La città colpita al cuore
I centri storici delle città si svuotano, perdono residenti. Svaniscono attività che hanno sempre ospitato - gli artigiani, i negozi di alimentari, le farmacie, gli asili nido. E sbarcano uffici, banche e soprattutto turisti, il cui sciamare domina il paesaggio urbano di Firenze e di Siena, di Venezia e di Roma, di Pienza e di San Gimignano. Dilagano alberghi e bed & breakfast, pizzerie a taglio, tavolini all’aperto e gelaterie, che alterano luci e colori, ma avviano anche un degrado fisico che potrebbe sfigurare la stessa risorsa sulla quale il turismo prospera, essendo i centri storici il fulcro di quel museo all’aperto che l’Italia può vantare.
Il fenomeno è di lunga durata e si intreccia con il modo in cui sono cresciute le città. La città in vendita di Paolo Berdini (Donzelli, pagg. 187, euro 25), urbanista, professore a Roma Tor Vergata, racconta le vicende di questo abbandono, riferendosi in particolare alla capitale, la cui emorragia di residenti Berdini segue dal 1951 a oggi, cercandone le cause e discutendo le politiche attuate per contrastarla o registrando quanto questo esodo, come tante trasformazioni urbane, sia governato prevalentemente dal mercato. Un centro storico vuoto di residenti, segnala Berdini, si riduce a un prezioso involucro senza vita, affogato dalle auto che scaricano chi raggiunge uffici e studi professionali, assediato dai pullman di turisti, dai furgoni che riforniscono un commercio sempre più a misura del turismo stesso. Il centro storico è diventato il cuore malato di un organismo affaticato, la città nel suo complesso.
I numeri danno noia, ma rendono l’idea. E molti numeri indica Vittorio Emiliani nell’introduzione al libro. A Urbino, capolavoro dell’urbanistica rinascimentale, gli abitanti del centro storico sono calati, da sessant’anni in qua, dell’86 per cento. Nel quartiere del Duomo risiedevano 350 persone. Ora sono 16. Al loro posto si è insediata una popolazione di studenti universitari, che fino a un certo limite fa benissimo a una città antica, oltre quel limite rischia di soffocarla. A Venezia erano 164 mila i residenti, ora sono meno di 60 mila (qui non ci sono macchine, ma 12 milioni di turisti ogni anno). A Firenze la superficie di centro storico destinata ad abitazione era il 30 per cento del totale nel 1987, ora si è ridotta al 10.
Ma torniamo a Roma. Nel 1951 risiedevano entro la cinta delle Mura Aureliane 370 mila persone. Oggi sono meno di 100 mila. Sempre nel 1951 Roma era edificata su 6 mila ettari e ospitava 1 milione 600 mila abitanti. Ora gli abitanti sono 2 milioni e mezzo, il 60 per cento in più, ma la città si spalma su 45 mila ettari, sette volte la superficie di allora, e, se verranno realizzate le previsioni del nuovo Piano regolatore, fra pochi anni occuperà 60 mila ettari. La domanda di mobilità in un organismo che prende questa forma aumenta vistosamente. Se ci sono molte metropolitane il danno è contenuto. Altrimenti il problema è drammatico. E la spia è in un altro numero: nella capitale circolano 89 auto ogni 100 abitanti, con conseguenze spaventose sull’inquinamento atmosferico, una cifra di molto superiore a quella media italiana (72 ogni 100), doppia rispetto a Madrid (46).
Nel dopoguerra, racconta Berdini, il centro di Roma era sovraffollato, molte persone abitavano ai piani terra o in seminterrati. Era salutare un diradamento. Poi, fra il 1951 e il 1971, si sono impetuosamente dilatati il settore terziario e quello politico-amministrativo. E l’esodo di residenti si è impennato. Nell’area fra piazza del Popolo, via del Babuino, via del Corso e via di Ripetta, i residenti calano del 65 per cento (da 100 mila diventano 37 mila). Nella zona di piazza Fiume va via il 59 per cento degli abitanti (da 15 mila a 6 mila). Dall’Esquilino il 50 per cento (da 62 mila a 31 mila).
