Bastino gli ultimi due capoversi della lettera. Non si è potuto ”fare veramente urbanistica senza lottare come Don Chisciotte”! Ma i mulini a vento non erano nemici immaginari, erano macchine umane dalle lunghe braccia, anzi tentacoli che se riuscivi a tagliarne uno gli altri ti strozzavano e quello si riproduceva. Quale la miglior pratica urbanistica? Quella svolta da un tipo che fu denominato, come il medico condotto dei tempi andati, urbanista condotto, pronto ad occuparsi dei mali del territorio e della città ossia delle popolazioni cercando di conoscerli, di lottare come i pazienti medici a piedi scalzi cinesi nella lunga guerra contro la schistosomiasi. Questa fu vinta, l’altra fu persa.
Sono “davvero un miraggio i mondi civili” dubitosamente sperati dal nostro marinaio-urbanista (Ma: “cultura dello sviluppo”, non è il caso). E “cittadini primi attori locali” interessati alle cose buone del e per il territorio e la città, dove sono? Semmai ne troviamo troppi all’incontrario (salvo eccezioni consolatorie).
Perché domandare se esiste Sangri-La da qualche parte quando sappiamo di aver perduto il paradiso per intero insieme all’onore del 97% di urbanisti, architetti, amministratori pubblici e privati, politici puri, imprenditori e, appunto, del 90% della ‘gente’?
Tuttavia i pochi vadano avanti. Cento volte detto: le buone battaglie vanno sempre combattute anche se si sa che se ne perderanno la maggior parte, forse tutte.
Gentilissimo Eddyburg,
ho”scoperto” il suo sito mentre vagavo disperata alla ricerca di informazioni e di una speranza, una voce che mi aiutasse in quello che stavo facendo e che ogni istante mi gettava nello sconforto più nero. Per fortuna, come un naufrago, sono riuscita a nuotare fino alla sua isola.
Ho preso un’iniziativa civica che mi ha consegnato la delega di oltre cento persone del mio quartiere e quindi ora non posso fermarmi, ma sono molto demoralizzata.
Vivo a Roma, in un quartiere che una toponomastica beffarda definisce “Africano”.
Il territorio ricade all’interno del II municipio che, a sua volta, è compreso tra il Fiume Tevere, il Fiume Aniene, la Via Flaminia, la Via Salaria, la Via Nomentana e le Mura Aureliane. Il Quartiere è relativamente piccolo (non so darle dati precisi), sviluppatosi, a parte qualche rara presenza preesistente, con il boom edilizio degli anni ’50. Ha una elevata densità di popolazione, anche perché la maggior parte degli immobili sono palazzi con grandi cubature, in grado di ospitare parecchie decine di famiglie. Le strade, fatta esclusione per la via Nomentana che lo delimita da un lato e l’asse viale Libia – viale Eritrea, che sono vie ampie e dritte, di facile scorrimento, sono un dedalo inestricabile di viuzze che si attorcigliano su se stesse come gomitoli. Storicamente gran parte dei terreni erano di proprietà delle Ferrovie dello Stato. L’edilizia è disomogenea perché convivono, in strettissima promiscuità, alcuni immobili di gran pregio (ad es. le “Ville nel parco”, un grande condominio interamente recintato da alte mura dotato di alberi, viali, parcheggi, sorveglianti privati), qualche bel palazzo dalla firma illustre e casupole fatiscenti (il borghetto degli extracomunitari), casermoni anonimi, condomini post-bellici di edilizia economica.
I parcheggi della zona sono con strisce blu e parcometri e i residenti possono sostare se dotati di contrassegno.
Ad agosto scorso è iniziata la cantierizzazione per il prolungamento della metropolitana B1. Grande enfasi da parte degli amministratori: l’inizio della riqualificazione del quartiere!
Smog e polveri sottili alle stelle? Caos, frastuono e ingorghi perenni? Doppie, triple file, cassonetti distrutti e discariche a cielo aperto? Incidenti giornalieri per le auto che imboccano a velocità curve a gomito con passaggi pedonali subito dietro l’angolo? (vari morti) Carambole che riescono ad abbattere centraline Telecom, paline del traffico,alberi, per schiantarsi sui marciapiedi? Niente paura inizierà una nuova era.
Dopo sei mesi dall’inizio dei cantieri, che hanno chiuso in contemporanea strade, piazze, parcheggi portando la situazione sul filo della paralisi, il Comune ha convocato ripetutamente i cittadini in assemblee pubbliche, apparentemente per consultazioni democratiche sulle più opportune decisioni da prendere, in realtà per comunicare che: nelle immediate vicinanze di una delle stazioni della metro verrà costruito dall’ATAC, su un terreno prima delle FF.SS ora passato al Comune, un garage (in parte interrato, in parte fuori terra) con capienza di 900 posti auto. Chi costruisce, nell’ambito del protocollo PUP – Piano Urbano Parcheggi - destinerà una parte dei posti a box da vendersi a privati e il rimanente a parcheggi a rotazione. Quota per i residenti: 0
Poco più lontano, in un’area verde (circa 1600 mq) che il PRG destina a verde pubblico e servizi, (prima delle FF.SS., poi acquistata da una società ora fallita e rimasta recintata e inaccessibile da oltre 30 anni !!!), sarà posizionato dal Comune un parcheggio temporaneo (18-20 mesi) a raso. Successivamente si vedrà come riusciranno i curatori fallimentari di nomina governativa, a costruire altri parcheggi, come il Comune auspica (servono tanto!..) e certo anche qualche servizio (centro commerciale). Ancora un po’ più su, poche centinaia di metri in linea d’aria, uno stabile dell’Azienda municipalizzata ATAC sarà trasformato in un parcheggio a silos. Totale più di 1000 posti auto.
Domande:
Perché il Comune non ha mai fatto una valutazione preventiva dei posti auto necessari ai residenti e, soprattutto, non ha pensato di riservare loro in via esclusiva, nella fase criticissima dei cantieri i pochi posti rimasti? (Nelle vie “commerciali” viale Libia-viale Eritrea che dispongono di isolotti centrali con sistemazione a spina, i residenti devono pagare la sosta)
Perché, ora che il quartiere sarà dotato di fermate della linea metro, non continuare coerentemente a incoraggiare l’uso del mezzo pubblico aumentando (di lunghezza e di quantità) le corsie preferenziali, il numero delle vetture, modificando magari la loro tipologia (bus elettrici, navette per percorsi brevi e mirati)?
Perché rovinare con una colata di cemento (e poi chissà) un’area che il PRG vincola a verde pubblico e servizi invece di valorizzarla, visto che, essendo rimasta chiusa per 30 anni, oltre all’inevitabile ciarpame gettato oltre la recinzione, è dotata di piante anche imponenti, alberi di fico profumatissimi, felci, fiori spontanei e vi nidificano cardellini, verdoni, pettirossi, merli, codirossi, capinere e perfino una copia di balestrucci? Aggiungo che quest’area è vicinissima a una piazza che i romani chiamano “Sedia del Diavolo”,ora assediata dalle macchine e infestata di erbacce, ma dotata di gran fascino perché si tratta della tomba del liberto Elio Callistio e richiama l’atmosfera paleocristiana di tutta la zona (percorsa sotterraneamente da una estesissima rete di catacombe)
Perché la spropositata quantità di posti auto a rotazione, per nulla calibrata sulle necessità effettive dei residenti, deve servire (come è stato apertamente ammesso dagli amministratori) a fare da “attrattore” per le vie commerciali, mentre tutta la logica della sostenibilità, dell’economia e delle buone pratiche nella riorganizzazione della mobilità urbana suggerirebbero proprio il contrario? Il quartiere è strutturalmente “di attraversamento” tra la periferia e il centro, dunque non può ospitare parcheggi di scambio e dovrebbe alleggerire il traffico di passaggio facilitandolo e velocizzandolo con mezzi pubblici potenziati e protetti da corsie preferenziali e videocamere fisse
Perché ad ogni incontro pubblico tutte le domande sono state eluse e malgrado le raccolte di firme, la formazione di Comitati, le proteste, non c’è nulla e dico nulla che si possa fare perché un’altra realtà (che sembra così a portata di mano) si realizzi?
Piste ciclabili, aree pedonali, giardini, introduzione di sensi unici e dossi di rallentamento, autobus che trasportano velocemente la gente dove deve andare, senza ingorghi, senza smog, senza stress. Cittadini che si riprendono il loro quartiere e riescono a viverci con gioia, anziché, come faccio ora io, cercando di imparare a camminare con gli occhi chiusi?
Grazie se ha avuto la pazienza di leggere tutte queste righe e grazie ancora di più se vorrà spendere una parola di suggerimento. Io sono una semplice cittadina, non ho alcuna formazione urbanistica o tecnica, ma mi sono impegnata con tutte le mie forze a scrivere, spiegare alla gente, bussare alle porte, esporre con forza tutte queste incongruenze agli assessori e amministratori .
Penso sia una battaglia persa…
Anna Aliquò e cento abitanti del Quartiere Africano.
Eddyburg ha chiesto a Paolo Berdini, che conosce bene l’urbanistica romana, di rispondere. Ecco la sua lettera.
Cara Anna Aliquò e Comitato "Africano, ma non per sempre",
i giustissimi interrogativi che ponete hanno un'unica risposta: si è affermatauna visione privatistica della città. Alle esigenze di pochi devono sottomettersi gli interessi diffusi di cui lei e il suo comitato siete portatori.
