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Carteinregola e Scuola di Eddyburg propongono il ciclo di incontri "Dieci parole dell’urbanistica" per offrire alla cittadinanza attiva un bagaglio essenziale di conoscenze. Cominciamo con la parola “paesaggio”, il prossimo 1 luglio, a Roma (m.b).


La tutela del paesaggio è un diritto fondamentale, sancito dalla nostra Costituzione.
Le regioni devono approvare, d’intesa con lo Stato, un Piano paesaggistico che definisce le regole da rispettare per garantire la tutela del paesaggio e il corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio. La Regione Lazio ha avviato molti anni fa la formazione del proprio piano e in questo periodo sta svolgendo un ciclo di riunioni della Commissione Urbanistica e di audizioni delle associazioni, in vista della definitiva approvazione che dovrebbe avvenire prima del 14 febbraio 2020.
L’approvazione del Piano rappresenta un obiettivo fondamentale per la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e naturalistico della nostra Regione e della nostra città ed è necessario che nella fase di approvazione i contenuti qualificanti del piano non siano accantonati o compromessi sotto la spinta di interessi economici in conflitto con le ragioni della tutela. Per questo é necessario che non venga mai meno la vigilanza da parte di cittadini e associazioni.
Consapevoli della complessità della materia e del linguaggio specialistico, Carteinregola e Scuola di Eddyburg hanno deciso di organizzare un incontro per facilitare la conoscenza del piano, illustrandone gli obiettivi, i contenuti qualificanti e gli aspetti più vulnerabili.

L’iniziativa sarà il ” pilota” di una serie di incontri sui temi dell’urbanistica – Dieci parole per l’Urbanistica – con lo scopo di offrire un bagaglio essenziale di conoscenze ai cittadini che si battono per una progettualità delle trasformazioni urbanistiche condivisa con la cittadinanza e rispettosa dell’ambiente, del patrimonio comune, del benessere degli abitanti.

PROGRAMMA DELL'INCONTRO
PRIMA PARTE : IL PIANO TERRTIORIALE PAESAGGISTICO REGIONALE
Relatori:
Arch. Daniele Iacovone, architetto e urbanista, Coordinatore della progettazione del nuovo Piano Territoriale Paesistico Regionale della Regione Lazio
Arch. Raffaella Strati Funzionario Architetto presso MIBAC – responsabile dell’Area Tutela Monumentale. Soprintendenza SABAP-RM-MET
coordina Giancarlo Storto, già direttore generale delle Aree urbane e dell’edilizia residenziale presso il Ministero dei Lavori pubblici

SECONDA PARTE : CRITICITA’ DELLA TUTELA DEL PAESAGGIO URBANO in particolare della città storica di Roma.
Ne discutono insieme ai relatori:
Vezio De Lucia, urbanista
Rodolfo Bosi VAS Verdi Ambiente Società Roma
Emilio Giacomi Italia Nostra
coordina Mauro Baioni, urbanista, Scuola di Eddyburg

Altre informazioni sul sito di Carteinregola

A conclusione del micro progetto "Abitare il verde a Venezia" si si terrà dal 27 al 29 giugno 2019, alle S.a.L.E. una mostra e alcuni eventi sul verde presente nel comune di Venezia. Qui il programma
La mostra è l’ultimo appuntamento e la sintesi di un micro progetto "Abitare il Verde a Venezia" lanciato da eddyburg.it e Zoneonlus e realizzato in collaborazione con AmbienteVenezia, Circolo Culturale Peroni, Cooperativa Limosa –Slowvenice, Geografia di genere, Andrea Giubilato Azienda Agricola Madre Terra – Scuola Esperienziale Itinerante di Agricoltura Biologica, ReBiennale, Laboratorio Occupato Morion e cittadine e cittadine di Venezia.

Alla mostra sarà presentato un video di sintesi del progetto, un video contenente tutte le foto pervenute al concorso fotografico "Venezia verde nascosto", le foto vincitrici del concorso, alcuni materiali riguardanti l'estensione del verde nel comune di Venezia e le piante dell’iniziativa “Accogli un albero” che verranno donate ad associazioni e organizzazioni che ne faranno richiesta per rendere più verdi degli spazi aperti al pubblico. Ci sono ancora 8 piante in cerca di un luogo dove crescere! Potete anche contattarci al numero /email qui sotto.

Durante la mostra sono state organizzate tre serate di eventi:

27 GIUGNO ore 18.30
Inaugurazione, sintesi del progetto

Premiazione del concorso fotografico Verde nascosto
con Edoardo Salzano | eddyburg

La natura nella città di Venezia
di Luana Castelli | Limosa-SlowVenice
Le erbe matte di Venezia: piccole storie di resistenza vegetale e umana
di Tiziana Plebani | Geografia di genere

28 GIUGNO ore 18.30
L'orto botanico di San Giobbe
Elisabetta Tiveron | Insieme per Venezia e terraferma

Utopie: dal Sacco di Mestre alla Città Giardino
Michele Boato | Ecoistituto del Veneto “Alex Langer”

29 GIUGNO ore 20.00
Proiezione del film documentario "Cresceranno le siepi"

di Dimitri Feltrin
Introduzione di Andrea Giubilato
Azienda Agricola Madre Terra – Scuola Esperienziale Itinerante di Agricoltura Biologica

Scadenza invio delle fotografie: 27 aprile 2019.
Qui le info.

Il laboratorio «Campoverde» offre l'opportunità di conoscere meglio il verde di Venezia, elaborare alcune idee per migliorare alcuni spazi pubblici attraverso l'ausilio di piante, alberi e fiori e offrire luoghi di qualità dove i residenti possono piacevolmente sostare, socializzare, giocare. La progettazione di questi spazi è coadiuvata dall'esperienza di associazioni attive in questo settore, storici, architetti, botanici e giardinieri. Uno di questi spazi avrà la possibilità di essere realizzato! Qui ulteriori informazioni sul laboratorio.

Parte del progetto è anche il concorso fotografico «Venezia verde nascosto» che invita i fotoamatori a svelare attraverso la macchina fotografica il verde celato o misconosciuto della città.

Qui maggiori informazioni sul concorso.

Il laboratorio è una delle attività del progetto «Abitare il verde a Venezia», a cura dell'Associazione eddyburg e Zone ONLUS con la collaborazione di: Associazione Ambiente Venezia, Circolo Culturale Peroni, Microclima, ReBiennale, Laboratorio Occupato Morion, Geografia di genere, la Cooperativa Limosa –Slowvenice e Andrea Giubilato Azienda Agricola Madre Terra – Scuola Esperienziale Itinerante di Agricoltura Biologica. E' beneficiario dell’iniziativa«100.000 EURO PER LA SOSTENIBILITÀ» promossa da NOPLANETB.Qui ulteriori informazioni sul progetto.




Il concorso «Venezia verde nascosto» invita i fotoamatori a svelare il verde celato o misconosciuto della città. Il laboratorio «Campoverde» offre l'opportunità di progettare insieme ad associazioni, storici, architetti, botanici e giardinieri alcuni spazi verdi e di realizzarne uno. Qui maggiori informazioni.

«Abitare il verde a Venezia» è un progetto a cura dell'Associazione eddyburg e Zone ONLUS con la collaborazione di: Associazione Ambiente Venezia, Circolo Culturale Peroni, Microclima, ReBiennale, Laboratorio Occupato Morion, Geografia di genere, e Cooperativa Limosa, beneficiario dell’iniziativa«100.000 EURO PER LA SOSTENIBILITÀ» promossa da NOPLANETB.

CONCORSO FOTOGRAFICO
VENEZIA VERDE NASCOSTO

L’idea del concorso è di aprire idealmente le porte del verde inaccessibile, svelare il verde nascosto o misconosciuto di Venezia attraverso l’obiettivo della macchina fotografica e condividerlo con gli abitati mediante una mostra multimediale. Sollecitiamo i partecipanti a cogliere, ciascuno con la propria sensibilità, un aspetto inedito della città che abitiamo.


Scadenza invio delle fotografie: 27 aprile 2019

Qui trovi il regolamento e il modulo di iscrizione.

LABORATORIO DI PROGETTAZIONE
CAMPO VERDE

Una serie di laboratori e un incontro pubblico con gli abitanti per progettare tre spazi verdi per Venezia, insieme a associazioni locali, storici, architetti, botanici, artigiani e giardinieri. Aperto alla cittadinanza e gratuito. Per partecipare al laboratorio non servono competenze specifiche, solo passione e l’impegno a seguire l’intero percorso.

Le aree di progetto

Programma di massima

Per partecipare e informazioni: scrivere a ilaboniburini@gmail.com

15 novembre 2018. Eddyburg insieme ad altre associazioni si è aggiudicata il finanziamento per un microprogetto nell’ambito dell’iniziativa «100.000 EURO PER LA SOSTENIBILITÀ» promossa da NOPLANETB: "il verde" urbano come strumento per restituire ai residenti degli spazi pubblici vivibili. Qui i dettagli del progetto. (i.b.)

«Abitare il verde a Venezia» è un progetto sviluppato da eddyburg.it e Zoneonlus e realizzato in collaborazione con AmbienteVenezia, Circolo Culturale Peroni, Microclima, ReBiennale, Laboratorio Occupato Morion, Geografia di genere, la Cooperativa Limosa –Slowvenice e Andrea Giubilato Azienda Agricola Madre Terra – Scuola Esperienziale Itinerante di Agricoltura Biologica.

«Abitare il verde a Venezia» si è classificato primo (qui la graduatoria) alla prima edizione dell’iniziativa «100.000 EURO PER LA SOSTENIBILITÀ» promossa da NOPLANETB. Qui il link al video preparato per concorrere al finanziamento.
«100.000 EURO PER LA SOSTENIBILITÀ» è un progetto finanziato nell’ambito del programma di sensibilizzazione ed educazione allo sviluppo (DEAR) che ha lo scopo di informare i cittadini europei nei confronti dello sviluppo e delle problematiche ad esso correlate. Implementato da Fondazione punto.sud, in qualità di ente capofila.

Il progetto è iniziato i primi di novembre e sarà concluso tra Aprile e Maggio 2019 e ha ricevuto un finanziamento pari a 6300 euro, a cui si aggiungono altri 700 euro di co-finanziamento.



Da cosa nasce l’idea di progetto? E perché è importante?

Il progetto si forma intrecciando due parallele esigenze percepite ed espresse da un’ampia parte della cittadinanza. Da una parte, c’è la necessità di provare a contrastare dal basso con azioni concrete, la tendenza in atto di considerare e gestire Venezia come una cartolina destinata al consumo turistico, dove tutti gli spazi e le attività della città sono in funzione dei visitatori. La popolazione stabile di Venezia si vede erodere progressivamente gli spazi della vita quotidiana: sia le attività commerciali che culturali vengono concepite per i turisti e non gli abitanti; i campi e le calli sono invase tutto l’anno da visitatori rendendo gli spostamenti e la permanenza dei residenti negli spazi aperti difficili; si riducono gli spazi di aggregazione sociale sia all’aperto che al chiuso dove sviluppare attività che vedono gli abitanti protagonisti. Dall’altra parte, si vuole sensibilizzare maggiormente la popolazione sul tema della sostenibilità ambientale e sul ruolo del verde nel contribuire alla salute, alla vivibilità urbana e alla mitigazione dei cambiamenti climatici, per spronare l’amministrazione a considerare la qualità dell’aria, la riduzione di CO2 e il verde urbano come priorità. Se nel passato il centro storico di Venezia era circondato interamente da campi verdi e pascoli, nel corso dei secoli queste aree sono state gradualmente ricoperte dalla pavimentazione dove gli alberi sono sporadici. Le zone verdi sono concentrare nell’area dei “Giardini” (ora parte della Biennale di Venezia e quindi accessibili da maggio a novembre solo a chi è in possesso del biglietto) e di “Sant’Elena”, nell’estremità orientale dell’isola, oppure nelle corti private, inaccessibili ai più e nascoste dietro a muri e cancelli. Contemporaneamente alla riduzione di verde, con l’aumento dei mezzi acquei a motore, dalle grandi Navi ai motoscafi e vaporetti, l’inquinamento di Venezia sta raggiungendo valori molto alti, nonostante sia una città priva di automobili. Venezia, è la seconda città del Veneto per numero più alto di sforamenti dei limiti di legge di sostanze inquinanti l’aria.

Il caso di Venezia, di città che deve affrontare sia il problema della vivibilità, in relazione alla forte turistificazione, che dell’inquinamento atmosferico, è emblematico di quanto sia fondamentale gestire sapientemente e rapidamente entrambi questi problemi per non giungere al collasso. L’importanza di Venezia nel mondo e le manifestazioni cittadine per contrastare questi problemi che fanno sempre più notizia, danno grande visibilità sia alle tematiche ambientaliste che ai problemi in generale della vivibilità urbana dalle quali sia il progetto che il bando possono trarne vantaggio, per riverberare i benefici e offrire maggiori opportunità di replicazione e continuazione delle azioni.

La visibilità di Venezia e il suo stato di città d’arte unica richiede un’attenzione particolare nella qualità, anche estetica, dei manufatti per evitare critiche generali e ostacoli dall’amministrazione comunale. Questa è la ragioni per cui nel gruppo di lavoro si è pensato di inserire delle figure professionali come architetti, designer e artisti in modo da combinare l’utilità ambientale con la qualità artistica del verde da realizzare. Le recentissime note polemiche dell’amministrazione comunale nei confronti di attività di protesta e azioni dal basso potrebbero irrigidire ulteriormente l’occupazione di suolo pubblico per attività cittadine e popolari. In questo clima, si preferisce utilizzare per l’evento di aggregazione sociale che conclude il progetto uno spazio collettivo chiuso già deputato a queste attività.

Per la cittadinanza di Venezia questo progetto è un’opportunità di arricchire la città non solo di un’ulteriore spazio verde, ma anche di vedere come ulteriormente espandere questi spazi in altre zone attraverso azioni dal basso , in quanto il laboratorio di progettazione includerà diversi spazi e la realizzazione mostrerà come mettere in pratica alcune tecniche. Rappresenta anche un momento di riconoscimento dell’abitante residente e dei suoi diritti di avere una città vivibile nelle sue attività quotidiane normali, e non solo una città da visitare.



Componenti del progetto


“Verde nascosto”: concorso fotografico

Aperto a tutti e gratuito, che si svolgerà tra febbraio e aprile 2019. Qui il link al concorso.

Si potrà partecipare inviando una o più foto di un luogo verde di Venezia non accessibile, sconosciuto, inedito. Le fotografie verranno raccolte, messe in relazione a una mappa della città e organizzate in una mostra pubblica in primavera.

“Campo verde”: laboratorio di progettazione
Alcuni membri delle associazioni partecipanti, insieme ad un gruppo di abitanti, progetteranno il verde di due spazi di Venezia, sperimentando diverse tipologie di vegetazione per esempio: orto urbano, giardino o orto verticale, totem verde, rampicanti, oasi, foresta in vaso, sotto la guida di storici, agronomi, etologi, architetti, paesaggisti, e giardinieri. La scelta della vegetazione e dei materiali utilizzati per creare la struttura dovranno essere pensati in riferimento alla localizzazione all'interno del campo e all’uso che gli abitanti ne fanno, alle condizioni climatiche, a garantire la manutenzione. Questi progetti verranno realizzati!

“Verde Venezia”: mostra di primavera
In un luogo ancora da stabilire verranno organizzati i materiali del progetto, le foto selezionate, i progetti del laboratorio, i testimonial della realizzazione in una mostra-installazione aperta al pubblico.