La città della politica e della burocrazia occupa ogni spazio. I prezzi schizzano in alto e dal centro storico vengono scacciati i residenti economicamente più deboli. Nei primi anni Sessanta il problema viene posto con urgenza. Nasce l’idea di spostare fuori dal centro storico molte attività incompatibili con i tracciati barocchi, con i reticoli di strade che risalgono al primo Rinascimento. Si immagina che Roma, come altre capitali, possa avere il suo centro direzionale e che la città contemporanea cresca affiancandosi a quella antica, non deturpandola (il progetto, però, resterà lettera morta).
Contemporaneamente in tutta Italia si sviluppano le competenze. A Gubbio, nel 1960, si mette a punto un decalogo per tutelare i centri storici nella loro interezza - con le strade, gli allineamenti dei palazzi, i materiali costruttivi - e di non concentrarsi sugli edifici monumentali. Gli effetti di queste innovazioni si fanno sentire in molte città, si specializzano i saperi e, secondo Leonardo Benevolo, queste conoscenze sono fra i vanti che l’architettura italiana può esibire sulla scena internazionale. L’integrità fisica dei centri storici italiani può dirsi relativamente al riparo dalle picconate che li avevano sventrati durante il fascismo e negli anni Cinquanta. Ma per continuare a vivere non basta che restino in piedi le mura.
A Roma l’esodo prosegue anche dopo il 1971, sebbene più lentamente. Secondo i dati di Berdini, sono investiti altri quartieri - Borgo, Campo Marzio, Monti, Castro Pretorio. «Ormai solo a Testaccio, Aventino e San Saba il calo della popolazione è inferiore al 60 per cento. Altrove ci si attesta sopra il 70». Nell’estate del 2006, stando alle rilevazioni di una società immobiliare, un appartamento di lusso nel centro storico vale 25 mila euro al metro quadro. Nonostante alcuni tentativi (il restauro di Tor di Nona, per esempio), la rotta non è stata invertita. Riportare residenti nei centri storici, scrive Berdini, ricostituirebbe quella complessità fatta di ceti diversi che li rende vitali. Ma un’operazione di questo genere si scontra con la preponderanza delle leggi di mercato.
«Città e paesaggio sono ridotti a fattore economico», annota Berdini. «È vero che sono anche questo: è stata l’industria a consentire lo sviluppo delle città moderne. Ma esse hanno saputo coniugare la produzione con altre funzioni, che non avevano utilizzazione economica». Oggi, invece, «le prerogative collettive che il liberalismo classico aveva attribuito alla sfera pubblica sono trasferite al comparto privato». In altri paesi europei «vige un sistema di regole che programma gli interventi». In Italia «queste regole sono state in gran parte cancellate, e con esse la stessa urbanistica». Gli appartamenti di un centro storico sono riservati a pochi, il commercio è orientato a soddisfare i turisti, si progettano parcheggi, si vendono ospedali, stazioni ferroviarie, conventi e altri edifici monumentali per farne hotel (nel solo centro antico di Roma, esclusi i bed & breakfast che lavorano in nero, si contano 43 mila posti letto alberghieri, poco meno di metà di tutti i residenti). Il fenomeno pare inarrestabile e, sebbene fisicamente intatti, i nuclei antichi delle città rischiano di perdere l’anima.
Benevolo: "Che cosa fare per salvarli"
Per Leonardo Benevolo, storico dell’architettura, uno dei padri dell’urbanistica in Italia, l’espressione "centri storici" non è convincente. Non rende bene «la natura originaria di città complete e autonome». È una definizione contraddittoria che sfigura il loro equilibrio. Nella città che è continuamente soggetta a trasformazione, e che deve assumere una forma policentrica, aggiunge Benevolo, la "città antica" è uno dei suoi centri e va protetta da tutte «le attività micidiali per la sua conservazione».
Quali sono i principali pericoli?
«La rete di strade deve essere protetta dalle macchine. Questo è un punto delicatissimo. Ma altri se ne possono indicare».
L’eccessiva pressione turistica?
«Direi di sì. Il turismo si può organizzare, indirizzandolo sulle città antiche, ma anche sui paesaggi. In un sistema così concepito il turismo è una risorsa da non sprecare. Ma non può diventare un’attività preponderante: è come se in un appartamento la camera più bella fosse quella per gli ospiti».
