Non cessano di stupirci le pulsioni dei nostri governanti nei confronti del mondo antico. Abbiamo sentito dell’incredibile progetto di far rivivere gli spettacoli circensi, al vero le corse alla Ben Hur, nel virtuale gli spettacoli gladiatori. Abbiamo visto l’inarrestabile corsa al commissario, a parole per far fronte ad insormontabili problemi di coordinamento amministrativo, di fatto per gestire l’ordinario in maniera autocratica. Ora si parla di singolari idee per la valorizzazione del patrimonio archeologico della Capitale, come quella del sottosegretario Giro, che vorrebbe approntare una seconda versione del grande plastico di Roma antica, realizzato settant’anni fa da Italo Gismondi per la Mostra Augustea della Romanità, poi traslato negli anni Cinquanta del secolo scorso con tutto il materiale di quella mostra nel Museo della Civiltà Romana all’Eur (di questa straordinaria istituzione avremo modo di occuparci in futuro) ed ora quasi unico frammento superstite di quel Museo, che tuttora suscita l’ammirazione dei turisti, di quei pochi che sanno dove trovarlo, di quei moltissimi che ne comprano le mille riproduzioni fotografiche vendute da tutte le bancarelle di souvenir.
Non so se l’on. le Giro ha idea di cosa comporti e soprattutto di quanto venga a costare una realizzazione del genere: si tratta di cifre con moltissimi zeri per un lavoro superfluo da fare in tempi di vacche magre. Evidentemente idee sensate per valorizzare l’enorme patrimonio archeologico di Roma di fatto non ci sono: si oscilla tra l’adorazione delle ricostruzioni al vero, in scala o in virtuale di una Roma di cartapesta e le risposte draconiane ai problemi, senza parlare di alcune iniziali uscite del sindaco Alemanno, come la dissennate proposte di urbanizzare la Campagna Romana o di mettere mano al piccone per distruggere la teca dell’Ara Pacis.
In questi giorni poi l’ago della bilancia pende verso l’antico inteso come arredo.
Una vecchia storia questa, che risale già alla precedente esperienza di governo di destra del 2001-2006. Chi ha dimenticato il festoso vertice di Pratica di Mare organizzato dal nostro premier e il suo fondale fabbricato con autentiche statue romane prelevate da grandi Musei Nazionali e artisticamente posate su prati artificiali? Come non ricordare la celebrazione del semestre italiano alla testa dell’Unione Europea contrassegnato da forti presenze classiche, nel caso specifico da un busto dell´imperatore Adriano, ancora una volta fatto pervenire nella sede della Presidenza nella capitale belga dalle collezioni di stato italiane?
Sempre sulla stessa linea di gusto di allora si vuole adesso graziosamente ornare le stanze del Cavaliere a Palazzo Chigi con statue romane, naturalmente prelevate dagli inesauribili magazzini dei nostri musei archeologici. Ma non finisce qui.
Costantemente ansioso di fare apprezzare i tesori del Belpaese, Berlusconi progetta un remake del vertice di Pratica di Mare in occasione del vertice del G 8, ma proporzionato ormai alla sua gloria imperiale: niente prati finti o il piattume della pianura Pontina, questa volta il fondale è quello dello stupendo paesaggio marittimo della Maddalena e l’arredo addirittura i Bronzi di Riace, ossia due delle pochissime statue originali pervenuteci dall’antichità, oggetto di un memorabile restauro di pochi anni fa, diretto da una grande archeologa prematuramente scomparsa, Alessandra Vaccaro Melucco, che con procedimenti d’avanguardia ha ricostruito persino la tecnica fusoria seguita per la realizzazione di quei capolavori.
La richiesta di prestito è stata sottoposta alle autorità di tutela e qualche illustre archeologo ha già detto che va appoggiata. Insomma è come se il Cavaliere chiedesse la Madonna della Seggiola come quadro da appendere a capo al letto, e la leonardesca Ultima Cena, opportunamente distaccata dalla sua sede milanese, per decorare la propria sala da pranzo.
La cosa ha uno suo interesse nell’ambito della storia del gusto: ricordo di aver usato già il caso di Pratica di Mare per illustrare ai miei allievi la mentalità dei ricchi parvenus romani, che rapinavano i tesori della Grecia per ornare le proprie villa al mare, affidandosi ad agenti per la scelta delle opere. Si sa che a scegliere il ritratto di Adriano mandato a anni fa a Bruxelles sarebbe stato lo stesso ministro dei Beni e delle Attività Culturali Giuliano Urbani, perché, riportavano i giornali, Adriano avrebbe il pregio di incarnare in maniera perfetta il simbolo del Buongoverno (la parola d’ordine di quegli anni...) e perché Berlusconi sarebbe un ammirato lettore delle «Memorie di Adriano», il capolavoro di Marguerite Yourcenar.
Il confronto con il gusto di rapina dei Romani è calzante: i musei grondano ritratti di poeti, filosofi e scrittori greci, cui i romani pensavano come modelli insuperati di una perfezione letteraria vagheggiata. Vorremmo proprio sapere chi ha fatto la scelta stavolta e soprattutto quale rinvio letterario si annida dietro questa scelta. Ma, a prescindere dalle continue prove di cattivo gusto offerte dalla nostra classe dirigente con queste geniali idee, la cosa di maggior rilievo è che la richiesta mette a rischio due capolavori assoluti, conservati - come è giusto e doveroso che sia - in ambienti climatizzati e continuamente monitorati nel Museo di Reggio Calabria, opere che in un paese civile nessuno penserebbe seriamente di spostare. Non fa meraviglia che le discutibili brame di un tycoon vogliano mettere a repentaglio quei delicatissimi bronzi per farne un personale trofeo: fa meraviglia che ci siano archeologi professionisti pronti a dichiarare che è ora di finirla con questa ossessione della tutela.
L’attacco a Settis e a Guzzo, i commissariamenti delle Soprintendenze da parte del ministro Bondi, lo svilimento generale dell’Amministrazione dei Beni Culturali fanno parte di una scelta politica che delegittima la tutela pubblica, devitalizza e, di fatto, liquida il Ministero preparando la privatizzazione commerciale dei beni culturali “ricchi”. Una politica che va respinta con forza e indignazione.
Mentre le Soprintendenze stentano sempre più, per mancanza di fondi, a svolgere i loro ordinari compiti di tutela e rischiano di agonizzare con l’arrivo di sempre nuovi tagli di risorse accettati supinamente dal ministro Bondi, questi attacca frontalmente la sua stessa amministrazione. La delegittima sul piano tecnico-scientifico “dando spazio a figure nuove, con specifiche competenze manageriali, in grado per esempio di leggere un bilancio” (dall’intervento del 23 febbraio sul “Giornale”), come se l’attuale personale di Soprintendenza, tecnici e amministrativi, e quanti li hanno preceduti avessero portato allo sfascio, per ignoranza delle leggi economiche, le strutture della tutela e della valorizzazione. La svuota di poteri e di competenze specifiche moltiplicando i commissariamenti calati dall’alto (Pompei, aree archeologiche di Roma e di Ostia, ecc.) e reclutando supermanager e superesperti che, oltre a mortificare la dirigenza dei Beni Culturali, peseranno su di un bilancio già stremato che il piano Tremonti, da qui al 2011, riduce a cifre di pura sopravvivenza. Bondi e altri ministri di questo governo trattano poi la rete dei musei, dei monumenti, dei siti – evidentemente non conoscendola – come una sorta di antiquata e polverosa zavorra. Essi rimuovono il fatto che nel periodo 1996-2007 i visitatori dei musei, dei circuiti museali e delle aree archeologiche sono saliti da 25 a 34,5 milioni con un incremento del 38 per cento e che i relativi introiti sono più che raddoppiati balzando da 52,7 a 106 milioni di euro con un incremento del 101 per cento. Con una flessione o una stasi nel 2008 anno di crisi per tutte le correnti turistiche, a cominciare dalle più qualificate. Risultati formidabili conseguiti da questa Amministrazione pur sottopagata e con mezzi tecnici e finanziari sempre insufficienti. Si può fare certamente di più e di meglio su questo e su altri piani, a cominciare da una più incisiva e diffusa tutela del nostro paesaggio minacciato da mille insidie speculative. Ma lo si può incoraggiando, motivando, dotando di mezzi una Amministrazione onesta (non un solo implicato di alto livello in Tangentopoli), competente e leale verso lo Stato.
Il ministro Bondi ha invece scelto la strada opposta, quella della delegittimazione, dell’esautoramento, del richiamo intimidatorio al silenzio e all’ordine. Che ora rivolge pubblicamente ad un personaggio di alta competenza internazionale e di qualificato impegno culturale e civile come Salvatore Settis, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali ingiungendogli dalle colonne di un giornale appartenente alla famiglia del presidente del Consiglio di allinearsi e tacere, di cessare cioè dalla funzione critica che, in ogni democrazia compiuta, viene riconosciuto agli intellettuali. E analogo trattamento viene riservato ad uno dei più valorosi studiosi e soprintendenti, a Pier Giovanni Guzzo che tanto ha fatto, per la sua parte, a Pompei, in Puglia, in Emilia-Romagna. Un ordine rivolto al professor Settis affinché tutti i componenti critici del Consiglio Superiore intendano e chinino il capo in silenzio, pronti ad accettare qualunque cosa, anche l’umiliazione di vedere spregiata una rete di tutela e di musei ammirata, in linea generale, dai direttori dei maggiori musei del mondo, dagli esperti di ogni Paese. Noi siamo con loro in queste ore davvero drammatiche per l’autonomia della cultura.
Lo stesso commissariamento straordinario promesso un mese fa alle aree archeologiche di Roma e Ostia rappresenta un autentico suicidio anche sul piano dell’immagine turistica di una Capitale che coi fondi della legge Biasini e del Giubileo – spesi e spesi bene nella collaborazione piena, allora, fra Stato, Regione, Provincia e Comune – ha restaurato e riaperto siti e monumenti romani, ha inaugurato nuovi splendidi Musei (ex Collegio Massimo, Palazzo Altemps, ex Centrale Montemartini, Crypta Balbi, ecc.), altri ne ha riallestiti e ammodernati (Galleria Borghese e Musei Capitolini in testa) riacquistando così prestigio e attirando nuovi visitatori da tutto il mondo. In poche battute un patrimonio formidabile – di sostanza e di immagine – viene buttato in discarica dal Ministero e dal Comune di Roma con l’incoraggiamento di esperti esterni pronti a nuove e ricche consulenze. Un’operazione inaccettabile, sotto ogni punto di vista (compreso quello dell’immagine internazionale), contro la quale protestiamo indignati chiedendo al presidente della Repubblica, custode attivo della Costituzione, la operante difesa e attuazione del dettato dell’articolo 9 della suprema carta (“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”), chiedendo alla pubblica opinione, agli organi di informazione di non far passare sotto silenzio la rovina che viene rovesciata sui nostri beni culturali e paesaggistici con l’intento di smantellare – qui come nella scuola, nella sanità, nella ricerca – tutto ciò che è pubblico operando di fatto per la privatizzazione di quei beni in grado di produrre incassi e profitti. Cosa che non accade in nessun’altro Paese civile e avanzato dove la cultura viene in genere potenziata nei momenti di crisi anziché indebolita, intimidita, ammutolita. Non a caso al pari della Storia dell’Arte che già si insegna pochissimo e che questo Ministero dell’Istruzione vuole insegnare ancor di meno.
Assotecnici, Associazione “R.Bianchi Bandinelli”, Comitato per la Bellezza, Eddyburg, Italia Nostra, Legambiente, PatrimonioSos, WWF.
Il braccio di ferro fra Sandro Bondi e Salvatore Settis ha raggiunto il suo apice. Domani si riunisce il Consiglio superiore dei Beni culturali e ai diciotto suoi membri Settis, che del Consiglio è il presidente, leggerà una lettera di dimissioni. Molto motivata e molto dura, si sente dire. Ma non sarà solo il direttore della Normale di Pisa, storico dell’arte antica e dell’archeologia, ad andarsene. Dalle indiscrezioni che filtrano saranno almeno in quattro, forse in sei a lasciare l’incarico. E a quel punto non si sa quale sarà la sorte del principale organo di consulenza del ministero.
Nel frattempo tornano insistenti le voci che vorrebbero lo stesso Bondi in partenza dal ministero. Lo attende l’incarico di coordinatore del Pdl.
Al suo posto si insedierebbe Gaetano Quagliariello, attualmente vicepresidente dei senatori del centrodestra, il quale rinnoverebbe anche molto del personale che affianca Bondi.
Ma fintanto che è al Collegio Romano, Bondi sfodera la sciabola. Il ministro ha reagito con durezza alle ultime dichiarazioni di Settis (una lunga intervista a L’espresso di venerdì, alla quale il titolare del dicastero ha replicato con un articolo sul Giornale). Lo scontro ha però radici antiche, il dissenso sulle linee di conduzione del ministero si è fatto più marcato con il passare del tempo. Qualche volta si è composto, ma ora sembra che non sia più possibile. «Se avesse voluto cercare un espediente per rassegnare le dimissioni», ha scritto il ministro, «il professor Settis non ne avrebbe potuto trovare uno migliore». E quale sarebbe l’espediente? Il sensazionalismo mediatico, l’aver espresso ai giornali le sue critiche. Peggio ancora, secondo il ministro, se si tratta di «stampa di opposizione».
È proprio questo uno dei motivi della rottura. Settis non accetta di mettere il bavaglio. E così come è stato nel luglio scorso, quando denunciò il taglio di oltre un miliardo di euro nei bilanci già dissestati del ministero (il sottosegretario Francesco Giro di fatto lo licenziò, ma poi fu recuperata un’intesa con il ministro), anche stavolta il direttore della Normale non rinuncia a contestare le iniziative più discusse del ministero. Forte del fatto di essere presidente di un organo di consulenza e non un dirigente del ministero, soggetto a vincoli burocratici.
Un duro contrasto si è manifestato con la nomina a direttore generale di Mario Resca, ex amministratore delegato della McDonald’s, al quale Bondi aveva in un primo tempo affidato poteri straordinari sulla gestione dei musei, sulle mostre, sconfinando persino nel campo della tutela. La reazione di tutte le associazioni di salvaguardia, la raccolta di migliaia di firme e una bocciatura netta da parte di tutto il Consiglio superiore, presieduto da Settis, indussero Bondi a una mezza marcia indietro, giudicata insoddisfacente da molti: Resca, che non aveva nessuna competenza in fatto di management culturale, si sarebbe occupato solo della valorizzazione (ma la nomina ancora non è formalizzata).
Settis e il Consiglio non avevano taciuto il loro dissenso nei confronti della scelta, per esempio, di prestare a un museo del Nevada alcuni disegni di Leonardo, un’iniziativa fortemente sostenuta da Alain Elkann, consulente di Bondi, ma osteggiata dalla direttrice della Biblioteca reale di Torino che quei disegni custodiva. Anche la decisione di commissariare l’area archeologica romana ha incontrato le perplessità di Settis, oltre che l’opposizione dura di tutti i funzionari delle soprintendenze di Roma e di Ostia e di quattromila fra professori universitari e studiosi italiani e stranieri.
Tutte queste e altre iniziative del ministero andavano nella direzione, agli occhi di Settis, di un progressivo svuotamento delle soprintendenze, per altro verso lasciate a languire, indebolite e delegittimate. Nel giro di pochi anni da quegli uffici andranno via molti funzionari che non verranno sostituiti. Già nei prossimi mesi resteranno scoperti alcuni fra i principali posti di soprintendente. È difficilissimo apporre dei vincoli di tutela e alcuni soprintendenti temono di non essere appoggiati dai vertici del ministero, anzi si sentono sempre in bilico, minacciati di trasferimento.
In questa situazione ai limiti del collasso, sono stati istituiti commissari, i cui compiti sono ancora incerti. A Pompei il commissario Renato Profili non ha fondi propri, ma attinge a quelli ordinari della Soprintendenza. A Roma, dai Fori al Palatino, dai Mercati Traianei a Ostia, non è chiaro di che cosa si occuperà Guido Bertolaso, responsabile della Protezione civile.
Ma che sia quest’ultima struttura quella che, agli occhi di chi dirige il ministero, fornisce maggiori garanzie lo prova il bando lanciato dal commissario a Pompei per assumere, anche con compiti di custode, volontari della Protezione civile.
