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La cultura attuale? Liquida come un grande magazzino
23 Dicembre 2017
Critica
La cultura di oggi è fatta di offerte seduttive, concepite per un consumo superficiale. Un'intervista a Zygmunt Bauman.

Potremmo dire che la cultura sia attualmente in una fase liquido-moderna, fatta a misura della libertà individuale di scelta (volontariamente perseguita o sopportata in quanto obbligatoria) e concepita per servire tale libertà, per assicurarsi che tale scelta rimanga inevitabile - una necessità a vita, un dovere - e che la responsabilità, la compagna inalienabile della libera scelta, rimanga dove la modernità liquida l’ha costretta: sulle spalle dell’individuo, ora designato come il solo manager della "politica della vita".
La cultura di oggi è fatta di offerte, non di norme. Come aveva già notato Pierre Bourdieu, la cultura vive di seduzione, non di disciplina normativa, di pubbliche relazioni, non di elaborazione di politiche; essa crea nuovi bisogni/desideri/esigenze, non coercizione. Questa nostra società è una società di consumatori e, proprio come il resto del mondo visto e vissuto dai consumatori, la cultura si trasforma in un magazzino di prodotti concepiti per il consumo, ciascuno in competizione per spostare o attirare l’attenzione dei potenziali consumatori nella speranza di conquistarla e trattenerla un po’ più a lungo di un attimo fuggente.
Abbandonare standard rigidi, assecondare la mancanza di discriminazione, servire tutti i gusti senza privilegiarne alcuno, incoraggiare l’irregolarità e la flessibilità - nome politicamente corretto della mancanza di spina dorsale - e rendere romantica la mancanza di stabilità e l’incoerenza è dunque la giusta (l’unica ragionevole?) strategia da seguire; essere meticolosi, inarcare le sopracciglia, stringere le labbra non sono raccomandati.
Il critico televisivo di una trasmissione ha lodato quotidianamente la programmazione del Capodanno 2007/8 per aver promesso «di fornire una gamma di intrattenimento musicale pensata per soddisfare i gusti di tutti». «L’aspetto positivo - ha spiegato - è che grazie al suo richiamo universale puoi immergerti e allontanarti dallo show secondo i tuoi gusti». Davvero una qualità allettante e gradevole in una società in cui le reti sostituiscono le strutture, dove il gioco di collegare e distaccare e di un’infinita processione di connessioni e disconnessioni sostituisce il determinare e il fissare!
La fase attuale di progressiva trasformazione dell’idea di cultura, dalla sua forma originale ispirata dall’Illuminismo alla sua reincarnazione liquido-moderna, è spinta e attuata dalle stesse forze che promuovono l’emancipazione dei mercati dai residui vincoli di natura non economica, tra i quali i vincoli sociali, politici ed etici. Nel perseguire la propria emancipazione, l’economia incentrata sul consumatore liquido moderno si basa sull’eccesso delle offerte, il loro invecchiamento accelerato e la veloce dispersione del loro potere deduttivo, che, per inciso, la rende un’economia di dissipazione e spreco. Poiché non si sa in anticipo quale delle offerte si dimostrerà abbastanza allettante da stimolare il desiderio di consumare, l’unico modo per scoprirlo consiste in tentativi ed errori costosi.
Anche la continua domanda di nuovi beni e la crescita costante del volume dei beni in offerta sono necessari per mantenere rapida la circolazione di beni ed il desiderio di sostituirli con beni nuovi e costantemente aggiornati, come pure per impedire che la disaffezione del consumatore rispetto a beni specifici si coaguli in una generale disaffezione verso lo stile di vita consumistico in quanto tale.
La cultura sta ora trasformandosi in uno dei reparti di quel grande magazzino dove è possibile reperire «tutto quello di cui hai bisogno e che potresti sognare» nel quale si è trasformato il mondo abitato da consumatori.
Come in altri reparti di quello stesso negozio, i ripiani sono stracolmi di beni riforniti quotidianamente, mentre le casse sono decorate con la pubblicità delle ultime offerte, destinate a scomparire presto insieme alle attrazioni che reclamizzano. Beni e pubblicità sono concepiti per stimolare e provocare il desiderio (come notoriamente ha detto George Steiner, «per il massimo impatto ed un’istantanea obsolescenza»). I loro mercanti e copywriters fanno affidamento sul matrimonio tra il potere seduttivo dell’offerta e il bisogno radicato di essere in vantaggio sugli altri dei loro potenziali clienti.
La cultura liquida moderna, diversamente da quella dell’epoca della costruzione delle nazioni, non ha gente da educare ma piuttosto clienti da sedurre. E, diversamente da quella "solido-moderna" che l’ha preceduta, non desidera più chiamarsi fuori del gioco a poco a poco, ma il prima possibile. Il suo obiettivo ora è rendere la propria sopravvivenza permanente, temporalizzando tutti gli aspetti della vita dei suoi ex pupilli, ora trasformati in suoi clienti.

