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La sera di domenica 2 ottobre parecchie migliaia di persone si sono affollate alla Marina di Siracusa davanti al Tir giallo di Prodi per sentire dalla sua voce qual è il programma dell’Unione, ovvero anche – l’impressione era palpabile – per manifestare la propria protesta verso quanto sta accadendo in questi giorni.

Prodi ha detto cose in gran parte note, lo ha fatto con chiarezza e da questo punto di vista la manifestazione è riuscita. In me ed altri amici è rimasta però una forte delusione riguardo a quel che è stato detto, o non detto, su due questioni centrali per la Sicilia.

La prima è la mafia. Il professore ne ha parlato di sfuggita, a proposito degli ostacoli che l’illegalità diffusa nel Sud costituirebbe… per gli investitori cinesi. In una città fino ad ieri immune dal flagello e che proprio adesso sta cadendo nelle mani del racket, dove quasi ogni notte brucia un negozio o un’automobile, m’è parso davvero poco. Al diavolo i cinesi. Mi sarei atteso piuttosto una presa d’atto della strategia della mafia “sommersa” (le analisi ormai non mancano) e la proposizione di una serie d’interventi rigorosi “a monte”, per esempio in materia di controllo sul riciclaggio dei capitali, di appalti e subappalti, di confisca dei beni. Come ci hanno insegnato Falcone e La Torre – i quali hanno pagato con la vita proprio per questo – la pista da seguire è quella dei soldi, ed è qui che la mafia dev’essere combattuta. A Siracusa specialmente, poi, era il caso di denunciare l’inerzia colpevole dell’attuale commissione antimafia, presieduta da un senatore di Forza Italia nostro concittadino.

Il secondo motivo di delusione riguarda il turismo. Su questo tema, ormai cruciale, Prodi non ha saputo far altro che lamentare la mancanza d’infrastrutture e di coordinamento fra le regioni. In positivo però, il suo modello dichiarato sono state la Tunisia e Malta e le infrastrutture auspicate villaggi turistici e ahimè – proprio così! – campi da golf. Ritengo che simili cadute (almeno dal mio punto di vista) possano essere fatte risalire per una parte a mancanza d’informazione – rimediabile – e per il resto invece all’influenza di un’ideologia “sviluppista”, di cui evidentemente Prodi è in qualche modo partecipe, e che, all’interno del centrosinistra bisognerebbe contrastare con forza.

Mancanza d’informazione. Non è vero, come ha detto Prodi alla folla, che il centrodestra “non ha fatto niente” per il Mezzogiorno. Qualcosa ha fatto e fra le poche, perniciose, misure adottate ci sono quelle promosse dall’attuale ministro per la “coesione territoriale” Miccichè, con le quali sono stati creati giganteschi “poli turistici” (villaggi e campi da golf) in Sicilia, in Basilicata e altrove. Vediamo qualche esempio.

A Sciacca un complesso di 500 posti letto con due green, a ridosso di un sito comunitario, 58% di contributi pubblici, imprenditore inglese (il mediatore dell’affare è stato indicato nel noto Zappia, quello arrestato per le infiltrazioni mafiose nell’affare del Ponte di Messina), su terreni in parte proprietà della moglie e del suocero di Miccichè.

A Regalbuto (Enna) lo stesso Miccichè ha autorizzato la costruzione di un parco tematico con annessi campi da golf e alberghi per 2600 posti letto, sempre all’interno di un sito comunitario. Il parco è grande all’incirca cinque volte la Disneyland di Parigi ed è, a detta degli esperti in materia, destinato a sicuro fallimento sebbene coperto con fondi pubblici al 53% (o forse proprio per questo). La legge 488 per altro (fondi nazionali, tabelle di competenza regionale), nel bando 2003 ora in via di attuazione, ha privilegiato in Sicilia proprio le strutture dotate di campi da golf, e queste adesso spuntano come funghi un po’ dovunque, monopolizzando i sussidî (la presenza dei campi, infatti, fa scattare altri indicatori delle tabelle, legati all’estensione dei progetti). Per i mafiosi festa grande: la legge, strutturalmente, pare fatta su misura per loro (puro movimento terra e speculazione sulle aree, con le spese pagate). Non sono illazioni, sono loro stessi a farcelo sapere illustrando le loro iniziative: si vedano per esempio le straordinarie intercettazioni ambientali del boss di Brancaccio Guttadauro.

Altri poli turistici sono stati proposti pochi giorni fa, in un disegno di legge regionale, addirittura all’interno dei parchi dell’Etna, delle Madonie e dei Nebrodi, con vivo allarme dei naturalisti.

E proprio nella città in cui Prodi ha parlato, Siracusa, è stato costruito, con un contributo di sette milioni della legge 488 ed eludendo le norme sulla VIA, un villaggio Alpitour di oltre 1500 posti letto, della cui superfluità anche economica la città si sta pian piano accorgendo. Altre iniziative consimili, promosse dalla locale amministrazione di centrodestra, sono state fermate dopo dure polemiche, la cui è eco qui è ancora viva.

Non è vero perciò, in via di fatto, che il centrodestra non abbia realizzato niente. Magari.

Quanto alla parte propositiva del discorso di Prodi sul turismo, non mi pare che, per com’è stata presentata, essa si discosti granché nella sostanza dal modello ora malamente seguito. Né conta molto se si riuscirà ad evitare, di quest’ultimo, le forzature clientelari e localistiche. Nemmeno su ciò per altro c’è da giurare: l’incredibile Disneyland di Regalbuto è appoggiata coralmente anche dai sindaci e dal deputato locale del centrosinistra!

Senza dilungarmi (nel sito del resto sono già apparsi, sul tema, alcuni contributi pertinenti, per esempio quelli di Carla Ravaioli e Giorgio Todde), accenno in modo sommario ai requisiti che dovrebbero caratterizzare il nuovo modello, da contrapporre a quello affaristico-speculativo ora invalso. Dovrebbe essere sostenibile (trovate pure un’altra espressione se questa vi pare consunta), endogeno e diffuso. La sostenibilità bene intesa esclude di per sé quasi tutte le iniziative promosse dalle lobbies e in parte accettate dallo stesso Prodi: dai villaggi spalmati su quanto resta delle nostre coste per finire con i campi da golf, un insulto e un crimine in una terra povera d’acqua. Essere endogeno significa promuovere le iniziative locali, arrestando la colonizzazione delle multinazionali del turismo e il drenaggio delle risorse. Essere diffuso vuol dire tener conto, senza superarle, delle capacità di carico, ambientale e sociale, delle singole aree, e delle loro vocazioni.

Prodi – per cui malgrado tutto voterò alle primarie – porta a modello la Tunisia (che non è più, è vero, quella degli anni ‘60) [1] e Malta, la cui politica turistica si segnala per un’indubbia dinamicità “levantina”, ma che di certo sostenibile non si può definire. Ci sarebbe molto da precisare al riguardo, a cominciare dall’opportunità di accostamenti con paesi in via di sviluppo, la concorrenza con i quali, per tanti motivi, ci vedrà sempre perdenti.

Mi limito a chiedere qui: e se invece il modello a cui guardare, fondato sulla non esauribilità della crescita e delle risorse e sulla loro “monopolizzazione” virtuosa, fosse da cercare molto più vicino, per esempio nella Sardegna di Soru?

[1] Qui su eddyburg, si vedano le riflessioni e le impressioni, di prima mano, dedicate al turismo in Tunisia da Maria Pia Guermandi.

Dalla stampa e dalla televisione si è appreso che nei primi giorni di dicembre il Ministero per lo Sviluppo economico ha sottoscritto l’accordo di programma quadro tra tutti i soggetti interessati pubblici e privati per la realizzazione del parco di divertimenti più grande d’Europa, che sorgerà su un’area di circa 300 ettari nel comune di Regalbuto (provincia di Enna) intorno al lago Pozzillo. Si tratta di un piccolo comune di circa 8000 abitante, ricadente in una delle aree più depresse della regione, a 59 chilometri da Catania e a 128 da Palermo. E di un investimento di circa 600 milioni di euro, di cui 100 dello Stato, 25 della Regione e la restante parte a carico del privato: la Società Atlantica Investimenti di Basilea. In questi giorni sta per esser firmato anche il “contratto di localizzazione”.

L’iniziativa, che è documentata su un apposito sito (www.parcotematico.com) è in marcia da alcuni anni e prevede la realizzazione di due alberghi da 2.600 posti letto, un campo da golf a 27 buche, ristoranti, discoteche, parcheggi, un centro di produzione televisiva, un eliporto, canali, porti, il rifacimento di paesaggi esotici e di pezzi di città italiane e americane.

Fra le attrazioni del parco un Etna di cemento attraversata da un treno, gondole che si muoveranno verso una finta piazza S. Marco, il Colosseo, il Campidoglio, la Torre di Pisa, piazza della Signoria, il circuito di Monza, il Palazzo dei Normanni di Palermo, il corso principale di Taormina, le Piramidi, la torre Eiffel, una città del far West, un angolo della Louisiana e un villaggio svizzero.

Il progetto gode di un consenso politico trasversale, che va dagli amministratori locali, a quelli regionali, a importanti esponenti nazionali di Forza Italia e dei DS. Soltanto gli ambientalisti hanno manifestato notevoli perplessità.

Secondo i proponenti, per rendere remunerativo un tale investimento ci vorranno 1.600.000 visitatori l’anno. Una cifra ragguardevole, e forse velleitaria, se si pensa che il parco dovrebbe essere realizzato in un’area interna della Sicilia non facilmente raggiungibile. Al di là di tutto ci si domanda se lo sviluppo di un territorio anche a fini turistici debba proporre per forza questa accozzaglia di volgarità. Da questo punto di vista non riusciamo proprio ad accorgerci della differenza tra il passato governo di centro destra e quello attuale di centro sinistra.

A propositol del parco tematico dell'Etna, su Mall anche questo articolo di Attilio Bolzoni da la Repubblica; altre notizie e particolari del progetto a questa pagina dedicata del sito parksmania

Sul modo assolutamente acritico del ministro per lo sviluppo di intendere il termine che etichetta il suo ministero avevamo già avuto altre testimonianze; quindi il finanziamento statale concesso a questo nuovo tassello del degrado del territorio in nome della “crescita” non ci meraviglia più di tanto. Benché al peggio non c’è mai fine, non vorremmo però che a Bersani si aggiungesse Rutelli, visti gli indubbi meriti culturali di un’iniziativa che mette insieme Colosseo e gondole, Torre di Pisa ed Etna, piazza della Signoria e piramidi…

Piccoli bradisismi sulla costa calabra: a destare preoccupazione, però, non sono i movimenti tellurici propriamente detti, ma piccoli movimenti sotterranei che lasciano presagire un'altra ondata di sventure per il già tartassato territorio calabrese.

Stavolta, sul banco degli imputati c'è Europaradiso, mega villaggio turistico che avrebbe dovuto sorgere sulla costa crotonese e a cui, l'anno scorso, la Regione aveva detto un no che sembrava definitivo.

La vicenda era già salita agli onori della cronaca nazionale: nel 2003, David Appel, imprenditore israeliano, aveva proposto al comune di Crotone, all'epoca guidato dal centrodestra, un progetto ambizioso, che avrebbe potuto portare alla realizzazione di 120.000 posti letto e di circa 15.000 posti di lavoro. Una manna dal cielo in una regione in cui la disoccupazione dichiarata è ai massimi livelli e che cerca faticosamente di imboccare la strada dello sviluppo turistico.

Sulla strada del magnate, la cui storia personale era quantomeno poco chiara, c'era un ostacolo che, forse, in anni passati non avrebbe destato troppa preoccupazione: gran parte del territorio della Provincia di Crotone, infatti, è stata dichiarata Zona a Protezione Speciale (ZPS), in particolar modo tutta l'area della foce del Neto, proprio lì dove Europaradiso avrebbe dovuto sorgere.

Il progetto, però, riesce a fare proseliti molto in fretta, e un folto gruppo di sostenitori, costituitosi presto in comitato, propone alla Regione la modifica della perimetrazione delle ZPS per poter avviare il progetto. Un progetto che prevede parchi tematici, alberghi, multisala, campi da golf, centri commerciali: il tutto adagiato su 140 ettari lungo la costa crotonese.

Ma per fortuna, a riprova che non tutto va male in Calabria, la Regione non modifica i perimetri delle ZPS; addirittura, in una inconsueta botta di buon senso, si asserisce che il progetto si dimostra « non coerente con le linee di indirizzo per lo sviluppo dell'industria turistico-alberghiera» e che « la presentazione di “Europaradiso” ha illustrato un progetto di un numero di posti letto pari ad oltre un terzo dell'intero patrimonio ricettivo regionale…Tale ipotesi progettuale, pertanto, non persegue la necessità di garantire l'alta qualità e la sostenibilità turistica dell'area interessata, favorendo, di converso, fenomeni di sovraffollamento» (delibera della Giunta Regionale del 5 marzo 2007).

Un no secco, dunque, che per una volta non viene motivato con cavilli o con scuse di altro genere ma attacca frontalmente il progetto, dicendo, chiaro e tondo, che non va bene. Avevamo tirato un sospiro di sollievo, pensando che ci sarebbe potuti dedicare alla contestazione di altre speculazioni e di altri disastri, quand'ecco che arrivano le elezioni e con le elezioni la prospettiva che quei politici che ieri dicevano di no vengano sostituiti domani da altri pronti a dire di si.

A complicare ulteriormente le cose, un comitato pro Europaradiso che continua combattivamente a lavorare perchè il progetto non venga abbandonato: in fondo, non tutti sono disposti a dire un secco no alla promessa di 15000 posti di lavoro.

Arriviamo così all'oggi, alla conferenza stampa tenuta solo qualche giorno fa da David Appel per dire che lui al progetto – e all'affare - non ha affatto rinunciato; non si spiega Appel come mai tante resistenze, quando « sono stato contattato da altre nazioni, ad esempio dalla Francia, dalla Spagna: volevano che realizzassi lì quello che invece ho pensato per Crotone, che rimane il posto in assoluto più adatto».

Leggiamo qualche altro passaggio della conferenza stampa dell'imprenditore. Europaradiso « è un fuoco dentro me, che mi spinge ad andare avanti e a realizzare questo progetto, quello che amo di più. Con me i più grandi imprenditori del mondo credono nella realizzazione di Europaradiso qui a Crotone». Se qualcuno gli ricorda che la relazione della Commissione Parlamentare Antimafia non è stata tenerissima nei suoi confronti, lui risponde che non capisce come « un progetto importante che darà posti di lavoro, aiutando la Calabria, possa essere avversato da alcune persone che hanno tanta cattiveria e cercano solo di far del male, questa gente è irresponsabile e non sa i danni che sta facendo». Infine, a proposito di Francesco Forgione, presidente della Commissione, dice « non capisco come il suo partito (Rifondazione Comunista, ndr) non decida di buttarlo fuori. Non è possibile che una persona che non mi conosce scriva quelle cose su di me. A noi non interessa la politica, vi dico solo che sono venuto qui a realizzare un business importante, sono venuto non solo per fare del bene alla Calabria, ma anche ovviamente per fare soldi». Viva la sincerità.

Alcuni interrogativi sono d'obbligo. Il primo di questi, almeno in una regione come la Calabria, è come mai di fronte a tante imprese taglieggiate dalla 'ndrangheta che vanno via o che chiudono i battenti, sembri così scandaloso parlare del pericolo di possibili infiltrazioni mafiose. O se è un caso che un imprenditore indagato per un'analoga operazione in Grecia e per casi di corruzione in Israele – denunciati tra l'altro dal quotidiano nazionale Haaretz – abbia deciso di venire a fare del bene proprio a Crotone, in un'area dove la strada più importante, la statale 106, è soprannominata la “strada della morte” per la sua pericolosità, dove l'impresa più nota è arrivare con il treno e dove l'aeroporto stenta a decollare.

Ma soprattutto, sarà un caso che la conferenza stampa si sia tenuta una decina di giorni prima della campagna elettorale? Domanda retorica: almeno su questo non ci possono essere accuse di disfattismo. Pasquale Senatore, ex-sindaco di Crotone, colui che diede il là ad Europaradiso, ha già detto che se la destra vince le elezioni farà di tutto per riaprire la questione: più o meno quello che Berlusconi va dicendo a proposito del Ponte sullo Stretto di Messina.

Le incognite sono troppe per poter prevedere come andrà a finire. Pur se tra luci e ombre, la Regione, almeno per il momento, è riuscita a respingere l'attacco e difficilmente ritratterà le proprie scelte. C'è, per fortuna, anche un rinnovato impegno dello Stato contro la 'ndrangheta, che, se proseguito con la stessa sistematicità degli ultimi tempi, potrebbe dare presto buoni risultati. E poi ci sono le elezioni, che dovranno ridisegnare gli equilibri di potere su scala nazionale e locale e stabilire chi dovrà pronunciarsi una volta per tutte sull'operazione.

La preoccupazione più grande, però, resta l'idea sbagliata che la gente comune, quella perbene, ha di sviluppo e di crescita. Ancora una volta essa coincide con quella del mattone e con un modello, il divertimentificio, che va bene, forse, per zone che non hanno nulla ma non certo per aree di valore paesaggistico come la costa ionica calabrese.

Quand'anche Europaradiso fosse un progetto chiaro, limpido, al sicuro dalle infiltrazioni mafiose e dalle speculazioni, sarebbe davvero questo il modello più valido per risollevare le sorti di terre in crisi? Oggi è Crotone, domani sarà qualche altro posto, con o senza 'ndrangheta, ma il problema sarà sempre lo stesso: quello di un'idea sostenibile di sviluppo e di crescita, capace di portare lavoro e benessere, sociale ed economico, senza compromettere per sempre un patrimonio che dovremo tramandare ai nostri figli. Un'idea che, più semplicemente, consideri il territorio non merce ma bene comune.

Tutte le citazioni della conferenza stampa sono state tratte dall'articolo di Massimiliano Franco, "Il magnate punta sul Comune", pubblicato su Calabria Ora il 4 aprile 2008.

Le immagini, riportate anche in un pdf scaricabile, sono tratte dal sito ufficiale del progetto, www.europaradiso.com e da quello del comitato www.comitatoeuroparadiso.com.

Su eddyburg altri due articoli su Europaradiso, qui e qui.

I pozzi erano previsti nel Parco del Curone, decisive le proteste ambientaliste Archiviato il progetto di sfruttamento della società australiana "Po Valley"

MONZA - La Brianza non sarà il nuovo Texas. Addio carotaggi esplorativi, addio pozzi petroliferi. L´oro nero resta nella "pancia" del Parco del Curone, a Montevecchia, borgo arroccato sulle colline lecchesi che nasconderebbe un tesoro. Po Valley, la società australiana che aveva chiesto di perforare il sottosuolo, ha fatto un passo indietro, pur restando convinta che gli idrocarburi ci siano. Titolare di una concessione governativa in joint venture al 50 per cento con Edison, giovedì sera ha alzato bandiera bianca, rinunciando alla possibilità di cercare prove della presenza di petrolio in un´area di 30 chilometri quadrati, 14 i comuni coinvolti. La maggior parte tutelati dal Parco, nato nel 1983 per mettere al riparo da speculazioni un territorio di 2.350 ettari.

Gli australiani erano pronti a scommettere 20 milioni di euro sulla zona, sicuri che sarebbe stata in grado di fornire 75 milioni di barili. Ieri mattina la conferma ufficiale dell´abbandono, subito ratificato dal Ministero per lo Sviluppo Economico che ha annullato l´iter avviato lo scorso aprile. "Abbandoniamo il campo, ma siamo convinti che a Montevecchia e dintorni siano custoditi importanti giacimenti di greggio", sottolinea Michael Masterman, amministratore delegato di Po Valley. Pratica archiviata, almeno per ora.

Decisive le barricate alzate dalle comunità locali, pronte a difendere la loro terra a tutti i costi. Determinante il rischio che la protesta nata dal basso - e che in meno di tre settimane ha raccolto 30 mila firme contro le esplorazioni - potesse bloccare all´ultimo minuto la valutazione di impatto ambientale necessaria per scavare. A guidare il fronte dei contrari Alberto Saccardi, docente di statistica della Bocconi e i sindaci della zona, che hanno costituito il comitato "No al pozzo", ottenendo il supporto di studiosi di mezzo mondo, dalle università di Istanbul fino a quella di Philadelphia. Tra loro anche Esseghair Skawder, professore di economia della New York University, che ha esultato alla notizia dello scampato pericolo.

Per gli esperti schierati in difesa del territorio, il problema non era solo quello dell´impatto ambientale. Sul piatto della bilancia pesavano soprattutto considerazioni di carattere economico-sociale. "Questo lembo di Brianza ha fatto della qualità della vita la propria cifra distintiva - spiega Skawder - . Il benessere locale si basa su prodotti "Igp" e capacità di attirare turisti. Un modello in continua espansione. I pozzi petroliferi avrebbero mutato il dna dell´area trasformandola in un´anonima periferia suburbana, destinata all´abbandono dopo vent´anni di sfruttamento". Dissente Masterman: "Il problema dell´approvvigionamento energetico a basso impatto, perché così sarebbe stato, è un nodo cruciale per il futuro dell´Italia. In Brianza si è persa un´occasione".

Il piano di Po Valley prevedeva l´apertura di due pozzi esplorativi entro i prossimi 14 mesi e nel 2011 la coltivazione vera e propria, così si dice in gergo riferendosi all´estrazione dell´oro nero. Contro le trivelle, le istituzioni locali. "Abbiamo conservato intatto il territorio per le generazioni future", festeggia Daniele Nava, presidente della Provincia di Lecco. Alza il calice anche Marco Panzeri, sindaco di Rovagnate, uno dei comuni epicentro delle ricerche: "Siamo contenti ma non abbassiamo la guardia".

C’è una notizia, che in questi lenti e caldi giorni di metà estate sgomita per trovare il suo spazio e che è riuscita a sconfinare dall’indifferenza e dall’abitudine delle scarne cronache locali fino alla prestigiosa vetrina offertale dal Corriere della Sera. Il quotidiano di via Solferino, infatti, il 17 luglio scorso ha informato i suoi lettori dell’apertura del “campo da golf più a sud d’Italia”. Nella Sicilia bedda, naturalmente, e precisamente a Sciacca, in provincia di Agrigento.

L’articolista, nella mezza pagina a disposizione, ha esaurientemente illustrato una “struttura da favola” che è l’”oggetto del desiderio del magnate inglese sir Rocco Forte”, anche se: “Di fronte ai continui intoppi e persino un’inchiesta della magistratura Rocco Forte ha più volte minacciato di rinunciare a questa struttura da favola che si estende su 230 ettari e in cui sono stati investiti 125 milioni, con finanziamenti anche pubblici. Ma ora sembra tutto dimenticato”.

Già. Dimenticato. Noi partiamo proprio da qui, da dove gli altri hanno dimenticato.

Perché noi non abbiamo dimenticato che la notizia, la vera notizia che spazio non trova (…) è che il 4 dicembre del 2007 al tribunale di Sciacca si è aperto il processo – tutt’oggi in corso – che vede imputati per reati ambientali l’a.d. della Sir Rocco Forte Hotel, Moreno Occhiolini, e il progettista Domenico Baudille.