Per informazioni/collaborazioni al progetto scrivere a: ilaboniburini@gmail.com


FARE SPAZIO ALLE ATTIVITÀ CULTURALI

Nelle città europee e italiane sono presenti luoghi accoglienti e democratici nei quali si svolgono attività culturali che possono essere intese come una forma avanzata di welfare, inclusiva e abilitante, alla quale possono partecipare attivamente persone con storie e risorse differenti. Talvolta si tratta di strutture specializzate per la fruizione della cultura (biblioteche, musei, case della città), gestite e organizzate in modo innovativo. In altri casi, di strutture ideate da gruppi e associazioni per coniugare socialità, cultura ed economia, e gestite in modo indipendente o persino conflittuale con le istituzioni.

Nelle città si trovano anche molti luoghi abbandonati e sotto-utilizzati, pubblici e privati, che potrebbero ospitare attività culturali e sociali, ma qualcosa lo impedisce. A volte è colpa della speculazione edilizia: le aree sono immesse sul mercato per ricavarne il massimo guadagno possibile. Altri edifici rimangono vuoti perché nessuno è in grado di prenderne cura, o perché occorre presentare progetti impegnativi, fuori dalla portata di chi si occupa di attività sociali e culturali. E può accadere che norme e regolamenti impediscano il riuso, nonostante associazioni e cittadini abbiano presentato una richiesta.

Ad esito di un percorso di ricerca e di confronto, abbiamo constatato che gli spazi culturali conviviali sono – oggi – un servizio d’interesse generale, indispensabile per rispondere all’istanza di costruzione di una società multiculturale, più solidale e coesa. Gli spazi culturali che abbiamo in mente sono, principalmente, luoghi conviviali. Non serve definirli in modo preciso, ma è importante sottolineare che cosa li rende speciali: sono luoghi inclusivi, flessibili, accessibili, belli ma non omologati, democratici e attivi. La varietà delle strutture ne rende possibile la diffusione nelle città e nei paesi più piccoli, nelle aree centrali e in quelle più esterne, nei luoghi aulici e nelle frange urbane.

Abbiamo costatato il loro potere generativo: ovunque sono presenti, gli spazi culturali diffondono effetti positivi sulle persone coinvolte direttamente, sui fruitori assidui e occasionali, sul contesto circostante. La loro presenza contribuisce a costruire quotidianamente la multiculturalità, a legare in maniera costruttiva le diversità, a rendere la società più solidale, e a fare della città un luogo vivibile e accogliente.

UNA GUIDA PER L’AZIONE

Gli spazi culturali conviviali vanno difesi dove sono sotto pressione, riconquistati dove sono sottratti, rivendicati dove possono essere attivati. Attorno agli spazi culturali è possibile e necessario costruire un terreno di azione politica che metta al centro dell’attenzione la città e l’urbanistica.

Aggiornare il quadro normativo. Le regole urbanistiche sono importanti perché sanciscono le regole a garanzia dell’interesse generale. Tra le più importanti, gli standard urbanistici – introdotti nel 1968 - stabiliscono le dotazioni minime di spazi pubblici che devono essere garantite ovunque. Nelle leggi regionali e nei piani urbanistici possono essere introdotti dispositivi normativi che integrino le disposizioni nazionali, per:

Sostenere le iniziative. L’esperienza ci ha insegnato che le norme urbanistiche non possono, da sole, assicurare la presenza diffusa di spazi culturali accoglienti, democratici e vitali. Per di più, cambiare le leggi e i piani richiede tempo e una sensibilità politica differente. Tuttavia, i seminari, le visite guidate e gli incontri con le persone impegnate in questo campo ci hanno aiutato a individuare cinque passi che possono essere compiuti fin d’ora, da amministrazioni locali virtuose o da associazioni civiche che intendano mobilitarsi. Ad ognuno abbiamo dedicato un paragrafo di queste linee guida, nella convinzione che possa essere utile per fare in modo che qualcosa accada.

CINQUE PASSI DA COMPIERE
PER FARE SPAZIO ALLE ATTIVITÀ CULTURALI

1. Mappare i luoghi da riservare
Uno spazio ci vuole. Una sede è importante, non solo perché consente di svolgere le attività in modo continuativo e di programmarle nel tempo, ma anche perché gli spazi culturali sono un punto di riferimento della vita di quartiere e della città. Sono un luogo conosciuto e riconosciuto. Non occorre necessariamente costruire nuove strutture e grandi contenitori: le città sono ricche di spazi dismessi, sottoutilizzati o in via di trasformazione, che possono essere adibiti, in modo temporaneo o permanente a spazi culturali, con interventi ridotti e con l’impiego di materiali, elementi, tecniche facilmente riciclabili e reimpiegabili. Mapparli è il primo passo.

2. Individuare i soggetti da ingaggiare
Il tutor è la figura chiave. Non basta disporre di uno spazio. Perché diventi un punto di riferimento della città occorre progettarlo, attrezzarlo e gestirlo. Si devono mettere in relazione saperi e competenze differenziate, nel pubblico e nel privato, nell’economia e nell’amministrazione. Servono energie e competenze che non necessariamente sono possedute dagli operatori culturali, dalle associazioni civiche, dalla pubblica amministrazione.
È necessaria una figura di pivot che sappia concepire un solido piano d’azione e operi con continuità e per un periodo di tempo sufficiente ad assicurare la sostenibilità delle iniziative. Le professionalità esistono. Ingaggiare i soggetti giusti è il secondo passo.

3. Trovare le risorse da impiegare
I soldi servono, ma non sono il problema. Si possono fare molte cose, anche con lepoche risorse disponibili, se impiegate con intelligenza. Esistono modelli consolidati di finanziamento che possono essere calibrati sulle specifiche iniziative, basate su un mix di attività economiche e no-profit, su finanziamenti a lungo termine di banche etiche e fondazioni, sul sostegno attraverso misure pubbliche ( anche di tipo indiretto, riguardanti i canoni di concessione, le spese di manutenzione straordinaria, ecc.), sul crowdfunding. Si può sfuggire alla trappola della valorizzazione market-oriented finalizzata alla sola estrazione del valore immobiliare: guardare a modelli consolidati, europei e italiani, è il terzo passo.

4. Individuare gli ostacoli da rimuovere
Aggiornare le regole per cambiare passo. Affidi, concessioni, comodati, bandi. Manutenzione e ristrutturazione. Le istituzioni possono intervenire nell’ambito della regolazione minuta (in capo ai settori del patrimonio, del commercio, della pubblica sicurezza, dell’edilizia, degli appalti, …) per non ostacolare e, se possibile, per dare gambe alle iniziative della cittadinanza attiva. Allo stesso tempo, solo le istituzioni possono garantire che gli spazi culturali possano sopravvivere, anche in caso di declino dei soggetti che ne hanno promosso l’attivazione. E possono collaborare con tutti i soggetti coinvolti, e soprattutto con il tutor, affinché siano verificate nel tempo le sue ricadute delle iniziative, sul corpo sociale e sulle politiche urbane. Adattabilità è la parola chiave per assicurare il presidio delle iniziative, per correggerne i difetti, per apprendere e fare leva sui successi. Stabilire una collaborazione fattiva tra pubblica amministrazione e iniziative civiche è il quarto passo.

5. Dimostrare che si può fare
Puntare su un esempio per ispirare altre azioni e costruire una rete. La città e le politiche urbane costituiscono un milieu necessario per fare sì che le iniziative possano darsi forza l’una con l’altra, contagiarsi, collaborare. Tuttavia, le cose non nascono dal nulla. I progetti bandiera hanno un potere al contempo concreto e ispirativo perché incidono nel reale e modificano l’immaginario collettivo. Per questo occorre puntare su un esempio che faccia da capofila. Sostenerlo e comunicarlo è il quinto passo.

Documento scritto da Mauro Baioni, in collaborazione con: Donato Belloni, Ilaria Boniburini, Edoardo Salzano (associazione eddyburg) Daniela Patti, Levente Polyak e Jorge G. Mosquera (eutropian.org)

Qui il documento in PDF.

Proposta di micro progetto per scoprire il verde nascosto di Venezia, promuovere spazi pubblici per i residenti ed educare sull’importanza del verde per la salute, vivibilità e riduzione CO2. Qui i dettagli

A Pisa e San Giuliano Terme, il 29-30 giugno 2018, una nuova tappa del percorso organizzato dalla scuola di eddyburg sul riconoscimento degli spazi culturali come una dotazione essenziale da garantire ovunque.
Nel seminario intendiamo:
• arricchire le riflessioni critiche sul rapporto tra piano urbanistico, politiche pubbliche e iniziative civiche, attraverso un incontro pubblico;
• completare il nostro percorso con una riflessione sul rapporto tra patrimonio territoriale e spazio pubblico, attraverso una visita guidata a San Giuliano Terme;
• sottoporre a una verifica collettiva l’esito dell’attività svolta negli incontri di Pistoia e di Torino

La Sede
Il seminario si tiene presso I Cappuccini - Centro sociale, in via dei Cappuccini 2B - Pisa

Il programma in sintesi
Venerdì 29 giugno – ore 10.30-13.30
Spazio pubblico e trasformazioni della città esistente.
Seminario a ingresso libero e gratuito (l’iscrizione consente di riservare il posto)

Venerdì 29 giugno – ore 15.30-18.30Fare spazio alle attività culturali: iniziative civiche, pubblica amministrazione prove di dialogo per una cooperazione virtuosa
Tavolo di lavoro – riservato agli iscritti

Sabato 30 giugno – ore 10.00-13.30Il patrimonio territoriale come spazio pubblico

Passeggiata urbana – riservata agli iscritti

Iscrizioni
Sono ammessi 30 partecipanti alle attività riservate agli iscritti. L’iscrizione avviene con una e-mail a Monica Luperi. Sono a carico dei partecipanti i costi di viaggio e soggiorno. Gli iscritti devono specificare se venerdì 29 intendono partecipare al pranzo a buffet all'interno della struttura.

Qui il programma dettagliato


Ne abbiamo discusso a Torino, il 12-13 gennaio 2018, in un seminario della Scuola di eddyburg, organizzato presso l'Urban center metropolitano .

Le attività culturali possono avere valenza sociale ed essere considerate come una forma avanzata di welfare, inclusiva e abilitante, alla quale possono contribuire attivamente persone con provenienze, storie e risorse differenti. Una società che ambisca a essere solidale e multiculturale deve garantire, in ogni città e in ogni paese, spazi adeguati per le attività culturali.
La pianificazione urbanistica può fornire un contributo in questa prospettiva, attraverso uno standard urbanistico specifico? Ne discutiamo in due appuntamenti organizzati presso l’Urban Center Metropolitano, 
sulla base di un lavoro di ricerca promosso dall’associazione eddyburg.

PROGRAMMA

Venerdì 12 gennaio. Seminario di studi. Ore 14.00-18.30

Luoghi, iniziative e piani urbanistici: incontri mancati e incontri possibili
Workshop a cura della Scuola di eddyburg con la collaborazione di Andrea Giraldi, Michela Chiti, Daniela Patti e Levente Polyak.

Nuovi standard per un nuovo piano
Incontro con Rosa Gilardi, direttore della Direzione Urbanistica della Città di Torino.

Partecipazione gratuita. Iscrizione obbligatoria

Sabato 13 gennaio. Incontro pubblico. Ore 10.00-13.00
Intervengono: Mauro Baioni, urbanista, Guido Montanari, professore di storia dell’architettura contemporanea e vicesindaco di Torino, Nader Ghazvinizadeh, artista e filosofo, Chiara Sebastiani, esperta di politiche urbane. Modera l’incontro Ilaria Boniburini, architetto.

Ingresso libero

Sabato 13 gennaio. Cultura nella rigenerazione: itinerario urbano. Ore 14.30-17.00

In collaborazione con Eutropian.org e Urban Center Metropolitano:
Dall’Urban Center alle case di quartiere: visita guidata ad alcuni luoghi cospicui che fanno spazio alle iniziative civiche.

Qui il volantino dell'evento

Qui di seguito raccogliamo le letture introduttive.
In questa pagina si possono scaricare le presentazioni.

Il primo testo, è la lectio magistralis che Edoardo Salzano ha tenuto a Pistoia, in apertura dell’edizione 2015 di Leggere la città. Le parole di Salzano ci collegano all’iniziativa di cui siamo ospiti e forniscono un’ampia e appassionata cornice al nostro lavoro del 2017. Ci ricordano che la dotazione di spazi pubblici nella città, in Italia sancita come diritto da quasi cinquant’anni, è stata una conquista di una lunga stagione riformista e oggi, nella crisi del carattere pubblico della città si concretizza un processo di contro-riforma condotto dall’affermazione del neoliberismo su scala globale. L’erosione dello spazio pubblico è l’esito di un progressivo indebolimento dellacapacità di governare le trasformazioni urbane mediante due strumenti essenziali: una politica del patrimonio immobiliare che restituisca alla collettività gli aumenti di valore che derivano dalle sue decisioni e dalle sue opere, e una politica di pianificazione del territorio, in tutte le sue componenti e a tutti i suoi livelli. Nel concludere il suo intervento, Salzano invita a guardare con fiducia alle iniziative promosse da movimenti e istituzioni e al lavoro di quegli intellettuali che non si sono adeguati all’ideologia dominante. Un insieme di forze che faticano ancora a ricomporsi e tradursi nel campo della politica, a testimonianza del duro lavoro che ancora ci attende. La scuola di quest’anno si inserisce appieno nel percorso tracciato da Salzano.

Le tre letture che seguono forniscono uno sguardo di insieme sul rapporto tra cultura e spazio pubblico. Cosa rende i “luoghi della cultura” - intesi come luoghi destinati alla produzione e fruizione di cultura - degli “spazi pubblici”, cioè delle infrastrutture per la vita collettiva a supporto della sfera pubblica? In che modo possiamo guardare al multiculturalismo in chiave costruttiva e non di sola difesa delle identità delle minoranze? In che misura la nostra idea di cultura è corrosa e colonizzata dai meccanismi della globalizzazione che tendono ad comprimere la dimensione sociale e a fare di noi monadi dedicate al consumo individuale? Affidiamo queste domande a Chiara Sebastiani, Enzo Colombo e Zygmunt Bauman.

L’ultimo gruppo di letture riguarda le strutture culturali. Maria Pia Guermandi e Antonella Agnoli, presenti alla scuola, spiegano in che modo le strutture specializzate (biblioteche e musei) possono essere concepite come piazze della cultura e come spazi democratici in cui nessuno si deve sentire straniero. Claudio Calvaresi, infine, descrive nuovi tipi di strutture – ibride nella forma e nelle funzioni – nelle quali, per iniziativa di gruppi di cittadini, si svolgono attività che legano tra loro cultura, lavoro e socialità. Il mondo accademico e alcune istituzioni guardano con particolare interesse a queste forme di “innovazione sociale” di cui è utile conoscere potenzialità e limiti.

Nella prima parte del seminario abbiamo illustrato le tesi da sottoporre a verifica collettiva e le questioni aperte da affrontare nella scuola e, grazie ad Antonella Agnoli e Maria Pia Guermandi abbiamo ragionato sulle strutture specializzate che possono essere ripensate come luoghi democratici dove nessuno si sente straniero.

Nella seconda sessione abbiamo dato voce agli amministratori e ai tecnici di Pistoia che ci hanno illustrato come la città (grazie ai suoi luoghi, alla compresenza di soggetti, all’iniziativa dell’amministrazione comunale) fornisca un valore aggiunto alle singole esperienze. Andrea Giraldi e Michela Chiti hanno fornito una lettura critica del rapporto tra spazi pubblici e pianificazione.