In questo modo si può dare risposta al primo quesito (perchè non si è valutata l'esigenza di spazi di sosta durante il periodo dei lavori per la realizzazione della metropolitana). Dare questa risposta avrebbe infatti significato avere al primo posto le esigenze di chi abita e vive nei quartieri, in particolare nel vostro che è sottoposto ad un intenso traffico di attraversamento. Attraverso la stessa chiave di lettura si può dare risposta anche al secondo e terzo quesito.
Se si guarda infatti solo ai potenti interessi organizzati - dei commercianti nel vostro caso - non ha alcuna rilevanza ripensare fin d'ora al sistema dei trasporti pubblici in funzione della nuova infrastruttura. Pensate all'incredibile ritardo che si ha tuttora per la stazione Fs Nomentana: dopo cinque anni dall'apertura della ferrovia urbana che arriva fino a Fara Sabina, la preziosa stazione così vicina al vostro quartiere e potenzialemente importante per far diminuirela domanda di spostamento su mezzo privato è ancora ignorata dal sistema di trasporto pubblico. Figurarsi le future stazioni di viale Libia!
Meno che meno interessa la sopravvivenza di quel poco che resta della complessità biologica dei nostri luoghi di vita: i meravigliosi volatili che citate nel caso del piccolo spiazzo verde rimasto sono nulla al confronto del valore economico della realizzazione di un inutile parcheggio di scambio.
E arriviamo così al quarto quesito. E' un gravissimo errore sovraccaricare ulteriromente il quartiere africano di parcheggi di scambio. L'occasione della realizzazione della metropolitana andrebbe sfruttata in maniera esattamente contraria, e cioè rendendo quel quartiere una sorta dizona a traffico riservato alla residenza e servito esclusivamente da mezzi pubblici. E invece si sceglie la via della valorizzazione economica perseguita anche da aziende pubbliche che dovrebbero invece interessarsi alla difesa di interessi pubblici.
Del resto perchè meravigliarsi? Il nuovo piano regolatore della città è stato chiamato dall'amministrazione in carica come "il piano dell'offerta economica" e non della domanda sociale che chiede una città migliore. Conseguentemenete il piano prevede che siano realizzati 65 milioni di metri cubi di cemento. La quota residenziale di questo scempio che farà scomparire 15.000 ettari di campagna romana è sufficiente a fornire casa a 300.000 nuovi cittadini. Una vera follia se si pensa che nel decennio 1991-2001 gli abitanti di Roma sono diminuiti di circa 180.000 abitanti.
Insomma, mentre in un decennio è scomparsa una città grande come Modena, si pensa di aggiungere una quantità di cemento che non ha alcuna giustificazione. O meglio ha l'unico motivo di favorire la lobby dei proprietari fondiari e dei costruttori, categorie potenti quanto i commercianti.
Ma veniamo alla conclusione della sua lettera. E' una battaglia persa? Non si può più sperare che si possa realizzare un'altra città?Nonostante le risposte che ho fornito, credo che siamo ancora in tempo a sconfiggere questa visione economicista del futuro della città. Lo testimoniano i numerosissimi comitati di quartiere che si battono per una città migliore e spesso ottengono risultati concreti. Non è una sfida semplice: quotidiani come Messaggero e Tempo sono di proprietà di immobiliairisti non parlano mai delle richieste che provengono dalla città. Anche altri quotidiani, come noto, stanno attenti a non urtare la suscettibilità del sindaco. Ma penso ancora che valga la pena di cercare di delineare una città nuova. Quella che vogliono farci accettare per forza è un vero incubo.
Paolo Berdini
Che Legambiente avesse una linea "collaborazionista" con quella del liberismo di Lupi/Verga/Mantini era noto da tempo; vi si affiancano ora i "riformisti" diessini (Oliva/INU, Morassut, Demenici, ecc.), altrettanto dialoganti con la "negoziazione" con l'immobiliarismo rampante (De Albertis/ANCE). Una bella "entente cordiale", non c'é che dire! E i sostenitori dell'uso pubblico del bene comune "città e territorio" dove sono e che fanno ?
La locandina si riferisce a un convegno sul tema “Nuove politiche urbane per combattere il declino e rilanciare l’economia italiana”; introcono Federico Oliva, Presidente Inu,Luciano Caffini, Cecodhas (Federabitazione, Ancab, Federcasa), coordina: Francesco Ferrante, Direttore generale Legambiente. Intervengono Claudio De Albertis, Presidente Ance, Maurizio Lupi, Deputato Forza Italia, Roberto Morassut, Assessore Urbanistica Comune Roma, Gianni Verga, Assessore Urbanistica Comune di Milano, Leonardo Domenici, Sindaco di Firenze, Presidente Anci, Elvio Ubaldi, Sindaco di Parma, Francesco Rutelli, Presidente La Margherita – DL.
Caro Brenna, ho smesso di meravigliarmi. C’è Berlusconi, e c’è il berlusconismo, che pervade un arco di forze che travalica il confine tra destra e sinistra. E così, oltre alla Legge Lupi, c’è il lupismo, una ideologia di cui da tempo molti di noi denunciano i confini ampi: basta considerare che s’è impadronita quasi senza residui dell’INU. Importante sarà battere Berlusconi il 9 aprile, al berlusconismo penseremo dopo; analogamente, importante è stato far naufragare la legge Lupi, al lupismo penseremo dopo.
All’ultima domanda che fai non so proprio che cosa rispondere. Mi piacerebbe che rispondessero “i sostenitori dell'uso pubblico del bene comune città e territorio” che aderiscono all’INU e a Legambiente. E magari anche che si facessero vivi quegli impreenditori del settore dellecostruzioni che non ritengono che rilanciare la rendita immobiliare equivalga a “rilanciare l’economia italiana”, ma al contrario accelerarne la decadenza. Se ce ne sono ancora.
Una riflessione sul balbettio penoso del centrosinistra in materia di "Grandi Opere" (Tav, Ponte e Mose): considerato che le opinioni (e le sensibilità) in materia, all'interno dell'Unione, sono assai varie, invece che venir fuori con pronunciamenti ambigui, reticenti e contraddittori, che danno facile gioco alla maggioranza, basterebbe, una volta per tutte, una dichiarazione del genere: la prosecuzione di questi progetti sarà subordinata ad una Valutazione d'Impatto Ambientale rigorosa e imparziale (comprensiva quindi anche dell'opzione zero), che sia coerente con le direttive comunitarie e che l'attuale Legge Obiettivo non garantisce, dal momento che quella valutazione non c'è stata. In tal modo potranno scendere dall'albero troppo alto su cui sono saliti, ma correttamente e senza scontentare nessuno. Dire, come fa Prodi, "Non ho niente contro il Ponte, ma ci sono altre priorità" suona ipocrita e dilatorio. Dovrebbe dire invece: "Non ho niente contro il Ponte, a patto che mi provino, VIA e conti alla mano, che è conveniente farlo", e sarebbe una posizione inattaccabile, da parte di tutti. Ciò presuppone però che i leader del centrosinistra (non solo Prodi e i Ds, ma gli stessi politici "verdi") abbiano una qualche nozione delle leggi sulla VIA, e un minimo di sensibilità giuridica.
Scorrendo il programma dell'Unione leggiamo per altro, all'interno di un paragrafo quanto mai farraginoso, che "la legge Obiettivo si è rivelata un fallimento" e che ci si propone "di modificarla profondamente... per rendere generalizzato e inderogabile il ricorso alla Valutazione d'Impatto Ambientale". L'ultima frase, a rigore, è uno sproposito, perché il ricorso alla VIA già adesso è "generalizzato e inderogabile" ai sensi della normativa europea, essendo questa self-executing e sovraordinata a quella nazionale, che va disapplicata in caso di conflitto. Si tratta quindi, da un lato, di eliminare tale conflitto da questa e da alcune altre leggi e ddl dell'attuale governo, dall'altro, con riferimento ai progetti in corso, di sollecitare sul punto l'immediata disapplicazione della legge, prima che a farlo siano i tribunali amministrativi o la Corte di giustizia europea. L'unico dei grandi progetti in via d'attuazione nominato nel programma è tuttavia, come sappiamo, il Ponte sullo Stretto, del cui iter si annuncia bensì la sospensione, ma per la sola ragione che ci sarebbero altre "priorità infrastrutturali", non perché vistosamente illegittimo...
Mi sembra una proposta ragionevole.Speriamo che i leaders del centro sinistra “abbiano una qualche nozione delle leggi sulla VIA, e un minimo di sensibilità giuridica”.
Gentile Eddyburg, faccio parte di un comitato di cittadini che cerca di dar vita a un'importante iniziativa nel Municipio più esteso, popolato, disservito e inquinato di Roma: il Municipio VIII.
Nel 2003, dopo anni di scempi e dissennati permessi di costruire, che hanno ingigantito l'utenza e ridotto ai minimi termini le aree pubbliche e verdi, giungeva finalmente il Piano Regolatore.
Finalmente uno strumento, una possibilità per ripristinare i diritti fino ad allora negati all'istruzione (270 i bambini di materna in lista d'attesa a Finocchio), al verde pubblico, alla mobilità, ad un'ambiente salubre, ad una viabilità dignitosa,alla fruizione di spazi pubblici per la socialità e la cultura...
Ma il Piano Regolatore invece di restituire alla cittadinanza gli unici terreni fatti salvi dalla speculazione, invece di ripristinare la legalità portando standard urbanistici minimi, pianifica due enormi, definitivi TAPPI DI CEMENTO e CAOS: un nuovo quartiere di 3000 anime e un grande POLO INDUSTRIALE su via di Rocca Cencia. Non è tutto, nelle controdeduzioni tutte le piccole macchie di verde pubblico rimaste sulla carta sono cedute alla speculazione edilizia, sono cioè accolte le osservazioni dei privati che ne chiedono la destinazione da verde pubblico o agricolo a "tessuti prevalentemente residenziali".