Si deve mantenere una proporzione fra abitanti e turisti.
«Tranne Roma, le città di cui parliamo sono abitate in media da alcune decine di migliaia di persone. Se sono frequentate da masse imponenti di visitatori rischiano di soccombere».
Qualcuno indica anche il pericolo che potrebbe derivare dai troppi studenti universitari.
«In qualche caso questo pericolo è evidente. Urbino è al limite della sopravvivenza. L’università è troppo grande e la città troppo piccola. Non si sa più se la città ha gli strumenti necessari al suo funzionamento. O se i suoi servizi sono commisurati all’università».
Ma le università sono in sé stesse un rischio per i centri storici?
«Assolutamente no. Possono essere una fonte di ricchezza. A Oxford o a Cambridge il rapporto fra università e organismo urbano funziona bene».
Esplode la polemica sulla Milano del futuro, che ospiterà l’Expo del 2015. Adriano Celentano risponde al sindaco Moratti, ma nel dibattito irrompe anche Berlusconi, contro i grattacieli «storti e sbilenchi». La città e i partiti si dividono.
Fra Letizia Moratti e Adriano Celentano mette il dito Berlusconi. Se il Molleggiato aveva attaccato gli architetti cementificatori in chiave Expo e il sindaco gli aveva risposto «pensi a cantare», il leader del Pdl ieri ha dato una mano inattesa al Re degli ignoranti. Il quale si è anche difeso in proprio: «La Moratti dice che è meglio che canti? Beh, qui non ha tutti i torti. Non sono poche le persone che oggi s’improvvisano magari direttori generali della Rai (la Moratti è stata presidente, ndr) quando fino a un’ora prima vendevano panettoni».
Ma il botto è di Berlusconi, che a un quotidiano racconta di aver visto «progetti di grattacieli storti e sbilenchi, elaborati da architetti stranieri, in totale contrasto con il contesto milanese e la sua tradizione urbanistica». E aggiunge: «Spero non sia questa l’idea moderna di Milano, altrimenti la protesta dei milanesi nascerà spontanea e giusta e io mi metterò alla sua testa».
I «grattacieli storti e sbilenchi» sono quelli di CityLife firmati da Libeskind (ambasciatore dell’Expo 2015), Isozaki e Hadid. Dalla società e dai progettisti, nessun commento. Risponde invece l’assessore all’Urbanistica di Forza Italia Carlo Masseroli: «Il progetto è eccezionale, internazionalmente riconosciuto fra i migliori al mondo e per la città è imprescindibile. Non ci saranno ripensamenti di nessun tipo». Ieri il consiglio di Zona 8 ha dato l’ok (20 voti a 16, resta l’opposizione dei comitati).
«Berlusconi ha scoperto che chi non tira la quarta settimana non ama i grattacieli avveniristici», dice Emanuele Fiano del Pd, architetto contrario «alla ricerca dell’eccesso a tutti i costi». E in effetti per Fi non è facile parare un’uscita elettoralmente comprensibile, ma imbarazzante per la giunta. E se il deputato azzurro Luigi Casero coglie nelle parole di Berlusconi «un invito a mantenere i valori tradizionali pur nello sviluppo dell’Expo», il capogruppo in consiglio Giulio Gallera fa un passo avanti: «Rispetto le opinioni del presidente, ma è giusto innovare, specie dopo l’occasione mancata della Bicocca. Le capitali moderne che tanto ammiriamo fanno così».
Nel dibattito intervengono tre maestri come Vittorio Gregotti (sua proprio la nuova Bicocca), Massimiliano Fuksas (Polo esterno della Fiera) e Mario Botta (ristrutturazione della Scala), tutti d’accordo nel giudicare provinciale la querelle fra architetti italiani e stranieri: «Non esiste mestiere più internazionale di questo». «Sono desolato di dover dare ragione a Berlusconi - apre Gregotti - tuttavia la responsabilità è di Comune e Regione, governati dal suo partito. Ci sono progetti con una pessima origine, vedi CityLife, che ha prevalso sull’ottima proposta di Renzo Piano perché offriva di più. Il guaio è che certa roba piace, altri lavori dal tratto preciso e severo non hanno lo stesso successo».