Nella terza sessione abbiamo presentato alcune esperienze di rigenerazione urbana centrate sulla realizzazione di strutture dove si organizzano attività culturali alla scala di prossimità. Cristina Marietta, Giulia Melis ci hanno illustrato come a Settimo Torinese le politiche pubbliche siano state imperniate in modo strategico e costante sulle strutture culturali. Daniela Patti e Levente Poljak ci hanno fornito una panoramica di iniziative di recupero e gestione delle strutture culturali promosse dalla cittadinanza attiva in cinque città europee. Francesco Evangelisti e Giovanni Ginocchini hanno parlato di Bologna, e di come l’elevata dotazione di spazi pubblici, eredità delle politiche urbane degli anni sessanta e settanta, costituisca uno spazio di opportunità.

Fare spazio alle attività culturali:
Un nuovo standard per una città solidale e multiculturale

Il tema degli spazi pubblici e della loro cruciale importanza nella vita sociale, politica e culturale di una città dei cittadini e non della rendita è sempre stato al centro delle discussioni e dei ragionamenti di eddyburg. La scelta di approfondire la questione specifica degli spazi culturali nasce da due riflessioni.
La prima è legata alla necessità di riflettere sulle conquiste dell’urbanistica italiana. La legge ponte e il decreto sugli standard rappresentano uno dei punti più alti della storia urbanistica italiana, poiché hanno permesso di applicare in modo generalizzato la pianificazione e di garantire a ogni cittadino la disponibilità di spazi riservati alle necessità collettive e sociali, sottratti ai meccanismi perversi della rendita e del consumismo.

Abbiamo sempre pensato che l’importanza degli standard urbanistici e del loro impiego nella pianificazione urbanistica travalica gli aspetti tecnici, in quanto attorno al rapporto tra spazi destinati agli usi della collettività e spazi privati si valuta la sostanza politica di un piano urbanistico e la sua capacità di incidere sugli interessi economici per fornire risposte adeguate ai bisogni sociali. Eppure, in questi ultimi decenni prevale un atteggiamento opposto: numerosi disegni di legge, con la scusa dell’aggiornamento tecnico, mirano a indebolire gli obblighi sanciti nel decreto. Nel ribadire la necessità di osteggiare ogni proposta di indebolimento degli standard e della pianificazione pubblica, ci siamo resi conto che era necessario un approfondimento per tenere conto di una società profondamente mutata che esprime nuovi bisogni e che, al contempo, è sempre più soggetta al ricatto del profitto e dello sviluppo puramente economico.
All’interno di questo ragionamento ci siamo soffermati sul ruolo delle espressioni culturali nella società odierna. Come osserva Zygmunt Baumann, le politiche culturali istituzionali e il mercato culturale sono costruiti per lo più come un’offerta seduttiva, volta ad appagare una domanda di consumo. Tuttavia, esiste una diversa dimensione della cultura, sia come espressione di una forma di welfare avanzato (pensiamo al museo relazionale, alle biblioteche concepite come piazze, alle case della cultura), sia come attività promossa da gruppi e associazioni, talvolta anche in opposizione o conflitto con le istituzioni.

Queste considerazioni ci hanno spinto a ritenere che le attività culturali – per la loro valenza politica e sociale – dovrebbero essere considerate come un servizio d’interesse generale, essenziale per una società che ambisca a essere più solidale e multiculturale. Ci siamo quindi domandati se sia possibile rispondere a questa esigenza attraverso la pianificazione urbanistica e - in particolare - se possa essere utile, a questo scopo, definire uno standard urbanistico riguardante le strutture che ospitano attività culturali.

Nella prima sessione della scuola - tenuta il 5 e 6 aprile 2017 a Pistoia - abbiamo ragionato sul ruolo che le strutture culturali possono esercitare come luoghi democratici dove nessuno si senta straniero, assieme ad alcuni esperti di settore, agli interlocutori locali impegnati nelle attività del programma “Pistoia - capitale della cultura” e abbiamo presentato e analizzato criticamente alcune esperienze di rigenerazione urbana centrate sulla realizzazione di strutture culturali.

Nella sessione di Torino, organizzata assieme a Urban Center Metropolitano, abbiamo proseguito l’attività, attraverso un workshop con i partecipanti, un dibattito pubblico con amministratori e intellettuali e la visita guidata di tre rilevanti episodi di recupero di strutture dismesse per la realizzazione di spazi culturali nel quartiere Barriera. Abbiamo concentrato la nostra attività attorno a tre nodi di discussione:
1. Che cosa significa “spazio culturale” nella società e città europea di inizio XXI secolo, dove nuove e diverse culture, sempre più meticcie, si affiancano a quelle più tradizionalmente legate allo sviluppo europeo degli ultimi secoli, portando con se nuovi modi di concepire, abitare, e costruire lo spazio urbano? A quali attività culturali facciamo riferimento? Quali sono i bisogni che gli abitanti esprimono e cercano di soddisfare attraverso la fruizione di spazi culturali? Quale ruolo assumono questi spazi e queste attività in una società sempre più individualista, ma anche sempre più sofferente?
2. Esistono luoghi o strutture che più di altri potrebbero prestarsi ad accogliere questi spazi? Da dove partire per equipaggiare le nostre città e in generale i nostri territori? E’ utile puntare a una distribuzione capillare e sistematica di spazi culturali in tutti i territori?
3. A quali strumenti e attori possiamo affidarci per realizzare spazi culturali che abbiano una valenza sociale? A quali esperienze o progetti si può attingere per dare forza concreta a questa proposta? Quale valore discende dal riconoscimento di questi spazi come uno standard urbanistico?

Abbiamo capito che non è facile, e nemmeno indispensabile, fornire una definizione onnicomprensiva degli spazi culturali. Sappiamo però che devono essere luoghi inclusivi, flessibili, accessibili, belli ma non omologati, liberi, diversificati, accoglienti, democratici e attivi. Abbiamo costatato il loro potere generativo e abbiamo capito che la loro presenza è utile per costruire quotidianamente la multiculturalità, per tenere insieme in maniera costruttiva la ricchezza delle diversità e rendere la società più solidale. La grande varietà delle strutture che possono ospitare attività culturali ne rende possibile la diffusione, nelle città e nei paesi più piccoli, nelle aree centrali e in quelle più esterne, nei luoghi aulici e nelle frange urbane. Dovunque sono presenti, gli spazi culturali spargono effetti positivi sulle persone coinvolte direttamente, sui fruitori assidui e occasionali, sul contesto circostante.
Siamo convinti che sia indispensabile una presenza capillare degli spazi culturali e che questa rivendicazione abbia un significato pienamente politico. Che gli spazi culturali abbiano un potere liberatorio e generativo del tutto peculiare, perché consentono di praticare e apprendere forme non omologate di convivenza e di costruire collettivamente una coscienza civica nel rispetto delle differenze. Per questo riteniamo che siano una componente essenziale del diritto alla città. Ed è in questo senso che li consideriamo uno standard urbanistico da garantire in modo generalizzato.

Qui il collegamento al filmato dell'incontro pubblico con Guido Montanari, Nader Ghazvinizadeh, Chiara Sebastiani ed Edoardo Salzano, moderato da Ilaria Boniburini. Il filmato è girato e montato da Margherita Ghazvinizadeh.

: il prossimo seminario della Scuola di eddyburg sul riconoscimento alle attività culturali di una valenza sociale e una forma inclusiva e avanzata di welfare e sull'opportunità di individuarle come standard urbanistico di livello locale o di rango urbano.

PRESENTAZIONE

Le attività culturali possono avere valenza sociale ed essere considerate come una forma avanzata di welfare, inclusiva e abilitante, alla quale possono contribuire attivamente persone con provenienze, storie e risorse differenti. Una società che ambisca a essere solidale e multiculturale deve garantire, in ogni città e in ogni paese, spazi adeguati per le attività culturali.
La pianificazione urbanistica può fornire un contributo in questa prospettiva, attraverso uno standard urbanistico specifico? Ne discutiamo in due appuntamenti organizzati presso l’Urban Center Metropolitano, 
sulla base di un lavoro di ricerca promosso dall’associazione eddyburg.

PROGRAMMA

Venerdì 12 gennaio. Seminario di studi. Ore 14.00-18.30

Luoghi, iniziative e piani urbanistici: incontri mancati e incontri possibili
Workshop a cura della Scuola di eddyburg con la collaborazione di Andrea Giraldi, Michela Chiti, Daniela Patti e Levente Polyak.

Nuovi standard per un nuovo piano
Incontro con Rosa Gilardi, direttore della Direzione Urbanistica della Città di Torino.

Partecipazione gratuita. Iscrizione obbligatoria

Sabato 13 gennaio. Incontro pubblico. Ore 10.00-13.00
Intervengono: Mauro Baioni, urbanista, Guido Montanari, professore di storia dell’architettura contemporanea e vicesindaco di Torino, Nader Ghazvinizadeh, artista e filosofo, Chiara Sebastiani, esperta di politiche urbane. Modera l’incontro Ilaria Boniburini, architetto.

Ingresso libero

Sabato 13 gennaio. Cultura nella rigenerazione: itinerario urbano. Ore 14.30-17.00

In collaborazione con Eutropian.org e Urban Center Metropolitano:
Dall’Urban Center alle case di quartiere: visita guidata ad alcuni luoghi cospicui che fanno spazio alle iniziative civiche.

Partecipazione gratuita. Iscrizione obbligatoria

PER ISCRIVERSI
Per info e prenotazioni: info@urbancenter.to.it , 011 5537950

Qui il volantino dell'evento

Abbiamo toccato punti cruciali per il futuro non solo nostro (urbanisti o, come me, appassionati della disciplina della evoluzione della città), ma della nostra convivenza in una comunità accogliente e, come si dice, inclusiva; che guardi al futuro senza spaventarsi delle macerie che ha alle spalle (o sulle spalle). Una nuova lettura dell’Angelus Novus di Benjamin.Una metafora che uso spesso è che la multiculturalità è la culla dove stiamo facendo crescere la comunità di domani; come sarà questa futura comunità dipende da come tratteremo questo piccolo cucciolo ancora indifeso e indefinito.La ragazza di Torino, quella di Settimo Torinese, Daniela e Levente (che ringrazio ancora) hanno fatto vedere alcune direzioni da intraprendere, interessantissime e concrete.I tanti altri interventi hanno disegnato la cornice di un quadro che ancora non è disegnato, ma su cui si stanno tracciando segni, incerti quanto significativi.

L’urbanistica dove liberarsi dalla monocultura della “forma urbis” ormai oggetto di un “accanimento terapeutico” forse dato dall’incapacità di volgere lo sguardo verso la nuova “forma civitatis” (perdonate il mio latino, ma spero di farmi capire), la complicità dell’attuale “polis” in questo accanimento, più che evidente, è responsabile del vuoto valoriale e del pieno materiale delle nostre città.Ho parlato di “relazioni” non certo intendendo relazioni di potere, ma consapevole che le relazioni fra le parti, animate e non, sono la base dell’ecologia.In questo i tanti contributi ascoltati mi hanno fatto capire la necessità (per gli urbanisti o, come me, per gli appassionati della disciplina della evoluzione della città) di vedere tutte quelle nuove relazioni fra le persone di diverse culture, nei nuovi contesti, la traccia della “rete” nuova che dovrà formare le nuove “carte tematiche e progettuali” individuanti la nuova forma della città, più immateriale che materiale (laterizio, cemento, ferro o legno che sia).Certamente corrono il rischio di essere relazioni di base, policentriche e dinamiche, ed in ciò poco o difficilmente controllabili e/o amministrabili.

Forse è per questo che la “polis” non le ritiene così strettamente necessarie come, invece, la costruzione di una tangenziale?Le strutture culturali diventano quindi i nodi, di varia grandezza ma egualmente importanti, di questa rete di relazioni della città. I nodi dove ci si incontra, si condividono le rispettive culture, ci si confronta sul concetto di bello, di utile, sul concetto di qualità dei luoghi e della vita.

Come architetto mi interessa anche dare una forma fisica ai nodi di questa rete, prima però vorrei capirli bene. Per questo mi piacerebbe continuare questo lavoro di ricerca e di confronto con quelle persone che, come tutti voi, abbiano a cuore il benessere di quella culla in cui sta nascendo la comunità di domani, così come della comunità stessa. Parafrasando la bellissima frase di Gandhi citata da Ilaria, credo che con il tema della sicurezza, decisamente importante quanto troppo dominante, si stia cercando di convincere i più a chiudere le finestre per impedire che i tanti venti delle culture diverse possano attraversare la nostra casa; ma facendo così non facciamo altro che opporre resistenza per un po’ inconsapevoli che agevoliamo la forza del vento che arriverà a sradicare le fondamenta.

Norberto Vaccari
Bioarchitetto

Ecco il programma completo di Leggere la Città 2017. Sul sito ufficiale potete trovare tutti gli eventi e gli ospiti: http://www.leggerelacitta.it/programma/.

Ci siamo anche noi, con la scuola di eddyburg dedicata alle strutture culturali come servizio essenziale per una società multiculturale e solidale. Questa è la pagina di presentazione della scuola

Sabato 8 aprile, alle 12, nelle Sale affrescate del comune, presentiamo pubblicamente i risultati della scuola nella tavola rotonda Gli standard urbanistici, cinquant'anni dopo. Un progetto per lo spazio pubblico. Sarà con noi Ilaria Agostini.

Vi aspettiamo

La Nuova Venezia, 22 febbraio 2017

TURISMO, 30 MILIONI DI COSTI
PER I RIFIUTI
di Alberto Vitucci
«È questo il sovraccarico per i residenti. A Venezia si produce il doppio della media regionale. Vertice sui progetti lunedì»

Trenta milioni di euro di spese in più per i rifiuti. A carico dei residenti. È uno dei tanti effetti dell’invasione turismo. Che fa felici alcune categorie che sul turismo lavorano. Ma provoca disagi al resto della città, anche economici. Veritas, l’azienda per la raccolta dei rifiuti, è una delle realtà che con l’incremento dei visitatori invece di aumentare gli introiti – come ad esempio Actv – aumenta i costi. Che vanno poi a finire sulla bolletta dei residenti. Nel 2016 i costi extra dovuti ai rifiuti prodotti dal turismo ammontano a circa 30 milioni. Vero che 22 milioni entrano dalla tassa di soggiorno. Ma non sono investiti nell’asporto rifiuti, che invece va a carico della Tari dei residenti.

Due conti. Il conto è presto fatto. La media regionale della produzione dei rifiuti nel Veneto è infatti di 0,55 chili al giorno per abitante, 445 chili ogni anno. A Venezia la produzione raddoppia, 860 chili l’anno. Numeri alti anche al Lido, per la presenza degli stabilimenti balneari e della Mostra: 770 chilogrammi l’anno per abitante, mentre in terraferma si scende a 557, appena sopra la media regionale. In termini di quantità complessive, la produzione annua è di 54 mila tonnellate a Venezia, Murano, Burano, 15.800 a Lido e Pellestrina, 96.700 in terraferma.

Vertice. Uno dei tanti problemi di cui si parlerà nel vertice convocato per lunedì a Ca’ Farsetti dal coordinatore e dirigente del settore turismo Maurizio Carlin. Si dovranno esaminare i venti progetti presentati in questi mesi di discussioni in commissione. Sceglierne tre o quattro. E sintetizzare in una proposta complessiva le migliori idee degli altri.

Sabato. Ma mentre ancora si discute la situazione peggiora di giorno in giorno. Da oggi l’invasione del Carnevale comincia ad andare verso i picchi, per raggiungere il massimo sabato e domenica, quando sono attese in città almeno 120 mila persone.