Ci chiediamo con quale faccia questi mascalzoni vengano oggi a parlare di "periferie in movimento per uno sviluppo eco-compatibile" a magnificare il loro presunto impegno e a camuffare il reale abbandono di quella che è sempre più la "play station" dei palazzinari: la periferia di Roma.
Le periferie di questo piano regolatore degli incubi di cemento e caos che non conoscono la parola fine e (almeno per Finocchio) non prevedono un metro quadro di verde pubblico.
Perso per perso noi la spariamo grossa e chiediamo di far ritirare quei progetti deliranti e di istituire al loro posto un progetto meraviglioso: IL PARCO DI ROCCA CENCIA.
L'assemblea di mercoledì 1 marzo ore 17 alla scuola elementare Carlo Urbani (via Motta Camastra 155, Finocchio) è per istituirne il comitato promotore. La battaglia è di civiltà e di buonsenso. Aiutateci a darne notizia
Un saluto, (Finocchio)
N.B. Le immagini in allegato raffigurano una l'ipotetico e sognato parco, l'altra le orribili previsioni del nuovo prg.
Gentile Prof. Salzano,
noto con disappunto che in rete, sul suo website, ( vedere qui) ancora sopravvive o riappare, e con rilievo, la notizia, a firma di Vacchi Sandro, che io sarei in qualche forma coinvolto nel progetto del tunnel tra la Sicilia e l'Africa.
La notizia e' DESTITUITA DI OGNI FONDAMENTO, in quanto
1. NON SONO tra i progettisti solo perchè prima di essere Addetto Scientifico a Seoul lavoravo all'ENEA, lo stesso Ente (di 3700 persone) di La Mendola, lui sì tra gli ideatori del Progetto (io non ho mai scritto un rigo o fatto una moltiplicazione per questo progetto).
2. Non esiste PER QUANTO MI RIGUARDA alcun contatto tra Italia e Corea: nessuno mi ha mai chiesto niente in proposito (ne' coreani, ne' italiani) fino ad oggi da quando (gennaio 2005) ho preso servizio a Seoul, e MAI, dico MAI -, ne` prima in Italia o poi in Corea, ho avuto un incontro o anche solo una telefonata relativa anche lontanamente al Progetto.
Il mio lavoro a Seoul non è certo quello di seguire le vicende di un fantomatico tunnel (di cui non so nemmeno le caratteristiche tecniche), ma quello indicato nel website dell'Ambasciata di Corea alla voce cooperazione scientifica.
Questa storia del tunnel è ossessionante da quando il Messaggero su false indicazioni forse del La Mendola dell`Enea o del Lo Bue della Regione Sicilia (che non conosco se non attraverso UNA telefonata all`inizio del 2005 con la quale lo invitavo a tirarmi fuori da questa vicenda, causa per me di inutili perdite di tempo a causa di gente che, leggendo il sito, ancora mi chiama o scrive per avere dettagli) e lo stesso Messaggero ha pubblicato correttamente una mia lettera di estraneità alla vicenda (gliene allego il testo).
Anche l`Espresso ha nei mesi scorsi indicato la mia estraneita` al progetto.
Trovo francamente vergognoso che molti giornalisti mettano in circolazione notizie false (e talora tendenziose come nell` articolo in cui sembra che io, essendo siciliano, sia stato nominato Seoul per perorare la causa del tunnel facendo non chiare combriccole con i soliti siciliani di malaffare, mentre io sono arrivato qui avendo vinto un concorso del MAE ed il mio CV professionale e` in rete..) senza nemmeno preoccuparsi di una telefonata di verifica all'interessato assai facilmente reperibile. Ben diverso è stato ad esempio il comportamento della Giornalista Alessandra Viola a suo tempo del Sole 24-0re che prima di pubblicare mi ha chiamato e verificata l'infondatezza della notizia, il mio nome non è entrato in questa storia.
La prego cortesemente, pertanto di far rimuovere dalla rete l'articolo reperibile sul sito causa per me di fastidi e molestie, ed altri analoghi del suo website in cui si fa il mio nome in relazione al tunnel, tanto piu` che lo stesso Messaggero ha gia` pubblicato la mia lettera di smentita.
E faccio appello alla sua etica professionale invitandola anche a verificare, selo ritiene ancora necessario, la mia estraneità alla vicenda.
Sulla stessa rete ci sono molti altri riferimenti a me ed al mio lavoro da Seoul: per questi altri argomenti di S&T e di collaborazione bilaterale sono disponibilissimo a fornirle indicazioni (come è già avvenuto con altri suoi colleghi, es. R.Mameli de Il Sole-24 Ore).
Resto in attesa di suo cortese riscontro
Saluti
A.Tata, Addetto Scientifico Ambasciata d'Italia a Seoul
Caro ingegner Tata, l’articolo al quale lei riferisce è stato ripreso dalla stampa, come è abitudine di questo sito. La responsabilità è quindi della fonte indicata. Poichè eddyburg.it è non solo un “giornale” e una “rivista”, ma anche un archivio, non ritengo opportuno eliminare il pezzo che ella dichiara errato per la parte che la riguarda. Ritengo che sia sufficiente la pubblicazione di questa sua smentita e – per correttezza verso chi frequenta l’archivio eddyburg.it – il collegamento a questa sua lettera in calce all’articolo incriminato.
La ringrazio della precisazione
Roma, 23 gennaio 2006 - A tutt’oggi non sappiamo se la legge Lupi decadrà con la legislatura o se all’ultimo momento sarà portata in aula e approvata Possiamo però sapere cosa dovremmo fare nell’uno o nell’altro caso. Nel primo caso fortunato non ci dobbiamo illudere: il tema di una nuova legge sarà solo rinviato, e ci dobbiamo preparare ad affrontarlo con il nuovo parlamento. Il compito sarà diverso se avremo una maggioranza di sinistra, come si spera e come è ragionevole attendersi, o di destra, nel qual caso ci dobbiamo aspettare la riproposizione della legge decaduta, e anche peggio.
Nel secondo caso non dobbiamo stracciarci le vesti. Avremo una pessima legge, che non aiuterà certo a risolvere i gravi problemi che tuttora pesano sul destino delle nostre città e del nostro territorio (inefficienza, disfunzione, inquinamento delle grandi città, degrado e rovina del paesaggio naturale ed agrario). E’ illusione credere che il regime di stampo liberista, instaurato dalla nuova legge consenta di risolvere i problemi; anzi li aggraverà, e prima o poi questi dovranno essere affrontati caso per caso e settorialmente, in assenza di un adeguato provvedimento legislativo generale. Sarà allora l’occasione per riprendere e sostenere le antiche e vere ragioni della nostra dottrina, quale sensata e stabile risposta ai reali problemi sofferti dalla gente.
In ogni caso, sia di formazione di una nuova legge, che di azione pratica per risolvere problemi concreti, quelle ragioni si ripresenteranno e dovranno essere tenute in conto Ma, è mia opinione che quelle ragioni, fermi restando i classici principi dell’urbanistica, a distanza di oltre mezzo secolo, richiedano un apparato dottrinale aggiornato e più affinato di quello sotteso alla vecchia 1150/42 e alle applicazioni che ne sono state fatte. Come si spiegherebbe che a suo tempo si sia parlato di fallimenti dell’urbanistica, e si sia giunti alla situazione presente? La malafede degli avversari non spiega tutto, e soprattutto non spiega il disinteresse della pubblica opinione (politici e gente comune) per le questioni urbanistiche. Su questo disinteresse hanno fato leva gli avversari, da sempre, dell’urbanistica. Pensiamo alla famosa sentenza della C.C.55/68. Siamo sicuri delle risposte che si sono date? Pensiamo al metodo e alle tecniche di pianificazione (lo “zoning” distributore di rendite, gli “standard” schematicamente applicati, la carenza di serie analisi conoscitive, etc.). Pensiamo all’esito deludente di tanti nostri quartieri. Il problema torna ad essere quello di un approfondimento dottrinale, e questo postula un serio e critico dibattito. Su questo ho fin troppe volte insistito. Anche perché lo ritengo un passaggio obbligato a promuovere e sostenere le nostre ragioni presso la pubblica opinione.
D’accordo con te. Solo che “approfondire l’apparato dottrinario” dovrebbe significare in primo luogo approfondire l’esame delle esperienze di pianificazione che si sono condotte negli ultimi anni (un decennio o due) in Italia, verificare le innovazioni che si sono tentate, misurarne gli esiti. Chi lha fatto? Con quale circolazione dei risultati? Con quale dibattito sulle pubblicazioni accademiche? Per esempio: la famosa “articolazione del piano urbanistico e territoriale in due componenti, una strutturale e una programmatica”. Qualcuno di noi ha cominciato a studiarla e a praticarla all’inizio degli anni Ottanta. Poi l’INU la riprese nel congresso di Bologna, nel 1995. Qualche legge regionale l’ha introdotta nelle pratiche correnti (per esempio, la Toscana). Dalle informazioni che ho le applicazioni sono estremamente differenziate: le potenzialità si sono rivelate eccellenti, ma nella maggior parte dei casi i risultati sono deludenti. Quanto se ne è discusso? E qualto - per passare a un altro argomento - si è elaborato sulle applicazioni della perequazione, e sul rapporto tra pratiche di perequazione e dimensionamento dei piani? Ecco terreni dai quali la riflessione teorica (se per teoria intendiamo solo la riflessione sulle pratiche) dovrebbe svilupparsi.