La notizia, è che il condannato per mafia Salvatore Cuffaro da Raffadali, che per uno degli strani casi della vita è stato anche il presidente della Regione Siciliana e che adesso fa il senatore della Repubblica, due anni fa ha varato con la sua Giunta un decreto in tutta fretta, al fine di consentire la costruzione di un maxialbergo con 40 suites e 500 posti letto, tre campi da golf, un centro benessere e un centro congressi più, sparse, villette varie: sì, proprio il lussuoso Resort Verdura di Sciacca di proprietà di Sir Rocco Forte.

La notizia, è che il progetto caro a Cuffaro, al forzista Dore Misuraca, all’ex presidente del Parlamento dell’Isola nonché attuale Sottosegretario Gianfranco Miccichè e ad altri berluscones più o meno occulti, è stato fermo un anno a causa delle denunce del vicepresidente siciliano di Legambiente Angelo Dimarca, spalleggiato dal responsabile del Cai Gianni Mento, che hanno fatto saltar fuori che il meraviglioso golf Resort di Sciacca che stava realizzando la holding Sir Rocco Forte è fuorilegge (!): niente permessi, niente Via (Valutazione impatto ambientale) e nemmeno Valutazione d’incidenza, obbligatoria per i siti d’interesse comunitario, e, manco a dirlo, il territorio in questione è un Sic (Sito d’interesse comunitario).

Per questo nell’estate del 2006 si era bloccato tutto. Soldi, cantieri, lavori. Con la Procura della Repubblica che cominciava a mettere il naso nella faccenda e i sigilli al cantiere.

E per questo la Regione Siciliana l’estate successiva si è inventata una leggina che rendeva legali le buche a pochi metri dal mare palesemente illegali: un ignobile colpo di spugna su centinaia di ettari di terra stravolti e con la vegetazione alla foce del fiume Verdura distrutta. Una volontà politica di andare avanti, a qualunque costo.

La notizia, è che questa intricata vicenda era iniziata cinque anni addietro, quando il plenipotenziario di Berlusconi in terra di Sicilia, l’allora viceministro del dicastero dell’Economia Gianfranco Micciché, presentò, assieme all’amministratore delegato di Sviluppo Italia (società a totale partecipazione del ministero dell’Economia…) il programma per lo sviluppo turistico nel Mezzogiorno. Una torta da 770 milioni di euro da dividere fra Puglia, Calabria e Sicilia. Alla Sicilia toccò una fetta da 236 milioni per due investimenti previsti: uno, guarda caso, è proprio quello del Resort di Sciacca in appalto al gruppo Sir Rocco Forte, che alla fine sarebbe risultato il più grande investimento disposto da Sviluppo Italia nel Mezzogiorno.

La notizia, è che i terreni del business, quando il business è stato deciso, sono stati venduti (buoni quattrini, 4 milioni e 400mila euro) al gruppo Sir Rocco Forte dalla famiglia Merra: Roberto, già componente del consiglio di amministrazione della vini Corvo, il fratello Giuseppe, la figlia Alessandra e l’altra figlia, Elena, moglie di Gianfranco Miccichè…

Insomma una roba di famiglia per l’allora vice Ministro del dicastero da cui dipende Sviluppo Italia e da cui sono venuti fuori milioni di euro di finanziamento – oltre quelli scuciti dalla Regione Siciliana – per il progetto in questione. La notizia, che purtroppo rischia di non far più notizia – nemmeno per il Corriere della Sera – è che la legalità in questo Paese continua a essere un optional.

Il commento di Giuseppe Palermo

Credo che per trovare in Sicilia qualcosa di simile allo scandalo dei campi da golf bisogni tornare indietro di qualche decina d’anni, ai tempi dell’Ente Minerario Siciliano o delle raffinerie piazzate a colpi di tangenti. Ed è interessante notare come i primi a cogliere le potenzialità del nuovo affare siano stati i mafiosi. Risale al gennaio 2001 una memorabile intercettazione ambientale del boss di Brancaccio Guttadauro (lo stesso che ha inguaiato Cuffaro), dalla quale apprendiamo di un suo progetto di campo da impiantare fra l’aeroporto Falcone-Borsellino e il mare, per darlo in gestione a suoi parenti americani (“così nessuno potrà dire nulla”, cfr. E. Bellavia-S. Palazzolo, Voglia di mafia, Roma 2004, p. 159). Dopo di che, secondo il costume invalso, non sono stati i progetti ad adeguarsi alle leggi, ma queste ad adeguarsi, come un guanto, ai progetti. Prima della legge ultima ricordata da Gervasi (29.10.08, n° 11: “Interventi in favore dello svolgimento dell’attività sportiva connessa all’esercizio del golf”), che, modificando la l. reg. 12.6.76, n° 78, autorizza i campi entro i 150 metri dal mare, vanno ricordati svariati decreti attuativi della l. 488/92 per il settore turistico, i quali a partire dal bando 2003 hanno riservato agli “alberghi a 4 e 5 stelle con annesso campo da golf” un trattamento di favore. Questo incentivo finanziario a sua volta si somma, se ho ben interpretato, all’altro derivante dall’indicatore costituito, nelle stesse tabelle regionali, dall’estensione dell’impianto: in altri termini, più l’impianto è esteso, maggiore è il contributo pubblico. E siccome i campi da golf estesi lo sono per definizione, è chiaro che è stata tutta una pacchia, non solo per i grossi industriali del turismo, i proprietari delle aree ed i costruttori ma, a scendere, per i mediatori e gli addetti al movimento terra (questi ultimi com’è noto spessissimo legati alla mafia). L’ultimo sfegatato sostenitore del golf è stato, qualche mese fa, l’allora assessore al Turismo Bufardeci. “Vogliamo che la Sicilia diventi la sede naturale per il golf", ha detto, annunciando investimenti per "svariati milioni di euro dai fondi europei" (“I love Sicilia”, mag. 2009).

In questo scenario, così, i green hanno fatto e fanno incetta del grosso dei contributi pubblici, mentre gli imprenditori del turismo sostenibile, o semplicemente “normale”, restano a bocca asciutta. Inutile dire che la gran parte di questi insediamenti ricade non su aree coltivate, ma su terreni incolti, spesso lungo le rive del mare o di laghi, e che ciò si è risolto o sta per risolversi in un’atroce distruzione di alcuni degli ultimi lembi di territorio siciliano ancora in condizioni di naturalità. E tutto ciò in una regione povera d’acqua, e che lo sarà sempre di più.

Meriterebbe fare un elenco delle decine di progetti sorti come funghi in tutta l’Isola, spesso fallimentari e manifestamente speculativi, o, addirittura, già falliti: come quello sul fiume San Leonardo, comune di Carlentini, del quale resta in piedi l’orrendo scheletro di calcestruzzo del residence (già, perché va da sé che nessun campo è concepibile senza le annesse strutture ricettive, cioè senza cemento).

Non meno interessante infine sarebbe incolonnare i nomi degli sponsor, dei mediatori e degli investitori (nomi spesso ricorrenti e intrecciati fra loro). Circa il progetto di cui parla Gervasi, p. es., può essere utile sapere che mediatore per l’acquisto del terreno con il magnate alberghiero Rocco Forte sarebbe stato l’italo-canadese Joseph Zappia: lo stesso Zappia poi arrestato a Roma perché ritenuto referente della famiglia che aveva tentato d’infiltrarsi nella gara per l’appalto del ponte sullo Stretto e del quale poche settimane fa sono stati confiscati i beni. Lo Zappia si sarebbe recato più volte in provincia di Agrigento, oltre che per l’affare del golf, per seguire da vicino la vendita di centinaia di ettari di vigneto all’industriale Zonin (F. Castaldo, Centonove, 23 apr. 2005, p. 17; Id.-E. Deaglio, Diario, 11 mar. 2005, pp. 17-18, poi in Antimafia 2000, 44, 2005, p. 22).

VERONA — «Siamo troppo piccoli per essere grandi e troppo grandi per essere piccoli». Con questa riflessione, difficilmente contestabile, Rino Mario Gambari, consigliere delegato dell'autostrada Serenissima e soprattutto maggior azionista con oltre il 23%, lancia un mes­saggio per certi versi sorprendente: «Se davvero i soci pubblici decideranno di dismettere, il nostro gruppo di privati è interessato a comprare».

Sono tempi lontanissimi dal 2004, quando l'industriale bresciano, con una spettacolare se il termine è passabile - operazione finanziata da Mediobanca e Abn Amro acquistò il 20,3% della Brescia-Padova, valutando un miliardo l'intera società. Oggi, in tempi di recessione e di credito difficile, sembra azzardato immaginare altri grandi acquisti per una concessionaria autostradale che ha salutato da tempo il progetto di quotazione in Borsa, che ha un po' di problemi con le controllate (vedi Infracom) e che fa grande fatica a distribuire dividendi ai soci (l'Anas non vuole).

Ma tant'è. Gambari intende passare il guado, «perché la Serenissima ha la prospettiva concreta di aumentare il proprio valore nel tempo a condizione che, ovviamente, la concessione sia estesa davvero al 2026 e che si prosegua nel migliorare l'efficienza della società, sul fronte dei costi e della struttura organizzativa».

Il lombardo non desiste, quindi, dalla volontà di puntare finalmente al controllo o almeno a un ruolo da vero azionista di riferimento, magari in compagnia dei suoi attuali soci: la veronese Cis di Bruno Tosoni (che a sua volta ha trovato nel fondo F2i di Gamberale un alleato importante), la Abm Merchant di Alberto Rigotti, infine Guglielmo Tabacchi e figlio. Tutti presenti a vario titolo nelle società veicolo riconducibili al bresciano: nella compagine della Brescia-Padova risultano Re.consult Infrastrutture (20,3%) e Cif (3,13%), per un totale del 23,43%.

La questione è tornata di attualità per due motivi. Innanzi tutto, per le esternazioni recenti del presidente della Serenissima, Attilio Schneck. Stufo di oneri per più di un milione al l'anno che zavorrano l'intera gestione finanziaria della Provinciadi Vicenza, il leghista di Thiene ha detto chiaro e tondo che vuole vendere. Primo obiettivo, liberarsi di quel 3,86% acquistato per oltre 30 milioni nel 2005 per ordine di Manuela Dal Lago, che lo ha preceduto in entrambe le poltrone di presidente (Brescia-Padova e Provincia di Vicenza). Ma chissà, la dieta potrebbe essere anche più severa: la quota attuale è dell'8,86%, ben di più di tutti gli altri enti pubblici che al massimo superano di qualche decimale il 5%. Schneck si è spinto oltre: per vendere al miglior prezzo ed eludere il lungo e macchinoso iter del diritto di prelazione tra soci, gli enti azionisti potrebbero creare un veicolo societario verso cui far confluire le proprie partecipazioni. Quali altri soggetti potrebbero seguire il presidente? Da una vita si parla dell'intenzione a vendere del Comune di Milano (4,75%), ma stanno alla finestra anche altri enti e Camere di commercio, tutti assai interessati a far cassa.

L'altro fronte è dato dall'aumento di capitale. Se l'Ue archivierà finalmente la procedura d'infrazione contro il governo italiano sulla concessionelunga alla Serenissima, quest'ultima riformuleràsubito il piano finanziario per la realizzazione delle opere. Piano che dovrà contare anche su un rafforzamento patrimoniale della società, con un aumento di capitale che, nella versione precedente ora da aggiornare, era stato stimato in 150 milioni. L'operazione - inaccessibile agli azionisti pubblici - sarà una seconda chiave d'accesso per i privati.

In tutto questo, ricorre come formula magica l'eterna questione della concessione. Dallasocietà si fa professione di ottimismo, ma in queste settimane il cambio della guardia nella Commissione europea comporta un ulteriore ritardo nella decisione. Da Verona si spera nell'archiviazione del procedimento a Bruxelles a metà settembre.

Intanto, si dà corpo finalmente alla holding che separerà laconcessionaria dalle altre attività e partecipazioni del gruppo. Il 6 luglio è convocato un cda che dovrà provvedere alla costituzione del boarddella nuova società. Sarà l'organismo che dovrà gestire, in prima battuta, l'uscita dalle altre società auto stradali (Venezia-Padova, Cisa, Autobrennero, Autovie Venete solo per citare i soggetti principali). Sempre che si riesca a vendere bene. Gambari ha un'idea precisa: «Se le necessità di cassa ci spingeranno a farlo, lo faremo. Ma se non ne avremo bisogno, potremmo aspetta re un momento più favorevole per le valutazioni. Senza fretta».

Il Veneto messo a rischio da tre mega-progetti immobiliari: Motor City, con uno shopping center di 195 mila metri quadrati, Euroworld, che propone l'Europa in miniatura stile Eurodisneyland e Veneto City, la «fiera delle fiere». La denuncia di Legambiente

Ecomostri, l'ultima evoluzione del cannibalismo immobiliare. Mega-progetti che alimentano la bulimia del «modello veneto». Cattedrali di cemento & affini che cancellano ogni altra linea d'orizzonte. E' il Veneto messo in cantiere dalla giunta Galan, ma anche dai Comuni che fanno cassa con il territorio. Tre operazioni concepite con la suggestione anglosassone: la New City del Veneto dopo il terremoto nei capannoni a Nord Est. Euroworld, vecchio continente in miniatura sul Delta del Po. Veneto City, super-fiera delle vanità nella Riviera del Brenta. E Motor City che fa rombare con l'autodromo anche il più mastodontico centro commerciale d'Europa, a cavallo tra Verona e Mantova. Sono l'ultimo capitolo del «saccheggio senza fine» che Legambiente ha denunciato con forza.

Il Veneto già monopolizza la classifica dei volumi edilizi (residenziali e non) autorizzati dai Comuni. Vanta poi una crescita disordinata che spaccia per sviluppo il moltiplicarsi di villette disegnate da geometri, ipermercati in stile americano, contenitori giganteschi per piccole imprese, torri e regine della cementificazione selvaggia. Oltre l'indistinta melassa dell'ex miracolo economico incombe l'ombra di tre mostruosità urbanistiche. Destinate a marchiare a fuoco il Veneto, che paga il conto salato di tre condoni edilizi in vent'anni. E' l'immobiliare che si fa stato permanente degli affari, con la politica (non solo berlusconiana) che appalta territorio e futuro. «Con il risultato che non c'è più differenza tra edilizia legale e abusiva» riassume Michele Bertucco, presidente di Legambiente Veneto, che sul tavolo offre il dossier «Cancellare il paesaggio» con i tre simboli di un incubo.

Una vera catastrofe annunciata. In pratica, il vero collasso dell'area area centrale del Veneto. E' il 25,7% del territorio e accoglie il 50,7% della popolazione nel 47,2% delle abitazioni della regione (sono ben 930 mila, di cui 80 mila senza inquilini). «Una nebulosa insediativa senza logica apparente se non quella del profitto immediato dei proprietari delle aree, con l'avvallo di amministrazioni locali compiacenti, sempre pronte ad approvare varianti e variantine al piano regolatore» sintetizzano a Legambiente.

Il quadro più impressionate lo fornisce la fotografia della provincia di Vicenza: in 50 anni la "macchia" urbanizzata è aumentata del 342%, con un incremento di popolazione limitato al 32%. Tradotto, significa che i volumi urbani della «città diffusa» sono passati da 8.647 ettari a oltre 28 mila: il cemento si è quadruplicato. Non fa differenza nemmeno Padova con il sindaco Flavio Zanonato, «sceriffo rosso» che deve aver perso di vista le leggi fisiche dello sviluppo sostenibile: «Anticipando la stessa legge regionale - con una variante di Prg approvata con i voti del centrodestra e del centrosinistra - si sono trasformati oltre 4,7 milioni di metri quadri di aree destinate a verde pubblico in aree di perequazione, delegando ai privati il progetto delle nuove lottizzazioni ed ottenendone in cambio uno spezzatino di aree di verde pubblico in mezzo o ai margini dei nuovi caseggiati» ricorda Sergio Lironi che ha seguito per cinque anni le sedute della Commissione urbanistica, presieduta dall'ex assessore socialista Sandro Faleschini.

Scelte miopi quanto dannose. Eppure, diventano perfino marginali rispetto ai tre ecomostri che fanno scandalizzare Legambiente, e non solo. In Veneto la catena di montaggio vera parte con i «cavatori» e arriva ai costruttori. Nel mezzo, l'economia del mattone va a braccetto con la politica dello sviluppo a senso unico. Una regione immobile in perenne adorazione del totem immobiliare. Con interessi speculativi che si dilatano, nutriti da progetti sempre più mastodontici.

Come Motor City che sboccia nel 1999 grazie ad una legge regionale che abbozza la necessità di un autodromo. E arriva il piano di Quadrante Europa che individua tra Vigasio e Trevenzuolo (Verona) il terreno ideale per il circuito. Sulla carta, superficie non edificabile per il 70% e gran parte dell'area destinata a parco regionale. Due anni dopo nasce la società Autodromo del Veneto: tra i soci Veneto Sviluppo, la finanziaria della Regione, e successivamente rombano anche i comuni. Nel 2004 i lavori vengono affidati a Draco Spa: nella lista dei costruttori c'è anche Earchimede SpA, finanziaria di Brescia "indagata" dalla magistratura insieme all'ex presidente Emilio Gnutti dopo la scalata di Bpi ad Antonveneta. Lo scandalo dei "furbetti del quartierino" spinge Gnutti alle dimissioni, ma «con l'entrata in scena dei soci privati inizia il turbine di varianti di leggi della Regione» ricostruiscono a Legambiente.

Dal dicembre 2004 al marzo 2005, le varianti urbanistiche trasformano l'autodromo in un "mostro" di 4,5 milioni di metri quadri, con un' area industriale di 50 ettari e il polo commerciale più grande d'Europa (altri 104 ettari), senza nemmeno coinvolgere la Provincia, I dieci centri commerciali del Veronese occupano 139.490 metri quadri. A Motor City, si immagina uno shopping center che da solo concentra a Vigasio 195.000 metri quadri pari al 140% delle superfici occupate nell'intera provincia.

Nel 2006, Earchimede viene sostituita da Coopsette di Reggio Emilia. Due anni dopo a Vigasio e Trevenzuolo vengono approvate varianti su richiesta di Autodromo del Veneto. Risultato: l'altezza delle costruzioni passa da 12 a 35 metri.

Ma ecco il secondo mostro: Euroworld che si candida a competere con Venezia come attrattiva turistica, a giudicare dalle stime di 30 mila visitatori al giorno. L'Europa in miniatura stile Disneyland che si fa strada con la "bonifica ambientale" delle valli da pesca: paludi del Delta del Po trasformate in «divertimento acquatico», con gli immancabili campi da golf, campeggi e park. Le piatte golene del Po di Maistra come base per un campus in stile universitario.

«Tutto in palese violazione della legge regionale 394/91 che ha "consegnato" il futuro della zona al parco del Delta del Po per gli alti valori naturalistici ed ambientali del territorio. L'effetto devastante sulla flora e la fauna appare scontato: la miriade di costruzioni accessorie a Euroworld modificheranno per sempre gli equilibri idraulici del territorio, tagliando le già precarie connessioni ecologiche. L'Europa in miniatura rischia di far scomparire il sistema agricolo ancorato con i cicli del fiume. E di allontanare per sempre le specie che vivono nelle garzaie, le aree stanziali per gli animali fondamentali per la tutela del territorio» prevede Legambiente.

Ultimo ecomostro, ma ancor più devastante, è Veneto City. Di fatto, la "fiera delle fiere" che cancellerebbe ogni prospettiva per le attuali strutture espositive di Verona, Padova e Vicenza. Ma anche una sorta di "mega vetrina" della produzione a Nord Est, che metterebbe spalle al muro i commercianti all'ingrosso e gli artigiani di nicchia. Un milione e 700 mila metri quadri edificabili, a metà strada fra Venezia e Padova. Un centro servizi polifunzionale capace di attirare nella Riviera del Brenta 70 mila veicoli al giorno. Uno show room del Veneto formato megalopoli dove ora si vedono ancora i campi intorno a Dolo.

«Veneto City è grande 17 volte la Fiera di Padova. Prevede centri direzionali, quartieri generali, poli di rappresentanza di enti amministrativi e aree espositive promozionali. Ma anche l'auditorium, il museo d'arte contemporanea, farmacie, banche e sale cinema. Insomma, una vera e propria città artificiale con 40 mila persone di giorno e completamente disabitat««««a di notte» sintetizza Legambiente. Il faraonico progetto della "nuova città" del Veneto è opera dell'ingegner Luigi Endrizzi che ha già trasformato il quadrante di Padova Est nel concentrato di ipermercati intorno alla filiale dell'Ikea. Al suo fianco nell'impresa, i trevigiani Giuseppe Stefanel e Fabio Biasuzzi con altri investitori minori come Olindo Andrighetti. Veneto City è nel crocevia dell'autostrada, della ferrovia e dell'innesto del nuovo Passante. Contempla un "satellite ricettivo" con mille stanze alberghiere più la torre telematica (alta 150 metri) per governare tutto il traffico della regione.

Tre ecomostri per il Veneto che ha perso la testa. E non è un videogioco...

(pdf del Dossier Legambiente scaricabile direttamente da qui)

Continua a far discutere il progetto di riqualificazione urbana del fronte mare voluto dal comune di Salerno nell'area nei pressi della spiaggia cittadina di Santa Teresa. È stato presentato questa mattina il sito www.nocrescent.it da parte del Comitato No Crescent, comitato di liberi cittadini, costituitosi all'indomani della presentazione pubblica dell'opera da parte del sindaco Vincenzo De Luca, per impedire la costruzione di quello che lo stesso comitato definisce un «ecomostro di dimensioni mastodontiche».

Nel sito sono riportati i dati ufficiali del progetto realizzato dall'architetto catalano Riccardo Bofill e presentato dal Comune alla Soprintendenza di Salerno. «Il Crescent - riferisce il comitato - sarà realizzato su area sdemanializzata con fondi del comune che poi cederà ai privati i diritti edificatori. Sarà un mega condominio con oltre 120 abitazioni private da 100 mq ciascuna. Un emiciclo, con parcheggi interrati, alto 28,10 metri, che si estenderà nel suo complesso per ben trecento metri (pari a tre campi di calcio).

Secondo il comitato, tratti emblematici del Lungomare e del centro storico di Salerno vedranno chiudersi la visuale verso il mare e verso la Costiera. Il comitato contesta tutti i dati e le misure pubblicizzate dalla pubblica amministrazione oltre che l'iter che ha portato al silenzio assenso della Soprintendenza per l'autorizzazione paesaggistica su quell'area. «In particolare - sostiene il comitato - nel progetto definitivo non sarebbero stati forniti alla Soprintendenza i rendering, foto inserimenti obbligatori per legge, ma semplici foto del plastico voluto dall'amministrazione per presentare l'opera alla città. Anche il plastico non sarebbe conforme alle misure ufficiali». Con www.nocrescent.it il Comitato lancia anche una petizione on line per fermare la costruzione del Crescent.