«Berlusconi? Tanto il giorno dopo ci ripensa - scherza Massimiliano Fuksas - ma su CityLife io e lui siamo abbastanza d’accordo. Fra i grattacieli fatti e da fare, il Pirellone di Giò Ponti domina ancora mirabilmente». Per lo svizzero Mario Botta, «Berlusconi è la voce del popolo, che a volte fa confusione. Anche il grande edificio modernista di Luigi Moretti in corso Italia rompe la cortina stradale ottocentesca della via, ma si inserisce perfettamente nel contesto».
Infine Stefano Boeri, architetto, urbanista e già direttore di Domus: «Un capolavoro mondiale come la Torre Velasca all’inizio fu stroncata. Per alcuni non rispettava la tradizione milanese, che è di grande sobrietà. Non era così. Ma Berlusconi, che da immobiliarista ha fatto la storia urbanistica di Milano, non dice eresie. Alcuni virtuosismi muscolari, come certe torsioni, sono autoreferenziali e poco interessanti».
Galan, presidente Regione Veneto:
“Un secondo “hub” in Italia non ci sta. Non ho conosciuto nessun imprenditore che per poter andare all'estero abbia preso l'aereo a Malpensa”.
Chiamparino, sindaco di Torino:
“Malpensa e Alitalia hanno bisogno di una dose di mercato, il loro limite è che entrambi sono cresciute con eccessive protezioni e non dalla reale capacità competitiva".
Cacciari, sindaco di Venezia: “Venezia è il terzo aeroporto in Italia. Mi sembra che l’80% del traffico gravita su Francoforte o su Roma, non su Malpensa. Quindi per me Malpensa è un problema della Lombardia… su Malpensa si arrangino. A me va benissimo come hub, ma non perché lo è per decreto dello Spirito Santo, ma per logiche di mercato”.
Formigoni, presidente Regione Lombardia:
“Lo si voglia o no, il traffico aereo è qui”.
Letizia Moratti, sindaco di Milano:
“Sì a una moratoria di tre anni per l’hub lombardo”.
Bonomi, presidente di SEA, la società che gestisce lo scalo: “Nel breve e medio periodo l’aeroporto sarà “point to point”.
31 marzo 2008: Alitalia riduce del 72% i suoi voli da Malpensa e risparmia circa 200 milioni di euro annui di costi.
31 marzo 2008: Malpensa è semi deserta, 900 dipendenti di SEA sono in cassa integrazione a rotazione. 400 lavoratori stagionali non avranno il rinnovo del contratto.
30 marzo 2008: La superstrada Boffalora-Malpensa che collega l’A4 Torino-Milano viene inaugurata. Permetterà di velocizzare il tragitto da Torino alla Malpensa. 18,6 km, due corsie per senso di marcia, 260 milioni di euro di spesa. Interessa i comuni di Lonate Pozzuolo, Castano, Buscate, Cuggiono e Inveruno. La superstrada attraversa il Parco del Ticino, una delle poche zone non cementificate della Lombardia.
La Malpensa è un finto hub figlio delle tangenti point to point craxiane. I suoi successori non se la sono sentita di buttare via lo scalo insieme al latitante. L’economia ha dovuto fare il lavoro sporco. Malpensa, al massimo è un point to point, un piccolo aeroporto regionale. Chi vive a Torino parte da Caselle. Chi sta a Treviso vola da Venezia. Volano verso gli hub di Londra, Francoforte, Parigi. Lo fanno da sempre, non perché l’Alitalia è fallita.
L’Italia può permettersi un solo hub. Con Malpensa deserta, con decine di aeroporti nel Nord Italia, si inaugura una nuova superstrada, si asfalta un parco nazionale. I torinesi continueranno a partire da Caselle, i veneziani da Venezia. Per i politici italiani “ nulla si crea, tutto si distrugge” con i soldi pubblici. Le cattedrali nel deserto una volta rendevano sotto forma di tangenti, oggi producono voti e poltrone. Marx inventò il plusvalore, i nostri politici la teoria del disvalore: l'utilizzo del lavoro dei cittadini per produrre valore personale e distruggere il Paese.
