto da manifestazioni inalberanti lo slogan onnicomprensivo «no Mose, no Tav, no global», il sistema per la messa in sicurezza di Venezia sarebbe stato completato da almeno 3 anni. Il progetto preliminare del Mose risale, infatti, al 1989 e quello di massima fu approvato nel 1994. Se per ragioni o meglio per s-ragioni del tutto politiche la messa in cantiere non fosse stata ostacolata in ogni modo, malgrado un comitato di tecnici di grande fama internazionale avesse ribadito essere quella la soluzione migliore, le paratie sarebbero già oggi in funzione. Si può, invece, ragionevolmente affermare che il test Mose costituisce la prova scientifica sulla giustezza dell´intuizione di Walter Veltroni circa la necessità di liberare il movimento riformista dalle pastoie di una sinistra paralizzante.

Non stupisce, perciò, che i «noMose» abbiano in questi giorni chiesto per l´ennesima volta la sospensione dei lavori... «causa, a loro avviso, del recente maggior afflusso di acqua in laguna». Debbo confessare che stento a comprendere tanto odio inveterato per una grande opera pubblica priva di qualsivoglia impatto paesaggistico, come potrebbe essere per un edificio fuori scala o una autostrada, di ogni emissione dannosa (il caso dei termovalorizzatori) o pericolosa (i rigassificatori, le centrali nucleari), o di un impianto sconvolgente per l´ambiente (come l´alta velocità). Nulla di tutto ciò: le paratoie mobili se ne stanno sott´acqua, invisibili per la maggior parte dell´anno e verrebbero alzate, all´occorrenza, per le ore necessarie. Il loro scopo unico è la salvaguardia di Venezia, attraverso un sistema che i migliori scienziati e tecnici ambientalisti hanno giudicato ottimale. Solo il riflesso ideologico di un negativismo ad oltranza può spiegare la cecità di una simile opposizione. Meno spiegabile la ripetitività sciocca con cui una parte dei mass-media seguita a riprenderne le giaculatorie. Se il primo dicembre il Mose fosse stato in funzione Venezia e Chioggia sarebbero restate all´asciutto e così tutte quelle volte in cui l´acqua supera i 110 cm (31 volte tra il 1966 e il 1975, 55 volte, con un crescendo pauroso, negli ultimi dieci anni).

P. S.: Cacciari obietta che il pericolo vero, dai 140 cm in su, avrebbe una cadenza di 23 anni, calcolando che tanti ne sono passati dal 1986, quando fu raggiunto un livello simile a quello del 1 dicembre.

Ragionamenti simili li fecero a New Orléans, prima che le maree la distruggessero. In realtà nei sistemi complessi, come i flussi climatici nell´epoca dell´effetto serra, si arriva a stabilire l´alta probabilità di un effetto devastante, ma non si può prevedere quando. In laguna le acque hanno superato 9 volte in 40 anni anche di molto il limite di guardia. Quando andranno oltre? Per Venezia non vorremmo scoprirlo il giorno dopo.

Postilla

Ci risiamo. Ancora una volta Mario Pirani disinforma. Dimentica che il MoSE non funziona, per ora, perché non si sono i soldi per completarlo, e neppure i progetti esecutivi. Dimentica che nessuno sa ancora quanto costerà la gestione dei complessi, delicati e non sperimentati meccanismi e, soprattutto, chi la pagherà, anno per anno. Dimentica che sono stati avanzati dubbi molto forti (in sede scientifica) sull'efficacia del MoSE ad affrontare i problemi della crisi climatica e sulla obsolescenza dell'intero progetto.

E dimentica che le decisioni pubbliche nell’ambito delle quali è stato licenziata, con un colpo di mano del ministro Nicolazzi, l’operazione Mose-Consorzio Venezia Nuova, prescrivevano una serie ampia di altri interventi, molto meno costosi, cha avrebbero restituito al bacino lagunare la capacità di assorbire acque alte medie e medio-alte senza provocare inconvenienti agli utilizzatori dei piani terra.

Peccato che, invece di affidarsi alla disinformazione di uno tra le decine di intervistati sulla strada, non abbia letto il documento, emesso tempestivamente all’indomani dell’acqua alta (il 1° dicembre) nel quale tutte queste cose vengono ricordate. Per i nostri lettori (e anche per Mario Pirani) lo alleghiamo qui sotto. E per altre informazioni sul MoSE e la Laguna rinviamo alla ricca documentazione raccolta in questa stessa cartella.

Stop al villaggio del Mose a Santa Maria del Mare. Una «pausa di riflessione» per studiare meglio le alternative e verificare una possibile soluzione concordata con il Comune. E’ il primo, per certi versi clamoroso, atto del nuovo presidente del Magistrato alle Acquie Patrizio Cuccioletta. All’indomani della sentenza del Tar del Veneto che ha respinto i ricorsi presentati dal Comune e dal Wwf, il Comitato Tecnico di Magistratura era riunito a palazzo dei Dieci Savi per approvare il progetto del villaggio per 500 operai, approvato dalla commissione di Salvaguardia nonostante l’opposizione del Comune. Invece è arrivato il colpo di scena. Rinvio alla prossima seduta. «L’ho fatto per rispetto del sindaco e dell’istituzione Comune», spiega il presidente, «se dobbiamo agire con spirito di collaborazione le soluzioni vanno in qualche modo concordate». Un cambio di atteggiamento apprezzato a Ca’ Farsetti. Adesso Cuccioletta promette: «Il Comune ha chiesto approfondimenti, e mi pare giusto dare il tempo per farli. Avrei rinviato il progetto anche se il Tar non si fosse espresso in quel modo». «Il Tar ha ridicolizzato il Comune», se la ride il presidente della Regione Giancarlo Galan, da sempre fra i tifosi del Mose, «speriamo che Cacciari rinsavisca. Il suo opporsi al Mose è deleterio, perché non si tolgono fondi a Venezia».

Ma ecco adesso rispuntare le alternative al villaggio, proprio come proponeva il Comune. Otto mesi fa la burrascosa seduta della Salvaguardia, presieduta da Galan, che aveva bocciato le alternative contando anche sul parere favorevole della Soprintendenza nonostante sull’area insistano quattro vincoli paesaggistici oltre a quelli previsti dal Piano regolatore e dal Palav, il Piano di area della laguna.

Adesso non è l’organo che dovrebbe tutelare la laguna (la Salvaguardia) ma il Magistrato alle Acque, ente proponente, che si dice disposto a discutere. Tra le alternative presentate dal Comune e nemmeno prese in esame allora c’era la sistemazione in grandi navi ancorate al largo oppure il riuso delle ex colonie degli Alberoni, da tempo abbandonate.

Intanto il Comune ha annunciato il ricorso al Consiglio di Stato sulla presunta «illegittimità» del via libera dato dalla Salvaguardia al villaggio e al grande cantiere del Mose a Santa Maria del Mare. Secondo Ca’ Farsetti mancava per quelle autorizzazioni l’autorizzazione paesaggistica. I giudici amministrativi (presidente Bruno Amoroso) hanno motivato il loro no con il ritardo nella presentazione dei ricorsi. E soprattutto con il fatto che un loro accoglimento «avrebbe pregiudicato l’intero iter di realizzazione del progetto Mose, da tempo definito e consolidato». Argomentazione che convince poco i legali del Comune. E’ possibile in ogni caso che dopo la «svolta» di ieri si possa arrivare a un accordo, magari sulla quantificazione dei danni ambientali (il Comune aveva chiesto 120 milioni di euro) e dunque a un ritiro del ricorso. Ieri intanto il Comitato tecnico di Magistratura ha approvato un progetto da 6 milioni di euro presentato dal Consorzio Venezia Nuova per lavori di ammodernamento dell’Arsenale (gru e bacini di carenaggio).

Premio Attila 2008 a Paolo Costa. Ieri alla Mostra del Cinema i comitati «No Mose, No Dal Molin, coordinamento contro le grandi Navi» hanno proiettato il loro documentario «Venezia Crepa», sui danni «irreversibili e irreparabili» prodotti negli ultimi anni alla città e alla laguna. I lavori del Mose che sono in corso ma anche i progetti della sublagunare e i lavori per l’aeroporto americano Dal Molin a Vicenza.

«Molte erano le candidature, tutte autorevoli e degne di menzione», si legge in un comunicato, «come Prodi, Berlusconi, Galan e Lunardi, la presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva, la soprintendente Codello e il presidente di Arsenale spa Roberto D’Agostino». «Alla fine», spiegano i comitati, «l’ha spuntata Paolo Costa».

Nei suoi molteplici incarichi, di ex ministro, ex sindaco, parlamentare europeo e adesso presidente del Porto, Costa «ha contribuito a far approvare progetti e opere che hanno cuasato o causeranno danni irreversibili alla città». Ecco allora il Mose, dighe mobili e colate di cemento da 4300 milioni di euro, passato a Roma con il voto favorevole dell’allora sindaco Paolo Costa nonostante il voto contrario, la sera prima, del Consiglio comunale. Il sostegno al progetto di sublagunare, definito dalla giunta nel 2002 «di pubblica utilità» mentre porterà in città altri milioni di turisti e costi a carico della collettività.

E infine la nomina a presidente dell’Autorità portuale, primo atto del nuovo governo Berlusconi, contro le candidature proposte dal Comune e dalla Provincia. «Un esempio di difesa delle lobby per portare avanti progetti spesso non voluti dalle comunità locali, espropriandole di ogni decisione», scrivono i comitati.

Una «nomina» che Paolo Costa - in questi giorni a Bruxelles dove presiede ancora la commissione Trasporti dell’Unione europea - ha accolto con ironia. «Attila io? Forse dovrebbero cambiare il nome del premio. Attila era famoso perché dove passava il suo cavallo non cresceva più un filo d’erba. Al contrario io ho cambiato il progetto del Dal Molin, e ho salvato il grande prato verde». Quanto a Mose e sublagunare, Costa si dice «orgoglioso» di averli sostenuti. «Il Mose andava fatto, alternative non ce ne sono. La sublagunare è l’unico modo per salvare questa città e creare nuovi accessi. Tra quelli che considerano misfatti si sono dimenticati del Passante e del ponte di Calatrava».

Ma i comitati si dicono pronti a dimostrare che il premio è «meritato». Ieri lo hanno spiegato ai gionalisti di mezzo mondo, durante la proiezione di «Venezia Crepa», il documentario-inchiesta di 30 minuti realizzato dall’ associazione Ambiente Venezia e Multimedia records proiettato alla Biennale nella rassegna «Industry». Una raccolta d’autore dei danni provocati alla laguna dai lavori del Mose, dal moto ondoso, dalle Grandi Navi. «Progetti demenziali che distruggeranno questa città per favorire le grandi lobby», accusa Luciano Mazzolin.

Il premio Attila intanto («sezione speciale Nord Est») sarà consegnato stamattina a Paolo Costa dai comitati promotori. L’appuntamento è per le 14.30 alla stazione di Santa Lucia.

