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Durissima e documentata critica a tutti quei governanti (nazionali e locali), amministratori, funzionari pubblici, magistrati, esperti che hanno consentito il protrarsi dei finanziamenti al Consorzio Venezia nuova illegittimi dal 1995. Non è necessario "revocare" la concessione, essa non sussiste più., e chi ha sbagliato deve pagare. Inviato a eddyburg il 4 luglio 2014

Molti, a Venezia e nell’intero paese, per eliminare alla radice il centro di tanti comportamenti devianti, propongono di sciogliere il Consorzio Venezia Nuova, credendo forse, in buona fede e data la dimensione e importanza del Mose – e dell’intera Salvaguardia di Venezia e della sua laguna -, che il Consorzio sia pubblico o partecipato dal pubblico, oppure istituito e/o regolato da norme di natura pubblica. Purtroppo quel Consorzio è privatissimo, di totale proprietà privata dei suoi soci, e regolato tutto e solo dalle norme del diritto privato; ed è quindi impossibile (e inutile) pensare di sopprimerlo con decisione pubblica di natura meramente politica.

Più appropriatamente, alcuni discutono e propongono di revocarne la concessione unica (e senza gara) di studi, piani, progetti e lavori (tutto insieme!), concessione di cui il Consorzio, dal 1984, in modo del tutto privilegiato ha goduto e lucrato (e continua a godere e lucrare) ricchissimi frutti ma senza motivo né merito e a spese (costosissime) della laguna e della città, e del pubblico erario.

Idea e proposta che sarebbe corretta, se non fosse che quella concessione, come anche gli interessati sanno benissimo (e però tacciono), per legge è … già invalidata. E dal 1995.

In quell’anno infatti, con il comma 1 dell’art. 6 bis del Decreto Legge 1995 n96 (nel testo modificato dall’Allegato dell’articolo 1 c.1 della Legge di conversione 1995 n206, entrato in vigore l’1 giugno 1995 e tuttora vigente), il Parlamento, dopo aver valutato dieci anni di esperienze (già allora negative) di quel sistema concessionale (voluto e deciso nel 1984 dal Presidente Craxi -e vice Forlani- e dal ministro Nicolazzi -e colleghi DeMichelis e Signorile-) e dopo averne ricevuti giudizi negativi già allora sferzanti della Corte dei Conti, ha dichiarato ‘abrogati i commi terzo e quarto dell’articolo 3 della legge 1984 n798’. Ha cioè abrogato proprio quei commi di legge con i quali, per l’attuazione delle opere statali di riequilibrio e salvaguardia della laguna (opere alle Bocche –barriere mobili comprese-, marginamenti, rinforzi, difese del litorale, interventi di riequilibrio e ripristino, apertura delle valli da pesca, e allontanamento del trasporto di petroli e derivati) era stata autorizzato il ricorso a una ‘concessione … a trattativa privata’ .

Tralasciando qui il non secondario dettaglio che anche nel 1984, ‘a trattativa privata’ non equivaleva a ‘senza gara’ (come invece qualcuno volle intendere, mistificando la legge), ciò che più conta è che dal 1995 non esiste più alcuna norma che consenta atti e disposizioni attuative di concessione a privati, e che, quindi, quella Concessione del 1984 è ormai dal 1995 priva di ogni legittimazione e legittimità. Tanto che quella stessa legge del 1995 non ha chiesto e non ha previsto la necessità di alcun atto di revoca, a quel punto già allora ormai superfluo (in quanto ogni nuovo provvedimento di ulteriore concreto affidamento o finanziamento in concessione sarebbe ormai semplicemente privo di ogni copertura di legge, e quindi illegittimo e annullabile, se non già nullo).

In altre parole, della revoca non c’era e non c’è bisogno, perché quella concessione è, dall’1 giugno 1995, già abrogata e inefficace, avendo perduto il precedente appoggio di legge sulla quale si era basata. Tanto che la stessa legge del 1995 si è preoccupata solo di disporre la norma transitoria di sistemazione di quel (poco) che, con quella concessione, era già arrivato a esecuzione e attuazione tra il 1984 e il 1995: lo stesso Parlamento, con il comma 2 di quello stesso articolo di decreto-legge, ha infatti disposto che ‘restano validi gli atti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base delle disposizioni [abrogate]’.

Disposizione doverosa riguardo agli impegni formali già perfettamente vincolanti assunti verso il privato.

Ma, si badi bene, appunto solo per gli impegni formali già contrattualmente assunti verso il privato e già perfezionati e vincolanti al 31 maggio 1995. Sono fatti salvi, quindi, solo gli impegni già oggetto di regolare atto di convenzione operativa già dotata di copertura finanziaria, ratificata e perfezionata entro il 31 maggio 1995, sulla base delle leggi e dei decreti di finanziamento promulgati ed emessi non oltre il 31 maggio 1995.

Diversamente da come il concessionario, e non pochi ministri e Presidenti del Consiglio (e del Magistrato alle acque, e pure qualche magistrato amministrativo), inconsapevoli o conniventi, hanno voluto credere e leggere (ma forzosamente e senza giustificazione giuridica), tale disposizione transitoria non può valere da illimitata ‘tana liberatutti’; non può valere cioè come recupero della possibilità di affidamento in concessione anche oltre il 31 maggio 1995, di ogni opera e intervento che per qualche appiglio esplicativo, narrativo o logico taluno cerchi di far apparire, a posteriori, come effetto o in connessione con le (poche) opere regolarmente e perfettamente già concesse (con tanto di atti stipulati, impegnativi e vincolanti) prima di quella abrogazione.

In altre parole, il ‘fatti salvi’ e il ‘restano validi’ può essere applicato solo per gli impegni perfezionati e assunti direttamente ed espressamente con le Convenzioni n. 6393, 6479, 6745, 7025, 7138, 7191, 7295, 1568, 1685, 7322 e 7395, sottoscritte tra il 1984 e il 1993, finanziate dalle Leggi 171/1973, 798/1984, 910/1986, 67/1988, 360/1991 e 139/1992, per un importo complessivo massimo di 953,989 milioni di euro (al lordo delle quote riservate, su quegli importi, ai Comuni e alla Regione). E non invece per quanto taluna autorità ha voluto affidare in concessione (senza copertura di legge) con le decine di convenzioni sottoscritte successivamente al 31 maggio 1995 e finanziate tutte da leggi successive al 31 maggio 1995 (ancorchè fosse o sia stato fatto apparire logicamente connesso o materialmente integrato con qualche parte già in precedenza regolarmente concessa e finanziata).

In pratica può esserci legittimazione e regolarità giuridico-amministrativa solo per gli interventi (e i relativi pagamenti) concessi e definiti in modo perfetto e completo fino al 31 maggio 1995, per un valore, tutt’al più, nel complesso, di poco meno di un miliardo di euro (ma da ridurre delle quote di Regione e Comuni). Mentre erano e sono privi di copertura di legge e quindi legittimità tutti gli affidamenti in concessione, tutte le decine di convenzioni (e tutti i relativi pagamenti) sottoscritte dopo l’1 giugno 1995 e appoggiate (ancorchè illegittimamente) su leggi successive a quella data. Sino a oggi per ulteriori oltre 7,7 miliardi di euro (di cui 5,5 circa per il Mose, progetto approvato finanziato e convenzionato dopo il 2002).

E questo, tanto più dopo il persino precedente comma 10 dell’articolo 12 della Legge 537 del 1993 (entrato in vigore l’1 gennaio 1994 e tuttora vigente), che aveva sancito che per tutti gli interventi della Salvaguardia di Venezia e della sua Laguna ‘gli studi, le sperimentazioni, le pianificazioni, le progettazioni di massima, i controlli di qualità dei progetti esecutivi e delle realizzazioni delle opere, i controlli ambientali (anche mediante ispezioni), la raccolta dati e l’informazione al pubblico devono essere svolti in forma unitaria’, e quindi, inevitabilmente, attuati o quanto meno diretti e regolati solo dalla pubblica autorità competente, direttamente e senza più possibilità di affidamento ‘unitario’ in concessione ‘unica’ a privati. Disposizione efficace e cogente da allora, subito, senza bisogno di ulteriori disposizioni o norme delegate (come invece era necessario per il successivo comma 11, che ipotizzava che tali attività e funzioni fossero poi affidate a una nuova società pubblica regionale-statale, per la quale invece espressamente occorrevano ulteriori norme e disposizioni). Tanto che, altrettanto immediatamente, proprio per questo ‘trasferimento’ di cui al comma 10 (‘restituzione’ dal Concessionario all’autorità pubblica concedente e naturalmente competente, di tutte quelle funzioni e attività strategiche, immediatamente cogente, e quindi a prescindere ed anche prima e persino anche senza l’attuazione dell’ipotesi del comma 11), dall’1 gennaio 1994 il comma 12 (tuttora vigente) ha disposto che ‘il corrispettivo per le spese generali previsto dalle concessioni di cui all’articolo 3 della L. 798/1984 è ridotto dal 12 al 6 %’.

Ai giudici qualcuno dovrà finalmente spiegare perché invece, ignorando queste disposizioni, in tutti questi successivi venti anni si è voluto ribadire e proseguire con gli affidamenti in concessione al Consorzio Venezia Nuova, per di più riconoscendogli ‘corrispettivi’ ancora del 12 % invece che del 6 % (per una immotivata regalia a privati, e un sovracosto per il pubblico erario, nel complesso, pari a circa 500 milioni di euro, per la sola differenza tra 12 e 6 %, e pari invece a circa 1000 milioni di euro, considerando l’intero costo dei ‘corrispettivi’ di spese generali di concessione).

Ce n’è che basta per fermare ogni ulteriore atto amministrativo, liquidazione, finanziamento, collaudo delle opere affidate in concessione al Consorzio Venezia Nuova.

Quanto meno fino a che non sarà fatta fino in fondo, nelle ragionerie e nei tribunali, una veritiera ‘resa di conti’

(A meno che qualcuno, anche Presidente o Ministro che sia, a questo punto consapevolmente preavvisato, ugualmente firmando voglia rischiare, in proprio, tutto l’eventuale danno all’erario (e ambientale) che deriverebbe da ulteriori atti che risultassero poi, a un controllo di legittimità finalmente onesto e rigoroso, illegittimi).

Nel frattempo di questa sospensione e ‘resa dei conti’, potremo finalmente verificare, anche rapidamente ma con giudizi veramente esperti e finalmente ‘terzi’, cosa è giusto e cosa è sbagliato (forse non poco), cosa funziona e cosa non funziona (forse molto) del progetto Mose, e come e quanto variarlo e correggerlo in corso d’opera, almeno in quello che ancora (non poco) possiamo correggerlo.

I gattopardi cambiano qualcosa perché tutto rimanga come prima. Qualche straccio vola, ma rimangono immutati: il dominio degli interessi delle Grandi Imprese su quelli della città, e naturalmente l'errore di fondo e la sorgente degli scandali, il MoSE. Il Sole 24 ore, 19 giugno

Dopo l'inchiesta giudiziaria sul sistema di corruzione e fondi neri cresciuto intorno al Mose (con 35 persone in custodia cautelare), il Consorzio Venezia Nuova e il governo si preparano a rinnovare completamente il consiglio d'amministrazione, tecnicamente il "direttivo". È la decisione presa di comune accordo dai vertici del Cvn e l'esecutivo guidato da Matteo Renzi. Il dossier è in mano al ministero delle Infrastrutture. Si parla di preservare gli incarichi del presidente Mauro Fabris e del dg Hermes Redi, nominati un anno fa e quindi già garanti per il governo della discontinuità aziendale con il passato, ma di azzerare i consiglieri, scegliendo personalità "terze".
Per terze, profondamente, si intende qualcuno non interno alle imprese consorziate, i cui nomi sono finiti al centro delle indagini dei procuratori veneziani. La decisione è per ora ufficiosa. La prassi impone ora che i vertici del Cvn inviino una lettera al ministero guidato da Maurizio Lupi, offrendo la disponibilità a rivedere il direttivo. Cosa che dovrebbe avvenire già entro il fine settimana, o comunque nel giro di pochi giorni. Poi il governo dovrà indicare dei nomi, concordandoli con il Consorzio, trovando così una nuova squadra.
La selezione delle nuove personalità di garanzia dovrebbe essere fatta in tempi rapidi. Il fatto che venga nominato un nuovo direttivo, estromettendo i consorziati, è una scelta piuttosto forte da parte dell'esecutivo: non è tecnicamente un commissariamento (di cui molti sottolineano le difficoltà normative) ma prevede comunque l'ingresso di nuove figure di nomina governativa, alternative rispetto alle imprese associate. La decisione peraltro arriva subito dopo quella di abolire il Magistrato alle Acque, come scritto nel decreto sulle misure urgenti per la Pa, su cui l'esecutivo sta lavorando in questi giorni.
Una rapida rivoluzione per Venezia, visto che lo stesso Consorzio è concessionario del Magistrato alle Acque (dipendente a sua volta dal ministero delle Infrastrutture). I membri che dovrebbero lasciare l'incarico nel direttivo sono otto: Duccio Astaldi, Romeo Chiarotto, Giampaolo Chiarotto, Omer Degli Esposti, Francesco Giorgio, Americo Giovarruscio, Giovanni Salmistrari, Salvatore Sarpero, più un altro membro in attesa di designazione (il nome di Degli Esposti era già noto alle cronache per essere stato indagato e rinviato a giudizio per concussione dalla procura di Monza per il "sistema Sesto", uscito dal processo per sopraggiunta prescrizione del reato). Ieri il presidente del Cvn Fabris ha voluto dare delle rassicurazioni: «Abbiamo già avviato la discontinuità col passato - sottolinea Fabris -. Siamo stati convocati ad un tavolo di confronto con il governo per discutere quali opportune iniziative intraprendere, come l'eventuale rinnovo della governane e la possibile ulteriore riduzione dei costi finali dell'opera oltre ad ogni altra attività che si renderà necessaria per mettere a riparo il Mose dalle conseguenze delle inchieste in corso. In questo senso, abbiamo preso impegno di formulare una proposta, che presenteremo nei prossimi giorni. Non si parla di un commissariamento, di cui tra l'altro sarebbe tutta da verificare l'immediata praticabilità». Inoltre Fabris chiede che l'opera possa essere completata: «Il sistema di dighe mobili è ormai all'85% e quasi del tutto finanziato».
Intanto l'ex presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, accusato di corruzione, è stato interrogato dai pm e avrebbe ammesso le sue responsabilità nei mancati controlli al Consorzio a fronte di dazioni di denaro. Ieri inoltre il tribunale del Riesame di Venezia ha posto agli arresti domiciliari tre indagati nell'inchiesta sul Mose, tra cui Luciano Neri e Federico Sutto, i due ex funzionari del Cvn, accusati di aver consegnato materialmente il denaro che Giovanni Mazzacurati avrebbe distribuito ai politici per facilitare i lavori del Mose. La misura della detenzione domiciliare è stata concessa anche a Stefano Boscolo. Resta invece in carcere Stefano Tomarelli, ex componente del consiglio direttivo del Cvn.
«È quanto chiede al Governo la sezione veneziana di Italia Nostra che ha convocato ieri a Roma un incontro-stampa sul tema "Mose, malaffare, che fare?", proprio per fare il punto della situazione dal fronte dell’associazione ambientalista che da anni si batte contro la realizzazione dell’opera». Il Gazzettino, 19 giugno 2014

VENEZIA Lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova e la fine del concessionario unico per le opere di salvaguardia in laguna. Una moratoria dei cantieri in corso. La nomina di una commissione d’indagine di esperti «terzi» che valuti lo stato effettivo dei lavori del Mose e anche il modo in cui essa sta venendo realizzata, esaminando anche le possibili criticità - dal funzionamento delle cerniere all’uso dei materiali - già emerse in alcune occasioni. Perché il sospetto è che se numerose irregolarità sono state commesse nell’uso dei fondi per la realizzazione dell’opera - come sta accertando l’inchiesta in corso della Procura veneziana - questo possa essere avvenuto anche per quanto riguarda aspetti tecnici e uso dei materiali legati al progetto di dighe mobili.
È quanto chiede al Governo la sezione veneziana di Italia Nostra che ha convocato ieri a Roma un incontro-stampa sul tema «Mose, malaffare, che fare?», proprio per fare il punto della situazione dal fronte dell’associazione ambientalista che da anni si batte contro la realizzazione dell’opera. Era presente il presidente Lidia Fersuoch, il consigliere Cristiano Gasparetto ed esperti come Andreina Zitelli, Luigi D’Alpaos e Armando Danella, che da anni seguono la questione Mose. Perplessità sono state invece espresse da Italia Nostra riguardo allo scioglimento del Magistrato alle Acque disposto dal Governo dopo l’inchiesta Mose, perchè uomini e strutture che lo componevano sono rimasti gli stessi, assegnato al Provveditorato alle Opere Pubbliche, mentre è sull’organizzazione del lavoro e non sulla soppressione di un’antica istituzione che andrebbero accesi i fari.
Per quanto riguarda inoltre la gestione della laguna e del suo territorio, si chiede inoltre il passaggio di competenze dal Ministero delle Infrastrutture e quelli dei Beni Culturali e dell’Ambiente e un ruolo riconosciuto del Comune di Venezia e degli altri Comuni di gronda nella gestione delle opere che li riguardano. Chiesta anche una revisione del progetto Mose, che non garantisce la reversibilità prevista dalla legge. Annunciata anche la presentazione di un esposto alla Corte dei Conti per danno erariale e sottolineato come l’Unesco,, nel convegno mondiale in corso a Doha abbia dato allo SAtato italiano tempo fino al 2016 per risolvere le criticità di Venezia: dal passaggio delle grandi navi in laguna ai flussi turistici incontrollati.(e.t.)
Lo scandalo è nell'opera, nel sistema di potere che ha generato e sovrapposto alle istituzioni che gli hanno fornito copertura, nella politica che lo ha promosso e che si è abbeverato alle velenose sorgenti della corruzione. Il manifesto, 14 giugno 2014

Con le dimis­sioni del sin­daco la crisi isti­tu­zio­nale vene­ziana rag­giunge il suo acme e insieme si chiude. Resta del tutto aperta la crisi poli­tica, etica e civile. La magi­stra­tura, invo­cata da anni, ha final­mente disve­lato anche agli occhi di chi non aveva mai voluto vederlo un mostruoso sistema di potere, di con­ni­venze e com­pli­cità, di cor­ru­zione, rea­liz­zato con la marea di denaro con­fe­rita dallo Stato al Con­sor­zio Vene­zia Nuova. A leg­gere i ver­bali degli inter­ro­ga­tori, le memo­rie, le inter­cet­ta­zioni, la mon­ta­gna di docu­menti e testi­mo­nianze che fon­dano l’indagine sul “sistema Mose” (che sarebbe meglio chia­mare sistema “Con­sor­zio Vene­zia Nuova”, anche se l’uno senza l’altro non sareb­bero mai potuti esi­stere), si scorre una sorta di “romanzo cri­mi­nale” dei nostri tempi, i cui pro­ta­go­ni­sti non sono bor­ga­tori o mala­vi­tosi del Brenta bensì più o meno for­biti pro­fes­sio­ni­sti, impren­di­tori, tec­nici, finan­zieri, poli­tici. Cri­mi­na­lità orga­niz­zata, comun­que: d’alto bordo, mani­po­la­to­ria e sedut­tiva oltre che cor­rut­trice e, alla biso­gna, inti­mi­da­trice. Anni­data nei luo­ghi del potere, della cul­tura, del culto, della ricerca, non meno che nelle segre­te­rie poli­ti­che e nei ver­tici e qua­dri di asso­cia­zioni di cate­go­ria, negli ordini pro­fes­sio­nali, nei “corpi inter­medi”, insomma nella cosid­detta società civile, spre­giu­di­cata e disi­ni­bita come poche altre in Ita­lia, que­sto spe­ciale tipo di “cri­mi­na­lità orga­niz­zata” non ha man­cato di ricor­rere allo stru­mento dell’ege­mo­nia pro­muo­vendo ric­ca­mente in tutto il mondo il pro­getto Mose.