Vento che sibila nei corridoi di alberghi chiusi, gelidi come l’Overlook Hotel del film Shining. Seggiolini sballottati dalla tormenta, appesi a funi immobili. Stazioni di funivie piene di immondizie, senz’anima viva intorno. Piloni arrugginiti, ruderi che nessuno rimuove anche nei parchi naturali. Ora i numeri ci sono. Quelli - mai fatti prima - degli impianti ridotti al fallimento dal riscaldamento climatico e dalla speculazione immobiliare. Oltre centottanta nel solo Nord Italia. La metà di quelli - 350 - che sono stati chiusi finora.

Centottanta vuol dire quattromila tralicci, centinaia di migliaia di metri cubi di cemento, seicentomila metri di fune d’acciaio, cinque milioni di metri di sbancamenti e di foresta pregiata trasformata in boscaglia. Ferri contorti come i ramponi di Achab sulla gobba della balena.

Per contarli abbiamo assemblato dati da parchi e corpi forestali, attivisti di "Mountain Wilderness" e guide alpine, soci di Legambiente e della "Cipra", il Centro per la tutela delle Alpi. Dati impressionanti, che sembrano non insegnare nulla a chi in Italia - caso unico in Europa - insiste a sovvenzionare impianti a bassa quota o, peggio ancora, nei parchi nazionali, in barba ai vincoli comunitari.

Fotogrammi. Saint Grée di Viola, quota 1200, provincia di Cuneo, è un monumento al disastro. Si chiamava Sangrato, ma non era abbastanza trendy per un centro che doveva attirare sciatori da Piemonte e Liguria, e così gli hanno cambiato il nome. Prima ha perso la neve, poi i clienti, infine ha inghiottito soldi pubblici per un rilancio impossibile. Oggi sembra Beirut dopo la guerra, cemento e vetri rotti con la scritta "Vendesi".

Altri fotogrammi, nel dossier di Francesco Pastorelli, direttore di Cipra Italia. Pian Gelassa in Val Susa: piloni nel vento, scheletri di alberghi nati morti, lì da 30 anni in piena area protetta, a due passi dalle piste olimpiche del Sestrière. Alpe Bianca, nelle Valli di Lanzo: condomini vuoti, stazione della funivia con i cessi rotti e le piastrelle smantellate. E così avanti: Oropa-Monte Mucrone, Albosaggia, Chiesa Valmalenco.

Non è un viaggio: è un percorso di guerra. A Oga presso Bormio la pista - iniziata e mai aperta causa lite tra valligiani - sta franando, e la ferita è tale che la trovi anche "navigando" con Google-Earth (e non è che gli squarci delle piste "mondiali" siano meglio). In Valcanale, sopra Ardesio (Bergamo), un’ex seggiovia è segnata da cemento sospeso sullo strapiombo e una discarica nel parcheggio.

Sella Nevea nelle Alpi Giulie, orgoglio del turismo friulano: le multiproprietà che negli anni Settanta hanno devastato la conca sotto il Montasio sono così a pezzi che sono stati messe all’asta in questi giorni. A Breuil-Cervinia residenze chiuse e impianti di risalita dismessi, otto in tutto, di cui quattro funivie. Posti da dimenticare, anche in anni di nevicate come questo.

Accanto agli scheletri, i morti viventi. Impianti in rosso, a quota troppo bassa per garantire neve, tenuti in vita dalla mano pubblica. Colere, Lizzola, Gromo nelle Orobiche. Oppure Tremalzo, La Polsa, Folgaria e Passo Broccon tra Veneto e Trentino, che inghiottono milioni in generose elargizioni per l’innevamento artificiale. Impianti a rischio, che nessuno fa entrare nella contabilità di un disastro che è anche finanziario. «Perché non si dice che le piste non si pagano solo con lo skipass ma anche con le nostre tasse?», s’arrabbia l’esploratore bergamasco Davide Sapienza.

Numeri insospettabili. Quaranta funivie e seggiovie abbandonate in Piemonte, trentanove in Val d’Aosta (un’enormità per una regione di centomila abitanti), almeno venti in Lombardia, trenta tra Emilia e Liguria sul lato appenninico, trentacinque in Veneto e venticinque in Friuli-Venezia Giulia. E non mettiamo in conto gli sfasciumi lasciati dallo sci estivo, chiuso per fallimento in mezze Alpi.

Ma non c’è solo il clima nel crack. C’è anche la speculazione. La seggiovia è solo lo specchietto per le allodole per sdoganare seconde case e villini. «Meccanismo semplice», sottolinea Luigi Casanova di Mountain Wilderness. «Si compra il terreno a basso costo, si cambia il piano regolatore, poi si fa la seggiovia e si costruiscono case al quintuplo del valore ». Se il gioco è spinto, la seggiovia chiude appena esaurita la sua funzione moltiplicatrice del valore immobiliare.

Uno crede: errori non ripetibili. Invece no: si continua sulla vecchia strada, come per l’Alitalia. Miliioni di milioni di euro al vento. Come quelli che serviranno per il collegamento - approvato il 31 dicembre (!) dalla provincia di Trento - fra San Martino e Passo Rolle nel parco di Paneveggio, dove Stradivari prese il legno dei suoi violini. O per il terrificante "demanio sciabile" da 200 milioni di euro dalla Val Seriana alla Valle di Scalve (Bergamo) pronto al varo nel parco delle Orobie, contro cui s’è levata la protesta di molti "lumbard". Disastri annunciati, come il maxi-progetto sul Catinaccio-Rosengarten, che sfonda un’area che è patrimonio Unesco.

Cambiano i luoghi, ma il trucco è lo stesso. C’è un pool che compra terreni, fonda una società e lancia un progetto sciistico, con un bel nome inventato da una società d’immagine. L’idea è nobile: «rilanciare zone depresse», così chi fa obiezioni è bollato come nemico del progresso. A quel punto la mano pubblica entra nella gestione-impianti e finisce per controllare se stessa. Così il gioco è fatto. Il sindaco promette occupazione e viene rieletto: intanto parte l’assalto alla montagna. Per indovinare il seguito basta leggere la storia dei ruderi nel vento.

«Questi mostri di ferro e cemento che nessuno smantella rientrano in un discorso più vasto» spiega il geografo Franco Michieli additando lo stato pietoso dell’arredo urbano a Santa Caterina Valfurva, Sondrio. «Il legame con la terra è saltato, i montanari ormai ignorano il brutto. Piloni, immondizie, terrapieni, sbancamenti: tutto invisibile. Si cerca di riprodurre il parco-giochi, e così si svende il valore più grosso: l’incanto dei luoghi».

E intanto il conflitto tra ambiente e ski-business aumenta in modo drammatico. Servono piste sempre più lisce e veloci, così si lavora a colossali sbancamenti e si prosciugano interi fiumi per l’innevamento artificiale. E c’è di peggio: la monocultura dello sci finisce per "cannibalizzare" tutte le altre opzioni (albergo diffuso, mobilità alternativa ecc.) perché distrugge i luoghi. Vedi Recoaro, dove le gloriose terme sono in agonia, ma si finanzia un impianto a quota mille, dove nevica un anno su cinque.

Per addolcire gli ambientalisti si inventano termini nuovi, come "neve programmata" o "eco-neve", ma il risultato non cambia. Damiano Di Simine, leader lombardo di Legambiente: «In Valcamonica un contributo regionale di cinquanta milioni è stato utilizzato per costruire piste nel parco dell’Adamello, e il risultato lo si vede su Google-Maps. Squarci terrificanti». Stessa cosa sul Monte Canin nelle Giulie: cicatrici da paura.

Ruggisce Fausto De Stefani, scalatore dei quattordici Ottomila e leader carismatico di Mountain Wilderness: «Uno: tutti gli impianti sono in passivo. Due: il clima è cambiato. Tre: gli italiani sono più poveri. Basta o non basta a dire che un modello di sviluppo va ridisegnato? E invece no, siamo furbi noi italiani. Continuiamo a vivere come progresso un fallimento che ha i suoi monumenti arrugginiti in tutto il Paese».

A Novezzina sulle pendici del Baldo - il colosso inzuccherato tra Val d’Adige e Garda ? De Stefani indica i resti di un impianto per neve artificiale mai entrato in funzione. «È stato smantellato, ma la ferita è rimasta, sembra una lebbra. Roba che per rimarginarsi impiegherà secoli. Con i soldi di quell’impianto fallito si potevano ripristinare malghe, sentieri, terreni; si valorizzavano i prodotti locali. È o non è una truffa? Un’orda distrugge l’Italia e la gente tace, nessuno s’indigna. È questo che mi fa uscir di testa».

Postilla

Quello che Paolo Rumiz non ha qui avuto nemmeno il tempo di ricordare, ma solo di accennare quando parla di “cannibalizzazione” e modello di sviluppo, è quanto accade attorno a piste e impianti, per un raggio di chilometri, chilometri, chilometri …. Su queste pagine si è trattato con qualche particolare il “piccolo” caso di Piazzatorre, ma sono centinaia le località interessate da una logica sconsiderata e ricattatoria. Comuni sempre più poveri di risorse, che vedono assottigliarsi le possibilità di manovra, e d’altra parte sono letteralmente assediati da proposte più o meno identiche: il privato “salvatore della patria” di solito con un progetto “complesso”. Non c’è bisogno di sforzarsi molto per trovarne esempi eclatanti, come quello di Foppolo, proprio in una diramazione delle medesima Valle Brembana di Piazzatorre. I personaggi della tragedia sono sempre gli stessi, Comune, Montagne, Privato, e il copione è scritto dai programmi complessi, nel caso specifico quelli lombardi noti come PII. Tragicomico il tono dei cosiddetti documenti urbanistici, dove alla fine di una relazione dai toni accorati che denuncia il degrado del territorio determinato dalle seconde case, si propone …. UN NUOVO GRANDE NUCLEO DI SECONDE CASE, che in omaggio all’approccio internazionale mixed-use avrà anche un bel nucleo commercial-divertente, con annessa grande strada di alimentazione. Vedere per credere, nella purtroppo breve e schematica presentazione che allego, elaborata qualche settimana fa a solo scopo didattico (f.b.)

Aprile online, 25 novembre 2008

di Nuccio Iovene

L'operazione "Perseus" condotta dalla polizia di Crotone contro le cosche della ‘ndrangheta di Papanice (popolosa frazione del capoluogo) che ha portato a 24 fermi per associazione a delinquere di stampo mafioso e per numerose attività illecite (dal traffico d'armi a quello di stupefacenti, dalle estorsioni alle intimidazioni, fino alla "colletta" per assoldare un killer che avrebbe dovuto uccidere il sostituto procuratore Pierpaolo Bruni) ha messo in luce un filone, sempre più frequente in Calabria, relativo ai rapporti con la politica e la pubblica amministrazione.

In particolare dalle indagini emergerebbe l'interesse delle cosche nei confronti del progetto turistico Europaradiso, faraonico complesso proposto anni addietro dal faccendiere israeliano Appel e da realizzarsi alla foce del fiume Neto, nei pressi di Crotone, in una zona protetta, essendo Sito di Interesse Comunitario. Non a caso nelle indagini sono coinvolti sia amministratori locali del centrodestra che governava all'epoca la città sia esponenti del PD che oggi l'amministra, nonché dirigenti e collaboratori del Ministero dell'ambiente di quel periodo.

Un progetto del tutto insostenibile per dimensioni, costi e impatto sociale e ambientale utilizzato come grimaldello per una enorme speculazione immobiliare attorno alla quale costruire, attraverso il classico miraggio dei posti di lavoro, un consenso sociale e tutte le "autorizzazioni" necessarie. A garanzia dell'operazione le cosche coinvolte, tra le più sanguinarie della Calabria, nella faida che alla vigilia di Pasqua di quest'anno ha visto cadere in agguati mafiosi il boss Luca Megna e gravemente ferita la figlia di 5 anni e tre giorni dopo Giuseppe Cavallo della cosca opposta.

Tutto questo mentre non passa giorno in Calabria che non si registrino nuove intimidazioni e minacce nei confronti di amministratori locali o imprenditori o non emergano intrecci e collusioni con esponenti politici dai comuni più piccoli fino al consiglio regionale.

Liberare la Calabria, la regione dell'omicidio Fortugno e degli scandali di questi anni, dal giogo della ‘ndrangheta vuol dire innanzitutto bonificare partiti e istituzioni, con una lotta senza sconti e senza quartiere ai tentativi d' infiltrazione e una pulizia assoluta delle liste di candidati alle elezioni. Il primo banco di prova le provinciali del prossimo anno che riguarderanno proprio Crotone.

Europaradiso, fra cemento e cosche

la Repubblica online, 25 novembre 2008

di Francesca Travierso

CROTONE -Turismo o riciclaggio? L'idea di un megavillaggio da realizzare a nord della città di Crotone viene presentata il 18 febbraio 2005 nella sala consiliare del Comune di Crotone. Si chiamerà Europaradiso. Il sindaco, Pasquale Senatore, presenta alla stampa il gruppo di investitori israeliani che vorrebbero presentare il progetto. Faraonico. 7 miliardi di euro per realizzare alberghi e residence capaci di accogliere oltre 14mila turisti, tutti da realizzare lungo la costa che va da località Gabella fino alla foce del fiume Neto. In una zona incontaminata.

Il gruppo imprenditoriale fa capo a David Appel, attraverso una società finanziaria multinazionale con sede ad Amsterdam. Nel novembre 2004 a Crotone erano già nate due società incaricate di gestire la vicenda, "Europaradiso International S. p. A." ed "Europaradiso Italia s. r. l, cui amministratore unico è Gil Appel, figlio di David.

Fin da subito opinione pubblica e politica si dividono sull'investimento. Qualcuno vede in Europaradiso il definitivo rilancio turistico di una città in ginocchio; altri non si fidano e sollecitano la presentazione di un progetto che, però, tarda ad arrivare. Il Comune di Crotone si schiera apertamente per il "sì", nasce il comitato Europaradiso guidato da Roberto Salerno, si inscenano manifestazioni in piazza e durante le riunioni del Consiglio comunale. La Provincia, dopo alcuni incontri, dice "no": il progetto non esiste, dunque non è valutabile, e l'idea convince poco.

Diversi dubbi li suscita anche David Appel. L'imprenditore israeliano ha più volte avuto grane con la legge del suo paese; nel 2003 è stato accusato di voto di scambio, in una inchiesta che coinvolge anche il direttore del Ministero dell'Ambiente. L'anno dopo è stato indagato nell'"affare dell'isola greca", in cui venne coinvolto anche Ariel Sharon; un'accusa di corruzione nei confronti delle autorità greche perché autorizzassero la costruzione di un complesso turistico nell'isola di Patroclo in cambio di una consulenza per il marketing dell'operazione da tre milioni di dollari.

La Regione all'inizio tentenna, poi prende una posizione: il 5 marzo 2007, il progetto Europaradiso viene definitivamente accantonato perché "nettamente contrastante, assolutamente incoerente con le linee politiche di sviluppo del sistema turistico alberghiero" come spiega l'assessore regionale all'ambiente Nicola Adamo. E poi su quello stesso tratto di costa la Regione chiede l'istituzione di una Zps, zona di protezione speciale che tuteli caratteristiche ambientali uniche, che di fatto impedisce la realizzazione del villaggio.

Intanto il progetto Europaradiso entra nell'inchiesta "Poseidone" della Procura della Repubblica di Catanzaro, e finisce nella relazione della commissione antimafia, che il 20 febbraio del 2008 scrive "La vicenda è emblematica del grumo di interessi che si possono intrecciare tra gli appetiti delle cosche e poco trasparenti operazioni finanziarie internazionali".

E aggiunge: "Interessato all'esecuzione del progetto di Appel sarebbe un noto personaggio del crotonese, in collegamento con ambienti malavitosi locali e fondatamente sospettato di riciclare, in Italia ed all'estero, il denaro sporco per conto di una cosca mafiosa". Il personaggio in questione, secondo le indagini che hanno portato all'operazione odierna, opererebbe per conto del clan Russelli di Papanice.

Politica, cemento e 'ndrangheta: Ecco la cupola di Europaradiso

La Nuova Ecologia online, 25 novembre 2008

Politici, imprenditori e funzionari pubblici indagati per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione e perquisiti nell'inchiesta che ha portato al fermo di 24 affiliati alle cosche di Crotone. In questo contesto sono avvenuti i tentativi di infiltrazione mafiosa nel megaprogetto turistico al momento accantonato

Le mani della ’ndrangheta sul progetto di Europaradiso. È questa l’ipotesi degli investigatori che questa mattina hanno effettuato una serie di perquisizioni a Crotone e in altre città fuori dalla Calabria. Un’operazione che ha coinvolto anche politici, imprenditori e funzionari pubblici indagati nell'inchiesta che ha portato al fermo di 24 affiliati alle cosche di Crotone. Dalle indagini sono emerse pesanti interferenze delle cosche nella vita politica e amministrativa di Crotone, peraltro già denunciate da un'ex parlamentare. Le cosche sostenevano gli amministratori locali al momento del voto ricavandone vantaggi per i loro affari. In questo contesto sono avvenuti i tentativi di infiltrazione mafiosa nel progetto turistico Europaradiso, al momento accantonato.

IPOTESI DI CORRUZIONE. Nei confronti dei politici, imprenditori e funzionari pubblici indagati, che sarebbero intervenuti per influenzare l'iter burocratico di approvazione del progetto Europaradiso, vengono ipotizzati vari reati, tra cui la corruzione, per avere promesso, elargito e ricevuto somme di danaro per condizionare, ai vari livelli amministrativi, la realizzazione della struttura turistica. Oltre ai fermi gli agenti della Polizia di Stato hanno perquisito le abitazioni dell'ex direttore generale del Comune di Crotone, Francesco Antonio Sulla; del capogruppo del Pd in consiglio comunale Giuseppe Mercurio; dell'architetto del comune Gaetano Stabile; dell'agente immobiliare, Romano Rocco Enrizo; dell'ex vice sindaco, Armando Riganello (An); del presidente della Camera di commercio, Fortunato Roberto Salerno; del capo di gabinetto del Ministero dell'Ambiente, Emilio Brogi; del direttore generale del Ministero dell'Ambiente, Aldo Cosentino; e di un funzionario dell'Unione Europea, Riccardo Menghi. Le ipotesi di accusa sono a vario titolo di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata dalla modalità mafiosa. Nel maggio scorso a Francesco Sulla era stata già notificata una informazione di garanzia e successivamente l'ex direttore generale del Comune era stato sentito dal sostituto procuratore Pierpaolo Bruni.



IL COLLABORATORE DI MATTEOLI. Uno degli indagati Emilio Brogi, è attualmente capo della segreteria del Ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli. Il presunto coinvolgimento di Brogi nell'inchiesta è riferito a quando nel 2005 era nella segreteria tecnica sempre di Matteoli, allora ministro dell'Ambiente. A Brogi è stata perquisita l'abitazione in provincia di Livorno ed altre strutture di sua pertinenza. L'accusa sostiene che Brogi ed il direttore generale dello stesso Ministero, Aldo Cosentino, avrebbero trasmesso volutamente all'Unione Europea una documentazione parziale circa i vincoli a cui era sottoposta l'area sulla quale doveva sorgere la mega struttura turistica Europaradiso. Ma Emilio Brogi respinge le accuse con decisione. "Sono del tutto estraneo ai fatti che mi vengono contestati – replica – Ho fiducia nella magistratura e nelle forze dell'ordine con cui collaborerò attivamente per dimostrare la mia piena estraneità. Desidero precisare che non sono mai stato capo di gabinetto del ministero dell'Ambiente, all'epoca dei fatti oggetto di indagine ero capo della segreteria del ministro".

PRESSIONI SUI VINCOLI.Indaini e perquisizioni anche nei confronti di Salvatore Aracri e Antonio Francesco Russelli. Secondo gli investigatori le cosche di Crotone si sarebbero interessate a fare in modo che l'area dove doveva sorgere la struttura di Europaradiso non fosse sottoposta ai vincoli previsti dalle zone a protezione speciale (Zps).

Gli inquirenti ritengono inoltre che, attraverso i funzionari del ministero dell'Ambiente, sarebbe stata inviata all'Unione Europea una documentazione parziale per quanto riguarda i vincoli a cui era sottoposta l'area dove si intendeva realizzare la mega struttura turistica. Dalle indagini emergerebbe che tutte le cosche del crotonese, anche quelle storicamente in contrasto tra loro, erano fortemente interessate all'opera.

LE DENUCE DELL’EX PARLAMENTARE. Le interferenze e le infiltrazioni erano state denunciate in passato dall'ex parlamentare dei Ds, Marilina Intrieri, la quale in diverse occasioni aveva evidenziato rapporti privilegiati di alcune cosche con amministratori locali eletti con l'appoggio della criminalità organizzata.

La Intrieri aveva denunciato anche i tentativi di infiltrazione mafiosa nella realizzazione della mega struttura turistica Europaradiso. Un fermo decisivo alla realizzazione della struttura fu dato dalla Giunta Regionale in carica che bocciò il progetto, dopo una riunione e una relazione dell' allora vicepresidente dell'esecutivo, Nicola Adamo, attuale capogruppo alla Regione del partito Democratico. In una delle denunce fatte nel marzo scorso, l'ex parlamentare affermò che c'era "il tentativo costante della 'ndrangheta crotonese di farsi istituzione candidando i propri familiari nelle liste elettorali e inserendoli nel governo degli enti locali''.

IL PASSAGGIO DEI SOLDI. “Su Europaradiso abbiamo la prova del passaggio dei soldi”. Lo ha detto il procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia, Emilio Le Donne, nel corso della conferenza stampa sui fermi degli esponenti delle cosche di Crotone. "La vicenda di Europaradiso - ha aggiunto - rappresenta una fetta di questa operazione ed evidenzia il sistema corruttivo nelle pubbliche amministrazioni fino a permeare alti funzionari di ministeri". "Dalle intercettazioni - ha proseguito Le Donne - emerge la consegna di denaro e nella fattispecie una somma di quindicimila euro ed una di quattromila. Bisogna insistere su questa strada in modo da eliminare le infedeltà che ci stanno nella pubblica amministrazione". Il Procuratore di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, ha evidenziato che "dalle intercettazioni e dalle indagini emerge come le cosche hanno tentato di mettere le mani sulla grande opera di Europaradiso".

'Ndrangheta, 24 arresti a Crotone- Indagati politici per corruzione

Il Corriere della Sera online, 25 novembre 2008

Operazione della polizia contro le cosche di Papanice: al centro dell'inchiesta il progetto "Europaradiso"

CROTONE - Tre anni di indagini, derivanti da un precedente filone d'inchiesta, sequestri di decine di armi e migliaia di munizioni, 200 uomini sul campo per un blitz scattato alle prime luci dell'alba in Calabria ed in Lombardia, 20 persone finite in manette sulle 24 destinatarie di un provvedimento di fermo emesso dalla Dda di Catanzaro. Sono i numeri dell'operazione «Perseus», condotta dalla Polizia di Stato e mirata a scompaginare le cosche operanti nel Crotonese. Più precisamente i «Papaniciari», il cartello criminale emergente che stava per prendere letteralmente in mano Crotone e la sua provincia, e la cui ascesa è stata per il momento bloccata dall'esecuzione dei provvedimenti di indiziato di delitto, emessi proprio in virtù dell'urgenza di interrompere condotte criminali in atto particolarmente pervasive.