A mio parere però non è affato detto che una legge nazionale debba ccuparsi di questi argomenti. Dovrebbe limitarsi a stabilire principi (per esempio, aumentare le aree urbanizzate solo là dove è strettamente dindispensabile e ciò è dimostrato al di lè di ogi ragionevole dubbio). C’è un terreno sul quale, invece, forse la riflessione teorica sull’urbanistica dovrebbe, connettendosi con il dibattito di altre discipline, incidere sul lavoro legislativo. Mi riferisco al tema del rapporto pubblico-privato nelle trasformazioni del territorio, e in particolare la questione della rendita: come incidere sulla sua formazione, trasformazione, distribuzione. E’ la questione che tenacemente ripropone da decenni il nostro collega torinese Raffaele Radicioni. So che una coraggiosa nuova casa editrice sta ripubblicando l’antico testo di Hans Bernoulli, La città e il suolo urbano . Magari è da là che bisognerebbere riprendere la discussione, e il lavoro, teorico e pratico, culturale e politico.
“Non capisco: perchè un mercenario non possa essere eroe, perchè un eroe non possa essere mercenario”. Questo "pensiero del giorno" è un suo scritto, lo ha tratto da qualche parte o è una sua provocazione? L’hanno colpita le immagini di quell'uomo italiano ammazzato in Iraq, la sua forza di fronte ai carnefici? Comunque d'acchitto mi ci trovo nelle parole che ha scritto. Sul perchè sarebbe lungo ragionarci, probabilmente interessante ma forse anche un pò scivoloso.
Quella frase è mia: esprime esattamente quello che penso. Che Quattrocchi sia morto bene, coraggiosamente, non ha niente a che fare e non è contraddittorio col fatto che era un mercenario, cioè uno che faceva il suo lavoro (nel caso specifico, adoperare le armi) come attività svolta a scopo di lucro, cioè a pagamento, per mestiere. Come i mercenari che si mettevano al servizio dei vari signori, bellicosi o meno, in tutto il corso del Medioevo e del Rinascimento. Mercenario è chi lavora per una mercede. Riconoscere che è morto con coraggio (nella retorica dominante ai nostri tempi questo sembra meritare l'appellativo di "eroe", che una volta veniva attribuito a chi, al prezzo della propria vita, salvava altre vite, il che non mi sembra sia avvenuto nel caso specifico) non può spingere a ignorare che il suo mestiere era quello del mercenario. Francamente non capisco quanti si pentano oggi di averlo definito mercenario: a meno che conoscano male la lingua italiana.
Le journal Les Echos à écrit: «La Diact remplace la Datar - Le ministre de l’Intérieur a présenté hier en conseil des ministres un décret supprimant la Datar et la remplaçant par la Délégation interministérielle à l’aménagement et à la compétitivité des territoires (Diact). Le communiqué du conseil des ministres indique que ‘cette nouvelle organisation administrative traduit les orientations du gouvernement en faveur du développement territorial marquées par la volonté de promouvoir l’attractivité du territoire national tout en poursuivant une politique de solidarité envers les zones fragiles ou excentrées’».
Les mots ont un sens: l’aménagement, action concertée, collective, solidaire, est remplacé par la compétitivité, c’est-à-dire par le combat des uns contre les autres.
Homo homini lupus
Comme tu sais, c’est ainsi aussi chez nous. Ici on éspère que quelques choses puisse changer à partir du prochain avril, date des éléctions politiques.
“Appello contro la morte decretata di un ragazzo americano”
Caro Prof. Eddy , visto che credo nelle possibilità dei singoli di cambiare e migliorare le cose, anche se la battaglia sembra impari, non ho potuto far finta di niente davanti alla determinazione di una mia amica, Gabriella insegnante di tai chi , che dimostra nel tentare di fermare l’esecuzione della pena di morte di un ragazzo americano , conosciuto tramite internet. Lei da diversi anni cerca di aiutare questo ragazzo che da 14 anni è nel braccio della morte nel Texas e non ha i soldi per dimostrare la sua innocenza. In questo mondo così tanto mercato e poco anima può sembrare incredibile che ci siano ancora persone che dedichino la vita a salvarne un’altra con pochi mezzi, ma tanta speranza. Poi ho pensato che non eravamo tanto distanti perché anche “ noi” inteso come associazioni di tutela del patrimonio ambientale e soprattutto come Eddyburg ) in fondo cerchiamo di salvare dei territori a volte condannati a morte da azioni barbare. Al di là di ogni discorso e motivazione che io possa trovare in questo momento, resta il fatto che il 7 di dicembre è la data di esecuzione di Tony. Ti chiedo se puoi dare spazio all’appello che Gabriella mi ha mandato.Grazie! carlamaria
Incredibile che ci si debba ancora battere per la vita di un uomo a cui vuole toglierla non una malattia, non un incidente, non una guerra, non un assassino punibile dalla legge, la la Giustizia. Il 30 novembre (come mi hai ricordato) in tutte le città ricoerdera il ptimo Stato (il _Granducato di Toscana), che nel 1786 abolì la pena di morte. A proposito della “possibilità dei singoli di cambiare e migliorare le cose”, la loro azione p efficace quando diventa azione di molti per un obiettivo comune: è a questo che dobbiamo tendere, soprattutto in questi tempi in cui ogni cosa spinge a chiudersi nel proprio bozzolo.
Prima di tutto complimenti per l'iniziativa (da me scoperta solo di recente). Chi scrive è un ex aspirante urbanista ancora, nonostante tutto, appassionato per questa disciplina.
Vorrei segnalare una nota critico-metodologica ( allegata) che, stimolato dal ddl Lupi e dalle bizzarre convergenze 'bipartisan', ho inviato al sito 'prodiano' della "Fabbrica del Programma". Da notare che dall'invio di questo scritto (10 aprile ), seppure formulato in maniera un po' provocatoria, nessuno ha risposto; forse anche perché i contributi di Politica Territoriale sono stati 'inglobati' in quelli di Politica Economica? Vi chiedo: c'è qualche speranza per l'Urbanistica italiana di un'autonomo 'spazio disciplinare', per andare oltre la mera 'apparenza' (ovvero sudditanza ideologico-culturale) in cui è stata (si è) confinata?
Cordiali saluti.
8 dicembre 2005
Il suo scritto è molto stimolante e acuto. Probabilmente però il taglio non è quello atteso dai promotori della “Fabbrica”, di cui comprendo la fatica a raccogliere e utilizzare interventi così diversi su una gamma di temi così ampia. Anche a me peraltro rincresce che i temi del governo del territorio e delle relative politiche (il cui fine non è solo economico) non abbiano a necessaria autonomia e centralità
Oggi la pianificazione pubblica (quella rivolta alla tutela dell’interesse pubblico) è compito desueto; assume allora tanto più valore la firma di un Protocollo d’intesa da parte di amministrazioni comunali di orientamento politico diverso, sottoscritto tra Regione Toscana, Provincia di Livorno e gli 8 comuni in cui è suddiviso il territorio dell’isola d’Elba, che definisce l’ incipit per dar vita ad un sistema unitario di programmazione e pianificazione territoriale volto a favorire uno sviluppo futuro sostenibile e garante dei valori ambientali e paesaggistici di questa splendida terra. E’ stata messa solo la prima pietra e molto ancora si deve fare e lottare per raggiungere risultati concreti sul territorio. Ma l’ostacolo più insidioso da superare sembra essere nell’applicazione del concetto di sussidiarietà introdotto definitivamente con la riforma del Titolo V della Costituzione, pienamente recepita dalla legge regionale toscana sul governo del territorio: E’ una riforma che ha modificato profondamente i rapporti interistituzionali in materia di pianificazione, devolvendo al Comune competenze quasi esclusive nelle scelte che più direttamente incidono sull’assetto futuro del nostro territorio.
Quella che negli anni ’80 era la pianificazione intercomunale, oggi territoriale, già vacillante sotto norme legislative deboli, pare sulla via dell’estinzione anche in Toscana. La Regione non sembra contrastare più di tanto la volontà di quei Comuni che curano il loro orticello, secondo le moderne regole del mercato e della rendita, senza sapere chi vive e cosa succede accanto a loro.
Così i cugini della Val di Cornia, fino a ieri impegnati fortemente nella redazione del Piano Strutturale Unico, nelle ultime settimane sono assurti agli onori delle cronache dei quotidiani locali per aver proposto numerose “varianti anticipatrici” del Piano Strutturale che ovviamente, ma non per tutti a quanto pare, snaturano il concetto di unitarietà delle valutazioni e delle scelte del piano comprensoriale. La motivazione è sempre la stessa: c’è chi chiede risposte rapide, ma per fare cosa? Forse un nuovo porto turistico o un nuovo centro commerciale? Così anche alcuni comuni elbani, in attesa della strutturazione a Portoferraio dell’Uffico Unico di Piano, dell’insediamento del Tavolo dei Comuni, dei primi risultati di analisi ricognitive che vadano oltre la limitata visione del confine comunale, stanno premendo per approvare varianti ai vecchi Programmi di fabbricazione, in molti comuni ancora l’unico strumento vigente da oltre 30 anni.
In realtà la richiesta di avvallo di queste pratiche da parte di Regione e Provincia è pressoché retorico perché l’autonomia nella gestione del territorio da parte dei comuni è ormai consolidata anche legislativamente. Ed allora, anche se sull’isola è segnata la strada per buone pratiche di governo del territorio serve la forza di contrastare una preoccupante devolution delle politiche regionali e provinciali verso modelli di autonomia locale che talvolta non garantiscono la tutela delle risorse del territorio e si allineano pericolosamente a modelli di pianificazione contrattata di cui in Toscana vorremmo poterne fare a meno. Concludo con una affermazione inequivocabile riportata nel programma dei DS “Pianificazione urbanistica sostenibile e governo integrato del territorio”: “….accanto alle regole servono chiari principi, indirizzi politici e una governance all’altezza della sfida dello sviluppo sostenibile ”.
