, così come appare chiaro dalla sequenza degli interventi riportati, appare suddivisa fra due eventi prevalenti: la vicenda Englaro usata a pretesto dell’ennesimo attacco alla carta costituzionale e quelle del commissariamento dell’area archeologica più famosa al mondo: si tratta di situazioni distanti per ambito, ma forse non così tanto per ciò che raccontano di questa triste realtà italiana al di là delle cortine fumogene di cui, entrambi, sono ammantati.
Le polemiche, infuocate, che stanno accompagnando la decisione del Ministro Bondi, di concerto con il Sindaco Alemanno, di proporre un commissariamento delle Soprintendenze di Roma e Ostia, sono state ben illustrate, nelle loro motivazioni, dagli interventi ripresi da eddyburg: dal comunicato di Italia Nostra nazionale, agli articoli sulla stampa (Emiliani, l'Unità, La Regina e Torelli, la Repubblica, ed. Roma).
A tali testi rimandiamo per l'illustrazione delle molteplici ottime ragioni che giustificano l'opposizione più netta ad una decisione di questo tipo, a partire dalle risibili motivazioni di straordinaria emergenza apportate a pretesto dell'operazione, così come successe a Pompei, come pure per le modalità prescelte, inopportune sotto il profilo amministrativo (l’assessore all’urbanistica del Comune, investito di compiti di controllo su chi, per legge, dovrebbe controllare gli atti da lui emanati) e approssimative sotto quello istituzionale (neppure un’informazione a Regione e Provincia, in spregio alle più elementari regole di collaborazione fra amministrazioni che operano sul medesimo ambito territoriale).
Ma soprattutto, la gravità di una simile operazione si cela in quel Comitato Scientifico che, affiancando il commissario, dovrebbe, si intuisce, guidarne l’azione sotto il profilo culturale (e quindi di sostanza), esautorando il personale scientifico della Soprintendenza da ogni attività progettuale e di fatto circoscrivendone le competenze a mere mansioni tecnico-burocratiche, poiché nella concezione più volte riaffermata di colui che pare indicato quale capo di tale Comitato, a questo di fatto si riduce l’esercizio della tutela.
La reazione, fermissima, del personale scientifico della Soprintendenza, dal 2 febbraio in stato di agitazione permanente, ha conseguito il primo importantissimo risultato di mettere allo scoperto le molte distorsioni sulle quali poggiano le motivazioni di una simile iniziativa, riaffermando, con giustificato orgoglio, la lunghissima tradizione di straordinari risultati conseguiti dalla Soprintendenza romana in decenni di esercizio della tutela inteso nel senso più completo e ampio del termine e riconosciuto ai massimi livelli dal mondo scientifico internazionale, pur nella situazione di costante, progressivo depauperamento delle risorse cui sono sottoposte tutte le soprintendenze sul territorio.
Prima vittima della disinformazione sulla reale situazione dell’archeologia romana ci pare proprio il Commissario designato, Guido Bertolaso, a giudicare da talune sue piccate reazioni. Il supercommissario degli italici disastri dichiara di aver ricevuto da una lettera del Ministro Bondi informazioni su una situazione "a rischio di instabilità, di degrado irreversibile, di dissesto che possono compromettere l'area più bella e importante del mondo": poiché, vista la reazione dei funzionari della Soprintendenza nel loro complesso, compresi i diretti responsabili delle aree interessate, non è certo da costoro, e quindi dai canali istituzionalmente deputati al monitoraggio dell’area stessa, che Bondi ha ricavato la documentazione che ha scatenato una decisione simile, da quale fonte provengono queste indicazioni?
Adriano La Regina, che di quelle aree e della situazione complessiva della Soprintendenza ha una certa conoscenza, nel suo articolo di domenica scorsa ha tentato di ripristinare con l’evidenza dei dati storici e delle cifre una realtà ben diversa, rivendicando, al personale da lui diretto per lunghi anni, tutte le capacità non solo gestionali, ma anche scientifiche e culturali necessarie per operare in autonomia di fronte a ogni "emergenza".
Siamo facili profeti, dunque, a immaginare che quando il Commissario procederà in primis, come dichiara, ad una ricognizione sui luoghi per verificare lo stato delle cose, avrà probabilmente qualche sorpresa e si accorgerà che le uniche situazioni, per dir così, approssimative, sono da imputare non agli scavi e alle attività direttamente condotte dalla Soprintendenza, ma a quelli generosamente e per lungo tempo dati in concessione a universitari troppo impegnati nella pubblicizzazione di presunti scoop scientifici per occuparsi di manutenzione ordinaria. Per il resto vedrà i segni dei lavori incessanti di restauri infiniti, come inevitabile in aree di così ampia estensione e di situazione geologica così compromessa come quelli dell’area centrale; opere che si potrebbero facilmente accellerare e concludere con procedure ordinarie e l’assegnazione di fondi adeguati, così come successe in anni non lontani di fronte a situazioni per lo meno altrettanto gravi.