PERQUISIZIONI - Oltre ai fermi gli agenti della Polizia di stato hanno perquisito le abitazioni dell'ex direttore generale del Comune di Crotone, Francesco Antonio Sulla; del capogruppo del Pd in consiglio comunale, Giuseppe Mercurio; dell'architetto del comune, Gaetano Stabile; dell'agente immobiliare, Romano Rocco Enrizo; dell'ex vice sindaco, Armando Riganello (An); del presidente della Camera di commercio, Fortunato Roberto Salerno; del capo di gabinetto del Ministero dell'Ambiente, Emilio Brogi; del direttore generale del Ministero dell'Ambiente, Aldo Cosentino; e di un funzionario dell'Unione Europea, Riccardo Menghi.

ASSALTO A CROTONE - I Papaniciari, nel momento in cui hanno preso a guadagnare terreno sugli storici gruppi criminali della zona, ritenuti dagli investigatori ormai in fase «calante», hanno compreso che il momento era propizio per «alzare il tiro» ed entrare nelle strutture amministrative del territorio, e nelle istituzioni anche a livello superiore, fiutando per primi, tanto per fare un esempio, il grande affare di «Europaradiso». Il mega villaggio turistico da 7 milioni di euro che doveva sorgere nella zona, e più precisamente l'ipotizzata pesante ingerenza nella fase della sua progettazione finalizzata ad ottenere più soldi possibile dall'Unione europea anche dove ciò non fosse possibile, rappresenta solo uno dei filoni dell'inchiesta, in cui gli inquirenti si sono imbattuti, ed in cui è emerso l'interesse indiscusso di tutte le famiglie del gruppo. «Il Comune di Crotone, è stato letteralmente preso d'assalto» ha riassunto efficacemente Emilio Ledonne, procuratore nazionale antimafia aggiunto, presente alla conferenza stampa che si è tenuta in Procura a Catanzaro, cui hanno partecipato anche il procuratore della Repubblica del capoluogo di regione Vincenzo Lombardo, l'aggiunto Salvatore Murone, il procuratore di Crotone Raffaele Mazzotta, i questori di Catanzaro e Crotone, il capo della Squadra mobile della città pitagorica Angelo Morabito, il capo della sezione criminalità organizzata della Mobile del capoluogo calabrese Saverio Mercurio. «Il dato giudiziario più rilevante dell'inchiesta - ha aggiunto Ledonne - è proprio quello che conferma l'esistenza di una «borghesia» mafiosa, quella zona grigia che consente alla criminalità di infiltrarsi nell'amministrazione tentando di alterarne gli equilibri, e che oggi ci viene indicata dagli elementi relativi e gravi episodi di corruzione di esponenti delle istituzioni, e di interferenza anche nello svolgimento delle ultime elezioni comunali del 2006».

LE DUE COSCHE - A tanto sarebbe giunto il cartello dei Papaniciari, decapitato da un'indagine definita «storica» dagli investigatori, «perché per la prima volta sono state coinvolte e colpite in concreto e globalmente le due espressioni della cosca in guerra tra loro per il controllo delle attività criminali sul territorio. Da una parte il gruppo facente capo a Mico Megna, boss subentrato a Luca Megna ucciso lo scorso 22 marzo; dall'altra quello capeggiato da Leo Russelli, finito in carcere lo scorso luglio, ed ora retto dal fratello del boss, Francesco Russelli». Se infatti nel precedente filone d'indagine sfociato nell'operazione «Eracles» ci si era preoccupati di individuare i vertici del cartello, con il naturale prosieguo delle investigazioni, sfociato in «Perseus», «si è fatta terra bruciata attorno ai capi - ha rimarcato Ledonne -, colpendo affiliati e uomini di fiducia». Quasi tutti soggetti incensurati, ha chiarito Morabito, oggi indagati, oltre che per associazione mafiosa, per reati fine che vanno dalla detenzione di arsenali di armi da fuoco, alle estorsioni e danneggiamenti contro imprenditori locali, al traffico di eroina, cocaina, hashish e marijuana. Soggetti identificati grazie ad un paziente lavoro di intelligence ampiamente elogiato oggi dai magistrati, che ha visto operare in stretta sinergia le Squadre mobili di Catanzaro e Crotone, con il supporto del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, sotto la guida di Sandro Dolce, sostituto procuratore antimafia di Catanzaro, e Pierpaolo Bruni, sostituto in servizio a Crotone e da tempo applicato alla Dda, con la collaborazione della Procura nazionale antimafia. Una cooperazione essenziale, questa, per conseguire risultati significativi specialmente «su un territorio in grave difficoltà - ha detto Mazzotta -, dove c'è una fortissima richiesta di legalità. In questo senso abbiamo dato un segnale importante della presenza dello Stato e della nostra efficienza - ha aggiunto -, nonostante si debba fare i conti con carenze di organico e di mezzi».

Nota: di seguito scaricabile il pdf di un altro articolo sul tema proposto dal Corsera il 26 novembre, eddyburg.it segue da tempo il caso Europaradiso, a partire dalla descrizione del progetto di Carlo Lania dal manifesto. Per gli altri basta fare un ricerca a parola chiave "europaradiso" nel motore interno (f.b.)

La commissione Urbanistica dice sì alla delibera sulle aree Peep e avvia l´iter per la realizzazione di 7.200 alloggi, anche in verde agricolo. Da Borgo Molara a Cruillas, da Passo di Rigano a Uditore: per i costruttori e le coop edilizie si aprono le porte per la realizzazione di alloggi tutti in variante allo strumento urbanistico. Lo studio sul fabbisogno abitativo approvato dalla commissione entro quindici giorni approderà in Consiglio comunale.

La commissione Urbanistica dice sì alla delibera sulle aree Peep e avvia l´iter per la realizzazione di migliaia di alloggi, anche in verde agricolo. Da Borgo Molara a Cruillas, da Passo di Rigano a Uditore, da Pagliarelli a Partanna: per i costruttori si aprono le porte per la realizzazione di alloggi tutti in variante allo strumento urbanistico. Lo studio sul fabbisogno abitativo, propedeutico al piano di edilizia economica e popolare, approvato ieri dalla commissione, entro quindici giorni approderà in Consiglio comunale.

Il sì all´atto di Sala delle Lapidi, infatti, sbloccherà la realizzazione di settemila e duecento case, secondo la studio sul fabbisogno abitativo redatto dal professor Sergio Vizzini dieci anni fa. Tremila e duecento saranno realizzati come edilizia agevolata, da cooperative e imprese, gli altri in edilizia convenzionata a carico di Stato o Regione. La delibera, che è solo un primo passaggio, darà il via libera a uno studio per verificare se in dieci anni è cambiato il fabbisogno abitativo: se, in sostanza, 7.200 alloggi sono troppi o troppo pochi.

Subito dopo verrà stilato il piano di settore: verranno individuate, cioè, le aree Peep, quelle sulle quali costruire. La delibera parla chiaro: potranno diventare Peep solo alcune tipologie di aree. Da quelle in verde agricolo, che non sono state escluse, a quelle cosiddette «destrutturate», cioè incomplete o con abusi edilizi in prossimità delle borgate oppure ex zone industriali dismesse.

La delibera approvata dalla commissione, cancella la possibilità di costruire sulle aree destinate a servizi e non esclude il recupero degli edifici esistenti, a partire dal centro storico. Ma è nella cintura esterna della città che si concentrerà la scelta: da Borgo Molara a Cruillas, da Passo di Rigano a Uditore fino a Partanna Mondello. E costruttori e coop sono pronti a riproporre i piani costruttivi finora bocciati. «Sia chiaro però - dice il presidente della commissione Urbanistica, l´Udc Gerlando Inzerillo - le aree saranno scelte solo dopo un nuovo studio sul fabbisogno e verranno assegnate attraverso un bando pubblico».

Tra gli emendamenti che la commissione porterà in aula, c´è quello presentato dal consigliere del Pd Rosario Filoramo che prevede un protocollo d´intesa con la prefettura sia per individuare le aree che per assegnarle. Un altro ordine del giorno di peso, che diventerà un emendamento con il piano di settore, lo presenterà il capogruppo di Forza Italia, Giulio Tantillo, per rispondere all´emergenza casa: «Vorrei dare la possibilità alle cooperative di aumentare la volumetria delle costruzioni - dice - a patto che loro destinino il dieci per cento delle case al Comune. Alloggi che noi utilizzeremo per l´emergenza abitativa».

La delibera che arriverà in Consiglio comunale entro quindici giorni ha scatenato per mesi le polemiche: dalle associazioni ambientaliste, che temono l´assalto al verde agricolo sopravvissuto nella Conca d´oro, all´opposizione che non si fida di uno studio vecchio di dieci anni, fino alle cooperative che invece premevano perché l´atto fosse approvato. Da più di un anno, infatti, il Consiglio comunale respinge tutte le proposte di piani costruttivi in variante urbanistica. Le coop, che hanno già ottenuto finanziamenti per 2 mila alloggi, una volta che sarà pronto il piano di settore sono pronte a tornare alla carica. «Sempre ammesso che i criteri che sceglieranno ce lo permettano», dice Francesco Leone, referente di diverse coop che si è visto bocciare il progetto per 148 case in via Lauducina, zona Messina Marine, quello per la realizzazione di 45 villette a Borgo Molara e quello per 32 alloggi a Ciaculli.

In commissione, però, non tutti hanno votato sì alla delibera. Maurizio Pellegrino, del Pd, e Nadia Spallitta, di Un´Altra storia, si sono astenuti. Per Pellegrino «7.200 alloggi sono troppi». «Basta pensare - dice - che negli ultimi dieci anni sono state realizzate 500 case popolari. L´atto non mi convince: stiamo tornando alla cementificazione?». Per Nadia Spallitta, che ha presentato un ordine del giorno approvato sulla salvaguardia del verde agricolo, «non si conosce quale sia l´effettivo fabbisogno abitativo. La delibera Peep si fonda sul censimento del 1991 mentre ne esiste uno del 2001 che registra un decremento della popolazione di oltre 30 mila unità». Giuseppe Messina, di Legambiente. lancia un monito al Comune: «Attenti al verde agricolo».

«L’ invasione del cemento sul lago di Garda è un orrore per ogni persona di buon senso... » Vittorio Messori, scrittore cattolico di fama mondiale, usa un tono deciso e parole forti: «Qui si vive una quotidiana sofferenza nel vedere prati bellissimi, ruscelli, boschetti e uliveti devastati da distese di capannoni commerciali e di lottizzazioni che sembrano conigliere. A lasciare sbalorditi è l'insipienza, la folle idiozia che spinge tanti amministratori, non necessariamente corrotti, a distruggere spiagge e colline per dare sempre nuovi spazi alle cosiddette seconde case: squallidi sottoprodotti edilizi, abitati per due settimane all'anno da anonimi soggiornanti che sul lago non lasciano soldi, ma soltanto rifiuti». Messori vive da 15 anni a Desenzano del Garda e, insieme al cantautore Roberto Vecchioni e a decine di «cittadini senza tessere di partito»', si è speso in pubbliche iniziative contro «la masochistica distruzione di un territorio che con la sua bellezza è un capitale unico e irripetibile». Un impegno civile ripagato con lettere anonime, danneggiamenti e minacce di morte. «Intimidazioni di stampo mafioso», secondo la Questura di Brescia. Forse basta questa vergogna - minacce criminali per zittire uno scrittore che ha firmato libri con due papi, Wojtyla e Ratzinger - a misurare quanto sia diventato sporco il business dell'edilizia sul più grande lago italiano. Italia Nostra ha contato le "nuove abitazioni" costruite in 14 paesi della Riviera bresciana dal 1981 al 2001 (data dell'ultimo censimento Istat), scoprendo che sono aumentate del 47 per cento. E come se nel giro di quattro amministrazioni fossero spuntati dal nulla sette nuovi comuni, fatti tutti di seconde case: solo cemento e asfalto, senza abitanti. Dal 2001 al 2007 poi, il boom dei prezzi ha scatenato un altro sacco urbanistico. E ora incombe una nuova ondata di cemento.

Sommando solo i progetti già in cantiere nei tanti piccoli comuni sparsi tra Brescia, Verona, Mantova e Trento, si supera abbondantemente il tetto di oltre un milione di metri cubi di nuove costruzioni. Un business da 2 miliardi di euro, che sta già muovendo plotoni di speculatori, faccendieri e politici locali. Ma la mole degli interessi edilizi comincia a calamitare, per la prima volta in queste province del Nord, anche soldi di comprovata origine mafiosa. Mentre la costa bresciana è invasa da capitali sospetti di ricchissimi affaristi russi. II Garda è un tesoro naturale che ogni estate arricchisce i suoi 320 mila residenti: circa 3 miliardi di ricavi garantititi da oltre 20 milioni di presenze turistiche.

Ad attrarre soprattutto tedeschi e olandesi sono l’ambiente e il paesaggio. Con la sua grande estensione e profondità, il lago è un bacino di 49 chilometri cubi d'acqua dolce, protetta dalle colline moreniche, che creano un'isola di clima mediterraneo incastonata tra la Pianura padana e le Prealpi. Olivi, cipressi, lecci e oleandri crescono spontanei e gran parte delle spiagge sono affollate di bagnanti. Almeno per ora. L'inquinamento da scarichi fognari è stato limitato, dopo i disastri di Tangentopoli, dal maxi-depuratore di Peschiera. Ma il boom di nuove costruzioni supera le capacità di smaltimento. E mette a rischio il fiume Mincio e i laghi di Mantova. Testimonia Barbara Meggetto di Legambiente: «Tutti i punti del Mantovano controllati dalla nostra Goletta dei laghi risultano inquinati da colibatteri. Abbiamo prelievi che superano di 55 volte i limiti di legge».

Eppure la cementificazione continua. Anzi, peggiora. Un esperto magistrato della zona riassume schiettamente: «La Dc di una volta era clientelare anche con l'edilizia, ma aveva il senso del peccato. Oggi troppi assessori e progettisti hanno perso ogni pudore nel mescolare affari e politica». Il problema è politico-economico: qui un terreno agricolo vale 20-30 euro al metro quadrato; se ha una vista lago, anche parziale, arriva a 40-60; ma appena diventa edificabile, il prezzo schizza a 400-500. E ogni mini-appartamento finito si vende a 4-5 mila euro al metro. Come dire: paghi 1, vinci 200. E a regolare la lotteria dell'edilizia, cioè a decidere chi può facilmente fare montagne, è la politica. Divisa in tante piccole giunte e partitini imbottiti di geometri, ingegneri, speculatori e costruttori.

L'ultima operazione-scandalo è la grande truffa dei finti alberghi. A Peschiera del Garda i giudici veronesi hanno sequestrato per lottizzazione abusiva un maxi villaggio in località San Benedetto: 375 appartamenti, con negozi e piscine, controllati dal più ricco costruttore locale attraverso l'immobiliare Sermana. E già venduti per 110 milioni a tanti investitori ora inferociti. Perché il Comune aveva autorizzato una «residenza alberghiera», divisa sì in casette, ma da gestire come un hotel. Invece i presunti furbetti del Garda li hanno venduti come singole villette. Ora sotto sigilli. Proprio la destinazione ad albergo, da riempire tutto l'anno di turisti, consentiva ai politici interessati di zittire il malcontento popolare contro l'inflazione di seconde case. Ora anche l'attuale sindaco leghista giura di non essersi mai accorto, in 15 anni di progetti e lavori, che quelle "residenze alberghiere" in realtà erano in vendita. Con tanto di rogiti. O con strane "cessioni di quote societarie" che per puro caso coincidono con la singola micro-casetta.

L'esposto di Legambiente da cui è nata l'indagine riguarda anche le "lottizzazioni-albergo" Pioppi, Bassana e Conta. Ma altri "villaggi-hotel" sono in cantiere sulle colline da Lonato a Cavaion. Il sequestro dei 932 posti letto di Peschiera per ora ha avuto solo il miracoloso effetto di fermare le ruspe a Pacengo. Dove la Cooperativa Azzurra, rasi al suolo decine di platani secolari, aveva già cominciato a vendere le sue "residenze alberghiere". Lo scorso marzo la Cassazione ha ribadito che il trucco dei finti alberghi resta reato. Ma la lobby del mattone sta brigando, in Regione Veneto, per regalare ai Comuni il potere di sanare gli abusi. Le nuove speculazioni minacciano boschi e vigneti. Il panorama è impressionante soprattutto se lo si va a vedere dal lago, in barca. A Castelnuovo del Gardaland (soprannome del Comune con il parco-divertimenti più grande d'Italia) i fabbricati tra gli ottovolanti e i megaparcheggi occupano l'intera fascia a lago. A Lazise il regno del cemento (e degli abusi condonati) è Caneva, il parco acquatico ora raddoppiato con Movieland: mostruosi capannoni in calcestruzzo in riva a un maxi-porto.

A Bardolino, dove negli anni '70 un sindaco dc firmò centinaia di licenze la notte prima del piano regolatore, la giunta di Forza Italia sta varando un'altra mega-darsena al posto del campeggio pubblico. Il sindaco dovrebbe astenersi, visto che gestisce due camping privati concorrenti, ma l'opposizione teme l'alterazione delle correnti (l'effetto "lago morto") e nuovo cemento. Lo sponsor politico è Aldo Brancher, l'ex tangentista della Fininvest (reati prescritti grazie all'abolizione del falso in bilancio) che ora è il più potente parlamentare locale: all'assemblea di presentazione del porto ha dato degli «imbecilli» ai cittadini che si oppongono allo sviluppo turistico. Risalendo a nord, la piana del comune di Garda, le pendici montane da Albisano a San Zeno, le colline tra Costermano e Cavaion sono una distesa di villini e condomini. Approvati da giunte di destra e di sinistra. E a Torri è in cantiere l'ennesimo porto turistico. Sulla Riviera bresciana le colline sembrano più grigie che verdi. Tra Desenzano e Sirmione c'è tanto cemento che il parroco della frazione di Rivoltella è arrivato a tuonare dal pulpito contro «un'edilizia immorale». A Toscolano-Maderno il piano regolatore che autorizza mille nuove abitazioni è già stato superato da deroghe e varianti. A Padenghe la lunga spiaggia bianca è stata cancellata da una «passeggiata artificiale con cemento anti-lago e ciottoli grigi da cava», finanziata dalla Regione Lombardia. A Manerba la cascata di Dusano è inglobata in un condominio-residence. Tra le scogliere di Campione, la Coopsette ha comprato per 20 milioni un capolavoro di archeologia industriale e l'ha quasi tutto abbattuto per farne un polo turistico da 160 mila metri cubi con 1.450 parcheggi. È un piano da 200 milioni.

Nell'alto lago trentino, che è un paradiso delle vele, la navigazione a motore è vietata, i depuratori funzionano e la legge Gilmozzi frena le seconde case. Ma il passato pesa: a Riva del Garda è urbanizzato il 44,83 per cento del comune, a Nago-Torbole il 48,90. Dopo tanto cemento, ora sul Garda comincia a nascere una società civile. Che crea comitati «contro la superstrada del Monte Baldo» o associazioni «per il parco delle colline moreniche». L'architetto Rossana Bettinelli, vicepresidente nazionale di Italia Nostra, spiega il perché con un esempio: «L'antica piazza di Bogliaco oggi è un deserto di seconde case. Troppe lottizzazioni restano vuote ma consumano per sempre il territorio. E i cittadini ora si mobilitano». Con qualche rischio.

Lo scrittore Messori è l'anima del comitato che sta aiutando la Soprintendenza a salvare il verde che circonda l'abbazia-capolavoro di Maguzzano. Non ama parlarne ( «Non voglio fare l'eroe»), ma da allora è minacciato: «È vero, ho ricevuto lettere anonime, di quelle coi caratteri ritagliati dai giornali. C'è stato un crescendo, dagli insulti alle minacce di morte. Mi hanno anche spaccato i vetri della macchina, più volte. Sono perfino entrati con i bastoni dentro l'abbazia per fracassarmi l'auto e minacciarmi. Il questore di Brescia era preoccupato, ha voluto farmi denunciare tutto alla Direzione antimafia e manda la polizia qui a sorvegliarmi». L'overdose di cemento e turismo ha da tempo trasformato il Garda in un ipermercato di droga e prostituzione. Ma al peggio non c'è limite. Il mese scorso la polizia ha scoperto che, dietro i due incendi che hanno distrutto le più famose discoteche del Garda (Sesto Senso e Lele Mora House), c'era una presunta faida criminale tra i due imprenditori del divertimento, Leo Peschiera e Piervittorio Belfanti. Un rogo era la vendetta per l'altro, secondo l'accusa, in un incrocio di estorsioni, rapimenti di personale, pestaggi e agguati armati. Altre due discoteche, Backstage (ex Biblò) e Lamù, sono state sequestrate dai magistrati nel luglio 2007, con il primo blitz contro i patrimoni mafiosi mai eseguito nel Bresciano: 49 immobili turistici controllati dalla camorra di Afragola e dalla 'ndragheta di Gioia Tauro. Messori ride amaro: «Sul Garda sembrava impossibile, ma stiamo diventando una zona di lupara».

I lettori di eddyburg forse ricordano la vicenda del complesso Macrico di Caserta. È un'area centralissima, oltre 32 ettari, nel cuore della città, fino al 2001 utilizzata dall’esercito per la manutenzione di mezzi corazzati (il nome è l'acrostico di MAgazzino Centrale Ricambi mezzi Corazzati) . Subito dopo la dismissione, si è costituito un comitato per contrastare le speculazioni edilizie in agguato e per fare del Macrico il primo parco pubblico del capoluogo di Terra di Lavoro, senza neppure un metro cubo di cemento, recuperando solo il costruito esistente. Il comune di Caserta è di fatto privo di verde pubblico, anche per colpa del diffuso e perverso convincimento che il bisogno di spazi verdi sia ampiamente soddisfatto del parco della reggia voluta da Carlo III di Borbone, come se fosse questo l’uso cui adibire un bene monumentale di così grande importanza, sotto tutela dell’Unesco.

Il comitato per il Macrico ha agito in modo esemplare. All’inizio, furono raccolte in poche settimane oltre diecimila firme. Nel 2002, non riuscendo ad avere valide risposte dall’amministrazione comunale e dai partiti, il comitato costituiva una lista civica, “Macrico verde”, che eleggeva al consiglio comunale Maria Carmela Caiola, presidente di Italia nostra. Fu anche lanciata l’idea, sostenuta a livello nazionale dalla medesima associazione, di un azionariato popolare per l’acquisto del Macrico con lo slogan “50 euro per rimanere al verde” (50 euro per un metro quadro di parco). All’inizio del 2007, si è svolta una grande manifestazione – con la proiezione del film I have a green realizzato da un centro sociale – che ha visto il teatro comunale pieno in ogni ordine di posti, gente in piedi, pubblico entusiasta e variegato: scolaresche, insegnanti, madri, anziani, esponenti delle associazioni cittadine, tutti a testimoniare la grande voglia di verde.