Le cla­mo­rose vicende attuali, per assurdo, lo con­fer­mano. Lo scan­dalo non sem­bra nean­che lam­bire l’opera né le pro­ce­dure seguite per rea­liz­zarla. Anzi, improv­vidi poli­tici anche di nuova gene­ra­zione si pro­di­gano a lodarla e a chie­derne la rapida messa in fun­zione, sal­van­dola dallo scan­dalo. Ma lo scan­dalo è pro­prio l’opera, il Mose stesso. Non sanno, i per­du­ranti lau­da­tori, che pro­prio sulla sua effi­ca­cia vi sono auto­re­vo­lis­simi dubbi (messi a tacere o igno­rati gra­zie a quella potente e mel­li­flua dezin­for­ma­tsia), che l’impatto sull’ecosistema lagu­nare è già pesan­tis­simo, che i costi di gestione saranno per sem­pre altis­simi? Non si accor­gono che, cam­biati alcuni nomi, il sistema alla cui ombra è cre­sciuto quel mostruoso ancor­ché sua­dente potere è total­mente in piedi, (ad esem­pio, coin­cide con gli inte­ressi e i poteri legati al busi­ness delle grandi navi, intesi a per­pe­tuarlo con un nuovo deva­stante canale, opera da affi­dare al Con­sor­zio Vene­zia Nuova, senza gara e sotto il con­trollo — sem­bra uno scherzo — di quel Magi­strato alle Acque i cui ultimi due pre­si­denti sono ora nelle patrie galere)? La presa del potere da parte del Con­sor­zio Vene­zia Nuova, nei mini­steri e appa­rati romani e nella poli­tica locale e nazio­nale, è stata pro­gres­siva e per­va­siva, paral­lela alla cor­rut­tela e al cri­mine ambien­tale che produceva.
Libe­rare Vene­zia, cosa che non può fare la magi­stra­tura ma solo una nuova coa­li­zione civile e poli­tica, signi­fica ripu­lire e libe­rare buona parte d’Italia.
l'autore era asses­sore all’ambiente del comune di Venezia

«Ripercorrere le vicende del passato non è un esercizio memorialistico ma un tentativo di andare alla radice delle cause che hanno determinato i problemi di oggi», La testimonianza di un sindacalista del lavoro e dell'ambiente

"Chissà se gli inquirenti saranno così bravi da individuare a chi siano finiti i fondi neri creati con i soldi dei contribuenti? Ora l'interrogativo che mi ponevo l'anno scorso in un articolo apparso su Rassegna sindacale è stato sciolto: la Magistratura inquirente si è dimostrata all'altezza del compito. Saprà la politica fare altrettanto?

La corruzione e il criminoso legame tra politica e affari sono condannati da tutti, e giustamente. Ma pochi hanno imparato che il MoSE è un progetto che non salva Venezia ma la distrugge. Che lo scavo di altri canali in laguna per il passaggio delle grandi navi avrebbe un impatto ambientale devastante. Adesso comprendiamo meglio perché chi comanda vuole mettere la museruola a chi protesta contro le grandi opere inutili e dannose, e pretende di superare con le deroghe le procedure di garanzia. Servono più controlli o lo “Sblocca Italia” per “diminuire le autorizzazioni e limitare i ricorsi al TAR” ?

La guerra alla burocrazia non c’entra nulla. Da un lato le lobby che vogliono continuare a far festa saccheggiando il territorio. Dall’altra tanti comitati, associazioni e gruppi di cittadinanza attiva che tentano di difendere il territorio come bene comune. Come ci ricorda Luigi D’Alpaos, massimo esperto di idraulica:

«Da una parte ci sono gli importatori degli interessi forti, come Porto e Consorzio Venezia Nuova, che tutto hanno fatto tranne che tutelare il benessere della laguna, pensando invece che sia loro e di poterne fare ciò che vogliono. Dall’altra parte ci sono quelli che sostengono che la laguna sia un bene comune indispensabile da proteggere e da salvare. Poi c’è una politica becera che favorisce il gigantismo navale che sembra non porre più limiti alle dimensioni».

E, aggiungo io, pochi e coraggiosi politici, amministratori e non pochi servitori dello stato che si battono controcorrente. E’ giusto ricordarlo in un epoca in cui tutti i gatti sembrano essere bigi.

Di seguito l'articolo che scrissi lo scorso luglio dopo gli arresti di Mazzacurati e Baita che, purtroppo, conserva tutta la sua attualità. Ripercorrere le vicende del passato non è un esercizio memorialistico ma un tentativo di andare alla radice delle cause che hanno determinato i problemi di oggi.

Luglio 2013
Rassegna sindacale.
di Oscar Mancini.

Gare d’appalto truccate. Fatture gonfiate. Consulenze fasulle. E arresti eccellenti. Ma l'inchiesta sul Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la realizzazione del MoSe, non è ancora conclusa. E rischia di arrivare a Roma. Lo scandalo è di grandi proporzioni. Sette arrestati fra cui l’ex presidente del monopolista Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati e preceduta dalla detenzione in carcere di Piergiorgio Baita, Presidente della società capofila Mantovani.

Chissà se gli inquirenti saranno così bravi da individuare a chi - e perché - siano finiti i “fondi neri” creati in Austria con i soldi dei contribuenti? Nel frattempo emergono i beneficiari dei cospicui finanziamenti, sembra in chiaro, di fondazioni nazionali, associazioni, nonché delle campagne elettorali di esponenti eccellenti della maggioranza e dell’opposizione. Quanto costa il monopolio per la realizzazione del gigantesco sistema delle paratie mobili contestato da molti veneziani, ma che nelle intenzioni di chi l’ha voluto dovrebbe salvare la città dall’acqua alta? Secondo i piani ufficiali l’imponente struttura, la cui prima pietra fu posta la bellezza di 25 anni fa, doveva essere finalmente pronta nel 2014, slittati al 2016.

L’opera, contestata dalla associazioni ambientaliste e dalla CGIL fin dagli anni ottanta, finisce nel mirino della Corte dei Conti in anni recenti : a proposito degli appalti, dei costi lievitati, delle consulenze e dei collaudi, denuncia che essi sono affidati «con scarsa trasparenza e un rapporto sbilanciato a favore del concessionario». Il costo della grande opera, scrivevano i giudici contabili, è passato da 2700 milioni di euro a 4271, adesso il «prezzo chiuso» è stato aggiornato a 4 miliardi e 700 milioni. Dei costi originari circa la metà (1200 milioni su 2700) se ne vanno in «oneri tecnici e per il concessionario, somme a disposizione e Iva».

«Ingenti appaiono gli oneri di concessione», scrivono ancora i giudici nella loro ordinanza. E aggiungono: «Alcune di tali risorse si sarebbero potute utilizzare per il rafforzamento dell’apparato amministrativo pubblico». Nel mirino dei giudici contabili finiscono i costi, che lievitano anche a causa della procedura della concessione unica, abolita dalle leggi europee e nazionali ma rimasta in essere per il Mose. «Sotto il profilo dell’economicità dell’agire amministrativo», scrivono nell’ordinanza, «suscita perplessità che la determinazione delle voci di costo e dell’elenco prezzi sia stata rimessa al concessionario».

Perché una denuncia così forte è stata largamente ignorata dai grandi media, dai partiti e dalle istituzioni? In che modo il Consorzio ha potuto esercitare la sua egemonia negli ultimi trent’anni? Testimoni di quella ormai lontana, ma così attuale, stagione politica, siamo rimasti in pochi. E, con il trascorrere del tempo è facile perdere la memoria. Per fortuna le carte scritte rimangono, ma le ricerche richiedono tempo e fatica.

Come ha scritto anche Massimo Cacciari la procedura degli interventi in laguna era viziata all'origine con la nascita nel 1984 di quel mostro giuridico che è il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico, imposto – aggiungo io - da Gianni De Michelis in accordo con Bernini e confermato da tutti i governi successivi. Molti si sono fatti affascinare dalla grande opera ingegneristica. Altri, come lo stesso sindaco Cacciari, pur essendo contrari, hanno pensato di poterla bloccare attraverso la tattica del rovesciamento delle priorità, pure saggiamente previste dalla legge: prima il ripristino morfologico della laguna poi altri cinque punti prioritari e solo alla fine “anche” gli interventi alle bocche di porto.

Nel frattempo sono state elaborate alternative mai prese in considerazione nonostante l’autorevolezza dei proponenti. La storia ha dimostrato che la forza del Consorzio era così pervasiva che si è preferito partire da quell’”anche” invertendo così quanto prescritto dalla legge e dalla logica. Deleterio fu in questo senso il ruolo del Sindaco Costa succeduto a Cacciari su sua indicazione ma anche di tutti i governi. Purtroppo, nessuno escluso.

La CGIL di Venezia fu tra i pochi soggetti sociali a sollevare problemi. Fin dal convegno del’84 quando, scontrandoci con il Ministro De Michelis, contestammo l’idea “dell’inserimento di tre rubinetti alle bocche di porto” per affermare “la necessità di una visione unitaria e sistemica degli interventi” sulla base del principio della “flessibilità, gradualità, sperimentabilità”. Negli anni 80, in qualità di segretario generale aggiunto, intervenni ripetutamente controcorrente sulla stampa e in incontri istituzionali subendo gli strali del “partito del fare” contrapposto alla “laguna di chiacchere”, alla quale fummo immediatamente arruolati.

Tra gli appuntamenti più significativi ricordo:

Nel ventennale dell'alluvione,(1986) quando il presidente del consiglio Craxi pronunciò un discorso inedito, rimasto però senza alcuna conseguenza, intervenni criticamente a nome della CGIL di fronte al consiglio comunale e poi a alla Fondazione Giorgio Cini, in presenza del governo; 2. Il lungo colloquio che avemmo nel settembre dell’87 con il Presidente del Consiglio Giovanni Goria. In quell’occasione presentai, a nome di CGIL CISL UIL, un documento che esprimeva la netta contrarietà alla terza convenzione tra lo stato e il Consorzio Venezia Nuova e chiedeva nel contempo il rafforzamento del Magistrato alle acque (che già allora appariva ancella del Consorzio) il rispetto delle priorità in ordine al disinquinamento della laguna e il ripristino morfologico della stessa, gli interventi per il restauro della città e il suo ripopolamento.

Questo incontro fu preceduto da una Conferenza stampa che suscitò l'ira scomposta di Maurizio Sacconi, allora braccio destro di De Michelis. Se si volessero ricostruire le responsabilità politiche sarebbe utile sfogliare i giornali dell'epoca perché i gatti non sono tutti bigi! Non solo la CGIL, ma anche PRI e PCI e la minoranza del PSI, fino alla giunta Casellati, condussero significative battaglie.

Gli arresti eccellenti di queste settimane, hanno riportato alla mia memoria alcune pubbliche denunce che formulai, a nome della CGIL, nel corso degli anni contro il meccanismo delle concessioni uniche e, successivamente, contro il perverso meccanismo del projet financing all'italiana (ospedale di Mestre, ospedale di Schio Thiene e delle autostrade). In un saggio pubblicato sul N°47, 1994 della Rivista "Oltre il Ponte" scrivevo :

" L'irresistibile tentazione delle Giunte Bernini prima e Cremonese poi di far ricorso ad un ennesimo consorzio privato, attraverso il meccanismo della concessione, con tutto quello che ne è conseguito sul terreno della lottizzazione e della questione morale, ha fatto si che il giro di boa non avvenisse ed anni preziosi fossero sprecati. La CGIL Regionale denunciò pubblicamente il perverso meccanismo che la Giunta stava approntando con la concessione unica al Consorzio Venezia Nuova e al progettato Consorzio Disinquinamento, di tutti gli interventi afferenti al bacino scolante".

Con una nota a piè di pagina raccontavo un episodio di cui fui testimone. Dopo ripetute denunce sulla stampa locale (in particolare ricordo un'intervista rilasciata a Renzo Mazzaro apparsa sulla Nuova, Mattino e Tribuna) il Presidente della Regione Cremonese convocò a Palazzo Balbi CGIL CISL UIL. In quella occasione si lamentò dei mei attacchi ed ebbe la spudoratezza di chiedermi se la CGIL avesse avuto delle imprese da segnalargli!!! Come se la nostra avversione al meccanismo della concessione fosse motivata dal non aver partecipato alla lottizzazione del costituendo consorzio!!! Poi arrivò tangentopoli, seguirono le condanne ma, evidentemente gli italiani hanno la memoria corta e la storia si ripete.

Penso che il nostro compito oggi sia quello di sviluppare una forte iniziativa verso il governo affinché sia revocata la concessione “unica” al Consorzio Venezia Nuova per mettere finalmente mano a un progetto generale unitario sulla laguna, interdisciplinare, aperto a diverse evoluzioni e progressivo. Forse siamo ancora in tempo per fermare almeno in parte un progetto devastante anche alla luce del decreto che inibisce il passaggio delle grandi navi nel bacino di San Marco che rende possibile l’innalzamento dei fondali alla bocca di Lido.

Nel lontano 1973 lo storico americano F.C. Lane nel dare alle stampe la sua magistrale Storia di Venezia aggiungeva un’ultima notazione riferita alla prima legge speciale appena approvata, che suona come ammonimento: “L’efficacia della sua applicazione s’incaricherà di dimostrare se la Repubblica italiana è in grado di preservare la città creata dalla Repubblica di Venezia”.

Oggi, a quarant’anni di distanza, l’attuale governo autorizza al massimo pessimismo. Tengono accesa la speranza la nuova consapevolezza che cresce nella società italiana. Venezia è un bene comune dell’umanità e non può essere preda del partito degli affari

Utile ripresentare un testo scritto per eddyburg da uno dei più preziosi collaboratori, anni fa. La politica dei partiti sapeva, ha sempre saputo; prima prevedeva e cercava di correggere gli errori; dagli orribili anni '80, ha cominciato ad abbeverarsi alle sorgenti avvelenate.

Una storia segnata fin dalla nascita da forzature sul versante dei decisori (cominciando da Franco Nicolazzi) e da critiche su versante dei saggi (Bruno Visentini, la magistratura, Antonio Cederna ecc.). Scritto per eddyburg.it il 18 novembre 2006


Nel 1981 un gruppo di eminenti tecnici, adempiendo all’incarico affidatogli dal Ministro dei lavori pubblici, consegna al Ministro stesso uno “Studio di fattibilità e progetto di massima” per la “Difesa della laguna di Venezia dalle acque alte”. Il Ministro provvede a inoltrarlo, oltre che alla Commissione per la salvaguardia di Venezia e al Consiglio superiore dei lavori pubblici, anche al Comune di Venezia, intendendo acquisire il parere in merito degli enti locali interessati.

Nei mesi successivi si pronunciano la Commissione per la salvaguardia di Venezia, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, il Consiglio comunale di Venezia e quello di Chioggia, tutti in termini non sfavorevoli, ma parimenti esprimendo osservazioni critiche, e richieste di più complessivi inquadramenti nonché dello svolgimento di ulteriori ricerche.

Intanto, da più parti, si è auspicato, al fine di ottenere una celere realizzazione degli interventi in laguna, che si proceda all’esecuzione delle opere attraverso l’istituto della “concessione”. In tale prospettiva si costituisce il Consorzio Venezia Nuova [1].

Il 18 dicembre 1982 viene stipulato tra il Magistrato alle acque di Venezia, per conto del Ministro dei lavori pubblici, e tale consorzio, una concessione, a seguito della quale il consorzio avrebbe dovuto provvedere ad attuare parte degli studi, delle ricerche, delle sperimentazioni richieste dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonché a realizzare il tratto centrale del previsto sbarramento fisso alla bocca di porto di Lido.
Il 15 luglio la Corte dei conti nega il visto di esecutività al decreto di approvazione della concessione, eccependo, sostanzialmente, che, ai sensi delle leggi vigenti, “le concessioni di sola costruzione possono essere affidate a trattativa privata […] soltanto quando ciò sia espressamente consentito da una norma speciale”, mentre ordinariamente è previsto che “l’affidamento avvenga previo esperimento di una qualche forma di gara”, e che “la concessione considerata non contempla l’esercizio delle opere da realizzare” e pertanto “e da ritenersi di sola costruzione”. La vicenda, che viene conosciuta soltanto a seguito dell’intervento della Corte dei conti, e grazie a esso, suscita nuove polemiche.
In particolare, l’onorevole Bruno Visentini, presidente nazionale del PRI, scrive [2]: “a dieci anni dalla legge speciale di Venezia, i problemi della tutela fisica della città storica […] sono rimasti non risolti. Si parla ora di affidare in concessione a un consorzio di imprese […] il compito di realizzare quanto è necessario: iniziando, a quanto pare, da un incarico per ulteriori studi e progetti […] e continuando con l’incarico per la realizzazione delle opere […] Ma se si procedesse in questo modo si incorrerebbe in alcuni fondamentali errori di metodo e in alcune inammissibili elusioni di competenze decisionali.

"L’incarico non può avere per oggetto le scelte sull’avvenire della laguna […] Tali scelte spettano all’organo politico […] Sembra infine che gli ulteriori studi da effettuare, le ricerche da svolgere e le sperimentazioni da compiere […] nonché i controlli tecnico-scientifici sugli interventi […] non possano essere affidati al medesimo concessionario della realizzazione degli interventi, ma debbano essere attribuiti a soggetto diverso, che abbia grande autorità e sia capace di porsi in aperta dialettica con il concessionario”.

Le polemiche rimbalzano in seno alla IX Commissione della Camera dei deputati, che ha all’esame alcune proposte di risoluzione su Venezia, presentate dalla DC, dal PCI e dal PRI. Alla fine, il 27 ottobre 1983, la Commissione vota all’unanimità una risoluzione che, seppur elusiva circa il nodo dell’affidamento degli studi, delle sperimentazioni, e della realizzazione delle opere, impegna il Governo da un lato “a presentare entro tre mesi un rapporto globale sullo stato degli interventi per la salvaguardia di Venezia” e dall’altro “a definire, sentiti gli enti locali interessati, un programma unitario e globale degli interventi”.

Il Ministro dei lavori pubblici, il socialdemocratico Franco Nicolazzi (che circa un decennio appresso, all’epoca dell’inchiesta “Mani Pulite”, sarà condannato con sentenze passate in giudicato), non se ne dà per inteso, e men che mai si preoccupa delle critiche rivolte al tentato uso dell’istituto della concessione.