Una ventina di giorni fa per il ministro Bondi e per il sindaco Alemanno le aree archeologiche romane versavano in una emergenza così disastrosa da esigere la nomina subitanea di due commissari straordinari "anche a fini di protezione civile": l’immancabile Guido Bertolaso e l’assessore comunale all’urbanistica Marco Corsini, vice e "attuatore" delle misure previste. Stavano crollando Fori, Domus Aurea e Palatino? No, secondo i maggiori archeologi. Grande come una domus appariva il conflitto di interessi dell’assessore Corsini che passava, oplà, da controllato a controllore delle Soprintendenze romane.
Venti giorni dopo, non v’è ancora traccia del decreto di nomina. È svaporata quella drammatica emergenza? Mistero. L’hanno sottolineato venerdì in una affollatissima riunione i tecnici delle Soprintendenze archeologiche di Roma e di Ostia. Nei ruoli ministeriali mancano ben 122 archeologi, ma nemmeno un posto di archeologo è stato messo a concorso, dal ’98, nel Centro-Sud. Si tagliano fondi e, commissariando, si possono mettere le mani nei ricchi incassi dei monumenti di Roma e Ostia (circa 20 milioni annui). Il commissariamento come pretesto per affidare a gestioni privatistiche questi beni altamente redditizi e lasciare gli altri allo Stato? È il modo migliore per svuotare le Soprintendenze abilitando il Campidoglio ad un nuovo "sacco" dell’Agro Romano e del litorale. Si comincia da Roma, poi il resto d’Italia viene da sé. La lotta in corso delle maggiori associazioni è esemplare: come opporsi alla privatizzazione della "polpa" dei beni culturali e allo smantellamento della tutela.
Ci vorrebbe un Sarkozy. Non ai Beni culturali, ma accanto e sopra: a difenderli. "In tempi duri per l'economia il governo italiano reagisce tagliando alla cultura. Il governo francese fa il contrario: già lo scorso settembre il presidente Sarkozy disse che in tempi di crisi bisogna continuare a investire in cultura". Parla Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale di Pisa, Accademico dei Lincei e presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, l'organo consultivo del ministero. La gestione museale e del patrimonio artistico, in Italia, è tema controverso per definizione. Ma in questi mesi, tra tagli di bilancio, casi di malagestione, commissariamenti, nomine bizzarre e velleitarismi del ministro Sandro Bondi, che la politica ha catapultato in un ruolo per cui forse non nacque, la frustrazione cresce. Si respira un clima di 'Kulturherbst', autunno culturale, per usare l'amara espressione di Nietzsche.
Al professor Settis 'L'espresso' ha chiesto una lettura critica.
Professore, pochi mesi fa il sottosegretario Francesco Giro chiedeva le sue dimissioni per un suo aspro intervento sul 'Sole 24 Ore', in cui parlava di un ministero "allo stato larvale". Il ministro Bondi poi prese le distanze da Giro. I rapporti sono migliorati?
"Non vorrei ritornare su quella polemica assurda: nel denunciare oltre un miliardo di euro di tagli nel triennio 2009-2011 citavo dati della 'Gazzetta Ufficiale'".
Almeno un motivo di attrito è rimasto: la discussa nomina alla valorizzazione dei Beni di Mario Resca, manager proveniente dalla Mc Donald's.
"Chiariamo bene. Non si tratta di ostilità personale, né metto in dubbio le capacità del manager. Io ho espresso il mio dissenso, presente il ministro Bondi, in una riunione del Consiglio superiore. E il ministro, mi pare, ha recepito una metà importante del discorso: non si può creare una nuova direzione generale confondendo valorizzazione e tutela. Si è così accettato di riscrivere il provvedimento, mirato alla valorizzazione del patrimonio museale. La nomina del dottor Resca non c'è ancora, perché non c'è la carica. Prima di fare il vescovo si faccia la diocesi. Confermo, e con me l'intero Consiglio, compresi membri autorevoli come Antonio Paolucci e Andrea Emiliani, che una nuova direzione siffatta va affidata a una personalità con competenze specifiche nel management culturale".
In attesa che si dissipi il giallo su 'McMario', nel 2007, ultimo dato pubblico, i visitatori nei musei italiani sono calati.
"Il dato negativo sull'affluenza è una tendenza internazionale. Sarkozy, che non è certo un comunista, ha reagito con prontezza: ampliando l'orario dei musei e le fasce di età che entrano gratis. Non è un tabù: è il modello della National Gallery e del British Museum. Lo Stato spende di più ma ne vale la pena: è un grande atto di educazione civile e di cittadinanza".
Il ministro Tremonti le dirà: impossibile, con questa crisi economica.
"Io gli chiederei se alla crisi reagirebbe chiudendo le scuole elementari. Quello che si perde è peggio di quel che si risparmia, è la mia convinzione".
I fondamentali dei Beni italiani sono imbarazzanti: età media 56 anni, numero insufficiente, troppe soprintendenze gestite da reggenti.
"I 56 anni sono primato europeo. Da cinque anni martello su questi dati, con scarsi risultati. Con Rutelli sono ripartiti concorsi per far entrare circa 400 persone; ma a fronte di oltre 7 mila pensionamenti. Le anticipo un dato inedito: con i pensionamenti previsti entro il 2009, dal prossimo 1 gennaio su 24 posti di soprintendente per i Beni archeologici solo sette persone avranno il grado per ricoprire il ruolo. È grave".
Nei nostri musei il personale addetto ai visitatori è dequalificato: assenteismo, ignoranza, sciatteria, zero inglese. E questo in una superpotenza del turismo e della bellezza, come Berlusconi racconta nei G8.
"Non mi faccia dire. Basta una gita a Chiasso, come direbbe Arbasino, per registrare paragoni deprimenti. Ma non dimentichiamo che vi sono anche professionalità alte, mortificate dalla situazione; e molti giovani bravi e motivati che restano fuori per il blocco delle assunzioni".
Dove vede le emergenze gestionali maggiori?
"Più che fare una classifica negativa, preferisco sottolineare le indicazioni date dal ministro Bondi: i tre luoghi dove intervenire subito sono Pompei, l'area archeologica di Roma e Brera a Milano. È un bene che il ministro individui delle priorità. Mi lascia interdetto, però, la strategia. Per esempio la nomina di Guido Bertolaso a commissario straordinario dell'area archeologica romana, Ostia inclusa".
Bertolaso, oltra a dirigere la Protezione civile, è commissario del G8 alla Maddalena. Un uomo già occupatissimo. Che sia un Superuomo nietzschiano?
"Non discuto il valore della persona. Ma il ricorso al commissario desta più d'una perplessità. Riflette una cultura politica emergenziale, è un segnale di sfiducia alla fascia dirigente dei Beni culturali, non dà poteri straordinari a un vero competente di archeologia".
Né le notizie migliorano sulle dismissioni dei beni minori dello Stato. Come giudica la vicenda della Patrimonio Spa?
"Operazione fondamentalmente fallita".
Perché?
"Detto che il patrimonio immobiliare dello Stato è sterminato, e ingestibile così com'è, la legge Tremonti non distingueva tra beni di alto, medio e nessun valore culturale. La reazione dell'opinione pubblica e dei media è stata vivace, anche nella maggioranza di centro-destra, e ha arginato gli effetti più negativi".
Come possono interagire cultura pubblica e apporto dei privati?
"Introdurrei criteri di valutazione sull'operato dei soprintendenti, accrescendone lo spazio di autonomia gestionale. Incentiverei l'intervento dei privati, per esempio su lasciti, prestiti e donazioni, attraverso vantaggi fiscali".
Suona anglosassone. Lei ha diretto il Getty Center a Los Angeles. Cosa possiamo imparare dagli americani?
"Diciamo così. Negli Stati Uniti ci sono tanti musei privati e ricchi. Il ruolo delle Foundations è cruciale. E il privato che dona ha vantaggi fiscali immediati e visibili: va in detrazione del reddito in un sistema contributivo molto favorevole".
A Milano si è esposta la 'Conversione di Saulo' di Caravaggio, ma solo grazie ai soldi dell'Eni, e a Palazzo Marino. A Pompei neanche riescono ad allontanare i gestori abusivi. L'Italia è lunga, ma il rapporto con i privati è complicato e non sempre chiaro.
"Qui si spalanca un mare di argomenti. Mi limito a questo: collaborare con sponsor privati è auspicabile, purché si salvaguardi il profilo, l'indipendenza culturale del museo. Sponsorizzazioni che servano davvero, e non una resa senza condizioni".
Jean Clair, il critico e curatore francese, a proposito dell'operazione Louvre negli Emirati, deplora che la Francia degradi una collezione pubblica a "mercanzia". Di più: il museo contemporaneo sta diventando "un grande magazzino", "un porto di mare", "un bordello". Esagera?
"Jean Clair parte da una concezione alta del patrimonio culturale come fondamento della cittadinanza, concezione che è nata fra Italia e Francia, fra Rivoluzione e Restaurazione. Chi ha in mente questo ha il diritto, il dovere d'indignarsi".
Oggi i musei, è ancora Clair, preferiscono l'amore di gruppo e i trasporti di massa.
"Clair non è un elitista, è autore di mostre popolarissime, come quella sulla 'Malinconia' di pochi anni fa. Non è contrario alla cultura di massa, ma alla banalizzazione della cultura, anticamera del suo annientamento".
L'articolo 9 della Costituzione dà competenza esclusiva allo Stato nella tutela dei Beni culturali e del paesaggio. In tempi di timido federalismo, è ancora valido?
"La Costituzione non è un monolite sacro. Ma nella prima parte, quella dei principi fondamentali (incluso l'art. 9), è ancora inapplicata. Applichiamola prima di pensare a cambiarla: è ancor oggi attuale e lungimirante, il miglior baluardo contro gli avventurismi. La presenza delle Regioni sul patrimonio culturale e ambientale è riconosciuta nelle modifiche al titolo V, articoli 116-118, realizzate durante l'ultimo governo Amato. Aggiungo che una serie di sentenze della Corte costituzionale, anche nel 2007-2008, danno spazio alle Regioni mantenendo allo Stato la priorità nella tutela. È chiaro che io auspico una cooperazione armonica tra istituzioni, non lotte assurde in nome di un federalismo sgangherato".
Per dar spazio allo spirito costruttivo: ci segnala un esempio positivo di museo pubblico in una grande città?
"Potrei dire il Museo Nazionale Romano, nelle sue diverse sedi, a cominciare da Palazzo Massimo. Collezioni di rilievo, attività interessanti, una nuova vivacità".
E un gioiello in una città piccola? L'Italia spesso è migliore dov'è minore.
"Vorrei citare il Museo Etrusco di Cortona. È un museo comunale, rinnovato pochi mesi fa. È esemplare per ordinamento didattico e qualità dell'allestimento, e attira un pubblico internazionale aggiungendo valore a un territorio fascinoso tra Toscana e Umbria".
La protesta continua. E contro il ventilato commissariamento — per ora solo annunciato dal governo — dell'area archeologica centrale di Roma (Colosseo, Domus Aurea, Palatino...) e del complesso di Ostia Antica, si è svolta ieri un'infuocata assemblea-conferenza stampa alla quale hanno partecipato un centinaio di addetti: funzionari delle soprintendenze coinvolte, sindacati, professionisti, associazionismo legato alla tutela (Italia Nostra e Comitato per la Bellezza, tra gli altri).
La preoccupazione, per tutti, è che dietro l'annunciato provvedimento (che dovrà essere trasformato in atto del governo e di cui per ora si ignorano i contenuti, salvo quelli di un comunicato stampa del ministero per i Beni culturali) possa celarsi il tentativo di una "privatizzazione di fatto". E nell'attesa di conoscere il provvedimento nei dettagli, gli archeologi tentano di tenere desta l'attenzione su un problema che giudicano di primaria importanza (e continua il tamtam su possibili occupazioni simboliche dei monumenti, mentre per la prossima settimana è allo studio l'ipotesi di un'assemblea all'interno del Colosseo con chiusure lampo del sito).
A sposare i dubbi degli archeologi contro l'ipotesi commissario speciale (Guido Bertolaso, con l'assessore comunale Marco Corsini vicecommissario attuatore) voluta dal ministro Sandro Bondi e dal sottosegretario Francesco Giro in accordo con Alemanno, anche settori della sinistra. Presenti ieri il deputato Walter Tocci e l'assessore regionale (Cultura) Giulia Rodano, che ha annunciato possibili ricorsi alla Corte costituzionale "se non avremo risposte chiare in merito alla presunta emergenza. Come Regione siamo contrari a un provvedimento immotivato.
Qual è l'emergenza che spinge lo Stato a commissariare se stesso? Non credo le infiltrazioni al Palatino o le cicche nei Fori".
"Prima si tagliano risorse e personale — hanno spiegato alcuni relatori — riducendo al collasso il sistema, poi si decide di commissariare tutto. Non risulta che il patrimonio archeologico si trovi in situazione di rischio conservativo tale da richiedere un intervento straordinario di Protezione civile fuori dall'ordinaria amministrazione. Basterebbe che il governo riservasse un'attenzione al settore, senza tagli a mezzi e fondi".
In serata, replica del sottosegretario Giro: "L'emergenza c'è, esiste, è visibile. È stata più volte denunciata dai cittadini, ai quali una risposta deve esser data in tempi brevi. Non ammetterlo sarebbe atto irresponsabile e immorale sotto il profilo amministrativo e politico. Sono ottimista che si possa presto concludere la procedura per l'avvio di una fase commissariale che affronti il grave stato di degrado e dissesto".
Macché stare ad impolverarsi nei nostri musei: quadri e statue devono viaggiare e ancora viaggiare o magari traslocare per un po’ di anni. Questo è il nuovo credo dei beni culturali dettato da Silvio Berlusconi. Lui vuole a Palazzo Chigi almeno quattro statue romane ora al Museo delle Terme a Roma (riallestito pochi anni or sono), due per il suo studio – che gli sembra, onestamente, spoglio – e altre due per il palazzo dove riceve. L’ha rivelato ieri dalle pagine romane il "Corriere della Sera" e, sin qui, non ci sono state smentite. A mezza bocca si lascia trapelare che quelle quattro statue sono ora chiuse nei magazzini. Per la verità, dobbiamo dire che esse sono in una sala del bel Museo delle Terme, chiusa per mancanza di fondi, come capiterà sempre più coi tagli feroci inferti alle risorse delle Soprintendenze. Quando Palazzo Chigi chiama, come si fa a dirgli di no? Sono metodi da papa-re, questi del Cavaliere. Ma papi e cardinali investivano denari di famiglia, denari loro.
Il presidente del Consiglio ha un suo motto: "ciascuno è padrone a casa sua" e, fino a prova contraria, le sedi del governo sono casa sua. Quindi anche quella della Maddalena dove si svolgerà il G8. Lì vuole i due "totem" più noti della scultura antica: i Bronzi di Riace. E c’è subito qualche illustre archeologo pronto a dire che, sì, insomma, si può fare. Nonostante la conclamata fragilità di quei due guerrieri? Nonostante. Ma non basta: per il G8 della Maddalena Berlusconi pensa in grande, vuole stupire i potenti del pianeta e quindi i suoi uffici hanno chiesto ventiquattro pezzi forti alle Soprintendenze romane ottenendo una ricca lista di possibili opzioni per quella sorta di finta parata di capolavori.