Proposte. Le proposte per la riduzione dei flussi parlano quasi tutte di prenotazione obbligatoria e di tassazione differenziata per chi decide di venire a Venezia nei periodi «caldi». Ma anche di regolazione degli accessi nell’area marciana, di diversificazione dei terminal di arrivo. E di interventi sulla struttura della città, che si sta snaturando in assenza di regole, trasformata in Disneyland ed emporio di souvenir e paccottiglia, invasa da bar e ristoranti che aprono senza nemmeno la necessità di autorizzazioni. Un piano che dovrebbe essere attuato in tre fasi. La prima, quella della riorganizzazione degli accessi a breve termine. Poi a medio termine i progetti di controllo dei flussi e delle prenotazioni obbligatorie. Infine, con tempi più lunghi, il controllo che necessita anche di modifiche legislative e della collaborazione di chi porta in laguna milioni di turisti l’anno come Trenitalia, Autorità portuale e Save. Ma il tempo è quasi scaduto.

MESTRE, CORSA AGLI OSTELLI.
A&O RADDOPPIA
di Mitia Chiarin

«La società tedesca aprirà entro il 1 agosto all’ex Vempa con 320 camere a 12 euro»

MESTRE. Sul sito internet della tedesca A&0, proprietaria dell’ostello che sta crescendo al posto dell’ex Vempa sul cavalcavia di Mestre, la data di apertura è già indicata: il AO Venedig Mestre aprirà entro il primo agosto 2017. Sul sito, sullo sfondo non ci sono vedute di Mestre ma uno scorcio di piazza San Marco. E ci sono i prezzi, decisamente bassi: 12 euro a notte per una stanza singola; 24 euro per una camera doppia. La sistemazione in dormitorio costa 12 euro a persona e i bambini che non pagano nulla.

La corsa alle aperture. Il 2017, insomma, a Mestre è l’anno della corsa all’apertura di nuovi ostelli, tutti a due passi dalla stazione di Mestre. Perché entro il primo agosto aprirà l’ostello della catena tedesca A&O progettato dallo studio Limesland e dall’architetto Sandro Bisà ma in dirittura d’arrivo è anche il cantiere del nuovo “Posh hotel” della catena Plaza, dietro il grande e storico albergo fronte stazione di Mestre, che avrà un target come ostello anche se con un costo, si dice, un pochino più alto. A progettarlo l’architetto mestrino Alessandro Papini. Entrambi i cantieri sono in stato avanzato.

Quattrocentoquaranta stanze. I cantieri sono il preludio all’apertura di due strutture per complessive 440 stanze (e forse più) nella zona della stazione. Quelle dell’ex Vempa 320, per quasi mille posti letto. Più di centoventi camere, invece, nel nuovo albergo pensato dalla proprietà dell’hotel Plaza.

eddyburg organizza un seminario di due giorni sul ruolo che le strutture culturali possono esercitare come luoghi democratici dove nessuno si senta straniero. Qui di seguito illustriamo le finalità e i contenuti dell'iniziativa e indichiamo come potete iscrivervi e collaborare attivamente.



Perché ci occupiamo delle strutture culturali
La legge ponte e il decreto sugli standard urbanistici rappresentano uno dei punti più alti della storia urbanistica italiana. La loro importanza travalica gli aspetti tecnici: attorno al rapporto tra spazi destinati agli usi della collettività e spazi privati si valuta la sostanza politica di un piano urbanistico e la sua capacità di fornire risposte adeguate ai bisogni sociali. Nelle intenzioni, le garanzie fornite attraverso gli standard urbanistici, avrebbero dovuto costituire una piattaforma comune sulla cui base andare avanti. Cinquant'anni dopo, prevale un atteggiamento opposto di sfiducia e insofferenza verso l’urbanistica e i suoi strumenti tecnici.

Per restituire alla pianificazione urbanistica quella sostanza politica che oggi sembra smarrita, riteniamo necessario partire dalla comprensione dei bisogni generati dalle dinamiche economiche e sociali attuali. Ccon questo spirito, in vista del cinquantenario dall’approvazione della legge ponte (2017) e degli standard urbanistici (2018), eddyburg intende fornire un contributo specifico sul ruolo degli spazi pubblici per la costruzione di una società multiculturale e solidale.

Attraverso la pianificazione urbanistica possiamo assicurare che in ogni centro abitato del nostro paese siano presenti spazi pubblici dedicati alle attività culturali, in misura e collocazione adeguata? Possiamo preservare le strutture esistenti speculazione edilizia e realizzare nuove strutture attraverso gli interventi di rigenerazione urbana? Oltre alla dotazione di aree, che cosa dobbiamo garantire per raggiungere risultati all’altezza delle sfide odierne?

Perché un'iniziativa a Pistoia
Pistoia è città capitale italiana della cultura del 2017, e ha ottenuto questo riconoscimento sulla base di una candidatura la cui forza ha poggiato nella qualità delle iniziative e nel coinvolgimento di un grande numero di persone e associazioni. Da alcuni anni, il comune organizza in primavera una rassegna di incontri, le­zioni, mo­stre, pas­seg­giate, con­certi, spet­ta­coli e la­bo­ra­tori che, per quattro giorni, fanno della città la "casa del pen­siero ur­bano". La quinta edizione di Leggere la città, che si terrà dal 6 al 9 aprile 2017, è dedicata al tema “Cultura è comunità”.

Abbiamo pensato che legare la scuola a questa bella iniziativa, di cui condividiamo lo spirito, fosse un'opportunità da cogliere e abbiamo proposto al comune di tenere a Pistoia - nei giorni immediatamente precedenti - il seminario della scuola di eddyburg.


Il seminario di Pistoia
Nei due giorni della scuola - il 5 e 6 aprile - vogliamo ragionare sul ruolo che le strutture culturali possono esercitare come luoghi democratici dove nessuno si senta straniero, assieme ad alcuni esperti di settore, agli interlocutori locali impegnati nelle attività del programma “Pistoia - capitale della cultura”, ai protagonisti di esperienze di rigenerazione urbana centrate sulla realizzazione di strutture culturali di prossimità. A partire da questo primo lavoro di conoscenza, intendiamo formulare una proposta riguardante il riconoscimento delle strutture culturali e multiculturali come standard urbanistico, da presentare pubblicamente, nella convinzione che possa trovare un ampio sostegno pubblico e una traduzione concreta nella legislazione regionale e nazionale.

Il programma e tutte le informazioni per iscriversi alla scuola sono disponibili qui.


Sul "fronte" dell'esposizione si è avuta la conferma del pauroso distacco degli intellettuali dalla realtà. Se il mondo va a rotoli è colpa anche, e in gran parte, del tradimento di quanti sarebbero deputati ad additare le vie per uscire dalla crisi: a raccontare la realtà quale è, a svelare le cause di ciò che è storto, e a proporre i modi per raddrizzarlo. Ma invece di svelare la realtà e raccontare "di che lagrime grondi e di che sangue", troppo spesso si impegnano e celebrare se stessi, e le proprie personali affermazioni (e.s.)

Durante la cerimonia conclusiva della quindicesima Biennaledi architettura, il presidente Paolo Baratta ha esibito i numeri checertificano il successo dell’operazione: oltre 258 mila visitatori e 135accordi con università che da tutto il mondo mandano gruppi di studenti inlicenza a Venezia e, come premio, erogano loro dei crediti di formazione. Nessunragguaglio è stato fornito circa i risultati qualitativi raggiunti in sei mesidi apertura al pubblico. Nessun cenno, inoltre, è stato fatto, né da Baratta nédal direttore Alejandro Aravena, ai casi nei quali gli obiettivi dichiarati sirivelano in stridente contrasto con la situazione sul campo, come dimostrano, perlimitarci a tre esempi, il padiglione della Germania, il progetto speciale un mondo di fragili parti e la scuola diMakoko la cui replica è stata esposta all’Arsenale.


1. Making Heimat, iltitolo del padiglione della Germania, sintetizza l’aspirazione di trasformarele città tedesche da luoghi di segregazione a spazi di assorbimento eintegrazione dei nuovi arrivati. La decisione dei curatori di individuare il “fronte”nel modo di accogliere le migliaia di persone sradicate dalla loro terra e costrettea migrare è stata sviluppata con intelligenza, a cominciare dalla scelta dioccuparsi di città e non solo di edifici per mettere in luce che la sfida politica/progettualeè “cambiare la città per tutti” e non costruire cittadelle per rinchiudere chiarriva.

Succede, però, che mentre visitiamo il padiglione e ammiriamole gigantografie che spiegano le caratteristiche di Arrival City, al fronte si continua a combattere e non tutto va nelmigliore dei modi. Pochi giorni prima della chiusura della Biennale, infatti, èapparsa la notizia che a Monaco di Baviera è stato costruito un muro perseparare gli abitanti del quartiere di Neuperlach Sud da un ostello chedovrebbe ospitare 160 rifugiati, quasi tutti minori non accompagnati.

La vicenda ha avuto inizio nel 2014, quando sei persone residentivicino al futuro ostello hanno protestato per i “fastidi” che la struttura avrebbepotuto arrecare loro e, di fronte al rifiuto delle autorità comunali dicancellare il progetto, hanno intentato e vinto un’azione legale al terminedella quale la città ha dovuto costruire una barriera alta quattro metri emezzo. Non contenti, i residenti hanno anche preteso che il manufatto fosse “insormontabilee resistente ai giochi con qualsiasi tipo di pallone”. La soluzionearchitettonica, quindi, è un muro come quelli che si usano per mitigare l’inquinamentoacustico proveniente dalle autostrade, formato da gabbie di acciaio piene disassi.
“Donald Trump, vuole costruire un muro per separare la nazionedal Messico e noi non possiamo costruirne uno per tenerci al sicuro dairifugiati?,” ha detto uno dei cittadini di Neuperlach che ha poi aggiunto: ”nonabbiamo nulla contro l’ostello per rifugiati, la città in qualche modo deveriuscire a sistemare tutte le persone. Ma 160 ragazzi giovani faranno del rumoreconsiderevole e noi vogliamo continuare a vivere in pace. Mi sarei lamentato,anche se si fosse trattato della costruzione di nuovi campi sportivi”.

Altri abitanti di Neuperlach hanno dichiarato che, inrealtà, la principale preoccupazione è che il valore delle case possa crollarea causa della presenza del centro. Comunque, il muro è stato costruito e non èescluso che, essendo più alto di quello di Berlino, possa diventare “un’attrazione” e, una volta ricoperto diedera e rampicanti, meriti di essere esposto alla prossima Biennale.

Ovviamente, i curatori del padiglione non hanno responsabilitàper l’accaduto. Forse, però, tenuto conto che in guerra la propaganda èimportante, ma alla fine quello che conta sono le conquiste sul terreno, riservareun angolo alle “cattive notizie” nulla avrebbe tolto all’efficacia didattica eall’ottimismo propositivo della loro installazione.

2. Un ben più grave livello di scollamento tra dichiarazioni diprincipio e realtà si riscontra all’interno del progetto speciale realizzatodal Victoria and Albert Museum di Londra, con il quale la Biennale ha siglatoun accordo per l’allestimento di una sezione/padiglione dedicata alle artiapplicate. Il tema di quest’anno, unmondo di fragili parti, intende affrontare la questione della “copia” d’artenon solo come strumento didattico, ma come modo per “preservare” opere che per varieragioni, “dai cambiamenti climatici alle guerre”, sono a rischio di distruzione.Anche a prescindere dai risvolti inquietanti di tale approccio (significa forseche una volta fatta la copia di un’opera d’arte possiamo bombardare l’originalee gli umani che le stanno vicini?) uno dei manufatti esposti è unaagghiacciante dimostrazione del cinismo con il quale istituzioni, che sidefiniscono culturali, si impadroniscono, per trasformarli in merce, dei drammie delle sofferenze delle persone reali.

Si tratta del calco in scala 1:1 di una baracca dellacosiddetta giungla di Calais, che è stata scansionata in 3D e riprodotta in verolith,un materiale a base di perlite. Almomento della scansione, era il ricovero di legno, plastica e lamiera di DarAbu Said, un profugo dal Sudan che da quattro mesi vi abitava insieme a quattroegiziani. Tutti loro speravano di poter arrivare a Londra.

Secondo Sam Jacob, l’artista che ha ideato e realizzato ilcalco, l’installazione ha raggiunto due risultati. Da un lato, “portando lacrisi umanitaria e politica che colpisce il Medio oriente e l’Europa dentro la Biennale,ha aumentato la consapevolezza della crisi dei rifugiati”, dall’altro “usandomoderni strumenti digitali di salvaguardia e riproduzione, contribuisce aldibattito sulla riproduzione come forma di salvaguardia”.

Come è noto, prima della chiusura della Biennale,la giungla di Calais è stata rasa al suolo. Said non abita più lì e nullasappiamo di lui e dei suoi quattro coinquilini. Non risulta che il Victoria andAlbert Museum si sia attivato per procurare loro un permesso di soggiorno a Londrao che Sam Jacob abbia loro ceduto i diritti di autore per le foto dell’installazioneche “ha trasformato un alloggio di fortuna in una scultura monumentale”.

Nemmeno nella conferenza nel corso della quale ilcuratore del progetto Brendan Cormier, e Baratta hanno tracciato ilglorioso bilancio della collaborazione tra le due istituzioni e annunciatol’intenzione di proseguirla, è stato nominato Said, il cui ricordo si perderàfra i molti missing in action / dispersi in guerra. Ma, per nostra fortuna, ciresta il calco che porta il suo nome e che ormai ha lo status di opera d’arte.

3. Infine, la scuola diMakoko, un edificio di legnogalleggiante nella laguna di Lagos, le cui immagini sono riprodotte nelle piùprestigiose riviste di architettura del mondo, è l’emblema perfetto di unaBiennale i cui inviati speciali sembra siano stati dislocati ovunque, tranneche al fronte.

Il progettista, Kunlé Adeyemi, un architetto nigeriano chevive e lavora in Olanda, è stato insignito del Leone d’argento della Biennale che ha fatto arrivare viaacqua una copia in scala ridotta della struttura per ormeggiarla nel bacinodell’Arsenale.

In luglio, la scuola (quella vera, a Lagos) è statadistrutta dalle piogge torrenziali, in uno dei tanti disastri naturali cheflagellano gli insediamenti dei poveri. La stampa internazionale ha dato granderisalto al crollo, nonché al fatto che lacomunità aveva ripetutamente espresso preoccupazioni per la tenuta degliormeggi e da tempo, non potendo affrontare la situazione con le proprie scarserisorse, non mandava i bambini a scuola, temendo per la loro sicurezza.

Solo la Biennale non si è accorta di niente. Il 24 settembrel’architetto Adeyemi ha partecipato ad uno degli “incontri del sabato”, nelcorso dei quali alcuni degli invitati parlano al pubblico del loro lavoro. Ilcoordinatore della cerimonia, Pippo Ciorra, che scrive di architettura su giornali“di sinistra”, si è profuso in elogi e complimenti per la genialità dellatecnica costruttiva, ma del collassodella scuola nessuno ha detto niente. Se è chiaro che in ogniguerra, soprattutto se umanitaria, alcuni dispacci dal fronte non vengonodivulgati per non minare il morale delle truppe, nel caso di Makoko dire laverità non sarebbe stato una manifestazione di disfattismo. Al contrario,chiedersi se il denaro speso perinstallare la replica nelle acque dell’Arsenale, al fine di promuovere l’immagine del progettista e delladitta costruttrice, avrebbe potuto essere impegnato per la manutenzione e ilconsolidamento della scuola, ci avrebbe aiutato a non distogliere l’attenzione dalla comunità dellalaguna di Makoko e dar voce al suo diritto a riavere la scuola per la qualeloro ed i loro bambini si sono già lasciati fotografare.