Il 24 febbraio 1984, infatti, viene stipulata, tra il Magistrato alle acque di Venezia e il Consorzio Venezia Nuova, una seconda convenzione, aggiustata in maniera da superare le obiezioni formali mosse dalla Corte dei conti alla precedente, ma non dissimile da quest’ultima nei contenuti, e ancor meno nella “filosofia”; questa volta il relativo decreto è registrato, in data 10 marzo 1984.

Tra il febbraio e il luglio del 1984 si succede la presentazione alla Camera dei deputati di vari disegni di legge volti a integrare la legislazione speciale per Venezia: dapprima uno del PRI, quindi uno della DC, del PSI e del PSDI, infine uno del PCI. Il 3 ottobre 1984 la IX Commissione della Camera dei deputati, dopo vivaci alterchi e concitate mediazioni, giunge ad approvare all’unanimità, in sede legislativa, un testo che, approvato anche dalla competente commissione del Senato, sempre in sede legislativa, diviene la legge 29 novembre 1984, n.798.

Quanto agli obiettivi degli interventi sulla laguna, la nuova legge stabilisce che questi ultimi devono essere “volti al riequilibrio della laguna, all’arresto e all’inversione del processo di degrado del bacino lagunare e all’eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all’attenuazione dei livelli delle maree in laguna, alla difesa con interventi localizzati delle insulae dei centri storici, e a porre al riparo gli insediamenti urbani lagunari dalle acque alte eccezionali, anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolamentazione delle maree”. E’ con ciò pienamente assunta, e puntualmente descritta, la “logica” che era stata espressa nei disegni di legge del PRI e del PCI, e sostenuta anche dal PLI.

In ordine alle modalità di realizzazione degli interventi si precede la costituzione di uno speciale Comitato, composto dal Presidente del consiglio, dai ministri interessati e dai rappresentanti della Regione del Veneto e degli enti locali territorialmente competenti sulla laguna, cui “è demandato l’indirizzo, il coordinamento, e il controllo”, ma che non è espressamente sancito debba, per assolvere i suoi compiti, preliminarmente definire quel “piano unitario e globale degli interventi” che era indicato nei disegni di legge del PRI e del PCI, ed era stato ripetutamente richiesto. La previsione del predetto Comitato, e i compiti, generali e specifici, che gli sono affidati, sono quindi soltanto la premessa logica e istituzionale dalla quale partire per ottenere la formazione di tale “piano unitario e globale”.

Per il resto viene normativamente fondata la possibilità di affidare la realizzazione degli interventi in concessione, ma non si definiscono i lineamenti di quest’ultima, limitandosi a prevedere che il Comitato di cui s’è detto si pronunci sulle connesse convenzioni, si demanda a un decreto del Ministro dei lavori pubblici la precisazione (seppure “sulla base delle convenzioni” decise dal Comitato) “delle modalità e delle forme di controllo sull’attuazione delle opere affidate in concessione”, e infine, e soprattutto, non solamente non si precisa che gli studi, le ricerche, le sperimentazioni debbono essere affidate a soggetti diversi dall’esecutore concessionario delle opere, ma si fa esplicita menzione della concessione “in forma unitaria” sia degli interventi che degli studi e delle progettazioni.

Il problema viene risollevato, un po’ di anni appresso, da Antonio Cederna, che era stato eletto alla Camera dei deputati, nelle liste del PCI, come indipendente di sinistra, nella X legislatura, iniziata il 2 luglio 1987 e terminata il 22 aprile 1992.

Egli, quando quasi volgeva al termine il suo mandato parlamentare, si convinse della necessità di un forte intervento di integrazione e di coordinamento della legislazione speciale per Venezia, e decise di presentare una propria proposta di legge rivolta a tal fine, la quale, sottoscritta anche da Ada Becchi e da Franco Bassanini (entrambi appartenenti, come Cederna, al gruppo della Sinistra indipendente), fu presentata il 2 aprile 1991.

Nella relazione illustrativa della proposta, premesso che il “faticato procedere delle azioni e degli interventi che, secondo la volontà del legislatore, avrebbero dovuto assicurare la salvaguardia di Venezia e della sua laguna[…] è stato largamente insoddisfacente […], sicuramente e marcatamente, per quanto attiene alla tutela dell'integrità fisica […] del territorio lagunare”, si sostiene che “la ragione prima ed essenziale del procedere inceppato e sussultorio delle azioni e degli interventi dianzi detti […] risiede nel non compiutamente risolto confronto tra due approcci, due modelli, due logiche. Semplificando al massimo: tra unalogica sostanzialmente meccanicistica, che tende a isolare i problemi (o tutt'al più a riconoscere tra essi nessi estremamente semplificati) e a dar loro soluzioni indipendenti e fortemente ingegneristiche, e una logica, per così dire, sistemica, che chiede di evidenziare le correlazioni tra tutte le dinamiche in atto, e quindi tra tutti i problemi da affrontare, e pertanto pretende una predefinizione globale, e costantemente ricalibrabile, di tutti gli interventi e le azioni da prevedersi, per collocarle in sequenze temporali che ne garantiscano ed esaltino le sinergie positive”.

Occorre quindi, prosegue la relazione, “chiarire quale sia il vero nodo da sciogliere: non procedimentale, ma di merito. Il che non nega affatto che sia necessario ridisegnare l'attuale meccanismo decisionale e operativo degli interventi e delle azioni per Venezia […]. Piuttosto, evidenzia come tale ridisegno, per essere efficace, non possa essere neutro, ma, al contrario, debba essere, finalmente, coerente e funzionale al pieno e incontrovertibile affermarsi dell'approccio sistemico ai problemi del territorio veneziano”. Inoltre, soggiunge, non si ritiene opportuno “inventare nuovi e straordinari soggetti (che tendono, di norma, a dare pessime prove)”, ma invece si reputa doversi “assumere come riferimento il modello ordinariamente configurato, per le autorità di bacino di rilievo nazionale, dalla legge 18 maggio 1989, n.183”, sulla “difesa del suolo”, della cui definizione Cederna era appena stato primario protagonista. Che è quello che fa la proposta di legge, istituendo l'autorità di bacino di rilievo nazionale della laguna di Venezia, indicandone l'ambito territoriale di competenza, e dettando, per essa, alcune disposizioni particolari.

Particolarmente rilevante risulta il fatto che, pur non escludendo che “sia le amministrazioni dello Stato che la Regione Veneto, che gli altri enti pubblici interessati, possano fare ricorso per la realizzazione di quanto rientri nelle rispettive competenze a concessioni a soggetti idonei sotto il profilo tecnico e imprenditoriale”, si afferma perentoriamente che “l'ambito del concedibile viene […] ristretto alla realizzazione di opere ed eventualmente alla loro gestione […], nella ferma convinzione che non possa né debba essere concessa (soprattutto dal momento in cui si costituisce un nuovo soggetto istituzionale dotato di propri robusti supporti scientifici, tecnici e operativi), in blocco e per di più allo stesso soggetto concessionario della realizzazione delle opere, l'effettuazione degli studi e delle ricerche preliminari e la progettazione (cioè, di fatto, la pianificazione e la programmazione degli interventi e delle azioni)”.

Per il vero, anche se la proposta di legge di Cederna per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna non riuscì neppure a iniziare il suo iter parlamentare, il Parlamento nazionale, pochi anni appresso, decise almeno di superare radicalmente il sistema della "concessione unica", dello Stato al Consorzio Venezia Nuova, votando il comma 11 dell'articolo 12 della legge 24 dicembre 1993, n.527.

Ma questa è un’altra storia, che è già stata raccontata.

[1] Del quale, salvo errori od omissioni, inizialmente entrano a far parte (le cifre fra parentesi indicano la percentuale di partecipazione): Condotte d’acqua (20%); Impresit (20%); Fincosit (20%); Sacug (15%); Lodigiani (5%); Consorzio S.Marco-Furlanis, Grassetto, CIR, Maltauro, Cosma, Vittadello, Sacaim, Codelfa, CCC (15%); consorzio Rialto-Foccardi, Scuttari, Boscolo, Busetto, Ferrari, Cop. San Martino, Rossi (5%).

[2] Bruno Visentini, Venezia: i “progettini” rinviano il salvataggio, nel Corriere della Sera del 26 ottobre 1983.


Riferimenti

Vedi anche, su eddyburg, l'articolo di Oscar Mancini Il Consorzio Venezia nuova. Il nostro grido inascoltato (2013), quello di Edoardo Salzano La Laguna di Venezia e gli interventi proposti (2006), e i numerosi altri documenti e articoli nella cartella Mose.

«L’inchiesta sul mega-cantiere si allarga: un "sistema" nel cui libro paga si contabilizza di tutto, soldi grazie ai fondi neri. Si immagina che il 20% dell’opera si riveli una provvista analoga». Il manifesto, 6 giugno 2014

La squa­dra e il com­passo. Poli­tica bipar­ti­san al ser­vi­zio del “cer­chio magico” delle imprese pre­de­sti­nate. Una pira­mide di potere, tan­genti e finan­zia­menti occulti costruita gra­zie al Mose (mega-cantiere da oltre 5 miliardi). E’ crol­lata dopo tre anni di inda­gini della Pro­cura e di cer­to­sini riscon­tri della Gdf. Era il Veneto della caz­zuola a senso unico nelle Grandi Opere: se non scat­tava la con­ces­sione senza con­trolli a bene­fi­cio del Con­sor­zio Vene­zia Nuova, era sem­pre pronto un pro­ject finan­cing e non man­ca­vano mai le coo­pe­ra­tive “rosse”.Il regolo? Gian­carlo Galan, gover­na­tore dal 1995 al 2010, due volte mini­stro e ora pre­si­dente for­zi­sta della com­mis­sione cul­tura della camera.

Nem­meno troppo al coperto il dia­gramma di flusso che trian­gola poli­tici (dall’assessore regio­nale Fi Chisso al con­si­gliere Pd Mar­chese, dall’ex euro­par­la­men­tare Lia Sar­tori al sin­daco Orsoni), pro­fes­sio­ni­sti della finanza e con­ta­bi­lità (da Roberto Mene­guzzo di Pal­la­dio al com­mer­cia­li­sta Fran­ce­sco Gior­dano) e fun­zio­nari pub­blici (dalla Regione al Magi­strato alle Acque al gene­rale in pen­sione Spa­ziante). Sono i can­ni­bali “modello veneto”. Mil­lan­ta­tori com­presi, tutti con il conto cifrato, lo sti­pen­dio aggiun­tivo, la voca­zione sus­si­dia­ria, la con­su­lenza fit­ti­zia o il fami­liare inte­resse. E’ lo schema della “sal­va­guar­dia” di Vene­zia che tra­cima nelle cor­sie auto­stra­dali, nei nuovi ospe­dali, e rie­merge in peri­fe­ria con le cric­che della logi­stica o l’ultimo sta­dio dei con­flitti d’interesse.

Galan ha esi­bito il suo orgo­glio il 5 giu­gno 2009 al matri­mo­nio con San­dra Per­se­gato nella villa di Cinto Euga­neo sui Colli pado­vani. Quella ristrut­tu­rata gra­zie a sovra­fat­tu­ra­zioni della Man­to­vani Spa durante i lavori al mer­cato orto­frut­ti­colo di Mestre: oltre un milione di spese con Tec­no­stu­dio di Danilo Turato, ora ai domi­ci­liari. Ma nell’inchiesta si sta­glia la figura di Paolo Venuti, com­mer­cia­li­sta. Com­pare come revi­sore dei conti in decine di società par­te­ci­pate e stra­te­gi­che nel Veneto, men­tre recita il ruolo di “con­su­lente fidu­cia­rio” della cop­pia Galan-Persegato in par­ti­co­lare gra­zie a Mar­ghe­rita Srl e Pvp Srl. Gli inve­sti­ga­tori sono arri­vati ad Adria Infra­strut­ture e Man­to­vani Spa rico­struendo il legame con Clau­dia Minu­tillo (ex segre­ta­ria del doge) e Pier­gior­gio Baita, deus ex machina della Man­to­vani fino al 2013. Finì in car­cere all’epoca di Tan­gen­to­poli, pro­ces­sato e assolto. Dopo altri 106 giorni di car­cere ha revo­cato il man­dato ai legali Longo (sena­tore Fi) e Paola Rubini. E ha dise­gnato con Gio­vanni Maz­za­cu­rati del Cvn la “mappa” del sistema paral­lelo.

Per Galan, un’altra brutta noti­zia: ieri è stato arre­stato a Cagliari Alberto Rigotti, tren­tino, per il crac del gruppo edi­to­riale Epo­lis che sem­bra intrec­ciarsi con la gestione delle società di comu­ni­ca­zione che com­pa­iono nell’ordinanza dei magi­strati veneziani.

Dal 1986 al 1995 il Cvn è stato pre­sie­duto da Luigi Zanda, ora capo­gruppo Pd al Senato. Arre­stato con Orsoni c’è Giam­pie­tro Mar­chese: dal 2005 avrebbe incas­sato mezzo milione, anche all’interno della Regione, dalle mani di Fede­rico Sutto (che il 7 feb­braio 2013 con­se­gnò 160 mila euro a Chisso). E a pagina 605 dell’ordinanza spicca un appunto: 40 mila euro di con­tri­buto al can­di­dato Davide Zog­gia (ex pre­si­dente della Pro­vin­cia, poi nello staff di Ber­sani) più 7.428 euro di con­su­lenza. Altri 15 mila euro al Comune di Padova e 4 mila al Pd. Inda­gato anche Lino Bren­tan, “refe­rente” Ds nell’Autostrada Padova-Venezia già con­dan­nato per tan­genti. Senza dimen­ti­care la cena dell’8 giu­gno 2011 al Calan­dre. Con Maz­za­cu­rati e Pio Savioli del Cvn sono atto­va­gliati l’allora sin­daco Zano­nato e il ret­tore Giu­seppe Zac­ca­ria. Discu­tono del pro­getto per il nuovo ospe­dale di Padova…

Man­to­vani, Fip, Con­sor­zio Veneto Coop, Vit­ta­dello, Nuova Coed­mar, Ccc: è il “giro” delle imprese per il Mose. E il sistema si allarga: Diego Car­ron (omo­nima società di costru­zioni) com­pare a pag. 550 per­ché fa… rife­ri­mento a Chisso. L’impresa di San Zenone degli Ezze­lini (Tre­viso) è pro­ta­go­ni­sta di appalti come l’ampliamento dell’Orto Bota­nico dell’Ateneo di Padova. Il mer­cato si rivela tutt’altro che libero. Con Pal­la­dio Finan­zia­ria che da Vicenza si pre­oc­cupa dei pro­ject non solo della sanità, men­tre con Est Capi­tal Sgr gesti­sce 800 milioni di fondi immo­bi­liari con ope­ra­zioni che riguar­dano hotel di lusso a Vene­zia e la “ricon­ver­sione” dell’ex col­le­gio gesuita Anto­nia­num a Padova.

Dalle “rice­vute” si mate­ria­lizza la rete di con­ni­venze lì dove il Cvn poteva rischiare con­trolli o aveva biso­gno di nuovi finan­zia­menti sta­tali. Migliaia di euro distri­buiti gra­zie ai “fondi neri” di 25 milioni all’estero. In Pro­cura c’è chi imma­gina che il 20% dell’operazione Mose possa rive­larsi una prov­vi­sta ana­loga. Sta di fatto che nel libro paga del “sistema” si con­ta­bi­lizza di tutto. Anche la Fon­da­zione Mar­cia­num, eretta dall’allora patriarca ciel­lino Scola. O il con­tratto di col­la­bo­ra­zione a pro­getto per “ope­ra­zioni ine­si­stenti” di Gian­carlo Ruscitti: era il segre­ta­rio gene­rale della sanità veneta, siede nel Cda dell’Irccs San Camillo al Lido e com­pare nei comi­tati d’onore della Com­pa­gnia delle Opere.

«Ora sap­piamo che sei miliardi di finan­zia­menti diretti, più tutti quelli per le opere com­ple­men­tari di difesa a mare del lito­rale, di con­so­li­da­mento delle rive e delle fon­da­menta, di restauri vari, sono il prezzo con cui il «par­tito del fare» (e del rubare) si è com­prato la città». Il manifesto, 6 giugno 2014

Il pro­getto della chiu­sura delle boc­che di porto della Laguna di Vene­zia, il più grande inter­vento di inge­gne­ria civile mai costruito in Ita­lia, è stato il pro­to­tipo delle «grandi opere». In tutto. Nella filo­so­fia emer­gen­zia­li­sta che lo pre­siede — la grande allu­vione del 4 novem­bre 1966 sem­brava giu­sti­fi­care una deci­sione rapida e ras­si­cu­rante, in barba ad ogni esi­genza di appro­fon­di­mento degli studi scientifici.
Nella delega con­cessa al sistema delle imprese pri­vate giu­di­cato dai deci­sori poli­tici il più com­pe­tente ed effi­ciente non solo nella rea­liz­za­zione delle opere, ma anche nella loro idea­zione e pro­get­ta­zione – con­dan­nando le uni­ver­sità, il Cnr e gli organi tec­nici dello stato a fare da sup­porto ser­vente alle imprese. Nella deroga alle pro­ce­dure ordi­na­rie di affi­da­mento, veri­fica e con­trollo delle opere pub­bli­che – date in con­ces­sione ad un unico sog­getto, anti­ci­pando il mec­ca­ni­smo del gene­ral con­tract. Nel gene­roso ricorso al cre­dito ban­ca­rio (a pro­po­sito dei motivi che hanno gene­rato il debito pub­blico!) – pro­ce­dura che poi sarà per­fe­zio­nata con il pro­ject finan­cing.

Il Con­sor­zio Vene­zia Nuova nasce nel 1982 sotto gli auspici di De Miche­lis (Par­te­ci­pa­zioni Sta­tali), Nico­lazzi (Lavori Pub­blici) e Fan­fani (pre­si­dente del Con­si­glio). Com­prende tutte le mag­giori società di engi­nee­ring pub­bli­che e pri­vate, dalla Impre­sit della Fiat (a cui suben­trerà la Man­to­vani) alle Con­dotte d’acqua dell’Iri. E poi: Lodi­giani, Mal­tauro, Impre­gilo fino alle coo­pe­ra­tive emi­liane CCC. Primo pre­si­dente del CVN è Luigi Zanda, pro­ve­niente dalla segre­te­ria del mini­stro Cossiga.

Negli stessi anni nasce anche il Tav e il Ponte dello Stretto di Mes­sina. L’Italia del «fare» — per chi ha perso la memo­ria — nasce allora. Ma per supe­rare gli evi­denti vizi giu­ri­dici di un’opera affi­data in con­ces­sione a trat­ta­tiva pri­vata e per di più su un «pro­getto pre­li­mi­nare di mas­sima» mai appro­vato dal Con­si­glio Supe­riore dei Lavori Pub­blici, ci fu biso­gno di una legge spe­ciale (legge 798 del 29 novem­bre del 1984). Ad opporsi fu solo il Pri con il mini­stro Bruno Visen­tini, come io stesso rico­no­scevo in un sag­gio di tanti anni fa, Appunti per una sto­ria del Pro­get­tone («Oltre il ponte», n. 17, 1987), in cui defi­nivo l’oggetto della con­ven­zione tra Stato e CVN: «un insieme di opere ancora inde­ter­mi­nate, tutte comun­que assi­cu­rate da una forma di paga­mento a piè di lista».