Portoferraio, 7 dicembre 2005
Molti sono preoccupati per la deriva avviata con la riforma del Titolo V della Costituzione. Anch’io. Mi viene in mente la risposta che diede Giulio Carlo Argan, il grande critico d’arte che fu Sindaco di Roma. Eravamo negli anni 70, e il decentramento era all’ordine del giorno. Qualcuno spiegava al Sindaco come le regioni si articolassero in comprensori, i comuni in circoscrizioni...Argan commentò: “Ho capito, l’Italia sta diventando un immenso campo di decentramento!”. A prescindere dalle battute, credo che esistono, sul territorio, valori che non sono nell’interesse esclusivo di una determinata comunità: in particolare, di quella fisicamente insediata in quella porzione del territorio. I valori del territorio appartengono all’umanità intera, e vanno tutelati utilizzando quel complesso di regole di governo che la saggezza amministrativa ha elaborato nei decenni (o nei secoli). Che talune regioni (come la Toscana) trasferiscano o deleghino ai comuni ogni responsabilità in materia di assetto del territorio, rinunciando a esercitare quelle che le sono proprie, mi sembra un errore altrettanto grave di quello che compiono altre regioni (come il Friuli Venezia Giulia) che illegittimamente cancellano il ruolo della Provincia per poter esercitare un arcaico centralismo regionale, ammodernato per poter gestire massicci programmi infrastrutturali.
Caro Eddy, ho molto apprezzato che tu abbia pubblicato "era tutto previsto" da Report del 23 ottobre. Manca però un tuo (o altro autorevole) commento a un dato preciso (ho stralciato la parte, per comodità di lettura, nel documento allegato), che ci riguarda più da vicino come pianificatori urbanisti...
La visione della trasmissione lascia senza fiato: (per tutelare interessi privati? o tacciamo questo dettaglio?) la Lombardia ha approvato --dalla sera alla mattina: le parole dell'assessore regionale in carica dicono più di quanto vorrebbero...-- una leggina che impedisce varianti al PRG nei Comuni che lo hanno redatto prima del 1975!!! (ricadono solo Campione e Monza, chissà perché...)
Non solo, ma impedisce persino gli accordi di programma, alla faccia dell'urbanistica contrattata che in quella Regione viene sbandierata come la panacea... Leggere per credere anche il numero monografico di "Edilizia e Territorio" edito per UrbanPromo: il comune di Monza esordisce --nella presentazione dei propri piani e progetti-- proprio con "quell'intrusione" regionale nelle politiche territoriali dell'ente locale.
Dov'è la voce dell'INU Lombardia, nella persona di Fortunato Pagano? dove la voce degli urbanisti che chiedono modifiche, modifiche, modifiche e poi si lasciano passare sotto il naso una leggina regionale CHE LE IMPEDISCE, per giunta in situazioni datate a un punto tale che anche il solo buonsenso suggerirebbe di intervenire?!?
Sono io a esser diventata sorda, ché non la sento?
E' certo ben strano che una legge impedisca a determinati comuni di fare varianti del PRG perchè la variante che si potrebbe essere obbligati a fare migliora la situazione del territorio. Per quanto riguarda l'INU, siamo in due a essere sordi. Ma negli ultimi anni quella voce è meglio non sentirla
Qui lo stralcio del servizio di Reporter
Buongiorno. Mi chiamo e sono un giovane neolaureato in architettura con tesi di laurea in progettazione urbanistica presso la facoltà di architettura di Firenze. Desidero innanzitutto ringraziarla per il patrimonio di riflessioni e testimonianze intelligenti che mette ogni giorno a disposizione tramite eddyburg. Ormai eddyburg è diventato per me un appuntamento quotidiano, che mi stimola e interessa a nuove opinoni e tematiche, anche per lenire l'aridità del mondo del lavoro che mi si offre dopo l'esperienza universitaria.
Le scrivo poiché vorrei sottoporle una riflessione in merito alla cosiddetta 'perequazione' urbanistica, che da qualche anno a questa parte viene spesso sbandierata quale vessillo di un urbanistica senza regole e privatizzata della quale eddyburg continua a fornirci preziosa testimonianza.
In occasione della mia tesi di laurea, che concerneva la predisposizione di un piano direttore avente come fine la realizzazione di un sistema di spazi pubblici lungo il canale Burlamacca a Viareggio, ho deciso di simulare l'applicazione di della tecnica perequativa come strumento per la realizzazione del piano. Ho pertanto dovuto valutare come detto strumento sia stato applicato in Italia negli ultimi anni e ho riscontrato come la perequazione non possa aprioristicamente definirsi pro o contro i fini più nobili dell'urbanistica, ma sia solo una tecnica, che può essere adoperata più o meno positivamente. Nel caso da me studiato ho realizzato una strategia applicativa del piano simile all'esperienza del PRG di Casalecchio di Reno di Stefano Pompei, in cui il plafond edificatorio riservato ai privati è piuttosto basso. Ebbene dai risultati ottenuti ho potuto conciliare le richieste di edificazione dei privati con le necessità di reperire aree all'uso pubblico, garantendo un progetto di città che possiede degli standard urbanistici raddoppiati rispetto a quelli obbligatori per legge. In questo modo il sistema di applicazione risulta trasparente in quanto elimina la contrattazione. Inoltre attraverso la perequazione l'amministrazione ottiene una drastica riduzione delle spese per oneri di esproprio e garantisce alla città un progetto privo di vincoli a scadenza quinquennale che può pertanto costruirsi con i tempi (lenti) di trasformazione naturale e organica di una città. Naturalmente gli svantaggi di tale tecnica consistono nella possibilità di favorire la speculazione e la proprietà privata a danno dei privati agendo opportunamente sui parametri che misurano l'edificabilità permessa.
La riflessione che vorrei farle pervenire è quella per cui forse esistono gli spazi per pensare la perequazione come uno strumento giusto e trasparente (ed in questo veramente europeo), studiandone i limiti ed i pregi. Perchè lasciare l'idea della perequazione agli speculatori, ai "Lupi" di turno, quale grimaldello per la forzatura delle legittime aspirazioni ad una città più giusta e vivibile? Non si commette l'errore strategico di regalare uno strumento potenzialmente giusto alle illuminate coalizioni bi-partisan che in questi giorni stanno seppellendo anni di conquiste urbanistiche di cui lei è un così importante testimone?
Le sarei veramente grato se un giorno potesse rispondere a queste mie riflessioni, che ora passano comunque in secondo piano a fronte delle necessarie battaglie a cui ci obbligano i nostri tristi rappresentanti in parlamento.
Distinti saluti.
25 novembre 2005
Sono d’accordo con lei: la perequazione può essere uno strumento utile. Del resto, abbiamo considerato a suo tempo un evento positivo la generalizzazione della perequazione nelle lottizzazioni convenzionate, introdotto dalla legge 765/1967. Ciò che giudico sbagliato, e profondamente distorsivo, è aggiungere edificabilità al piano urbanistico al fine di ottenere aree necessarie per usi pubblici .
Il procedimento corretto è invece: 1) decidere quale ulteriore offerta di aree edificabili è necessaria in relazione alle necessità oggettive. 2) individuare gli spazi che, entro i limiti così definiti, possono essere aggiunti a quelli già urbanizzati, tenendo conto che ogni spazio urbanizzato è sottratto al ciclo della natura, e che nessuna trasformazione deve ridurre la qualità del territorio. 3) accollare alle proprietà beneficiate dalla scelta la cessione di aree in qualità e localizzazione adeguarta. Purtroppo il più delle volte la perequazione diventa uno strumento per aumentare ingiustificatamente la quantità delle aree urbanizzabili.
Caro prof Eddy è bello ritrovare nella posta la tua newsletter anche con questo taglio più pratico e con i compiti a casa .Ti dico subito che i tuoi due ultimi eddytoriali li ho esposti nelle bacheche di associazioni locali che hanno nei loro statuti la tutela del territorio. Naturalmente ho messo ben in evidenza le fonti e il sito di provenienza.I tuoi scritti hanno la dote di essere esaustivi e sintetici e comprensibili tanto da poter essere appesi in bacheca (sono bacheche di legno nel vicolo principale del paese).
Sino ad ora non ho conosciuto nemmeno una persona che sapesse della legge Lupi e non è che proprio vivo nei “grebbani” come si dice da ste parti . Ho fatto diverse cartelle per la consultazione del materiale del sito da dare da leggere a quelli che non hanno la possibilità di andarseli a vedere su Eddyburg . Mi piacerebbe , ma non so ancora come , fare qualcosa di ancora più sintetico e di più visivo, perché non tutti sono disposti a leggere tutti i documenti e nemmeno a sentire lunghi discorsi . Ci sto pensando . Se trovo un sistema te lo faccio sapere.
Per quanto riguarda la costruzione di nuove visite guidate ,non ne ho mai fatte, ma posso provare ,magari chiedo aiuto a Mauro, che mi risponde sempre e anche a Fabrizio,anche se non lo conosco molto. Un abbraccio Carlamaria
Grazie Carlamaria, per gli apprezzamenti e soprattutto per l’impegno a promuovere iniziative diconoscenza dei pericoli che il nostro territorio corre, e con esso la democrazia. Spero che molti seguano il tuo esempio.Aspetto presto una tua proposta di visita guidata.