VENEZIA. Un’enorme betoniera davanti alla spiaggia di Pellestrina. E un villaggio da 500 operai nell’area verde di Santa Maria del Mare, protetta da vincoli e norme europee. Per la Salvaguardia va tutto bene, e i due progetti del Mose sono stati approvati a maggioranza. Ma le norme urbanistiche vigenti non prevedono quegli insediamenti. Un nodo che dovrà essere sciolto dal Tar - che esaminerà il ricorso del Comune contro i cantieri a metà aprile - ma anche dalla Provincia, che deve per legge dare il suo parere sulle emissioni dei nuovi impianti e sulla conformità urbanistica della nuova fabbrica.

Nei prossimi giorni, subito dopo Pasqua, sarà convocata una nuova Conferenza dei servizi che dovrà esprimersi sui progetti, che hanno già ottenuto il via libera dalla commissione Via della Regione. «Ma il testo unico sull’ambiente prevede che ci debba essere l’autorizzazione agli scarichi in atmosfera data dalla Provincia», dice Ezio Da Villa, assessore all’Ambiente di Ca’ Corner, «e noi dovremo tener conto del parere del Comune». «I nostri uffici stanno valutando il da farsi», dice il Capo di Gabinetto del sindaco Maurizio Calligaro.

Il precedente. Un anno fa, dopo un sopralluogo ai cantieri di Santa Maria del Mare, i dirigenti dell’Urbanistica avevano inviato il loro rapporto. In cui gli interventi venivano definiti «illegittimi» perché sprovvisti della certificazione urbanistica. Un problema che a maggior ragione riguarda ora l’area dove è stato previsto il cantiere, che sorge su territorio comunale. Zona vincolata dal Palav, ricordano in Comune, ma anche dall’Ue perché area Sic (Sito di interesse comunitario) e soggetta a Norme tecniche di attuazione molto vincolanti. Ma di tutto ciò non s’è tenuto conto.

Tentativo. Il Magistrato alle Acque e il Consorzio Venezia Nuova che avevano ritirato il progetto, lo hanno ripresentato giovedì scorso. Definendo «impraticabili» le alternative proposte. La nave da crociera per il «pendolarismo», le colonie abbandonate degli Alberoni per la distanza. «Ma è una vergogna», sostengono in un comunicato i comitati dell’Assemblea permanente No Mose, «il progetto è stato approvato senza una relazione paesaggistica e senza valutare alternative meno impattanti e meno costose. Come ha fatto la Soprintendenza a cambiare idea? E come fanno i componenti di questa commissione di nomina politica che sono tanto intransigenti e inflessibili con i progetti presentati da normali cittadini, a dare il loro via libera?». L’Assemblea propone di abolire la commissione di Salvaguardia, che era stata creata per tutelare i beni ambientali architettonici della città. «Presenteremo anche un’indagine alla Corte dei Conti», dice Mazzolin, «sarebbe utile che si indagasse sugli impegni economici presi coi soldi della collettività per costruire questo megavillaggio e sul risparmio che ci sarebbe stato attuando le soluzioni alternative bocciate. Il pendolarismo esiste per decine di migliaia di lavoratori normali, non solo per quelli del Consorzio».

I verdi. La protesta monta. «Chiederemo spiegazioni, com’è possibile che i vincoli ambientali non contino più nulla?», si chiede il capogruppo dei Verdi Beppe Caccia, «intanto per ora gli unici processi che vanno avanti sono quelli a carico di chi ha contestato il Mose». L’udienza contro i manifestanti No Mose è stata fissata per il 21 aprile.

Sull'argomento si veda l'eddytoriale 96 (sulle illegalità del MoSE) e l'eddytoriale 103 (sull'intervento a Pellestrina)

Acqua Alta. Per ben comprendere il fenomeno e i rimedi che si vorrebbero adottare, è opportuno ricordare che a Venezia così si chiama l’inondazione di alcune vie cittadine da parte delle maree lagunari per il molto crescere di quella marina. Poiché il livello medio delle strade cittadine è tra i 100 e i 150 100 cm. sul livello medio del mare, una marea che fosse, poniamo di 110 cm significherebbe che alcuni tratti (pochi) avrebbero acqua per 10-20 centimetri

Questo fenomeno, negli ultimi 150 anni, è aumentato di frequenza e dimensione perché l’estensione del bacino lagunare è stata ridotta quasi di un terzo con grandi bonifiche per costruire la zona industriale di Marghera e, in vista di un suo sviluppo “magnifico e progressivo”, per formare nuove isole; ma anche per altri interventi quali la costruzione dell’aeroporto e la separazione delle valli da pesca dal libero flusso di marea per poterle privatizzare. Influenti, per una modifica complessiva della idrodinamica lagunare, sono state pure la formazione di lunghi e profondissimi canali, la costruzione delle dighe alle bocche di porto e il loro continuo scavo senza che, nel contempo, si effettuassero le manutenzioni necessarie delle difese a mare e a terra - come per millenni aveva fatto la Repubblica Veneta -. Queste sono le vere cause, dovuta all’uomo, che, in condizioni naturali estreme, hanno portato alla terribile alluvione del novembre1966 con marea a 194 centimetri.

Nel 1984 il governo italiano, pur approvando leggi – tutt’ora in vigore anche se non rispettate – per cui ogni intervento in laguna avrebbe dovuto essere progressivo, sperimentale e reversibile, ha costituito un Concessionario Unico, usando strumentalmente la spinta di un’opinione mondiale scioccata per la possibile perdita di una città irripetibile come Venezia e con procedura lesiva anche di norme europee.. Si è formato così un pool di grandi Imprese nazionali, per studiare, proporre, progettare, ed ora, realizzare quello che viene chiamato sistema MoSE, senza possibilità alcuna di valutazione di soluzioni diverse e senza possibilità “terza” di giudizio sulla qualità delle opere. Queste, del MoSE, consistono in 79 portelloni sommersi - ognuno più alto della Chiesa di San Marco - che dovrebbero alzarsi quando si prevedono maree marine superiori ai 110 cm., incernierati su cassoni di fondazione collegati a 12.000 pali infissi fino ad oltre 40 metri di profondità, con un’isola artificiale all’interno della bocca portuale di Lido e complementari dighe in mare e conche di navigazione ai lati degli accessi portuali.

Le maggiori associazioni ambientaliste nazionali e “pezzi” di partiti della sinistra sono stati da subito contrari a quest’opera perché ritenevano – come puntualmente si sta verificando - che non avrebbe rimosse le vere cause delle alte maree e che, quando i portelloni non saranno utilizzati, per le trasformazioni fisiche che si saranno rese necessarie alla loro installazione, faranno aumentare altezza e frequenza di tutte le acque alte. Un’ opera quindi pericolosa; contraria allo scopo che si prefigge; costosissima (4,2 miliardi preventivati per la costruzione, 30 milioni all’anno, per 100 anni, per la manutenzione) e distruttiva della struttura fisica della laguna che diverrà un vero braccio di mare. E’ stata approvata, con solo voto politico, illegittimamente per mancanza di Valutazione di Impatto Ambientale e in violazioni di numerose norme urbanistiche locali, territoriali regionali, ambientali europee (una precedente VIA, annullata per vizio formale, era stata totalmente negativa e mai rifatta). Esistono altri modi per uscire sul serio dalle acque alte, con progetti rispettosi delle leggi, che si possono sperimentare prima del realizzo, dai costi e tempi di realizzazione enormemente minori, ambientalmente assolutamente compatibili. Il Comune di Venezia, che ufficialmente ha rilevato sia le illegittimità procedurali che le pesanti modificazioni ambientali già in atto, ha fatto valutare da esperti l’efficienza dei progetti alternativi in relazione al MoSE: su 14 proposte progettuali, questo si è collocato, in ragione dell’efficienza appunto, al penultimo posto. Si può intervenire con altri progetti ma soprattutto riducendo la forza e la quantità d’acqua che entra dalle tre bocche di porto, in maniera differenziata in ragione del loro uso. Alzando i fondali alle bocche, soprattutto quella di Lido, è possibile, secondo studi acquisiti dal Comune e mai contestati, ridurre tutte le maree di 21 cm. e, con il contemporaneo rialzo dei percorsi cittadini più bassi, portare le 70-80 alte maree annuali a 1-2, di piccola entità come avveniva 150 anni addietro. Il MoSE, entrando in funzione solo in previsione di maree di 110 centimetri, ne può eliminare, in media, solo 2 o 3 all’anno: negli ultimi due anni, ad esempio, non ne avrebbe eliminata nessuna. Il rialzo del fondale del porto di Lido salverebbe, di fatto, Venezia dall’acqua alta e impedirebbe anche alle mega-navi turistiche l’ingresso nel Bacino di San Marco. Oggi, queste navi, lunghe 300 metri ed alte più di 40, distruggono i fondali lagunari e inquinano l’aria, ognuna, come 15.000 automobili, incombendo, con possibili collisioni, sui palazzi storici delle rive. In tempi brevi e costi contenuti – in relazione a quelli del MoSE - è possibile invece realizzare un avamporto turistico in mare.

Con un aumento medio dei mari nei prossimi 100 anni per l’effetto serra, che quasi nessuno più contesta ma che registra ancora grande incertezza sull’entità (da 10 a80 cm.), facendo pure l’ipotesi cautelare di 40-50 centimetri di aumento, il MoSE – secondo uno studio del prof. Pirazzoli del CNR francese - dovrebbe rimanere chiuso più di 150 giorni all’anno azzerando di fatto ogni possibilità competitiva per i traffici di Porto Marghera che usa giornalmente più volte la bocca portuale di Alberoni e quindi la sua bonifica e riconversione produttiva ecocompatibile. Ciò ridurrebbe l’intera laguna, per mancanza di ricambio, in un’unica cloaca (i centri abitati lagunari non possiedono sistemi fognari) inquinata anche da tutti i pesticidi agricoli slavati per le piogge dai 98 Comuni del bacino imbrifero.

Attestando il vero, da chiunque verificabile in loco, all’oggi il MoSE non è stato ancora iniziato, con buona pace di Ministri e stampa di parte, ma sono state quasi totalmente realizzate le opere complementari che, interrompendo i lavori, potrebbero tutte ancora essere riconvertite ad altre più utili funzioni. Un esempio: le conche di navigazione si possono trasformare in darsene per i potenti motoscafi che oggi distruggono i fondali lagunari con il moto ondoso e che potrebbero invece raggiungere direttamente il mare senza arrecare danni.

Il Ministro all’Ambiente ha formalmente denunciato un’ulteriore illegittimità, quella dei cantieri per le opere di prefabbricazione che dovevano essere altrove che invece sono stati aperti ai lati delle bocche di porto devastando ettari di territorio vincolato e protetto anche da norme europee. Illegittimità che neppure il voto a posteriori della Commissione di Salvaguardia di Venezia ne’ il Parere della Soprintendenza ai Beni Ambientali hanno sanato.

Ma al di là della considerazione politica che con la sospensione dei lavori il Governo rispetterebbe il proprio programma che prevede il consenso delle istituzioni locali – oggi assolutamente contrarie – e la valutazione positiva su una nuova prospettiva strategica per la vita e l’utilizzo della laguna compatibile all’uomo e ai suoi traffici, alla natura e ai suoi bisogni, l’alluvione del 26 settembre scorso, che ha affondato Mestre e l’intera terra ferma veneziana (50 milioni di euro per danni pubblici e privati più 70 per quelli industriali) con metri d’acqua, rende la sospensione dei lavori del MoSE assolutamente necessaria per la salvezza e salvaguardia dell’intero territorio veneziano e delle numerose popolazioni che lo abitano.