Nell’ottobre 2007, l’obiettivo sembrò a portata di mano. L’occasione era fornita dalla celebrazione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità nazionale (1861-2011), evento per il quale sono previsti progetti speciali in tutto il Paese di concerto tra governo, regioni ed enti locali. Tra le idee approvate, la costruzione del Parco dell’Unità d’Italia all’interno dell’area Macrico. Il governo, la regione Campania, la Provincia e il comune parevano intenzionati a realizzare davvero, entro il 2011, il gran parco pubblico del Macrico.

È stato un abbaglio. Lunedì scorso 25 agosto è venuta fuori l’amara verità: il Macrico non sarà un parco verde ma un ammasso di cemento e di asfalto. Così ha deciso la conferenza dei servizi indetta presso la presidenza del Consiglio dei ministri dal comitato per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Alla conferenza hanno partecipato la regione Campania, la provincia e il comune di Caserta, la prefettura, i vigili del fuoco. Solo la soprintendenza ai beni architettonici ha mosso obiezioni. Il progetto approvato prevede, su un’area di poco più di 32 ettari, nuova edificazione per oltre 360 mila metri cubi. Considerando i 110 mila mc da recuperare, risulta una densità insediativa pari a quasi 1,5 mc/mq, un’autentica speculazione fondiaria. È previsto di tutto: un auditorium da 1.200 posti, un museo, alloggi e mensa per studenti, un polo fieristico, un incubatore d’imprese, uffici, bar ristoranti. E ancora, un’area mercatale, una sezione di riabilitazione medica, un centro benessere, una biblioteca. Infine, parcheggi interrati e nuove strade.

Allora, addio Macrico verde? La speranza è che i sostenitori del progetto non abbiano fatto i conti con la capacità di mobilitazione di Italia nostra, delle decine di associazioni e comitati che hanno inventato e sostenuto l’idea del parco pubblico. Senza cemento e senza asfalto.

Sull'argomento in eddyburg anche la nota di Italia nostra e l'articolo di Dacia Maraini

Nella partita per la tutela del paesaggio intorno al centro storico di Mantova, i costruttori segnano un punto a loro favore. Il Tar ha accolto parte del ricorso contro il vincolo che la Soprintendenza ha posto su tutte le sponde dei laghi che abbracciano le mura del Palazzo Ducale e del castello di San Giorgio. Il provvedimento avrebbe impedito la costruzione di un intero quartiere, 180 mila metri cubi, su un´area di oltre 30 ettari proprio di fronte ai due gioielli dell´architettura rinascimentale. Ma i giudici amministrativi hanno sostenuto che l´istruttoria della Soprintendenza non è stata adeguata. E dunque il vincolo decade, almeno nella parte che riguarda specificamente l´aera interessata alla lottizzazione.

Per la Soprintendenza e per il Comune di Mantova è un brutto colpo. Che però non scoraggia il sindaco Fiorenza Brioni, che da anni si batte per bloccare l´insediamento. «Andremo avanti», dice il primo cittadino, «ho già chiesto incontri con il soprintendente e con il direttore regionale e parlerò anche con il ministro Sandro Bondi. Faremo ricorso al Consiglio di Stato, non vogliamo rassegnarci all´idea che sorga un intero quartiere di fronte al Palazzo Ducale: sarebbe lo scenario che si spalanca allo sguardo di chi si affaccia dalla Stanza degli Sposi affrescata da Andrea Mantegna». Anche il soprintendente ai beni architettonici, Luca Rinaldi, che insieme all´allora direttore regionale, Carla Di Francesco, ha preparato il vincolo, difende il provvedimento e farà valere le sue ragioni.

La vicenda inizia nel 2004, quando venne presentato il progetto, per il quale fu approvata una variante urbanistica. Ma nel 2005 il nuovo sindaco, Fiorenza Brioni, avviò le procedure per annullare la lottizzazione. Con lei si schierò molta parte della città, preoccupata che la percezione del paesaggio urbano di Mantova venisse alterata dalle costruzioni, un paesaggio urbano raffigurato da tanti pittori rinascimentali - Mantegna fra questi - e diventato con il suo contesto di verde e di acqua uno dei patrimoni dell´arte e dell´architettura italiana (a luglio scorso la città, con le sue pietre e il suo sfondo naturale, è entrata a far parte dei siti tutelati dall´Unesco). Dopo un lungo braccio di ferro con la proprietà dell´area, è arrivato nell´aprile del 2007 il vincolo di inedificabilità assoluta su tutte le sponde dei laghi.

La questione sembrava chiusa. Ma i costruttori hanno fatto ricorso. E il Tar ha dato loro ragione. L´impianto complessivo del vincolo va mantenuto. Va invece annullato nella parte che riguarda i 30 ettari interessati alla lottizzazione. La Soprintendenza, si legge nella sentenza, non avrebbe sufficientemente motivato il danno arrecato al patrimonio architettonico dalle costruzioni. La battaglia continua.

Quella che si è verificata nelle ultime due settimane ha costituito una formidabile e per molti aspetti inaspettata esperienza di partecipazione democratica: 1.000 firme inviate in pochi giorni al nostro sito da parte di cittadini e organizzazioni contattate per catene selettive per chiedere a chi governa in Regione Lombardia di cestinare l’emendamento alla legge di governo del territorio che avrebbe consentito di urbanizzare i parchi regionali!

Il risultato praticodella nostra iniziativa è noto: per ora le ipotesi di riforma delle legge sono accantonate.

Certamente il risultato ottenuto non è frutto soltanto della nostra raccolta di firme. Altrettanto importanti per contrastare l’emendamento proposto dall’Assessore al Territorio Davide Boni sono stati l’impegno dei consiglieri regionali dell’opposizione e la mobilitazione delle associazioni ambientaliste.

Ma pensiamo di poterlo affermare con orgoglio: eddyburg.it ha funzionato come catalizzatore e acceleratore di iniziative. Forse perché eddyburg non ha nel suo Dna un ruolo “politico” in senso stretto; forse perché nel suo archivio è possibile trovare il meglio della riflessione della cultura urbanistica nazionale e internazionale sui nuovi modi di governo del territorio; forse perché gli accessi al nostro sito hanno avuto un sensibile incremento, riteniamo di aver svolto un ruolo importantein questa mobilitazione della società civile non solo lombarda, ma soprattutto lombarda e milanese.

Si tratta di una vittoria parziale: la riproposizione di modifiche alla legge regionale è stata annunciata per il prossimo gennaio…probabilmente quando si saranno calmate le acque e, quando, in particolare, alcune decisioni cruciali saranno state ormai prese. Naturalmente il riferimento diretto e contingente riguarda l’aggiudicazione del progetto per l’Expo del 2015 a Milano: come si sarebbe potuto accreditare presso il BIE l’immagine di una amministrazione locale lungimirante e vocata all’ambiente e, nel frattempo, approvare una ennesima disposizione deregolativa contro le ormai scarse riserve di territorio non compromesso della nostra regione, e soprattutto della sua principale area metropolitana, quella milanese? Come si sarebbe riusciti a “non dare nell’occhio” con una così vistosa mobilitazione della società civile?

Ma sullo scriteriato emendamento proposto dall’assessore Boni, e sui suoi sponsor politici ed economici, molto abbiamo scritto su questo sito e molto è stato evidenziato nei comunicati stampa emessi in questo periodo dai gruppi di opposizione, dalle associazioni ambientaliste e dagli organi di stampa.

Qui vogliamo invece provare a raccontare brevemente come ha preso forma e forza quello che noi consideriamo un importante processo di “partecipazione dal basso”; un processo che ha assunto dimensioni che sono andate ben al di là delle nostre aspettative e che ha rischiato anche di sommergerci…e lo facciamo in particolare per tutti coloro chi ci hanno dato la loro generosa e pronta adesione.

La vicenda ha inizio nei primi giorni di novembre, quando ci giunge la notizia dell’intenzione dell’assessore Boni di presentare alla Commissione V, fra le già numerose criticabili modifiche proposte dalla maggioranza alla LR 12/2005, anche un emendamento pericolosissimo che mette a rischio la sopravvivenza del territorio dei parchi regionali.

Questa proposta non solo rappresenta un’ulteriore pesante ipoteca per il territorio della Lombardia, ma appare come una autentica aggressione a Milano, già provata dall’urbanistica derogativa e dai grandi progetti meramente speculativi approvati dalla Giunta, e al suo territorio ancora non urbanizzato.

La proposta viene inoltre presentata quando è da poco tempo stata presentata la proposta di revisione del Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Milano che ha lanciato un preciso allarme sugli ingenti consumi di suolo per urbanizzazione in atto sul territorio milanese, indicando come priorità una giudiziosa densificazione e, in particolare, la salvaguardia perenne di quella preziosa e residuale risorsa territoriale ed ambientale costituita dal Parco Sud Milano.

Eddyburg , che da molto tempo ha fatto del tema dei consumi di suolo e del controllo dello sprawl un momento centrale delle proprie riflessioni, si interroga sul che fare.

Si parte in sordina, con qualche scambio di opinioni all’interno della redazione, e si decide di “fare qualcosa”.

Una volta ricevuta conferma che l’assessore Boni intende sottoporre ad approvazione l’emendamento nella seduta della Commissione V programmata per il 21 novembre, si decide di lanciare attraverso il nostro sito un appello dal titolo “Lombardia vergogna d’Europa?” per chiederne il ritiro e di farlo circolare al nostro indirizzario: con un po’ di preoccupazione per il carico di lavoro che inevitabilmente ci dovremo sobbarcare, ma anche con la consapevolezza che occorre impegnarsi in questa ennesima battaglia per la difesa del territorio, così come l’avevamo fatto con successo per scongiurare l’approvazione della famigerata “Legge Lupi”.

Inizialmente utilizziamo appunto i nostri indirizzari di amici, prevalentemente frequentatori di eddyburg. Si tratta di qualche decina di nomi (prevalentemente urbanisti, accademici e amministratori locali) che ricevono il nostro appello a partire dal 13 novembre, quando si dispone del testo definitivo dell’Art. 13 bis. Subito dopo inseriamo lo “strillo”, con il link all’appello, nella homepage di eddyburg, dove aggiorniamo quotidianamente il numero delle adesioni.

Da quel momento si attiva immediatamente una sinergia fra eddyburg e alcune associazioni ambientaliste; decidiamo di non affidare la raccolta di firme a un sito web specializzato checertamente ci risparmierebbe molto lavoro organizzativo, ma avrebbe il difetto di rendere le adesioni forse più numerose, ma certamente molto più generiche e non rappresentative.

La risposta al nostro appello risulta da subito molto superiore alle aspettative: prima della riunione del 21 novembre della Commissione V raccogliamo 450 firme che provvediamo a inviare agli indirizzi di tutti i componenti la Commissione V, al Presidente della Regione, al presidente della Provincia di Milano e all’assessore al territorio della Provincia di Milano.

Vista la reazione dei cittadini, la Commissione V decide di rinviare la decisione alla settimana successiva.

A questo punto pensiamo che il nostro compito sia terminato.

Ma la informazione continua a circolare: alle iniziative diffuse di raccolta di adesioni al nostro appello, si aggiungono i comunicati stampa di alcuni partiti e consiglieri regionali dell’opposizione, gli articoli sulla carta stampata ed anche una trasmissione di Report, già da lungo tempo programmata, che ha il merito di far conoscere a tutti in maniera chiara e documentata lo scempio urbanistico che il connubio fra amministratori e grandi cordate immobiliari sta perpetrando a Milano.

In quella settimana di attesa della nuova seduta della Commissione V si è verificato un evento che non avevamo previsto: il ritmo delle adesioni al nostro appello anziché attenuarsi è diventato incalzante; ma, soprattutto, è cambiata sensibilmente la provenienza delle adesioni: non più soltanto le adesioni di specialisti, accademici, militanti delle grandi associazioni ambientaliste, ma sempre più invece adesioni che provengono dal più ampio spettro delle professioni, da semplici cittadini, da molti pensionati, da comitati spontanei locali.

La sera precedente la seconda riunione della Commissione consiliare, che si è tenuta il 28 novembre, siamo stati in grado di inviare ai suoi Componenti la notizia che avevamo raggiunto le 1.000 firme! E molte se ne sono aggiunte, e continuano ad aggiungersi, anche successivamente.

Come già sottolineato, un primo risultato è stato raggiunto: la discussione sul pacchetto di modifiche alla legge 12 è stata rinviata genericamente a gennaio.

Ma la massiccia mobilitazione dei cittadini ha certamente prodotto un altro risultato: ha indicato che “la partecipazione serve”.

Altrove, soprattutto nelle regioni economicamente più avanzate (e la maggioranza che governa la Regione e il Comune capoluogo continua a farsi un vanto di annoverarsi fra le regioni “locomotiva d’Europa”) il territorio dei parchi regionali è considerato risorsa ambientale preziosa e severamente tutelata . Altrove, nelle più ricche regioni europee, le leggi urbanistiche non vengono modificate in maniera discrezionale per singoli capitoli o articoli sulla base delle aspettative di grandi interessi privati contingenti e senza avere dimostrato, attraverso processi formalizzati e trasparenti di discussione pubblica, il valore aggiunto in termini di vantaggi collettivi di una eventuale revisione. Altrove, leggi ad personam o emendamenti ad personam, come quelli di cui trasuda l’attività legislativa in materia di governo del territorio della Regione Lombardia, avrebbero già provocato la delegittimazione e il discredito della sua classe dirigente.

Non sappiamo fare previsioni su come andranno le cose in Regione dopo gennaio; ma invitiamo tutti a tenere alta l’attenzione.

Grazie dunque ancora a tutti i cittadini e associazioni che hanno firmato (presto inseriremo l'elenco completo delle adesioni) e…leggete in questo file alcuni dei messaggi con cui avete prospettato ai decisori, con le vostre riflessioni critiche e propositive, quale sarebbe la giusta rotta da seguire.

E grazie di cuore anche a Davide Boni, che interpretando nel modo piuttosto diretto ed esplicito le indicazioni di alcuni interessi, nello stile caratteristico della sua parte politica, ha messo in luce in modo molto chiaro e comprensibile quali fossero gli orientamenti della maggioranza di governo regionale. È anche grazie alla sua goffaggine, che tutti abbiamo capito benissimo. E reagito.

A presto

La scomparsa delle colline ora il cemento cancella i vigneti

di Jenner Meletti

Ecco, il "Centro Oli" dell´Eni dovrebbe cominciare qui, dove partono i filari di vitigni chardonnay. La campagna sembra un giardino, con il mare davanti e la Maiella alle spalle. Fra poco arriveranno le ruspe a abbatteranno tutto. Dodici ettari di viti preziose lasceranno lo spazio al Centro Oli, che non c´entra nulla con olive ed extravergine ma è solo la traduzione volutamente ingannevole di "Oil center", centro petrolio. In pratica: un impianto di prima raffinazione del petrolio estratto da due piattaforme che sono in mare e da altri pozzi in allestimento in mezzo Abruzzo. «Noi non vogliamo - dice Raffaele Cavallo, presidente Slow Food in questa regione - che anche qui appaiano i cartelli che sono stati affissi a Viggiano, in Basilicata, in un impianto simile a quello che si vuol costruire sulle nostre colline. «Idrogeno solforato: velenoso, infiammabile ed esplosivo. Non fidarsi dell´odorato per accertare la presenza di gas. L´idrogeno solforato paralizza il senso dell´odorato». Siamo nella regione più verde d´Italia, con tre parchi nazionali. I vini doc Montepulciano e Trebbiano d´Abruzzo finalmente rendono la giusta mercede a migliaia di contadini che grazie ai vigneti non sono stati costretti all´emigrazione. Perché vogliamo rovinare tutto?».

Petrolio in mezzo ai vigneti del Moltepulciano, Alta velocità che spazza via il 20% del Lugana doc al lago di Garda, un cementificio che vuole «mangiare» altre colline proprio nel cuore dell´Amarone in Valpolicella. Un tempo tutto questo sarebbe stato chiamato «progresso»: con le buste paga dell´industria i contadini poveri hanno cambiato la loro vita. «Ma l´industria del petrolio - raccontano Giancarlo Di Ruscio e Carmine Rabottini, presidenti delle cantine sociali di Tollo - arriva a mettere radici da noi in ritardo di decenni. La povertà per fortuna è un ricordo. Le nostre cooperative, con 1.360 soci, hanno un fatturato di 40 milioni di euro. Nell´ortonese, dove sorgerà l´impianto Eni, il vino incassa 150 milioni. Noi non siamo i talebani dell´ambiente. Abbiamo accolto a braccia aperte industrie come la Savel del gruppo Fiat e la Honda che sono in fondovalle e distribuiscono migliaia di salari. Ma il petrolio oggi non porta nemmeno posti di lavoro. Per il Centro Oli sono previste 27 assunzioni, con un investimento di 120 milioni di euro. Il danno per noi sarebbe terribile. Sta andando forte il turismo colto, di chi viene a comprare il vino doc ma vuole vivere qualche ora in mezzo a una natura intatta».

Per ora i lavori sono bloccati, con una delibera regionale che impedisce ogni costruzione sulla costa, ma solo fino alla fine dell´anno. Il presidente della Regione Ottaviano Del Turco è favorevole al Centro Oli, contrari gli assessori ad ambiente, sanità e turismo. «Il fatto grave - dice Raffaele Cavallo di Slow Food - è che nessuno aveva parlato di una industria così pesante. Il centro veniva presentato come un deposito di petrolio e niente altro. Solo da pochi mesi abbiamo saputo che si tratta invece di un impianto con un pesantissimo impatto ambientale. Le spiagge di Francavilla sono quasi sotto la collina del Centro Oli, Pescara è a soli 13 chilometri. Non vogliano finire come a Viggiano, che 15 anni fa ha accolto il centro Eni come una benedizione perché tanti disoccupati speravano in un lavoro. Il lavoro è sempre scarso e un quarto della popolazione è fuggita perché non vuole convivere con l´idrogeno solforato che puzza di uovo marcio».

È passato più di un secolo da quando "sembrava il treno stesso un mito di progresso". Oggi, a Peschiera del Garda, i produttori del Lugana doc sono invece arrabbiati perché la linea della Tav vuole cancellare il 20% dei loro vigneti. «Il progetto per questa linea ferroviaria - dice Francesco Montresor, presidente del consorzio che tutela questo vino - è del 1991 e 17 anni oggi sono un secolo. Chi immaginava, allora, il petrolio a 118 dollari al barile? Quando un ingegnere, nel suo studio milanese, ha tracciato una riga sulla carta geografica ed ha stabilito che la Tav doveva passare da Desenzano, Peschiera e Sirmione, si pensava che costruire, produrre e consumare fosse comunque positivo. Adesso si ragiona in modo diverso: si è capito che il progresso è consumare meno, tutelare, conservare. Vuol dire valorizzare la nostra storia e le nostre radici. Già Gaio Valerio Catullo esaltava la "Lucana silva", boscaglia con vitigni a bacca bianca. Ora il Lugana è richiesto anche in Giappone, da tre anni a questa parte ogni anno il prezzo dell´uva raddoppia: e noi dovremmo accettare di falcidiare la produzione del 20%?».

Anche fra i viticoltori del lago non ci sono pasdaran dell´ambiente. «Noi chiediamo semplicemente che la Tav sia spostata tre chilometri a Sud. Passerebbe fra i campi di granoturco e non fra le viti. E lo Stato risparmierebbe una bella cifra. Un ettaro di vigneto qui costa 300.000 euro. Se il proprietario è un coltivatore diretto - e qui lo siamo quasi tutti - il prezzo del terreno viene triplicato: un ettaro verrebbe a costare 900.000 euro, senza contare poi il "lucro cessante", il rimborso dovuto per i mancati futuri guadagni. Le terre del granoturco costano due terzi in meno».

Anche le terre della Valpolicella costano care. Per un ettaro di vigneto servono 300.000 - 500.000 euro. Qui il "progresso" è arrivato nel 1962, con l´apertura di un cementificio. L´Amarone, allora, era conosciuto sì e no a Verona, dove veniva portato in damigiane. Solo chi emigrava poteva mettere assieme il pranzo con la cena. Il cementificio era la manna. Nessuno protestava, anche se le colline attorno sparivano una dopo l´altra e venivano trasformate in cemento. «Secondo me - dice Mirco Frapporti, sindaco di Fumane - anche negli anni ‘60 fu un errore accettare il cementificio, diventato poi CementiRossi, sulla nostra terra. Ma adesso c´è e se rispetta le leggi ha diritto di continuare a lavorare. Come Comune, non possiamo fare altro che tenergli il fiato sul collo. Certo, oggi potremmo farne a meno: la ricchezza è stata portata dal vino e non dal cemento».

Bisogna salire in alto, per cercare la collina che era sotto Purano e ora non c´è più. C´è solo un enorme buco. «Ma il mostro - dice Daniele Todesco dell´associazione Valpolicella 2000 - ha ancora fame. Ha presentato domanda per poter trasformare in cemento anche la collina di Marezzane, che fra l´altro è dentro al parco naturale della Lessinia dove ogni scavo sarebbe proibito. Ma è stata concessa una deroga perché la domanda era antecedente la nascita del parco. Ora bisognerà vedere se il progetto riceverà una Via - Valutazione di incidenza ambientale - positiva. Contro il cementificio occorre più coraggio, da parte del Comune e della Regione. Lavora e guadagna da più di quarant´anni. Ora che gli investimenti sono stati ampiamente ripagati può anche chiudere. Ci lavorano 100 operai ma la disoccupazione qui intorno è a zero. La Cementirossi ha detto invece che investirà 60 milioni di euro per rinnovare i macchinari obsoleti e per questo vuole altre colline da mangiare, fino al 2025».

La direzione del cementificio ha certezze granitiche. «I vigneti, e la qualità dei vini, non subiscono alcun danno dalla presenza della nostra industria». Meno sicuro uno dei vignaioli più importanti, Franco Allegrini. «Il cementificio è un peso che abbiamo sopportato troppo a lungo. Noi siamo così abituati alla sua presenza che quasi non lo vediamo più. Certo, chi arriva da fuori e si vede questo mostro… Non è certo un bel biglietto da visita». Se la "Via" sarà positiva, meglio affrettarsi verso il parco della Lessinia, subito dopo il cementificio. Anche la collina di Marezzane potrebbe trasformarsi in colonne di cemento armato.

Una cultura da cambiare

di Carlo Petrini

Provate mai a immaginare questo nostro pianeta come un essere in grado di parlare e di dialogare con noi? A immaginare quel che vorrebbe dirci, se potesse comunicare a parole? Io ogni tanto ci provo, con risultati devastanti. Perché un conto è metaforizzare i cataclismi che sono davanti agli occhi di tutti noi (dall´uragano Katrina alla desertificazione delle foreste) come "risposte" della Terra ai comportamenti dell´uomo. Risposte allarmanti, ma che mantengono, nella loro straordinaria violenza, un segnale di energia, di presunta vendetta. Quando, invece, me la immagino che ci parla non riesco a non pensarla esausta, indebolita. Non immagino una voce stentorea che mi si rivolga con odio e rabbia, ma una voce stanca e affranta, che chiede una tregua, che chiede quando mai la finiremo, o per lo meno sospenderemo, di prendere, prendere, prendere.