Il silenzio della Biennale, invece, è una drammatica conferma dell’abisso che separai discorsi sulle opere di architettura, che riempiono riviste che mai gliutilizzatori di tale opere leggeranno, e il mondo reale. Un ben modestorisultato per gli organizzatori che hanno scelto come logo “la vecchia signorache in cima sulla scala guarda avanti a sé”. Forse la vecchia signora (e noicon lei) farebbe bene a girarsi eguardare indietro, in basso, a terra.

Alla scuola di Eddyburg tenutasi a Venezia il 15-16 Settembre 2016 si è parlato di cosa stia accadendo a questa favolosa città e di come le questioni che la riguardano oggi fossero gia al cuore di una stagione di urbanistica progressista di cui Edoardo Salzano è stato, insieme ad altri, protagonista. Un collegamento con la storia dell’urbanistica Italiana importante che inevitabilmente sollecita urbanisti e urbaniste che erano presenti alla giornata di studio impegnati in vario modo e a vario titolo nel campo dell’urbanistica e della ricerca urbana.

Provo a rileggere le suggestioni e i molti temi emersi a partire da una chiave di lettura sulla quale sono impegnata da un po’. Io penso che a Venezia si sia parlato indirettamente del ruolo (e delle reponsabilità) dell’urbanistica e del governo urbano nei confronti di processi di esplusione urbana e di comportamenti predatori (quando non corrotti) di estrazione della rendita urbana. Intendo qui per rendita urbana sia la sua componenete materiale, la rendita immobliare urbana (si vedano Roberto Camagni e Walter Tocci su Eddyburg e i molti materiali della scuola di Eddyburg sulla rendita urbana disponibili sul sito), che la sua forma più effimera, simbolica, immateriale, legata a ciò che siamo disposti a pagare per godere di una esperienza urbana. Mentre la prima è fortemenete leggittimata da una cultura dello sviluppo che fa del territorio una moneta, di cui si è molto parlato sulle pagine di Eddyburg, la seconda è a mio parere più subdola ed è oggi fortemente legittimata dal discorso pubblico, da un insieme complesso di narrazioni, branding urbano e commercificazione (quando non reificazione) della vita urbana. Questa seconda forma di estrazione di valore dalla città è inoltre fortemente relazionata alla prima. Le prepara le premesse, costruisce un contesto favorevole agli investimenti, moralizza tutto ciò che non è conforme ad un apparato simbolico della classe media ( e delle elite urbane).

Per dirla in altri termini, perso che ciò di cui si è parlato, sebbene non si sia usato questo termine, abbia a che vedere con la gentrification nella sua forma più acuta e la rinuncia alla gestione delle esternalità negative che questo fenomeno comporta.
Per gentrification si intende una lenta e permanente esplusione degli abitanti di ceto popolare dalle aree urbane più centrali sostituiti da altri di ceto medio o da utilizzatori della città che però non vi risiedono stabilmente. Avviene in congiunzione con investimenti e politiche di sviluppo urbano più o meno esplicitamente orientate a questo fine. E’ dimostrato che con l’avanzare del tempo il fenomeno presta il fianco ad un comportamento predatorio e altamente speculativo di investimenti sempre più ingenti e che, di conseguenza, hanno aspettative di guadagno altrettanto ingenti, ai quale assistiamo inermi da diversi decenni. In Italia abbiamo inizialmente accolto il fenomeno positivamente perchè le sue fasi iniziali comportano investimenti nel patrimonio edilizio tutto sommato legittimi e perchè, ammettiamolo, siamo tutti parte della storia dell’evoluzione della città, siamo tutti un po’ ceto medio e siamo tutti più o meno corresponsabili di questo processo. Ci siamo così autoassolti, come urbanisti e come cittadini.

Nelle fasi più acute ed avanzate del fenomeno però, quelle di cui stiamo facendo diretta esperienza a suon di piani nazionali di alienazione del patrimonio e di un credo sconfinato nell’economia del simbolico che si nutre di città, il fenomeno è diventato più evidente fino a raggiungere l’opinione pubblica e ad essere finalmente percepito come un problema collettivo, quando non di vera e propria sopravvivenza delle communità urbane.

Oggi il fenomeno è oggetto di forte contestazione per esemio a Londra dove recentemente si è festeggiata la vittoria di una causa legale voluta dagli abitanti di Aylesbury Estate, un quartiere pubblico oggetto di un piano di rigenerazione (che prevede demolizione e ricostruzione) che ha comportato l’espulsione di centinaia di residenti.
Come effetto di questo evento, ma anche frutto di un inteso lavoro di ricercatori e attivisti, una interpretazione negativa del fenomeno di gentrification occupa quasi quotidianamanete le pagine del Guardian che ha dedicato una sessione plurilingue al tema “Cosa fa la tua città per contrasrare la Gentrification?”

La linea culturale anti-gentrification ha raggiunto anche il cuore dell’economia del simbolico, dell’esperenziale e della città creativa. Richard Florida accanito sostenitore della città creativa, bella, eccitante ma solo per chi se la può permettere che è stato interviatato ad un pubblico confronto con Loretta Lees, studiosa e promotrice di campagne anti-gentrification, a discutere del sul tema “Non sarà troppa questa gentrification per le nostre città? È governabile, si può fermare?”

Quello che è avvenuto a Venezia è in collegamento con tutto questo. E sebbene sia detto che la vita quotidiana a Venezia sia ormai irrimediabilmente compromessa, io penso che quella gironata ci ha fatto capire che, adifferenza di altri contesti, disponiamo di strumenti che ci permetterebbero di intervenire e di soggettività coscienti e movimenti sociali urbani che ce lo stanno chiedendo. Serve che l’opinione pubblica lo voglia davvero.

Abbiamo per il momento fatto un giro di boa. Abbiamo capito che, se non governato, il fenomeno assume proporzioni che ci sfuggono di mano, al punto di poter quasi ipotizzare che sia irreversibile. Il turismo di massa in aree fragili, come Venezia, è uno esempio ecclatante di cosa accade quando una città non è pensata per suoi cittadini ma per estrarre rendita dalla sua bellezza. Il grande assente di questa esperienza, i signori della lobby del turismo e i veneziani che operano nel settore, dovranno farsi protagonisti anch’essi di questo apprendimento collettivo. Senza un lavoro autoriflessivo sulle loro specifiche responsabilità ogni politica rischierà di essere un buco nell’acqua.

Oggi più che mai mi sembra che, come urbanisti e studiosi della questione urbana, dobbiamo essere più chiari, decisi e meno possibilisti nei confronti del fenomeno. L’urbanistica non può che essere una prassi anti-gentrification il che vuol dire una prassi di gestione della rendita.

La stagione progressista di governo della città di Venezia di cui Eddy e altri protagonisti tra i quali Vezio ci hanno parlato andava in questa direzione. Sena pretesa di asastività ecco cosa potrebbe fare l’urbanistica (con un set specifico di deleghe) oppure un buon sindaco capace di una visione olistica ed integrata del problema: si dovrebbe porre un freno ai cambi di destinazioni d’uso (per esempio da residenziale a turistico, o da residenziale ad uffici), tutelare il piccolo commercio di prossimità (artigiani locali e botteghe storiche) mediante l’intriduzione di codici etici che garantiscano la filiera di produzione delle merci; si dovrebbe poter disporre di strumenti negoziali per la riduzione/cancellazione di diritti edificatori assegnati in epoche di credo sconfinato nello sviluppismo edilizio in aree ad alta pressione speculativa (meno specifico per venezia ma cruciale per Roma e altre città), disegnare piani di sviluppo locale realmente partecipati che accolgano i termini del conflitto e le istanze espresse dalle soggettività attivamente impegnate in campagne anti-speculative; ipotizzare moratorie anti-sfratto per categorie vulnerabili ma anche in relazionate ai temi qui trattati che intervengano su centri storici e aree di ‘pregio’, vincolare spazi aperti, giardini, cortili e aree di archeologia industraile per il loro valore ambientale e assicurarsi che gli stessi possano ospitare usi conformi in primo luogo alle necessità delle popolazioni insediate, rimettere al centro del discorso urbanistico il tema della casa, anche e soprattutto in aree centrali e di pregio architettonico che devono poter essere accessibili anche ai ceti meno abbienti, gloccare i piani di vendita dell’edilidia residenzaile pubblica, riutilizzare il patrimonio disponibile per assorbire la domanda sociale di abitazioni e iscrivere questa pratica in una strutturale riforma della casa. Tutte cose che sappiamo fare e che spettano ad una nuova generazione di urbanisti, fortemente delegittimata e spesso e volentieri collusa con lo stato delle cose. Ci stiamo attrezzando e non possiamo che farlo a partire dalle esperienze di chi ci ha provato prima di noi. Per questo ti ringrazio per aver condiviso con generosità e memoria vivida di quegli anni, un esercizio tutt’altro che semplice.

Un itinerario attraverso la città e la laguna. Una serie di incontri con persone speciali. Riflessioni su Venezia emerse nell'iniziativa che la scuola di eddyburg ha organizzato il 15-16 settembre 2016. >>...

Una città un pianoL’iniziativa “una città un piano” quest’anno è stata dedicata a Venezia. Come sanno i lettori di eddyburg, le qualità della città lagunare riconosciute dal mondo intero sono state prodotte dal secolare rapporto, equilibrato e dinamico, tra la società e gli elementi fisici della città e della Laguna. Quell’equilibrio oggi appare compromesso. Venezia si è trasformata in un palcoscenico per il turismo di massa e in un terreno di caccia per gli interessi di pochi soggetti privilegiati, a scapito non soltanto della sua vivibilità e vitalità, ma persino della salvaguardia della Laguna. Per comprendere le poste in gioco, gli interessi dominanti e le possibilità alternative, abbiamo organizzato un itinerario attraverso la città e la Laguna, lungo il quale abbiamo conversato con alcuni esperti attorno all’origine dei mali attuali.

Venezia che vuole essere come le altre
Il nostro viaggio è cominciato, simbolicamente, sul piazzale della stazione ferroviaria. Le modificazioni che hanno interessato il sistema della mobilità esprimono bene le contraddizioni della condizione contemporanea di Venezia. Maria Rosa Vittadini, uno dei massimi esperti italiani di trasporti e di valutazione ambientale, le ha passate in rassegna per noi. Il suo racconto è iniziato dalla costruzione del ponte ferroviario nel 1846, un vero punto di svolta nella storia della città. Nei secoli precedenti, la prosperità degli abitanti era stata garantita dal rapporto intimo con l’ambiente lagunare, produttivo e protettivo al tempo stesso, e da una rete di rapporti con il mondo intero basata sul trasporto via mare. Agli inizi dell’ottocento, il declino economico e politico della città ha portato a ritenere necessario un collegamento stabile e veloce verso la terraferma. Da allora in poi, l’insularità di Venezia è stata avvertita come un problema da superare - letteralmente e simbolicamente - con ogni mezzo: collegamenti stradali, metropolitane e tranvie, in superficie, sopraelevati e nel sottosuolo. Per tutto il novecento si è perseguita l’omologazione alle altre città: un paradosso culturale che ha interessato tutti i settori della vita economica e sociale. Ed è proprio in questa tensione irrisolta fra conservazione della propria identità e ricerca del benessere che possiamo individuare la radice profonda delle contraddizioni attuali.

Il peso degli interessi piega le decisioni pubbliche
La seconda tappa del nostro viaggio è stata all’Istituto veneziano per la storia della resistenza, dove abbiamo incontrato Lidia Fersuoch, presidente della sezione cittadina di Italia Nostra ed esperta della storia urbana. Grazie a Lidia abbiamo potuto capire quanto gli interessi, parziali e contingenti, dei gruppi dominanti in città si siano posti in contrasto con il carattere dei luoghi. Un atteggiamento irresponsabile che riguarda tanto il settore privato, quanto quello pubblico.
L’esempio più clamoroso riguarda certamente il MOSE. Nel 1973, la salvaguardia di Venezia è stata dichiarata problema di preminente interesse nazionale, a cui devono provvedere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, Stato, Regione ed enti locali. La traduzione di questo impegno, con poche eccezioni, non è avvenuta con il rispettoso presidio dell’equilibrio sospeso fra terra e acqua che era stato garantito nel passato. Al contrario, contro ogni evidenza e a dispetto dei pareri degli esperti, le decisioni pubbliche sono state piegate alle convenienze di un sistema di potere, radicato a scala locale e spalleggiato a Roma. Per l’impatto prodotto, l’entità del denaro pubblico investito e il livello di malaffare, il MOSE ha pochi paragoni anche a livello nazionale. Tuttavia, lo stesso tipo di piegatura delle decisioni pubbliche a favore degli interessi privati si rintraccia anche in molti interventi di trasformazione urbana della città degli ultimi vent’anni. Sotto questo aspetto, Venezia si è effettivamente omologata ad altre città e si è lasciata avvolgere in una ragnatela di interessi consociativi la cui composizione, schiacciata su convenienze contingenti, non ha prodotto benefici pubblici significativi e duraturi e, non di rado, ha concorso ad aggravare i problemi esistenti.

Venezia inaccessibile
La terza conversazione, con Anna Renzini, ha riguardato il problema dell’abitare. Da oltre quarant'anni le statistiche certificano il declino demografico della città storica e la crescente pressione del turismo di massa. Il tracollo di Venezia, per emorragia di abitanti e asfissia turistica, dovrebbe spingere le istituzioni - locali e nazionali - a intervenire per correggere le distorsioni prodotte dalle rendite del settore immobiliare e dalla colonizzazione turistica di ogni spazio disponibile. Le cose sono andate e vanno tuttora in modo diametralmente opposto. Anna Renzini, per anni impegnata negli uffici comunali che si occupano della casa, è stata testimone diretta della progressiva scomparsa delle politiche abitative dall’agenda comunale e della sostanziale accondiscendenza verso ogni forma possibile di sfruttamento turistico. L’esaurimento delle politiche pubbliche merita una sottolineatura: il peso delle rendite immobiliari e delle pressioni economiche fa sì che le condizioni di partenza siano determinanti per il destino delle persone. In assenza di un’azione pubblica incisiva, chi non dispone già di spazi e risorse proprie non è in grado né di trovare casa, né di avviare o mantenere un’attività produttiva. Di conseguenza, non soltanto si riduce il numero di persone stabilmente insediate nella città storica, ma cambia anche il profilo sociale ed economico. Si tratta di un ulteriore evidente paradosso: la perdita dell’insularità ha determinato il progressivo isolamento del centro, oggi inaccessibile per larghe fasce di popolazione a cui, di fatto, è impedito di costruire a Venezia il proprio percorso di vita, lavorativa e familiare.

Reattivi contro il declino.
La giornata si sarebbe dovuta concludere con una visita a Poveglia. Attorno al destino dell’isola si è formata un’associazione di cittadini, determinati a contrastarne la privatizzazione e trasformazione turistica e a promuoverne forme di utilizzo più attente ai caratteri dei luoghi e più aperte alla fruizione collettiva. Ne avremmo voluto parlare durante il viaggio, sulle barche a remi recuperate dall’Associazione il Caicio, formata da un un gruppo di giovani appassionati della marineria veneziana, che da alcuni anni è impegnato nel restauro e riutilizzo di imbarcazioni tradizionali. Il cattivo tempo ha impedito il viaggio, ma non la possibilità di incontrare i giovani attivisti del Caicio e del movimento “Poveglia per tutti”. Francesco, Giancarlo e Patrizia hanno indicato, con chiarezza, che è possibile tracciare una rotta differente e dimostrato, con la loro determinazione, che è possibile perseguire un progetto di futuro legato al ripristino del rapporto tra comunità e territorio e a nuovi modi di produzione attenti al valore d’uso. Potranno le loro iniziative essere sostenute e accompagnate da un’intelligente azione pubblica? Ne abbiamo discusso, pubblicamente, il giorno seguente, con Eddy Salzano, nella meravigliosa aula magna del Liceo artistico Guggenheim.