Carissimo, sperando che tu non sia in vacanza in capo al mondo, mi piacerebbe avere un tuo parere su quanto sta accadendo a Bologna in fatto di traffico. Come probabimente qualcuno ti avrà già detto, la giunta Cofferati ha annunciato - e aspettiamo materialmente l'ordinanza - l'intenzione di aprire tutti i sabati dell'anno e per il periodo natalizio il centro storico alla circolazione privata. In quei giorni il sistema di rilevazione elettronica Sirio verrà spento e la ZTL dovrebbe essere sospesa. Favorevoli sono i commercianti, contrari ambientalisti, comitati antismog, qualche presidente e consigliere di quartiere. Contraddittorie sono le posizioni dei partiti:
- Rifondazione ha in giunta l'assessore alla mobilità, ossia il responsabile politico della cosa, ma come partito sembrerebbe dissociarsi;
- I verdi locali, presi in contraddizioni interne ormai note fra il partito e l'assessore in quota, sono usciti dall'ambiguità grazie ad un'esplicita dichiarazione del segretario nazionale Pecoraro Scanio che, stando alla stampa, ha subordinato l'appoggio ad altri provvedimenti e documenti a un passo indietro dell'amministrazione sul problema Sirio, ma niente su un eventuale ritiro dell'assessore;
- i DS, anche perché sono tanti, hanno rappresentanze in entrambi gli schieramenti, ma Cofferati non si tocca, specialmente adesso dopo le bombe;
- la Margherita ha esponenti ecologisti, come il consigliere provinciale Andrea De Pasquale (Compagnia dei Celestini), il quale si è esposto con l'ardita proposta di intasare il centro con un uso tattico delle automobili.
La mia sensazione è di "1 a 0" per loro.
Ieri sera, parlando velocemente con amici, , ci siamo detti che probabilmente l'unica strada, a questo punto, è un referendum. Un altro referendum, perché quello dell''84 è ormai impraticabile come rivendicazione.
Ti scrivo per sentire cosa ne pensi e, nel caso, cosa consiglieresti.
A seguire il testo che ho messo sul forum dei comitati. Saluti cari
Intanto, eddyburg.it è attivo anche quanto sono in giro. Per i lettori non bolognesi Sirio, detto anche Vigile elettronico, è un rigoroso sistema di controllo della zona a traffico limitato, deliberata e attivata dalla Giunta Vitali nel lontano 1994, sospeso dopo pochi mesi e riattivato solo nel corso del 2005. Interessa tutto il centro storico della città, che in tal modo ci si proporrebbe di restituire alla civiltà e all’urbanità. Cofferati si era impegnato, nel su programma elettorale, a ripristinarlo. Adesso, sulla base di una trattativa esclusiva con i commercianti, la giunta ha deciso di sospenderlo di nuovo (per un giorno alla settimana e per le festività). Del tutto comprensibile l’irritazione dei cittadini che, come protestano per la decisione in sè, per il mancato rispetto della parola data, per il peso esclusivo dato dalla giunta Cofferati ai poteri forti.
Caro Carlo, ogni giorno di più mi convinco che il berlusconismo sia un avversario meno pericoloso di Berlusconi solo perchè è diffuso, e non concentrato nei luoghi centrali del potere. Chiedere un nuovo referendum (dopo quello dell’84 che riguardava, se ben ricordo, la vivibilità del centro storico) a mio parere è utile soprattutto come mobilitazione di una coscienza civile capace di opporsi ai sempre più gravi (anche perchè reiterati) cedimenti a derive che è davvero difficile non definire antipopolari, antidemocratiche e francamente reazionarie. Torniamo agli anni di Guazzaloca, o addirittura molto molto più indietro?
Lettera di a Forum
“Aria Incondizionata”
Mercoledì 2, nella sala messa a disposizione da Legambiente io c'ero; seduto in fondo, ma c'ero; zitto, ma c'ero. Non è che volessi nascondermi, anche se negli ultimi tempi preferisco - per qualche ragione che fatico a spiegare anche a me stesso - i luoghi virtuali della rete a quelli reali - ma che triste realtà! - della politica cittadina.
Il fatto è che la decisione della Giunta di aprire per un giorno settimanale e per il periodo natalizio il centro storico di Bologna al traffico automobilistico mi ha lasciato interdetto e spiazzato. Sapete, ci sono cose, nel mondo in cui finora ho vissuto, il cui sviluppo mi pare abbia seguito linee tendenti all'evoluzione e al progresso. Un tempo a scuola ci andavano in pochi; oggi ci vanno tutti. Un tempo le donne erano relegate in ruoli specifici ed emarginate dai luoghi che “contano”; oggi il discorso vale ancora, ma molte cose si sono mosse. Un tempo si parlava di salute soltanto quando uno si sentiva male e ricorreva alla medicina curativa; oggi il concetto di salute abbraccia molti più aspetti della nostra vita e la nostra più evoluta sensibilità ci porta a pensare anche in termini di prevenzione. E così via.
Per questo non riesco neppure ad immaginare che un governo adotti provvedimenti per limitare l'accesso a scuola. Per questo non riuscivo a pensare che si potesse intraprendere qualcosa per emarginare le donne dalla politica fino a che in Parlamento si è vista l'ignobile farsa delle quote rosa. Per questo, malgrado i tanti passi indietro già visti, non riesco a immaginare autorità che riducano drasticamente il diritto alla salute dei cittadini.
Ma ecco il punto. Quando ti si è ficcata in testa l'idea che ciò che abbiamo in qualche modo conquistato non ci verrà più tolto perché si tratta di diritti che la società ha maturato in quanto tale, se qualcuno all'improvviso ti fa lo sgambetto e il giorno dopo ti ritrovi con un diritto in meno quando proprio non te l'aspettavi, capisco che la reazione può risultare fiacca o scomposta. Chi l'avrebbe detto? Già: nessuno lo avrebbe detto ma qualcuno lo ha fatto. E adesso?
Tempo fa, in un articolo che analizzava il modo di fare di Berlusconi, trovavo descritti i meccanismi di gestione del tavolo delle trattative. Si tratta e si tratta in modo da arrivare a certe mediazioni. Ma un attimo prima della conclusione formale, si fa saltare il tavolo per riprendere a mediare da quel punto in avanti, o indietro a seconda.
Siamo a Bologna, dove nel 1984 si tenne un referendum per decidere se chiudere o no il centro storico della città al traffico privato. Il risultato fu netto e chiaro a favore della chiusura e in tutta Italia, dove si guarda sempre a Bologna come all'avanguardia, ci si convinse che il centro storico di Bologna era ormai sgombro dalle auto. Bisogna aver vissuto qui per sapere che, se in effetti più di uno ha preso la multa per essere entrato abusivamente, l'impressione di chi camminava a piedi sotto i portici non è mai stata quella di una città senza auto. A Modena e a Ferrara le cose sono state diverse.
Tra gli anni '80 e i '90 il centro storico di Bologna ha mutato parecchio la sua conformazione. A partire dalle iniziative per il suo IX centenario, l'università ha sviluppato un'azione di conquista edilizia e di popolamento studentesco. Attività economiche ad alto indice di accumulazione come banche e assicurazioni le hanno fatto concorrenza sia nell'accaparramento immobiliare, sia nella scelta di installarvi direzioni e rappresentanze di prestigio. E come corrispettivo, molti privati cittadini hanno portato la loro residenza nella fascia esterna della città o nei comuni dell'interland.
Solo dieci anni dopo, la possibilità di attuare praticamente la decisione referendaria presa nei termini di dieci anni prima era diventata impossibile. Ma chi aveva lavorato perché diventasse impossibile? Chi non aveva avuto, politicamente parlando, l'energia necessaria per inibire certe tendenze? Nel mondo della politica cittadina ci sono ancora sedie occupate da persone che sarebbero in grado di rispondere a questa domanda perché quella volta c'erano e non ce l'hanno mai raccontata tutta.
Giorgio Guazzaloca, generato politicamente dal fallimento altrui più che da meriti propri, di una cosa può in effetti andare fiero: aver ridato verginità ad un personale politico di sinistra, facendogli fare un temporaneo giro sui banchi dell'opposizione. Ma poi, dopo cinque anni, scacco si è aggiunto a scacco e a fare il dopoguerra sono gli stessi che hanno fatto la guerra, come direbbe Totò.
Io me la dormicchiavo, fidando nell'inesorabilità del progresso e forse anche voi, visto che nel primo anno di amministrazione cofferatiana ci siamo fatti smentire un dopo l'altro diversi punti programmatici con cui la sinistra ha vinto le elezioni. Mi verrebbe da citare un famoso film di Tognazzi, ma temo che la provocazione risulterebbe eccessiva.
Sta di fatto che la vicenda Sirio s'inquadra in questo scenario. E' accaduta proprio perché non ce la saremmo aspettata. Vero, erano mesi che le associazioni degli esercenti lavoravano ai fianchi: vedi l'insistente richiesta di spegnere il vigile elettronico alle 18. Ma Sirio era una bandiera e una bandiera o la si tiene in alto o la si lascia cadere: non ha senso tenerla terra terra, e quando è a mezz'asta non è buon segno. Beh, qualcuno ha approfittato di un attimo di distrazione e ha sostituito la bandiera della salute e della vivibilità di tutti con quella del profitto di qualcuno.
Qualche segno premonitore in realtà lo si sarebbe potuto cogliere, ma non mi va di entrare in un discorso che potrebbe apparire recriminatorio e poco costruttivo.
Oggi, checché si dica o checché si faccia a contrasto dell'annunciato e contestato provvedimento, qualche uovo si è rotto e in ogni caso, anche se comitati e altre forze otterranno qualche passo indietro, non ci sarà mai un "sorry", un "pardon" della Giunta e conseguente ritiro del provvedimento senza reazioni dei commercianti e di altre forze.