Si è molto parlato, nelle settimane pre-elettorali, dell´ambientalismo del fare. Io, a titolo di completezza, sarei per specificare "del far bene", nel senso che il fare, in sé, non mi pare un valore. Anzi, mi preoccupa un po´, come mi preoccupa quest´incondizionata passione che i politici, senza distinzione di appartenenza, hanno dichiarato nei confronti della crescita del Pil. Il Pil cresce anche producendo mine antiuomo, o imballaggi inutili che dovranno essere smaltiti (e anche questo fa crescere il Pil) o che, se smaltiti malamente, inquineranno acqua, aria, terra; e per bonificare, ammesso che sia possibile, si farà ancora crescere il Pil.

Se invece si mettesse in campo un pizzico di saggezza, si potrebbe intraprendere la strada dell´economia del "non fare". Perché a volte è lì la chiave della ricchezza. Raffinerie, treni ad alta velocità e cementifici nelle vigne, sono ferite aperte nel cuore di territori che, in salute e bellezza, stanno producendo economia. Perché non lasciarli continuare? Perché disturbare?

Bisogna stare attenti, perché la cultura del fare, se non ha filtri, diventa la cultura del rifare, del disfare, del fare troppo per poi sfasciare. È una cultura subdola, perché si spaccia per libertà, progresso, benessere. Pensate ai prodotti dietetici che vengono pubblicizzati in questi ultimi tempi. Pastiglie che impediscono all´organismo di assorbire calorie, mentre se ne ingurgitano a volontà. Non è una follia? Non è immorale? Per non ingrassare bisogna mangiare di meno e meglio e avere uno stile di vita corretto; la soluzione non può essere ingurgitare qualunque quantità di cibo per poi rendere il nostro organismo impermeabile alle calorie. È come tenere le nostre case a 25 gradi d´inverno per stare in salotto in maniche corte; è come usare abbondantemente la preziosa acqua potabile per lo sciacquone del water. Ecco dove ci ha portato la cultura del fare. A fare male, a fare troppo. A fare cose che ci costano tanti soldi, e per avere quei soldi dobbiamo lavorare di più, e per lavorare dobbiamo fare, fare, fare. Se mangio meno e meglio spendo meno e non ingrasso. Risparmio sia sul cibo che sulle pastiglie dimagranti. Posso destinare quei soldi diversamente, oppure decidere che non ne ho bisogno, quindi non ho necessità di guadagnarli, quindi ho qualche ora libera in più. Magari per curare un piccolo orto, o per giocare con i figli o per leggere il giornale, saltando le pubblicità delle pastiglie dimagranti.

L´economia del "non fare", invece, ha le sue radici nella cultura dell´osservare. E del chiedersi: che bisogno ce n´è? L´economia del "non fare" ha uno sguardo lungo, non ragiona in termini di ritorni immediati: ha i tempi della natura, non quelli della finanza. Investe a lunghissimo termine e ha straordinari ritorni, perché è un´economia che non si occupa solo di denaro. Si occupa di culture, di identità, di territori, di origine, di storia e di storie; si occupa di paesaggio, di turismo, di conoscenza, di salute e di bellezza; si occupa di vigne, di imprenditoria, di mercato, di relazioni, di comunità, di coerenza. Siamo capaci di calcolare queste spese? Quanto costa una collina distrutta? Quanto costa un paesaggio devastato? Quanto costa un anziano che si immalinconisce perché il figlio non curerà più la vigna? Quanto costa l´orrore di un cartello che, in mezzo a colline vitate, avvisa che respirare può essere pericoloso? Quanto costa un bambino che cresce in mezzo alla bruttura?

I crociati del fare insorgeranno: con la cultura del non fare non ci sarebbero nemmeno le vigne, diranno. Troppo facile esagerare. Troppo facile far finta di non capire che quando parliamo di economia del non fare stiamo parlando, semplicemente, di economia della cura. E la cura è una cosa seria, complessa e delicata. Che richiede sensibilità, competenza e dedizione. Perché non si può, mai, curare solo una parte.

Ecco cosa ci chiede la Terra con la sua voce stanca: che ci si prenda cura di lei. Che la si smetta con gli interventi, le violenze, le conquiste. Che ci si metta in ascolto, per capire dove duole, cosa le fa male, cosa le fa bene. Deponiamo le armi del fare, smettiamo di considerarci padroni a casa d´altri. Cerchiamo di non disturbare, di non interrompere, di non sporcare. Ascoltiamola e prima o poi capiremo che la cura che serve a lei, è la stessa che serve a noi.

Se non ci alleniamo in questo esercizio, gli unici messaggi che riusciremo a cogliere resteranno quelli delle catastrofi. E dopo ogni catastrofe i falsi crocerossini del fare si rimettono all´opera, mentre i curatori del far bene vedono allontanarsi il traguardo del benessere.

Ricordate la scena finale dell'«Abbuffata» di Mimmo Calopresti, quella dove Gerard Depardieu festeggia al centro di una tavolata con tutti gli abitanti del paese? Tenetela bene a mente, perché quella sequenza rischia di essere l'ultima immagine di com'era fino a pochi mesi fa Largo Savonarola, una delle più belle piazzette di tutta la Calabria, con il suo splendido affaccio sul mare e sull'isola di Cirella. Sì, ricordatela bene perché quella piazza, orgoglio di Diamante, paese di cinquemila abitanti in provincia di Cosenza, non c'è più, deturpata dallo scheletro di un albergo che, arrampicandosi dalla scogliera sottostante, ostacola ai diamantesi la vista sul Tirreno. E questo nonostante da mesi l'amministrazione comunale di centrosinistra tenti in tutti i modi, ma inutilmente, di fermarne la costruzione dell'ennesimo ecomostro che deturpa le coste italiane.

L'ultimo smacco è di ieri, quando il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza con cui il Tar della Calabria aveva accettato la richiesta di sospensiva di revoca della concessione edilizia presentata dalla ditta costruttrice dell'albergo. Una decisione che però, per quanto amara, non scoraggia il sindaco di Diamante, Ernesto Magorno, e la sua giunta, determinati nel continuare la loro battaglia. E questo anche se rappresenta comunque un boccone duro da mandare giù. «Sono perplesso - ammette infatti Magorno - troppo spesso si accusa la politica calabrese di agire male, e perfino di essere collusa con la criminalità. Quando però si tenta di fare qualcosa di buono la risposta da parte delle altre istituzioni dello stato non c'è». Almeno per ora, comunque, i lavori dell'albergo non proseguiranno. Il cantiere è stato infatti posto sotto sequestro dalla procura di Paola che ha indagato i responsabili della ditta e l'ex responsabile dell'ufficio urbanistico.

Quella dell'albergo di Diamante è a suo modo un classico esempio di come in Italia vanno un certo tipo di cose. Tutto comincia nel 2005, quando il paese è governato da un giunta civica di centrodestra. Largo Savonarola è ancora una splendida piazzetta appesa sull'Alto Tirreno. Una vista mozzafiato, con il paesaggio reso ancora più suggestivo dalla visione di una delle due isole calabresi. Sotto la piazza, a picco sulla scogliera, già esistono un ristorante e una casa disabitata da anni, il cui tetto è proprio parte della piazza: un rettangolo di circa duecento metri quadrati recintato da un piccolo muro ma di proprietà del Comune. La concessione rilasciata alla ditta S.I.R. sas consente di trasformare la casa disabitata in albergo, rialzandola di un piano. «Già questa è assurdità, perché si permette di edificare sopra il terrazzo che è del comune», commenta Magorno.

La concessione viene però subordinata alla stipula di una convenzione tra la S.I.R e il comune, in cui si dovrebbero fissare non solo le nuove cubature previste, ma soprattutto si confermerebbe che la proprietà della terrazza resta dell'amministrazione. Stipula che però non viene mai fatta. Nonostante questo, la S.I.R. comincia i lavori. Nel frattempo nella giunta le cose cambiano: alcuni assessori si dimettono e il comune viene commissariato. E il commissario blocca i lavori dell'albergo. Fino al 29 maggio dell'anno scorso quando, vinte le elezioni, la nuova giunta guidata da Magorno avvia le procedure per annullare la concessione edilizia e procedere con l'abbattimento di quanto costruito fino ad allora. Mentre la S.I.R fa ricorso al Tar chiedendo la sospensiva dell'annullamento della concessione (ricorso in seguito accolto dal Tribunale amministrativo), interviene la procura di Paola a sequestrare il cantiere.

Quella di Diamante è una battaglia per opporsi anche a un destino che, negli anni passati, ha visto l'intera zona cedere lentamente al cemento. Come ricorda lo stesso Magorno in una lettera che il 5 febbraio scorso invia al presidente della repubblica Giorgio Napolitano: «Negli anni '80 - scrive il sindaco - Diamante, con tutta la costa tirrenica, ha subito l'impatto di una enorme speculazione edilizia che ha sconvolto non solo il territorio ma anche le abitudini e lo stile di vita dei residenti». Un destino che in molti vorrebbero che non si ripetesse ancora, ma che purtroppo sembra essere sempre in agguato. Come dimostra un'altra speculazione edilizia che minaccia un'area archeologica poco distante da Diamante, dove è prevista la costruzione di villette a schiera per 38mila metri cubi.

Per quanto riguarda la piazzetta, Napolitano ha promesso di interessare della vicenda il ministero dell'Ambiente. «Finora però non si fatto vivo nessuno», spiega Magorno. «Di una cosa, però sono sicuro: finché il sindaco sarà io, sulla piazzetta non costruiranno niente».

Cascinazza, si vende: pronta la nuova cordata

di Giuliano Da Frè

Tre mesi, e la più grossa grana urbanistica monzese degli ultimi quattro decenni non porterà più il nome di Paolo Berlusconi. Istedin lascia la Cascinazza e a comperare è una cordata formata da Brioschi Sviluppo Immobiliare Spa, uno dei maggiori gruppi italiani, e Axioma Real Estate Srl di Angelo Bassani e Gabriele Sabatini, attraverso la Lenta Ginestra Srl, cui le due società partecipano rispettiva mente per il 70 e il 30 per cento del capitale. Staccando un assegno da 40 milioni di euro, Massimo Busnelli, presidente della Lenta Ginestra, dovrebbe acquisire, entro il 15 giugno, data (data entro la quale l’accordo dovrà essere perfezionato) il 100 per cento del capitale di Istedin, la società del fratello del candidato premier, proprietaria dell'area che, da oltre 40 anni, è al centro di un braccio di ferro edilizio con l'Amministrazione comunale. Dalla Brioschi immobiliare però spiegano che i 40 milioni di euro potrebbero non essere tutti i soldi sborsati per acquistare un'area che, in passato, ha visto stimare il proprio valore tra i 30 milioni di euro indicati dall'ex Giunta Faglia, e i 90-100 indicati da Istedin, mentre in autunno una cordata guidata da Valentino Giambelli aveva offerto 92 milioni. Dipenderà da cosa si potrà costruire, in base alle indicazioni del Piano di governo del territorio da poco adottato, e di eventuali varianti. «In base all’accordo preliminare sono stati previsti 40 milioni di euro, un prezzo suscettibile di una integrazione in base all'indice di edificabilità previsto», ha spiegato un portavoce della società. Ancora troppo presto, quindi, fanno notare da Lenta Ginestra, per parlare di progetti concreti, poiché è in corso un tavolo di confronto col Comune («Molto positivo», commentano dalla società), che comprende anche il destino di un'altra area di proprietà della Brioschi immobiliare al Torneamento, di oltre 115mila metri quadrati. Cascinazza era divenuta una «amara» grana urbanistica dopo un accordo firmato nel 1962 dai precedenti proprietari, i Ramazzotti dell'omonimo amaro, col Comune, che aveva acquisito aree in cambio di un 1 milione e 600 mila metri cubi di edificabilità, poi ridotti a 388mila col Piano regolatore Piccinato del 1971. Nel 1980 i Ramazzotti avevano venduto a Berlusconi, che alla Cascinazza sognava di realizzare Monza 2, sulla falsariga della Milano 2. Un cambio di proprietà che però non ha portato a cambiamenti nel braccio di ferro con l'Amministrazione, soprattutto quando il nome di Berlusconi ha iniziato a coincidere con «grana politica», dopo la discesa in campo del fratello Silvio nel 1994. Paolo Berlusconi aveva tentato in tutti i modi di ottenere il vià libera alle ruspe dell’Istedin, avviando anche una causa risarcitoria contro il Comune, per 300 milioni di euro, chiusa nel febbraio 2007 dalla Cassazione, che aveva detto «no» al risarcimento, ritenendo valide le ragioni addotte dall'Amministrazione. Ora, la patata più bollente (e stantia) dell’urbanistica monzese, passa in un'altra padella.

Vigano: “Alla base di tutto forse c’è un accordo per spalmare su più aree i volumi che ballano in città”

Intervista all’ex assessore all’urbanistica, di Monica Bonalumi

Quei quaranta milioni di euro che il gruppo Brioschi sarebbe disposto a sborsare per l'acquisto del- l'Istedin rappresentano un acconto. Ne è convinto l'ex assessore all'Urbanistica Alfredo Viganò che commenta stupito, ma non troppo, la firma del contratto preliminare che dovrebbe portare al passaggio dell'area Cascinazza dalle mani di Paolo Berlusconi a quelle di una cordata di imprenditori lombardi.

“Ci sono dei fatti nuovi se la proprietà non pretende più novanta milioni e passa a scatola chiusa come aveva fatto fino a pochi mesi fa quando dava per scontato che non si sarebbe arrivati all'approvazione del Piano di governo del territorio - riflette il consigliere comunale della lista Faglia - Sarà interessante vedere fino a quanto salirà l’importo di questa prima tranche. A quel punto sarà possibile valutare se tra gli operatori vi siano state aspettative indotte da scelte politiche”. L'accordo a suo parere potrebbe essere una rivisitazione del tentativo di dar vita a una sorta di agenzia privata, effettuato recentemente da alcuni costruttori le cui osservazioni al Pgt sono state sì bocciate, ma inserite dalla giunta nel cosiddetto elenco speciale che dovrebbe rappresentare il punto di partenza per la stesura della Variante al Piano. “Alla base dell’intesa potrebbe esserci il tentativo di alcuni operatori di spalmare su più aree i volumi che ballano sull'intera città” afferma. Secondo l'ex assessore si potrebbe profilare quello che definisce “gioco delle tre tavolette” in cui vengo- no unite le questioni legate a terreni e società differenti, dalla Cascinazza a viale Campania per arrivare al Torneamento. “Cambiano i proprietari ma, per quel che mi riguarda, la questione non muta -aggiunge Viganò - prima di edificare nella zona Cascinazza è necessario studiare e realizzare una vasca di esondazione del fiume, In seconda battuta occorre organizzare il Parco agricolo connesso a quello del Medio Lambro e cancellare il canale scolmatore che deturperebbe il Parco e l'intera città e che consente di giocherellare poco seriamente con le fasce di rischio idraulico, in particolare in quella zona”. Ma non sarebbe ancora sufficiente a trasformare il terreno in un complesso residenziale: “Per realizzare le varianti desiderate su aree agricole o si cambia ancora una volta la Legge regionale fatta ad hoc per Monza o si cambia il Piano Territoriale della Provincia - spiega l'ex assessore - il percorso non è comunque semplice e non è detto che lo sia neppure per la maggioranza dato che potrebbe rovinare altre economie locali”.

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Il Friuli Venezia Giulia è stato la prima Regione italiana a dotarsi di uno strumento di pianificazione territoriale d’area vasta, con il Piano Urbanistico Regionale Generale (PURG) del 1978.

Si trattò, per allora, di un piano d’avanguardia: basti dire che venivano di fatto prefigurati, con il sistema delle aree protette (76 “ambiti di tutela ambientale”, a tutela delle parti più preziose del territorio regionale e 14 parchi naturali regionali a rappresentare il “connettivo” tra i primi), i “corridoi ecologici” che soltanto molti anni più tardi alcuni strumenti di pianificazione avrebbero cominciato ad individuare.

Purtroppo, questa esperienza avanzata fu ben presto contraddetta dalla pratica urbanistica degli anni successivi, appiattita sulla gestione – spesso assai discutibile - delle scelte a livello comunale.

Abortito ben presto il disegno ambizioso del sistema delle aree protette, immiserito in una miriade di “piani di conservazione e sviluppo” parcellizzati e totalmente inefficaci dal punto di vista protezionistico (produttivi quasi soltanto di “parchi di carta” e di più o meno laute parcelle agli estensori), per quasi un trentennio di piani d’area vasta non si parlò più, e tanto meno a quella scala si pianificò.

Venne persa, per precisa ed esplicita volontà della classe politica e della struttura tecnica regionale, anche l’occasione offerta dalla legge “Galasso” n. 431 del 1985: si riuscì infatti a far accettare al ministero dei beni culturali la tesi che il PURG del ’78 avesse valenza di piano paesaggistico e non era pertanto necessario procedere alla stesura di un piano ad hoc.

Caso certamente unico di preveggenza in campo urbanistico-territoriale, che con un piano del ’78 si potesse attuare una legge del 1985!

La legge urbanistica n. 52 del 1991, delegando da un lato l’approvazione dei piani regolatori ai comuni medesimi, immiseriva ulteriormente il ruolo pianificatorio della Regione, pur prevedendo che il PURG venisse sostituito da un Piano Territoriale Regionale Generale (PTRG), il quale peraltro – malgrado una considerevole mole di studi ed analisi preliminari, non fu mai adottato.

Il mondo nel frattempo cambiava e anche in Friuli Venezia Giulia si affacciavano nuovi fenomeni e pressioni sul territorio, spesso ingigantiti da una gestione urbanistica ristretta (politicamente e culturalmente) entro l’orizzonte dei confini comunali.

Oltre alla macroscopica proliferazione dei centri commerciali e delle zone produttive industriali-artigianali, in molte aree della pianura e della costa si manifestavano sempre più aggressive le spinte alla villettizzazione disordinata, preferibilmente lungo le vie di comunicazione.

A tutto ciò, negli ultimi anni si sono aggiunti i progetti di infrastrutture di trasporto ed energetiche di grandi dimensioni, con i conseguenti rilevanti problemi nei rapporti con le comunità locali, a livello di enti (comuni in primis) ma ancor più di cittadinanza organizzata in comitati ed associazioni.

Una delle critiche principali avanzate dagli oppositori (comuni, associazioni ambientaliste, comitati di cittadini) delle tante grandi opere pubbliche e private, ad elevato impatto ambientale, proposte negli ultimi tempi in Friuli Venezia Giulia, è infatti la mancanza di un quadro di riferimento programmatico, di un piano che le prevedesse e ne dimostrasse la necessità. E questo tanto a livello statale, quanto a livello regionale.

Così per la nuova linea ferroviaria ad alta velocità Venezia-Trieste-Lubiana (parte del “Corridoio 5” Lisbona-Kiev), per i terminali di rigassificazione del GNL (due progetti proposti in Friuli Venezia Giulia), per gli elettrodotti di importazione da Austria e Slovenia, per la nuova autostrada prevista tra la Carnia e il Cadore, e così via.

Il PTR di Illy

Ora il “quadro di riferimento” c’è: è il Piano Territoriale Regionale (PTR), adottato dalla Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia nell’ottobre 2007, e “figlio” della nuova legge urbanistica regionale n. 5/2007 che ha definitivamente soppiantato la vecchia 52/1991.

Va detto che l’urbanistica non compariva affatto nel programma di Riccardo Illy, eletto presidente della Regione nel giugno 2003, né per quanto concerne la riforma della legislazione in materia, e tanto meno per quanto riguarda la predisposizione di un piano generale d’area vasta.

L’esigenza di occuparsi di questa materia sorge improvvisamente agli inizi del 2005 e poterà alla fine di quell’anno all’approvazione della L.R. 30/2005, che sancisce alcuni principi “ideologici” fondamentali: in primo luogo l’”equiordinazione” tra finalità prettamente economiche (nel senso di uno “sviluppo” del tutto tradizionale, naturalmente) e finalità di tutela del territorio e del paesaggio.

Cuore autentico della legge era però da un lato l’introduzione di norme per il recepimento d’imperio, negli strumenti urbanistici comunali, dei progetti di nuove opere ed infrastrutture “di interesse regionale” (dichiarato tale da un atto politico della Giunta), dall’altro dichiarava essere la pianificazione territoriale – anche sovracomunale! – competenza del Comune, in nome dei principi di “sussidiarietà e adeguatezza”.

Che cosa avesse spinto la Giunta Illy a dotarsi di un simile strumento legislativo appariva ben chiaro dalla prima formulazione del disegno di legge, poi diventato la L.R. 30/2005, laddove si citavano esplicitamente alcuni dei progetti di “interesse regionale”: la tratta di TAV compresa nel “ Corridoio 5”, alcune strade, ecc.

La nuova legge, tuttavia, non sostituisce ancora la vigente normativa urbanistica (L.R. 52/1991), pur annunciandone una futura revisione/sostituzione, così come indica alcuni contenuti ed elementi del Piano Territoriale Regionale, nonché la procedura per la sua approvazione. Il tutto condito da ripetuti riferimenti alla procedura VAS e alle metodologie di Agenda 21.

Comincia così la stesura del documento preliminare del PTR, divulgato nella primavera 2006, di cui il WWF produce un’ampia disamina, assai critica.

Su questo documento viene imbastito un cosiddetto “processo partecipativo”, dal quale scaturiscono alcuni obiettivi (e conseguenti azioni di piano), che si vorrebbe fossero stati assunti poi alla base della stesura del PTR vero e proprio. Il che non è, se non in minima parte, vuoi per la genericità di tali obiettivi, vuoi per il fatto che alcuni contenuti fondamentali del PTR non trovano alcun riferimento negli indirizzi, bensì derivano da input di altra natura (di cui non peraltro difficile individuare l’origine nella stessa Giunta regionale e nei gruppi di interesse economico dalla stessa rappresentati).

Il PTR dovrebbe altresì avere valenza di piano paesaggistico ai sensi del D.Lgs. 42/2004 (con il che viene implicitamente ammessa l’autentica truffa compiuta quando fu dichiarata la valenza paesistica del PURG del 1978…). A tal fine, nel dicembre 2006 era stata stipulata un’Intesa interistituzionale tra la Regione ed i ministeri dei beni e attività culturali e dell’ambiente.

Quanto alle scelte strategiche, va detto subito che il PTR contiene tutto, ma proprio tutto quello che vogliono i “poteri forti”, cioè le categorie economiche (industriali in testa).