Nasce così lo stra­po­tere del CVN in città e non solo. Cro­ce­via di smi­sta­mento di ogni genere di appalti, anche quelli non diret­ta­mente affe­renti al Mose. Punto di equi­li­brio degli inte­ressi bipar­ti­san.A dire il vero un ripen­sa­mento ci fù all’epoca di Tan­gen­to­poli. Con una legge del 1993 (n.527, art. 12, comma 11) si dava man­dato al Governo di «razio­na­liz­zare» le pro­ce­dure di inter­vento a Vene­zia così da «sepa­rare i sog­getti inca­ri­cati della pro­get­ta­zione dai sog­getti cui è affi­data la rea­liz­za­zione» e costi­tuire una agen­zia pub­blica. Inu­tile dire che nulla sostan­zial­mente fu fatto per mutare la situa­zione. Nem­meno quando nel 1998 la Com­mis­sione nazio­nale per la Valu­ta­zione dell’Impatto Ambien­tale dette un parere sostan­zial­mente nega­tivo al progetto.

In soc­corso del Mose giunse la nuova Legge Obiet­tivo di Lunardi-Berlusconi (2002) che ha con­sen­tito ai vari governi, da ultimo quello Prodi con Di Pie­tro mini­stro ai Lavori Pub­blici (con un voto a mag­gio­ranza nel Con­si­glio dei mini­stri), di avo­care a sé le deci­sioni tecnico-progettuali e di appro­vare defi­ni­ti­va­mente il Mose nel 2006. Fu il colpo di gra­zia anche per i movi­menti ambien­ta­li­sti e l’assemblea per­ma­nente con­tro il Mose. Da allora una valanga di massi, cemento e ferro è stata sca­ri­cata sulle boc­che di porto. Il Con­sor­zio Vene­zia Nuova aveva vinto. Ora sap­piamo che sei miliardi di finan­zia­menti diretti, più tutti quelli per le opere com­ple­men­tari di difesa a mare del lito­rale, di con­so­li­da­mento delle rive e delle fon­da­menta, di restauri vari, sono il prezzo con cui il «par­tito del fare» (e del rubare) si è com­prato la città

«Il Mose sarebbe criminogeno anche se i suoi lavori andassero lentissimi. Perché è un progetto sbagliato in sé: frutto di quella vocazione al suicidio da cui Venezia non sembra capace di liberarsi» E ripulire la Laguna dal malaffare sarà un'impresa lunga». Il Fatto Quotidiano, 5 giugno 2014

Massimo Cacciari – tra i cui non molti meriti di sindaco di Venezia c’è quello di essersi sempre opposto al Mose – ha detto che le radici della corruzione vanno cercate nell’urgenza. Vero, ma il Mose sarebbe criminogeno anche se i suoi lavori andassero lentissimi. Perché è un progetto sbagliato in sé: frutto di quella vocazione al suicidio da cui Venezia non sembra capace di liberarsi.

Per mille anni la Repubblica Serenissima ha vegliato sul delicato equilibrio della Laguna, che è la particolarissima “campagna” che circonda Venezia. In natura, una laguna ha una vita limitata nel tempo: o vincono i fiumi che portano materiali solidi verso il mare, e la laguna si trasforma in palude e piano piano si interra, oppure vincono le correnti marine, che tendono a renderla un golfo o una baia.

I veneziani capirono subito che tenere in vita la Laguna salmastra voleva dire assicurarsi uno scudo naturale sia verso la terra che verso il mare. Non mancarono le discussioni: celeberrima quella cinquecentesca tra Alvise Cornaro, che avrebbe voluto bonificare la Laguna, e Cristoforo Sabbadino, che ne difese vittoriosamente la manutenzione continua. Così la storia di Venezia – ha scritto Piero Bevilacqua – è stata “la storia di un successo nel governo dell’ambiente”.

Una storia che, con l’avvento dell’Italia unita si è, però, interrotta, ed è definitivamente collassata negli ultimi quarant’anni di malgoverno veneziano. Per fare entrare le Grandi Navi (turistiche, industriali e commerciali) si sono dragati e approfonditi i canali d’accesso in Laguna, e contemporaneamente se ne è abbandonata la secolare manutenzione .

Il risultato è stato un abnorme aumento dell’acqua alta, culminato nella vera e propria alluvione del 1966. Fu proprio quell’enorme choc che mise Venezia di fronte all’alternativa: o riprendere il governo della Laguna e mantenere l’equilibrio, o essere mangiata dall’Adriatico.

Fu allora che emerse la terza via: il Mose, che permise di eludere la scelta tra responsabilità e consumo. L’idea era di continuare indefinitamente a violentare la Laguna e poi rimediare meccanicamente, con una gigantesca valvola che chiudesse le porte al mare. È come se un paziente ad altissimo rischio di infarto venisse persuaso dai medici a non sottoporsi ad alcuna dieta né ad alcun esercizio fisico, e a scommettere invece tutto su una costosissima e complicata operazione di angioplastica. Non verrebbe da pensare solo che i medici sono incompetenti: ma anche che hanno qualche interesse occulto nell’operazione. E se poi quei medici finissero in galera, chi potrebbe stupirsi?

Follemente, la scelta della terapia è stata affidata direttamente ai chirurghi. Fuor di metafora: la salvezza di Venezia e del suo territorio è stata affidata a un consorzio di imprese private (il Consorzio Venezia Nuova) interessate a realizzare il costosissimo meccanismo di riparazione del danno , il Mose appunto. E tutto è stato asservito a questo ente: anche il controllo del Magistrato delle Acque, che si è trovato a ratificare (invece che a sorvegliare) scelte operate in base all'interesse privato.

Sarebbe difficile spiegare un simile suicidio se non vedessimo che Venezia si distrugge ogni giorno in mille altri modi, prostituendosi, fino alla morte, a un turismo cannibale. Ma mentre gli abitanti continuano a scendere (sono ora 59.000: un terzo della popolazione del 1950, la metà di quella del 1510) e le Grandi Navi sembrano inarrestabili, c’è ancora chi resiste, tra mille difficoltà. Esemplare il caso di Italia Nostra, cui appartiene la voce più ferma e coraggiosa contro la morte di Venezia, una voce che un anno fa aveva documentato pubblicamente proprio la corruzione del Mose: ebbene, la soprintendente architettonica veneziana Renata Codello ha querelato l’associazione, che le rimproverava pubblicamente la difesa delle Grandi Navi, e l’autorizzazione allo scempio (futuro) del Fondaco dei Tedeschi e al raddoppio (in corso) dell’Hotel Santa Chiara sul Canal Grande (quello dove, secondo i pm, la segretaria di Giancarlo Galan avrebbe ricevuto le mazzette!). E che avvocato ha scelto la Codello? Ma quello del Consorzio Nuova Venezia, che controlla il Mose. Pulire la Laguna, insomma, sarà un’impresa lunga.

Intervistato da Sebastiano Messina il sindaco-filosofo contrario al Mo.SE che propose Giorgio Orsoni come suo successore. «La catastrofe è grande ed è del tutto trasversale. Se ne esce con una grande riforma culturale e politica. Se ne esce con partiti che selezionano in modo più adeguato la loro classe dirigente, con partiti che hanno delle idee e dei programmi e non solo la volontà di occupare il potere…».La Repubblica, 5 giugno 2014


Professor Cacciari, lei è stato il principale sostenitore del sindaco Orsoni, già dalle primarie. Cosa ha pensato, quando ha saputo che era stato arrestato per una faccenda di soldi?
«Ho provato una grande angoscia. Le dico onestamente che in alcuni casi qualcuno può dire: io sapevo. Ma su Orsoni, è difficile dire che si sapesse qualcosa. Anzi, era assolutamente impossibile immaginare qualcosa del genere. Per me è stata un’enorme sorpresa. Dolorosissima. Non perché sia particolarmente amico di Orsoni, ma perché credo che, come me, nessuno a Venezia potesse sospettare lui di cose meno che lecite. Quindi non so, starò a vedere. Certo che ti viene da pensare: forse questi meccanismi sono talmente logorati e pieni di crepe, che quando ci sei dentro ci cadi. Ma il caso di Orsoni mi lascia davvero sconcertato. Gli auguro di poter chiarire tutto e di uscirne presto e benissimo, anche se non so nulla delle accuse».

Questo Mose sembra proprio nato sotto una cattiva stella.
«Ma questa stella, nelle sue dimensioni strutturali, brillava alta su nel cielo. E qualche re magio poverino la seguiva da tempo…».

Cioè lei.
«Certo. Non c’è nulla di misterioso in questa stella del Mose. Che è nata nel 1985-86, e ha brillato ininterrottamente fino a ieri nel cielo di Venezia. Sotto qualsiasi governo, sotto qualunque presidente del Consiglio. E qui vorrei ricordare alcuni fatti che non hanno nulla a che vedere, in sé, con la dimensione giudiziaria ».

Per esempio?
«La sua nascita, per cominciare. Se una grande opera pubblica come questa, che alla fine verrà a costare circa sette miliardi di euro, non so se rendo l’idea, viene fatta decidendo che chi la fa è un concessionario unico, che può seguire l’opera e realizzarla in tutte le sue fasi praticamente senza mai ricorrere a una gara di trasparenza pubblica che sia una, che può strafottersene per venti anni e passa di una serie di posizioni che vengono periodicamente dal Consiglio comunale e da altri organi amministrativi, che può spendere al di là di ogni controllo, si crea una situazione poco chiara e poco trasparente… ».

È stato creato un mostro senza controllo, dice lei. Con il consenso di tutti i governi.
«E non ho finito. L’ultimo capitolo è stata la riunione del “comitatone”, 22 novembre 2006, presieduto da Romano Prodi. Dopo due anni di intenso dibattito condotto in prima persona dal sottoscritto, come sindaco di Venezia, io presentai a quella riunione un’amplissima documentazione e una relazione nella quale ricordavo le perplessità, uso un eufemismo, sulla conduzione di un’opera di questa mole attraverso la procedura di un concessionario unico, e ricordavo che c’era stato un solo giudizio di impatto ambientale, uno solo, ed era stato negativo. Ricorvolta davo anche che mancava il progetto esecutivo. Perché se io come sindaco avessi mandato in appalto un’opera cento volte più piccola senza l’esecutivo finale, sarei finito direttamente nelle patrie galere. Dissi tutto questo, e votai no: contro Prodi».

Ricordo perfettamente che lei era contrario al Mose. Però forse la corruzione sarebbe arrivata lo stesso anche se si fosse preferito un altro progetto.
«Io non sono un ingegnere, ma avevo proposto le soluzioni alternative suggerite da autorevolissimi esperti. Nessuno ci ha ascoltati. Il sottoscritto, quando andava ad esporre le sue perplessità, era tollerato.Sono riuscito a parlare sì e no cinque minuti manco con Prodi, ma con Enrico Letta, allora sottosegretario. E non parliamo dei giornali. Viva l’opera! Comunque, una fatta la scelta, io dissi: io non sono contrario all’opera, sono contrario a un’opera fatta così. La mia opposizione nasceva dalla certezza che la procedura scelta avrebbe potuto portare ad esiti ed effetti come quelli che si sono verificati oggi».

La corruzione, secondo i magistrati, sarebbe cominciata nel 2005.
«Ma certo. Se c’era un giro di mazzette sarà partito anche prima. Io non so nulla di questa indagine e mi auguro che tutti vengano assolti o prosciolti. Che gli venga chiesto perdono, persino. Ma non mi si venga a dire che la cosa non poteva essere seguita diversamente. Non si possono fare le opere pubbliche così. Perché oggi è il Mose, ieri L’Aquila e l’Expo, domani chissà. Lavorare costantemente con l’emergenza, o dire che le grandi opere vanno date in mano al Napoleone di turno, è una logica criminogena ».

Ecco, ma è possibile che in questi anni a Venezia nessuno abbia sentito l’odore di questa corruzione? L’assessore Bettin ha detto: qualcosa si sapeva.
«Una qualche vox populi c’era. Soltanto che io non faccio il magistrato e non faccio il poliziotto. Quello che so e che ho detto era più che sufficiente perché si sorvegliasse e si controllasse in modo più pervasivo questa colossale operazione da sette miliardi di euro. Questo non è stato fatto. Neanche dalla Corte dei conti: io sono andato anche lì a portare il malloppo delle mie contestazioni, in una seduta pubblica».

E com’è andata?
«Ho parlato cinque minuti, nell’indifferenza totale».

Oggi a Venezia la politica è in ginocchio. Come può rialzarsi? Come se ne esce?
«Intanto dobbiamo aspettare le sentenze, che potranno aggravare o ridimensionare le accuse ad alcuni dei personaggi coinvolti. Certo, la catastrofe è grande ed è del tutto trasversale. Se ne esce con una grande riforma culturale e politica. Se ne esce con partiti che selezionano in modo più adeguato la loro classe dirigente, con partiti che hanno delle idee e dei programmi e non solo la volontà di occupare il potere…».

I fatti e i primi nomi dell'iniziativa del Terzo potere, "Mani pulite Veneto 2014". Articoli di Davide Tomiello e Alberto Zorzi. Corriere del Veneto, 4 giugno 2014

Mose: arrestati Chisso , Orsoni
e Marchese. Richiesta per Galan
di Davide Tomiello

Tangentopoli del Veneto, dopo Baita e Mazzacurati, il nuovo filone. Il sindaco di Venezia è ai domiciliari. La sua difesa: accuse poco credibili. Sequestrati beni per 40 milioni

VENEZIA – Era nell'aria da più di un anno. Dopo gli arresti dei manager di Mantovani e del Consorzio Venezia Nuova, Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati, i pm che avevano lavorato all'inchiesta Mose, Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini erano concentrati su quell'obiettivo. Adesso il vaso di Pandora è stato aperto: la nuova Tangentopoli veneta esplode con la forza di una bomba. Trentacinque le misure cautelari (tutti i nomi) eseguite questa mattina dal nucleo di polizia tributaria di Venezia, tra cui l'assessore regionale alle infrastrutture Renato Chisso e il consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese, in carcere, e il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni agli arresti domiciliari. L'accusa nei suoi confronti è di finanziamento illecito relativa alla sua campagna elettorale per le comunali del 2010.

Ma sono solo il vertice di una piramide di nomi eccellenti: tra gli altri, due magistrati alla Acque , Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva, il presidente del Coveco, cooperativa impegnata nel progetto Mose, Franco Morbiolo, il generale in pensione Emilio Spaziante, l'amministratore della Palladio Finanziaria spa, Roberto Meneguzzo. C'e' inoltre una richiesta di arresto anche per il deputato di Fi Giancarlo Galan, ex presidente della Regione Veneto. Per poter procedere all'arresto di Galan, però, occorre il placet dell'apposita Commissione. Le accuse per tutti sono di corruzione, concussione, riciclaggio. L'indagine della Finanza era partita tre anni fa, lo scorso anno c'era stato l'arresto di Piergiorgio Baita, ai vertici della Mantovani, societa' padovana colosso nel campo delle costruzioni. Dopo qualche mese l'arresti di Giovanni Mazzacurati, l'ingegnere ''padre'' del Mose. Sequestrati beni per 40 milioni.

Un tempestivo chiarimento della posizione di Giorgio Orsoni, posto ai domiciliari nella cosiddetta inchiesta Mose, è l'auspicio espresso dal collegio di difesa del sindaco di Venezia, formato dagli avvocati Daniele Grasso e Mariagrazia Romeo, che definiscono poco credibili le vicende contestate. «La difesa del professor Orsoni - rilevano i legali - esprime preoccupazione per l'iniziativa assunta e confida in un tempestivo chiarimento della posizione dello stesso sul piano umano, professionale e istituzionale. Le circostanze contestate nel provvedimento notificato paiono poco credibili, gli si attribuiscono condotte non compatibili con il suo ruolo ed il suo stile di vita. Le dichiarazioni di accusa vengono da soggetti già sottoposti ad indagini, nei confronti dei quali verranno assunte le dovute iniziative».

Gli arresti eccellenti di mercoledì mattina all'alba in Veneto, tra i quali quello del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e dell'assessore regionale Renato Chisso, partono da una partono da una inchiesta della Guardia di finanza di Venezia avviata circa tre anni fa. Il pool di pm Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonino (Dda) aveva scoperto che l'ex manager della Mantovani Giorgio Baita, con il beneplacito del proprio braccio destro Nicolò Buson aveva distratto dei fondi relativi al Mose, le opere di salvaguardia per Venezia, in una serie di fondi neri all'estero. Il denaro, secondo l'accusa, veniva portato da Claudia Minutillo, imprenditrice ed ex segretaria personale di Galan, a San Marino dove i soldi venivano riciclati da William Colombelli grazie alla propria azienda finanziaria Bmc. Le Fiamme gialle avevano scoperto che almeno 20 milioni di euro, così occultati, erano finiti in conti esteri d'oltre confine e che, probabilmente, erano indirizzati alla politica, circostanza che ha fatto scattare l'operazione di questa mattina all'alba. Dopo questa prima fase, lo stesso pool, coadiuvato sempre dalla Finanza, aveva portato in carcere Giovanni Mazzacurati ai vertici del Consorzio Venezia Nuova (Cvn). Mazzacurati, poi finito ai domiciliari, era stato definito «il grande burattinaio» di tutte le opere relative al Mose. Indagando su di lui erano spuntate fatture false e presunte bustarelle che hanno portato all'arresto di Pio Savioli e Federico Sutto, rispettivamente consigliere e dipendente di Cvn, e quattro imprenditori che si spartivano i lavori milionari.

Galan e Chisso a libro paga per milioni
L'ex ministro: io totalmente estraneo
di Alberto Zorzi e Davide Tamiello

Dalle carte dell'ordinanza fatti sconcertanti. Tra gli indagati anche l'ex segretario di Tremonti, Milanese, pagato per accelerare i lavori del Mose

Magistrati delle Acque a libro paga, politici con contin nei paradisi fiscali dietro l'angolo, fondi neri per accelerare lo sblocco dei finanziamenti per il Mose. Ce n'è per tutti nelle carte dell'ordinanza che ha portato agli arresti eccellenti per i lavori del Mose. Si parte dai «vecchi» nomi coinvolti nell'inchiesta, il filone precedente che aveva portato all'arresto di Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati. Nella nuova inchiesta ci sono infatti anche i «pentiti» Baita, Buson, Mazzacurati, Minutillo, Savioli e Voltazza. Tra gli indagati anche l'ex segretario della Sanità Giancarlo Ruscitti, l'ex consigliere di Tremonti Marco Mario Milanese, Duccio Astaldi. Dalle carte si scopre che Mazzacurati e Sutto nel 2010 avrebbero consegnano di persona 50 mila euro al sindaco Orsoni, per finanziare illecitamente la campagna elettorale. Nel 2010 la campagna elettorale del sindaco di Venezia arrestato nell'inchiesta, sarebbe stata finanziata in tutto con 500mila euro ottenuti in modo illecito.