Il 70% di questo territorio è sotto il livello del mare e, nel passato, ha affidata la propria sicurezza a complessi sistemi di idrovore, canalizzazioni ed argini per governare ed alla fine sversare le acque fluviali e meteoriche in laguna. Con il tragico alluvione del novembre 1966, il bacino scolante ha versato in laguna tanta acqua da farne aumentare il livello di 30 cm e poiché, per il blocco di fatto alle bocche di porto, i 550 chilometri quadrati dell’intero bacino non potevano accoglierne più, migliaia e migliaia di ettari di campagne sono stati invasi d’acqua fino ai primi piani delle case.

Negli ultimi decenni sconsiderati piani urbanistici – consentiti da nuove normative che hanno privatizzato le possibilità decisionali, spesso anche con prestigiose Università consenzienti – e realizzazioni edilizie fai da te, non solo senza controllo alcuno ma legalizzabili con condoni ex postero, hanno ulteriormente cementificato il territorio e lo hanno sempre più impermeabilizzato con nuove reti stradali asfaltate rese necessarie dall’edificazione selvaggia. La rete dei canali di scolo del territorio agricolo è stata fittiziamente sostituita da fantomatici drenaggi sotterranei (di fatto eliminata) e, ove ancora esistente, cementificata sulle sponde e tombinata sotto ogni ingresso abitativo rurale. Molte idrovore sono ancora quelle dell’altro secolo, spesso solo manuali e non collegate in rete. I Consorzi di bonifica, enti cui è affidata sorveglianza, studio e manutenzione idraulica del territorio, perdendo la propria indipendenza e professionalità, sono spesso divenuti veri cimiteri d’elefanti dove parcheggiare politici trombati o amici dei vari sottogoverni.

In altre parole la situazione del rischio idraulico nel territorio, negli anni successivi al tragico 1966, è fortemente peggiorata, come puntualmente rilevano grandi esperti come i professori D’Alpaos e Matticchio che, nel 1966, dicono “se si confronta la situazione attuale con quella preesistente alla grande piena del 1966, si deve purtroppo rilevare che il rischio idraulico si è ulteriormente accresciuto”.

Ma, quando, giusto 10 anni fa, la commissione VIA ha dato il “Parere di compatibilità ambientale sugli interventi alle bocche lagunari per la regolazione dei flussi di marea” (nel dare – è opportuno ricordare - alla fine un parere totalmente negativo sull’opera), ha dovuto denunciare che manca “un calcolo specifico da parte del proponente (Consorzio Venezia Nuova, nota nostra) sulla portata media del deflusso in laguna in occasione di consistenti precipitazioni piovose” e che il MoSE è stato tarato dai progettisti del Consorzio per un apporto del Bacino scolante calcolato sulla base di una precipitazione piovosa di un massimo di 5 (cinque!) millimetri l’ora: il 26 settembre, solo dalle 7 alle 8 di mattina, sono caduti 145 (centoquarantacinque!) millimetri di pioggia.

Con il MoSE chiuso, mestrini e veneziani avrebbero fatta la fine del topo nella nave che affonda.

Anche per la fortissima pressione degli alluvionati e dei loro Comitati - genuina protesta popolare, che l’opposizione comunale ha inutilmente tentato di strumentalizzare – in un affollatissimo Consiglio comunale il Sindaco ha promesso rimborsi, nuovi strumenti di salvaguardia idraulica e la nomina di un Commissariospeciale per superare l’emergenza.

Un recupero della fiducia dei cittadini nella politica non si ottiene con Commissari più o meno speciali, come è pure stato opportunamente espresso nello stesso dibattito comunale; in Italia ce ne sono un carrozzone di 10.000 senza alcun miglioramento nell’efficienza della gestione politica. Il recupero di una capacità di previsione, strumentazione ed intervento deve essere del corpo politico che a tal fine è delegato ma che, oggi in controtendenza, deve sviluppare la capacità di cogliere quanto dal basso i gruppi sociali esprimono direttamente come saperi locali e la volontà di farsi “controllare”.

A Venezia i commissari speciali, più volte nominati, non sono minimamente riusciti ad evitare il moto ondoso, come chiamano i veneziani le onde dei mezzi acquei a motore che distruggono laguna e città più delle alte maree. In virtù dell’essere sopra le leggi e le norme hanno potuto invece costruire una isola-discarica di fanghi pericolosi all’interno della laguna (che si apprestano a duplicare nelle vicinanze con fanghi tossico-nocivi) quando l’applicazione normale della legge non l’avrebbe consentito. Per costruire la base di guerra americana Dal Molin a Vicenza, è stato nominato Commissario Costa, l’ex sindaco di Venezia ed ex Commissario al moto ondoso, che ha pure consentito la costruzione, distruttiva per abitanti e territorio, del Passante di Mestre e l’inizio dei cantieri MoSE, tradendo il mandato del suo stesso Consiglio comunale. Per entrambe le opere, esistevano soluzioni alternative più efficienti e ambientalmente compatibili

Il territorio veneziano è unico, di terra e di mare e nella sua totalità ed indivisibilità va governata la sua salvaguardia, pena l’inefficacia e la pericolosità di ogni intervento. Un intervento di garanzia e di prestigio istituzionale è ora più che mai possibile e doveroso.

Assieme alla promessa inversione strategica per gli interventi in terra ferma per superare ogni rischio idraulico, il Sindaco di Venezia, proprio per l’attività di documentazione e denuncia svolta sul MoSE e il Ministro dell’Ambiente per dare seguito alle denuncie d’illegittimità, devono assolutamente fermarne tutti i lavori alle bocche di porto, sui quali oggi risulta aperta anche un’ inchiesta della Corte dei Conti.

Questa è l’unica risposta politica, di garanzia per il territorio ed i suoi abitanti, a quella che viene chiamata antipolitica perché, nel rispetto di norme e leggi esistenti di tutela della popolazione – della legalità che conta, quindi -, con la soluzione più efficace ed economicamente realistica del difficile rapporto uomo-ecosistema e nell’accoglimento della volontà degli abitanti che meglio conoscono il proprio ambiente, apre varchi per una democrazia reale e di riconciliazione.

Una fotocopia del testo della Legge Speciale del 1973. Che per risollevare Venezia dopo l’alluvione del 4 novembre 1966 ne decideva la tutela fisica e la difesa dalle acque, ma anche la salvaguardia «socio-economica». Iniziativa ironica e per certi versi clamorosa, quella assunta dall’assessore alla Casa e ai Lavori pubblici del Comune Mara Rumiz. Placati i boatos elettorali del Partito democratico, l’assessore ha preso carta e penna e inviato una dura lettera al ministro per l’Economia Tomaso Padoa Schioppa, ai ministri Rutelli e Di Pietro e ai presidenti delle commissioni Ambiente e Bilancio di Camera e Senato, Ermete Realacci, Duilio Lino, Enrico Morando e Anna Donati. «Se si continuerà, come si è fatto in questi anni, a dirottare tutte le risorse dello Stato al Mose», scrive la Rumiz, «sarà del tutto compromessa la salvaguardia della città, dei suoi beni storici artistici, di un ambiente lagunare unico al mondo, di gente che vive, lavora e va a scuola». Il tema è la prossima Finanziaria, dove ancora una volta i fondi destinati alla salvaguardia della città sono ridotti all’osso. Mentre alla grande opera sono andati altri 170 milioni di eruo.

Drammatica l’emergenza a cui va incontro la città d’acqua, secondo la Rumiz, se non si volterà pagina. «In una città così particolare, immersa nell’acqua», dice l’assessore, «gli interventi di manutenzione degli edifici non si possono fare una volta per sempre, ma devono avere garantita la continuità dei finanziamenti». Invece, denuncia l’assessore, negli ultimi anni si è interrotto il flusso dei fondi destinato al risanamento e al restauro diffuso: scavo dei rii, consolidamento di rive e fondamenta, interventi strutturali nei palazzi, restauro dei monumenti, sostegno alla residenza». «Se si riuscirà, forse, ad evitare l’acqua alta eccezionale», scrive l’assessore, «Venezia non ci sarà più». Difficile andarlo a spiegare ai comitati privati, in larga parte stranieri, che da quarant’anni si fanno carico del restauro di monumenti.

«Lo Stato non può essere distante, e nemmeno distratto rispetto a un problema che la legge stabilisce di preminente interesse nazionale», continua l’assessore. Ed ecco la proposta: di destinare con la Finanziaria in discussione in Parlamento qualcosa in più delle cifre finora stanziate. «Nel testo ci sono 170 milioni per il Mose e 20 per la rete antincendio e le sirene di Marghera», sottolinea l’assessore, «questo è positivo e necessario, ma non risolve il problema della salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale, né di quello della salvaguardia socio economica della città». «Sono certa», conclude la Rumiz, «che dopo anni in cui l’attenzione e le risorse sono state dirette esclusivamente verso la grande opera alle bocche di porto, si saprà tornare a quel concetto di salvaguardia così bene definito dalla Legge Speciale».

Ed ecco la fotocopia, per rinfrescare la memoria a chi di salvaguardia «complessiva» non ha mai sentito parlare, associando la difesa di Venezia solo ed esclusivamente al progetto Mose. In realtà, denuncia il Comune, gli interventi di salvaguardia e i contributi per i restauri rischiano la paralisi se non saranno garantiti per i prossimi anni fondi adeguati. Anche gli sforzi per contenere l’emergenza casa possono essere vanificati «se non si interviene con politiche d’urgenza».

Negli ultimi anni sono rimasti fermi anche gli interventi di restauro e acquisizione di nuovi alloggi. Un’emergenza sfratti che non si ferma, segnala il Comune, a cui si aggiunge anche la difficoltà di trovar casa per il ceto medio, le nuove famiglie ei giovani che certo non possono competere con le società e gli speculatori sui prezzi di mercato delle case, a volte superiori ai 10 mila euro a metri quadrato. «Se vogliamo che Venezia resti una città normale è necessario che non scenda sotto l’attuale numero di abitanti», dice l’assessore. Il provvedimento annunciato - forse fuori tempo massimo - è quello di frenare la trasformazione di alloggi dei residenti in attività turistiche.