Eddy racconta
Edoardo Salzano ha aperto il suo racconto-intervista soffermandosi su quello che ha imparato di Venezia e della Laguna per poi riportarci alla stagione amministrativa 1975-1985, durante la quale è stato prima consigliere comunale e poi assessore all’urbanistica. Chiave di volta di quella stagione è stato il piano regolatore della città storica. Uno strumento che conteneva al suo interno sia le regole fondamentali, valide a tempo indeterminato e desunte da un approfondito e rigoroso apparato di conoscenze, sia le scelte programmatiche, che l’amministrazione comunale di allora aveva formulato tenendo conto delle condizioni sociali, delle possibilità economiche, degli indirizzi politici e delle disponibilità degli operatori. E insieme al piano regolatore vale la pena di ricordare il piano comprensoriale di Venezia e della Laguna (di cui Vezio De Lucia ha ricordato i contenuti essenziali e le ragioni della mancata approvazione), il piano-programma della giunta comunale, gli indirizzi per il recupero delle isole minori, di cui riportiamo nel sito alcuni stralci significativi. Un quadro coerente di strumenti finalizzati a promuovere una sintesi tra salvaguardia ambientale e storica e sviluppo sociale ed economico.

Una nuova azione pubblica
Recuperare la conoscenza di quella stagione e di quei piani non è un esercizio di memoria fine a se stesso. Gli interventi che si sono succeduti nel dibattito conclusivo moderato da Silvio Testa hanno certificato, una volta in più, che non abbiamo bisogno di un nostalgico e indulgente sguardo verso il passato, ma di riannodare alcuni fili inopinatamente spezzati. Dalle parole di Salzano e De Lucia, così come dagli interventi delle persone oggi impegnate in movimenti e associazioni civiche, emerge la possibilità di un passaggio di testimone tra i protagonisti della più importante stagione riformista passata e una nuova generazione di cittadini, consapevoli della storia della loro città e appassionatamente interessati al suo futuro.
Si tratta ora di recuperare un rapporto proficuo tra le istituzioni e le forze sociali ed economiche più attive e dinamiche. Sapranno le prime aprirsi e compiere un passo in questa direzione? O spetterà alle seconde riappropriarsi della cosa pubblica, per rianimarla e restituirla alla sua primaria funzione? Seguiteci su eddyburg se, come noi, pensate che gli sviluppi futuri di queste vicende non riguardino solo Venezia e i suoi abitanti.




Il piano-programma del Comune di Venezia è stato ideato e fortemente voluto dall'allora sindaco Gianni Pellicani per definire un insieme coerente di interventi della civica amministrazione, desumendoli dalle esigenze di cambiamento espresse dalla popolazione e dalle aggregazioni sociali, economiche e culturali, e dalle proposte e ipotesi di azione delle forze politiche.

Si tratta di un corposo e dettagliato documento, composto da 400 pagine nella versione pubblicata a stampa, che contiene indicazioni su tutti gli aspetti cruciali per il futuro della città storica e della Laguna, tra i quali:
- il riequilibrio del bacino lagunare, il rilancio dei suoi usi produttivi e la tutela fisica degli insediamenti;
- il riuso della città storica;
- una diversa mobilità;
- il turismo.
Come ha osservato Luigi Scano in un suo ricordo di Pellicani, lo scopo essenziale del piano-programma era "quello di dare coerenza sistemica, e generale rispondenza a talune prescelte finalità, a tutte le attività, le azioni, gli interventi di realisticamente prevedibile concretizzazione nell’arco temporale del mandato amministrativo comunale, al contempo valutandone la fattibilità in relazione ai previsti flussi finanziari del comune, e in genere alle risorse credibilmente mobilitabili. Suppongo che oggi, per essere adeguatamente trendy, li si chiamerebbe “piani strategici”: ma non sono sicuro che i loro contenuti sarebbero altrettanto risolutamente fatti discendere dall’assunzione di precisi, e anche tra loro gerarchizzati, interessi collettivi."

Riportiamo qui di seguito il testo del capitolo dedicato al turismo. La distanza con l'attuale lassaiz-faire che tanto giova alle rendite di ogni tipo e agli interessi di pochi soggetti privilegiati, non potrebbe essere maggiore (m.b.).

1.4 Il turismo

1.4.0 Le scelte strategiche

L'importanza del settore turistico per Venezia è connessa sia, com'è ovvio, all'eccezionalità ambientale e monumentale della laguna e della città storica, sia al complessivo processo di terziarizzazione delle economie industriali, e degli insediamenti urbani in particolare.
La centralità di queste tematiche ne ha già fatto oggetto di accurate indagini promosse dalla Amministrazione Comunale, nonché di analisi e prescrizioni in sede di pianificazione comprensoriale.

Le fondamentali risultanze di tali indagini possono essere schematicamente riassunte nel modo seguente:
- il ristagno dell'offerta ricettiva nella città storica ed il suo slittamento verso le categorie più alte, selezionando la domanda in base al reddito, ha concorso a variare, all'interno di un universo in espansione, i pesi relativi del turismo "stanziale" e di quello "giornaliero" a favore di quest'ultimo;
- il turismo "giornaliero", proprio per le sue caratteristiche ineliminabili, è il massimo responsabile della concentrazione dei flussi nell'anno e nella giornata, e quindi degli effetti di congestione, delle trasformazioni delle strutture di ristoro e commerciali della città storica, e dello scadimento di livello, con aggravio di costi, dei servizi pubblici di trasporto (e dunque, complessivamente, della "qualità della vita" urbana), con effetti negativi, inoltre, sulle altre attività allocate ed allocabili nella città storica ed infine con effetti di ricaduta negati va su altri segmenti della stessa domanda turistica;
- il turismo "gionaliero" risponde massimamente ai connotati del turismo "consumistico-stereopatico" (il turista che pernotta visita, infatti, più del "giornaliero", rivolgendosi più o meno largamente ai diversi elementi della gamma delle "risorse turistiche": monumenti, anche fuori dagli "itinerari obbligati", mostre, musei, beni ambientali, …);
- gli almeno annualmente 150-200 miliardi di valore dalle attività turistiche aggiunto assicurati svolte nella città storica si distribuiscono tra poco meno di 10.000 addetti (in tutto, nella città storica, gli addetti al turismo arrivano nei mesi di punta a poco meno di 15.000), pari al 18% degli occupati nella città storica, mentre i costi che il turismo impone a Venezia, solo in parte monetari, si ripartiscono su tutta la collettività.

In conclusione si può tranquillamente asserire che i flussi turistici "giornalieri" producono per la città nel suo complesso vari e rilevanti effetti negativi a fronte di nulli o scarsissimi benefici apportati, comunque a ridotte categorie di cittadini, e che, se in genere il "consumo turistico" può essere considerato "non essenziale", quello praticato in Venezia dalla stragrande parte dei turisti "giornalieri" può anche essere considerato poco "specificatamente motivato", talchè (per il complesso delle ragioni ricordate) potrebbe apparire largamente legittimo agire per una consistente riduzione di tali flussi.

Ma non si può dimenticare come il fenomeno del turismo "giornaliero" sia, almeno in parte,"coatto", cioè determinato dalle caratteristiche dell'offerta ricettiva, che si nega ad ampie fasce di domanda (in genere percettori di redditi bassi e medio-bassi, e quindi diversi ceti sociali, giovani, larga parte degli anziani, etc…).

Proprio su questa contraddizione pare quindi opportuno far nell'immediato, e nel breve-medio periodo, attraverso proposte volte a "fissare", per così dire, una quota dei flussi turistici consentendone la trasformazione in turisti "pernottanti”

Tali politiche possono essere, in prima approssimazione, identificate nelle seguenti:
- l'individuazione di spazi e contenitori atti a consentire l'ampliamento quantitativo della ricettività nella città storica e nelle isole (si veda anche il successivo capitolo 2.), convenzionando con gli operatori tali ampliamenti al fine di garantire una permanente accettabilità da parte dei diversi segmenti della domanda esclusi nella situazione presente;
- lo stimolo alla riconversione di parte delle strutture ricettive esistenti, anche e soprattutto nella terraferma comunale, verso le "forme innovative" di organizzazione della ricettività, largamente sperimentate e presenti all'estero ed anche in altre località nel nostro Paese;
- la promozione, fortemente programmata e coordinata, quando non direttamente gestita, dal potere pubblico, della più vasta gamma delle "risorse turistiche" dell'area veneziana, e delle diverse "occasioni", in modo "mirato" verso i diversi (per reddito, età, motivazioni, circostanze di arrivo e/o accesso, ecc.) segmenti della domanda turistica, in atto e potenziale, sempre con lo scopo primario predetto di "fissare"i flussi turistici, e comunque con quello di evitare la congestione in specifici periodi dell'anno e/o in specifiche ore della giornata e/o specifiche zone;
- lo sviluppo e l'accentuazione delle iniziative volte ad ampliare a tutto l'anno l'arco temporale di fruizione delle risorse turistiche dell'area, contraendo le presenze dei periodi di "punta" ed aumentando quelle dei periodi di "morbida";
- il mantenimento e/o la messa in opera di vincoli e di incentivi, anche indiretti, volti a scoraggiare la banalizzazione/dequalificazione delle strutture di ristorazione e commerciali.

Non occorre sottolineare che il complesso di provvedimenti da porre comunque e immediatamente in essere è quello volto a divertere drasticamente i flussi turistici dai percorsi deputati a sostenere i flussi pendolari, ed in genere derivanti da motivi di lavoro e di studio, su cui ci si sofferma particolarmente nel seguente capitolo 6.

L' attuazione delle politiche dianzi accennate consentirebbe in ogni caso di avviare, in periodo successivo (e quindi evitando che esse comportino automatica esclusione, senza alternative possibili, dei segmenti della domanda potenziale meno dotati economicamente, dalla fruizione di Venezia) azioni di abbattimento dell'entità del turismo "giornaliero", sia in termini di politiche dei prezzi (alti nei periodi di "punta", incentivanti nei periodi di "morbida"), che in termini di scoraggiamento o di limitazione dell'accesso.

1.4.1 Le iniziative di medio periodo

Enunciate come sopra le scelte generali e le prospetti ve complessive di azione, è ora possibile indicare le iniziative che il Comune intende attuare nel periodo 1982-85, per realizzare le politiche di breve-medio periodo.

Va precisato che le premesse sulle quali si basa tale indicazione di iniziative sono le seguenti:
a) affermazione del ruolo dell'ente locale di programmazione e di coordinamento delle risorse turistiche, favorendo una rapida attuazione dell'organizzazione sub-regionale per il turismo, con la definizione delle deleghe dei poteri agli enti locali stessi;
b) visione del settore non come somma di singoli "segmenti" autarchici, bensì come "sistema" integrato e coordinato nel quale. ogni mutamento settoriale rimbalza i suoi effetti in altri settori e/o in tutto il sistema;
c) volontà di intervento di riequilibrio sui meccanismi dì socializzazione dei costi (economici e sociali) e privatizzazione dei profitti;
d) ricerca di ogni possibile occasione di accordo e coordinamento con gli operatori del settore, pubblici e privati, sulle iniziatìve da intraprendere;
e) ruolo dell'Assessorato al Turismo di coordinamento delle diverse competenze presenti nell'Amministrazione Comunale inerenti direttamente e/o indirettamente al turismo per una proficua azione di programmazione del settore.

In quest'ottica si ribadisce la volontà e l'urgenza di realizzare la Conferenza Comunale sul Turismo quale vera conferenza di settore, dalla quale emerga, in primo luogo una sintesi di indirizzi e proposte programmatiche per il turismo veneziano che tenga conto della programmazione regionale e comprensoriale, delle esigenze degli operatori e delle organizzazioni sindacali, delle proposte dei Consigli di Quartiere, in secondo luogo per andare soprattutto ad una verifica della linea politica portata avanti in questi anni dall'Amministrazione Comunale e ad una definizione del ruolo e delle competenze dell'ente locale nella promozione programmata e coordinata della più vasta gamma di risorse turistiche.

E peraltro da un lato tale Conferenza va richiamata a confrontrarsi (per verificarle , ma soprattutto per specificarle) con le scelte strategiche, rispondenti anche a più generali obiettivi d'assetto e d'uso del territorio, prima enunciate, dall'altro occorre che, nei tempi di elaborazione, prima, durante e dopo la Conferenza, di un programma di ampio respiro ed elevata ricchezza di contenuti, soprattutto perché coinvolgente tutte le componenti del settore, non si rimanga inoperosi. In tale ultimo senso vanno le indicazioni di iniziative appresso esposte.

Come si è precedentemente affermato, una essenziale iniziativa volta sia a ridurre i conflitti turismo-citta, che a promuovere diverse modalità di fruizione delle "risorse turistiche" dell'area veneziana, sarà la realizzazione di un diverso sistema di collegamenti e di percorsi, nei termini e nei tempi indicati dal successi vo capitolo 6, a cui pertanto si fa rinvio.

Le politiche per un ampliamento delle capacità ricettive rivoI to ai segmenti della domanda esclusi nell' attuale situazione della struttura dell'offerta si sostanzieranno, nel periodo 1982-85:
- in interventi modificativi della presente offerta campeggistica;
- nella promozione di nuove strutture ricettive, convenzionalmente vincolate a requisiti qualitativi tali da rapportarsi ai voluti segmenti dell'utenza, in "isole minori" della laguna, nell'area dello Stucky ed in località della terraferma e del litorale.

Il campeggio a Venezia oggi significa, quasi esclusivamente, penisola del Cavallino, con le note caratteristiche che in questa zona ha assunto e che alla zona stessa ha fatto assumere. D'altro canto la variante al P.R.G. per il Cavallino, e la legge regionale 56/1979 di regolamentazione dei campeggi, impongono dei mutamenti e delle variazioni tali da rischiare di sconvolgere l'economia della zona. Alcune iniziative si possono assumere per prevenire effetti negativi:
a) spostamento dei campeggi più verso l'interno rispetto al litorale e secondo la nuova normativa regionale, in modo da salvaguardare la pineta dalla distruzione del sottobosco, essenziale alla vita della pineta stessa;
b) utilizzazione a campeggio di aree prossime al canale Pordelio. verso Treporti, per un soggiorno extralberghiero legato alla laguna nord e alle sue isole, alle valli e alle attività di tempo libero che tali zone consentono, oltre che alla bellezza paesaggistica che le caratterizza; lo stesso canale Pordelio può essere una via d'acqua attrezzata per piccole imbarcazioni, e di collegamento tra laguna e campeggi;
c) utilizzazione per campeggio sociale, nel rispetto della normativa relativa a tale forma turistica extra-alberghiera, di aree a Punta Sabbioni, a Ca' Ballarin ed a Ca' Savio.

Parimenti ai fini di realizzazione di campeggi sociali si intende individuare idonee aree al Lido (una in zona S. Nicolò ed una in zona Malamocco-Alberoni) e nell'isola di Pellestrina, in prossimità alle aree di interesse naturalistico ed ambientale di Ca' Roman.