E allora? Partita persa? Questa partita sì, a mio avviso, anche se è giusto e corretto giocarla fino alla fine. Ma questa partita non è l'ultima e bisogna vedere qual è la prossima e chi la indice.
E qui la mia modestissima proposta dell'oggetto. Ci sono in giro "nostalgici", tra cui io stesso mi annovero, che si rifanno sempre al ricordato referendum dell''84 e qualcuno - non ricordo bene chi - si è spinto a dire che bisogna chiederne finalmente l'attuazione. Ottima intenzione; peccato che, come ho detto, oramai quel risultato può apparire anacronistico, data la mutata composizione della città. E tuttavia questa trasformazione non può essere un alibi o per non fare o per governare per colpi di mano e al di fuori di una politica partecipata.
A mio avviso, la cosa da fare oggi è promuovere un “nuovo referendum”, il cui quesito non sono certo in grado di formulare in questo momento, per la semplice ragione che esso dovrà scaturire da un'idea generale di città da porre all'attenzione dei cittadini.
Se un tale referendum si riuscisse a farlo entro il 2006 o primissimi mesi del 2007, l'amministrazione Cofferati avrebbe, andando fino al 2009, tutto il tempo per dimostrare in pratica la volontà di rispettare il desiderio dei cittadini democraticamente espresso e in caso contrario anche su questo essa si giocherebbe la permanenza a palazzo D'Accursio.
Parlandone informalmente con amici, qualcuno pessimisticamente riteneva che un siffatto referendum lo si potrebbe anche perdere. Ma qui sta un altro punto: che senso ha quando il non perdere significa anche non vincere? Perché mai io non devo riuscire a farmi dire una parola definitiva su come sarà la mia città finché ci resterò? Se un referendum così lo si perde, questo significa che gli esseri viventi che mi circondano hanno scelto la barbarie. E allora a che mi serve nascondere la testa sotto la sabbia?
Augurandomi di avervi acceso una piccola lampadina, vi saluto
Carlo
Gentile professore Salzano, Da alcuni mesi mi connetto con il suo sito e scarico editoriali ed articoli che trovo sinceramente utili ed interessanti, ma la cosa per cui le sono infinitamente grato è il fatto di avermi dato (anche se inconsapevolmente, ma ciò rende il fatto ancora più bello) una grande fiducia ed un conforto che da troppo tempo ormai cercavo.
Mi presento, sono un giovane (trentenne) di Palermo, sopravvivo a mala pena lavorando come marinaio e lotto con forza tutto l'anno per poter affermarmi professionalmente come urbanista, il suo intervento sul mestiere dell'urbanista al seminario di settembre mi ha dato in questi giorni difficili (pensi al dibattito sul ddl regione Sicilia, ma anche a diversi episodi di mala amministrazione dei quali non può essere al corrente) una sicurezza che mi conforta, non sono un bizzarro individuo interessato ai fenomeni urbani come mi si dice in giro(ne architetto, ne urbanista, ne geografo o antropologo), da sempre ho sviluppato idee e sentimenti che ritrovo perfettamente aderenti alla sua descrizione sul ruolo dell'urbanista in Italia e in particolare nel mezzogiorno. Sento di aver trovato in lei nei suoi collaboratori e nel suo sito un fondamentale punto di riferimento per continuare a crescere e formarmi.
Da poco tempo ho una collaborazione con una agenzia, che si occupa tra le altre cose di marketing territoriale, per uno studio su di un territorio consortile del lontano centro della Sicilia, un lavoro interessante che spero di poter portare aventi secondo i suggerimenti che sono in grado di cogliere dal dibattito all'interno del sito.
Sono convinto che in fondo per certe realtà fare bene urbanistica significhi fare bene educazione civica, proporre ai cittadini modalità di abitare i territori che non conoscono o hanno dimenticato da tempo, ripartire dalle forze giovani e fresche del capitale sociale rendendole attive nel rispetto dell'ambiente naturale e storico.... c'è tanta roba che vorrei raccontale e sulla quale mi piacerebbe avere un suo suggerimento che quasi mi perdo, ad ogni modo grazie per avermi letto e per il suo aiuto fondamentale alla disciplina e a tanti come me.
Nella speranza di poterla conoscere
P.S. anche se non direttamente collegato con l'urbanistica le invio il link con il sito di un comitato al quale appartengo e nel quale credo molto www.addiopizzo.org
Grazie Antonio, anche da parte della redazione. Aspettiamo i tuoi racconti, e li aspettano i nostri lettori. Ho visto il sito che proponi, e ho inviato un’adesione di solidarietà. Lo segnalo ai frequentatori, soprattutto siciliani, di Eddyburg, anche come esempio di una iniziativa che andrebbe ripetuta dovunque il crimine organizzato ha trovato il suo insediamento. Auguri e buon lavoro
Caro Eddy, vedo con rammarico che la lista dei donatori è ferma al 10 settembre. Eppure, te lo ricordi sicuramente, nel corso della riunione del 14 maggio scorso tutti i presenti si impegnarono a sottoscrivere una quota annua di 100 euro. Cosa che solo alcuni hanno fatto. Contributi sono invece venuti da frequentatori e lettori non sollecitati, addirittura anonimi. Il sito è sempre più attivo, vivace e irriducibile. È andato benissimo il corso in Val di Cornia, Sta per vedere la luce, grazie soprattutto a Cristina Gibelli, il librino contro la legge Lupi in discussione al senato, che riprende materiali del sito e altri inediti, mentre continua il silenzio della stampa. Credo che vada chiesto ad amici di eddyburg e lettori un impegno militante (come si diceva un tempo) per la diffusione del pamphlet. Dobbiamo sollecitare anche recensioni. Ovunque. Su quotidiani grandi e piccoli, riviste, bollettini di quartiere e di parrocchia, per provare almeno a incrinare la congiura del silenzio. Intanto, chi può, metta mano alla tasca. Forza e coraggio, .
18 ottobre 2005 - Caro Eddy,nonostante le polemiche e' stata una bella soddisfazione andare alle primarie (ho deciso anch'io per Prodi dopo varie considerazioni).
Quanto all'assassinio davanti al seggio, ancora non mi sembra possibile. Mi ero illusa di vivere in un posto che sta diventando civile, ed invece siamo sempre in guerra. Vorrei capire...Lavoro da parecchio non lontano da Reggio Calabria, dove prima vivevo; sto in una cittadina (circa 11.000 abitanti) con una certa densita' mafiosa. Qui negli ultimi tempi ho trasferito il domicilio dopo tanti anni di pendolarismo, soprattutto per limitare i costi di trasporto (dovevo muovermi soprattutto con l'automobile).
Proprio da qui viene il politico che subentrerà - come consigliere - al vicepresidente del Consiglio Regionale. Mi e' stato detto che l'altra sera in questo paese il suo entourage ha addirittura organizzato fuochi d'artificio per festeggiare la sostituzione. Poi un lutto, la morte del padre, ha colpito anche il festeggiato.
Nel pomeriggio il Presidente Ciampi e' venuto a Reggio: cosi' si fa!!!
Vicino quando e' necessario, la sua presenza e'importante (anche se non basta). E' comunque un segnale. Anch'io inorridisco al pensiero del signor B. inquilino del Quirinale.
Spero che la voce dei fuochi artificiali non sia fondata. Se lo fosse, confermerebbe il fatto che battere B. è necessario ma non sufficiente per sconfiggere la barbarie che ha infettato l’Italia.
Visto l'argomento dell'Eddytoriale 80, magari una citazione comparativa non si butta via (dai documenti preliminari della legge britannica 2005, prima l'originale poi la mia traduzione al volo)
The Planning System: General Principles
"The planning system does not exist to protect the private interests of one person against the activities of another, although private interests may coincide with the public interest in some cases. It can be difficult to distinguish between public and private interests, but this may be necessary on occasion. The basic question is not whether owners or occupiers of neighbouring properties would experience financial or other loss from a particular development, but whether the proposal would unacceptably affect amenities and the existing use of land and buildings which ought to be protected in the public interest.
Il sistema di pianificazione: principi generali
Il sistema di pianificazione non esiste per proteggere l’interesse privato di una persona contro le attività di un’altra, anche se l’interesse privato può coincidere con quello pubblico, in alcuni casi.Può essere difficile distinguere fra interessi pubblici e privati, ma ciò può essere necessario in alcune occasioni. La questione fondamentale non è se proprietari o occupanti delle proprietà limitrofe subiranno danni finanziari o di altro tipo a causa di un particolare intervento, ma se la proposta influirà in modo inaccettabile su qualità e usi attuali del suolo e degli edifici che dovrebbero essere protetti nel pubblico interesse.