Postilla

La prima ragione per cui il MoSE è un disastro per Venezia è la sua stessa concezione, come i frequentatori di eddyburg.it sanno. L'assessora Mara Rumiz mette in evidenza l'altra ragione: le opere inutili e dannose del MoSE succhiano tutti i soldi che la collettività destina a Venezia

Tullio Cambruzzi, rappresentante del Comune in Salvaguardia, si dissocia dal voto preso a maggioranza - con il parere contrario di Soprintendenza, Comune e ministero per l’Ambiente - che ha dato il via libera al deposito delle paratoie del Mose nei bacini di Carenaggio dell’Arsenale. Decisione presa dalla commissione di Salvaguardia, l’organismo creato dalla Legge Speciale a tutela del paesaggio, con 11 voti contro 5. Sempre a maggioranza i membri della commissione hanno respinto anche la richiesta della Soprintendenza di aggiornare la seduta per consentire un esame approfondito del progetto. Una «forzatura» su cui ora il Comune sta pensando seriamente di fare ricorso. Perché il parere ufficiale di Ca’ Farsetti, inviato alla commissione dal sindaco un anno fa, è stato saltato a pie’ pari grazie a un accordo tra il Magistrato alle Acque e la Regione. «Il Piano urbanistico prevede in quei luoghi cantieristica e non attività di quel tipo», sostiene il Comune. Per la Regione e il Magistrato alle Acque, invece, va tutto bene. Una decisione, quella dell’altro giorno, che non è nuova nelle sue modalità. Anche per approvare il progetto definitivo Mose, e più di recente per dare il via libera al cantiere per la costruzione degli enormi cassoni di calcestruzzo sulla spiaggia di Santa Maria del Mare, la commissione aveva votato a maggioranza tra le polemiche, senza nemmeno esaminare nei dettagli il progetto presentato. Ma stavolta la bufera non si placa. «Decisione illegittima, i piani attuativi li deve fare il Comune, non la Regione», protesta Stefano Boato rappresentante per il ministero dell’Ambiente. Fa discutere anche che si sia ignorato il parere contrario dell’ente preposto alla tutela del paesaggio, cioè la Soprintendenza.

Intanto il progetto va avanti, nonostante dubbi e contestazioni anche sull’impatto dei singoli cantieri. «Non ci hanno dato nemmeno il modo di valutare di che progetto si tratta», continua Cambruzzi. A ridosso delle storiche mura del vecchio Arsenale e in piena laguna saranno presto costruiti enormi capannoni e in un prossimo futuro avviate attività inquinanti come la sabbiatura e la verniciatura di enormi superfici metalliche destinate a rimanere sott’acqua. Ma né i vigili del fuoco né l’Asl hanno avuto nulla da ridire. Hanno votato a favore, oltre al rappresentante del Comune di Jesolo Giorgio Rizzi e ai tre della Regione anche il Magistrato alle Acque e due del Comune, gli architetti Gatto e Zanatta, che non hanno rispettato l’indicazione del sindaco.

VENEZIA. Ipotesi di reato: danno erariale. Su questo sta lavorando il magistrato istruttore della Corte dei Conti Antonio Mezzera, che ha aperto un’indagine sullo stato di avanzamento dei lavori del Mose. Agli enti interessati sono arrivate richieste di documentazione integrativa.

Un’inchiesta a tutto campo quella aperta dal magistrato contabile romano. Che due mesi ha inviato al Magistrato alle Acque e per conoscenza a tutti gli altri enti interessati alla salvaguardia 57 «capi d’accusa» in cui chiede chiarimenti sul progetto e la gestione dei lavori, i costi, le verifiche e i rapporti tra controllore (lo Stato) e controllato (Consorzio Venezia Nuova). A metà settembre dalla laguna sono state spedite due casse di documenti. «Era tutto già noto alle autorità», dice la presidente del Magistrato Maria Giovanna Piva. Un voluminoso dossier è stato inviato anche dal Comune, con allegate le osservazioni e gli studi alternativi di cui il Comitatone non ha mai tenuto conto.

Adesso l’indagine è giunta a un punto critico. Il magistrato dovrà esaminare i documenti che gli sono arrivati e decidere anche sulla base delle integrazioni richieste se le risposte siano soddisfacenti oppure no. In caso contrario potrebbe inviare l’intero incartamento alla Procura della Corte dei Conti per avviare azioni di risarcimento.

Un caso delicato, di cui ha parlato più volte anche il ministro per l’Economia Tomaso Padoa Schioppa. «Un fatto di cui non si può non tener conto», ha commentato al momento di concedere l’ultima tranche di finanziamenti (243 milioni di euro, più 170 inseriti nell’ultima Finanziaria).

E’ la prima volta, dopo i rilievi fatti nel 1996 - che avevano provocato un’inchiesta penale poi archiviata - che la Corte dei Conti si occupa in maniera così dettagliata dell’operato del Consorzio Venezia Nuova e del progetto Mose. Nei 57 punti di contestazione sollevati dal magistrato romano si chiede conto ad esempio del grande aumento dei costti registrato (dai 1540 milioni di euro del progetto di massima ai 4271 milioni di euro del progetto a prezzo chiuso), e poi degli oneri che vanno al concessionario (il 12 per cento del totale) quando la normativa prevede al massimo il 10 per cento. E poi le autorizzazioni e il mancato rispetto di risoluzioni votate lo scorso anno da Parlamento che invitavano a sospendere i lavori e modificare il progetto, delle contestazioni avanzate dal Comune, dall’Unione Europea e dal ministero per l’Ambiente. Secondo la Corte di Cassazione le opere costruite su territori soggetti a vincolo ambientale, anche se provvisorie, necessitano dell’autorizzazione ambientale, in questo caso mancante per i cantieri sulla spiaggia di Santa Maria del Mare. La prima fase dell’inchiesta dovrebbe concludersi entro i primi mesi del 2008.

«La laguna non è un lago, è un corpo vivo: resta dinamico solo se amministrato quotidianamente, per tenere in equilibrio la terra che entra con i fiumi e quella che se ne esce dal mare. Una spugna naturale che resta tale solo se seguita giorno giorno giorno, mentre non lo è più dalla fine della Serenissima». Di qui i mali della laguna. Il Mose? Ne farebbe un catino. Così, il compianto urbanista Edy Salzano in «Venezia e il Mose: quando perseverare è diabolico».

Questo il titolo del film-documentario realizzato dall’Assemblea Permanente NoMose con il regista «dei movimenti» Massimo Marco Rossi (Multimedia Record, suoi lavori anche per il NoDal Molin, indagini di controinformazione sulle spese belliche, laboratori sul linguaggio televisivo). In 8 capitoli e 48 minuti, con una grafica chiara che segue l’incalzare di interviste ed immagini, viene raccontata la storia del Mose e delle sue alternative.

«Per ora abbiamo stampato 500 Dvd», spiega Luciano Mazzolin, «che mettiamo in vendita per 8 euro, ma soprattutto che presenteremo in proiezioni pubbliche ed invieremo ai membri della commissione Ambiente e Petizioni dell’Unione europea e al magistrato della Corte dei Conti che ha curato il rapporto sul Mose sollevando una sessantina di puntuali quesiti sulla gestione del progetto: questo film risponde a tutte le domande». «Il Mose è un progetto illegittimo perché non supportato dalla necessaria Via nazionale prevista dalle norme europee», racconta in uno dei spezzoni del film Cristiano Gasparetto, presidente di Italia Nostra Venezia, con alle spalle gli enormi spiazzi «provvisori» di cemento realizzati su aree naturalistiche protette per ospitare i cantieri. «E viola le norme anche in manteria di monopolio degli appalti», incalza Stefano Micheletti, «non è vero che il Mose, oramai, è cosa fatta: non sono ancora iniziati i lavori veri, quelli di sfondamento dei fondali oltre lo strato del caranto e tra sacche di metano, non hanno risolto i problemi di finanziamento né di smaltimento degli 8 milioni di metri cubi di fanghi da asportare: per 1,5 hanno presentato in Salvaguardia un progetto per creare barene mai esistite tra Sant’Erasmo e Vignole». (r.d.r.)

Precisazione giurata

Giuro che sono ancora vivo

Cinquantasette capi d’accusa pesanti come macigni. A cui il Magistrato alle Acque dovrà rispondere entro il 15 settembre. Il magistrato istruttore della Corte dei Conti Antonio Mezzera ha inviato qualche giorno fa a Venezia la sua «nota istruttoria», nell’ambito dell’indagine in corso sullo stato di avanzamento del progetto di salvaguardia della Sezione centrale di controllo della magistratura contabile. Un rapporto che aveva addirittura messo in dubbio i nuovi finanziamenti del Cipe al Consorzio Venezia Nuova. «Ci sono rilievi importanti di cui bisogna tenere contro», ha detto il ministero per l’Economia Tommaso Padoa Schioppa. Rilievi contabili, ma anche di procedure e rispetto delle leggi vigenti. Eccone una sintesi.

Controllore-controllato. I primi cinque punti riguardano il rapporto tra Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova. «Si chiede di sapere», scrive il Magistrato, «il motivo della remissione totale al concessionario di funzioni proprie del Magistrato, come l’eleborazione del Piano generale degli Interventi, la priorità delle opere da eseguire e le modalità di gestione. Con sostanziale delega alla struttura privata di tutte le attività ad eccezione di quelle di controllo o approvazione». Il magistrato chiede anche di sapere «la consistenza organica e le direttive inviate negli ultimi tre anni al concessionario, le modalità e i costi di affidamento dei collaudi e delle direzioni lavori». Una questione, quella della confusione di ruoli, oggetto qualche anno fa di un’inchiesta della Procura veneziana.

Progetto e alternative. La Corte dei Conti chiede di conoscere «il grado di reversibilità del Mose», come previsto dalla Legge Speciale, e poi se le soluzioni alternative proposte dal Comune siano mai state oggetto di valutazione. «Appare singolare», scrive il magistrato, «la netta bocciatura di tutte le ipotesi presentate». La Corte chiede anche di vedere il progetto esecutivo generale e il monitoraggio ambientale previsto dalla legge 163 del 2006.

I costi. La Corte chiede chiarimenti sulle variazioni dei prezzi intervenute negli anni, passati da 1540 milioni di euro (progetto di massima) a 2296 (progetto definitivo) a 3709 milioni di euro (atto aggiuntivo), fino ai 4271 milioni dichiarati nel «prezzo chiuso». «Allarma non poco», scrive il giudice, «quanto richiesto nella nota del 28 giugno 2007 su una possibile ulteriore lievitazione di costi».

Percentuali. Gli oneri del concessionario, cioè la percentuale sul costo dei lavori che va al Consorzio, è del 12 per cento. «Percentuale assai onerosa per la finanza pubblica», scrive il magistrato, «che si traduce in 278 milioni di euro. Il limite massimo in casi di questo genere in base alla legge 183 del 1989 risulta del 10 per cento». La Corte vuol sapere anche a che titolo siano stati spesi 6,9 milioni del punto D10 («somma per incentivazione») e 33 milioni di euro per la progettazione a carico del Magistrato alle Acque e non del Consorzio. Lati oscuri, secondo la magistratura contabile, anche quelli che riguardano i costi di manutenzione dell’opera (9 milioni nel progetto definitivo, almeno 30 quelli calcolati).

Il Parlamento. La Corte punta anche il dito sul mancato rispetto di una risoluzione permanente del Senato (20 luglio 2006) che chiedeva la modifica del progetto e vuol sapere a che punto sia la procedura di infrazione europea.

La convenzione. «Si chiede di sapere», scrive Mezzera, «che effetti pratici abbia prodotto sull’attività l’abrogazione della concessione unica dal momento che si è continuato anche dopo tale data a stipulare convenzioni aggiuntive», il che sembrerebbe «precluso dalla legge» e in contrasto con norme europee.