I campeggi assumono rilievo anche come offerta di residenza extra-alberghiera ai turisti giovani ed a basso-medio reddito che hanno come scopo turistico la visita a Venezia. Opportunità positive in questo senso possono essere date anche dalla terraferma, ed in quest'ottica si indica la necessità di reperire un'area vicina a Tessera, da adibire a campeggi. Collocata di fronte alla laguna, con alle spalle vie di comunicazione comode ed importanti, servita da mezzi via terra e via acqua da e per Venezia, una tale zona soddisferebbe certamente un segmento della domanda turistica. Parimenti, mediante un intervento congiunto dei Comuni della Riviera del Brenta, si propone di individuare un'area nei pressi del Brenta dove alcuni campeggi, oltre a soddisfare una domanda presente, possano contribuire alla rivalutazione turistica della zona.

Per quel che riguarda la promozione di strutture ricettive in "isole minori" si fa integrale rinvio a quanto in proposito esposto al successivo capitolo 2 ed in particolare al progetto 2.7. del presente "Piano Programma".

Quanto alla promozione di una gamma di "risorse turistiche" ben più vasta di quella stereotipatamente fruita nella situazione presente, occorre precisare che il problema si pone in maniera diversa a seconda che si tratti della città storica o di altre parti del territorio comunale.

Nel primo caso si tratta di svolgere un' azione promozionale ed informativa per riuscire a rompere gli schemi consueti della visita alla città, incentrati su alcuni (pochi) punti tradizionali. Ciò può essere ottenuto proponendo "percorsi" turistici per zone e temi turistico-culturali-monumentali-ambientali, tali da valorizzare tutte le zone, mettendone in luce le caratteristiche. Non quindi degli itinerari di viabilità, che alla fine conducono tutti a piazza S. Marco o Rialto, ma promozione, da un lato, di zone o "pezzi" della città storica con una propria validità turistica, e, dall'altro lato, di percorsi tematizzati su specifici aspetti, su "fili conduttori", che, se seguiti/guidino il turista a scoprire tutto ciò che Venezia offre ad uno specifico interesse o curiosità turistica e culturale.

Nel secondo caso invece l'azione promozionale si rivolge a zone che o non sono conosciute o non lo sono abbastanza. Ciò vale non soltanto per le "isole minori" e per il sistema lagunare nel suo insieme ma anche per zone come il Cavallino e l'estuario Nord, Lido, S. Pietro in Volta, Pellestrina, Chioggia, zone della terraferma lungo il Brenta e lungo la "li toranea veneta", ecc. Per quel che riguarda le "isole minori" e le aree lagunari e di gronda, sulle quali nel breve periodo pare opportuno concentrare gli sforzi, si fa ancora una volta integrale rinvio a quanto esposto al successivo capitolo 2. Richiamando, peraltro, in questa sede, lo stretto intreccio tra le indicazioni i vi formulate e la tematica della nautica da diporto e dei segmenti di domanda turistica a questa collegati.

A quest'ultimo proposito, e senza nulla togliere alle previsioni di realizzazioni connesse a tale attività formulate per le "isole minori", si sottolinea la volontà di promuovere sia l' ampliamento del diporto velico di S. Elena che la sistemazione delle strutture nautiche di S. Giuliano, che, soprattutto, il raggiungimento delle opportune intese con il Demanio dello Stato per la realizzazione nell'ex-Idroscalo di una grande marina, volta sopra! tutto alla nautica diportistica a motore e "fronte mare". E vanno altresì rammentate le forti e positive interazioni che potrebbero svilupparsi tra una adeguata e rinnovata offerta di attrezzature per il diporto nautico ed il rilancio della cantieristica minore (di produzione e manutenzione) legato a sua volta ad attività espositive (sia di tipo storico-documentale che della nuova produzione) che potrebbero darsi in parte delle aree, degli specchi d'acqua e dei volumi cell'Arsenale.

Quanto all’ampliamento all’intero anno del periodo di fruizione delle risorse turistiche veneziane, obiettivo al quale molte delle iniziative finora indicate sono certamente funzionali, si ritiene in particolare che, all’interno di un più preciso ed accentuato coordinamento dei tutte le “manifestazioni” 8nell’accezione più lata del termine) che vengono promosse nell’area ed in particolare nella città storica, occorra provvedere a spostare decisamente il baricentro di tali “manifestazioni” dalla “stagione alta” alla “bassa stagione”, provvedendo altresì, nei limiti massimi compatibili con l’opportunità di non perdere gli “effetti sinergici” propri di talune di esse, ad una distribuzione sull’intero anno che non dia luogo ad eccessivi fenomeni di “punta” e di “morbida”.

In tale contesto, ed in evidente relazione con un ampliamento destagionalizzato della gamma delle "occasioni" per il turismo "pernottante", si pone la necessità di accelerare la realizzazione del "Palazzo dei Congressi” già previsto nel complesso dell'area Stucky, nonchè di coordinare con tale nuova struttura la rete dell’offerta di minori attrezzature congressuali esistente o prevedibi1e.

Per quel che riguarda le politiche volte ad impedire e/o disincentivare la dequalificazione delle strutture commerciali e di ristorazione, esse sono largamente demandate, da un lato, all'incisività della pianificazione commerciale comunale, dall'altro alla stessa trasformazione della domanda turistica e delle conseguenti esigenze che essa esprime.

E' possibile peraltro che il Comune si faccia protagonista di iniziative "in positivo" volte a:

- incentivare la conservazione e/o il ripristino di punti di vendita e di ristorazione presentanti buoni valori "qualitativi" (il chè non significa affatto, necessariamente, "costosi");
- far crescere, in parallelo con l'ampliamento/trasformazione delle strutture dell' offerta ricetti va, favorendo la saldatura tra i soggetti attuatori delle diverse iniziative (anche con convenzionamenti reciproci) un'adeguata azione informati va, un' offerta di prodotti e di ristorazione "intelligente", a prezzi accessibili ai diversi segmenti della domanda.

Indicate queste prospettive, è peraltro doveroso riconoscere la necessità immediata di attivare strutture di ristorazione rapportate all'attuale tipologia turistica, calibrate in modo da:
- non indurre ulteriori processi di trasformazione/dequalificazione dei presenti punti di ristorazione recuperabili alla diversa prospettiva predetta;
- ridurre anche questo aspetto del conflitto turismo-città (ed anche turismo "stanziale-motivato"-turismo "giornaliero-stereotipato”), di cui l'aggravio di lavoro per la nettezza urbana e la trasformazione di punti della città storica in luoghi per pic-nic è sol tanto la faccia più appariscente ed emblematica.

Per la più puntuale trattazione delle iniziative soprammenzionate si rinvia al paragrafo 1.5. di questo stesso capitolo. Nell’ambito delle azioni di "informazione", e nell'immediato, il Comune intende sviluppare le prime positive esperienze fatte, che suggeriscono:
a) la diffusione, nei luoghi (italiani ed esteri) di origine dei movimenti turistici di materiali illustrativi sµi modi di arrivare a Venezia, dalle diverse direttrici, utilizzando il sistema del terminal e, da questi, il sistema dei trasporti terraferma_città storica e viceversa
b) di potenziare e migliorare l'informazione su tutti i servizi di pubblica utilità (pubblici e privati) di cui si può disporre in città, guidando il turista nella ricerca e nell'uso di detti servizi, compresi i trasporti pubblici di navigazione, incentivando, per questi, un uso che riduca il più possibile i fenomeni degli intasamenti e delle lunghe attese;
c) un' informazione nuova sugli itinerari turistici con la rivalutazione di quelle zone della città storica che, erronea_ mente, vengono oggi considerate di minore rilevanza e interesse turistico;
d) un'intervento promozionale più attento, legato ai periodi stagionali e teso a favorire sempre più la trasformazione del turismo prevalentemente "di alta stagione", in turismo distribuito durante tutto l'arco dell'anno, collaborando a tal fine Con gli operatori turistici e gli enti del settore;
e) l 'urgenza a riorganizzare il servizio di informazione turistica su scala più ampia, coinvolgendo e coordinando tutti gli operatori pubblici e privati, per consentire una maggior capillarità nei punti di accesso alla città storica da ogni direzione, e nei punti della città storica di maggior afflusso.

Va sottolineato che, per la gestione di un servizio cosi concepito, accanto alle forme di coordinamento dette, è utile provvedere ad un inserimento nel personale comunale di figure professionali adeguate.

Invito alle isole, predisposto dalla giunta Rigo-Pellicani per indirizzare il recupero e riutilizzo delle isole minori, in modo rispettoso con i loro caratteri naturali e storici e coerente con le finalità sociali che si intendevano perseguire per la città storica.

Il 14 aprile 1981, la Giunta Municipale di Venezia approva un documento di indirizzi riguardante gli interventi e le possibili utilizzazioni delle cosiddette isole minori. Si tratta di un gruppo di 34 isole nelle quali non sorgono centri stabilmente abitati. La maggior parte di esse, comprese quelle che ospitano costruzioni consistenti, alla fine degli anni settanta risultano abbandonate o fortemente sottoutilizzate. Alcune isole sono di proprietà comunale, altre demaniali, altre ancora di proprietà privata. Appare chiara la necessità di coinvolgere una pluralità di soggetti e di operatori, pubblici e privati.


A questo scopo, gli indirizzi espressi con un atto formale del Comune contengono sia le direttive per la pianificazione generale, sia i criteri di valutazione e scelta per gli interventi e le utilizzazioni che possono essere poste in essere nell’immediato (usi transitori, progetti e proposte).

Ricordiamo alcuni tratti salienti. Per le isole prossime alla città, le funzioni sono primariamente di studio e ricerca (per valorizzare la dimensione culturale e l’apertura internazionale della città), legate alle attività produttive, nel settore primario e secondario, ad alto livello tecnologico (per valorizzare una dimensione produttiva necessaria per conferire a Venezia l’attributo di città, e per rafforzare il legame con l’acqua e la laguna), residenze turistiche ad ampia rotazione d’uso, in modo da garantire una utilizzazione prolungata nel tempo e di carattere sociale.
Per le isole più lontane, si ipotizzano utilizzazioni legate alla fruizione della laguna (diporto, escursionismo, rimessaggio), al settore primario, alla nautica velica, integrate con forme di residenza temporanea e turismo stanziale.

Deve essere sottolineato il corretto rapporto tra pubblico e privato che viene perseguito attraverso questo documento che, non per caso si intitola "Invito alle isole". L'invito è sì rivolto agli operatori (ai proprietari e ai soggetti economici), ma è finalizzato a catalizzare le risorse e i saperi attorno ad un progetto complessivo di rilevante interesse pubblico, che non perde mai di vista né le finalità sociali che possono essere conseguite dal riutilizzo dei beni, né l'attenzione verso i caratteri naturali e storici che devono essere attentamente compresi e rispettati.

Il percorso compiuto negli ultimi anni non può essere più distante da quanto allora ipotizzato: le isole sono messe all'asta, il criterio economico è l'unico metro di valutazione, nessuna direttiva è impartita ai soggetti che intervengono, le finalità sociali eluse. Come ci ricordano gli attivisti veneziani di Poveglia per tutti, i pochi investimenti pubblici sono - di fatto - serviti solo per costituire le premesse per la successiva valorizzazione immobiliare. E dove quest'ultima non trova le proprie convenienze, prosegue inesorabile il processo di abbandono e anche i nuovi interventi sono destinati ad un rapido degrado.

Tutto sarebbe diverso se le istituzioni che hanno competenzepatrimoniali e finanziarie avessero collaborato per rendere fruibili le isoleminori ai Veneziani e ai cittadini italiani e stranieri in forme compatibilicon la salvaguardia e il rispetto dei luoghi. Nonostante tutto, ancora oggi – almeno per un gruppo di isole – si potrebbe procedere sulla strada immaginata quarant’anni fa, attraverso il coinvolgimento diretto della parte di cittadinanza più attiva per il riutilizzo in chiave sociale dei beni comuni. Questa è la posta in gioco della battaglia che stanno conducendo gli attivisti di Poveglia per tutti, come loro - meglio di tutti noi - sanno bene.
Comune di Venezia
INVITO ALLE ISOLE
Indirizzi per la definizione degli interventi

0. Premessa
Il documento programmatico della maggioranza (agosto 1980, par. 3.4.2) fornisce le seguenti indicazioni:
"Particolare attenzione e impegno si porrà alla definizione della utilizzazione delle isole minori. La pianificazione complessiva di queste avverrà nel quadro della formazione dei nuovi strumenti urbanistici, ma si delineeranno subito gli indirizzi in base ai quali affrontare alcune questioni più urgenti (Sacca Sessola, S. Clemente ecc.). Le destinazioni d'uso saranno prevalentemente quelle produttive, per quanto compatibili con l'ambiente, e quelle legate al tempo libero, al turismo organizzato, alla cultura; l'utilizzazione sarà in regime pubblicistico o in regime convenzionato».
Il presente documento, approvato dalla Giunta Municipale nella seduta del 14 aprile 1981, contiene appunto «gli indirizzi in base ai quali affrontare alcune questioni più urgenti».
La logica complessiva di tali indirizzi può essere sintetizzata come segue.

La definizione complessiva della modalità d'uso delle varie parti della laguna (e quindi delle cosiddette isole minori) avverrà nel quadro della pianificazione in atto. Si possono peraltro definire fin d'ora alcuni interventi necessari e possibili nell'immediato, non contradditori con la pianificazione in corso. Accanto a questi, si può individuare un metodo che consenta di dare alcune prime risposte a problemi che troveranno una più compiuta definizione nei nuovi strumenti urbanistici.

1. Interventi necessari e possibili nell'immediato
Sono necessari, e anzi spesso inderogabili e urgenti, tutti gli interventi Jelativi alla salvaguardia fisica delle isole, sia dal punto di vista della {.manutenzione delle difese idrauliche 'sponde, argini, ecc.), sia da quello della ricostituzione delle colture agricole e forestali, sia infine dal punto 'i vista della manutenzione delle strutture edilizie.

Gli interventi suddetti possono essere compiuti:
a) dai proprietari delle isole (Comune, Demanio, privati);
b) dai concessionari.
Si propone di individuare subito per quali isole può essere assentita la concessione, e per queste di subordinare la concessione stessa anche alla realizzazione delle opere manutentorie, su progetti controllati dagli enti competenti (Comune, Soprintendenza, Magistrato alle Acque, Genio Civile OO.MM.). Per le altre, il Comune promuoverà la formazione di un programma di opere di salvaguardia fisica, concordandone l'attuazione con i proprietari e studiando i modi d'intervento legittimamente operabili in caso di inerzia dei proprietari. Saranno assentite, e anzi stimolate e promosse, tutte le richieste di concessione delle isole prive di costruzioni, o nelle quali le costruzioni hanno un valore accessorio rispetto alle utilizzazioni produttive del suolo, e per le quali la concessione sia volta all'utilizzazione agricola e forestale.

Particolare cura sarà posta nella individuazione delle colture omogenee all'habitat lagunare.

Per le isole nelle quali le costruzioni sono invece di consistente entità, il ragionamento è più complesso, e implica un ragionamento di carattere urbanistico, che consenta di individuare le modalità mediante le quali si può pervenire a una prima definizione delle utilizzazioni ammissibili perché non contradditorie con la pianificazione più complessiva.

2. Una prima classificazione delle isole in relazione alla loro utilizzabilità
Una classificazione delle isole finalizzata alla loro utilizzazione deve tener conto dei seguenti parametri:
A) GLI ELEMENTI FISICI E LE CARATTERISTICHE DELL 'INSEDIAMENTO. Da questo punto di vista le isole possono essere classificate come segue:
a 1) isole prive di costruzioni, o nelle quali le costruzioni hanno un valore accessorio;
a2) isole nelle quali le costruzioni prevalenti appartengono a tipologie specialistiche (conventi, ospedali, forti, ecc.) per le quali è possibile configurare una pluralità di destinazioni d'uso compatibili con il tipo originario; a3) isole per le quali le costruzioni precedenti appartengono a tipologie residenziali (le isole di questo tipo sono prevalentemente già pianificate: Lido, Pellestrina, Murano, Burano, Vignole, S. Erasmo).