Il predecessore di Bondi al Collegio Romano, Francesco Rutelli, aveva creato per questo una commissione di esperti che, dopo alcuni mesi di lavoro, gli ha consegnato una sorta di prontuario delle cose trasportabili e di quelle che non si possono muovere. Che fine ha fatto? In questi giorni sarebbe molto utile rispolverarlo e farsene magari scudo. Non andrà così. Quando Berlusconi vuole, l’obbedienza scatta subito. Politica di potenza che, secondo l’etruscologo Mario Torelli, porta ad "una vera e propria bulimia di militarizzazioni e di commissariamenti". In testa quella delle Soprintendenze archeologiche di Roma e di Ostia. Commissario capo l’onnipresente Guido Bertolaso, che balza dai rifiuti campani alle frane calabresi, all’archeologia romana. Sostiene che lui non vuol fare l’archeologo e che già basta "l’archeologo Marchetti". Per la verità, Luciano Marchetti, direttore generale regionale del Lazio, è ingegnere e non archeologo, quindi bastava davvero lui a verificare se nei Fori romani ci sono guasti tali da esigere interventi da protezione civile. Bastavano lui e il personale delle Soprintendenze debitamente finanziati per risolvere con piena soddisfazione – come negli anni passati – i problemi sul campo. Senza consulenti esterni (che costeranno), senza "il codazzo di accademici" denunciato da Mario Torelli. Stamattina se ne parla alla Stampa Estera dalle 11 a cura di Assotecnici. I commissariamenti sono il grimaldello per esautorare le Soprintendenze la sui autonomia tecnico-scientifica dà un gran fastidio a chi vuole comandare e avere a disposizione i capolavori che gli pare. Quando, dove e come gli pare.
Il ministro Sandro Bondi ama i commissari. Ne ha mandati negli scavi di Pompei e poi a Napoli e a Roma, per agevolare la costruzione delle metropolitane, intralciate, si sente dire, dagli archeologi. Ora lo stesso ministro sostiene che l’area archeologica romana sia preda di un degrado tale da convocare al suo capezzale Guido Bertolaso, responsabile della Protezione civile. Ma loro, gli archeologi delle Soprintendenze di Roma e di Ostia, che custodiscono il più illustre patrimonio del pianeta, si ribellano. Per oggi le principali associazioni di tutela (Italia Nostra, Legambiente, Comitato per la Bellezza, Assotecnici) hanno convocato un’assemblea alla Sala stampa estera. Gli archeologi potranno andarci, ma usando l’accortezza di prendere un giorno di ferie, perché se partecipassero in rappresentanza dell’ufficio, è stato loro fatto intendere, potrebbero nascerne conseguenze. Nel frattempo, mentre altre manifestazioni si annunciano, anche clamorose, prosegue sul sito www. patrimoniosos. it la raccolta di firme contro il commissariamento, ora arrivate a quattromila, fra le quali quelle di quasi tutti i soprintendenti archeologi d’Italia, compreso Piero Guzzo di Napoli e Pompei, di illustri accademici (Fausto Zevi, Giovanni Colonna, Mario Torelli) più studiosi dalla Grecia, dall’India, dalla Lituania, dagli Stati Uniti, dalla Norvegia e dall’Argentina.
Tutti si oppongono a un provvedimento, largamente annunciato, ma che ancora non c’è, e che anzi, di fronte a un muro compatto di proteste, si dice stia vacillando. Se fosse varato come si teme, si aprirebbe un nuovo fronte nel dissestato mondo dei Beni culturali, soggetto a tagli di finanziamenti e al progressivo svuotamento delle strutture di tutela, le Soprintendenze, che annoverano ormai un personale invecchiato, mai rinnovato perché i concorsi stentano, e in balìa di norme contraddittorie, affogate in incombenze burocratiche che ne fiaccano le energie e con i capi che si alternano da un ufficio all’altro, sempre con l’incubo - i più energici - di essere trasferiti.
L’arrivo di Bertolaso quale commissario dell’archeologia romana e di un vice, Marco Corsini, assessore all’urbanistica del Campidoglio, viene vissuto come un altro fulmine dopo la designazione di Mario Resca, ex amministratore delegato di McDonald’s, a direttore generale per la valorizzazione. Un altro passo, si sente dire, verso lo svuotamento delle Soprintendenze. Il ministero, soprattutto il sottosegretario Francesco Giro, sostiene che il responsabile della Protezione civile sia la persona giusta per arginare i guai di un sito affetto da patologie drammatiche. E cita il caso del Palatino, dove frequenti sarebbero gli smottamenti a causa dell’intensificarsi delle piogge. Poco si farebbe, inoltre, per valorizzare l’area, mentre resta l’incongruenza di due Soprintendenze, una statale e una comunale, che si dividono il sito - una divisione raffigurata fisicamente in un muro che il sindaco Gianni Alemanno ha in programma di demolire il 21 aprile, giorno del Natale di Roma.
Ma, ribattono gli archeologi della Soprintendenza, non c’è bisogno di scomodare chi fronteggia inondazioni e terremoti per compiere operazioni di manutenzione e restauro. E, inoltre, se il Palatino rischia di crollare - come la stessa Soprintendenza sostiene di documentare da anni - perché commissariare anche Ostia e i Fori romani? E, si aggiunge, le migliaia di pratiche di condono ancora giacenti non sono un’emergenza? Non sono un’emergenza gli abusi edilizi nell’Appia antica? E, ancora, il commissariamento non è per caso collegato alle nuove norme introdotte con il federalismo fiscale che attribuiscono al Comune di Roma maggiori competenze sui beni culturali?
Gli archeologi romani sostengono poi che l’istituzione - anche questa solo annunciata - di un comitato scientifico che supporti il commissario «svilisca e delegittimi le professionalità presenti all’interno degli uffici». Alla guida del comitato sarebbe stato designato Andrea Carandini, archeologo di fama, che ha lavorato molto proprio sul Palatino. Ma c’è un altro elemento che allarma gli archeologi: l’idea che si intravede in molte dichiarazioni di separare siti "ad alto reddito" - il Colosseo, per esempio, l’unico bene culturale che si mantenga da sé, grazie ai milioni di biglietti staccati e alle mostre - e tutto il resto, che invece è soprattutto cure, restauri e soldi spesi senza immediati ritorni.
Del braccio di ferro fra Soprintendenze e ministero è molto preoccupato Salvatore Settis, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, che finora non è stato consultato. «Non ho visto l’ordinanza», dice il direttore della Scuola Normale, «e vorrei capire meglio: se ci si limita a sanare alcune emergenze, come il Palatino, può anche essere auspicabile un coinvolgimento della Protezione civile. Ma se il commissariamento esautorasse le due Soprintendenze, la questione sarebbe invece gravissima».
Se gli archeologi protestano, il soprintendente di Roma, Angelo Bottini, preferisce non commentare. Secondo i fautori del commissariamento, lui sarebbe favorevole all’iniziativa del ministero. Ma, alla richiesta di un commento, preferisce sottrarsi. Aggiungendo, però: «L’ordinanza ancora non c’è: se fossi contrario alle decisioni del ministero non protesterei, ma mi dimetterei».
Sull'argomento vedi anche, in eddyburg, l'articolo di Maria Pia Guermandie quelli raccolti in questa cartella
A un anno dalla introduzione del ticket d’accesso al centro storico milanese attraverso i valichi istituiti sulla circonvallazione “spagnola” i risultati sono deludenti. La leggera diminuzione degli ingressi verificata all’inizio non regge, gli automobilisti si sono abituati, il prezzo è troppo basso, le auto moderne a bassa emissione di inquinanti e quindi ammesse sono aumentate. Cosa propongono i nostri amministratori? Ci saremmo aspettati una stretta: l’estensione della tassa ai mezzi a benzina ora esenti e ai diesel recenti privi di filtro del particolato, l’aumento sensibile dell’importo, l’estensione delle barriere alla cerchia esterna. L’unico provvedimento preso è all’incontrario: infatti hanno prolungato di un anno la libertà di accesso proprio alle auto diesel euro 4 prive del filtro mentre si erano impegnati a cancellarla il primo gennaio. Intanto continua e si intensifica la politica comunale contraddittoria dei parcheggi sotterranei centrali anche a rotazione che richiamano migliaia di automobili. Politici, amministratori e capi-corporazione, attenti esclusivamente a interessi particolari, quando si occupano di inquinamento e di traffico discutono un problema per fingere di risolverlo senza toccarne un altro anzi favorendone l’aggravamento. Parlano esclusivamente di smog, peraltro accettandone il continuo superamento dei limiti di legge, ma non dicono una parola sul traffico privato come male in sé da cui consegue non solo l’inquinamento ma il complessivo mal funzionamento della città e la penosità del vivere dei cittadini e dei frequentatori. La presenza in città di mezzi fermi o in stentato movimento, automobili, camioncini, motociclette, motorini è impressionante. Le sole auto che varcano ogni mattina i confini comunali sono, secondo diverse fonti, fra 600 e 800.000.
I ciclisti (pochi rispetto ai molti che ci sarebbero in base a una politica per così dire al 10% di quella olandese) si arrabattano senza ciclopiste, ufficiosamente tollerati a percorrere i marciapiedi a loro volta invasi dalle motociclette. Il Bike sharing, tarda e misera copia milanese dell’iniziativa parigina, mancando le ciclopiste non servirà a niente. Sulla presenza delle moto debbo soffermarmi. Le motociclette di ogni genere e cilindrata sono diventate la nuova persecuzione urbana, per come si muovono a sciami, per come invadono tutti gli spazi, persino i portici e i sagrati delle chiese. Si dirà che più moto uguale meno auto. Non ne sono sicuro, potrebbe darsi meno moto uguale più viaggi sui mezzi pubblici o più biciclette. Lo sono invece circa la loro proterva invasività e violazione di ogni regola, sia nello spostarsi che nel parcheggiare. E i camioncini che caricano e scaricano le merci quasi senza limitazioni di orario? Il Consiglio comunale ha votato unanimemente da mesi un ordine del giorno che ammette le operazioni solo nelle ore serali e notturne, ma l’attuazione è impossibile. La potente corporazione dei commercianti si oppone, è essa che comanda, protetta dal suo sindaco-mentore Letizia Moratti.
E il pedone? È il corpo estraneo della città, non gli spettano spazi, se non l’unico asse San Babila – Duomo – Castello dove si raccoglie tutto l’andirivieni stranito dello shopping che non riguarda i cittadini residenti. Altrove il milanese appiedato non trova sgombre nemmeno le piazze storiche, deve aggirarsi a zig zag fra i mezzi posteggiati, abusivi o no.
Ancora sul ticket. Se tutte le automobili appartenessero, come sarà fra non molto tempo, alla tipologia europea più aggiornata nessuna verrebbe ostacolata e il caos urbano aumenterebbe. Con aria migliore, direbbero. Ma se la città continuerà a non funzionare, se i suoi spazi pubblici continueranno a degradare, se insomma il cittadino non potrà godere la sua città? Se è il traffico privato in quanto tale a negare la vita urbana, è questo che si deve abbattere. Bisogna diminuire drasticamente il numero di veicoli in circolazione. Contrariamente al vecchio principio di “far scorrere, facilitare”, caro ai vigili urbani milanesi, i mezzi privati devono essere ostacolati, gli si deve rendere la vita difficile, se così posso dire. “Sperimentando”, scriveva Guido Viale, diversi e coerenti provvedimenti.
Comunque nessuna ipotesi ha senso se non si basa su un immediato deciso aumento del trasporto pubblico cominciando dal ribaltamento delle scelte effettuate in quindici anni di amministrazione liberista.
Ma quale amministrazione potremmo mai avere nella morattiana e berlusconiana Milano, con l’ex sinistra che in tema di urbanistica e cose pubbliche si esprime a balbettamenti se non a sottomessi consensi?
Milano, 16 gennaio 2009
Nei giorni di Natale Roma era tappezzata da manifesti del Pdl che vantavano una drastica diminuzione dei reati. Qualche giorno fa un altro annunciava trionfante «tolleranza zero» verso gli immigrati. Parole vuote, a giudicare dall'ennesimo dolorosissimo caso di violenza sessuale contro un'adolescente. Eppure sono parole che incutono spavento, perché mancando una cultura alternativa, Alemanno e il governo nazionale daranno sfogo alla frustrazione dei loro fallimenti incrementando intolleranza e sentimenti razzisti. Siamo costretti a difendere i pochi spazi di ragionevolezza contro un imbarbarimento fatto di castrazioni chimiche, di "cattiveria" e di ronde. Basterebbe invece analizzare le motivazioni di potere che hanno alimentato il clima di paura.
Per ripristinare la "sicurezza", Alemanno ha messo in atto tre provvedimenti. Il primo è stato quello di vietare l'ingresso al centro storico di immigrati con i borsoni. Un provvedimento miope, teso a colpire non già l'illegalità del commercio di griffe contraffatte ma soltanto a scongiurare che quelle vendite avvenissero nel "salotto buono". Così i venditori si sono spostati in periferia. Il centro è diventato un modello di convivenza? Le cronache testimoniano un degrado crescente: vicoli e strade sono vuote di merci ma piene di bottiglie rotte delle interminabili notti di baldoria. In compenso la potentissima categoria dei commercianti del centro è stata accontentata.
Il secondo provvedimento è quello della rabbiosa opera di demolizione delle baracche e dei ricoveri di fortuna che sorgono in ogni luogo della città. La crescita urbanistica di Roma è la più anarchica del mondo occidentale e questi luoghi abbandonati sono infiniti. Lotti inedificati, aree verdi mai realizzate o in stato di abbandono. E così via. La cecità di questa politica sta nell'assenza di qualsiasi forma di assistenza alloggiativa. Si demolisce e basta. Così le baracche vengono ricostruite a qualche centinaio di metri di distanza o anche sugli stessi posti di prima. Il degrado si diffonde a macchia d'olio e non saranno le demolizioni a fermare la disperazione. Ma, anche qui, il dovere è compiuto: un regalo ai fedeli costruttori romani prevedendo una gigantesca espansione nell'agro romano. Invece di risanare l'esistente completando tutti i luoghi incompiuti, ci si espande, così da creare tanti altri luoghi adatti per le baraccopoli. La lobby del mattone è accontentata.
Il terzo provvedimento è simbolico e terribile al tempo stesso: restituire le armi ai vigili urbani dopo che ne erano stati privati oltre vent'anni fa dal clima culturale allora egemone. Un pensiero alto sulle città costruito da sindaci come Argan o Novelli a Torino, da grandi urbanisti come Salzano a Venezia, da intellettuali come Piero Della Seta e Maria Michetti. Quel pensiero complesso è stato buttato alle ortiche per abbracciare una visione economicistica delle città. Le persone sono scomparse: sono rimasti solo affarismo e cinismo. Non è per questo che Renato Soru è stato sconfitto in Sardegna?
E si stenta ancora, nonostante il crollo mondiale del neoliberismo, a fare i conti con la stagione della deriva culturale. In questi giorni a Roma è stato dato il via allo svolgimento di una gara del campionato mondiale di Formula 1. Non stupisce che il centro destra creda ancora nelle sorti del neoliberismo. Stupisce il silenzio della sinistra. Manca dunque una convincente cultura urbana fatta di tolleranza e inclusione. Un grave limite che non permette di riacquistare consenso e fiducia in un elettorato disorientato. E finché non saranno stati fatti i conti con l'acritica accettazione della concezione urbana liberista, dovremo rassegnarci al trionfo della paura, dell'intolleranza e del razzismo.
Le esposizioni universali (Expo nel gergo attuale che ne segnala il rientro nella quotidianità), dopo quelle nazionali tra la fine del XVIII secolo ed il 1849 si inaugurano sotto la spinta del commercio con l'Esposizione Universale di Londra del 1851. Di essa restano, nella storia dell'architettura, il Palazzo di Cristallo di Paxton, la discussione per la costituzione di un progetto di forme degli oggetti d'uso coerente con la produzione industriale, la discussione sui dazi delle merci e le prime collaborazioni di Marx al «New York Daily Tribune».
Nel 1855 anche Parigi apre una propria «grande esposizione universale», di cui conosciamo il commento di Charles Baudelaire. Del 1876 è l'esposizione di Philadelphia ed una seconda parigina (con la celebre Galerie des Machines) e la Tour Eiffel del 1889; tre anni prima quella di Vienna con la sistemazione del Prater. Poi nel 1893 quella di Chicago, fiera colombiana commemorativa del quattrocentenario della scoperta dell'America. Alla fine del secolo vi è una diffusione larga di esposizioni internazionali o universali. Anche in Italia nel 1902 a Torino e nel 1906 a Milano si celebrano esposizioni internazionali. Poi Parigi nel 1925, Stoccolma nel 1930, Chicago nel 1933, Bruxelles nel 1935, ancora Parigi nel 1937, New York nel 1939, ed infine quella fallita di Roma del 1942. Per ricordare le più importanti recenti si deve ancora citare la «South Bank Exhibition » a Londra nel 1951, poi Bruxelles, Torino, Losanna, New York e così via.