Mutui. Non è chiara, secondo il magistrato, la modalità di stipula dei mutui, come siano state fatte le gare e perché questa attività non sia stata svolta dal Magistrato alle Acque - dato che gli oneri sono a carico dello Stato - ma dallo stesso concessionario.

Impatto ambientale. Tra i chiarimenti, il Magistrato dovrà fornire quelli sugli effetti dei lavori e sullo stato delle autorizzazioni di compatibilità ambientale e sulle autorizzazioni per i cantieri a Pellestrina.

Altre attività. «In base a che titolo», conclude il giudice, «sono stati affidati al Consorzio Venezia Nuova altri lavori come gli scavi archeologici e su quale capitolo di bilancio viene finanziata la spesa per la pubblicazione di libri e Quaderni trinmestrali»? Una raffica di rilievi a cui il Magistrato alle Acque ora dovrà rispondere «punto per punto» entro metà settembre.

Vedi in particolare, gli articoli di Luigi Scano sugli antefatti del MoSE e del Consorzio Venezia Nuova, una sintesi aggiornata al 2006, gli eddytoriali n. 96 e n. 103, nonchè i numerossissimi materiali oispitati nella cartella sul MoSE.

13 luglio 2007

Mose, richiesta dei danni ai «dissidenti»

Il Consorzio Venezia Nuova chiede i danni ai dissidenti. Tre ingegneri autori del progetto alternativo al Mose (Vincenzo Di Tella, Paolo Vielmo e Giovanni Sebastiani) sono stati citati a giudizio dal pool di imprese che sta costruendo le dighe mobili. La causa partirà nei prossimi giorni e l’accusa a carico degli ingegneri è quella di «accanimento mediatico»: dichiarazioni e dati che avrebbero compromesso l’immagine del Consorzio. «E’ una vergogna, ma siamo sereni e daremo battaglia», dice Di Tella, «sarà l’occasione per far luce sui tanti aspetti oscuri di questa storia».

Il Consorzio si è affidato allo studio Vanzetti di Milano. Che ora porterà gli ingegneri davanti al giudice. Una inizitiva non certo nuova, quella di chiedere i danni agli oppositori. Le imprese che costruiscono il Mose lo avevano già fatto 15 anni fa con Italia Nostra e il suo segretario Riccardo Rabagliati, colpevoli di aver diffuso un manifesto e la locandina del quotidiano il Mondo che sotto il Mose aveva scritto: «Le idiozie che costano miliardi». Poi con Aurelio Foscari, commercialista veneziano da sempre critico sul progetto Mose. E più di recente con Carlo Ripa di Meana, ex presidente di Italia Nostra e candidato sindaco per i Verdi-colomba nel 2005. E infine con Carmelo Spagnuolo, geometra padovano che da decenni si batte per denunciare la pericolsoità delle grandi dighe, dal Vajont al Mose.

Adesso tocca agli ingegneri. Da tempo Di Tella, che ha lvorato per la Tecnomare e costruito decine di sistemi off-shore in tutto il mondo, rappresenta una spina nel fianco per il Mose e i suoi progettisti. Il suo progetto delle «paratoie a gravità» è stato scelto dagli esperti del Comune come una delle alternative più credibili (e meno costose) al Mose. Nel novembre scorso proprio i rapporti tecnici di Di Tella sulle criticità del progetto erano stati alla base del dossier consegnato al governo dal sindaco Cacciari. Si metteva l’accento allora sui «rischi strutturali» del Mose, sulle difficoltà di manutenzione subacquea dei connettori e delle cerniere, sulla pericolosità dei tunnel sottomarini. E sul fatto che la «paratoia si può rovesciare». Studi che insieme a quelli riportati nella Valutazione di Impatto ambientale del 1998 - che aveva bnocciato il progetto - erano stati consegnati ai ministri. «Occorre modificare quel progetto e valutare bene le alternative», aveva detto il ministro per l’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. Ma poche settimane dopo il Comitatone aveva spazzato via ogni dubbio. Con la fiducia imposta da Prodi si era votato a maggioranza per continuare i lavori, contro il parere del Comune e di tre ministri. Che avevano rilanciato molte delle critiche messe nero su bianco dagli ingegneri. Adesso quelle critiche finiranno in Tribunale, con la richiesta di danni firmata dal Consorzio. Una iniziativa che suscita malumori anche in ambienti vicini allo stesso Consorzio.

Ma intanto i lavori del Mose vanno avanti. Le imprese sperano in una nuova tranche di finanziamenti dal Cipe per proseguire nella tabella di marcia che prevede il completamento delle opere per il 2012. Per ora, ultimate le opere preliminari e la sistemazione dei fondali (con i materassi filtranti Maccaferri ricoperti di pietrame), stanno per partire gli scavi e la costruzione dei cassoni in calcestruzzo a Santa Maria del Mare.

14 luglio 2007

«Denuncino anche me»

Mose, Cacciari attacca il Consorzio Venezia Nuova

«Voglio esprimere tutta la mia solidarietà all’ingegnere Di Tella. Quella di fargli causa è stata una scelta insensata. Lui non ha mai offeso nessuno ma esposto con grande competenza le sue tesi alternative al Mose, che il Comune peraltro condivide». Si arrabbia, il sindaco Cacciari, quando legge la notizia pubblicata dalla Nuova. «Il Consorzio Venezia Nuova chiede i danni agli autori dei progetti alternativi al Mose». Una citazione civile e una richiesta di danni, che il pool di imprese ha affidato a due avvocati di Milano, Adriano Vanzetti e Giulio Sironi, e ai loro referenti veneziani Francesco Rossi e Sergio Camerino. La critica al Mose finisce dunque in Tribunale. Non è la prima volta, dopo le denunce a Italia Nostra, Stefano Boato, Aurelio Foscari, Carlo Ripa di Meana, Ottavio Spagnuolo. E le denunce penali ai comitati No Mose. Ma stavolta l’accusa è quella di «accanimento mediatico». Gli ingegneri avrebbero insistito più volte con le loro critiche al sistema Mose, anche con articoli e lettere ai giornali. «Ma che significa? E’ ridicolo», sbotta il sindaco, «a questo punto denuncino anche me, il ministro dell’Ambiente, e tutti coloro che criticano il Mose».

Intanto Di Tella, insieme agli ingegneri Paolo Vielmo e Giovanni Sebastiani, preparara la linea difensiva. E si affida ad avvocati di lustro, come Cesare Galli, Mariella Melandri e Massimo Donadi. La curiosità è che Donadi, avvocato civilista mestrino, è anche senatore di Italia dei Valori e segretario veneto del partito di Antonio Di Pietro. Il ministro delle Infrastrutture che è di fatto il committente del Mose e dei lavori del Consorzio Venezia Nuova. E che ha insistito perché le alternative - proposte dal Comune e dagli ingeneri denunciati - venissero bocciate.

«In questo caso faccio l’avvocato», dice Donadi, «ho accettato perché sono convinto che questa sia una causa giusta. Il mio assistito ha esercitato un suo legittimo diritto di critica. Piuttosto qui si tenta di mettere a tacere le voci di dissenso. Con questa iniziativa molto grave che costringe uno stimato professionista a spendere soldi per gli avvocati. Sono evidenti gli effetti intimidatori. Ed è paradossale che tutto questo venga fatto dal Consorzio con soldi pubblici».

Insomma la polemica divampa. Perché il concessionario che sta costruendo il Mose, criticato da più parti e in sede tecnica anche da molti ingegneri, ha scelto la linea dura. Secondo alcuni osservatori questo potrebbe essere dovuto a un momento di difficoltà. Se i lavori provcedono alle tre bocche di porto, infatti, le contestazioni non si placano. E adesso i fondi della Finanziaria 2008 (550 milioni di euro necessari a continuare gli interventi) sono stati cancellati dal ministro dell’Economia. Difficoltà di bilancio e forse anche un’eco alle critiche avanzate due mesi fa dalla Corte dei Conti ai sistemi di finanziamento del Mose e del Ponte di Messina. «Magari fosse vero», commentano i comitati dell’Assemblea permeanente No Mose, «forse siamo ancora in tempo a bloccare lo scempio ambientale della laguna. Lo scavo dei canali, le colate di cemento, le barene a gradoni per ospitare milioni di metri cubi di fanghi scavati».

Quanto alla denuncia ai tre ingegneri, l’Assemblea annuncia iniziative clamorose. Come un’azione legale collettiva «per chiedere a progettisti ed esecutori delle opere i danni già fatti e quelli che si faranno, documentati dall’Osservatorio naturlaistico del Comune di Venezia». «Esprimiamo anche a nome dei 12.500 firmatari della petizione solidarietà con quelle persone che hanno avuto il coraggio di dire quello che moltissimi cittadini pensano: Il Mose, «Macchina Obsoleta Succhia Euro» è un’opera inutile e dannosa che serve solo a chi la fa».

Intanto il taglio dei finanziamenti al Mose mette in dubbio anche la sua conclusione prevista dal contratto per il 2012. Ipotesi cper cui le imprese sono pronte a chiedere i danni.

La notarile ricostruzione cronachistica, effettuata dall'ex ministro Pietro Lunardi, del processo decisionale che ha portato all'apertura dei cantieri per la realizzazione del Mo.SE., e al furibondo avanzamento dei lavori intercorso, e tuttora in essere, è, sotto il profilo formale, ineccepibile, e quindi incontestabile.

Sotto il profilo del merito, si dovrebbe, innanzitutto fare presente che ben tredici anni or sono il Parlamento nazionale, cioè l'organo attraverso cui si esprime la sovranità popolare nel nostro Paese, aveva deciso di superare radicalmente il sistema della "concessione unica", dello Stato al Consorzio Venezia Nuova, di ogni competenza afferente agli studi, alle ricerche, alle sperimentazioni, alla progettazione degli interventi, alla realizzazione delle opere, riguardanti il riequilibrio idrogeologico della laguna di Venezia, l'arresto e l'inversione dei processi di degrado del bacino lagunare, la difesa degli insediamenti urbani lagunari dalle "acque alte" eccezionali. "Concessione unica" che era stata, inizialmente, conferita in base alla legge 29 novembre 1984, n.798,, e grazie alla quale un consorzio di imprese di diritto privato è divenuto, grazie alle enormi risorse (erogategli dallo Stato) di cui poteva disporre, padrone pressoché incontrastato degli studi attinenti la Laguna veneziana, della progettazione delle opere da effettuarsi in essa, del controllo della validità dei primi e della seconda, asservendo, in termini addirittura patetici, ai propri obiettivi e ai propri interessi, gli organi decentrati (il Magistrato alle acque di Venezia) e quelli centrali delle amministrazioni statali.