B) LA LOCALIZZAZIONE IN RELAZIONE ALL'ACCESSIBILITA Da questo punto di vista le isole possono essere classificate come segue:
b 1) isole collocate lungo percorsi che consentono una accessibilità con buoni livelli di servizio dal centro storico, in relazione a un servizio di trasporti pubblici non diseconomico;
b2) isole collocate lungo possibili percorsi di penetrazione in laguna dal sistema dei terminals;
b3) isole la cui accessibilità difficilmente ed eccezionalmente potrà essere garantita da un sistema di trasporti pubblici.

C) L'ATTUALE PROPRIETA E USO. Sotto questo profilo le isole possono essere così classificate:
c1) isole già convenientemente utilizzate dai proprietari e/o concessionari;
c2) isole non utilizzate o sottoutilizzate, di proprietà comunale o simile;
c3) isole non utilizzate o sotto utilizzate, di proprietà demaniale;
c4) isole non utilizzate o sotto utilizzate, di proprietà privata.
Per la classificazione delle isole secondo i tre parametri suddetti si veda l'allegato B.

3. Criteri per la definizione delle destinazioni d'uso
3.0. Il problema di definire destinazioni d'uso prima della definizione del piano delle isole nasce soprattutto per le isole di cui sub c2) e c3). Per quelle sub c1) si pone, in alcuni casi, il problema di consentire all'utilizzatore di effettuare gli interventi necessari in relazione alle utilizzazioni attuali, dove questi si ritengono adeguate e tali da dover essere consolidate (es.: Armeni). Per quelle c4) l'unico problema che va risolto nel breve periodo è quello di effettuare, o imporre, le opere di difesa fisica: ciò perché non si ritiene opportuno consentire trasformazioni consistenti delle isole di proprietà privata prima di una compiuta definizione pianificatoria.
Nonostante queste differenziazioni, le indicazioni che si daranno di seguito, mentre varranno fin dall'immediato per definire le utilizzazioni delle isole di proprietà pubblica, costituiranno indirizzo per la definizione della pianificazione complessiva.

3.1. I parametri per definire l'individuazione delle destinazioni d'uso sono, da un lato, gli elementi fisici e le caratteristiche dell'insediamento, dall'altro lato, il livello dell'accessibilità. Per quanto riguarda il primo dei parametri suddetti, va considerato che tutte le isole per le quali è urgente definire una utilizzazione ricadono nelle categorie a1) e a2) di cui al par. 2. Nel primo caso (isole prive di costruzione), nell'immediato - e cioè prima della definizione complessiva dell'assetto della laguna - l'utilizzazione che può essere assentita senza problemi è quella produttiva nel settore primario. Nel secondo caso (costruzioni con tipologie specialistiche) le particolari tipologie si prestano a una gamma abbastanza vasta di utilizzazioni; sicché discriminanti diventano le indicazioni che discendono dal secondo parametro.

Per quanto riguarda il livello dell'accessibilità va innanzitutto considerato che questo non è mai tale, e non potrà prevedibilmente esser mai reso tale, da garantire livelli d'accessibilità che, in termini di ragionevolezza economica, possono essere considerati urbani. Ciò esclude quindi una utilizzazione delle isole minori per residenza primaria, e in generale per funzioni che richiedono collegamenti pubblici frequenti in tutto l'arco della giornata.

Tra le altre destinazioni, quelle che appaiono opportune e possibili (salvo verifiche più specifiche) sono le seguenti: residenza turistica, attrezzature per il diporto nautico, attività di studio e di ricerca, attività produttive ad alto livello tecnologico e assolutamente non inquinanti, altre attività culturali (oltre, ovviamente alle attività produttive nel primario e ai connessi servizi). Ma per definire più precisamente, all'interno di questa gamma, i criteri di selezione delle utilizzazioni, conviene riferirsi in termini più specifici ai tre livelli d'accessibilità di cui al par. 2. sub B).

3.2. Le isole di cui alla lettera b 1) hanno il «privilegio» di poter essere collegate in modo relativamente efficiente al centro storico. D'altra parte, l'economicità del servizio pubblico di collegamento è a sua volta condizionato dalle funzioni, le quali sono più o meno trafic intensives. Da queste due considerazioni nasce un primo criterio di scelta: le isole del gruppo b 1) hanno le loro destinazioni più convenienti nelle utilizzazioni che, da sole o associate, producano una notevole domanda di trasporti soddisfacibile mediante il sistema di trasporto pubblico. Residenze turistiche di massa (turismo scolastico e giovanile, ostelli per la gioventù, ecc.), e attrezzature universitarie ad alta intensità d'uso sono utilizzazioni che rispondono a questi requisiti. Ad esse possono essere associate utilizzazioni le quali, pur presentando una minore domanda di trasporti, possono tuttavia integrarsi convenientemente con le prime e in qualche modo fornire un elemento di connessione funzionale con le utilizzazioni delle isole caratterizzate da minori livelli di accessibilità, quali quelle relative alle attività nautiche, alla cantieristica minore, ai servizi per le attività produttive del settore primario. Va sottolineato il fatto che le isole più vicine (in termini di accessibilità) al centro storico possono essere usate al fine di alleggerire la pressione che, sulla residenza e le attività connesse del centro storico, viene esercitata da utilizzazioni localizza bili anche fuori dal centro storico. Utilizzazioni turistiche delle isole non potranno, prevedibilmente e nel breve periodo, «spostare» esercizi turistici dal centro storico e «liberare» spazi per la residenza, ma almeno potranno dare uno sbocco a una pressione che oggi non ha alternative. Utilizzazioni per l'università e la ricerca, invece, potrebbero condurre - oltre che a una riduzione della pressione - anche alla «liberazione» di alcuni spazi. Da questa considerazione può nascere un secondo criterio di scelta nella individuazione delle utilizzazioni delle isole.

3.3. Le isole di cui alla lettera b2) costituiscono localizzazioni privilegiate per una serie di attività cui il Piano comprensoriale affida un più complessivo recupero e rivitalizzazione della laguna: si tratta delle attività connesse al diporto nautico, all'escursionismo, al turismo anche stanziale, delle attrezzature di rimessaggio, ricovero e riparazione per la grande nautica da diporto, e delle attività produttive nel settore primario (agricoltura, itticoltura) e dei relativi servizi. Dove le dimensioni delle costruzioni esistenti non inducano a prevedere utilizzazioni di maggiore interesse «strategico», è possibile assentire utilizzazioni di carattere culturale o di ricerca, anche private.

3.4. Le isole di cui alla lettera b3) sono quelle che presentano livelli d'accessibilità più bassi, e che - più precisamente - non sono prevedibilmente collegabili né con la rete del trasporto pubblico urbano né con quella del trasporto turistico di linea. Per queste isole può quindi essere assentita qualunque utilizzazione privata che sia compatibile con le destinazioni generali della laguna.

4. Condizioni per l'utilizzazione delle isole
4.1. L'utilizzazione in regime di concessione delle isole di proprietà pubblica deve essere in ogni caso subordinata a una convenzione con il Comune. Sarebbe opportuno che questa fosse collegata alla concessione, anche nel caso che l'ente proprietario sia diverso dal Comune.

4.2. Il contenuto essenziale della convenzione dovrebbe essere il seguente:
a) impegno da parte del concessionario, a concordare con il Comune un progetto di sistemazione dell'isola, nel quale siano definiti - tra l'altro - tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, i relativi tempi e costi, le modalità tecniche di esecuzione;
b) definizione delle destinazioni d'uso delle isole e delle singole componenti, e vincolo a non modificare le utilizzazioni rispetto a quelle previste pena la decadenza della concessione;
c) durata della concessione, da stabilire in relazione all'entità dei lavori per periodi compresi da 5 a 30 anni;
d) clausole particolari per quanto riguarda - dove necessaria - la libertà d'accesso.

4.3. Nella fase attuale (e cioè prima della definizione pianificatoria) gli interventi saranno comunque limitati agli interventi di restauro e risanamento, attraverso interventi prevalentemente di manutenzione straordinaria, degli edifici esistenti.

5. Scelta degli operatori
Per le isole di cui sub a 1) (prive di costruzioni) e b3) (di difficile accessibilità con trasporto pubblico) la concessione può essere assentita a qualunque soggetto.
Per le altre isole, e in particolare per quelle di maggiore rilevanza urbanistica e consistenza fisica, si procederà secondo criteri che consentano di stimolare e confrontare tra loro le diverse possibili proposte di utilizzazione (gara pubblica).

Per comprendere la vicenda di Poveglia, segnaliamo su eddyburg due articoli , di Paolo Cacciari e degli attivisti dell'associazione Poveglia per tutti, con un link a un dossier dettagliato. Per comprendere la portata della deriva attuale, rinviamo a un magistrale articolo di Paola Somma, intitolato San Marco benedice le isole della Laguna.

eddyburg dalla Biennale di Architettura di Venezia. L'attenzione è rivolta ai padiglioni di Stati Uniti e Portogallo. Il tema è la mistificazione: da messaggio culturale a messaggio pubblicitario.

Nelle fiere commerciali, l’allestimento dei singoli padiglioni ha come obiettivo la diffusione di un messaggio pubblicitario che, magnificando le virtù delle ditte espositrici, aumenti l’appetibilità sul mercato dei loro prodotti. La propaganda è una componente essenziale di tali eventi, ma i visitatori, nonché potenziali acquirenti, ne sono consapevoli.

Meno agevole è individuare il messaggio veicolato dalle esposizioni che si autodefiniscono culturali e hanno come “missione” dichiarata la promozione di conoscenza. Nel caso della Biennale, inoltre, bisogna distinguere fra la sezione curata dal direttore ed i padiglioni nazionali che, essendo di esclusiva competenza dei rispettivi stati, variamente interpretano il tema generale, con il risultato che, accanto a resoconti più o meno accurati e alle legittime soggettive interpretazioni, non mancano le manipolazioni di fatti e vicende storiche. Quest’anno, i due padiglioni dove la distorsione od omissione delle informazioni è più palese sono quelli degli Stati Uniti e del Portogallo, entrambi dedicati a progetti e interventi di “rigenerazione” urbana.

“The architectural imagination” è il titolo del padiglione statunitense. Le curatrici, scelte dal Dipartimento di Stato, hanno incaricato dodici grandi studi di elaborare proposte per “rigenerare quattro aree derelitte di Detroit, parlando con le comunità locali”, e preparare programmi per il futuro della città che “riflettano quello che hanno imparato dai cittadini”. Tale approccio ha suscitato critiche e contestazioni. In particolare “Detroit resists”, un gruppo di attivisti, artisti, architetti, cittadini che lavorano per una città “inclusiva, giusta e democratica”, sostiene che “il padiglione sia strutturalmente inadeguato ad affrontare la catastrofe di Detroit e collabori alla distruzione in corso della città”.

Usando il termine “speculazione” nella duplice accezione di esplorazione teorica e di vantaggioso investimento immobiliare, Detroit resists intende mettere in luce il legame tra “le stravaganti immagini e la violenza dell’urbanistica dell’austerità che ha prodotto spostamenti forzati di abitanti e espropri, ed ora usa il campo urbano che essa stessa ha creato come sito per speculare sull’immaginazione”. Per questo, il giorno dell’inaugurazione della Biennale, Detroit resists ha organizzato una “occupazione virtuale” del padiglione, sovrapponendo a quelle ufficiali altre immagini, fra le quali spiccano la torre dell’acqua, simbolo dell’iniquità degli sgomberi delle abitazioni e della sospensione della fornitura alle famiglie che non possono più sostenerne il costo, e l’ammonimento “respect existence or expect resistance”.

La stampa italiana ha molto elogiato il padiglione e ignorato le proteste. L’approccio “partecipatorio” è stato particolarmente apprezzato dal Manifesto, un cui collaboratore, Pippo Ciorra, è membro della giuria della Biennale di quest’anno. Scrive, ad esempio, Emanuele Piccardo (28 maggio 2016) «il padiglione risponde in modo visionario al fronte contemporaneo della progettualità… pone la questione del riuso delle aree industriali attraverso lo sguardo visionario e formalista dei dodici architetti invitati …. che hanno lavorato con le comunità locali e con le organizzazioni non profit».

Il Portogallo non possiede un proprio padiglione all’interno dei recinti della Biennale e ogni edizione affitta degli spazi in città. La sede di quest’anno è il piano terreno di un edificio progettato da Alvaro Siza in Campo di Marte alla Giudecca.

Campo di Marte era un complesso di edilizia popolare costruito tra il 1920 ed il 1921 “in posizione saluberrima vicino al margine lagunare” dove, per mezzo secolo, hanno abitato famiglie di lavoratori a basso reddito, finché, all’inizio degli anni ’80, il comune e l’istituto per le case popolari “nella necessità di adeguare il proprio patrimonio edilizio a Venezia al modello di vita attuale” hanno deciso di demolirlo. Nel 1983 è stato indetto un concorso internazionale per la ricostruzione, nel cui bando si raccomandava ai progettisti di ”fare evolvere la situazione urbanistica della zona… farla corrispondere alla dinamica sociale dell’area”.

Al vincitore Alvaro Siza vennero affiancati altri tre architetti fra cui Aldo Rossi, direttore della Biennale di Architettura del 1985 e del 1986. Trent’anni sono trascorsi, gli archi e colonne di Rossi sono stati completati, ma l’edificio di Siza non è finito e la parte costruita non sembra molto accogliente. All’interno degli alloggi si lamentano infiltrazioni e umidità, aggravata dal divieto di stendere biancheria all’esterno, probabilmente per non sciupare le fotografie delle riviste di architettura. Mentre il Comune e l’ATER, azienda territoriale per l’edilizia residenziale che ha sostituito l’Istituto per le case popolari, si rinfacciano le responsabilità del ritardo, l’auspicata evoluzione della zona è

puntualmente avvenuta; gli abitanti sono stati cacciati e la Giudecca è diventata terra di appetibili investimenti, che le agenzie immobiliari pubblicizzano come una sorta di Brooklyn da dove si vede Manhattan.

La mostra è un caso esemplare di come il rinnovo urbano/umano venga raccontato dal fronte dei vincitori. Ingannevole fin dal titolo, Campo di Marte 1983/2016, che fa iniziare la vicenda dalla data del concorso di architettura rimuovendo la storia precedente, l’esposizione si concentra nell’esaltazione dell’afflato partecipatorio del progettista, molte le immagini di Siza a cena con gli indigeni, e della sua “capacità di inserirsi nella lunga tradizione dell’edilizia popolare veneziana”.

Durante i sei mesi di apertura della Biennale i lavori sono stati ripresi e sul rivestimento delle impalcature giganteggia la scritta “Neighborhood, where Alvaro meets Aldo”, involontaria conferma dell’atteggiamento autoreferenziale di architetti che credono che i quartieri servano a chiacchierare fra di loro.

I curatori del padiglione hanno organizzato l’allestimento in collaborazione con l’Ater, e si dice si stiano adoperando per far raggiungere un accordo, i cui costi pubblici non sono chiari, tra le ditte e le istituzioni coinvolte per completare l’edificio, costruire la fontana e la piazza disegnate da Siza, nonché per creare nell’area un padiglione stabile per il Portogallo. “Ci voleva il Portogallo per finire un’opera incompiuta a Venezia”, è il commento compiaciuto del Corriere della Sera (22 maggio 2016), mentre la Biennale, sbarcando sul fronte della Giudecca, stabilisce un avamposto per la conquista di un altro pezzo di città .

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