Dalla fine degli anni '60 la loro importanza comincia a declinare in funzione del loro infittirsi, sino a confondersi con le fiere e con le manifestazioni sportive internazionali, sino a diventare uno strumento premoderno con la diffusione degli strumenti di comunicazione immateriale in grado non solo di regolare meglio e più rapidamente scambi commerciali e finanziari ma anche di suscitare intorno ad uno specifico tema l'interesse civile: ed anche quello speculativo, così anche l'esposizione universale si è trasformata in «evento» che, come ogni cosa nel mondo contemporaneo, vive come evento temporaneo. Anziché di modificazioni strutturali, solo di processi strumentali. Io credo perciò che da un «evento come un Expo» non si possano più attendere trasformazioni culturali e civili durevoli, né capacità di attrazioni grandiose.
Le «Expo» dei nostri anni vivono soprattutto sulla concentrazione su di esse degli interessi del «marketing pubblico », in qualche caso di quello turistico e immobiliare, e soprattutto, nei casi migliori e di accordo politico tra amministrazione locale e nazionale, della possibilità di acquisire finanziamenti eccezionali, capaci, nei casi migliori, di risolvere problemi infrastrutturali e di servizi durevoli ben al di là dell'occasione specifica. Un lodevole interesse tattico coperto da qualche slogan strategico.
Un tunnel lungo quasi quindici chilometri che dall´area Expo porta all´aeroporto di Linate passando sotto il centro città. Un´opera mastodontica, il cui costo è stato stimato intorno a due miliardi di euro, che il Comune ora cerca di far rientrare fra le infrastrutture previste per la grande esposizione del 2015.
In realtà nel dossier di candidatura con cui il sindaco Moratti conquistò la fiducia del Bie non se ne parla. Ma prima di Natale la rivisitazione del vecchio progetto di tunnel Certosa-Garibaldi, licenziato nel 2006 dall´allora sindaco Gabriele Albertini, è entrato nell´elenco delle opere complementari all´Expo, che annovera una serie di lavori secondari che dovrebbero aggiungersi ai già precari interventi principali, quelli legati al sito vero e proprio e tutte le infrastrutture in carico alla Regione come Brebemi, Pedemontana e nuovi collegamenti ferroviari.
In pieno caos Expo, con la società impantanata nel braccio di ferro tra sindaco e governo e nessuna certezza sui finanziamenti promessi, al lungo elenco dei lavori che la città dovrà sostenere da qui al 2015 se ne aggiunge un altro. I tecnici ci stanno lavorando da settimane, con simulazioni, studi di fattibilità e analisi economiche. La prossima settimana si riuniranno intorno a un tavolo gli uomini dell´assessore all´Urbanistica Carlo Masseroli e quelli del collega ai Lavori Pubblici Bruno Simini - entrambi sostenitori del progetto - per iniziare a mettere a punto una proposta definitiva. Ma già un´idea di massima c´è, come si legge in una valutazione fatta da Infrastrutture Lombarde (società della Regione) a cui è stata passata la pratica dopo un parere non del tutto favorevole dell´Ama (società del Comune).
Il tracciato del tunnel, si legge nel rapporto, dovrebbe collegare l´area Expo con la tangenziale Est all´altezza dello svincolo di viale Forlanini, per un totale di 14,5 chilometri. Rispetto al primo progetto, quello che Albertini in un´ordinanza aveva definito «di interesse pubblico», si sono aggiunti cinque chilometri e nove uscite: Console Marcello, Nuova Strada interquartiere, l´autostrada A4, la Fiera, Cascina Merlata, Bovisa, Monteceneri, Zara, piazza della Repubblica, Garibaldi, piazzale Susa e viale Juvara. Non solo. Il tunnel che collegava l´autostrada dei Laghi a Garibaldi doveva essere tutto in project financing, ripagato con il pedaggio in 60 anni (concessione già di per sé più lunga del previsto). Ora sempre lo stesso gruppo di imprenditori - capeggiati dalla Torno - propone un´opera che la stessa Infrastrutture Lombarde sostiene necessitare «di un contributo pubblico in conto investimenti, a fondo perduto, di circa 750-800 milioni di euro». Una cifra enorme, in un periodo di magra come questo, per un intervento su cui oggi, alla luce del futuro poco roseo che si prospetta per l´aeroporto di Linate, potrebbero essere sollevata più di una perplessità. La prima: dove trovare i soldi? Il Comune non nasconde la speranza che nella partita rientri anche la Regione. «È un´opera che ha una portata molto più che cittadina - spiega l´assessore Bruno Simini - , di importanza strategica per Milano. Fosse per me sarebbe una priorità assoluta al di là dell´Expo. Permetterebbe finalmente di alleggerire le tangenziali, oggi completamente intasate, e di far scomparire sotto terra milioni di auto l´anno. Questo gioverebbe non solo dal punto di vista della mobilità, ma diminuirebbe anche l´inquinamento».
Il progetto, che con Albertini si era arenato perché gli imprenditori non avevano trovato un garante finanziario come previsto dagli accordi, è tornato alla ribalta con la nuova giunta Moratti. Il Comune ha chiesto delle modifiche, come l´allungamento del percorso, e nuove simulazioni. L´idea originale aveva sollevato qualche perplessità soprattutto dal punto di vista finanziario. Così i privati, tornati alla carica e appoggiati dai due assessori di Forza Italia Simini e Masseroli, hanno presentato un nuovo progetto che ora si prepara a essere varato. Sempre che il Comune trovi i soldi per realizzarlo. Ma pare che una delle intenzioni di Palazzo Marino sia iniziare comunque con una prima tranche (Certosa-Garibaldi) che costerebbe 700mila euro. «Realizzare quest´opera significa creare un indebitamento di fronte al quale quello dei derivati è niente - commenta critico il consigliere dei Verdi Enrico Fedrighini - . Invece di procedere con una politica di potenziamento del trasporto pubblico per liberare la città dalle auto, col tunnel si va nel senso opposto. In periodo di crisi bisognerebbe dare assoluta priorità alle metropolitane». E ancora: «Ho presentato un´interrogazione per sapere se l´ordinanza di Albertini è ancora valida, visto che chiedeva la nomina di un garante finanziario entro 90 giorni e i privati non sono mai stati in grado di trovarlo».
postilla
Niente da dire: non sorprende il coerente approccio, a metà fra l’ingegneristico anni ’60 e il puro folklorismo, con cui si propone questa opera di “interesse pubblico”, ovvero da realizzare con soldi pubblici, ma per scopi che con la pubblica utilità non hanno nulla da spartire. Siamo, guardando solo con un briciolo di attenzione in più, dalle parti delle operazioni di urban renewal novecentesche, già di per sé abbastanza brutali, e a cui quasi tutti i processi di riqualificazione aperti nel mondo cercano ora di rimediare: quartieri devastati dagli svincoli, nuova congestione indotta, inquinamento, degrado ecc. ecc.
Ma, come sempre accade, chi decide a Milano sembra non guardare in faccia a nessuno, salvo naturalmente ai soliti interessi amici, vale a dire i grandi progetti di trasformazione urbana innestati sul braccio Linate-Expo (Lisbona-Kiev? e l'aeroporto di Linate magari trasformato in un nuovo quartiere di lusso dopo la dismissione?) della famosa “T Rovesciata” . Quella per intenderci descritta nel Documento di Inquadramento delle Politiche Urbanistiche Comunali, ovvero il contenitore elastico di tutto quanto proposto dagli interessi via via prevalenti.
Pare di intuire, insomma, che la città ideale graniticamente perseguita da questi signori sia davvero fatta da due milioni di cafoni strombazzanti sul SUV, che scorazzano avanti e indietro da un parcheggio in seconda fila all’altro, all’ombra dei cartelloni pubblicitari del nuovo quartiere “a misura d’uomo”. Stomachevole.
Con la sconfitta dell’emendamento “ammazzaparchi” pensavamo di aver respinto definitivamente l’assalto alla aree protette lombarde. Ma purtroppo non è proprio così. La Giunta Regionale ha infatti presentato un progetto di legge sui parchi (PDL 289 – dgr 05/12/2007) che è pessimo e che assesterà un duro colpo al sistema dei parchi lombardo, che invece è ricco, in salute e richiede norme chiare per proseguire lungo la strada di uno sviluppo sostenibile, integrato anche con le attività delle comunità che vi risiedono.
Dopo i primi passaggi in Commissione Ambiente del Consiglio regionale, l'ultimo oggi, abbiamo avuto modo di rilevare che tutta la legge desta molta preoccupazione e che la maggioranza e la stessa Giunta Regionale hanno idee molto confuse sull’intero provvedimento. Una confusione pericolosa, che rischia di indebolire il sistema delle aree protette lombarde e di rompere gli ultimi argini contro l'impetuoso consumo di suolo in Lombardia.
Il PDL prevede la nomina da parte della Regione dei direttori dei parchi, che indebolisce i Parchi stessi ed espone gli enti agli interessi che di volta in volta dovessero premere sui vertici dell’amministrazione regionale. Inoltre la modifica della forma giuridica al momento ipotizzata dalla Giunta rischia di determinare una forte riduzione dei finanziamenti e dell’utilizzo dei fondi a disposizione dei Parchi.
Ma non è tutto. C’è anche e soprattutto un forte rischio di riaprire le porte alle speculazioni edilizie: nel progetto di legge è previsto infatti che la Giunta regionale nella fase istruttoria del piano di coordinamento del parco o di sue varianti, su proposte specifiche degli enti locali (leggi nuove urbanizzazioni) garantisce il confronto tra l’ente gestore e il comune. In caso di conflitto tra parco ed ente locale, quasi evocato dalla attuale proposta della Regione,ci penserà la Regione a metterci un mattone sopra, è proprio il caso di dire.
Tutto ciò è inaccettabile: la Giunta regionale approfitta di ogni occasione per rilanciare strumenti legislativi che indeboliscono il sistema delle aree protette che invece va tutelato e promosso, anche con iniziative economiche sostenibili, come il turismo naturalistico e le produzioni agricole di qualità.
Con questo appello chiediamo anzitutto che si avvii un tavolo con i Presidenti dei Parchi, con le Associazioni e i Comuniper studiare e avviare alla discussione in Consiglio regionale una legge condivisa e organica che rafforzi le tutele dei Parchi e garantisca un vero sviluppo del patrimonio naturale e agricolo della Lombardia.
I Consiglieri regionali della Commissione Ambiente: Mario Agostinelli, Carlo Monguzzi, Giuseppe Civati, Francesco Prina, Arturo Squassina, Fortunato Pedrazzi, Dionigi Guindani. Milano, 11 febbraio 2009 -
La rivolta degli archeologi "No al commissariamento"
Paolo Brogi – Corriere della Sera, ed. Roma
"Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, avuta notizia dell'annuncio da parte del Ministro Bondi della richiesta di un commissariamento straordinario del proprio Ufficio, non ritenendo plausibili le motivazioni addotte a sostegno di un provvedimento che solo un'emergenza di protezione civile potrebbe giustificare, dichiara lo stato di agitazione permanente".
Questo l'inizio del documento firmato da architetti e archeologi, un'ottantina. "La nomina di un Commissario straordinario, attualmente responsabile della Protezione Civile, di un vicecommissario attuatore (incompatibilmente assessore comunale), oltre a porre l'attività dell'Ufficio di tutela al di fuori dell'amministrazione ordinaria, ci esautora di fatto...".
Tra Stato e Comune bastava un semplice protocollo d'intesa, dicono, è evidente che gli obiettivi del commissariamento puntano a una privatizzazione strisciante.
Tra i firmatari direttori di museo (Rita Paris di Palazzo Massimo, Maria Antonietta Tomei del Museo delle Terme, Alessandra Capodiferro e Matilde De Angelis di Altemps, Mariarosa Barbera della Domus Aurea, Rossella Rea del Colosseo, Laura Vendittelli di Cripta Balbi, Marina Piranomonte delle Terme di Caracalla), gli scavatori del Suburbio (Rita Santiolini, Stefano Musco, Daniela Rossi, Paola Anzidei, Paola Filippini), gli esperti di Palatino e area centrale (Roberto Egidi, Maria Grazia Filetici, Giuseppe Morganti, Piero Meogrossi, Paola Catalano, Fedora Filippi).
A Roma 55 archeologi contro il ministro Bondi
Vittorio Emiliani – l’Unità
Da Roma ad Ostia Antica, non ci stanno ad essere "commissariati", in via straordinaria dal governo, attraverso il sottosegretario alla Protezione civile, Bertolaso, e l’assessore comunale all’urbanistica, Corsini (che, come "vice-commissario attuatore", diventerebbe il controllore di se stesso). Gli archeologi non vogliono neppure essere posti sotto tutela da consulenti tecnico-scientifici esterni (si è parlato di Andrea Carandini). In 55 hanno sottoscritto un documento in cui dicono che le nomine proposte dal ministro Bondi, dopo l’incontro col sindaco Alemanno, esautorano "di fatto il corpo degli archeologi, degli architetti e di tutto il personale tecnico-amministrativo", determinano "una sovrapposizione (o meglio uno svuotamento) di funzioni", in "gravissimo contrasto con ogni criterio di economicità" e di produttività. Da una parte si taglia, dall’altra si creano nuovi uffici. In forza di quali eccezionali emergenze?
Il protocollo d’intesa
Secondo i 55 firmatari per una "fruizione unitaria dell’area archeologica centrale di Roma", i due Fori, sarebbe bastato - tesi ampiamente condivisa - "un semplice protocollo di intesa tra gli Uffici statali e comunali". È avvenuto in altre situazioni straordinarie: per investire al meglio i fondi (90 miliardi di lire degli anni ‘80) della legge speciale Biasini, quelli per Roma Capitale e per il Giubileo 2000, gli stessi proventi del Lotto del mercoledì, "dimostrando capacità di spesa e ampiezza di risultati".
Perciò la decisione Bondi-Alemanno non convince affatto. Ci sono di mezzo, allora, "la gestione (e gli introiti), perché di questo si tratta, di Aree Archeologiche Monumentali di rilevanza mondiale" quali il Colosseo (che da solo incassa 1,5 milioni di euro l’anno), la Domus Aurea, i Fori Imperiali? Questo sembra essere il vero perno della vicenda: determinare "una spaccatura insanabile" fra una "archeologia ad alto reddito" e una invece "senza reddito" per gestire probabilmente la prima in forma privatistica (il vecchio disegno di Giuliano Urbani di privatizzare i Musei "ricchi") e lasciare la seconda in braccio allo Stato. Tutto ciò confligge tuttavia coi principii fondamentali dell’articolo 9 della Costituzione per il quale - come hanno ribadito numerose sentenze della Corte - la tutela rappresenta il valore primario, esercitato dalla Repubblica. Alcune associazioni - Assotecnici, Italia Nostra (uscita giorni fa con un documento ben argomentato di protesta), Bianchi Bandinelli, Comitato per la Bellezza, i siti Eddyburg e PatrimonioSos, Legambiente - hanno già aderito all’idea di una manifestazione nella quale illustrare le ragioni di questo "no" a provvedimenti che stravolgono le leggi vigenti, svuotando di poteri e di mezzi le già indebolite Soprintendenze, facendo entrare la politica, in modo sempre più devastante in attività tecnico-scientifiche che sono e devono rimanere pienamente autonome. La cultura è un valore "in sé", enorme, e non un affare.
Fori, la rivolta degli archeologi contro Bertolaso commissario
Carlo Alberto Bucci – La Repubblica, ed. Roma
Rivolta all’ombra del Colosseo contro il commissario Bertolaso e la nomina di una commissione scientifica esterna per l’area archeologica di Roma. Sono una cinquantina i funzionari, archeologi e architetti, che hanno proclamato lo "stato di agitazione permanente" per reagire alla decisione del ministro Bondi di commissariare la Soprintendenza speciale di Roma: "Solo un’emergenza di protezione civile - scrivono - potrebbe giustificare un tale, gravissimo provvedimento". Il 30 gennaio - giorno dell’accordo tra Stato e Comune sul nome del capo della Protezione civile - il gruppo direttivo e i lavoratori della Soprintendenza si sono riuniti in assemblea chiudendo per alcune ore alle visite i monumenti e i musei. E questo potrebbe essere lo strumento di lotta se non verrà accolto l’appello contro "il rischio cogente di distruzione di un Ufficio di tutela di grande rilevanza storica e cultura".