Il comma 11 dell'articolo 12 della legge 24 dicembre 1993, n.527, recitava infatti che

"Il Governo è delegato ad emanare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, diretti a razionalizzare l'attuazione degli interventi per la salvaguardia della laguna di Venezia con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) separare i soggetti incaricati della progettazione dai soggetti cui è affidata la realizzazione delle opere;

b) costituire, d'intesa tra lo Stato e la regione Veneto, ai fini della attività di studio, progettazione, coordinamento e controllo, una società per azioni con la partecipazione maggioritaria dello Stato nonché della regione Veneto, della provincia di Venezia ovvero della città metropolitana se costituita, dei comuni di Venezia e di Chioggia e di altri soggetti pubblici utilizzando a tal fine i finanziamenti recati da leggi speciali inerenti allo scopo;

c) conferire alla costituenda società i beni da individuare con provvedimenti delle competenti Amministrazioni, e ridefinire le concessioni di cui all'articolo 3 della legge 29 novembre 1984, n.798".

Per il vero, nell'immediato il Governo (Ciampi) ottemperava alla volontà e al mandato del Parlamento, ed emanava il decreto legislativo 13 gennaio 1994, n.62. Alle cui disposizioni più di un Ministro avrebbe dovuto, conseguentemente, dare concreta attuazione, con propri atti. Cosa che i Ministri interessati, facenti parte del Governo (Berlusconi) nel frattempo subentrato, si guardavano bene dal fare: senza, se vogliamo dirla tutta, essere richiamati a compiere il proprio dovere né dalla Regione Veneto (governata dal centrodestra), nè dalla Provincia di Venezia (governata dal centrosinistra), né dal Comune di Venezia (governato dal centrosinistra), né dal Comune di Chioggia (governato prima dal centrodestra e poi dal centrosinistra).

C'è, a ogni buon conto, da considerare che le citate disposizioni di legge non sono mai state abrogate, per cui del relativo inadempimento potrebbero essere chiamati a rispondere i competenti Ministri degli ulteriormente subentrati Governi Prodi, D'Alema, Amato, e nuovamente Berlusconi, e se si vuole nuovamente Prodi. Chiamati a rispondere come? Se un impiegatucolo dell'anagrafe comunale si rifiuta di consegnarmi il certificato di nascita commette il reato di omissione di atti di ufficio, ed è passibile delle sanzioni di cui al relativo articolo del codice penale. Se un generale compie atti contrari alla volontà espressa dal Governo, o non provvede a quanto dallo stesso Governo ordinatogli, è definito (anche dai media) "fellone", ed è passibile delle sanzioni, variabili in rapporto alle diverse fattispeci concrete, di cui ai relativi articoli del codice penale militare (di pace o di guerra). E se un Ministro (cioé un componente di quello che il notorio estremista Charles-Louis de Secondat barone de La Brède e de Montesquieu ha definito come "esecutivo") omette di "eseguire" ciò che è stato deciso dal Parlamento (cioè da quello che lo stesso pericoloso sovversivo francese ha chiamato "potere rappresentativo", della volontà popolare democraticamente espressasi)? Si "lascia perdere"? si "chiude un occhio"? questo sì a me pare porre il problema "necessario e urgente" di "un approfondimento concettuale su cosa sia la democrazia in un Paese civile"!

Sempre sotto il profilo del merito, si potrebbe, e dovrebbe, poi, fare presente che la Valutazione di impatto ambientale nazionale dell'intero progetto del Mo.SE., svoltasi in conformità alla legislazione italiana ed europea, si era conclusa negativamente. Che tali conclusioni sono state inficiate da una sentenza della giustizia amministrativa afferente soltanto questioni formali, anzi formalistiche. Che, anziché richiedere che fossero sanate, ove possibile, le suddette irregolarità formali, oppure fosse effettuata una nuova Valutazione di impatto ambientale nazionale dell'intero progetto, si è proceduto, con riferimento a quella che risulta essere la più rilevante "grande opera" italiana, e una delle maggiori europee, con Valutazioni di impatto ambientale regionali, relative a singoli stralci progettuali.

Ancora sotto il profilo del merito, si potrebbe, e dovrebbe, tenere presente che il parere del Comune di Venezia, formulato in data 3 aprile 2003 al "Comitato di indirizzo coordinamento e controllo", e favorevole "allo sviluppo della progettazione esecutiva ed alla conseguente realizzazione delle opere" del Mo.SE., è stato espresso dal Sindaco di quel Comune, Paolo Costa, in evidente "eccesso di delega" rispetto a quanto votato dal Consiglio dello stesso Comune pochi giorni addietro. Sullo stesso argomento, all'epoca della vituperata (talvolta motivatamente: epperò...) "Prima Repubblica", per molto, ma molto, meno, i Sindaci venivano mandati a casa in poche ore. All'epoca del predominio dei Cacicchi, invece, il succitato Sindaco concluse (seppure tra i brontolii, e le figuracce) il suo mandato, senza che le "frange interne" al centrosinistra (i soliti "verdi" e "rifondatori del comunismo") il cui "ricatto" sarebbe, oggi, così, "vincolante", facessero sentire la loro voce con un minimo di risolutezza. Anche questa vicenda, francamente, a me pare porre il problema "necessario e urgente" di "un approfondimento concettuale su cosa sia la democrazia in un Paese civile"!

Infine, sotto il profilo del merito, si potrebbe, e dovrebbe, non ignorare il fatto che il "positivo parere del Ministero per i beni e le attività cultarali del 3 dicembre 2003", espresso dal competente Comitato di settore contraddicendo un precedente parere del soprintendente locale, è stato recentemente accusato dai rappresentanti delle associazioni e dei singoli cittadini aderenti all'Assemblea permanente "NO Mo.SE." di essere fondato su di "un vero e proprio falso".

Quanto sopra basti, per quel che riguarda la cronaca (o, per darsi un po' di importanza, la storia) degli eventi passati.

Per quel che riguarda il presente, si devono fare i conti, tra l'altro, con una risoluzione, rammentata e parziamente riportata dall'ex ministro Pietro Lunardi, della VIII Commissione della Camera dei Deputati, in cui il Governo è impegnato “a prendere immediatamente tutte le necessarie iniziative volte ad evitare che siano realizzate quelle parti del progetto che prevedono lavori non coerenti con eventuali modifiche o che portino il Mo.SE ad uno stadio di irreversibilità". Che cosa si vuole, affinché il Governo si senta effettivamente "impegnato" dagli orientamenti del Parlamento? che la risoluzione sia fatta propria dall'aula della Camera dei Deputati? che sia approvata anche dal Senato della Repubblica? i parlamentari convinti della bontà delle ragioni che supportano quella risoluzione si diano da fare!

Ma non avrebbe dovuto essere sufficiente, per bloccare il proseguimento della realizzazione del Mo.SE., già un bel po' di mesi or sono, quanto in proposito affermato dal programma dell'"Unione" (non di sue "frange interne" , più o meno estremiste)? dal quale programma avrebbero dovuto sentirsi vincolati il Presidente Romano Prodi, e tutti i Ministri del suo Governo, e tutti i parlamentari eletti nelle liste collegate nell'"Unione"? davvero, ha ragione l'ex ministro Pietro Lunardi: la vicenda del Mo.SE (assieme a mille altre, ma tant'è...) mostra quanto sia "necessario e urgente un approfondimento concettuale su cosa sia la democrazia in un Paese civile".

Nel 1981 un gruppo di eminenti tecnici, adempiendo all’incarico affidatogli dal Ministro dei lavori pubblici, consegna al Ministro stesso uno “Studio di fattibilità e progetto di massima” per la “Difesa della laguna di Venezia dalle acque alte”. Il Ministro provvede a inoltrarlo, oltre che alla Commissione per la salvaguardia di Venezia e al Consiglio superiore dei lavori pubblici, anche al Comune di Venezia, intendendo acquisire il parere in merito degli enti locali interessati.

Nei mesi successivi si pronunciano la Commissione per la salvaguardia di Venezia, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, il Consiglio comunale di Venezia e quello di Chioggia, tutti in termini non sfavorevoli, ma parimenti esprimendo osservazioni critiche, e richieste di più complessivi inquadramenti nonché dello svolgimento di ulteriori ricerche.

Intanto, da più parti, si è auspicato, al fine di ottenere una celere realizzazione degli interventi in laguna, che si proceda all’esecuzione delle opere attraverso l’istituto della “concessione”. In tale prospettiva si costituisce il Consorzio Venezia Nuova [1]. Il 18 dicembre 1982 viene stipulato tra il Magistrato alle acque di Venezia, per conto del Ministro dei lavori pubblici, e tale consorzio, una concessione, a seguito della quale il consorzio avrebbe dovuto provvedere ad attuare parte degli studi, delle ricerche, delle sperimentazioni richieste dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonché a realizzare il tratto centrale del previsto sbarramento fisso alla bocca di porto di Lido. Il 15 luglio la Corte dei conti nega il visto di esecutività al decreto di approvazione della concessione, eccependo, sostanzialmente, che, ai sensi delle leggi vigenti, “le concessioni di sola costruzione possono essere affidate a trattativa privata […] soltanto quando ciò sia espressamente consentito da una norma speciale”, mentre ordinariamente è previsto che “l’affidamento avvenga previo esperimento di una qualche forma di gara”, e che “la concessione considerata non contempla l’esercizio delle opere da realizzare” e pertanto “e da ritenersi di sola costruzione”. La vicenda, che viene conosciuta soltanto a seguito dell’intervento della Corte dei conti, e grazie a esso, suscita nuove polemiche. In particolare, l’onorevole Bruno Visentini, presidente nazionale del PRI, scrive [2]: “a dieci anni dalla legge speciale di Venezia, i problemi della tutela fisica della città storica […] sono rimasti non risolti. Si parla ora di affidare in concessione a un consorzio di imprese […] il compito di realizzare quanto è necessario: iniziando, a quanto pare, da un incarico per ulteriori studi e progetti […] e continuando con l’incarico per la realizzazione delle opere […] Ma se si procedesse in questo modo si incorrerebbe in alcuni fondamentali errori di metodo e in alcune inammissibili elusioni di competenze decisionali.

"L’incarico non può avere per oggetto le scelte sull’avvenire della laguna […] Tali scelte spettano all’organo politico […] Sembra infine che gli ulteriori studi da effettuare, le ricerche da svolgere e le sperimentazioni da compiere […] nonché i controlli tecnico-scientifici sugli interventi […] non possano essere affidati al medesimo concessionario della realizzazione degli interventi, ma debbano essere attribuiti a soggetto diverso, che abbia grande autorità e sia capace di porsi in aperta dialettica con il concessionario”.

Le polemiche rimbalzano in seno alla IX Commissione della Camera dei deputati, che ha all’esame alcune proposte di risoluzione su Venezia, presentate dalla DC, dal PCI e dal PRI. Alla fine, il 27 ottobre 1983, la Commissione vota all’unanimità una risoluzione che, seppur elusiva circa il nodo dell’affidamento degli studi, delle sperimentazioni, e della realizzazione delle opere, impegna il Governo da un lato “a presentare entro tre mesi un rapporto globale sullo stato degli interventi per la salvaguardia di Venezia” e dall’altro “a definire, sentiti gli enti locali interessati, un programma unitario e globale degli interventi”.