Il capitolo delle campagne elettorali finanziate illecitamente è ricchissimo. Duecentomila euro sarebbero stati dati alla parlamentare europea uscente Lia Sartori. Mezzo milione di finanziamenti illeciti alle campagne elettorali sarebbero stati dati a Giampietro Marchese. Poi c'è la corruzione: il funzionario regionale Giuseppe Fasiol sarebbe stato fatto collaudatore del Mose in cambio dei via libera ai progetti della Mantovani. Vittorio Giuseppone, magistrato della Corte dei Conti di Roma, sarebbe stato corrotto per ammorbidire i controlli del Mose. Poi le date precise, frutto di indagini e appostamenti: la consegna, nel 2011, all'hotel Laguna Palace di Mestre da parte di Baita di 250 mila euro all'assessore Chisso. Nel 2005 50 mila euro sarebbero stati versati in un conto dell'ex governatore Giancarlo Galan aperto a San Marino. Sempre nel 2005 l'ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, avrebbe consegnato 200 mila euro a Galan all'hotel Santa Chiara di Venezia.

Poi la «bomba»: la Mantovani avrebbe pagato i lavori di restauro della villa di Galan a Cinto Euganeo per oltre un milione di euro. Non solo: Galan e Chisso sarebbero diventati soci occulti della Adria Infrastrutture per poter partecipare agli utili della società. Lo stesso Chisso sarebbe stato «stipendiato» per dare i nulla osta regionali al Mose con 200/250 mila euro l'anno per oltre dieci anni. E Galan avrebbe ricevuto dal 2005 al 2011 da Giancarlo Mazzacurati presidente del Cnv, anche tramite l'assessore Renato Chisso, uno stipendio annuo di un milione di euro. Quanto alla corruzione, Mazzacurati avrebbe consegnato mezzo milione di euro a Milanese, consigliere di Tremonti, per avere fondi Cipe per il Mose, mentre i due presidenti del Magistrato alle Acque, Cuccioletta e Piva, sarebbero stati a libro paga del Consorzio con 400 mila euro l'anno per non ostacolare il Mose.

Nel pomeriggio la replica dell'ex ministro ed ex governatore Giancarlo Galan: «Mi riprometto, di difendermi a tutto campo nelle sedi opportune con la serenità ed il convincimento che la mia posizione sarà interamente chiarita. Chiederò di essere ascoltato il prima possibile con la certezza di poter fornire prove inoppugnabili della mia estraneità». E ancora: «Dalle prime informazioni che ho assunto e da quanto leggo sui mezzi d'informazione, nel dichiararmi totalmente estraneo alle accuse che mi sono mosse, accuse che si appalesano del tutto generiche e inverosimili, per di più, provenienti da persone che hanno già goduto di miti trattamenti giudiziari e che hanno chiaramente evitato una nuova custodia cautelare».

«Quel «livello politico» evocato in questi mesi ora pare realtà. Trasmesso un fascicolo stralciato da quelli su Mose e Consorzio al tribunale dei ministri, l'organo «filtro» per le indagini su ministri o ex per reati commessi nell'esercizio di funzioni governative». Corriere del Veneto, 28 maggio 2014 (m.p.r.)
Una cosa è certa: nel mirino della procura di Venezia è finito un ministro, o più probabilmente un ex ministro. A ormai 15 mesi dagli arresti di Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo, Nicolò Buson e William Colombelli per le false fatture Mantovani e a una decina di mesi dalla retata di arresti per turbativa d'asta che hanno coinvolto l'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, la complessa indagine della Guardia di Finanza, coordinata dai pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, è a una prima svolta. E quel «livello politico» tanto evocato in questi mesi, ora pare una realtà. Nei giorni scorsi la procura ha infatti trasmesso un fascicolo stralciato da quelli su Mose e Consorzio al tribunale dei ministri, l'organo che secondo una legge costituzionale del 1989 fa da «filtro» per le indagini relative a ministri o ex ministri qualora i reati siano stati commessi nell'esercizio delle proprie funzioni governative.
Questo significa che — come prescrive la legge — nel corso delle verifiche successive ai numerosi interrogatori effettuati dalla procura, sarebbero emerse notizie di reato relative a una persona che ha avuto incarichi ministeriali. I pm hanno dunque subito inoltrato il fascicolo, compresi anche tutti gli altri indagati, al tribunale dei ministri, che avrà tre mesi di tempo per eseguire delle proprie indagini preliminari. Nei giorni scorsi, oltre al ministro, il cui nome per ora è top secret (ma non sarebbe veneto), sono arrivati degli avvisi anche ad altri indagati, in particolare a Baita e Buson, rispettivamente l'ex presidente e l'ex direttore amministrativo della Mantovani. Avvisi scarnissimi, in cui si dice solo che è stata avviata la procedura, ma in cui non c'è né un'ipotesi di reato (toccherà al tribunale stabilirla), né i nomi degli altri indagati.
Quello che si può capire è che Baita e Buson avrebbero partecipato in concorso con il ministro nella consumazione del reato. Per esempio — ma è solo un esempio visto che il reato è ancora coperto dal segreto — se all'ex ministro fosse stata contestata una corruzione, Baita e Buson potrebbero essere stati identificati come i corruttori. In realtà da quel poco che trapela, visto che gli interrogatori sono stati praticamente tutti secretati, sia Baita che Mazzacurati avrebbero parlato del coinvolgimento di un ex ministro, a cui sarebbero stati versati dei fondi non direttamente ma attraverso un giro di società da lui indicate.
Dichiarazioni che nel corso di questi mesi sono state verificate dalle fiamme gialle del Nucleo di polizia tributaria. E probabilmente proprio da una recente informativa sarebbe scattata la trasmissione al tribunale dei ministri, che deve avvenire entro 15 giorni. Saranno ora i tre giudici designati a stabilire se disporre l'archiviazione (qualora ritengano che il reato non ci sia o che sia stato commesso al di fuori delle funzioni di ministro) oppure ritrasmettere gli atti al procuratore per poter chiedere l'autorizzazione a procedere al Parlamento. Il collegio sarà composto dalla presidente Monica Sarti (gip a Verona), da Priscilla Valgimigli (tribunale del riesame di Venezia) e da Alessandro Girardi (sezione fallimentare di Venezia), estratti a sorte tra tutti i magistrati del distretto. Da tempo inoltre si attendono gli sviluppi anche dell'inchiesta «madre», dopo che appunto molti degli arrestati del primo «giro» avrebbero fatto numerose rivelazioni ai pm, anche su finanziamenti ai politici.

Due mesi è durato il sogno dei veneziani. In due mesi, dal 7 agosto alo ottobre, è nata e si è subito dissolta l'illusione di tornare dopo 207 anni padroni dell'Arsenale. Era stato di loro proprietà per secoli e secoli, fino al 1805: quando Napoleone Bonaparte, che aveva occupato militarmente la Serenissima anni prima, aveva ridotto Venezia a semplice città del suo Regno d'Italia. L'Arsenale era in seguito diventato patrimonio dello Stato italiano con i Savoia e del Demanio con la Repubblica. Prima che nel decreto sulla spending review, convertito in legge il 7 agosto scorso, spuntasse una norma che ne trasferiva la proprietà, «con esclusione delle porzioni utilizzate dal ministero della Difesa per i suoi specifici compiti istituzionali», al Comune di Venezia. Il quale, precisava il provvedimento, era anche incaricato di assicurarne «l'inalienabilità, l'indivisibilità e la valorizzazione attraverso l'affidamento della gestione e dello sviluppo alla società Arsenale di Venezia». Un successo clamoroso per chi da tempo insisteva sulla necessità di restituire al patrimonio cittadino uno dei suoi spazi più grandi e importanti, dove oltre alla Marina militare trovano ospitalità la Biennale e il Consorzio Venezia nuova, raggruppamento imprenditoriale che sta realizzando il sistema di dighe mobili Mose. Poi, però, durante l'estate, è successo qualcosa. E nel decreto Crescita 2.0, approvato dal governo una settimana fa, è comparsa, abilmente occultata in uno degli ultimi articoli, una norma che ribalta completamente la situazione. È bastato aggiungere a quel passaggio appena citato del decreto sulla spending review, «con esclusione delle porzioni utilizzate dal ministero della Difesa», questa frasetta: «E di quelle destinate al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti — magistrato delle acque». Il risultato è che la parte più vasta dell'Arsenale, vale a dire quella occupata dal Consorzio, non va più al Comune. Rimane invece affidata al ministero di Corrado Passera e a Venezia nuova. E la città non ci può mettere il becco. La verità è che quel Consorzio è una potenza assoluta, e questo colpo di scena ne è ulteriore dimostrazione. L'aveva già sperimentato, quel potere, Maria Giovanna Piva, a lungo magistrato delle acque prima di essere spedita a Bologna nel 2008. Per contrasti, è la vulgata, proprio con la corazzata di Venezia nuova. E l'ha sperimentato anche chi ha visto pian piano espandersi irresistibilmente la sfera d'influenza delle imprese che ne fanno parte al grande affare delle bonifiche di Porto Marghera. Soci del Consorzio sono una trentina di costruttori: da Astaldi a Mazzi, a Gavio, al gigante delle cooperative Ccc... Un plotone foltissimo, nel quale recita un ruolo di pivot la Mantovani presieduta da Piergiorgio Baita. Normale che qualcuna di queste grandi aziende, compresa la stessa Mantovani, abbia linee di credito con il gruppo bancario Intesa, da cui provengono sia Passera, sia il viceministro con delega alle Infrastrutture Mario Ciaccia. Come è normale, aggiungiamo, che que, sto particolare venga ricordato. E la croce che Passera e Ciaccia sono costretti a portare. Certo è che per il sindaco Giorgio Orsoni la retromarcia del governo è uno smacco bruciante. Mentre al contrario per il Consorzio Venezia nuova si tratta di una vittoria schiacciante. La gigantesca area dell'Arsenale è stata assegnata in concessione dal Demanio a quel gruppo di imprese, c'è scritto nel bilancio del Consorzio, «perla futura gestione e manutenzione del sistema Mose». E proprio questo è il punto. Perché il potentissimo Consorzio ritiene già acquisita anche la fase successiva alla costruzione e messa in opera delle famose dighe mobili grazie alle quali Venezia dovrebbe essere difesa dal fenomeno dell'acqua alta. Per capirci, si tratta della parte più redditizia dell'intera operazione. Un business ancora più appetitoso della stessa costruzione. Non è un caso che i lavori di adeguamento delle strutture dell'Arsenale per le future opere di manutenzione delle porte del Mo-se siano iniziati da un pezzo. Il fatto è che non tutti, invece, accettano di trovarsi davanti al fatto compiuto dando per scontato che la gestione e manutenzione dell'opera debbano essere appannaggio automatico di Venezia nuova: cioè senza una nuova procedura a evidenza pubblica. Vedremo. Intanto, tra avere la sicurezza delle disponibilità delle aree e vedersi invece piombare dentro il Comune con tutti i rischi che il cambio di proprietà potrebbe comportare, c'è una bella differenza. O no?

Ciriaco D'Alessio, prescritto in un'inchiesta per tangenti, sarà Magistrato delle acque. Arrestato nel '93 a Milano, aveva incassato una bustarella da 400 milioni di lire per un appalto stradale

Un’attrazione fatale lega le opere pubbliche e i manager che hanno avuto guai con la giustizia. L’ultimo caso è quello del Magistrato delle acque di Venezia, un incarico di peso, uno dei più importanti a livello nazionale perché tra l’altro deve gestire i lavori del Mose, il gigantesco sistema delle paratie mobili contestato da molti, ma che nelle intenzioni di chi l’ha voluto dovrebbe salvare la città dall’acqua alta, una delle poche grandi opere uscita a fatica dal libro dei sogni dei governi Berlusconi ed effettivamente trasformata in lavori. Secondo i piani ufficiali l’imponente struttura, la cui prima pietra fu posta la bellezza di 22 anni fa, dovrebbe essere finalmente pronta nel 2014, quindi stando almeno alle promesse siamo alle fasi finali e cruciali. Proprio in vista di questo rush è prevista un’ulteriore pioggia di finanziamenti (crisi permettendo) sull’ordine dei miliardi di euro in direzione Venezia.

A SOVRINTENDERE questa enorme partita mattonar-finanziaria, il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli ha voluto all’inizio di novembre un dirigente pubblico che in passato ebbe guai serissimi con i tribunali e che si salvò per il rotto della cuffia da una condanna certa. Questo manager si chiama Ciriaco D’Alessio, 63 anni di Bonito nell’Avellinese, è un dirigente di prima fascia del ministero e le avventure giudiziarie che lo hanno riguardato non solo non gli hanno troncato la carriera, ma è come se fossero state considerate un attestato di benemerenza e avessero fatto curriculum. D’Alessio fu arrestato il 14 maggio 1993 a Milano, città dove fino a poco tempo prima aveva svolto il delicato incarico di Provveditore alle opere pubbliche. Aveva incassato una bustarella di 400 milioni di lire per un appalto stradale e i magistrati lo accusarono quindi di corruzione aggravata e violazione della legge sul finanziamento dei partiti, perché parte di quei quattrini erano finiti proprio nelle casse dei partiti.

Nell’inchiesta era coinvolto anche Gianni Prandini, allora ministro democristiano dei Lavori pubblici, lo stesso che alcuni anni prima, nel 1989, aveva inaugurato l’avvio dei lavori del Mose assieme al ministro socialista e veneziano Gianni De Michelis. Le testimonianze rese da D’Alessio su quegli affari di corruzione furono giudicate di “fondamentale importanza” dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere del Parlamento che poi dette il suo assenso alla possibilità di processare il ministro democristiano. La Giunta scrisse che “anche il Provveditore delle opere pubbliche di Milano, Ciriaco D’Alessio, ha confermato di aver consegnato personalmente al Prandini somme di denaro da parte di imprenditori”. Al processo l’ex ministro fu condannato a 6 anni e 4 mesi di reclusione per le tangenti sugli appalti, sentenza poi annullata nel 2003 per un vizio di forma. D’Alessio fu più fortunato perché nel 2001 il reato che gli veniva contestato fu ritenuto caduto a causa della prescrizione.

DA MAGISTRATO delle acque, D’Alessio si occuperà non solo del Mose, ma anche della bonifica di Marghera e in entrambi i casi incrocerà un altro manager che sembra un suo gemellino: Piergiorgio Baita. Anche Baita ebbe guai seri con la giustizia ai tempi della Prima Repubblica, anche lui 19 anni fa fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Venezia, fu poi prodigo di testimonianze e di racconti sulle “logiche di spartizione tra Dc e Psi”, come scrissero allora i giornali, e alla fine sfuggì per un soffio alla condanna mentre venivano giudicati colpevoli 7 tra amministratori e manager che con lo stesso Baita avevano fatto affari. Anche Baita non solo non è rimasto azzoppato per questi episodi, ma è stato baciato da una carriera luminosa. Ora ricopre 72 incarichi in 40 società diverse, presidente, consigliere, amministratore, è diventato il re del mattone della Laguna e con la sua ditta Mantovani è presente in tutte le grandi opere pubbliche della città e dei dintorni. Con D’Alessio farà coppia fissa e avrà le mani in pasta su tutto ciò che conta, dal Mose al disinquinamento, appunto.

Prima dell’approdo a Venezia, D’Alessio non era stato affatto relegato in un qualche sottoscala del ministero di Porta Pia a Roma, anzi. È stato Provveditore per le opere pubbliche in Piemonte e in Calabria, per esempio, e nel 2005, ai tempi del precedente governo Berlusconi, fu indicato dal ministro Beppe Pisanu come rappresentante dell’Interno nel comitato per le Olimpiadi invernali di Torino. Un anno fa Matteoli gli affidò l’ennesimo incarico prestigioso e delicato: Provveditore per le opere pubbliche in Toscana, proprio al posto di uno dei massimi esponenti della cricca degli appalti statali, quel Fabio De Santis tanto caro a Denis Verdini, coordinatore Pdl. Già allora ci fu chi ebbe da ridire per quella designazione ritenuta azzardata. Parole al vento: non solo hanno fatto finta di niente, ma con la nomina di D’Alessio a Venezia hanno rincarato la dose.

Un colpo di piccone, una porticina, una scala interna, un pertugio che diventa finestra per meglio godere del canale, un bagno, l’angolo cottura, i mobili Ikea. Se nessuno li ferma, Venezia compirà un altro passo, quello forse decisivo per trasformarsi dalla città che è sempre stata, città fragile e bellissima, in un parco turistico. Una Yellowstone con il Palazzo Ducale, il Guggenheim, la chiesa dei Frari e di San Zaccaria, pochissime case dove si confineranno alcuni cocciuti veneziani, e il resto, la gran parte, alberghi e affittacamere.

Che Venezia fosse assediata da 12 milioni di turisti ogni anno, i quali d’estate, spinti da uno scirocco che appiccica le mani, arrivano anche a 100 mila al giorno, e a Carnevale sono 120 mila, era vicenda nota. Ora è la città della laguna che muta la sua essenza, finendo per assomigliare fisicamente a un Club Méditerranée. Stanno trasformandosi in albergo il settecentesco palazzo Ruzzini in Campo Santa Maria Formosa, palazzo Barocci, l’antico palazzo da Mosto sul Canal Grande (con un portico del Duecento), palazzo Sagredo, palazzo Giovannelli e palazzo Genovese alla Salute. Già è un albergo palazzo Sant’Angelo sul Canal Grande. Il lussuoso Hotel Monaco ha inglobato il teatro Ridotto e il cinema San Marco, e come il Monaco molti altri alberghi acquistano l’edificio confinante e si allargano. Un albergo sorgerà all’Arsenale, un altro dentro il Molino Stucky e nelle isole di San Clemente, Poveglia e Sacca Sessola.

Ma non sono solo i palazzi di grande pregio architettonico a essere investiti dal ciclone alberghiero (peraltro alcuni di essi si sfarinerebbero se non risanati dalle holding vacanziere). Vengono ristrutturati e frazionati anche centinaia e centinaia di normali appartamenti: diventeranno residence da affittare per una settimana o anche per un week-end. Il fenomeno è concentrato negli ultimi due, tre anni. Grosso modo dal Giubileo e dall’entrata in vigore di un piano particolareggiato per il centro storico che prevede norme urbanistiche molto meno severe di un tempo nel cambio di destinazione di un edificio (ma anche di negozi e botteghe). Secondo l’Azienda provinciale per il turismo, i residence, bed & breakfast o affittacamere sono 455. Erano 59 tre anni prima. Un numero imponente, sotto il quale si nasconde una massa di sommerso che ammonterebbe a più del doppio.

Le storie si rincorrono fra le calli. Ogni veneziano ne conosce una. Quella del macellaio di Cannaregio, per esempio, che ha chiuso la bottega, ha comprato tre palazzetti, ne ha ricavato dieci miniappartamenti, li ha piazzati su un sito Internet e ora incassa dai mille ai milleduecento euro a settimana per ognuno di essi.

Ma dove sta il problema? Uno dei problemi lo segnala Mario Piana, professore di restauro allo Iuav, l’Istituto universitario di architettura. L’edilizia veneziana non è come l’edilizia delle altre città del mondo, esordisce Piana. «A Venezia si è costruito in legno fino a tutto il XII secolo. Da quel momento al legno si è affiancata la muratura, ma un precetto è rimasto saldo: la ricerca della massima leggerezza, per caricare il meno possibile il suolo lagunare». In particolare, spiega Piana, le pareti di un edificio sono sempre state sottilissime, dai 25 ai 40 centimetri, al massimo 60 nell’edilizia civile. La stabilità del manufatto era garantita dai solai, concepiti per assorbire ogni deformazione. Sopra i solai si stendeva il pavimento detto, appunto, alla veneziana, un blocco unico, senza giunture.