Nota: si veda come esempio di parallela "follia aeroportuale padana" il caso parzialmente ricostruito su queste pagine, dell'altro Hub virtuale a Montichiari, di cui chissà perché non parla più nessuno (f.b.)
Un terreno che fino a due giorni fa valeva uno ora vale dieci. Hanno fruttato bene i 255mila metri quadrati di proprietà della società Belgioiosa Srl controllata direttamente dal gruppo Raggio di Luna appartenente alla famiglia Cabassi, dopo una recente operazione di scissione di Sintesi a favore di Raggio di Luna.
Negli anni '50 la proprietà era di un milione di metri quadrati. Poi dopo sette espropri in un colpo solo il restante lotto (Fiorenza) verrà dato in concessione di diritto di superficie al Comune di Milano che lo utilizzerà per l'Expo 2015. In base all'accordo con il Comune sottoscritto lo scorso luglio entro 18 mesi dalla conclusione dell'Expo Belgioiosa riavrà indietro 150mila metri quadrati, 105mila in meno rispetto ai 255mila attuali che però hanno una destinazione d'uso agricola. A partire dal 2016, quando saranno state smantellate le strutture temporanee che saranno abbattute al termine dell'Expo e con l'obbligo di non realizzare attività industriali che compromettano l'ambiente, Cabassi invece potrà edificare con un indice pari a 0,6 (o 0,5, è uno dei punti da definire in dettaglio). Supponendo che il terreno agricolo valga circa 10-12 euro al metro quadrato moltiplicati per 255mila metri quadrati si ha un valore attuale del terreno di 2,55-3,06 milioni di euro. Valutando almeno 3mila euro al metro quadrato i 30mila metri quadrati che si potranno costruire a partire dal 2016 (esclusi i sotterranei e quindi eventuali box) si ottiene un valore del diritto di costruire – in cui c'è ovviamente anche un margine di rischio – di circa 22,5 milioni di euro (il 25% di 90 milioni di euro) a cui, sommando una rivalutazione del bene pari almeno all'inflazione per dieci anni, si arriva a 30 milioni di euro contro i tre attuali.
Per diventare operativo l'accordo è vincolato all'approvazione di un piano urbanistico che escluda attività produttive insalubri e contempli la destinazione a verde e parco urbano di una superficie minima pari alla metà di quella oggetto di urbanizzazione. Il master plan dell'Expo 2015 «allo stato attuale – spiega Giancarlo Tancredi, dirigente del settore progetti strategici del Comune di Milano – prevede un'area "rossa" di oltre un milione di metri quadrati dove per intenderci si pagherà il biglietto e un'area "blu" delle stesse dimensioni dove verranno realizzate tutte le opere in qualche modo accessorie alla manifestazione stessa». Quindi altri 15-20 proprietari di aree adiacenti all'area dell'Expo 2015 potrebbero essere coinvolti nel progetto. Tra questi c'è la Camfin – il cui socio di maggioranza è la Gpi controllata da Marco Tronchetti Provera – proprietaria di un'area di 120mila metri quadrati situata nel Comune di Rho di cui metà a destinazione a uso industriale (ex capannoni) e terziario e metà agricola. Lo scorso 12 settembre il Cda di Camfin ha deliberato la dismissione dell'area, ritenuta non più strategica. Decisione confermata anche dopo la notizia dell'assegnazione dell'Expo.
Altro grande protagonista della vicenda è EuroMilano, proprietario di un'area di 530mila metri quadri (Cascina Merlata) situata nel Comune di Milano, e adiacente al Comune di Rho, comprata l'anno scorso prima che si mettesse in moto la macchina organizzatrice della candidatura. Rilevata dalla società Ecce l'area ospiterà il villaggio dell'Expo. «La nostra acquisizione – spiega Chiara Elena Gerosa di EuroMilano – va inquadrata nella strategia di puntare sullo sviluppo del quadrante nord ovest di Milano. Siamo partiti con l'area di via Palizzi dove abbiamo realizzato il progetto Milano Certosa, trasformando un'area dismessa di oltre 450 mila metri quadri fino a pochi anni fa occupata dagli impianti delle raffinerie Fina». Altro importante progetto il recupero e la ridefinizione della Bovisa, storico quartiere industriale milanese dove EuroMilano sta realizzando una sede del Politecnico di Milano (60mila mq) e dove ha già realizzato in comodato d'uso per tre anni la Triennale Bovisa, aperta lo scorso novembre e già visitata da 44mila appassionati d'arte.