Il Ministro dei lavori pubblici, il socialdemocratico Franco Nicolazzi (che circa un decennio appresso, all’epoca dell’inchiesta “Mani Pulite”, sarà condannato con sentenze passate in giudicato), non se ne dà per inteso, e men che mai si preoccupa delle critiche rivolte al tentato uso dell’istituto della concessione. Il 24 febbraio 1984, infatti, viene stipulata, tra il Magistrato alle acque di Venezia e il Consorzio Venezia Nuova, una seconda convenzione, aggiustata in maniera da superare le obiezioni formali mosse dalla Corte dei conti alla precedente, ma non dissimile da quest’ultima nei contenuti, e ancor meno nella “filosofia”; questa volta il relativo decreto è registrato, in data 10 marzo 1984.

Tra il febbraio e il luglio del 1984 si succede la presentazione alla Camera dei deputati di vari disegni di legge volti a integrare la legislazione speciale per Venezia: dapprima uno del PRI, quindi uno della DC, del PSI e del PSDI, infine uno del PCI. Il 3 ottobre 1984 la IX Commissione della Camera dei deputati, dopo vivaci alterchi e concitate mediazioni, giunge ad approvare all’unanimità, in sede legislativa, un testo che, approvato anche dalla competente commissione del Senato, sempre in sede legislativa, diviene la legge 29 novembre 1984, n.798.

Quanto agli obiettivi degli interventi sulla laguna, la nuova legge stabilisce che questi ultimi devono essere “volti al riequilibrio della laguna, all’arresto e all’inversione del processo di degrado del bacino lagunare e all’eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all’attenuazione dei livelli delle maree in laguna, alla difesa con interventi localizzati delle insulae dei centri storici, e a porre al riparo gli insediamenti urbani lagunari dalle acque alte eccezionali, anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolamentazione delle maree”.

E’ con ciò pienamente assunta, e puntualmente descritta, la “logica” che era stata espressa nei disegni di legge del PRI e del PCI, e sostenuta anche dal PLI.

In ordine alle modalità di realizzazione degli interventi si precede la costituzione di uno speciale Comitato, composto dal Presidente del consiglio, dai ministri interessati e dai rappresentanti della Regione del Veneto e degli enti locali territorialmente competenti sulla laguna, cui “è demandato l’indirizzo, il coordinamento, e il controllo”, ma che non è espressamente sancito debba, per assolvere i suoi compiti, preliminarmente definire quel “piano unitario e globale degli interventi” che era indicato nei disegni di legge del PRI e del PCI, ed era stato ripetutamente richiesto. La previsione del predetto Comitato, e i compiti, generali e specifici, che gli sono affidati, sono quindi soltanto la premessa logica e istituzionale dalla quale partire per ottenere la formazione di tale “piano unitario e globale”.

Per il resto viene normativamente fondata la possibilità di affidare la realizzazione degli interventi in concessione, ma non si definiscono i lineamenti di quest’ultima, limitandosi a prevedere che il Comitato di cui s’è detto si pronunci sulle connesse convenzioni, si demanda a un decreto del Ministro dei lavori pubblici la precisazione (seppure “sulla base delle convenzioni” decise dal Comitato) “delle modalità e delle forme di controllo sull’attuazione delle opere affidate in concessione”, e infine, e soprattutto, non solamente non si precisa che gli studi, le ricerche, le sperimentazioni debbono essere affidate a soggetti diversi dall’esecutore concessionario delle opere, ma si fa esplicita menzione della concessione “in forma unitaria” sia degli interventi che degli studi e delle progettazioni.

Il problema viene risollevato, un po’ di anni appresso, da Antonio Cederna, che era stato eletto alla Camera dei deputati, nelle liste del PCI, come indipendente di sinistra, nella X legislatura, iniziata il 2 luglio 1987 e terminata il 22 aprile 1992.

Egli, quando quasi volgeva al termine il suo mandato parlamentare, si convinse della necessità di un forte intervento di integrazione e di coordinamento della legislazione speciale per Venezia, e decise di presentare una propria proposta di legge rivolta a tal fine, la quale, sottoscritta anche da Ada Becchi e da Franco Bassanini (entrambi appartenenti, come Cederna, al gruppo della Sinistra indipendente), fu presentata il 2 aprile 1991.

Nella relazione illustrativa della proposta, premesso che il “faticato procedere delle azioni e degli interventi che, secondo la volontà del legislatore, avrebbero dovuto assicurare la salvaguardia di Venezia e della sua laguna […] è stato largamente insoddisfacente […], sicuramente e marcatamente, per quanto attiene alla tutela dell'integrità fisica […] del territorio lagunare”, si sostiene che “la ragione prima ed essenziale del procedere inceppato e sussultorio delle azioni e degli interventi dianzi detti […] risiede nel non compiutamente risolto confronto tra due approcci, due modelli, due logiche. Semplificando al massimo: tra una logica sostanzialmente meccanicistica, che tende a isolare i problemi (o tutt'al più a riconoscere tra essi nessi estremamente semplificati) e a dar loro soluzioni indipendenti e fortemente ingegneristiche, e una logica, per così dire, sistemica, che chiede di evidenziare le correlazioni tra tutte le dinamiche in atto, e quindi tra tutti i problemi da affrontare, e pertanto pretende una predefinizione globale, e costantemente ricalibrabile, di tutti gli interventi e le azioni da prevedersi, per collocarle in sequenze temporali che ne garantiscano ed esaltino le sinergie positive”.

Occorre quindi, prosegue la relazione, “chiarire quale sia il vero nodo da sciogliere: non procedimentale, ma di merito. Il che non nega affatto che sia necessario ridisegnare l'attuale meccanismo decisionale e operativo degli interventi e delle azioni per Venezia […]. Piuttosto, evidenzia come tale ridisegno, per essere efficace, non possa essere neutro, ma, al contrario, debba essere, finalmente, coerente e funzionale al pieno e incontrovertibile affermarsi dell'approccio sistemico ai problemi del territorio veneziano”. Inoltre, soggiunge, non si ritiene opportuno “inventare nuovi e straordinari soggetti (che tendono, di norma, a dare pessime prove)”, ma invece si reputa doversi “assumere come riferimento il modello ordinariamente configurato, per le autorità di bacino di rilievo nazionale, dalla legge 18 maggio 1989, n.183”, sulla “difesa del suolo”, della cui definizione Cederna era appena stato primario protagonista. Che è quello che fa la proposta di legge, istituendo l'autorità di bacino di rilievo nazionale della laguna di Venezia, indicandone l'ambito territoriale di competenza, e dettando, per essa, alcune disposizioni particolari.

Particolarmente rilevante risulta il fatto che, pur non escludendo che “sia le amministrazioni dello Stato che la Regione Veneto, che gli altri enti pubblici interessati, possano fare ricorso per la realizzazione di quanto rientri nelle rispettive competenze a concessioni a soggetti idonei sotto il profilo tecnico e imprenditoriale”, si afferma perentoriamente che “l'ambito del concedibile viene […] ristretto alla realizzazione di opere ed eventualmente alla loro gestione […], nella ferma convinzione che non possa né debba essere concessa (soprattutto dal momento in cui si costituisce un nuovo soggetto istituzionale dotato di propri robusti supporti scientifici, tecnici e operativi), in blocco e per di più allo stesso soggetto concessionario della realizzazione delle opere, l'effettuazione degli studi e delle ricerche preliminari e la progettazione (cioè, di fatto, la pianificazione e la programmazione degli interventi e delle azioni)”.

Per il vero, anche se la proposta di legge di Cederna per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna non riuscì neppure a iniziare il suo iter parlamentare, il Parlamento nazionale, pochi anni appresso, decise almeno di superare radicalmente il sistema della "concessione unica", dello Stato al Consorzio Venezia Nuova, votando il comma 11 dell'articolo 12 della legge 24 dicembre 1993, n.527.

Ma questa è un’altra storia, che è già stata raccontata.

[1] Del quale, salvo errori od omissioni, inizialmente entrano a far parte (le cifre fra parentesi indicano la percentuale di partecipazione): Condotte d’acqua (20%); Impresit (20%); Fincosit (20%); Sacug (15%); Lodigiani (5%); Consorzio S.Marco-Furlanis, Grassetto, CIR, Maltauro, Cosma, Vittadello, Sacaim, Codelfa, CCC (15%); consorzio Rialto-Foccardi, Scuttari, Boscolo, Busetto, Ferrari, Cop. San Martino, Rossi (5%).

[2] Bruno Vicentini, Venezia: i “progettini” rinviano il salvataggio, nel Corriere della Sera del 26 ottobre 1983.

«Il Consorzio Venezia Nuova è un concessionario unico che è il controllore di se stesso. Un monopolio che non ha più ragione di esistere, che rischia di portare a gravi illiceità. E il Magistrato alle Acque sembra ormai lo zerbino del Consorzio». Il senatore Felice Casson interroga il suo ex collega magistrato, il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro. Ponendogli in termini piuttosto duri la questione della concessione unica. Abolita dalla legge 109 del 1994 e poi dalla 206 del 1995. Ma per il Mose ancora valida.

Un testo piuttosto duro, quello depositato ieri a Palazzo Madama dall’ex pm veneziano. Che di procedure se ne intende, e ora chiede ai ministri Antonio Di Pietro (Infrastrutture), dell’Ambiente (Alfonso Pecoraro Scanio) e dell’Università (Fabio Mussi) di rispondere urgentemente in aula alle sue domande. «La concessione unica al Consorzio Venezia Nuova», scrive Casson, insieme alla presidente della commissione Ambiente del Senato Anna Donati e al senatore dei Ds Edo Ronchi, «dovrebbe ritenerei revocata per effetto della legge 206 del 1995». L’articolo 6 bis di quella legge prescriveva infatti l’abrogazione dei due commi della Legge Speciale (il terzo e quarto dell’articolo 3 della legge speciale del 1984), ritenendo salvi gli atti adottati e gli effetti prodottisi».

«Ma la legge è stata aggirata», accusa l’ex magistrato, che da pm aveva anche indagato sul Consorzio, «tramite la stipula di nuove convenzioni, surretiziamente formalizzate come atti aggiuntivi all’originaria concessione del 1991». Questo nonostante siano mutati i componenti e le imprese del Consorzio, con la capofila Impregilo che ha ceduto le sue quote alla padovana Mantovani. Contro questa situazione venne presentato un reclamo di Italia Nostra, ma il richiamo è stato archiviato. E intanto «il Consorzio resta nella sua posizione di monopolio, creando tutte le condizioni per essere il controllore di se stesso». Non basta, perché secondo il senatore, «in questa situazione vengono condizionate le istituzioni dello Stato come ad esempio il Magistrato alle Acque, ridotto a pochissime unità attive, oltre che il mondo produttivo e quello dellea ricerca, nonché le forze socili e amministrative».

Insomma, una situazione, continua Casson «ormai messa al bando da ogni ordinamento del mondo occidentale perché contrasta con i più elementari principi di trasparenza. Situazione non più accettabile perché genera un vulnus gravbissimo nell’ambito della concorrenza e del rispetto della legalità». E’ necessaria dunque una separazione tra controllori e controllati, soprattutto nell’attività di monitoraggio e controllo.