Cominciando dalla montagna, sono previsti, per citare soltanto gli elementi principali:

1. un elettrodotto di importazione – una cosiddetta merchant line - tra l’austriaca Wurmlach e Somplago, caldeggiata da tempo da alcune importanti industrie friulane;

2. una moltitudine di impianti di risalita, piste da sci e strutture ricettive, di cui peraltro non si precisano le caratteristiche (il PTR recepisce infatti automaticamente i programmi di sviluppo della società a controllo regionale “Promotour” per i poli sciistici di Piancavallo, Forni di Sopra, Sella Nevea, Ravascletto-Zoncolan e Tarvisio ed inoltre il progetto di sviluppo infrastrutturale e ricettivo per il polo di Pramollo-Nassfeld, deciso in base ad un accordo diretto tra Illy ed il governatore del Land Carinzia, Jörg Haider);

3. l’autostrada di collegamento tra l’A 23 e l’A27, cioè tra la Carnia e il Cadore (frutto di un accordo politico stipulato nel 2004 tra Illy, Galan e Lunardi).

In pianura invece:

1. la linea TAV Venezia-Trieste-Divaccia (parte del “Corridoio 5” Lisbona – Kiev);

2. gli elettrodotti tra Redipuglia e Udine Ovest e tra Redipuglia e Divaccia (quest’ultimo verrebbe inserito all’interno del “cunicolo esplorativo” scavato sotto il Carso per le gallerie della TAV);

3. un mega-centro golfistico tra Bicinicco, Castions di Strada e Mortegliano;

4. un parco tematico attrezzato (stile Eurodisney, par di capire) a Latisana.

Quanto alle infrastrutture energetiche, interessante l’indicazione relativa ai terminali di rigassificazione: dovranno essere collocati “negli ambiti portuali industriali individuati ai sensi della L. 84/94”. Il che equivale a dire Trieste (l’unico progetto di terminale GNL presentato in un porto industriale è quello di Gas Natural a Trieste-Zaule), ma dev’essere mancato il coraggio.

Semplicemente, le previsioni di una pluralità di soggetti, pubblici, privati o misti che siano, sono inserite nel PTR e per ciò stesso diventerebbero “legge”: ai Comuni il compito di adeguarsi, ai cittadini quello di accettare.

Altre perle: sono 21 (ventuno!) le “espansioni della grande distribuzione commerciale” previste, di cui sette intorno a Udine, ma tra queste non appare – stranamente – il mega-centro previsto dalle Coop nell’ex Silos presso la stazione centrale di Trieste.

Ancora: vengono consentite sia l’apertura di nuove cave, sia l’ampliamento di quelle esistenti all’interno di SIC e ZPS (aree di grande importanza naturalistica, individuate in ottemperanza a Direttive europee).

Gli aspetti naturalistici sono, dal canto loro, ridotti alla mera ricognizione dei perimetri delle aree protette esistenti (senza che non ne venga proposta alcuna nuova), mentre i “corridoi ecologici” sono ridotti ad un’indicazione quanto mai sommaria riferita per di più alle “direttrici” di tre sole specie faunistiche (capriolo, orso e lince), rinviandone l’individuazione puntuali a studi specifici da produrre a livello di pianificazione comunale (!).

E si potrebbe continuare a lungo.

Sconcerta soprattutto che la necessità e la sostenibilità della congerie di opere e insediamenti previsti siano date per scontate a priori, ancorché la giustificazione – possibilmente argomentata con dati oggettivi - delle scelte compiute sia ovviamente il cuore di un qualsiasi piano. Lo prescrive del resto la specifica Direttiva europea 2001/42/CE, sulla Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) di piani e programmi: le previsioni in questi contenute – e le possibili alternative - devono essere motivate e analizzate nelle loro conseguenze ambientali. Il tutto deve avvenire nell’ambito di un processo partecipato con i cittadini, che deve cominciare prima dell’adozione del piano, proseguire fino all’approvazione e coinvolgere anche gli Stati e le Regioni confinanti.

Nulla di tutto ciò nel PTR: il Rapporto Ambientale per la VAS, malgrado le sue 672 (!) pagine, non analizza affatto le conseguenze sull’ambiente delle previsioni di piano e men che meno le alternative, neppure accennate. Inoltre la procedura V.A.S. è stata avviata soltanto dopo l’adozione del piano, né vi è traccia del coinvolgimento di Veneto, Carinzia e Slovenia.

Alla faccia delle tante chiacchiere sulla trasparenza, la democrazia partecipata e l’integrazione con i vicini nell’Euroregione: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare!

Il PTR ribadisce ad ogni piè sospinto, infatti, l’obiettivo di contenere il consumo di suolo e promuovere lo “sviluppo sostenibile”, salvo non mettere in campo nessuna misura concreta per contrastare il primo fenomeno e ridurre il secondo a mero slogan. Basti dire che da un lato si afferma la necessità di disincentivare gli insediamenti industriali-artigianali isolati, ma dall’altro viene ammessa l’estensione delle zone produttive (già troppe e irrazionalmente disperse sul territorio) “anche se non contigue all’esistente”. Non molto diverse le previsioni per le zone residenziali, di fatto lasciate all’arbitrio dei Comuni.

Va detto che il PTR incorpora anche uno schema della Rete di Ciclovie di Interesse Regionale, indicandone i tracciati di massima. Visto il quadro complessivo, è probabile che – se saranno realizzate – queste consentiranno istruttivi giri turistici … tra una selva di capannoni e villette.

Il PTR non è un piano paesaggistico ma solo un “piano delle opere”

E il paesaggio? Il PTR non rispetta le disposizioni fondamentali del D. Lgs. 42/2004. Non vengono infatti perimetrate le aree ex art. 142 del decreto (cioè le aree vincolate “ex Galasso”), mancano norme di salvaguardia, né vengono adeguatamente individuati i fattori di rischio paesaggistico (neppure una parola, ad esempio, sulle devastanti previsioni di molti piani regolatori comunali), sono del tutto insufficienti le prescrizioni per la tutela dei beni paesaggistici, ecc.

Il PTR “scarica” in sostanza la materia ai Comuni, ai quali impartisce soltanto alcune vaghe e lacunose “prescrizioni”, che tali poi non sono, per i Piani Strutturali Comunali, attraverso i quali dovrebbero effettivamente attuarsi le disposizioni a tutela del paesaggio (ma anche quelle sul recepimento delle nuove infrastrutture, ecc. essendo tutte queste finalità “equiordinate”!).

Finirà che ogni Comune sarà di fatto padrone assoluto sul proprio territorio (fatti salvi naturalmente i grandi interventi di cui sopra, che la Regione gli impone di accettare).

Viste le esperienze recenti, con le tante porcherie ammesse – e spesso fortemente volute – dai piani regolatori comunali, è lecito aspettarsi il peggio, cioè l’assalto indiscriminato al territorio. Anche perché dalle cementificazioni, com’è noto, arrivano tanti soldi nelle casse municipali: attraverso l’ICI e gli oneri di urbanizzazione (ora destinabili per il 75 per cento alla copertura delle spese ordinarie dei Comuni).

Di conseguenza, il PTR del Friuli Venezia Giulia, lungi dall’essere (ad onta della mole di elaborati che lo compongono) un vero strumento di pianificazione d’area vasta, e tanto meno un piano paesaggistico, si rivela in definitiva una sorta di “piano delle opere”, infrastrutturali e non, che politicamente la Giunta ha deciso essere “strategiche” per lo “sviluppo” della Regione.

Insomma, il PTR persegue – sepolto sotto un diluvio di parole – il vecchio disegno di uno “sviluppo” identificato con la mera crescita economica (del PIL), alla quale il territorio ed i suoi valori vengono tranquillamente sacrificati.

Ormai da tempo c’è chi mette in discussione questo modello distorto di sviluppo e l’uso ipocrita e strumentale del termine “sostenibile”: c’è per esempio chi, anche a livello accademico, parla di decrescita. Tutto ciò, però, non ha avuto diritto di cittadinanza nel nutrito gruppo di lavoro che ha redatto il PTR (dove spicca – con un ruolo determinante - l’ing. Ondina Barduzzi, ex assessore all’urbanistica ai tempi di Illy sindaco a Trieste) e tanto meno nella Giunta regionale che lo ha adottato.

La (brutta) politica vincerà di nuovo?

Adottato dalla Giunta regionale nell’ottobre 2007, il PTR è stato fatto oggetto di numerose osservazioni, sia pure nei limiti alquanto restrittivi previsti dalla nuova legge urbanistica regionale, che legittima a presentare osservazioni (cfr. art. 10, c. 5)soltanto alcuni soggetti: a) enti e organismi pubblici; b) associazioni di categoria e soggetti portatori di interessi diffusi e collettivi; c) soggetti nei confronti dei quali le previsioni del PTR adottato sono destinate a produrre effetti diretti.

Merita sottolineare che la Giunta regionale procederà all’approvazione definitiva del PTR “tenuto conto delle osservazioni di cui al comma 5” (art. 10, c. 6), senza cioè che vi sia neppure l’obbligo di controdedurre puntualmente ai contenuti delle osservazioni stesse, come peraltro prevede la stessa legge citata per le osservazioni sui piani comunali….

Malgrado ciò, molte sono le osservazioni formulate, tra le quali quelle del WWF Friuli Venezia Giulia, che si possono riassumere nei punti seguenti:

1) contrasto tra l’impostazione del Piano e quella prescritta dal D.Lgs. 42/2004 per i piani paesaggistici, per la mancata individuazione delle aree vincolate ex art. 142 del D.Lgs., l’inadeguata individuazione dei fattori di rischio paesaggistico, l’insufficienza delle prescrizioni per la tutela dei beni paesaggistici contenute nelle schede degli AP, l’inesistenza di norme di salvaguardia in attesa dell’approvazione dei piani comunali di adeguamento al PTR;

2) disomogeneità e grave lacunosità della base analitica del PTR, rappresentata dal “quadro delle conoscenze e delle criticità”, scoordinata con le azioni di piano e le previsioni normative;

3) assoluta inadeguatezza – anche in termini di scala (1:150.000!) – e incompletezza dei supporti grafici;

4) contraddittorietà nell’impostazione delle Norme di Attuazione del PTR, tanto vaghe e generiche per quanto concerne le prescrizioni a tutela del territorio e del paesaggio, quanto precise e cogenti nell’imporre alla pianificazione subordinata il recepimento di scelte infrastrutturali, non motivate né valutate;

5) incompletezza delle schede degli Ambiti Paesaggistici, con la sistematica omissione dei fattori di rischio paesaggistico rappresentati dalle previsioni dei PRGC vigenti e la mancata considerazioni di molti elementi di grande valenza paesaggistica;

6) stravolgimento della procedura V.A.S. sul Piano, rispetto a quanto previsto dalla Direttiva europea in materia, con la contestuale inadeguatezza del Rapporto Ambientale e l’insufficienza degli indicatori per il monitoraggio.

Il WWF rileva altresì come il P.T.R. risenta, al pari della L.R. 5/2007 dalla quale discende, di un’impostazione di fondo culturalmente errata, in base alla quale obiettivi territoriali e paesaggistici – per di più spesso confusamente espressi e sviluppati – sono stati intrecciati ed “equiordinati” con finalità di ordine economico (lo “sviluppo”), laddove è pacifica da decenni anche a livello giurisprudenziale la superiorità gerarchica dei valori paesaggistici (e quindi della tutela degli stessi) rispetto ad ogni altro interesse che esprima attraverso gli strumenti urbanistici (cfr. anche la sentenza n. 367/2007 della Corte Costituzionale).

Valutazioni analoghe sono contenute anche nelle osservazioni formulate da Italia Nostra e Legambiente.

Invano ci si sarebbe attesi una presa di posizione su tale obbrobrio da parte delle forze politiche, comprese quelle della cosiddetta “sinistra radicale” (che peraltro sostengono la Giunta Illy, hanno quasi tutte compatte votato la pessima L.R. 5/2007 e si apprestano a rinnovare l’alleanza con Illy ed il PD alle elezioni regionali del prossimo 13 e 14 aprile).

Invano ci si sarebbe attesi una reazione critica visibile da parte degli “addetti ai lavori” (urbanisti singoli ed associati, ordini professionali, mondo accademico regionale, ecc.).

L’iter del PTR andrebbe sospeso e, previa completa rielaborazione, riavviato da capo in conformità alle disposizioni statali (sul paesaggio) ed europee (sulla V.A.S.) platealmente disattese. Il WWF, come altre associazioni ambientaliste, lo ha chiesto.

La Giunta regionale, invece, pare stia cercando di accelerare l’iter di approvazione del piano, per poterlo sbandierare nella campagna elettorale già iniziata.

Tuttavia, per il riconoscimento della valenza paesaggistica del piano, occorre come detto l’avallo statale (ministeri dell’ambiente e dei beni culturali). E’ lecito sperare che gli organi ministeriali facciano valere le proprie prerogative senza essere condizionati da ragioni politiche, come purtroppo in altri casi – si veda la sconsolante conclusione della vicenda della Baia di Sistiana - è accaduto.

Dario Predonzan è Responsabile settore territorio ed energia del WWF Friuli Venezia Giulia. Le osservazioni del WWF sul P.T.R. sono disponibili nel sito regionale dell’associazione, nella sezione “documenti”, mentre gli elaborati del Piano si trovano nel sito della Regione Friuli Venezia Giulia nella sezione “Urbanistica infrastrutture e trasporti”.

Un severo commento della Orribile legge urbanistica del Friuli - Venezia Giulia è, in eddyburg , tra gli scritti di Luigi Scano

RIVOLTELLA (Desenzano del Garda) — Ricco, straniero e ingombrante. Almeno fosse bello come George Clooney. O famoso come Michael Schumacher, che si dice avesse messo gli occhi su quella che è adesso casa sua. Invece no. Del misterioso magnate russo che tre anni e mezzo fa ha comprato Villa Bober, a Rivoltella del Garda non si sa neppure il nome.

Passione

Dicono però sia uno di quelli che contano nella Gazprom, la potentissima compagnia russa del gas, uno dei giganti dell'economia mondiale. E che un ex campione di ciclismo, suo connazionale, gli faccia da ambasciatore in attesa del trasloco. In comune con gli altri due, o almeno con il primo, sembra avere solo la passione per le case in riva al lago e la voglia di dare una ritoccatina alle sponde.

Mica parliamo di case qualsiasi, s'intende. Villa Bober risale più o meno agli anni Trenta del Novecento. Ma a renderla celebre (e anche un po' sinistra) fu il cavalier Guido Bolzacchini da Carpenedolo, fondatore di quel calzaturificio Bober che arrivò ad impiegare 1600 persone, prima di essere ceduto nel 1974 e fallire qualche anno dopo.

Dynasty

A dar retta alle cronache dell'epoca, certo non in debito di fantasia, quella dimora in stile liberty, che l'imprenditore acquistò e restaurò negli anni Sessanta, doveva essere tale e quale a un set di Dynasty: marmi, stucchi, feste col bel mondo, compresa una Maria Callas di passaggio dalla vicina Sirmione. In realtà, tra quei muri, c'era probabilmente meno magia e un po' più di malasorte, visto che la moglie del cavalier Bolzacchini annegò nella grande piscina nel parco. L'Innominabile venuto dal freddo, però, non se dette gran cura. O forse nemmeno lo sapeva. Fatto sta che, a luglio 2004, i giornali locali rivelarono l'acquisto da parte del magnate russo: 6,8 milioni di euro versati alla società San Marco. Quasi 5 in meno di quelli che, si dice, fossero stati chiesti inizialmente e che (ma il condizionale è d'obbligo) avrebbero fatto innestare la retromarcia persino a Michael Schumacher. E chissà quanti ne starà spendendo per i lavori di ristrutturazione in corso.

Monumento

Ma, come la villa, anche quel tratto di lago non è un tratto qualsiasi. Dove finisce il muraglione di cinta, inizia il canneto di San Francesco, che la Regione Lombardia dovrebbe presto dichiarare, su richiesta del Comune, «monumento naturale». E lo specchio d'acqua davanti a Villa Bober ha un difetto: il fondale è basso, bassissimo. D'estate finisce pure in secca. Il Paperone di tutte le Russie, invece, pare abbia un debole per lo sciabordio dell'acqua contro la muraglia. E, ovvio, per le barche.

Progetto

Visto quel che ha speso, s'è così sentito in diritto di chiedere al Comune un' aggiustatina idraulica: un canale a U, fondo due metri e largo undici, con le braccia protese per 280 metri verso il lago e la base a sfiorare, per 200 metri, il muraglione della villa. Un modo per poter di nuovo utilizzare la piccola darsena interna ormai interrata. E il fondale troppo basso? Basta grattargli via mezzo metro, in tutta l'area interna ai bracci del canale (circa 4500 metri quadrati).

Il russo ha incassato tutti i via libera che servono, anche se il Comune gli ha bocciato l'ipotesi di un pontile lungo 200 metri, ma le associazioni ambientaliste (Cai, Cnr, Lega Navale e Airone Rosso) sono insorte.

«Un'opera del genere — dice Guido Parmeggiani dell'Airone Rosso — stravolgerebbe l'intero ecosistema di questo tratto di lago. Passi per un braccio di canale di accesso alla darsena, che peraltro c'era già in passato. Ma quell' enorme U e lo scavo del fondale sarebbero deleteri per pivieri, pettegole, pantane, cavalieri d'Italia e altri piccoli trampolieri che trovano alimento proprio nei fondali bassi. E oltre che dannosa, l'opera sarebbe pure inutile, perché una volta smosso il fondale, il canale si interrerebbe di continuo».

Confronto

«Che funzioni o no, non spetta a me dirlo, perché non sono un ingegnere idraulico — replica il sindaco di Desenzano Cino Anelli — ma non mi pare che uno scavo sotto il livello dell'acqua possa fare un gran danno all'ambiente. Abbiamo anche imposto che il secondo braccio stia a 15 metri di distanza dal canneto (gli ambientalisti vorrebbero un'area di salvaguardia di almeno 75 metri, ndr) Comunque, ridiscutiamone pure».

Già, ma adesso chi va a dirlo all'oligarca?

Un «appello» per la tutela del paesaggio

di Giovnni Lo Savio (presidente nazionale di Italia Nostra)

Il Lago di Garda rischia di rappresentare il peggior esempio italiano di governo del paesaggio per assenza di tutela.

Nell'ultimo decennio, pesanti interventi di edilizia speculativa hanno gravemente compromesso l'ambiente lacustre, specialmente perché gli «strumenti della tutela del paesaggio» non hanno degnamente svolto il loro compito: il Piano paesistico regionale non è precettivo, il piano territoriale paesistico provinciale pare inefficace e la sub-delega regionale ai comuni in materia di rilascio delle autorizzazioni paesistiche nelle aree soggette a vincolo ambientale hanno consentito innumerevoli scempi che la sezione di Brescia di Italia Nostra da anni denuncia. Casi clamorosi a Padenghe, come a Moniga e Manerba, come a Toscolano e Gargnano ove si costruiscono residence in stile «caraibico», villettopoli sulle colline moreniche, strade abusive sulle colline, una cascata inserita in un nuovo albergo-residenziale a lago, ville a quattro piani a margine di un castello medievale, un hangar a lago, di 33.000 metricubi, alto 8 metri, per il ricovero di 300 imbarcazioni, costruito in assenza dell'autorizzazione della competente Sovrintendenza. Agli interventi privati, ed è ancor più grave, si aggiungono iniziative pubbliche, altrettanto devastanti. Clamoroso é il caso del progetto di realizzare una «passeggiata» sulle spiagge dei comuni da Desenzano a Toscolano, finanziato dalla Regione Lombardia. Un intervento pubblico di cementificazione delle spiagge che danneggerebbe irreversibilmente le rive del lago. A questo scempio Italia Nostra si oppone, rivolgendosi contemporaneamente al Ministro Rutelli perché impedisca l'ennesimo— pubblico — sfregio e ai cittadini perché manifestino il loro dissenso aderendo al nostro appello per la salvaguardia del paesaggio del lago di Garda.

Giovanni Valentini

Un Appello per Procida, “Salvate l’isola del Postino”

Il paradiso è assediato dal cemento. E’ «l’isola di Arturo», quella del romanzo di Elsa Morante e di molti film, tra tutti il Postino con Massimo Troisi. E’ Procida, ormai deturpata dagli abusi edilizi e da un traffico selvaggio. Per questo intellettuali e artisti hanno sottoscritto un appello: «Fermate questo scempio».

Lo sgangherato microtaxi, un furgoncino Ape carrozzato con un abitacolo e i sedili di plastica, sobbalza sulle lastre nere di basalto sfiorando i muri delle stradine e dei vicoli, già sfregiati da tanti passaggi precedenti. Siamo sull’"isola di Arturo", celebrata dal romanzo di Elsa Morante e da molti film di successo, da Morgan il Pirata al Postino con l’indimenticato Massimo Troisi, ma ormai deturpata dagli abusi edilizi e da un’aggressiva cementificazione che minaccia di sostituire i giardini brulicanti di limoni, arance e mandarini con rampe e parcheggi. "Nu’ piezze e’ Napule jettate a ‘mmare", come la definisce con trasporto lo scrittore Raffaele La Capria. In poco più di quattro chilometri quadrati, oggi a Procida vivono quasi 11 mila abitanti, dotati di almeno 5 mila automobili e più di altrettanti moto e motorini, evidentemente eccessivi per coprire una lunghezza massima di tremila metri. Un traffico caotico da centro storico di una grande città, con la differenza però che lì si istituiscono le isole pedonali e qui invece l’isola naturale è oppressa da una motorizzazione selvaggia. A metà novembre, dopo un’iniziativa dell’Associazione commercianti nei confronti del Comune, un comitato spontaneo locale - guidato dall’albergatore Francesco Cerase e dal tabaccaio-libraio Franco Ambrosino - ha depositato un migliaio di firme raccolte su 53 fogli, per chiedere drasticamente di "ridurre, regolamentare e rallentare il transito dei veicoli".

E ora un folto gruppo di intellettuali, personaggi della cultura e dello spettacolo che frequentano abitualmente l’isola, lancia un appello pubblico per "Salvare Procida" dal degrado urbanistico, architettonico e ambientale, con l’intento di denunciare il caso a livello nazionale per richiamare l’attenzione del governo e dell’opinione pubblica.

Sono circa tremila le istanze di condono che attendono da decenni di essere esaminate ed eventualmente approvate: dai piccoli abusi su porte, finestre e infissi alle costruzioni o sopraelevazioni sui tetti dove sono state brutalmente decapitate le caratteristiche cupole. Solo per il 2007 il Comune si aspetta un incasso straordinario di 750 mila euro, 250 a testa alla presentazione della domanda, per ripianare il suo deficit di bilancio. Ma il sindaco, Gerardo Lubrano, tiene ad assicurare: «Prima di concedere i condoni, vogliamo che venga riqualificato il territorio».

Più che un impegno, però, questo sembra uno slogan di circostanza. A girare per il centro dell’isola, l’avanzata del cemento appare più forte e minacciosa di una colata lavica. In via Vittorio Emanuele, per esempio, è in costruzione il parcheggio "Olmo Garden" con rampa di accesso al fondo privato e due muraglioni di contenimento: spesa prevista 37.000 euro, come si legge sul cartello esterno con la licenza dei lavori. Poco più avanti, un altro parcheggio viene ricavato a spese di un agrumeto superstite. E vicino alla piazzetta delle Poste, il supermercato Sisa ha già sradicato da tempo limoni e mandarini per accogliere le auto dei clienti.