A questo link potete vedere un’intervista di Wlodek Goldkorn a Zygmunt Bauman. È molto bella e vale come una buona lettura. Di seguito un breve commento, tratto da Artribune.

http://www.artribune.com/television/2015/04/quale-cultura-oggi-risponde-il-grande-zygmunt-bauman-al-museo-pecci-di-prato/

Uno sguardo più che autorevole, straordinariamente acuto e brillante, sulle dinamiche della contemporaneità e sul sistema della conoscenza. Si parla di cultura. Del senso e dei mutamenti che questa parola porta con sé e rivela, indicando la direzione. Il dialogo con Wlodek Goldkorn si apre proprio con una domanda profonda e definitiva: che significa, oggi, cultura? Chi ne indica le linee guida? Chi detiene il potere dell’informazione e della formazione? Chi orienta l’immaginario collettivo? Che ruolo hanno gli intellettuali e quanto contano i media?
Un’ora e mezza di suggestioni e riflessioni da elaborare con lentezza. “La cultura è qualcosa che si impara”, spiega Bauman. E se un tempo la “missione” degli uomini di cultura era quella di “innalzare il popolo dal buio dell’ignoranza”, sulle tracce di “verità, bontà e bellezza”, oggi tutto questo viene letto come obsoleto. Nessuna elevazione, nessuna missione, ma nemmeno nessuna distinzione sociale.
Alla fine del XX secolo, Pierre Bourdieu elabora il concetto di cultura come “distinzione”. Ovvero: la cultura che ogni gruppo sociale consuma è un tratto distintivo della propria appartenenza o collocazione sociale. Resistente a qualunque cambiamento e foriero di nette divisioni. Vent’anni dopo, la prospettiva cambia ancora: per far parte dell’elite culturale, secondo il sociologo americano Richard Peterson, non c’è da operare distinzioni, ma, al contrario, da attuare pratiche onnivore di consumo trasversale. Tutto, oggi, va ingurgitato, metabolizzato, conosciuto. Che resta l’unico modo per uscire dalla marginalità sociale. Leggere i classici e andare ai concerti pop: è così che si viene riconosciuti come cittadini “colti”. Annullata ogni distinzione tra cultura alta e cultura bassa, ogni grado di separazione tra attitudini, forme sociali, tradizioni, contesti, si procede nel segno della mescolanza e della prossimità.
Con un linguaggio semplice, un eloquio affascinante e una capacità preziosa di analisi e insieme di sintesi, Zygmunt Bauman, a partire da una prospettiva storica, ha regalato al pubblico del Pecci un excursus teorico attraverso la modernità e i suoi movimenti sottili o radicali. Da ascoltare senza pause, per provare a capire qualcosa di più intorno a ciò che siamo stati e che stiamo diventando, tra le mutevoli maglie delle relazioni sociali e delle infinite declinazioni culturali.

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