Una tesi sostenuta anche dal sindaco Massimo Cacciari all’ultimo Comitatone. Ieri sera ospite della trasmissione di Beppe Severgnini a Sky, Cacciari ha ribadito la sua contrarietà al progetto Mose. «Costa 4 miliardi e 200 milioni di euro, e ha assorbito tutte le energie per la salvaguardia», ha detto, rilanciando l’ipotesi delle alternative e delle modifiche al progetto. Alternative che erano state bocciate dopo una valutazione negativa del Magistrato alle Acque e del suo concessionario unico, il Consorzio Venezia Nuova.

Qualcuno lo predica da anni. Si veda, ad esempio, Luigi Scano 1985 , eddyburg 2004, eddyburg 2006 , Luigi Scano 2006 .

«Spero che le leggi dello Stato italiano valgano anche a Venezia. I cantieri per la prefabbricazione del Mose che sono stati aperti negli ultimi mesi in laguna non sono mai stati autorizzati e per questo il Ministero dell’Ambiente, con il suo direttore generale, si è già attivato scrivendo al Magistrato alle Acque. Di quei progetti non si è mai discusso nemmeno nell’ultimo Comitatone e su di essi è necessaria la Valutazione d’impatto ambientale». Parole del ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio che annunciano una “bomba” destinata a scoppiare in laguna.

La lettera del Ministero è già partita e arriverà tra qualche giorno, ma segue le azioni già avviate dal Comune e la lettera scritta dalla stessa Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici. L’oggetto sono gli enormi cantieri aperti a Santa Maria del Mare, tra la spiaggia e quel che resta del molo sud. Una piattaforma in cemento di quasi 200 mila metri quadrati che dovrebbe servire a costruire i cassoni in calcestruzzo da mettere sui fondali delle tre bocche porto per sostenere le paratoie. Un cantiere per cui da mesi Comune e Soprintendenza discutono. Manca l’autorizzazione paesaggistica, obbligatoria per legge, dal momento che il progetto attuale non era inserito in quello approvato nel 2003 dalla commissione di Salvaguardia. Niente permessi e niente verifica di impatto ambientale nazionale per una struttura gigantesca, sorta in pochi mesi in un’area delicata e tutelata dalle normative europee, che dovrà ospitare la betoniera più grande d’Europa. Una situazione segnalata più volte anche alla Procura. La linea del Magistrato alle Acque è sempre stata quella che si tratta di cantieri provvisori e che, come tali, non necessitano della Via, ma la Commissione di Salvaguardia, circa un mese fa, ha respinto al mittente il progetto per la costruzione nella zona di un villaggio per circa 400 operai impegnati nei cantieri proprio perché fa riferimento a un’opera - quella dei cassoni prefabbricati - per cui non è stata chiesta nessuna autorizzazione.

«Che quei cantieri non siano mai stati autorizzati è ormai noto - commenta il sindaco Massimo Cacciari - noi lo abbiamo detto, facendo i nostri passi e la Soprintendenza lo ha scritto. Ora si è mosso ufficialmente il Ministero dell’Ambiente e speriamo che qualcuno si decida ad andare in sopralluogo a controllare», In questo caso, a fronte della mancanza di autorizzazioni, potrebbe scattare anche il blocco dei cantieri e la lettera del Ministero dell’Ambiente chiede al Magistrato alle Acque di fermarsi in assenza di autorizzazioni. Ma Pecoraro Scanio è tornato anche sul problema del controllo dei cantieri del Mose, per il quale si chiede da tempo un organismo terzo. «Spero che il Ministero della Ricerca Scientifica - ha detto ieri il titolare dell’Ambiente - si attivi finalmente in questo senso. Sono per spendere bene i soldi dei contribuenti: il Mose fa parte della categoria delle cose fatte male. Gli scienziati, con i mutamenti climatici in corso, confermano che si vuole insistere su un progetto vecchio mentre ci sono tante altre alternative valide. Il Ministero dell’Ambietne proporrà che sino all’ultimo momento, si possa tornare indietro su scelte sbagliate».

«Il Mose, con le dovute, cautele va avanti. E qui mi fermo, perché il resto lo deve dire chi ne ha la compentenza». Oggi arriva in laguna la commissione europea per le Petizioni, per aprire un’istruttoria sulla grande opera. Ma il ministro Rutelli ribadisce: «L’opera non si ferma».

Con molta prudenza, il vipremier ha ribadito ieri a Ca’ Farsetti che l’iter del Mose è stato approvato dal governo. Nonostante il parere contrario del Comune e del sindaco Cacciari. Un tema su cui le opinioni sono molto diverse. In campagna elettorale Rutelli aveva garantito: «Sul Mose faremo come dice Cacciari». Poi le cose sono andate diversamente. E il Comitatone (Rutelli assente) ha approvato la mozione proposta da Prodi, con il voto contrario del Comune e dei ministeri della Ricerca scientifica e dell’Ambiente.

Adesso lo scontro si è spostato sui controlli. Chi fa i monitoraggi dei cantieri e delle opere realizzate? Insomma, chi va a verificare che i progetti esecutivi siano in reagola e che i lavori corrispondano ai progetti esecutivi? E poi chi verifica le conseguenze sull’ambiente di interventi che hanno già modificato le correnti, oltre che il paesaggio e l’equilibrio lagunare? Ecco la richiesta ribadita dal sindaco all’ultimo Comitatone presieduto da Enrico Letta. Ed ecco la richiesta di verifiche più puntuali sula legittimità dei cantieri aperti. Tre in particolare - quelli di Santa Maria del Mare, Ca’ Roman e Alberoni - non risultano avere il permesso della Sorpintendenza e della commissione di Salvaguardia. A Santa Maria del Mare un’isola - Il Consorzio sostiene che si tratta doltanto di sabbia e di una struttura rimovibile - di quasi 200 mila metri quadrati, dove sorgerà presto l’impianto per la produzione del cemento più grande d’Europa. Una realtà contro cui l’Assemblea No Mose comincerà oggi a distribuire volantinio a Pellestrina. «Finora avevano scherzato», si legge nei volantini, «adesso sta per arrivare la cemetificazione totale dei fondali della laguna». Una realtà in ebollizione, su cui mentre il governo prende tempo prova a far luce l’Unione europea. Arriva oggi in laguna una delegazione ufficiale della commissione europea per le Petizioni. Che accogliendo l’invito dei comitati e dello stesso sindaco Cacciari intende far luce sulla legittimità dell’opera e sui suoi impatti, sulla regolarità delle procedure e su eventuali punti oscuri dei lavori. A Bruxelles è già stata aperta una procedura di infrazione contro l’Italia per non aver rispettato con i cantiei del Mose i vincoli imposti dalle normative comunitarie sulle aree Sic.

I parlamentari europei raccoglieranno oggi materiale, domani si incontreranno con il sindaco Cacciari. Sui cantieri del Mose «irregolari» Italia Nostra ha inviato una diffida al governo, invitando a «ripristinare la legalità».

VENEZIA. Rutelli non s’è visto. Prodi è scappato in fretta e furia con il suo sottosegretario Enrico Letta. Ma il sindaco Cacciari ha ottenuto la mezza promessa che sui tanti «punti oscuri» del Mose si convocherà una riunione ad hoc del Comitatone. E ha ribadito la richiesta che il progetto attuale, molto diverso da quello del 1991, sia esaminato anche dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici.

Non si doveva parlare del contestato progetto, ieri a palazzo Chigi. Ma alla fine il sindaco si è intrattenuto per un quarto d’ora con il ministro per la Ricerca scientifica Fabio Mussi. Sollecitandogli l’impegno dei «controlli super partes» ai cantieri e alle loro conseguenze sull’ambiente. E ha consegnato a Prodi e agli altri ministri un corposo dossier, completo di fotografie e due memorie sui «punti critici». Archiviata forse con troppa fretta dal governo la questione delle alternative e delle possibili modifiche al progetto Mose, il Comune ha giocato ieri una nuova carta. Nessuna polemica, questo era l’accordo stretto alla viglia tra Cacciari e il sottosegretario alla presidenza Enrico Letta. Così i finanziamenti sono stati ripartiti. Ma certo non si poteva ignorare quello che sta succedendo in laguna. Dopo il via libera deciso nell’ultima seduta, i lavori per la grande opera hanno subìto un’accelerazione. E sono spuntati nuovi e impattanti cantieri. Alcuni, come l’enorme piattaforma in cemento costruita sulla spiaggia di Santa Maria del Mare, anche senza autorizzazione della Soprintendenza. Così nei giorni scorsi il sindaco ha sollecitato i suoi uffici a intervenire. E ieri ha chiesto «una assunzione di responsabilità» da parte della Presidenza del Consiglio. Insomma, il punto centrale è quello del monitoraggio. Chi controlla che i lavori siano regolari e soprattutto quali sono i loro effetti sull’ambiente lagunare, sulle correnti, sul paesaggio?

Nelle due memorie consegnate ieri al governo, destinate a riaprire una questione che qualcuno considerava forse archiviata, si contestano el affermazioni rese dal ministro Di Pietro in Comitatone. «Il progetto attuale è molto diverso da quello del 1991», scrive Cacciari, «ed è stato approvato soltanto dal Comitato tecnico di Magistratura a Venezia». Secondo contestazione, il «monitoraggio degli affetti dei lavori». «Abbiamo atteso pazientemente per 5 mesi e non è successo nulla», scrive Cacciari nella memoria consegnata a Prodi. Ricordando come il Comitatone avesse approvato, a margine della accesa seduta che aveva dato il via libera al Mose (nonostante il parere contrario del Comune e dei due ministeri dell’Ambiente e della Ricerca scientifica) anche un ordine del giorno per stabilire i monitoraggi e i controlli. «Quanto deciso dal Comitato resta del tutto inattuato», conclude il sindaco, «mentre con ogni evidenza, ogni giorno di più, appare necessaria proprio quella azione di attento e scrupoloso monitoraggio degli effetti di tutti gli interventi che in laguna si attuano, condotta da un soggetto terzo». Proposta finale, un Comitatone a questo scopo. Si riaccendono dunque i riflettori sui lavori del Mose. Che nel frattempo hanno trasformato mezza laguna, scavando nuovi canali al Lido e a Malamocco e costruendo cantieri ritenuti «illegittimi» da Soprintendenza, Comune e ministero per l’Ambiente.

La maxi opera in costruzione

VENEZIA. Ieri assente dal tavolo del Comitatone, il protagonista è sempre lui. Il progetto Mose assorbe la gran parte delle risorse e dei finanziamenti per Venezia. Un’opera enorme, del costo stimato di 4270 milioni di euro, manutenzione e gestione escluse. Di questi un terzo sono già stati assegnati al Consorzio Venezia Nuova. Circa un terzo (il 30 per cento) anche i lavori già realizzati, le opere preliminari, i porti rifugio e le conche, gli scavi e i cantieri per i cassoni. Il Mose consiste in 79 paratoie in acciaio di 30 metri per 30, alti cinque, poggiati su cassoni in calcestruzzo. Dovrebbero sollevarsi se riempite d’aria in caso di acqua alta. Per costruire il Mose occorrerà gettare in laguna 8 milioni di metri cubi di cemento. (a.v.)

Vedi anche l' eddytoriale 103

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