Tutto risulta in regola, per carità, con tanto di permessi e autorizzazioni in carta bollata. Sta di fatto però che le ruspe continuano a scavare come tarli nel legno, mentre la piaga dei parcheggi divora questi polmoni verdi, racchiusi tra antichi muretti e protesi in qualche caso fino al mare. Un patrimonio di verde e di memoria che, una volta distrutto, non si potrebbe più sostituire né tantomeno riprodurre. «Sarebbe uno sfregio irreparabile all’ambiente e alla natura», commenta affranta Elisabetta Montaldo, trapiantata nella casa in cui visse e morì l’attrice Vera Vergani, sorella del giornalista Orio.

La verità è che ormai questo pezzo di paradiso sta cambiando anima e pelle. Dall’antica tradizione marinara, riassunta nel cliché "un comandante e un prete per ogni famiglia", Procida si converte anno dopo anno a una più moderna vocazione turistica, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che la riconversione comporta. E in mancanza di alberghi e pensioni sufficienti, anche qui la pressione del mercato immobiliare ha fatto lievitare i prezzi oltre misura, fino a 4-5 mila euro al metro quadro, alimentando il fenomeno dell’abusivismo diffuso. In base ai calcoli di Giancarlo Cosenza, ingegnere ed ex consigliere comunale del Pci, figlio di Luigi, l’autore del Piano paesistico del 1962, sono almeno 600 i vani proliferati in sanatoria senza neppure il parere della Sovrintendenza. E nella maggior parte dei casi, si tratta di costruzioni che oltraggiano l’originaria architettura dell’isola, un’architettura minore e popolare, definita "un’architettura senza aggettivi" dallo storico dell’arte Cesare Brandi. Spariscono così gli archi e le volte, a botte o a vela; le scale costruite a mano subiscono ferite strutturali ed estetiche; i materiali locali come la pietra, la pomice e la malta vengono sostituiti da quelli d’importazione; e sulle facciate delle case e dei palazzi i tipici colori pastello, in prevalenza rosa e giallo, lasciano il posto alle tinte forti che i riflessi del sole rendono accecanti.

Sull’Acropoli di Terra Murata, da cui si domina a novanta metri d’altezza l’incantevole baia della Corricella, l’antica Abbazia di San Michele - il giacimento culturale più importante dell’isola - versa intanto in condizioni di abbandono. Il loggione a fronte della sacrestia è stato interdetto per ragioni di sicurezza, sul campanile sono state rilevate crepe e infiltrazioni d’acqua, il soffitto a cassettoni rivela preoccupanti avvallamenti, l’impianto elettrico è obsoleto e ai limiti delle norme. E c’è da temere che prima o poi la chiesa, devoluta nel 1899 da Vittorio Emanuele III al Comune di Procida che se ne assumeva la manutenzione, debba essere chiusa per lavori, sebbene continui ad attirare circa trentamila visitatori all’anno.

A strapiombo sul mare, anche l’antico castello cinquecentesco poi trasformato in carcere duro e abbandonato negli anni Cinquanta, attende di essere restaurato e riutilizzato. Sono circa 30 mila metri quadrati, già costruiti e disponibili. Ma ora si tratta di decidere se l’ex penitenziario deve diventare un residence per le vacanze, con le vecchie celle ristrutturate in mini-appartamenti, aggravando ovviamente i problemi di sovraffollamento e di traffico; oppure se qui può sorgere - come auspica con entusiasmo l’ingegner Cosenza - un Palazzo della cultura e dell’artigianato, a beneficio dei residenti e dei turisti.

Di giorno in giorno - o meglio, bisognerebbe dire di notte in notte - tutt’intorno continua intanto a prosperare un "ecomostriciattolo roditore", come lo chiama il regista Giuliano Montaldo, alimentato dall’incultura, dalla speculazione, dall’incuria o complicità dell’amministrazione pubblica. Nel romanzo di Elsa Morante, alla fine Arturo lascia con nostalgia quella piccola terra che "fu tutto" e non metterà mai più piede a Procida. Oggi quel destino minaccia purtroppo di ripetersi per tanti residenti e turisti traditi, con il rischio che l’isola finisca per perdere il suo fascino e la sua identità.

Ennio Morricone, Siamo ancora in tempo: difendiamo Procida

Ci sono eccessi, nell’abuso di cemento su gran parte delle coste italiane, che fanno scandalo. Per questo ho firmato l’appello per chiedere che un’isola ancora incontaminata come Procida rimanga intatta. Con tutto il rispetto per gli enti locali che devono decidere queste cose, mi auguro che si possa evitare uno scempio a Procida, un’isola ancora pulita e verde.

L’ho conosciuta grazie a un amico, il regista Giuliano Montaldo che aveva una casa lì, ci ho passato periodi brevissimi ma ho avuto l’impressione di un luogo non violentato dal cemento. Posso capire la commercializzazione di tutto, tenendo conto che le coste italiane alimentano una delle più forti industrie del nostro Paese: il turismo. Ma salvaguardare le bellezze naturali lasciandole il più possibile intatte può sicuramente attrarre un altro tipo di turismo, che non sia quello di massa. Purtroppo siamo talmente abituati allo stravolgimento del paesaggio che quasi non ci facciamo più caso. Mia moglie, nata in una cittadina della Sicilia, San Giorgio di Gioiosa Marea, ci è tornata insieme a me dopo molti anni di lontananza. Il posto era talmente mutato che non ha riconosciuto niente di quello che un tempo le era familiare e ha vissuto un momento di curioso estraniamento. Quando un paesaggio non è stato stravolto dalla mano dell’uomo conserva un fascino che è ormai sempre più raro da trovare. Recentemente ho composto, su commissione della provincia di Trento, un pezzo ispirato al lago di Garda, Vidi aquam, cinque quintetti e una voce di donna. Poi, dopo essere stato registrato, è stato diffuso sulle rive del lago che in quel punto sembrava incontaminato, senza mostri edilizi che turbassero la vista. L’effetto era di una serenità stupefacente.

L'appello per Procida

"Salvare Procida"

- dal degrado urbanistico, architettonico e ambientale;

- dall'abusivismo edilizio e dai "condoni facili";

- dalla distruzione del verde e dalla cementificazione che diffonde strade e parcheggi;

- dalla congestione del traffico automobilistico;

- dall'assalto del turismo selvaggio e predatorio;

Rivolgiamo questo pubblico appello al ministro dei Beni culturali, al ministro dell'Ambiente, alla Sovrintendenza dei Beni ambientali e architettonici di Napoli; al Prefetto di Napoli e al Sindaco di Procida;

per fermare lo scempio dell'isola e restituirle la sua identità, la sua cultura e la sua memoria, come patrimonio mondiale dell'umanità e simbolo altamente rappresentativo della civiltà mediterranea, in ragione di uno sviluppo economico-sociale sano ed equilibrato.

- Renzo Arbore, musicista

- Achille Bonito Oliva, critico d'arte

- Daniel Buren, artista

- Margherita Buy, attrice

- Luciano D'Alessandro, fotografo

- Lorenza Foschini, giornalista Rai

- Antonio Ghezzi, direttore del Festival "Il vento del cinema"

- Antonio Ghirelli, giornalista e scrittore

- Raffaele La Capria, scrittore

- Antonio Lubrano, giornalista Rai

- Giuliano Montaldo, regista

- Ennio Morricone, musicista

- Piergiorgio Odifreddi , matematico

- Mimmo Palladino, artista

- Renzo Piano, architetto

- Raffaele Porta, presidente Associazione Studi sul Mediterraneo

- Ermanno Rea, scrittore

- Francesco Rosi, regista

- Vittorio Silvestrini, presidente IDIS - Città della Scienza

( 24 dicembre 2007)

Postilla

Sarà bello quel giorno (che temiamo sia lontano) in cui non servirà più la "croce rossa" dei personaggi noti per difendere la bellezza d'un sito o l'equità di una situazione. Sarà bello quel giorno (che può essere vicino) in cui ciascuno di quelli che hanno audience ne impiegheranno un po' per far comprendere a tutti in che modo si può agire per far prevalere il bene di tutti sul bene di pochi.

I Comuni, istituzioni originarie della potestà dei cittadini a governare il proprio rìterritorio, luoghi primordiali della partecipazione del popolo (demos) alla res publica, ambiti nei quali per prima si è praticata in Italia la pianificazione del territorio, sono generalmente ridotti a ben altro. La crisi della democrazia e degli strumenti della sua dialettica (i partiti), la forza dominante di poteri sempre più lontani dalla res publica e dagli interessi quotidiani dei cittadini (le corporations) stanno trasformando i comuni d’Italia in complici di una catena di comando manovrata da lontano, oppure in ammortizzatori dei disagi sociali da essa provocata.

L’utilizzazione della distribuzione delle risorse e delle responsabilità tra l’alto e il basso della piramide dei poteri formali è uno degli strumenti più spesso utilizzati per impoverire il ruolo dei comuni e per ridurlo a strumento di politiche decise altrove. I comuni sono sovraccaricati di compiti e alleggeriti di risorse. Ecco che sono convinti o costretti, sempre più spesso, a tradire il loro ruolo di parsimoniosi custodi del territorio nell’interesse dei cittadini di oggi e di domani, e a diventare promotori, facilitatori o passivi asseveratori di attività immobiliari che trasformano pesantemente il territorio, contribuendo al suo degrado. Le cronache dei giornali e il passaparola di chi osserva il territorio con sguardo pulito rende nota una grande quantità di episodi di questo genere, di cui su eddyburg ospitiamo solo una piccola parte: la punta di un iceberg.

Ma ci sono comuni che resistono, che remano coraggiosamente controcorrente, che sperimentano iniziative di governo responsabile del territorio che a loro è stato affidato. Le varie forme di partecipazione (nella formazione dei bilanci, nella predisposizione degli strumenti urbanistici, nella scelta progettuale su trasformazioni puntuali del territorio) sono in questi comuni un modo per rafforzare il potere delle istituzioni democratiche e per allargare il consenso sulle decisioni giuste, oneste, ispirate a una visione lungimirante del bene comune. È questo che anima soprattutto la rete che collega i comuni interessati alla costruzione e sperimentazione di un “Nuovo Municipio”, e la sua Associazione (Associazione Rete del Nuovo Municipio, ARNM).

La recente assemblea nazionale dell’ARNM (Roma, 22-24 novembre 2007) ha diffuso un documento che registra la gravità della situazione attuale e avanza alcune proposte strutturali: capaci cioè di riformare il modo in cui i comuni operano modificando l’assetto della ripartizione dei cespiti finanziari tra le diverse istituzioni della Repubblica.

Il documento (inseriamo in calce il link al testo integrale) rileva innanzitutto come la crescita culturale e politica dei Nuovi municipi e l'estensione delle pratiche partecipative “si scontrino sempre più spesso con il consolidarsi di intrecci lobbystici tra interessi economico/finanziari e rappresentanze politiche, anche locali, di pari passo con la crisi della rappresentanza che ha colpito in misura crescente le diverse parti della società”.

L’ARNM denuncia la ridotta autonomia finanziaria che “rende i Comuni di fatto ostaggi della dipendenza da ICI e oneri di urbanizzazione, basi delle quote disponibili dei bilanci comunali, project financing, e strumenti analoghi. Questo stato di cose – prosegue il documento - combinato con i tradizionali interessi della rendita fondiaria e immobiliare e con i nuovi appetiti finanziari, ha finito per necessità con l'alimentare un meccanismo perverso che produce l'urbanizzazione e l'edificazione di nuove aree agricole, con conseguente consumo di suolo, devastazione del paesaggio, perdita di identità sociali, rischi ambientali, crescente insicurezza per la sempre maggiore estensione e monofunzionalità delle aree urbanizzate”.

Il documento si conclude con una serie di proposte concrete, non solo di ordine fiscale e finanziario, sulle quali sia l’iniziativa politica che la discussione sono aperte. Anche su questo sito.

Il Comitato per l'autonomia e il rilancio del Friuli è costituito da esponenti della cultura e della politica friulana iscritti a gruppi politici (Margherita, Socialisti, DS, Movimento Friuli) e/o con percorsi politici (DC, PCI) differenti, che hanno anche ricoperto cariche istituzionali di rilievo (assessori regionali, sindaci, ecc.) è si avvale della consulenza di un gruppetto di urbanisti facenti capo all’università locale. In calce il documento critico sul PTR

Egregio Presidente Illy,

recentemente la Giunta Regionale ha assunto la delibera di adozione del Piano Territoriale Regionale (PTR) ai sensi della legge 5 del 2007 ed ha quindi dato formale avvio all'iter di approvazione di detto Piano.

Ciò pone all'attenzione di tutti, e in particolare dei soggetti che nei diversi settori rivestono posizioni di responsabilità, la questione delle scelte di fondo che si vanno a compiere per il territorio, con riguardo alle esigenze dello sviluppo e della salvaguardia dell'ambiente, per le necessità di oggi e delle generazioni future.

Come Lei ha già avuto modo di constatare con la vicenda della legge per lingua friulana, il Comitato che ho l'onore di presiedere, ha finalità culturali e meta-politiche per cui le sue valutazioni vanno intese quale contributo alla definizione di una prospettiva condivisa del territorio regionale, specie di quello friulano dove qualità naturalistiche, storia dei luoghi, coesione delle comunità costituiscano lo sfondo positivo ed inalienabile su cui disegnare anche i tratti della regione futura.

Recentemente, avvalendosi di esperti del mondo universitario, professionale ed amministrativo, il Comitato ha esaminato il PTR giungendo alla formulazione di un documento che è stato presentato alle istituzioni territoriali, alle categorie economiche ed alle associazioni culturali martedì 13 novembre nel corso di una conferenza stampa.

Questo documento, che inviamo alla sua attenzione, esprime diverse “preoccupazioni”, relative sia all'impianto sia ai contenuti dello stesso PTR che desidero, nell'interesse di tutti, rappresentarLe:

1.importanti e radicali trasformazioni territoriali vengono previste dal PTR ma queste vengono imposte d’autorità al territorio, alle autonomie locali, ai cittadini interessati secondo un modello vecchio di pianificazione che esclude condivisione e partecipazione;

2.quelle stesse forti trasformazioni territoriali vengono previste senza che il PTR sviluppi alcuna significativa valutazione di merito delle stesse;

3.fra la grande quantità di obiettivi - espressi spesso genericamente -, e le soluzioni finali, che spetterà alla pianificazione comunale di trovare, c’è un gran vuoto che rischia di trasferire, sui Sindaci, incertezze giuridiche e gestionali;

4.con il meccanismo labile e volontaristico dell’associazione fra Comuni, si perde, inoltre, la vera occasione storica di pianificare l’”area vasta” ed i fenomeni, al contempo sovracomunali e subregionali, come i distretti produttivi, il welfare d'area, il paesaggio, i bacini idrografici, le relazioni virtuose tra corridoi infrastrutturali e territorio, i corridoi ambientali, le tutele naturali;

5.non emerge, alla fin fine, una visione innovativa e condivisa del futuro del territorio regionale ma solo l’intento di attuare, d’autorità e costi quel che costi, alcune forti trasformazioni territoriali.

L’insieme di queste ragioni è fonte di preoccupazione per il Comitato che ha una visione di regione (espressa pubblicamente nei documenti su “Territorio e ambiente: un modello sostenibile per il Friuli” del novembre 2006 e sulle “Grandi Infrastrutture” del marzo del 2007) dove:

il territorio è inteso in senso plurale e coeso come sistema di spazi fisici, di significati culturali ed identitari, di modalità di governo partecipate e condivise;

il governo del territorio della regione deve dotarsi, prima di formulare nuove previsioni, di uno Statuto del Territorio (comprendente anche una “Carta del patrimonio inalienabile e non negoziabile del territorio friulano”), condiviso da tutte le istituzioni regionali, che deve servire a guidare i processi di partecipazione e le valutazioni di coerenza e di compatibilità delle trasformazioni territoriali future;

il governo del territorio implica sempre più credibili processi di partecipazione alle scelte fondamentali che significa anche possibilità di valutazione pubblica di scelte alternative. Il Comitato ritiene, inoltre, che questi processi, data la loro delicatezza, non possano essere gestiti dagli stessi soggetti che pianificano ed attuano ma da una Authority indipendente ed operativamente snella e leggera.

In quest’ottica:

- le autonomie territoriali vanno valorizzate secondo un disegno di “policentrismo virtuoso”, come peraltro indicato dalle strategie europee in materia ma anche dalla stessa legge regionale 1 del 2006. In questo disegno, i Comuni di oggi, vanno aiutati a crescere e ad elaborare le loro strategie di “area vasta” come precondizione verso virtuosi processi di aggregazione e cooperazione territoriale;

alla Regione devono spettare, invece, gli importanti e fondamentali compiti di:

a.coordinamento ed “armonizzazione delle diversità territoriali”;

b.promozione della cooperazione e delle autonomie territoriali;

c.identificazione, verifica e valutazione delle macrocompatibilità strategiche.

Ci sarebbe piaciuto confrontarci su queste questioni in maniera pacata ed approfondita e secondo modalità dove a tutti fossero stati dati gli strumenti per poter intervenire in un dibattito che non è, ai fini del futuro della cultura e dell’identità friulana, meno importante di quello della lingua ma che anzi, con quello della lingua, è perfettamente complementare (il territorio friulano, se non altro quello storico, è, infatti, la base materiale della lingua).

Purtroppo, i tempi assai limitati concessi al dibattito ed al confronto pubblico (solo 60 giorni), rendono tutta questa importante e fondamentale materia, oggetto di pura procedura burocratica.

Ma poiché siamo in presenza di atti di primaria importanza che orienteranno le politiche del territorio nel medio e forse anche lungo periodo, crediamo che tutti i soggetti interessati a discuterne ed aventi titolo a formulare osservazioni devono poter essere posti nelle condizioni reali (di documentazione e di tempo) per dare il loro contributo.

Per questo e per evitare che la consultazione si riduca ad un rito burocratico, il Comitato Le chiede, con la presente, di adoperarsi, come Presidente della Giunta Regionale, affinché la Regione:

si renda promotrice di incontri, nelle varie aree delle regione, aperti a tutti, per illustrare e discutere nel merito i contenuti di fondo del PTR e per rendere più agevole la lettura e l’interpretazione degli atti che lo compongono;

allunghi significativamente i tempi previsti per la consultazione pubblica onde consentire anche la predisposizione di argomentate e valutate osservazioni al PTR.

Questo allungamento dei tempi è forse poco congruo con una impostazione burocratica della pianificazione del territorio, ma credo che Lei, per la visione e la concezione alta che ha della Regione, non possa accettare che questioni fondamentali per il futuro del territorio friulano e, quindi, anche regionale, vengano ad essere schiacciate dentro limiti burocratici così angusti.

RingraziandoLa per l'attenzione, Le porgo i più distinti saluti.

GRIMALDI (VENTIMIGLIA) - «Intanto, diciamo che in quelle terre il principe Alberto non si è mai visto. Ma soprattutto il suo progetto potrebbe trasformarsi nel tradimento di quel patto che suo padre Ranieri strinse con gli eredi di Thomas Hanbury, e con il quale si stabiliva che le terre dei Grimaldi sarebbero state una sorta di cuscinetto di protezione dei giardini». Nico Orengo, scrittore torinese e responsabile dell´inserto Tuttolibri de La Stampa, rischia l´incidente diplomatico. Ma l´ideatore del premio Hanbury può permetterselo. Soprattutto perché di questo lembo di Liguria di cui parliamo è da sempre un appassionato difensore e sensibile narratore. Gli abbiamo chiesto cosa pensa dell´operazione immobiliare commissionata dal principe all´architetto veneziano Giampaolo Mar, che dovrebbe trasformare un´ex cava, nella frazione di Grimaldi, sopra i Balzi Rossi, sulle terre appartenenti dal 1200 al principato monegasco, in un complesso polivalente. Vocabolo proteiforme che, in questo caso, racchiude un albergo di lusso, parcheggio sotterraneo e residenziale, e annessa scuola di specializzazione in botanica legata ai confinanti giardini Hanbury.

«Prima di tutto - continua lo scrittore - bisognerebbe vedere il progetto nei dettagli. Se è misurato, se son case che non si vedono, se viene ripristinato il verde, se ne può discutere. Sicuramente in questa nuova proposta c´è meno residenziale che in quella presentata una decina di anni fa. D´altra parte mancava l´idea della scuola per giardinieri. Ma non vorrei che fosse una proposta civetta, una verniciata culturale per nascondere l´ultima ferita ad un tratto di Liguria dal valore inestimabile».

«Eppure - prosegue - il progetto di una scuola di botanica potrebbe essere affascinante ammesso che come ha detto al vostro giornale Giorgio Campodonico (direttore dei Giardini Hanbury, ndr) abbia tutti i servizi, sia rivolta ai grandi giardinieri che andranno a lavorare in tutto il mondo. Se l´obiettivo è quello, se si punta in alto, a farla diventare il primo centro di studi botanici d´Europa va bene, ma se è per gente che andrà a curare aiuole grandi come uno sputo...».

Il direttore degli Hanbury ha detto di non sapere nulla del progetto. «Io mi auguro - commenta Orengo - che sia coinvolta l´università di Genova. E poi sono di nuovo d´accordo con Campodonico quando dice che se il principe farà "dono" ai giardini del terreno franoso, allora può pure tenerselo».

I dubbi e i sospetti di Orengo di fronte al progetto Grimaldi nascono dalla sua antica conoscenza di quei luoghi e dei suoi abitanti. «Ultimamente - spiega - in quell´ultimo tratto di frontiera è in corso un vero e proprio attacco. A Latte con la costruzione di case sul rettilineo, a Mortola con costruzioni all´interno di un vecchio uliveto. C´è una colata di cemento che fa impressione. Purtroppo quello è un territorio avulso da Ventimiglia. C´è sempre stato un rifiuto da parte della città, degli abitanti e degli amministratori. La si considerava una zona di elite, si diceva che "lì ci pensano gli Hanbury". Non capiscono che patrimonio possiedono grazie ai giardini».

Orengo sottolinea come degrado e speculazione siano strettamente correlate. «Il disinteresse di Ventimiglia per la zona dei Balzi Rossi e di Grimaldi si manifesta anche nel degrado dell´area. Vicino alla pineta i francesi vengono a scaricare la loro immondizia, calcinacci, vecchi serramenti. Da loro non possono farlo ma di qua non c´è controllo. Più il territorio si degrada e più viene giustificato il cemento».

Il discorso, inevitabilmente, si allarga. «E poi c´è la questione del porto» quello che vorrebbe realizzare Beatrice Cozzi Parodi, presidente della Camera di Commercio di Imperia. Un primo progetto che insisteva su una scogliera è stato fermato, temporaneamente. «Su questa zona bellissima e fragile si addensano dei carichi - dice Orengo - che senza un equilibrio possono provocare un disastro. Resto stupito di fronte a questa smania di costruzioni e porticcioli. Visto che a terra non c´è più posto si edifica in mare invece di pensare seriamente a recuperare l´entroterra. Ma abbiamo davvero bisogno di tutti questi posti barca, sono tutti così ricchi? E poi va bene qualche porto, ma c´è modo e luogo. Quello a Ventimiglia proprio no».

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