Da Antonello Vodret memoria storica della Domus Aurea, a Roberto Egidi autore di importanti scoperte a piazza Venezia, dalla responsabile dell’Appia Rita Paris, alla direttrice del Colosseo Rossella Rea, fino ad Alessandra Capodiferro che due settimane fa ha ritrovato la straordinaria Testa di Artemide a Testaccio: c’è tutta la squadra che dagli anni Ottanta ha riportato l’archeologia a Roma a sentirsi "esautorata della pienezza del proprio ruolo istituzionale" dalla "sovrapposizione (svuotamento) di funzioni". I firmatari approvano l’abbattimento del muro tra Fori imperiali e Foro romano ("ma sarebbe bastato un protocollo d’intesa tra uffici statali e comunali"). E, dietro "questa gravissima manovra", vedono il rischio "di un nuovo assetto gestionale: forse di diritto privatistico?"
Nei necrologi si usa, dalle nostre parti, la fotografia del defunto. E alle volte si aggiunge, per un formalismo che può tornare utile anche nell’aldilà, la professione svolta in vita. Così con meraviglia leggemmo, alcuni anni fa, sotto il nome e la foto di un trapassato di Capoterra, nientemeno che la professione del Lottizzatore, anzi, quella di Pioniere delle Lottizzazioni.
Le lottizzazioni di Capoterra. Nomi paradisiaci, Frutti d’Oro, oppure contemplativi, Poggio dei Pini o megalomani, Residenza del Sole, anticipatori, Su Spantu. Insomma, siti dove non si dovrebbe, stando al nome, morire mai, e dove non esiste il dolore. Ma quei nomi sono una pubblicità ingannevole. Il dolore è arrivato anche là e quelle lottizzazioni hanno fatto di Capoterra l’opposto di un buon modello urbano.
Abitato e abitanti dovrebbero – rudimenti di urbanistica – essere riuniti, raccolti in un territorio omogeneo. Il territorio non si butta via costruendo ovunque. Esiste un unico uso saggio del suolo: in un punto finisce il paese o la città e in quel punto inizia la campagna.
Capoterra, invece, è un paese sbracato, insediamenti sparsi che qualche urbanista chiama senza arrossire “trama abitativa fine”. Luoghi pericolosi. E gli abitanti sparpagliati delle lottizzazioni hanno come perduto la cittadinanza. Un cattivo esempio, tra i peggiori.
Chi, oltrepassata la bellezza dello stagno di Santa Gilla, percorre dal bivio di Capoterra l’orrida strada che porta verso Pula vedrà quale brodaglia edilizia è sorta lungo il cammino e le pendici dei monti di Capoterra. Un’edilizia che offende ogni retina educata. Altro che “trama fine”.
Il viaggiatore atterrito vedrà in quel paesaggio l’espressione compiuta dell’inconfondibile “senso sardo del brutto”. Il “senso sardo del brutto” che devasta città e campagne, e rende desolatamente unitaria la nostra isola. Divisi, ma uniti dal senso del brutto. Si è perfino costituito un peculiare “brutto capoterrese”. Un brutto che ha poco a che vedere con la povertà e il bisogno perché non c’è povertà da quelle parti.
Un tempo, anzi, la necessità di fare economie aveva creato, molto prima dell’avvento dei lottizzatori, un paesaggio armonico e città e paesi erano proporzionati e “logici” nel loro contesto.
Noi possediamo nell’Isola ancora in grande quantità il Bello Naturale, senza averne merito e con nessuna coscienza. Il Bello Naturale, considerato addirittura un “niente”, un vuoto da riempire, è un fastidio sociale, un ostacolo allo sviluppo che di questi tempi si identifica tragicamente con il costruire e costruire.
Spesso, però, un paesaggio brutto è anche un paesaggio dannoso e il “brutto capoterrese” coincide con il pericolo. Così, inevitabilmente, la notte tra il 21 e il 22 ottobre di quest’anno, il paesaggio, sfinito, reso deforme dai lottizzatori, ha causato cinque vittime.
Capoterra era un bel paesetto su un pendio, ha subìto piogge per secoli, senza disastri e non appariva nelle cronache delle tragedie, sino ad anni recenti.
Tornare indietro nel tempo aiuta a comprendere e riassumiamo la cronaca di due secoli di alluvioni.
Pirri, 1795, 1796, 1797, cicliche alluvioni autunnali: 6 vittime.
Il paese è l’epicentro di inondazioni da secoli, sempre negli stessi due mesi, ottobre e novembre.
I disastri si susseguono periodicamente.
Selargius, Pirri, Elmas, Quartucciu, Uta, Assemini, Decimo, Sestu sono colpiti con costanza da nubifragi violenti a ottobre e novembre.
Le cronache ci raccontano, dalla fine del ‘700 a oggi, di decine e decine di diluvi rovinosi che si ripetono con ricorrenza impressionante, ad intervalli di pochi anni. Centinaia le vittime nel Campidano di Cagliari.
Nel 1889, il 5 ottobre, piove per poche ore, ma così intensamente che Pirri, Monserrato, Selargius, Quartucciu, Quartu subiscono danni gravissimi. Decine i morti e un migliaio di senzatetto. Il Governo, per la prima volta, assume provvedimenti eccezionali e si progettano opere idrauliche.
Poi nel 1892, centosedici anni fa, una tragedia più grande delle altre.
Le analogie con l’oggi mettono paura.
La notte tra il 22 e il 23 ottobre del 1892 - gli stessi giorni e le stesse ore del dramma di Capoterra - un nubifragio colpisce il cagliaritano. L’alba non arriva mai perché il cielo è buio anche la mattina. La zona intorno a Elmas è devastata. A San Sperate si contano 69 morti e ancora oggi qualcuno ricorda quell’alluvione come “s’unda manna”. Duecento morti in tutto il territorio colpito.
Con sistematica periodicità i nostri autunni sono segnati da alluvioni e lutti. Si contano, negli ultimi due secoli, circa quaranta di eventi catastrofici, concentrati nei mesi di ottobre e novembre, spesso preceduti da siccità, alle volte da invasioni di cavallette e seguiti da epidemie di colera.
Anche in tempi recenti, nel 1946, nella notte tra il 26 e il 27 ottobre, sempre nella solita zona, Elmas, Sestu, Assemini, ci furono 46 vittime dell’acqua, soprattutto anziani e bambini.
Poi iniziano gli anni della ricostruzione post bellica. Poi, ancora, arrivano gli anni del boom economico, i terribili anni sessanta.
Questo sommario smentisce gli sconsiderati sostenitori dell’imprevedibilità del clima nostrano che invece manifesta una puntualità ossessiva. Qualche sfacciato ha perfino proclamato che un evento come quello del 22 novembre si ripete, secondo un calcolo creativo, ogni 20.000 anni. E invece tutto si replica identico. Da due secoli subiamo un’alluvione memorabile ogni 5 anni.
L’imprevedibilità è la scusa degli sventati.
Le alluvioni continuano negli stessi luoghi però con qualche novità perché, nel frattempo, noi abbiamo radicalmente mutato il paesaggio con un’accelerazione ed uno sperpero dei suoli mai visti prima.
Certo, qualcosa è stata fatta dai 200 morti del 1892. E a San Sperate il rischio è stato mitigato. Pirri si allaga ancora sistematicamente, l’onda travolge le auto, ma non ci sono vittime da molti anni. Assemini vive una situazione di incertezza angosciante però le perdite di vite umane sono diminuite. La protezione civile, il sistema dei soccorsi, gli allerta, la coscienza civica. Il progresso, insomma, porta con sé anche qualche vantaggio.
Capoterra appare, insana novità, nella lista dei disastri a partire dagli anni sessanta.
Perché?
Beh, sino a quell’epoca il paese non aveva costruzioni intorno. L’acqua che proveniva dal monte defluiva a valle senza ostacoli.
Ma negli anni ‘60 il Comune affida il piano regolatore a un ingegnere, un caposcuola, lo stesso che ha concorso, carte e bolli in regola, a deturpare per sempre Chia. L’ingegnere si commosse per le campagne bellissime intorno a Capoterra. Le vide. Subito le immaginò costruite e abitate da famiglie lottizzate e felici. Fu l’inizio di una gara. Da allora ingegneri, architetti, geometri e impresari si sono moltiplicati come batteri. E come gli indiani non avevano previsto l’uomo bianco nella loro terra noi non avevamo previsto i lottizzatori nella nostra.
Capoterra diventa il crocevia di nuovi interessi e nel suo territorio crescono a dismisura le Lottizzazioni, del tutto estranee al paese, i cui inquilini apolidi non si considerano neppure capoterresi. I residenti di Poggio dei Pini si identificano con comicità come “poggini”.
E non solo Capoterra fa il suo cupo ingresso tra i paesi con vocazione al disastro ma i suoi abitanti tanto si appassionano alle concessioni edilizie che ravvivano il paese con la polvere pirica e dedicano bombe a chi chiede regole. Uno stato primordiale di illegalità.
Oggi.
A Frutti d’Oro, contrabbandato come il giardino delle Esperidi, spalano fango dalle case. A Su Loi, a Su Spantu, nome che annuncia sventura, soffrono ancora. A Poggio dei Pini il ponte spezzato, gli alberi divelti, i muraglioni di cemento crollati, ricordano, ai fautori dello sviluppo malformato, la forza delle acque.
Noi abbiamo costantemente criticato certi nostri sindaci, certe autonomie locali e certe imprese che hanno avvilito e abbruttito senza speranza il territorio. Ora, dopo il disastro del 22 ottobre, viene alla mente una riflessione che estende la colpa a chi ha scelto di vivere in quei luoghi.
L’azione di comprare e, soprattutto, abitare una casa dovrebbe essere una delle azioni più ponderate della nostra esistenza.
Ebbene, chissà - ce lo chiediamo mentre guardiamo una piana fangosa con le abitazioni sommerse - cosa è passato nella testa di chi ha comprato casa alla foce del rio San Girolamo. Villette costruite in un sito dove anche un ciuccio avrebbe potuto immaginare una vita a rischio o impossibile. Edificate e vendute a inquilini creduloni.
Dicono che i nulla osta di certe lottizzazioni risalgono agli anni ‘70. Miserabile giustificazione. Come se all’epoca fosse stato tutto permesso e non fossero esistite leggi. Come se il rischio idrogeologico e le leggi per evitarlo non fossero mai esistiti.
Gli speculatori, indifferenti ai cinque morti dell’alluvione, raccontano ancora la bugia che costruire è necessario perché Cagliari non ha più case mentre, cifre ufficiali, la città possiede 8000 appartamenti vuoti che corrispondono a circa 25.000 abitanti in meno. Che costruire è necessario mentre tutti sanno dell’eccesso di abitazioni rispetto agli abitanti in diminuzione. Pubblicizzano “città del futuro” fasulle e consegnano case a coppie indebitate e infelici. La pubblicità di un incubo.
Dopo il disastro e i cinque morti del 22 ottobre il Governo regionale ferma i progetti a Capoterra. Poggio dei Pini e i cosiddetti “poggini” insorgono.
Ma la cooperativa di Poggio dei Pini non è una comune cooperativa. E’ controllata nientemeno che da un consiglio d’amministrazione. Non ci sono insalubri riunioni di condominio ma, peggio ancora, c’è un’associazione di affari che vorrebbe un milione di metri cubi sul Poggio, l’equivalente di una delle torri gemelle, l’equivalente di un intero paese di qualche migliaio di abitanti. Una mostruosità.
La Regione blocca la nuova lottizzazione e il cinico consiglio d’amministrazione ricorre sfrontatamente al Tribunale amministrativo. Muoiono cinque persone per l’eccesso di costruito e i lottizzatori ricorrono ai giudici per costruire ancora. Il mondo è davvero uscito dai cardini.
Ancora ingegneri che imbandiscono piani nei quali, anziché prevedere la distruzione di orride case e villette, propongono altri metri cubi, supermercati superflui, “centri di aggregazione” che si disgregheranno con la pioggia, scuole subacquee, outlet (chissà cosa sono), strade, ponti sempre più grandi.
E creeranno, questo è certo, le premesse per disastri più grandi dei loro ponti.
Pubblicato anche su La nuova Sardegna, 31 dicembre 2008
Vedi qui altri articoli su eddyburg.it a proposito di Capoterra
Leggendo i giornali dei giorni passati, ho avuto la netta sensazione che Roma fosse stata colpita da un grave calamità: eppure non posso dire di avere avvertito sismi capaci di gravi distruzioni, né ho notizia di una grave inondazione delle zone basse della città, una triste realtà che per secoli ha segnato la vita di quei romani che abitavano Trastevere e il Campo Marzio, prima che venissero eretti i muraglioni del Tevere, una delle prime Grandi Opere del Regno per Roma Capitale (anche allora!) , fermamente voluta da Giuseppe Garibaldi.
Ho faticato un po’ per darmi una spiegazione del fatto che Bertolaso, sottosegretario di Stato alla Protezione Civile, ossia la persona alla quale il Governo di norma affida pezzi di territorio nazionale travolti da gravi emergenze naturali, perché provveda a salvare persone e cose e organizzi soccorsi, sia stato nominato Commissario per l’archeologia, con un simpatico codazzo di consiglieri scientifici di estrazione accademica, che, come sanno fare solo gli italiani, sono corsi in aiuto del vincitore. Mi è sembrato poi di capire che a lui e alla sua comprovata esperienza anche in fatto di situazioni fuori dal normale si intenderebbe affidare un evento, il cui solo riscontro nella storia è la caduta del Muro di Berlino: l’abbattimento del muro che separa il Foro Romano dai Fori Imperiali, il primo da sempre affidato alla tutela della Soprintendenza Archeologica di Roma, e i secondi gestiti invece dalla Soprintendenza del Comune, il tutto in vista di una circostanza epocale, l’unificazione dell’amministrazione dell’immenso patrimonio archeologico del Centro storico di Roma.
Ho celiato un po’ sul senso di ridicolo che suscita in chiunque la chiamata dell’Uomo delle Emergenze Calamitose al solo scopo di permettere che una sola persona gestisca un patrimonio, quello archeologico di Roma, diviso tra Stato ed Ente Locale in forza di una tradizione amministrativa non sempre chiara e non sempre ripartita in base a criteri logici e di efficienza, ma che per un secolo ha bene o male funzionato. I funzionari delle Soprintendenze archeologiche di Stato, di Roma e di Ostia (due sono le Soprintendenze che tutelano il patrimonio della Roma dei Cesari e del suo suburbio), hanno dichiarato di paventare dirizzoni della politica del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in senso privatistico e si sono posti in stato di agitazione. E’ difficile non condividere le preoccupazioni dei colleghi delle Soprintendenze soprattutto di fronte ad un ennesima prova della sfiducia degli organi di governo nei confronti di un servizio, quello loro, e di un’amministrazione, che proprio in questi giorni sta celebrando il centenario della prima legge di tutela con una bella e malinconica mostra al Colosseo. Ma, per quanto l’ansia di privatizzare tutto possa agitare i sonni dei ministri del governo Berlusconi (e questo sicuramente accade, come si è potuto chiaramente dedurre dal suggerimento di affidare le università a fondazioni), il principale motivo di preoccupazione di quanti sono pensosi del destino delle nostre antichità consiste non tanto nello spettro di una deriva privatistica, dal momento che sappiamo bene che al privato interessano solo quei pezzi di Stato che conviene sfruttare sul piano economico (e dei beni culturali si sa ce n’è pochini di convenienti), quanto piuttosto nel demone decisionista che rappresenta uno dei chiodi fissi del Cavaliere, come si deduce agevolmente dai suoi continui ricorsi al voto di fiducia, pur in presenza di una maggioranza parlamentare schiacciante.