Ho letto con interesse lo scritto di Carla Ravaioli contro le primarie e sembra convincente soprattutto laddove rileva la pressochè totale mancanza di un luogo nel quale discutere partecipativamente di programmi. Ma vorrei che nel ragionamento, dopo aver sottolineato gli aspetto rischiosi delle primarie, si tenesse in conto anche di ciò che è accaduto di recente. In Puglia nessun tavolo di trattativa "partitico" avrebbe mai scelto Nichi Vendola come candidato, mentre Nichi lo è diventato in forza di uno stupefacente risultato alle primarie. E chi ha seguito il crescere di partecipazione a quella elezione sa che il confronto fra i candidati è stato certamente segnato dalla loro soggettività (personalizzazione), ma che ha prevalso in modo fortissimo la caratterizzazione programmatica e la fiducia nella coerenza tra il dire e il fare che i contendenti si erano costruiti nella loro vita pubblica. Gli è che Vendola, sovvertendo ogni pronostico, ha vinto anche le elezioni vere e proprie ed oggi noi rossoverdi possiamo gioire del fatto politicamente inaspettato e rilevantissimo che Riccardo Petrella sia presidente dell'acquedotto pugliese in barba ai tecnocrati liberisti ( e dalemiani) privatizzatori dell'acqua. Tutto ciò è accaduto per un atto di coraggio al limite della temerarietà e contro ogni "sondaggio", cioè l'aver scelto di partecipare ad una partita su un terreno assolutamente spurio come le primarie piuttosto che restare spettatori. Può andare sempre bene? E chi sa dirlo! Di certo le primarie fra Prodi e Bertinotti (mi scuseranno gli altri candidati, ma la partita politico programmatica mi pare essere tra questi due) sono altra cosa rispetto alla vicenda pugliese. Però di una cosa si può essere certi, che Bertinotti non tenderà a convincere i moderati con posizioni sfumate o ambivalenti, ma porterà nel confronto, come sta già facendo, le proposte programmatiche più di sinistra, sia sulle questioni sociali che su quelle ambientali. E già solo questo fatto è politicamente rilevante perche stringe e costringe Prodi ad uscire dalle formulazioni generiche ed ambigue che Carla Ravaioli cosi giustamente sottolineava. Il tutto davanti ai popoli dell'Unione che poi saranno chiamati a scegliere. Si vuole dire che non è il massimo della partecipazione? Si è vero, ma se non ci fosse questa tenzone quale altro strumento sarebbe agibile ed agito per portare in primo piano le questioni programmatiche e non il solo argomento, necessario ma non sufficiente, di sconfiggere Berlusconi? Accettare territori insidiosi per portare avanti le proprie idee è rischioso certamente, ma non subalterno se le proprie idee sono chiare e ben salde. E dunque penso che ogni voto in più che prenderà Bertinotti alle primarie non sarà affatto indifferente per l'avanzamento delle cose che vogliamo, ma soprattutto sarà utile per contrastare quella voglia neocentrista che aleggia nel centrosinistra e che ci spaventa tutti. Siamo alle solite, che il fine giustifica i mezzi anche se questi non ci piacciono? Accidenti, sento forte questa contraddizione! Ma se il mezzo è nonviolento ed attiva un voto libero, piuttosto che fare lo spettatore, io rischio come ha fatto Pietro Ingrao.
Risponde Carla Ravaioli: Caro , è vero, senza le primarie Niki Vendola (che conosco bene, apprezzo molto, e del cui successo sono felice) non sarebbe mai stato eletto, e non potrebbero accadere in Puglia le buone cose che ora si fanno. E tuttavia questo non mi fa pensare che l'esempio pugliese debba diventare regola, nè mi fa cambiare idea sulle primarie in corso. Le quali - Chiarante l'ha detto molto bene - rappresentano l'accentuarsi di una pericolosa deriva verso il leaderismo che combattiamo e che il governo Berlusconi ha portato avanti con protervia. Per far emergere le persone meritevoli come Niki credo si dovrebbero trovare altri modi, soprattutto cambiando certi meccanismi tipici dei partiti, facilitando la partecipazione di base, ecc. Modi però diversi dalle primarie, che costituiscono un vero e proprio raddoppio della campagna elettorale, con le conseguenze a mio parere molto negative che ampiamente illustro nel mio pezzo. Forse ne ha letto solo la prima parte?
München, 12 settembre 2005 - Caro Eddy, un altro grande vecchio se n'è andato. Pochi sapevano che a Venezia, in Dorsoduro 3420, ha vissuto per anni e anni uno dei piu famosi giornalisti tedeschi del dopoguerra. Per noi giovani lettori o giornalisti della sinistra di '68 era quasi un mito perchè rappresentava l'altra Germania anti-fascista, liberale nella traduzione democratica di Weimar. Da anni è stato dimenticato in Germania purtroppo anche nel mondo cosiddetto liberale e democratico. Il necrologio che segue non ho scritto io ma il Professore Luigi Reitani da Udine. Susanna Boehme, la consorte di Kuby, scrive spesso per riviste tedesche di stampa sinistra ma anche, raramente, per il manifesto. Anche lei è una grande esperte della cultura democratica di Weimar.
Saluti da Monaco,
"È morto a Venezia all'età di 95 anni il giornalista e scrittore tedesco Erich Kuby. Nato a Baden-Baden, Kuby aveva raggiunto una notorietà internazionale nel 1958 con il romanzo Rosemarie (pubblicato in Italia da Einaudi) che, ispirandosi a un fatto di cronaca, l'assassinio di una prostituta a Francoforte, denunciava la doppia morale tedesca nell'epoca del miracolo economico. Collaboratore dello Spiegel, della Süddeutsche Zeitung e dello Stern, aveva più volte attaccato i tabù della Repubblica Federale Tedesca. Heinrich Böll lo aveva definito "uno che tira i sassi in piccionaia senza mai fallire il bersaglio". Molti dei suoi volumi erano stati pubblicati anche in italiano. Alla seconda guerra mondiale e all'Italia aveva dedicato uno dei suoi libri più discussi, Il tradimento tedesco (Rizzoli, 1983), in cui documentava per la prima volta in modo sistematico le deportazioni dei militari italiani in Germania e la violazione da parte tedesca degli accordi con l'Italia."
Ricordo bene Erich Kuby. Rosemarie fu decisivo per noi per comprendere in che modo il dopoguerra stava corrompendo la società europea. Come capita ai giornalisti intelligenti, sensibili e colti Kuby aveva colto, nel microcosmo della società tedesca di quegli anni, le tendenze della fase “opulenta” del capitalismo, anticipando analisi più esperte ed avvenimenti che fecero epoca.
Vi è “il pericolo di un meticciato archiettonico”. Gli architetti stranieri ci stanno invadendo. “La risorsa culturale italiana “ rappresentata dagli architetti nativi “non può essere ulteriormente vanificata e ignorata”. L’Italia “ha accumulato ritardi” mentre nei loro paesi, gli architetti stranieri hanno realizzato “grandi opere di interesse sociale”. I maggiori responsabili di questa situazione sono “i sovrintendenti, al cui diritto di veto bisogna porre fine, per limitarne il potere totalmente autonomo che ha privato l’Italia di molte opere significative rimaste sulla carta”. A firmare l’appello, di cui da notizia sul Corriere della sera del 7 settembre Pierluigi Panza, non sono certo degli emarginati, ma notissimi e plurincaricati architetti di casa nostra: Vittorio Gregotti, Paolo Portoghesi, Aimaro Isola e Ettore Sottsass, tra gli altri. Gente che ha costruito e continua a costruire opere notevoli. Peccato che spesso si tratti di opere assai discusse: basti pensare al Quartiere Zen a Palermo di Gregotti o al teatro comunale di Portoghesi a Catanzaro, che qualcuno ha definito il teatro più brutto del mondo. Di Gregotti non si può non ricordare l’Università della Calabria, a Rende-Cosenza, un’opera immensa, che per molti sarebbe stata la realizzazione della vita e che invece il noto architetto milanese ha abbandonato al suo destino ai primi dissensi con l’impresa costruttrice. E oggi, dopo oltre mille miliardi spesi, è già il momento di una sostanziale riqualificazione.
Chissà se i firmatari, che vorrebbero che i poteri di approvazione dei (loro?) progetti fosse trasferito alla Direzione architettura del Ministero dei Beni culturali (in questo modo il potere decentrato e totalmente autonomo dei sovrintendenti sarebbe sostituito da un “centralismo pluralistico”), si rendono conto che non hanno scelto il momento migliore per attaccare i sovrintendenti. Forse il 23 agosto non hanno avuto l’opportunità di leggere l’appello di Adriano La Regina, ripreso da Eddyburg, che parla di un ministero ormai allo sfascio e da ricostruire.
Ma credo abbiano dato un taglio davvero egoistico al loro pensiero. Forse non sanno che uno dei motivi strutturali della disoccupazione “architettonica”, quella vera, non certo la loro, dipende dal fatto che nel nostro Paese ci sono ben 135 mila architetti iscritti all’Ordine, contro i 30 mila di Francia e Spagna. E poiché alla cecità non c’è rimedio, forse ignorano, ed è ben strano, visto che in maggioranza insegnano nelle nostre università, che da noi ci sono operanti ben 77 corsi di laurea che abilitano futuri progettisti edili. Ah, gli architetti italiani…
Vittorio Gregotti ha preso le distanze dell' appello, in un commento pubblicato il giorno dopo sul Corriere della sera. Torneremo sull'argomento, perché il ruolo degli architetti nella costruzione della città non è marginale, e molti loro atteggiamenti recenti sono preoccupanti. Come del resto lo stesso Gregotti osservava in un recente articolo.
Il 2 settembre ho letto su Repubblica un articolo molto bello di Pietro Citati su Oriana Fallaci. Questo personaggio mi sembra l'esempio tipico della persona dedita a incitare all'odio verso qualsiasi "diverso". Il grande successi editoriale e le importanti sponsorship (il Corriere della Sera, il Vaticano) accrescono la sua pericolosità. Come mai non ho visto su Eddyburg, che mi sembra condividere questo giudizio (vedi la ribrica "Oggi" di qualche giorno fa) l'articolo di Citati?
Semplicemente perchè avevo pubblicato un articolo di Oriana Fallaci sul Corriere della sera del 16 luglio scorso. Mi sembra che quel testo sia sufficiente a far esprimere al lettore ragionevole le stesse opinioni che Citati ha argomentato nell'articolo cui lei si riferisce e - nel poco spazio di questo sito - ciò fosse sufficiente.