Ovviamente tra i protagonisti c'è anche la Fondazione Fiera Milano. A fronte delle opere di urbanizzazione realizzate sull'intera area di sua proprietà (oltre 600mila mq) il Comune di Milano ne conserverà a titolo definitivo 55 mila metri quadrati sui quali verrà costruita una torre, elemento architettonico emblematico che sarà mantenuta anche dopo la chiusura della manifestazione. Terminata l'Expo gli edifici e le strutture permanenti verranno destinati al pubblico utilizzo, mentre quelli temporanei saranno abbattuti a spese del Comune di Milano.
Il terzo e ultimo proprietario delle aree oggetto della cessione del diritto di superficie sono le Poste italiane, uno dei sette esprioprianti dell'originale tenuta Cabassi, che si sposteranno lasciando un'area di 80mila metri quadrati al Comune di Milano.
Altri commenti della prima ora qui
Mi sembra davvero un errore puntare in maniera così netta, e con quelle modalità straordinarie che rimproveravamo alla destra, sul turismo d’élite a La Maddalena. Che sia criticabile questo sviluppo sbilanciato sul lusso lo scrisse qualche mese fa, in un brillante pezzo per il Manifesto Sardo proprio Ignazio Camarda; ed è spiacevole ricordare che normative e procedure derivate dalle leggi di tutela del paesaggio con un’emergenza direttamente governata dalla Presidenza dell’Esecutivo sono una cosa che fu vista per la prima volta con Berlusconi, guarda caso mediante, se non ricordo male, la Protezione Civile. Potenza dei modelli!
Preoccupano le modalità di emergenza, perché i grandi eventi speciali, memoriali, straordinari (dall’omaggio ai potenti del pianeta alle Olimpiadi) portano sempre, tributo all’efficienza, qualche messa in mora della democrazia, e maggiori probabilità, indebolendosi i controlli, di abusi. Speriamo bene, perciò.
Ma il dissenso profondo è proprio sul modello: capisco la ragione e la convinzione, anche se non mi appartengono, di mettere in moto il bello sconvolgente dell’Arcipelago, emancipato dagli orribili navigli nucleari (e dall’inquinamento? d’altronde Quirra è già sull’altro piatto della bilancia) per produrre immagini attrattive di ricchezza, benessere, capitale; e anche la preoccupazione che una comunità in qualche modo abituata ai dollari non possa rivoltarsi a qualsiasi pratica, poco veloce ma più affidabile, di sviluppo sostenibile, come le attese (pur criticandone se necessario aspramente i contenuti ) di una popolazione che ha visto a lungo il suo straordinario ambiente espropriato da qualcosa, ed è arrivata – anche per la mancanza di culture alternative consolidate e vincenti – a mettere sullo stesso piano di espropriatori basi militari e il modello del Parco nazionale. Processo conosciuto anche all’Asinara e nel Gennargentu, che induce a forte preoccupazione. Che evidenzia la questione irrisolta del Parco, la necessità di una modifica alla stessa legge-quadro sulle aree protette che sia più inclusiva delle popolazioni dei territori interessati, mantenendo però con fermezza l’irrinunciabilità alla tutela pubblica e nazionale, quindi statale, di un arcipelago già inserito nel dossier UNESCO. Aspetto concettualmente rinforzato dalla nota sentenza della Corte Costituzionale e delle recenti modifiche al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
Potrei inoltre dire che mi sarebbe piaciuto capire meglio e cogliere, in questo sforzo politico e finanziario della Regione Autonoma di autoreferenziarsi nello scenario mondiale, quali siano le somme destinate per il Compendio Garibaldino di Caprera, o per il Museo del relitto romano di Spargi. O ancora per la tutela dei siti archeologici ed architettonici che caratterizzano in primaria importanza tutto l’arcipelago (dal tafone neolitico di Cala Corsara al riparo sotto roccia preistorico di Cala di Villamarina). Sul fatto che caratterizzare con ‘antropologie di élite’ un luogo così delicato significhi affidarlo a classi e ceti non certo vocati al rispetto del paesaggio e sempre infastiditi dalle regole pubbliche.