Siamo di fronte ad una vera e propria bulimia di militarizzazioni e di commissariamenti da parte della destra al governo, che nel campo dei Beni Culturali e in particolare di quelli archeologici non sembra avere limiti: si è commissariato Pompei per motivi di «ordine pubblico», si è già prima ancora di Bertolaso commissariata Roma e Napoli nella persona del direttore generale del Ministero Cecchi con il compito di «coordinare i lavori delle due metropolitane», ora si torna a commissariare Roma per motivi francamente poco comprensibili. In qualche caso, come quello destinato alle metropolitane, la presenza di un commissario può avere una sua utilità, ma non sempre è così. Ad esempio, il prefetto al quale è stato affidato il commissariamento di Pompei si è già prodotto in episodi di danneggiamento del patrimonio archeologico: volendo a tutti i costi approntare un ristorante per gli scavi da allocare nel borbonico Casino delle Aquile, il commissario ha liberato in maniera spicciativa l’edificio di quanto era in esso contenuto, ivi compresi i frammenti di un soffitto dipinto romano che attendevano di essere restaurati. Com’è noto, in campo archeologico la fretta è una cattiva consigliera e quest’ansia di bonapartistico decisionismo ci preoccupa non poco.
E infatti la nomina di tutti questi commissari viene ad aggiungersi ad altri segnali poco incoraggianti, come il trasferimento al Comune di Roma di tutti i monumenti archeologici della città tentato (e non riuscito) con la solita legge finanziaria; ma come dimenticare la nomina del manager della MacDonald a Superdirigente delle Mostre, al quale anche, ohimé, veniva data la potestà di avviare la libera circolazione dei beni archeologici, sognata dagli antiquari e chiodo fisso dell’on. le Carlucci di Forza Italia, che ne ha fatto reiterati disegni di legge, per ora fortunatamente solo disegni e non leggi dello Stato. A ben veder si tratta di tentativi che delineano un progetto di svuotamento del servizio di tutela dello Stato, da affidare a pochissime persone, solo occasionalmente di formazione tecnica, magari molto ossequenti, e di dare finalmente mano libera agli antiquari e alla speculazione edilizia. Amen.
La protesta degli archeologi "Il Commissario? Occupiamo il Colosseo"
Edoardo Sassi – Corriere della Sera, ed. Roma, 7 febbraio 2009
L'ipotesi (ma è molto più di un'ipotesi) è venuta fuori ieri durante un'infuocata assemblea di addetti ai lavori convocata all'università "La Sapienza": "Siamo pronti a occupare il Colosseo ". Parola di archeologi (tutti d'accordo: funzionari di soprintendenze, studenti, associazioni di categoria, liberi professionisti...) e infuriati per il "vergognoso " progetto di commissariamento ministeriale delle soprintendenze di Roma e Ostia, recente decisione del ministro per i Beni culturali Sandro Bondi in accordo con il sindaco Gianni Alemanno.
Se e quando si farà, è ancora da decidere. Ma tutti sono consapevoli che solo un gesto di grande portata simbolica accenderebbe i riflettori su una manovra che i critici dell'operazione giudicano "vergognosa" e, di fatto, una privatizzazione strisciante. Di questo, soprattutto, si è parlato ieri all'università. Intanto sono salite a oltre duemila, e in poche ore, la firme per la petizione contro il commissariamento governativo di Colosseo, Fori, Terme ecc. sul sito www-firmiamo.it/nocommissariosoprintendenzeromaeostia (tra i firmatari, la stragrande maggioranza dei funzionari di Stato degli istituti di tutela coinvolti, oltre ad accademici, direttori di istituti scientifici, giornalisti...).
Cresce insomma di ora in ora — e dilaga — la protesta. E da ieri, a chiedere quali siano le ragioni che hanno portato a questo provvedimento straordinario (e inedito) e alla nomina del sottosegretario Guido Bertolaso a commissario (con l'assessore all'urbanistica Marco Corsini in qualità di "soggetto attuatore") sono anche la capogruppo del Pd in commissione cultura alla Camera, Manuela Ghizzoni, con la segretaria di presidenza Emilia De Biasi e i deputati Tocci e Giulietti (contrari anche il ministro ombra Cerami e l'assessore regionale alla Cultura Rodano): "Su questo commissariamento abbiamo molte perplessità — spiegano i parlamentari del Pd nell'interrogazione rivolta al ministro— si genera una confusione istituzionale, una sovrapposizione di ruoli e uno ingiustificato svuotamento delle competenze delle soprintendenze archeologiche con evidenti rischi per la tutela del patrimonio.
Inoltre con questo commissariamento il ministro sembra mostrare la sua volontà di dividere il patrimonio culturale in due livelli: uno di serie A, con beni culturali ad alto reddito (per esempio il Colosseo) e uno di serie B con beni senza reddito, causando, fra l'altro, l'abbandono al degrado di quel patrimonio archeologico, artistico e culturale diffuso, che costituisce la caratteristica storica e la risorsa fondamentale del nostro Paese e che determina un grande indotto turistico".
"Basta polemiche: non devo fare l'archeologo"
Guido Bertolaso* – Corriere della Sera, 8 febbraio 2009
Caro Direttore,
leggo tra l'incredulo e il divertito dell'intenzione degli archeologi romani di occupare il Colosseo, azione "di lotta e di governo" a difesa dell'onore e del potere delle sovrintendenze, lesi da un accordo tra il Ministro Bondi e il Sindaco Alemanno che mi hanno indicato come possibile Commissario straordinario per le aree archeologiche del Foro, dell'Appia Antica e di Ostia Antica.
Leggo che la mia nomina sarebbe il primo passo per privatizzare le aree archeologiche più note e visitate della Capitale, lasciare il resto del patrimonio ad una sovrintendenza umiliata e senza risorse, dare spazio alla creatività dei politici nella gestione del patrimonio archeologico, ben sapendo che essi non sanno che farsene della competenza e della capacità degli addetti ai lavori.
E' noto come sia restio a farmi coinvolgere e replicare in dibattiti e polemiche astratte, lo faccio solo perché si tratta del più importante quotidiano del nostro Paese che ha, anche recentemente e con una delle firme più importanti, descritto quale sia il mio stile di vita e di lavoro.
Ristabiliamo la verità: ho ricevuto una lettera del Ministro Bondi che mi indica una serie di situazioni a rischio di instabilità, di degrado irreversibile, di dissesto che possono compromettere l'area più bella e importante del mondo e ritiene necessario il ricorso alle procedure accelerate che sono proprie della Protezione Civile per definire un quadro di interventi e di priorità, procedendo, nel contempo, alla messa in sicurezza dei beni più esposti, per poi avviare ad attuazione le misure previste dal piano.
Un lavoro "normale" per la Protezione Civile, come tale per me accettabile come le decine d'altri che mi vedono Commissario - a titolo gratuito - proprio perché a capo della Protezione Civile.
Perché nessuno si è scandalizzato quando si sono fatti i lavori per il Giubileo? quando ci è stato chiesto di occuparci di Pompei? di consentire all'archeologo Marchetti di provare a recuperare la Domus Aurea? di ricostruire la Cattedrale di Noto? di contribuire al restauro del David di Donatello o dell'Ultima Cena del Vasari danneggiata dall'alluvione di Firenze?
Non ho alcuna intenzione di trasformarmi in archeologo, non rappresento il "privato", visto che faccio il funzionario dello Stato da sempre e non voglio certo cominciare adesso a sperimentare un metodo di lavoro diverso da quello della Protezione Civile, che si basa sul coinvolgimento e sulla collaborazione di tutti i soggetti responsabili di possibili situazioni di crisi, attuale o potenziale, per lavorare speditamente alla soluzione dei problemi esistenti e tornare il più in fretta possibile alla normalità.
Dove per normalità si intende la restituzione della piena responsabilità sui beni e le realtà che hanno costituito oggetto di intervento ai soggetti istituzionali legittimi. Non c'è nessun esproprio in un intervento di Protezione Civile, solo un uso del tempo molto diverso dalla condizione ordinaria e un metodo di lavoro che pr vilegia chi accetta di lavorare in squadra.
Oltre a questo, devo precisare che un altro rischio c'è, negli interventi della Protezione Civile: tutto il tempo disponibile viene dedicato prima ad una istruttoria precisa sulle cose da fare, coinvolgendo tutte le Autorità responsabili per trovare e scegliere la soluzione migliore, poi si passa alla fase decisionale e si decide e poi si fa ciò che si è deciso. Ed è quello che vorremmo fare anche in questo caso, come faremo (oltre a quanto già fatto) anche per il Tevere, in modo che lo squallido spettacolo delle buste di plastica che pendono dagli alberi, come lugubri ricordi di rischi passati e dell'incuria attuale, presto sparisca alla vista dei cittadini e dei turisti. Un lavoro di messa in sicurezza e di esaltazione del decoro antico, in modo che la tutela resti a chi ne ha la responsabilità e la protezione sia di chi la sa fare.
Se poi, alla prima verifica, scopriremo che il Ministro e il Sindaco hanno visto i segni di un' emergenza dove non c'era, basterà una normale ordinanza per tranquillizzare le Autorità e tornare alla situazione precedente. Se davvero non ci fossero rischi per le aree di cui mi scrive il Ministro Bondi il primo ad essere felice sarei io. Ma da romano, da italiano, da appassionato alle nostre bellezze ed avvilito per la nostra incapacità a fare bene le cose e ad evitare le polemiche, ho ragione di credere che qualcosa di utile vada fatto, presto e bene, anche per questa gemma importante del nostro inestimabile patrimonio culturale.
*Capo Dipartimento Protezione Civile
COMUNICATO dei FUNZIONARI ARCHEOLOGI e ARCHITETTI della SOPRINTENDENZA SPECIALE PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
Per aderire all'appello
Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, avuta notizia dell’annuncio da parte del Ministro Bondi della richiesta di un commissariamento straordinario del proprio Ufficio, ricordando il dettato costituzionale, la normativa vigente e i propri obblighi istituzionali in relazione alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma, non ritenendo plausibili le motivazioni addotte a sostegno di un tale gravissimo provvedimento, che solo un’emergenza di protezione civile potrebbe giustificare, dichiara lo stato di agitazione permanente. La nomina di un Commissario straordinario, attualmente responsabile del dipartimento della Protezione Civile, di un vicecommissario attuatore (incompatibilmente Assessore del Comune di Roma) e di consulenti tecnico-scientifici esterni, oltre a porre l’attività dell’Ufficio di tutela al di fuori dell’amministrazione ordinaria, esautora di fatto il corpo degli Archeologi, degli Architetti e di tutto il personale tecnico-amministrativo, della pienezza del proprio ruolo istituzionale determinando una sovrapposizione (o forse meglio uno svuotamento) di funzioni in evidente gravissimo contrasto con ogni criterio di economicità e di controllo della Pubblica Amministrazione, oltre che di quella valorizzazione della sua produttività tanto proclamata dal Governo e in particolare dal Ministro della Funzione Pubblica.
E’ evidente che gli obiettivi sono altri da quelli dichiarati a mezzo stampa di creare una fruizione unitaria dell’Area Archeologica Centrale di Roma, per la quale sarebbe bastato un semplice protocollo d’intesa tra Uffici statali e comunali, ratificato dagli organi di controllo amministrativi per le parti economiche di riscossione dei biglietti d’ingresso, così come per quanto riguarda la necessità di realizzare opere urgenti finalizzate al 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, considerato che è ben noto a tutti come la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, con impegno costante e competenza tecnico-scientifica abbia saputo rispondere positivamente ad altri impegnativi appuntamenti straordinari come quelli della Legge Biasini, della legge per Roma Capitale, del Giubileo 2000, del Piano Nazionale per l’Archeologia e dei fondi del Gioco del Lotto, dimostrando capacità di spesa e ampiezza di risultati.
Questa manovra gravissima si lega invece al confronto politico – la cui asprezza è nota a tutti - sul conferimento di poteri a Roma Capitale in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio storico artistico, ed in particolare archeologico. La gestione (e gli introiti), perché di questo si tratta, di Aree Archeologiche Monumentali di rilevanza mondiale, quali sono il Colosseo, la Domus Aurea, i Fori Imperiali, costituiscono il vero perno di questa vicenda, che prelude ad un nuovo assetto gestionale, forse di diritto privatistico?
Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma denuncia con forza – e fa appello ad ogni Cittadino, Rappresentante istituzionale, parlamentare e politico, ad ogni giurista e costituzionalista, ad ogni Istituto di ricerca nazionale e internazionale, ad ogni Associazione che vorrà condividere tale opinione - il rischio cogente della distruzione di un Ufficio di tutela di grande rilevanza storica e culturale, con una spaccatura insanabile per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma, attraverso la determinazione sul territorio urbano di un’"Archeologia ad alto reddito" e un’ "Archeologia senza reddito", contro i principi fondamentali della Repubblica, garantiti dall’Art. 9 della Costituzione, per i quali il valore della tutela del patrimonio culturale è sovraordinato ad ogni altro interesse, anche economico.
Anna Paola Anzidei
Ines Arletti
Luigia Attilia
Giovanna Bandini
Mariarosaria Barbera
Maria Bartoli
Calogero Bennici
Marina Bertinetti
Silvia Borghini
Anna Buccellato
Antonio Federico Caiola
Daniela Candilio
Alessandra Capodiferro
Francesco Capuani
Paola Catalano
Fiorenzo Catalli
Tiziana Ceccarini
Laura Cianfriglia
Antonella Cirillo
Olimpia Colacicchi
Matilde De Angelis d’Ossat
Anna De Santis
Roberto Egidi
Maria Grazia Filetici
Fedora Filippi
Paola Filippini
Rosanna Friggeri
Carmelo La Micela
Maria Gloria Leonetti
Marina Magnani Cianetti
Piero Meogrossi
Giuseppe Morganti
Simona Morretta
Stefano Musco
Patrizia Paoloni
Elio Paparatti
Debora Papetti
Rita Paris
Marina Piranomonte
Fulvia Polinari
Paola Quaranta
Rossella Rea
Giacomo Restante
Cristina Robotti
Miria Roghi
Daniela Rossi
Rita Santolini
Renato Sebastiani
Mirella Serlorenzi
Francesco Spicaglia
Miriam Taviani
Antonella Tomasello
Maria Antonietta Tomei
Laura Vendittelli
Luigi Vergantini
Antonello Vodret
Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia
COMUNICATO DEL 4.02.2009
Il personale della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia Antica si riconosce e fa proprio il comunicato della Soprintendenza Archeologica di Roma, in merito al previsto commissariamento di ambedue gli uffici.
Identico futuro si delinea, infatti, anche per l’area archeologica di Ostia Antica che, secondo il comunicato del 30.1.09 del Ministro Bondi, verrà ricompresa nella specifica ordinanza che prevederà "poteri straordinari, anche di protezione civile ……… attraverso la nomina del Sottosegretario di Stato Guido Bertolaso quale Commissario straordinario e dell’Assessore del Comune di Roma alle Politiche della Programmazione e Pianificazione del Territorio Marco Corsini quale soggetto attuatore".
Nel concordare con l’analisi fatta dai colleghi della Soprintendenza Archeologica di Roma è d’obbligo sottolineare che l’area archeologica di Ostia Antica, come può constatare qualsiasi visitatore, non si trova in situazioni oggettive di degrado e di emergenza tali da giustificare il ricorso a poteri straordinari (anche di protezione civile), né su di essa esiste una problematica sovrapposizione di competenze tra Stato ed Enti Locali che, sempre secondo il comunicato del Ministro Bondi, verrà "risolta" con l’istituzione del tavolo tecnico insediato il 30.1.2009 deputato ad individuare un "comune indirizzo di tutela, valorizzazione e promozione".
Il preannunciato provvedimento, che, giova ricordarlo, ha per oggetto le aree archeologiche più prestigiose e considerate a più alto "reddito" della nostra regione, mortifica, inoltre, la professionalità di tutto il personale di Ostia (dai tecnici, agli amministrativi, agli addetti alla vigilanza) e svuota, di fatto, di contenuti l’attività della Soprintendenza impegnata da sempre sui due aspetti fondamentali ed inscindibili del proprio lavoro: la tutela dei beni e la valorizzazione della aree archeologiche e dei monumenti di competenza.
Ci uniamo, dunque, all’appello dei colleghi della Soprintendenza Archeologica di Roma affinché chi condivide le nostre opinioni, dal singolo cittadino sino ai rappresentanti istituzionali, faccia sentire la propria voce a difesa del patrimonio comune.