Piana si accalora: «Manomettere queste strutture è pericolosissimo». In che senso? «Ogni stanza d’albergo, ogni piccolo appartamento ha bisogno di bagni. Lei ha presente cosa significa far passare altre tubature dentro pareti così sottili e in solai che non possono essere disinvoltamente intaccati? L’equilibrio statico degli edifici, a lungo andare, ne risentirà». Uno scenario che toglie il sonno. Conclude Piana: «E passi per gli alberghi, che si espandono nei palazzi confinanti. Lavorano alla luce del sole e sotto il controllo della Soprintendenza. Anche se solo per gli interventi di alto livello si rispetta la struttura tipica dell’appartamento signorile veneziano, con il salone passante al centro che va dal fronte al retro dell’edificio e sul quale si affacciano le stanze. Ma mi domando: chi vigila su quei proprietari che da un appartamento ne tirano fuori tre?»

La trasformazione di Venezia avviene sottotraccia, senza i sussulti polemici che accompagnano il Mose (la posa della prima pietra delle dighe mobili alle bocche di porto avverrà a metà maggio) e la metropolitana sublagunare. Gli occhi di tutti a Venezia sono rivolti alle gru che sormontano i cantieri del ponte disegnato da Santiago Calatrava e del nuovo teatro La Fenice, opera di Aldo Rossi, mentre sono imminenti i lavori per il Terminal firmato da Frank O. Gehry e per i nuovi spazi del Guggenheim progettati da Vittorio Gregotti a Punta della Dogana. Ma intanto il destino di Venezia va iscrivendosi in una costellazione dove l’unica stella che brilli è quella del turismo.

I residenti nel centro storico sono scesi a 64 mila (sono 300 mila in tutto il Comune, compresa la terraferma) e fra dieci anni potrebbero essere poco più di 55 mila. La diminuzione non si arresta in una città che invecchia vistosamente (un veneziano su quattro ha più di 65 anni): 700 in meno nel solo 2001, 600 nel 2002, 140 fra il dicembre 2002 e il gennaio 2003. Gli abitanti erano 164 mila nel 1951. Forse erano troppi, ma adesso sono troppo pochi e molti temono che si stia scendendo sotto la soglia minima oltre la quale scarseggiano ospedali e scuole. Per non deperire (recita una prescrizione cara ad architetti e urbanisti di tutto il mondo) un centro storico deve ospitare molte funzioni (la residenza, gli uffici, i servizi, il lavoro, la cultura, il divertimento): Venezia le sta perdendo. Oltre ai residenti, se ne vanno gli uffici direttivi di banche, assicurazioni ed enti pubblici. Per trovare un alimentari, una farmacia o un fabbro, un veneziano deve scansare pizzerie a taglio, botteghe di ventaglietti, di vetro spacciato per Murano, di maschere e di merletti ricamati a Taiwan. E i prezzi sono di rapina. Il turismo è ormai la monocultura dei veneziani, il quaranta per cento dei quali già lavora in bar, ristoranti, alberghi, agenzie. E adesso è come se la città non avesse più la forza di resistere, lasciando agli ospiti occasionali anche le proprie case.

Giuliano Zanon è il direttore del Coses, il centro studi più attento alle vicende della società veneziana. I dati che snocciola, elaborati su indagini di Nomisma, impressionano. In città una casa, non certo sul Canal Grande, può raggiungere i 5.500 euro per metro quadrato. In quattro anni i prezzi sono cresciuti del 40 per cento, il ritmo più alto di tutta Italia. Un negozio può valere dai 10 ai 14 mila euro al metro quadrato. «Ormai le attività legate al turismo hanno spiazzato economicamente sia la residenza che ogni altra attività del centro storico», conclude Zanon.

L’ondata di bed & breakfast, conferma Zanon, si riversa su Venezia non appena cambia il piano regolatore del centro storico, nel 1996. Fino ad allora vigevano limiti molto stretti. Per modificare la destinazione di un appartamento da residenziale ad altro uso era necessario che questo fosse di almeno 200 metri quadri per piano: così avevano stabilito gli autori del documento, Edgarda Feletti e Luigi Scano (assessore all’urbanistica di quella giunta rosso-verde era Edoardo Salzano). Solo pochi edifici vennero trasformati. Nel '96 quel limite è stato portato a 120 metri quadrati: troppo vincolistico il precedente regime, dissero l’assessore della giunta Cacciari, Roberto D’Agostino, e il consulente Leonardo Benevolo. E non solo. E’ mutato anche un criterio interpretativo. Invece che su un piano, i 120 metri quadrati potevano essere calcolati anche su più piani. Di fatto si consentiva a tutti gli appartamenti di Venezia di diventare camere d’affitto.

Ora si cerca di contenere. La giunta di Paolo Costa ha preparato una delibera, che però trasloca da una scrivania all’altra senza approdare al voto. Che il fenomeno sia preoccupante ne è convinto anche il sindaco, il quale però ammette: «Contro l’esodo di abitanti possiamo fare ben poco. E poi non è questo il problema principale del centro storico». E qual è? «Mancano le occasioni di lavoro che possano contenere l’esodo». Qualcuno sostiene che Venezia potrebbe vivere anche con la manutenzione di se stessa... «E’ un’attività che svolgiamo. Vada in giro. Stiamo scavando i rii per abbassare il fondale e consentire all’acqua di incanalarsi, evitando di sommergere la città. Al tempo stesso innalziamo il livello della pavimentazione, sempre per scongiurare l’acqua alta. Risaniamo i muri di sponda e il sistema fognario. Un lavoro che non dovrebbe mai terminare. Ma non basta perché Venezia sopravviva». Cosa manca? «Dobbiamo convincere imprese italiane e straniere a venire a Venezia, imprese produttrici di beni immateriali, come ricerca e comunicazione. Ecco la destinazione ideale per molti dei nostri edifici storici. A cominciare dall’Arsenale».

Intanto Venezia si prepara alla piena di Pasqua (prezzo medio 1000-1500 euro per cinque giorni in un appartamento dai 40 ai 50 metri quadrati). A San Stae era tutto pronto per l’apertura di un asilo nido. In zona ce n’è uno solo ed è stracolmo. «Avevamo i soldi, avevamo trovato il luogo adatto e il personale. Avevamo stilato il progetto e avviato i lavori. L’assessorato alla pubblica istruzione ci ha appoggiati, ma gli uffici dell’edilizia privata non ci hanno concesso il cambio di destinazione d’uso di un appartamento di 180 metri quadri», denuncia la promotrice, Roberta Lazzari, della cooperativa Macramè. «Se avessimo chiesto di aprire una locanda non avremmo avuto problemi».

Postilla



1) L'ho iniziato io, e vi ho collaborato fino alla fine, ma il PRG del centro storico è stato concluso e presentato in Consiglio dall'assessore Stefano Boato, e adottato quando era assessore Vittorio Salvagno.

2) Il primo atto che ha consentito di "liberalizzare" è stato la revoca, da parte della giunta Cacciari, della delibera comunale che, applicando una legge nazionale (15/1987), consentiva al Comune di evitare l'invasione dei fast food e dei negozi di junk in modo ancora più efficace del PRG.

3) In coerenza con questo primo gesto, il PRG è stato sostanzialmente modificato nella normativa, consentendo con il più ampio permissivismo i cambiamenti di destinazione d’uso (sindaco Cacciari, assessore D’Agostino).

4) Erbani accenna soltanto all'altro gravissimo rischio che grava sulla città: gli interventi alle Bocche di porto (il MoSE). Ma questo è un altro argomento, ampiamente trattato in questa stessa cartella.

5) Il sindaco Costa, intervistato da Erbani, attribuisce i mali di Venezia all'assenza di posti di lavoro. Eppure egli sa benissimo che per ogni persona che esce per lavorare dieci entrano a Venezia, dove i posti di lavoro sono da decenni più abbondanati delle forze di lavoro. Lo ha ricordato il 15 aprile Mario Infelise in una lettera a la Repubblica .

Venezia si sbriciola abbandonata al turismodi Mario Infelise

L'incendio del Mulino Stucky, trasformato in colossale albergo, ripropone in termini drammatici il problema di Venezia, ben descritto nell'articolo di Francesco Erbani di domenica. La città è ormai abbandonata ad una espansione turistica piratesca. La trasformazione di normali abitazioni in locande e camere da affitto - che spesso lavorano in nero - ha effetti devastanti sul tessuto urbano. E' falso sostenere che lo spopolamento sia determinato dalla mancanza di opportunità di lavoro. Oltre 20.000 persone raggiungono quotidianamente Venezia per lavorare o studiare e molti vi trasferirebbero volentieri.

Il pericolo più incombente di Venezia non è solo l'acqua alta, ma anche questo turismo che espelle all'esterno gli abitanti e ogni altra attività civile.

E non illudiamoci sia solo un problema di Venezia. Firenze sta forse meglio? Pochi anni di questo sviluppo sono bastati a compromettere la nostra civiltà urbana.

Venezia. AChioggia durante la sagra del patrono una band locale cantava facendo la parodia di Ramazzotti: “Mose-Mosè, più bella cosa non c’è”. Secondo i pescatori chioggiotti, già in crisi da un pezzo, quando le dighe del Mose saranno definitivamente incassate nelle bocche di porto manderanno all’aria quel poco di economia della pesca che ancora sopravvive. È un’ipotesi, una delle tante legate a questa opera di eccellente ingegneria (“Sicuramente la più imponente in costruzione oggi in Italia” dice Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia) che si trascina però tra dubbi e polemiche da almeno vent’anni. Polemiche scatenate soprattutto dai Verdi e dalle associazioni ambientaliste, che ormai hanno perso la battaglia. “È vero, abbiamo perso, ma le obiezioni sull’impatto ambientale e sull’effettiva efficacia dell’opera restano” è il giudizio di Gianfranco Bettin, assessore all’Ambiente della giunta veneziana e oppositore da sempre del Mose. Ora i dubbi si estendono anche alla data di fine lavori: non sarà più il 2014 come si è sempre detto finora, ma secondo Giovanni Mazzacurati, dg del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dell’opera, “c’è da augurarsi che finiscano entro il 2015”.

Sono cambiate al rialzo anche le risorse necessarie per costruire le paratie mobili e i cassoni che staranno per cento anni affondati in Laguna a proteggere le tre bocche di porto che si affacciano al mare – Malamocco, Chioggia e Lido-Treporti – dal pericolo delle acque alte. Fino a un anno fa il progetto costava 4 miliardi e 200 milioni di euro, ora siamo arrivati a 4,7. Una quota che comprende il recupero delle coste dal mare e il sistema dei 35 cassoni di calcestruzzo grandi come condomini che saranno affondati a maggio 2012 nelle bocche di porto. Ma si arriva a 5 miliardi e 600 milioni considerando le opere aggiuntive richieste dall’Unione europea (“l’Europa ha chiesto una serie di misure compensative” dice l’architetto Flavia Faccioli del consorzio) e gli insediamenti ambientali.

Il tutto per mettere in funzione la grande architettura del Mose, poi ci sono i costi di manutenzione (secondo Faccioli 25 milioni l’anno ma è una stima al ribasso, ne costerà almeno 30). “I lavori del Mose assorbono risorse enormi, ma sono un esempio straordinario di capacità organizzativa che l’Italia sta dando al mondo” sembra giustificare i costi da capogiro il sindaco Orsoni.

Risorse che finora lo Stato ha erogato per i due terzi concedendo al Mose 3 miliardi e 700 milioni, prima attraverso la Legge Speciale e ora con la Legge Obiettivo per le grandi opere (quella che comprende il mai cominciato Ponte sullo Stretto di Messina). Mancano ancora all’appello 1 miliardo e ottocento milioni, anche se al Consorzio lamentano un rallentamento complessivo dei finanziamenti nell’ultimo anno, ma assicurano di contare sul Dpef in arrivo. “L’avanzamento dei lavori è al 60 per cento in termini di spesa su costo e al 90 per cento quanto all’incidenza sul territorio”, spiega l’architetto. Ai 5,6 miliardi di costo complessivo si devono aggiungere poi quelli per la ricostruzione e la manutenzione di spiagge, barene e velme, gli isolotti della laguna, per altri 11 miliardi di euro complessivi “extra-Mose”.

Un lavoro immenso fatto dal Consorzio Venezia Nuova (“con l’alta sorveglianza del Magistrato alle Acque”) che ha combattuto e vinto – almeno per ora – la battaglia per costruire un’opera impressionante, alla quale sono tuttora contrari una buona parte del mondo accademico e uno schieramento politico trasversale che va dall’ex sindaco Cacciari ai verdi al Pd a parte della Lega, che però abbozza. “Non si sa se il Mose sarà all’altezza del mutamento climatico dei prossimi anni” dice Bettin. Tradotto: nessuno è in grado di stabilire se i flussi delle maree nei prossimi cento anni saranno costantemente al di sopra di una certa soglia, e quindi provocheranno l’innalzamento delle paratie per lungo tempo interrompendo il flusso mare-laguna, o peggio non assolvendo al compito. “Il Mose è progettato per funzionare qualche volta all’anno non di più” chiosa Bettin.

Poi ci sono i dubbi sulla sostenibilità ambientale: gli enormi cantieri una volta terminati i lavori saranno smantellati. Quello di Malamocco, costruito su una piattaforma artificiale, sarà completamente sradicato dalle fondamenta. Insomma il Mose, 18 chilometri di cantiere sul mare che danno lavoro a tremila persone compreso l’indotto, rischia di essere la prova del fuoco di questi strani tempi: se funziona diventerà l’opera ingegneristica più celebrata, in caso contrario sarà lo spreco di soldi pubblici più clamoroso degli ultimi 20 anni. “Ho dubbi su tante cose ma sul Mose nessuno, dormo sogni tranquilli” è sicura l’architetto Faccioli, beata lei. Suona meno rassicurante il direttore del cantiere di Malamocco, che alla domanda: “Fra cent’anni cosa succederà, bisognerà rifare tutto? Chi toglierà questi blocchi enormi dalla Laguna?” ha risposto: “Boh, fra cent’anni chi lo sa... Lei ci sarà? Io no”. E forse nemmeno Venezia.

Il linguaggio è moderato, la sostanza durissima. Un severo atto di accusa verso gli interventi di salvaguardia in laguna quello di Luigi D’Alpaos, uno dei più importanti ingegneri idraulici italiani.

«Fatti e misfatti di idraulica lagunare» il titolo del suo ultimo volume, pubblicato dall’Istituto veneto di Scienze, lettere ed Arti. Saggio storico, ma più ancora una durissima critica verso la politica della salvaguardia degli ultimi anni. Che non ha risolto i problemi idraulici del bacino lagunare. Anzi, li ha in molti casi aggravati. Tralasciando soluzioni semplici per «salvare» la morfologìa lagunare. Come il trasporto di sabbie dei fiumi e resistenze fisse alla marea alle bocche di porto. Sala piena, almeno 250 persone ieri a palazzo Franchetti per sentire la relazione di D’Alpaos. «Opera importante», ha detto l’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin, «che spiega l’impatto delle opere in corso e traccia scenari futuri. Per salvare Venezia non solo dalle acque ma nelle acque». D’Alpaos, che fu allievo di Augusto Ghetti, l’ingegnere del Vajont e del Progettone del 1982, cita Cristoforo Sabbadino, grande ingegnere idraulico del Cinquecento. «La laguna ha tre nemici, i fiumi, il mare e l’uomo. E spesso le voglie ingorde delli homini, come le chiamava Sabbadino, e gli interessi particolari hanno prevalso sugli interessi generali». D’Alpaos fa un appello agli scienziati a «tenere la schiena dritta». A esercitare più la scienza del dubbio delle «malposte certezze di ingegneri operosi che animati da sacro furore del fare» operano spesso scelte sbagliate. Riferimento, nemmeno tanto velato, ai grandi interventi del Consorzio Venezia Nuova e del Magistrato alle Acque («Solo un ricordo» della passata autorità di controllo). Si riprendono le critiche al Mose in vista di un innalzamento del livello del mare. Ma soprattutto gli «errori», i progetti approvati per stralci, con la tecnica del «fai e poi aggiusta». Ecco allora la mancata apertura delle valli da pesca. E, ancora, il grande errore del Canale dei Petroli. Che se non aumenta direttamente le acque alte, scandisce D’Alpaos, «è comunque il responsabile della devastazione della morfologìa lagunare. E pensare che c’è qualcuno che pensa anche di scavarlo e approfondirlo». Il problema vero, spiega ancora l’ingegnere, è quello dei sedimenti, che escono dalla laguna, trasformandola sempre più in un braccio di mare e distruggendo le barene. A poco servono, continua D’Alpaos, le opere artificiali pensate come «addobbo estetico». Mentre gli interventi in corso hanno aumentato la velocità delle correnti alle tre bocche di porto e stanno provocando «macrovortici ed erosione dei fondali». Anche i nuovi moli foranei, sostiene l’ingegnere, rallentano la marea in uscita. Non sono stati costruiti pensando alla riduzione della marea, come aveva chiesto il Comitatone, ma per difendere le paratoie dall’effetto risonanza in caso di mare agitato. Insomma la salvaguardia, assicura l’ingegnere, è tutta da ripensare.

La Regione non ha i mezzi, né soldi né tecnologìe. E la Valutazione ambientale strategica (Vas) sarà fatta in collaborazione con il Consorzio Venezia Nuova. Iniziativa che farà discutere, quella approvata dall’assessorato al territorio di palazzo Balbi.



Un accordo di programma stipulato tra la giunta regionale e il Magistrato alle Acque prevede la possibilità per l’Ufficio Vas della Regione, diretto dall’architetto Giovan Battista Pisani, di «avvalersi delle strutture tecniche dell’Ufficio informativo del Consorzio Venezia Nuova». La Regione potrà anche utilizzare mezzi e strutture del Consorzio per la sua atività. Niente di male, se non fosse che il Consorzio Venezia Nuova - e le imprese che ne sono socie Mantovani, Sacaim, Condotte - sono attori di buona parte dei progetti e dei lavori per le infrastrutture e le opere nel Veneto che potrebberio avere bisogno proprio del parere della commissione Vas.

Una decisione che arriva dopo lunghe polemiche sugli interventi nel territorio veneto. Una cultura sta scomparendo, denunciano comitati e ambientalisti. Perché nonostante leggi come il Dlgs 42 del 2004, meglio noto come decreto Urbani e l’obbligo delle autorizzazioni paesaggistiche, continuano gli episodi di degrado, sfregi al paesaggio, progetti impattanti spesso regolarmente autorizzati proprio per la mancanza di professionalità e di esperti della materia. Entro la fine dell’anno la Regione dovrà anche decidere sull’attribuzione delle deleghe ai Comuni che saranno «giudicati idonei». Anche qui, secondo le associazioni per la tutela del paesaggio, si cela un grande pericolo. E il rischio che invece di una garanzia per il paesaggio e le arree di pregio, la decisione sui nuovi insediamenti e infrastrutture venga affidata al geometra del piccolo paese o alle stesse imprese. Salvo poi piantare qualche albero per nascondere le nefandezze di nuova realizzazione. Tutt’altra cosa dalla riqualificazione del paesaggio.