Che poi, come nota Bertolaso, a Pompei non vi sia stata, di fronte al commissariamento, uguale reazione di protesta da parte del personale della Soprintendenza, ciò è imputabile alla presenza, alla guida del sito campano, di un Soprintendente del livello culturale e del carisma personale di Piero Guzzo, in grado quindi di tutelare gli spazi di azione e le competenze della Soprintendenza stessa, operazione nella quale è stato infatti costretto a impegnare le proprie energie per lunghi mesi, mentre, come è ormai chiaro a tutti, stampa e mondo scientifico internazionale compresi, il commissariamento non ha finora prodotto che qualche miglioria igienico-idraulica e qualche danno archeologico.
Nel suo articolo sul Corriere, Bertolaso elenca infine una lunga serie di interventi in ambito culturale cui la protezione civile è stata chiamata nel corso degli ultimi anni: quell’elenco sta a dimostrare, nella maniera più efficace, quanto sia ormai reiterata e diffusa la pratica del ricorso ad un organismo creato per altri obiettivi e di sicuro non per sostituirsi alle normali pratiche di manutenzione ordinaria, di restauro e gestione del patrimonio.
Dunque la pretesa emergenza romana può essere ricondotta all’interno di un’operazione ben più ampia che, anche se a volte appare scomposta e approssimativa nelle modalità istituzionali, è ormai diffusa in molti diversi ambiti e rappresenta il tentativo reiterato di scardinamento complessivo del sistema di regole e principi attualmente vigente sul piano della legittimità giuridica, sistema che, continuamente rimesso in discussione, soprattutto per questo risulta minato costantemente nella propria efficacia istituzionale.
Questo accade sul versante della riforma del sistema della giustizia, su quello dei diritti civili sistematicamente negati ai non cittadini, sulle questioni delicatissime della bioetica e, allo stesso modo, in quello della tutela del nostro patrimonio culturale.
I meccanismi sono assai simili: la creazione di un’emergenza fittizia che funga da pretesto per operare attraverso scorciatoie amministrative e un allentamento dei controlli ordinari. E assieme, e strettamente connesso, il tentativo di ingabbiare e svilire l’operato di chi è preposto a determinati compiti non per nomina politica ma per competenza legalmente riconosciuta (medico, giudice o archeologo che sia) e quindi non sufficientemente affidabile perché non dipendente da una volontà che non sopporta opposizioni o rallentamenti e che anzi trasforma coloro che resistono in nemici da sconfiggere e punire.
Un'ultima considerazione: in questi tempi pericolosi e difficili in cui si sta svolgendo uno scontro pesante fra chi cerca di tutelare le regole più elementari e fondanti di una civile democrazia e chi, d'altro lato, si scaglia eversivamente contro la nostra Costituzione, anche questa partita, apparentemente marginale, ci riporta al cuore di un conflitto che non appare più rinviabile.
E questa vicenda non riguarda quindi semplicemente il futuro prossimo dell’archeologia romana, né è circoscrivibile ad un ambito municipale, ma investe necessariamente il destino dell’intero patrimonio culturale nazionale.
Per questo siamo tutti chiamati a una tenace resistenza, ciascuno nel proprio ambito.
A esortazione per tutti noi, mi sembrano cupamente adeguate le parole di Eugenio Scalfari nel suo editoriale di domenica scorsa, allorchè ripercorreva, con qualche brivido, le fasi dell’ascesa della dittatura fascista:
"In quel passaggio del 3 gennaio ´25 dalla democrazia agonizzante alla dittatura mussoliniana, gli intellettuali ebbero una funzione importante.
Alcuni (pochi) resistettero con intransigenza; altri (molti) si misero a disposizione.
Dapprima si attestarono su un attendismo apparentemente neutrale, ma nel breve volgere di qualche mese si intrupparono senza riserve.
Vedo preoccupanti analogie. E vedo titubanze e cautele a riconoscere le cose per quello che sono nella realtà. A me pare che sperare nel "rinsavimento" sia ormai un vano esercizio ed una svanita illusione."
Ciascuno faccia la propria parte.
Per aderire all’appello delle Soprintendenze di Roma e Ostia contro il commissariamento