Adriani Marina
Amato Luigi
Arciprete Giovanna
Bacarella Pietro
Barraco Ersilia
Bedello Margherita
Biondi Claudio
Buttacavoli Calogero
Casu Mirella
Cerquetti Viviana
Colaianni Nunzia
Conticello Giuseppina
Costabile Maurizia
Cucinotta Giuseppina
Da Roit Paolo
D’Aleo Maria
Di Casimirri Ileana
Di Giacomo Adriana
Fabi Giuliana
Falchi Stefania
Genovese Anna
Germoni Paola
Giampaolo Stefania
Giovannangeli Franco
Gramegna Maria Teresa
Marzi Marco
Masciangioli Patrizia
Melis Susanna
Morelli Marco
Morelli Cinzia
Notaro Roberta
Orlando Adriana
Pandolfi Sabrina
Paroli Lidia
Pecoroni Giancarlo
Pellegrino Angelo
Pietrini Stefania
Ponzo Orlando
Prestopino Alfredo
Renda Ida
Rinaldi Marta
Roglia Paola
Romanelli Franchino
Rossigno Grazia
Rossigno Laura
Segantini Giorgio
Seno Manuela
Sgreccia Fabiola
Spanu Mario
Stanco Lucia
Stani Stefano
Stronati Giuseppe
Tartabini Giancarlo
Tomei Patrizia
Tortora Franca
Virzì Margherita
La responsabilità di garantire la migliore conservazione al patrimonio archeologico di Roma comporta iniziative coraggiose, ma anche valutazioni ponderate e consapevolezza dell’attenzione internazionale. È un segnale positivo che si torni finalmente a considerare, come si apprende dai comunicati ministeriali, la necessità di promuovere a favore delle antichità di Roma provvedimenti straordinari per fare fronte alle esigenze di protezione, studio e valorizzazione.
Erano anni che il governo non assumeva iniziative adeguate a tal fine. Del tutto incomprensibile, se l’obiettivo è veramente quello di potenziare e proteggere i beni archeologici, risulta tuttavia la preposizione di un commissario alla gestione della Soprintendenza archeologica di Roma, mentre sarebbe più ragionevole un atto inteso a ripristinare in pieno la sua autonomia amministrativa.
Desta poi perplessità l’intento di porre quell’ufficio in subordine, per le valutazioni di ordine archeologico, a un comitato esterno, il quale lo priverebbe dell’autonomia scientifica attribuitagli per legge; nel contempo verrebbero così del tutto sviliti i già trascurati organi consultivi del Ministero, a cominciare dal Consiglio nazionale dei beni culturali.
Un commissariamento, ossia l’esautoramento dei poteri istituzionali, presuppone da una parte l’esistenza di situazioni di gravissima emergenza, le quali possano giustificare l’inosservanza di regole e procedure ordinarie, dall’altra una struttura insanabilmente inadeguata ai compiti.
Non esistono a Roma né le une né le altre condizioni, sia perché le emergenze segnalate sono fittizie, e vi sono semmai segni di ordinario fabbisogno insoddisfatto in conseguenza di annose inadempienze ministeriali, sia perché la Soprintendenza di Roma è notoriamente quella di gran lunga più efficiente d’Italia, il cui prestigio, riconosciuto a livello internazionale, è comprovato dalla sua storia e dalla sua produzione scientifica, non seconda a quella di alcun dipartimento universitario.
Non vi è neanche l’asserita necessità di trovare per le antichità di Roma nuove fonti di finanziamento, perché la Soprintendenza sarebbe ampiamente autosufficiente se non venisse privata da parte del Ministero di buona quota dei suoi introiti, che ammontano a circa 30 milioni di euro annui.
D’altra parte quell’ufficio ha dimostrato più volte di essere all’altezza di progettare e di eseguire gradualmente, ma su un vastissimo fronte, opere di grande entità con impegni di spesa giudiziosamente contenuti e diluiti nel tempo, come è richiesto dalla natura dei lavori sui beni culturali.
Ricordo qui la legge ottenuta nel 1971 dal soprintendente Carettoni, con la quale fu erogato un finanziamento complessivo di 5 miliardi di lire per cinque anni; rivalutati ad oggi corrispondono a circa 79,5 miliardi, pari a 41 milioni di euro. Ricordo soprattutto la legge speciale per il patrimonio archeologico di Roma del 1981, promossa dalla soprintendenza sotto la mia conduzione per fare fronte alla reale emergenza costituita dal decadimento dei grandi monumenti marmorei. Le superfici scolpite andavano infatti in rapido disfacimento sotto l’aggressione dell’inquinamento atmosferico. La legge, approvata all’unanimità dal Parlamento su proposta del ministro Biasini, attribuì un finanziamento per gli anni 1982-1986 di 180 miliardi, e fu rifinanziata per il 1987 con altri 50 miliardi; l’importo complessivo di 230 miliardi rivalutato ad oggi corrisponde a 790 miliardi di lire, pari a circa 408 milioni di euro. La sua attuazione richiese oltre un decennio e anche se le opere previste erano state dichiarate per legge necessarie e urgenti, la spesa fu eseguita adottando le ordinarie procedure di appalto.
Il fabbisogno economico di oggi non è ai livelli del 1981, perché da allora molti problemi sono stati risolti, a cominciare dalle nuove sedi del Museo Nazionale Romano acquistate e ristrutturate, fino ai grandi restauri e alle acquisizioni di monumenti. I proventi attuali della Soprintendenza corrispondono a circa la metà della dotazione annua rivalutata della legge Biasini.
Le condizioni dell’ufficio sono oggi migliori che in passato.
Il personale è più che sufficiente e qualificato per affrontare compiti delicati e gravosi. Sarebbe solamente necessario sanare due disfunzioni: la prima consiste nel mancato riconoscimento a molti dipendenti della qualifica corrispondente alle mansioni che di fatto essi svolgono; la seconda deriva dalla sottoutilizzazione di numerosi altri dipendenti che non vengono impiegati secondo le effettive capacità tecniche o amministrative perché destinati ad espletare funzioni di vigilanza.
L’inadeguata dotazione di personale da adibire al controllo di monumenti e musei è infatti il vero punto dolente del ministero, comprensibilmente afflitto da un fabbisogno che potrebbe dilatarsi a dismisura. Questa preoccupazione appare tuttavia ingiustificata, e direi anche miope, nei confronti di beni che hanno valore strategico per l’economia nazionale, con un rendimento immensamente superiore agli oneri che esso comporta, come è nel caso di Roma. Il riordinamento degli organici e la riqualificazione dei compiti per il personale addetto al funzionamento e alla protezione delle antichità e delle opere d´arte, potrebbero essere iniziative meritevoli e facilmente realizzabili.
«L'elemento che ci ha spinti a dare il nostro ok è l'aspetto occupazionale...». A Bastida Pancarana non hanno avuto dubbi nel dare il loro consenso all'insediamento nella vicina località di Bressana Bottarone di una poderosa struttura logistica il cui eventuale decollo costituisce, da tempo, una delle partite decisive in corso sul territorio provinciale.
Un po' di futuribili posti di lavoro a Bastida, dunque - promessi dalla proprietà della futura struttura, unitamente all'impegno a realizzare opere pubbliche di urbanizzazione per un importo di 245.000 euro - sono stati giudicati sufficienti dagli amministratori locali per far pendere la bilancia per un sì.
Non importa che non poche delle strutture logistiche già approdate in provincia di Pavia, registrando i severi contraccolpi della crisi in corso, abbiano già tagliato il numero degli addetti. E che dunque, almeno nell'arco dei prossimi anni, sia difficilmente ipotizzabile un'impennata occupazionale nel settore capace di riversarsi anche sui senza occupazione di Bastida, Bressana e dintorni.
D'altra parte, visti i tempi che corrono, è naturale che l'offerta occupazionale - guarda caso sempre assai generica, mai definita per ruoli, generi, competenze che dovrebbero essere poi selezionate dai proponenti - costituisca l'ariete di sfondamento manovrato dai registi dei nuovi insediamenti. Soprattutto quelli di più severo impatto sull'equilibrio territoriale della nostra provincia.
Ad esempio di posti di lavoro, in cambio dell'approdo a Borgarello del megacentro commerciale, hanno parlato tutti i sindaci che si sono succeduti nella località pavese a ridosso della Certosa. E, sempre dei possibili posti di lavoro che si renderebbero disponibili, si fanno scudo i pubblici amministratori che sul fronte delle località sparse tra il vigevanese e il mortarese sono alle prese con la discesa verso la campagna lomellina delle attività più invasive - logistica, distribuzione commerciale, discariche per trattamento rifiuti - della vicina metropoli milanese.
Che sia in corso una partita tra Milano e il nostro territorio, e non certo da oggi, è ormai visibile a tutti.
I confini della provincia di Pavia - sul suo bordo milanese - nel corso degli anni sono stati urbanisticamente segnati, e talvolta feriti in modo irreparabile, da modelli espansivi di cementificazione, celebrati secondo il rito ambrosiano «della cazzuola e del cemento». Modelli che dopo aver fatto scempio della Brianza si sono rivolti verso di noi. Verso il Pavese, la Lomellina e, seppure con modalità diverse, l'Oltrepo.
Chi vuole vedere le conseguenze di questo modello - solo in parte frenato dalla costituzione di quel parco sud Milano di cui ora si vogliono limare i confini - si faccia un giretto dalle parti di Siziano. Veda quello che in un ventennio ha depositato su quel territorio - non solo di cemento ma anche di problemi di sicurezza e vivibilità - l'espansione milanese secondo la versione «cazzuola e cemento, non me ne pento».
E' probabile che gli scenari che bussano alla porta della Lomellina, o di altri segmenti del Pavese, vogliano replicare questi fasti assai nefasti, inserendoli a tasselli sparsi e separati, comune per comune, progetto per progetto, mimetizzando con variegate specificità e generici vantaggi (i posti di lavoro, appunto), un'offensiva che nel suo insieme sta mutando gli assetti fondamentali del nostro territorio.
In gioco sono amplissime zone della nostra provincia, ambiti che rappresentano le terre da coltivare più pregiate di tutto il Paese e alle quali sono radicate potenzialità produttive e collegate vocazioni territoriali non riproducibili altrove. E tutto questo - accadendo nella disattenzione dei più - finisce con l'essere messo in gioco definitivamente. In cambio di contropartite miserabili e dall'impatto devastante. L'interrogativo a cui tutti dovremmo rispondere - adesso, non tra dieci anni - se la vivibilità delle nostre località può essere barattata per qualche incentivo vago, per promesse generiche che non solo non raddrizzano situazioni occupazionali e sociali ma che sicuramente bloccano svolte verso scenari di qualità non disgiunta dalla sostenibilità.
A questo punto sarebbe compito della politica, della cultura, della ricerca e delle professionalità, mettere a confronto i vari modelli con cui concretamente - nel corso degli anni - si è giocata la «guerra dei bordi» tra la metropoli milanese e il territorio pavese.
Perchè non sempre questa guerra è stata persa. E oltre ai modelli nefasti, da raccontare per luoghi e magari per nomi e cognomi, sarebbe tempo di fare emergere il contraltare degli scenari alternativi, delle sfide che sono in corso e che fanno ben sperare. Soprattutto quando vengono giocate sulla rinaturalizzazione del territorio come si sta tentando, ad esempio, attorno a Giussago.
O quando sono declinate sul restauro rigoroso e non brutalmente speculativo di insediamenti di grande caratterizzazione come si è registrato in certi borghi d'Oltrepo, in dimore storiche del Pavese e della Lomellina. O quando si procede nel riuso rispettoso delle cascine come sedi di nuove imprese alla ricerca di insediamenti di alta qualità ambientale (anche questo succede, in quel di Pavia).
Di questi modelli concreti - di insediamenti produttivi di qualità, di manutenzione dell'esistente, di restauro di ciò che è pregiato e radicato al nostro passato, di sicurezza legata al rinsaldarsi effettivo di comunità vivaci e dinamiche - si dovrebbe parlare ora. Perchè su questo terreno, con questi dossier aperti, che la crisi, squarciando i veli di scenari non più sostenibili, indica le opportunità. Quelle nascoste, e nuove, anche per il territorio di questa provincia.
Nota: quello che abbastanza esplicitamente Boatti racconta è solo l'avanguardia delle aspettative cementificatrici, da parte dei soliti interessi lombardi di "sviluppo del territorio". Per l'area pavese gli arieti di sfondamento finale saranno (ti spera di no, ma si teme di sì) l'inutile Broni-Mortara e per il cuscinetto del Parco Sud, naturalmente, la Zia T.O.M.; del resto basta guardare la tavola Regione Urbana del Piano di Governo del Territorio di Milano per capire (nella logica devastante degli interessi che comandano) cosa aspetta tutti quanti. Salvo che qualcuno ci ripensi, ma non pare proprio che sia così (f.b.)
Milano è sommersa da una cementificazione indiscriminata ed insostenibile. La densità edificatoria è ormai al limite della totale saturazione. Si cementifica dappertutto: sopra e sotto, fuori e dentro. Torri e grattacieli. Box e parcheggi. Si pugnala il cuore antico della città: Sant’Ambrogio, Darsena e Piazza Meda ecc. Si sconvolgono e/o si distruggono interi quartieri: Isola, Fiera, Porta Vittoria, Crescenzago/Adriano, Rogoredo ecc. Bandita ogni idea di programmazione/pianificazione che consideri il territorio un prezioso bene comune, bandita ogni idea di città bella e sana e vivibile, si svende il patrimonio pubblico e si privatizza tutto, con furia ed ingordigia. Si riducono anche gli insufficienti spazi verdi disponibili. E’ come togliere l’ossigeno ai polmoni dell’organismo urbano. Sotto micidiale stress, il territorio entra in una specie di reazione a catena che aggrava le condizioni di inquinamento ed accelera i mutamenti negativi del microclima.
Inascoltati, i comitati dei cittadini - che si battono per la tutela dei loro quartieri e per la qualità della vita urbana con proposte serie e sensate - sono costretti a rivolgersi alla Magistratura.
Alla ribalta della cronaca sono saliti negli ultimi giorni i progetti Garibaldi-Republica/ex Varesine e Isola-De Castillia. Sono sotto inchiesta, per gravi reati, le imprese che lavorano alla costruzione del nuovo grattacielo della Regione: Infrastrutture Lombarde - società a capitale pubblico -, Consorzio Torre/Impregilo, un’impresa di subappalto con sede in Basilicata.
Dal 29 gennaio è sotto sequestro preventivo il palazzo della società IM.CO. s.p.a. di Ligresti in fase di costruzione (14 piani più 3 interrati) all’Isola, tra via Confalonieri e via De Castillia: per “illegittimità” del permesso a costruire e per la “non pertinenza” degli ultimi due piani. Il comunicato della Guardia di Finanza, che fa riferimento ai ricorsi al TAR di “cittadini e commercianti della zona”, si chiude in modo lapidario: “La Procura della Repubblica ha chiesto ed ottenuto il sequestro preventivo dell’opera, essendo stato rilevato un ‘periculum in mora’, in relazione all’offesa al territorio e all’equilibrio urbanistico insito nella ultimazione della costruzione in mancanza di un idoneo provvedimento amministrativo”.
Il Forum Isola (coordinamento tra Comitato I Mille e Associazioni Genitori e Isola dell’Arte), dopo aver raccolto migliaia di firme e presentato ricorsi al Tar per preservare i giardini e la storica Stecca degli Artigiani, elabora il progetto “Parco possibile” che viene condiviso ed approvato dal Consiglio di Zona 9 ma rifiutato dall’assessore Masseroli e dalla giunta Moratti. Questi ultimi, per tutta risposta, non sanno far altro che avviare nella primavera del 2007 una brutale operazione di sgombero e di distruzione della Stecca e dei giardini di via Gonfalonieri unico polmone verde del quartiere.
Torniamo all’oggi. Di fronte alla contestazione di gravi reati come reagirebbero i responsabili di una normale amministrazione comunale? Si metterebbero a disposizione dei giudici ed avvierebbero un’indagine amministrativa per verificare legittimità e correttezza degli atti. Nulla di tutto questo a Milano e alla regione Lombardia. Anzi. L’assessore all’Urbanistica della Giunta Moratti, Carlo Masseroli, straparla di “dittatura dei comitati”, fa la parte della vittima e sconvolge le regole dello Stato di diritto, nasconde i fatti usando l’inglese in maniera azzardata, minaccia i cittadini stigmatizzati come irresponsabili, e manda segnali alla Magistratura che niente hanno a che fare con i rapporti di correttezza istituzionale.