La conferma arriva dall’allegato Infrastrutture al nuovo Dpef (Il Documento di programmazione economica e finanziaria su cui si baserà poi anche la nuova Legge Finanziaria 2011). I fondi recuperati da vecchi mutui per investimenti pubblici mai erogati o finanziamenti mai spesi saranno compresi tra il miliardo e mezzo e i 2 miliardi di euro e sarò poi il Cipe (il Comitato per la programmazione economica) a distribuirli. Ma tra la marea di opere legate alla Legge Obiettivo (si avvicinano ormai alle 350, per un valore vicino ai 360 miliardi di euro), sarà grata una vera e propria «serie A» di interventi prioritari (una trentina in tutto) che si spartiranno i residui rimessi in circolo dal Cipe. Tra di esse, con opere come l’Altà Velocità Milano-Padova, il completamento della Salerno-Reggio Calabria, la Torino-Lione, il ponte sullo Stretto, ci sarà appunto anche il prpgetto di dighe mobili alle bocche di porto e già nell’anno in corso il Cipe dovrebbe stanziare una congrua cifra a favore di Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova, per non interrompere il flusso dei finanziamenti verso la conclusione dell’intervento, previsto per il 2014. Gli ultimi 400 milioni di euro in «dono» per il Mose sono già arrivati attraverso il recupero dei residui passivi maturati nel triennio 2007-2009 per fondi non spesi per infrastrutture. Sui circa 4 miliardi e 678 milioni di euro previsti per l’intervento, finora lo Stato ne ha stanziati 3 miliardi e 244 milioni, saliti appunto a 3 miliardi e 644 milioni, con la nuova «benzina» immessa nel Mose. Un’altra fetta di fondi dovrebbe appunto arrivare con la nuova ripartizione. L’opera è già ben oltre ill 6o per cento della sua realizzazioni e per la fine del 2012 è previsto il completamento della prima delle quattro file di dighe mobili da «schierare» alle bocche di porto per alzarsi in caso di acque alte eccezionali. Il sistema di dighe mobili entrerà però in funzione solo quando tutte e 79 le paratoie previste saranno state montate sui fondali delle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia.

Le garanzie per il completamento del Mose che arrivano dal Governo e dal Ministero delle Infrastrutture fanno però un contrasto stridente per la ormai cromica mancanza di fondi per la salvaguardia della città, tanto che il Comune medita la chiusura di Insula - la società nata proprio per la manutenzione urbana e legata all’erogazione di fondi pubblici per gli interventi - che rischia di fermarsi, senza più finanziamenti. E mentre i fondi per Roma Capitale si trovano, per Venezia si discute di nuova Legge Speciale, ma sempre a costo zero.

L’opera di regolazione delle maree alle bocche di porto meglio conosciuta come “sistema Mose” sta procedendo secondo un proprio cronoprogramma che prevede la fine dei lavori per il 2014. Il progetto definitivo era stato approvato nel novembre 2002 con il placet del Comitatone [il comitato interistituzionale costituito da rappresentanti di ministeri, regione e comuni - ndr] nell’aprile del 2003.

Il costo calcolato ad oggi ammonta a 4.678 milioni di euro; l’opera può contare su un finanziamento finora stanziato di circa 3.ooo euro e ne mancano circa 1.600. Ai costi di costruzione, destinati verosimilmente a crescere nonostante la convenzione a prezzo chiuso, andranno aggiunti gli alti costi di gestione e manutenzione; il concessionario calcola 12 milioni di euro all’anno, pari allo 0,4% del costo dell’opera sulla base di un confronto con le barriere del Tamigi e della Scheda. Fonti autorevoli (Corte dei conti, consiglio superiore dei LL.PP., Comune di Venezia, ecc.) ritengono invece tali oneri altamente sottostimati e si ritiene che un’opera di tale natura debba attestarsi al 1-1,5% del suo costo.

Lo stato di avanzamento dell’opera è al 60% circa; sono stati ultimati e/o sono in corso tutti quegli interventi complementari e propedeutici ( bocca di Lido: porto rifugio e conca di navigazione, isola artificiale, protezione dei fondali, aree di produzione funzionali alla costruzione delle opere; bocca di Malamocco: diga foranea e conca di navigazione per grandi navi, opere di spalla, opere per la prefabbricazione dei cassoni di alloggiamento delle barriere, inizio costruzione cassoni di soglia, protezione dei fondali,aree di produzione funzionali alla costruzione delle opere; bocca di Chioggia: diga foranea, porto rifugio e conca di navigazione per pescherecci, opere di spalla, protezione dei fondali, aree di produzione funzionali alla costruzione delle opere).

Manca la fase finale costituita dagli interventi cosiddetti tecnologici (oggetto di gare europee) che rappresentano la parte più complessa dell’opera.

In concreto, esaurita la parte precedente, sta iniziando ora, in questi mesi,il vero punto di non ritorno:con le gare europee delle cerniere e poi delle paratoie e delle altre parti tecnologiche,con la costruzione dei cassoni di soglia e con lo scavo delle bocche per la messa a dimora dei cassoni di soglia.

E’ un errore pensare che non sia più possibile fermare questa opera; esistono ancora oggi le condizioni per effettuare varianti in corso d’opera volte da un lato a contrastare, o quantomeno a ridurre, gli effetti negativi che il proseguimento dell’opera provocherà, dall’altro a introdurre quegli elementi e soluzioni tecnologiche di maggiore compatibilità con l’ecosistema lagunare più volte auspicati.

E’ necessario però essere consapevoli che siamo in presenza della costruzione di un’opera che può contare di tutta una serie di punti a proprio favore che la “legittima” pienamente.

Il sistema Mose è stato approvato sia dal governo Berlusconi che dal governo Prodi, dalla destra e dalla sinistra nazionale e locale ( salvo coraggiose eccezioni: Mussi, Ferrero, Pecoraro Scanio, Bianchi, Massimo Cacciari).

Un’opera costosissima ed impattante che procede imperterrita nonostante gli innumerevoli rilievi critici di natura procedurale, ambientale,strutturale e le numerose manifestazioni di contrarietà che si sono manifestate durante tutto il suo percorso. Ne ricordiamo alcuni:

- esiste una valutazione di impatto ambientale negativa

- sia la soluzione progettuale adottata che i lavori eseguiti non sono mai stati soggetti a gara

- le opere complementari (lunate foranee e conca di navigazione ) hanno avuto una V.I.A. regionale mentre sarebbero dovute sottostare ad una V.I.A. nazionale ( ricorso respinto )

- c’è stato un ricorso in Europa ( respinto ) perché non si rispettano particolari aree di interesse comunitario

c’è stato un ricorso ( respinto ) per danni ambientali causati dai cantieri di costruzione dei cassoni a S.Maria del mare ( Pellestrina )

- c’è stato un ricorso ( respinto ) al Consiglio diStato per la decisione del governo Prodi sulla prosecuzione del Mose di escludere dal voto finale in Comitatone alcuni ministri contrari

- l’opera prosegue in assenza di un progetto esecutivo completo ( si procede per stralci )

non si è voluto tener conto delle osservazioni e proposte alternative presentate dal Comune di Venezia

- ci sono state oltre 12.000 firme contrarie al Mose

- non ci sono risposte esaurienti a fronte di un incremento del livello del mare ( eustatismo )

è stata denunciata una penalizzazione dell’attività portuale

- sono stati disattesi precisi dettati della legislazione speciale per Venezia ( sperimentalità, reversibilità,gradualità )

- sono stati disattesi specifici punti ( 11 ) proposti dal Comune di Venezia propedeutici all’inizio dei lavori del Mose

- rottura del caranto e scavo di milioni di mc. di fango consolidato,

- creazione di barene artificiali per mettere a dimora i volumi provenienti dallo scavo delle bocche

- costi di gestione e manutenzione dell’opera largamente sottostimati

- mancata accettazione di indennizzo dei danneggiati dall’acqua alta

- critiche pesanti dalla Corte dei Conti

- incidenza negativa del Mose sull’intero ecosistema lagunare

- infine, recentissimi studi (della società Principia interpellata dal Comune)) che mettono in discussione la funzionalità tecnica del Mose

Oltre alle caratteristiche dell’opera in sé vanno valutate le interrelazioni che detta opera produce con la laguna e specificamente con il suo marcato processo erosivo in corso. Il problema dell’erosione della laguna e della sua artificializzazione è stato sottaciuto perché si è voluto concentrare tutto sull’acqua alta-Mose opera salvifica della città.

La laguna sta diventando un braccio di mare ed andrebbero espletati radicali interventi volti ad invertire l’attuale bilancio negativo di sedimenti ( escono in mare più sedimenti di quelli che entrano nello specchio lagunare ) agendo principalmente: 1) sulle modalità di introduzione di sedimenti in laguna ( es. dalle piene del Brenta attraverso l’idrovia ) 2) su tutti i fenomeni che creano sospensioni di sedimenti ( moto ondoso provocato da natanti,dal vento,dalle disastrose modalità di pesca delle vongole filippine ) 3) sul dislocamento delle grandi navi crociera fuoruscita) 4) sulle quote dei fondali dei canali portuali 5) sulle sezioni delle bocche di porto che regolano lo scambio mare laguna.

In tale contesto il sistema Mose con l’irrigidimento delle sezioni delle bocche di porto che comporta non consentirà più di agire su questo fattore caratterizzato dalle misure del progetto che andrebbero invece ridotte con impedimenti fissi e removibili.

Durante il processo di avanzamento del Mose, nel luglio 2009 è stato pubblicato uno studio commissionato dal Comune di Venezia che conferma scientificamente alcuni dubbi a suo tempo sollevati da eminenti studiosi:

- le paratoie del Mose sono dinamicamente instabili ed in certe condizioni di mare non garantiscono il superamento della “ risonanza “ (le paratoie oscillano con ampi angoli facendo entrare acqua in laguna vanificando così l’effetto diga al contenimento della marea)

- la progettazione esecutiva delle opere tecnologiche si basa sulla sperimentazione su modelli in vasca che l’ingegneria moderna off-shore ritiene non affidabili

A fronte di quanto emerso da tale studio si rischia di eseguire un’opera dal costo di 5.000 di euro garantita 100 anni ( per tale arco temporale è stato ideato il Mose ) che poi potrà non funzionare!

Si impone pertanto la necessità di verificare immediatamente ( prima dell’indizione delle gare europee e della messa a dimora dei cassoni di soglia ) tramite un confronto scientifico garantito da terzietà quanto affermato dallo studio di Principia e qualora se ne riscontri la validità procedere con una variante in corso d’opera che risolvendo il fenomeno della risonanza individui la soluzione progettuale (peraltro per alcuni versi già nota) che sappia ridurre le sezioni frapponendo ostacoli fissi e removibili stagionalmente alle bocche di porto.

Armando Danella è il funzionario del Comune di Venezia che segue da almeno un ventennio la vicenda della salvaguardia della Laguna e del progetto MoSE

Dall'alluvione del novembre 1966 che, con una marea di 1,92 centimetri sul livello medio del mare, ha rischiato di sommergere Venezia, è passato un tempo lungo e molti e diversi sono stati i convincimenti dai quali decidere quali interventi fossero i più opportuni per evitare una catastrofe che si sarebbe poi potuto dire solo annunciata.

Al fine è prevalsa la coscienza che a quell'evento distruttivo, certamente eccezionale ed imprevedibile nella sua dimensione naturale, molto avevano contribuito l'incuria manutentoria delle difese a terra e a mare della laguna e le rilevantissime modificazioni che da metà ottocento vi si erano succedute, riducendone di fatto di un terzo l'invaso e modificandone in maniera significativa l'accesso dell'acqua marina (le attuali tre bocche di porto), scavando canali interni e modificando la morfologia stessa dei suoi fondali. A questo saggio convincimento, raggiunto – va detto – a fatica, si devono le tre buone Leggi Speciali per Venezia (tutt'ora vigenti anche se molto disattese) che stabilivano anche le modalità di intervento su un ecosistema naturale giustamente considerato fortemente antropizzato nella sua millenaria storia: eventuali opere di regolazione delle maree (dighe) venivano subordinate alla verifica di un adeguato avanzamento della realizzazione di tutti gli altri interventi diffusi nella laguna, aventi come scopo il ripristino della morfologia lagunare, l’arresto dei processi di degrado e inquinamento, l’esclusione del traffico petrolifero e la riapertura delle valli da pesca (che erano state separate dal corpo vivo della laguna e privatizzate).

Un primo concorso per la costruzione di tre sbarramenti fissi alle bocche di porto (progettone), è andato senza esito, anche per un'opposizione ambientalmente sensibile che ha saputo farsi valere culturalmente e politicamente. Successivamente però sono state pure totalmente disattese le Leggi Speciali che consideravano eventuali sbarramenti dal mare possibili solo dopo aver verificata l'insufficienza di interventi diversi. Tali sbarramenti comunque avrebbero dovuto essere sperimentali e reversibili. Il partito trasversale del profitto è riuscito, già allora, a ottenere una legge che consentisse e costituisse un concessionario unico per lo studio, la proposta e la realizzazione di dighe mobili di separazione della laguna dal mare come unica soluzione al fenomeno delle alte maree lagunari (acque alte) senza minimamente analizzare e rimuovere le cause che nell'ultimo secolo e mezzo avevano fatto aumentare il fenomeno in frequenza e dimensione.

Un'opposizione caparbia ha coinvolto anche il Comune e la Provincia di Venezia e ha saputo far anche emergere studi e progetti alternativi, nel frattempo predisposti, per una reale politica dei SI (scegliere, dopo confronto, la soluzione migliore e più efficiente): il Comune ha fatto analizzare tutti i progetti alternativi da una apposita commissione tecnico-scientifica che nella graduatoria valutativa finale ha, significativamente, collocato il MoSE al penultimo posto. Nell'occasione si è potuto pure valorizzare uno studio (Pirazzoli-Umgiesser,CNR francese e italiano) che rileva che, con opportuni rialzi dei fondali alle tre bocche di porto, differenziati in relazione al loro uso diverso, è possibile una riduzione di tutte le maree fino a 22 cm. risolvendo così al 95% il fenomeno delle acque alte.

Il 22 novembre 2006 il Governo Berlusconi (a seguito di pari politica di Prodi) ha dato il via alla realizzazione del sistema MoSE. Il progetto, bocciato da una Valutazione d'Impatto Ambientale negativa, illegittimo per violazione di norme e leggi urbanistiche regionali, nazionali ed europee, in assenza di un progetto esecutivo complessivo, con l'opposizione del Comune di Venezia, è stato approvato con il solo voto politico governativo che ha fatto strame di ogni procedura democratica. La stessa Commissione Europea, alla quale il Comune di Venezia e varie Associazioni Ambientaliste si erano rivolte, dopo una prima perplessa messa in mora dell'Italia, ha accettato una così detta compensazione ambientale che proprio in questi giorni rischia di artificializzare ulteriormente la laguna e di eludere ogni controllo democratico. I costi di realizzazione, a forfait chiuso, senza possibilità alcuna di aumenti -veniva detto- erano di 4.271 milioni ma oggi sono già aumentati a 4.678.

Dal 2006 ad oggi molto si realizzato del sistema MoSE (l'insieme cioè di tutte le opere) distruggendo preziosi ambiti lagunari e di costa per dar spazio ai cantieri, modificando strutture foranee, formando nuove dighe marine (lunate) e un'isola artificiale, strutturando conche di navigazione e porti rifugio: le correnti all'interno della laguna si sono già fortemente modificate, ma il MoSE, con le migliaia di pali di fondazioni sotto i fondali, i suoi cassoni di contenimento tecnologico e di alloggio per i 79 portelloni mobili, l'affidamento in appalto dei connettori e cerniere preposti alla rotazione dei portelloni, non è ancora cominciato.

Ma altri avvenimenti inquietanti si sono realizzati in questi 4 anni.

La Corte dei Conti, con propria deliberazione del 20 febbraio 2009 ha pesantemente criticato l'intera operazione sia sotto l'aspetto contabile che procedurale, ma il Governo cui era essenzialmente indirizzata la delibera non ha minimamente provveduto ad effettuare modifiche.

Nel congresso del CIESM del 12.5.2010 tenutosi al Lido di Venezia, il direttore dell'Ismar del CNR nazionale Fabio Tricardi ha confermato tutti i dubbi che da mesi scienziati e ambientalisti stanno avanzando sull'efficacia del sistema di dighe mobili di fronte all'innalzamento del livello medio del mare in alto Adriatico per i cambiamenti climatici.

Nelle riunioni del 2 e 8 novembre 2006 presso la Presidenza del Consiglio, il Comune di Venezia aveva manifestato ancora rilievi critici, osservazioni e raccomandazioni sul sistema MoSE. Prendendo atto che, con la successiva approvazione solo politica, non ne era stato minimamente tenuto conto, per garantire alla comunità veneziana, ma potremmo dire al mondo intero, almeno il corretto funzionamento delle barriere e il dimensionamento strutturale dei suoi componenti, ha incaricato la società Principia, leader mondiale nel campo della modellistica, di verifica e di una comparazione del MoSE (dighe a galleggiamento) con uno dei sistemi alternativi (dighe a gravità).

Dallo studio presentato emerge che le paratoie - con particolari condizioni di mare (altezza d'onda di 2,2metri e periodo di picco 8 secondi), condizioni non rare e verificatesi già 4 volte negli ultimi 4 anni – manifestano un comportamento caratterizzato da instabilità dinamica che comporta una risposta caotica con irregolare amplificazione dell'angolo di oscillazione della singola paratoia. Oltre il linguaggio tecnico (per il quale si rimanda alla relazione nel sito del Comune) ciò significa essenzialmente due pronunciamenti di estrema gravità che si possono verificare in certe condizioni mareali e meteorologiche non infrequenti :

- la tenuta della marea al di fuori della laguna da parte delle dighe mobili risulta assolutamente vanificata perché i varchi esistenti tra portellone e portellone, previsti nel progetto, con la grande oscillazione angolare dei portelloni stessi incernierati sul fondo, non correttamente prevista in progetto, lasciano entrare tanta acqua da far aumentare il livello lagunare in poco tempo anche di 20 e più cm. (a cosa serve, quindi, il MoSE?)

- le grandi oscillazioni dei singoli portelloni (risposta caotica con elevata amplificazione dinamica) non consentono, con gli elementi di analisi esistenti normalmente impiegati nella progettazioni delle opere marine una valutazione affidabile delle stesse oscillazioni e dei carichi di progetto. In altre parole, allo stato delle conoscenze scientifiche odierne, non è possibile progettare con sicurezza né le cerniere né il connettore che le tiene avvinte sul fondo ed l'intero sistema è a rischio di collasso. Per di più non è neppure possibile, come afferma il Magistrato alle Acque, basarsi su esperimenti fatti appositamente in vasca su modelli ridotti, per la viscosità non calcolabile dell'acqua.

Alla luce di questi fatti appare irresponsabile non tanto e solo il comunicato di ieri del governatore regionale Zaia che, con l'ing. Cuccioletta presidente del Magistrato alle Acque di Venezia e l'ing. Mazzacurati presidente del Consorzio Venezia Nuova, annuncia la sua prima visita al MoSE domani mattina con un “vogliamo aprire alla stampa nazionale e internazionale le porte del più grande cantiere di ingegneria idraulica del mondo”, ma la continuazione dei lavori dell'intero sistema.

Ancora oggi questi si possono bloccare con il recupero ad altri fini possibili ed utili delle opere finora realizzate.