Afferma l’assessore: “Mi auguro che in questo momento di grande sviluppo per la città non ci sia un continuo stop & go, alimentato non certo dalla magistratura ma da qualche comitato che preferisce una Milano ferma rispetto a una città in movimento. Se un drappello di cittadini contrario a certi interventi decide di fermare un progetto con tutti i mezzi che ha a disposizione, commette un atto irresponsabile. Questa io la chiamo dittatura dei comitati, che va a discapito della democrazia”.
La Magistratura e l’Amministrazione sotto la “dittatura dei comitati”?!...Verrebbe voglia di annegare il Masseroli assessore in un mare di risate, se la situazione non avesse raggiunto un livello di degrado grave ed allarmante.
Milano, 11 febbraio 2009
Alla cortese attenzione di: Carlo Maria Giorgio Masseroli
Assessore allo Sviluppo del Territorio del Comune di Milano
E pc: Sindaco di Milano
Giunta Comunale
Comitati ed Associazioni Milanesi
Partiti e Consiglieri Zonali, Comunali, Provinciali, Regionali di centrosinistra.
Universitari
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Egr. Ing. Masseroli
Leggiamo dai quotidiani milanesi una sua stupefacentedichiarazione in relazione al sequestro della torre di Ligresti in costruzione in via De Castilla 23, effettuato dalla Guardia di Finanza.
Il titolo dell’articolo è eclatante:
“Isola, sotto sequestro la torre di Ligresti – Masseroli: E’ la dittatura dei Comitati”
“Se un drappello di cittadini contrario a certi interventi decide di fermare un progetto con tutti i mezzi che ha a disposizione, commette un atto irresponsabile.
Mi auguro che in questo momento di grande sviluppo per la città non ci sia un continuo “stop and go” alimentato non certo dalla magistratura ma da qualche comitato che preferisce una Milano ferma rispetto ad una metropoli in movimento.
Questo io la chiamo dittatura dei comitati, che va a discapito della democrazia.”
Per quanto riguarda la dittatura è necessaria una premessa: poiché ai cittadini viene impedita sia la partecipazione democratica diretta sia la possibilità di controllo democratico attraverso i loro eletti in Consiglio Comunale, e le scelte urbanistiche della città tengono solo conto degli interessi economici di alcuni grandi gruppi immobiliari, la difesa della democrazia e della legalità sta solo nelle mani dei cittadini e dei loro comitati: se c'è una dittatura, o quanto meno un regime oligarchico, è in Comune che bisogna cercare i colpevoli.
Più semplicemente, in generale i cittadini si riuniscono in comitati per avere una maggior capacità operativa contro quei lavori ritenuti non pertinenti e iniziano a contestare l’amministrazione che li ha deliberati promuovendo dibattiti,manifestazioni, ricorsi amministrativi, ricorsi alla magistratura, ecc. Tutto ovviamente nel segno della legalità.
Lei in poche parole accusa i cittadini di un potere talmente elevato e persuasivo da imporre alla magistratura la rilevazione di atti illeciti nei confronti di quei magnanimi operatori sociali che costruiscono edifici per la collettività.
Stiamo invece parlando di interventi giudiziari di cui alcuni magistrati hanno rilevato consistenti prove di irregolarità sia amministrative che progettuali.
Per sua memoria riporto uno stralcio del comunicato della Guardia di Finanza:
“Nell’ambito di un’attività d’indagine delegata dai Sostituti Procuratori della Repubblica dott.ssa Paola PIROTTA e Frank DI MAIO (procedimento penale nr. 485/09 RGNR), nella mattinata odierna è stata data esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo dell’immobile in costruzione sito in Milano, via De Castilla, 23 di proprietà della società IM.CO s.p.a. emesso dal G.I.P. dott.ssa Anna Maria ZAMAGNI, e contestuale informazione di garanzia a carico di cinque soggetti, tutti indagati per il reatourbanistico previsto dall’art. 44,del testo unico in materia ediliziaper avere realizzato l’immobile sopra menzionato in assenza di valido titolo, attesa l’illegittimità sia del permesso a costruire del 2006, sia della successiva variante del 2007.”
Sulla base di tali profili di illiceità, la Procura della Repubblica ha chiesto ed ottenuto il sequestro preventivo dell’opera, essendo stato rilevato un “periculum in mora”, in relazione all’offesa al territorio e all’equilibrio urbanistico insito nella ultimazione della costruzione in mancanza di un idoneo provvedimento amministrativo”
Lei in realtà accusa i cittadini riuniti in comitati di aver impedito lo svolgersi di un crimine che l’amministrazione pubblica non aveva impedito o forse al contrario aveva favorito.
Lei accusa i cittadini di aver operato per difendersi dall’invadenza di progetti edilizi invasivi imposti da una pubblica amministrazione sorda alle vere esigenze della città e subordinata alla speculazione edilizia di pochi costruttori operanti in un sistema monopolistico.
Poco per volta stanno venendo alla luce numerosi esempi di corruttela nel campo edificatorio su tutto il territorio lombardo:
- Per la costruzione del Nuovo Palazzo della Regione, sulla stampa cittadina in questi ultimi giorni sono stati riportati rapporti poco chiari tra Infrastrutture Lombarde e Consorzio Torre (Impregilo), costi dei lavori gonfiati artificialmente, casi di corruzione e concussione, traffico illecito dei rifiuti e turbativa d’asta sugli appalti
- Per appalti pubblici nell’hinterland che riguardano ospedali, alta velocità ferroviaria e ammodernamento dell’autostrada Milano-Torino, viene confermato l’interesse di associazioni criminali.(Procuratore della Repubblica Manlio Minale)
Come può constatare gli interventi della magistratura sono indipendenti dei vari ricorsi al TAR al quale i cittadini devono ricorrere per tutelare i propri interessi contro l’amministrazione o costruttori edili che vogliono realizzare interi quartieri o enormi palazzi inutili.
Nel momento in cui vengono alla luce questi atti di malaffare che ci fanno ritornare ai tempi di tangentopoli, invece di essere soddisfatto per le denunce dei magistrati, lei attribuisce la responsabilità dell’intervento della magistratura ai cittadini, quasi che sia una vergogna difendere la legalità, un atto contrario alla democrazia.
Questo modo di pensare per un uomo delle istituzioni denota a quale livello di parzialità lei si sta esprimendo; lei non sta lavorando per la tutela dei cittadini ma al contrario sta facendo semplicemente gli interessi di costruttori edili di qualsiasi tipo essi siano, perché è impensabile che non abbia istituito controlli validi per verificare la regolarità degli appalti e dei lavori in corso e impedire il verificarsi di atti delittuosi.
Di fronte a palesi illegalità, da che parte sta il Comune? Sembra che anche questa volta si schieri dalla parte dei costruttori, invece che in difesa della legalità. Il Sindaco è d'accordo?
Solo il Sindaco, che l’ha “assunta” per quel ruolo, è direttamente responsabile delle azioni dei suoi assessori nei confronti della città e quindi noi chiediamo conto al Sindaco di quella dichiarazione offensiva nei nostri confronti ed elusiva sulle responsabilità delle irregolarità che hanno portato al sequestro dell’immobile.
In allegato il comunicato della Guardia di Finanza.
Distinti saluti
Roberto Prina
Rete Comitati Milanesi
"Il personale della soprintendenza per i beni archeologici di Ostia Antica si riconosce e fa proprio il comunicato della soprintendenza archeologica di Roma...". L'opposizione al decreto voluto dal ministro Bondi, che mette sotto tutela l'insieme dei funzionari delle sovrintendenze archeologiche di Roma, si è allargata dunque anche agli scavi di Ostia Antica. "La nostra area - scrivono gli archeologi di Ostia - , come può constatare qualsiasi visitatore, non si trova in situazioni oggettive di degrado e di emergenza tali da giustificare il ricorso a poteri straordinari (anche di protezione civile)". "Il preannunciato provvedimento - prosegue il comunicato - che, giova ricordarlo, ha per oggetto le aree archeologiche più prestigiose e considerate a più alto "reddito" della nostra regione, mortifica, inoltre, la professionalità di tutto il personale di Ostia e svuota, di fatto, di contenuti l'attività della soprintendenza impegnata da sempre sui due aspetti fondamentali ed inscindibili del proprio lavoro: la tutela dei beni e la valorizzazione della aree archeologiche e dei monumenti di competenza. Ci uniamo, dunque, all'appello dei colleghi della soprintendenza archeologica di Roma affinché chi condivide le nostre opinioni, dal singolo cittadino sino ai rappresentanti istituzionali, faccia sentire la propria voce a difesa del patrimonio comune".
Venerdì alla Sapienza, nell'aula di archeologia di Lettere, anche gli studenti dell'ateneo hanno deciso di promuovere un incontro alle 17, a cui è stato invitato il Comitato 2 febbraio.
Stando agli accenti accesi, vera novità per il mondo ovattato dell'archeologia, si annunciano momenti aspri di di confronto. "Abbiamo lavorato per anni alla salvaguardia dei beni, non possiamo finire in un cantuccio per il capriccio di un governo", ha detto ieri un insigne archeologo. Tra le contromisure presa in considerazione anche una prossima chiusura dei monumenti della città.
Per firmare l’appello contro il commissariamento
COMUNICATO dei FUNZIONARI ARCHEOLOGI e ARCHITETTI della SOPRINTENDENZA SPECIALE PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, avuta notizia dell’annuncio da parte del Ministro Bondi della richiesta di un commissariamento straordinario del proprio Ufficio, ricordando il dettato costituzionale, la normativa vigente e i propri obblighi istituzionali in relazione alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma, non ritenendo plausibili le motivazioni addotte a sostegno di un tale gravissimo provvedimento, che solo un’ emergenza di protezione civile potrebbe giustificare, dichiara lo stato di agitazione permanente.
La nomina di un Commissario straordinario, attualmente responsabile del dipartimento della Protezione Civile, di un vicecommissario attuatore (incompatibilmente Assessore del Comune di Roma) e di consulenti tecnico-scientifici esterni, oltre a porre l’attività dell’Ufficio di tutela al di fuori dell’amministrazione ordinaria, esautora di fatto il corpo degli Archeologi, degli Architetti e di tutto il personale tecnico-amministrativo, della pienezza del proprio ruolo istituzionale determinando una sovrapposizione (o forse meglio uno svuotamento) di funzioni in evidente gravissimo contrasto con ogni criterio di economicità e di controllo della Pubblica Amministrazione, oltre che di quella valorizzazione della sua produttività tanto proclamata dal Governo e in particolare dal Ministro della Funzione Pubblica.
E’ evidente che gli obiettivi sono altri da quelli dichiarati a mezzo stampa di creare una fruizione unitaria dell’Area Archeologica Centrale di Roma, per la quale sarebbe bastato un semplice protocollo d’intesa tra Uffici statali e comunali, ratificato dagli organi di controllo amministrativi per le parti economiche di riscossione dei biglietti d’ingresso, così come per quanto riguarda la necessità di realizzare opere urgenti finalizzate al 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, considerato che è ben noto a tutti come la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, con impegno costante e competenza tecnico-scientifica abbia saputo rispondere positivamente ad altri impegnativi appuntamenti straordinari come quelli della Legge Biasini, della legge per Roma Capitale, del Giubileo 2000, del Piano Nazionale per l’Archeologia e dei fondi del Gioco del Lotto, dimostrando capacità di spesa e ampiezza di risultati.
Questa manovra gravissima si lega invece al confronto politico – la cui asprezza è nota a tutti - sul conferimento di poteri a Roma Capitale in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio storico artistico, ed in particolare archeologico. La gestione (e gli introiti), perché di questo si tratta, di Aree Archeologiche Monumentali di rilevanza mondiale, quali sono il Colosseo, la Domus Aurea, i Fori Imperiali, costituiscono il vero perno di questa vicenda, che prelude ad un nuovo assetto gestionale, forse di diritto privatistico ?
Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma denuncia con forza – e fa appello ad ogni Cittadino, Rappresentante istituzionale, parlamentare e politico, ad ogni giurista e costituzionalista, ad ogni Istituto di ricerca nazionale e internazionale, ad ogni Associazione che vorrà condividere tale opinione - il rischio cogente della distruzione di un Ufficio di tutela di grande rilevanza storica e culturale, con una spaccatura insanabile per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma, attraverso la determinazione sul territorio urbano di un’"Archeologia ad alto reddito" e un’ "Archeologia senza reddito", contro i principi fondamentali della Repubblica, garantiti dall’Art. 9 della Costituzione, per i quali il valore della tutela del patrimonio culturale è sovraordinato ad ogni altro interesse, anche economico.
Anna Paola Anzidei
Ines Arletti
Luigia Attilia
Giovanna Bandini
Mariarosaria Barbera
Maria Bartoli
Calogero Bennici
Marina Bertinetti
Silvia Borghini
Anna Buccellato
Antonio Federico Caiola
Daniela Candilio
Alessandra Capodiferro
Francesco Capuani
Paola Catalano
Fiorenzo Catalli
Tiziana Ceccarini
Laura Cianfriglia
Antonella Cirillo
Olimpia Colacicchi
Matilde De Angelis d’Ossat
Roberto Egidi
Maria Grazia Filetici
Fedora Filippi
Paola Filippini
Rosanna Friggeri
Carmelo La Micela
Maria Gloria Leonetti
Marina Magnani Cianetti
Piero Meogrossi
Giuseppe Morganti
Simona Morretta
Stefano Musco
Patrizia Paoloni
Elio Paparatti
Debora Papetti
Rita Paris
Marina Piranomonte
Fulvia Polinari
Paola Quaranta
Rossella Rea
Giacomo Restante
Cristina Robotti
Miria Roghi
Daniela Rossi
Rita Santolini
Renato Sebastiani
Mirella Serlorenzi
Francesco Spicaglia
Miriam Taviani
Antonella Tomasello
Maria Antonietta Tomei
Laura Vendittelli
Luigi Vergantini
Antonello Vodret
Quando giovedì scorso la riunione del Comitato di presidenza dell’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori, si è trasformata in un "j’accuse collettivo" contro le inadempienze del governo sul fronte delle infrastrutture, la voce dei romani non si è praticamente sentita. C’erano già i nordici (lombardo-veneti in testa) che attaccavano i ministri Tremonti, Matteoli e anche Sacconi. Ma non è un caso che i romani abbiano scelto un profilo basso e tendenzialmente silenzioso. Nelle ultime settimane, infatti, tra il sindaco Gianni Alemanno e i costruttori capitolini si è ricominciato a tessere la tela del dialogo. Ma soprattutto quella degli interessi. Gli screzi scoppiati subito dopo la bocciatura del parcheggio del Pincio sono rapidamente rientrati. Il neo presidente dell’Acer, Eugenio Batelli, ha incontrato più d’una volta Alemanno. Il "piano casa" (20-30 mila nuovi alloggi), accompagnato dalle varianti al piano regolatore, arriverà e il sindaco - a scanso di equivoci – l’ha detto chiaro: "Il Campidoglio intende valorizzare i medi e piccoli imprenditori, non i grandi". Insomma è alla massa critica dei costruttori romani che guarda Alemanno, quella che ha visto crollare ben oltre la media nazionale del 30 per cento la propria attività, che stenta a ottenere finanziamenti dalle banche, e che, infine, non è più in condizione di assumere.
Una ragione per non farsi notare troppo nelle critiche al governo, sta anche nel fatto che alla Capitale (e solo alla Capitale) è stata concessa una deroga biennale - che ha fatto infuriare i sindaci del nord - per il rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno. Lo "sforamento" libererà risorse che i costruttori immaginano destinate alle opere pubbliche, grandi e piccole. Infine c’è la "commissione Marzano" che farà arrivare a marzo la sua ricetta per la Roma del futuro: nelle bozze ci sono già due proposte pro-costruttori. Prima: destinare al social housing le piccole aree pubbliche (fino a 10 mila mq) inutilizzate e spesso trasformate in discariche abusive. Seconda: prestiti a tasso zero da parte del Comune alle imprese che costruiscono in social housing. Insomma, meglio non protestare.