E' necessario che un panel internazionale di alto profilo scientifico, terzo rispetto agli enormi interessi in campo, valuti scientificamente lo studio degli esperti di Principia, la loro successiva risposta ad altre richieste del Comune di Venezia, la risposta che dà loro il Magistrato alle Acque, e la nuova replica di Principia. Il rischio è troppo grande per non valutare seriamente la situazione e, qualora fosse necessario, modificare al meglio l'intervento. Primo passo di democrazia reale è la pubblicazione di tutti questi materiali scientifici sul sito del Comune di Venezia a completamento del già inserito studio Principia come è stato pochi giorni or sono richiesto nella Consulta per l'Ambiente comunale dai movimenti lì rappresentati.

Nell'occasione gli scienziati potranno pronunciarsi anche sul più pericoloso fenomeno, in conseguenza anche del MoSE, che minaccia l'intera laguna di Venezia: la perdita continua di sedimenti sottili che si riversano in mare con l'uscita delle maree , impoverendone e svuotandone i fondali e trasformandola di fatto in un braccio di mare senza variazioni morfologiche, biologicamente morto.

Here English Translation

Malgrado molti dubbi scientifici e il temuto forte impatto negativo sull’ambiente, il progetto chiamato Modulo Sperimentale Eletromeccanico (MoSE) per barriere mobili contro il flusso di marea alle bocche di porto della Laguna di Venezia, per proteggere la città contro il fenomeno dell'acqua alta, è in costruzione. Tuttavia, un recente studio ha evidenziato la necessità di una revisione del progetto.

La prima pietra del Mose è stata posata il 14 maggio 2003 dal Primo Ministro Berlusconi. Il progetto fu contestato dal Comune di Venezia, dalla maggior parte delle associazioni locali per la salvaguardia della città e dell'ambiente naturale della Laguna, da parecchi esperti scientifici e da una grande parte della cittadinanza.

Nel 2005 il Comune di Venezia ha proposto al Governo italiano diversi progetti alternativi al Mose, tutti molto meno costosi e con minor impatto ambientale (http://www2.comune.venezia.it/MoSE-doc-prg/à 6). Questi non sembrano essere stati presi in seria seriamente considerazione dal Governo italiano, che ha preferito continuare i lavori per il MoSE.

Nel 2009, dopo aver speso nei lavori preliminari (la maggior parte per il dragaggio e la costruzione di dighe) circa la metà dei 6 miliardi di dollari preventivati inizialmente, non è ancora partita la costruzione degli enormi cassoni di calcestruzzo, ai quali dovrebbero essere attaccate 79 paratie. Ancora più grave, manca ancora un piano esecutivo complessivo dell’intero progetto. Secondo i progettisti del Mose, ciascuna paratia dovrebbe essere sollevata tramite l'immissione di aria compressa e lasciata oscillare in modo indipendente con le onde. Un dettaglio essenziale, è però il fatto che la struttura delle cerniere che dovranno collegare le paratie ai cassoni e controllare il flusso dell'aria compressa immessa, non è mai stata illustrata e sembra essere ancora in fase di studio. Qualcuno potrebbe chiedersi come un progetto di tale importanza, ancora non definito in alcune parti essenziali, possa aver ottenuto le necessarie autorizzazioni amministrative in Italia ed anche un importante prestito finanziario dalla Comunità Europea.

La possibilità di oscillazioni non uniformi delle paratie sotto l’azione delle onde, permetterebbe l'accesso di un flusso di acqua marina nella Laguna anche a paratie chiuse, è stata la più forte critica indirizzata ai progettisti del Mose. Secondo un rapporto di esperti internazionali [Collegio di Esperti di Livello Internazionale, 1998], l’aumento del livello d’acqua in Laguna è stato stimato in 0,27 cm/h nel caso in cui le paratie non oscillassero; 0,46 cm/h in caso di relative rotazioni di 20° (caso considerato come possibile) e di 2,09 cm/h per rotazioni di 30° (caso considerato come improbabile).

Per simulare il verificarsi di certi eventi meteorologici estremi del passato con le barriere mobili pienamente operative, è stata usata una stima molto prudente di aumento del livello della Laguna di 1 cm/h, includendo le forti piogge cadute sulla Laguna e sul suo bacino idrologico, mentre forti venti persistenti sul Mar Adriatico stavano creando onde nei passaggi della Laguna. È stato dimostrato che in parecchi casi, con una crescita del livello del mare di soli 20-30 cm, le inondazioni per molte ore consecutive delle zone più basse di Venezia, non possono essere evitate dalle barriere del Mose [Pirazzoli, 2002; Pirazzoli and Umgiesser, 2006].

Un gruppo di sostenitori del Mose [Bras et al., 2002], che ha studiato il progetto su incarico del Governo Italiano, ha contestato queste asserzioni affermando che “le paratoie sono state progettate in modo tale da prevenire ampie rotazioni oscillatorie”.

Per fare un confronto, l'aumento del livello medio del mare per l'anno 2100 è previsto variabile tra 0.5 e 1,4 m (Rahmstorf, 2007; vedi anche www.ozean-klima.de per la presentazione di M. Vermeer e S. Rahmstorf alla conferenza sul clima, Copenhagen, marzo 2009), con il valore più plausibile attorno agli 80 cm [Pfeffer et al., 2008].

Più recentemente, uno studio commissionato dal Comune di Venezia alla Compagnia francese Principia R.D. ha messo a confronto il comportamento idrodinamico delle paratie del MoSE con le paratie a gravità di un progetto che era stato proposto come alternativo al MoSE. È risultato (http://www2.comune.venezia.it/mose-doc-prg/ à 12) che con alcune condizioni di onda ripida con altezza significativa superiore ai 2 metri, non rare nell'area, le paratie del MoSE presentano un comportamento instabile. In questo caso la risposta caotica con un'alta amplificazione dinamica delle oscillazioni delle paratie del MoSE non permette una progettazione affidabile delle connessioni delle paratie stesse ai cassoni. In queste condizioni, al contrario di quanto affermato dai sostenitori del Mose [Bras et al., 2002], il flusso di acqua marina nella Laguna attraverso le paratie potrebbe aumentare fino ad un livello che non può essere definito da un modello.

Probabilmente non è troppo tardi per trovare il coraggio di proporre, invece di un rattoppo del vecchio inadeguato progetto, una drastica revisione, sia attraverso una soluzione più diffusa, come proposto dal Comune di Venezia, che permetterebbe di guadagnare provvisoriamente qualche decennio con costi ridotti; o direttamente attraverso una soluzione più drastica che prenda in considerazione l’aumento del livello medio mare nel prossimo futuro e i nuovi modelli climatici. Nel secondo caso, sarebbe necessario che il nuovo sistema di chiusure temporanee sia convertibile, quando l’alluvione diventa inevitabile, in una separazione impermeabile della Laguna dal mare.

Bibliografia

Bras, R.L, D. R. F. Harleman, A. Rinaldo, and P. Rizzoli, Obsolete? No. Necessary? Yes. The Gates will Save Venice, Eos, 83, Pages 217, 224, 2002.

Collegio di Esperti di Livello Internazionale. Report on the mobile gates project for the tidal flow regulation at the Venice lagoon inlets, Venice, June 1998, 48 p.

Pfeffer, W.T., J.T. Harper, and S. O’Neel, Kinematic Constraints on Glacier Contributions by the 21st-Century Sea-Level Rise. Science, 321, 1340-1343, 2008.

Pirazzoli, P.A., Did the Italian Government Approve an Obsolete Project to Save Venice? Eos, 83, 20, Pages 217, 223, 2002.

Pirazzoli, P.A., and G. Umgiesser, The Projected “MOSE” Barriers Against Flooding in Venice (Italy) and the Expected Global Sea-level Rise, Journal of Marine Environmental Engineering, 8, 247-261, 2006.

Rahmstorf, S., A Semi-Empirical Approach to Projecting Future Sea-Level Rise, Science, 315, 368-370, 2007

Paolo Antonio Pirazzoli è ricercatore al Centre National de la Recherche Scientifique, Meudon, France. E-mail:
pirazzol@cnrs-bellevue.fr

FOR A REVISION OF THE ITALIAN PROJECT TO SAVE VENICE

In spite of many scientific uncertainties and the strong negative impacts feared for the environment, the project called the Experimental Electromechanical Module (MoSE) for mobile flood barriers at the inlets of the lagoon of Venice, to protect the city from storm surges, is under construction. However, a recent study has shown that a revision of the project is becoming necessary.

The foundation stone of MoSE was set on 14 May 2003 by Prime Minister Berlusconi, The project was contested by the municipality of Venice, most local associations for the safeguard of the city and of the ecological environment of the lagoon, several scientific experts and a wide range of general people.

In 2005, the municipality of Venice proposed to the Italian government several projects alternative to the MoSE, all much less expensive and with lesser environmental impacts (http://www2.comune.venezia.it/MoSE-doc-prg/à 6). They do not seem to have been seriously considered by the Italian government, which preferred to continue the works for the MoSE.

In 2009, after spending in preparatory works (mostly for dredging and for the building of dykes) about one half of U.S.$ 6 billion initially scheduled, the construction of the huge concrete caissons to which 79 gates should be attached has not yet started. More seriously, a complete plan of execution for the whole project is still missing. According to the MoSE designers, each gate is expected to be raised by injecting compressed air and to oscillate independently with waves. However, an essential detail, the design of the hinges that should connect the gates to the caissons and control the flow of injected compressed air, has not been illustrated and seems to be still under study. One may wonder how such an important project, still undefined in certain essential parts, could have obtained the necessary administrative authorizations in Italy and even an important financial loan from the European Community.

The possibility of non uniform oscillations of the gates with waves, permitting a flow of sea water into the lagoon even when the gates are closed, was the main criticism addressed to the MoSE planners. According to a report by international experts [Collegio di Esperti di Livello Internazionale, 1998], the resulting increase in the lagoon water level has been estimated at 0.27 cm/hr if the gates do not oscillate, 0.46 cm/hr for relative rotations of 20° (case considered as possible), and of 2.09 cm/hr for rotations of 30°(case considered as unlikely).

By simulating the occurrence of certain storms of the past with the flood-gates fully operational, the very prudential estimate for an increase in the lagoon level of 1cm/hr was used, including heavy rainfall occurred over the lagoon and its hydrological basin, while persistent strong winds over the Adriatic Sea were creating strong waves in the lagoon passes. It was shown that in several cases, with a sea-level rise of only 20 to 30 cm, flooding for many consecutive hours of the lowest parts of Venice could not be avoided by the MoSE barriers. [Pirazzoli, 2002; Pirazzoli and Umgiesser, 2006]. A team of MoSE supporters [Bras et al., 2002], which have studied the project on behalf of the Italian government, disputed these assumptions. They stated that “the gates are engineered to prevent large oscillatory rotations”.

For comparison, the global sea-level rise by the year 2100 is expected to vary between 0.5 and 1.4 m (Rahmstorf, 2007; see also www.ozean-klima.de for the presentation by M. Vermeer and S. Rahmstorf at the climate conference, Copenhagen, March 2009), with a more plausible value of about 80 cm [Pfeffer et al., 2008].

More recently, a study commissioned by the municipality of Venice to the French Company Principia R.D. has compared the hydrodynamic behavior of MoSE gates to that of the gravity gates of a project that had been proposed as an alternative to MoSE. It appears (http://www2.comune.venezia.it/mose-doc-prg/ à 12) that for certain steep wave conditions with significant height >2 m, not rare in the area, an unstable behavior is obtained for the MoSE gate. In this case the chaotic response with high dynamic amplification of the oscillations of the MoSE gate does not permit a reliable design of the connection of the gate to its caisson. In these conditions, contrary to the statements of MoSE supporters [Bras et al., 2002], the flow of sea water into the lagoon through the gates would increase to a level that cannot be specified by modelling.

It is probably not too late to have the courage to carry out, instead of a patch up of the inadequate old project, a drastic revision, either towards a more diffuse solution, as proposed by the Municipality of Venice, that would make it possible to provisionally gain a few decades with limited costs; or directly towards a harder solution that would take more into account the near-future sea-level rise predicted by recent and new climatic models. In the latter case, it would be necessary for a new system of temporary closures to be converted, when flooding would become unavoidable, into a watertight separation of the lagoon from the sea.

References

Bras, R.L, D. R. F. Harleman, A. Rinaldo, and P. Rizzoli, Obsolete? No. Necessary? Yes. The Gates will Save Venice, Eos, 83, Pages 217, 224, 2002.

Collegio di Esperti di Livello Internazionale. Report on the mobile gates project for the tidal flow regulation at the Venice lagoon inlets, Venice, June 1998, 48 p.

Pfeffer, W.T., J.T. Harper, and S. O’Neel, Kinematic Constraints on Glacier Contributions by the 21st-Century Sea-Level Rise. Science, 321, 1340-1343, 2008.

Pirazzoli, P.A., Did the Italian Government Approve an Obsolete Project to Save Venice? Eos, 83, 20, Pages 217, 223, 2002.

Pirazzoli, P.A., and G. Umgiesser, The Projected “MOSE” Barriers Against Flooding in Venice (Italy) and the Expected Global Sea-level Rise, Journal of Marine Environmental Engineering, 8, 247-261, 2006.

Rahmstorf, S., A Semi-Empirical Approach to Projecting Future Sea-Level Rise, Science, 315, 368-370, 2007

Paolo Antonio Pirazzoli is a researcher at Centre National de la Recherche Scientifique, Meudon, France. E-mail : pirazzol@cnrs-bellevue.fr

L’ex ministro Lunardi l’aveva depennata perché «inutile e pericolosa». L’ex presidente del Magistrato alle Acque si era rifiutata di firmare il progetto. Ma la diga foranea del Lido adesso rispunta. E il Comitato tecnico di magistratura l’ha «resuscitata» approvandola 7 anni dopo la bocciatura.

C’è un piccolo giallo dietro la nuova opera che il Consorzio Venezia Nuova si appresta a realizzare in mare, fuori della bocca di porto di Lido. Il progetto originario del Mose non prevedeva queste «opere complementari», dighe foranee in massi e calcestruzzo orientate a scirocco. Aggiunte nel 2002 su richiesta del Consiglio comunale, che intendeva così percorrere una sorta di strada alternativa al Mose, chiedendo la riduzione delle maree con il rialzo dei fondali e le cosiddette opere di «dissipazione». Le dighe dovevano servire infatti per ridurre l’entità della marea entrante e dunque le acque alte di almeno 4 centimetri. In realtà, dicono a Ca’ Farsetti, sono state realizzate come protezione delle conche di navigazione costruite a Malamocco e riducono le acque alte solo di 1 centimetro e 3 millimetri. Alla fine nel Comitatone del 2002, il ministro Lunardi aveva dichiarato che la diga al Lido non si sarebbe fatta. Perché non utile ai fini della salvaguardia e dannosa per l’ambiente come rilevato dagli studi dell’epoca. E si sarebbe invece attuato il terminal dei petroli in mare, primo passo per ridurre l’inquinamento e anche le profondità dei fondali in laguna.

La riga sul progetto della scogliera al Lido era stata sostituita da un tratteggio. Troppe le controindicazioni, soprattutto per la modifica delle correnti e l’erosione, che si temeva avrebbe potuto danneggiare i litorali. Ma i dubbi evidentemente sono stati superati, e il progetto è stato ora portato al Comitato dal presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta e approvato, pur con l’indicazione di verificare i dubbi espressi dal Comune sull’efficacia dello sbarramento.

Quasi ultimata la scogliera a Malamocco, in corso i lavori per quella di Chioggia, adesso rispunta anche la diga del Lido. 43 milioni di euro la spesa prevista, per realizzare circa un chilometro di barriera verso sud est. Una cifra consistente, soprattutto in periodi in cui non arrivano soldi per la manutenzione della città e Insula, la società del Comune che si occupa del restauro di rive, ponti e fondamenta, rischia la chiusura. Tagli anche ai fondi ordinari del Magistrato alle Acque e ai contributi per i restauri ai privati, fermi da anni. Che il Comune ha annunciato di reintrodurre se da Roma arriveranno i 29 milioni di euro promessi da un anno, necessari a proseguire le opere di manutenzione dell’intera città. I lavori del Mose intanto proseguono, finanziati nel 2009 con 1200 milioni di euro, in totale circa 3500 in sette anni sui 4700 previsti.

Servirà alle grandi navi che dovranno trasportare le paratoie del Mose. E’ già in fase di costruzione una passerella larga tre metri sulle mura esterne dello storico complesso

Un nuovo molo in laguna dietro le mura dell’Arsenale nord. Per ospitare le grandi navi da cinquanta metri (jack up) che dovranno trasportare le paratoie del Mose. E una passerella larga tre metri sulle mura esterne dello storico complesso. Sono cominciati da qualche giorno, nell’area tra l’Arsenale e il Canale delle navi, i lavori di preparazione di quel tratto di laguna, che sarà «occupata» dai mezzi del Mose. Bricole transennate con la plastica arancione e bandierine piantate per avvisare i naviganti. Sul fondo sono già stati piantati decine di cilindri in metallo e calcestruzzo che dovranno sostenere la nuova struttura. Una parte di laguna che cambia aspetto. Verso San Michele e le Vignole, mezzi del Consorzio sono all’opera per ricavare le «barene artificiali». Isole dove mettere i fanghi scavati dalle bocche di porto di Lido. Un progetto che ha sollevato molte critiche e che attende di essere discusso in Comune e in Municipalità.

I lavori intanto proseguono anche fuori dell’Arsenale. La mura del lato nord è stata tagliata in due punti per consentire l’accesso diretto dai bacini all’acqua. La parte dell’Arsenale Novissimo è stata affidata in concessione al Consorzio Venezia Nuova per trent’anni dal governo Berlusconi nel 2005. I bacini di carenaggio serviranno per la manutenzione della paratoie del Mose, che dovranno essere periodicamente sollevate dal fondo e trasportate proprio all’Arsenale per la manutenzione. Per fare questo il Consorzio ha fatto costruire due grandi navi, i jack up, lunghe cinquanta metri, che saranno ormeggiate nella nuova «darsena» esterna dell’Arsenale. In quella storica, da dove sono state sfrattate le barche tradizionali dell’Associazione Arzanà, sono già ormeggiate le navi che lavorano alla bocca di porto. Il Consorzio avrà in uso anche alcuni dei capannoni storici (Tese) che sono stati in parte restaurati. Per raggiungerli si sta ricostruendo anche la passerella sul lato verso la laguna nord. Ma intanto i lavori proseguono. La nuova «darsena» per le meganavi è già stata autorizzata dal Comitato tecnico di Magistratura, presieduto da Patrizio Cuccioletta. Un sì di massima era arrivato lo scorso anno dalla Commissione di Salvaguardia per un progetto che proponeva di adeguare il molo, utilizzato fino a qualche anno fa per la manutenzione delle navi, per imbarcazioni più grandi. Lavori che proseguono mentre sul Mose la polemica non si placa. Mentre il Consorzio ha iniziato la sperimentazione delle cerniere delle paratoie, uno studio commissionato dal Comune alla società Principia ha concluso che in condizioni di mare agitato il Mose diventa un sistema instabile e rischia di non funzionare perché l’acqua entra tra una paratoia e l’altra. /article/articleview/13598/0/178/

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