Da queste pagine immaginavamo la necessità, tra le altre cose, di allocare alla Maddalena, come all’Asinara, un centro di studi sulle energie pulite e rinnovabili. Renato Soru ha pensato di aprire in occasione del G8 un dibattito mondiale sull’ambiente e le energie rinnovabili: senza naturalmente rinunciare al modello del turismo di élite così vicino ai ceti che sostengono i ‘Cavalieri dell’Apocalisse’ del G8, titolari di quei modelli che stanno distruggendo il nostro pianeta, incardinandolo ai destini del petrolio e dell’industria militare ad esso intimamente connesso. La contraddizione, pesante, mostra la scarsa credibilità di un’alternativa ambientale di Soru (che ha avuto il premio Kyoto 2021!) anfitrione a La Maddalena di George Bush, primo responsabile dell’affossamento del protocollo di Kyoto, dal quale pare logico aspettarsi, nel senso letterale del termine, orecchie da mercante.
Se trovo poco edificante ospitare il G8 e tutte le sovrapposizioni alle norme ordinarie inferte dalla ‘eccezionalità’, trovo imbarazzante il ritardo della sinistra su questi temi. Non è alla fine strano che Renato Soru persegua un modello di sviluppo borghese evoluto, organico a una concezione del territorio non esattamente incardinata a sinistra e sui beni comuni, ma l’opposizione ideale sconfina in modo preoccupante con un’assenza di proposte. Non ci va bene uno sviluppo puntato sugli alberghi a cinque stelle? Abbiamo a sinistra elaborato un modello di vita quotidiana assistito da scelte amministrative politiche correnti che sia in grado di essere convincente per le popolazioni e non solo per noi? Renato Soru ha una sua idea per sviluppare turismo di ‘alto livello’ (di reddito) e qualità dei luoghi della quale non condividiamo coordinate teoriche, modelli antropologici, risultanze pratiche. Ma rischiamo di essere in forte ritardo sulla proposta di idee alternative, perché non si riesce ad andare oltre a parole d’ordine esclusivamente resistenziali, ostacolati dall’incapacità di uscire dalle zone rosse di Genova, di capire che lo scenario è cambiato.
I riflettori che si accenderanno sul G8 saranno utili solo se sapremo organizzare, sfuggendo al rischio-trappola del potere, un contro vertice pacifico e globale delle competenze e dello sviluppo sostenibile, diffuso in tutta l’isola. e proporre idee, soprattutto convincenti. Non dovremo permetterci il lusso di non essere propositivi.
Il manifesto sardo è un giornale online
Mi chiedo come sia possibile, in Toscana, il massacro del territorio rurale, Val di Cornia compresa. Me lo chiedo, prima di tutto, alla luce delle leggi che questa regione ha prodotto, sin dagli anni 70. Leggi che hanno sempre individuato nel territorio rurale, e nelle attività agricole, una fondamentale risorsa economica e un tratto distintivo del paesaggio e dell’identità della regione.
Provenendo da altre regioni ed attraversando la Toscana, si percepisce nettamente che cosa hanno rappresentato questi capisaldi della legislazione regionale. La Maremma, la Val d’Orcia, le colline senesi, le colline di Bolgheri e altre realtà rurali sono oggi straordinari bacini di qualificata produzione agricola e risorse paesaggistiche che contribuiscono a promuovere l’immagine della Toscana nel mondo.
Sono patrimoni che devono essere protetti sotto il profilo paesaggistico e sostenuti per lo sviluppo di produzioni agricole orientate alla qualità e alla tipicità. La più recente legge regionale sul governo del territorio (la n.1/2005) sembra averne coscienza, arrivando ad affermare che “nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”, che le zone agricole sono assunte “come risorsa essenziale del territorio limitata e non riproducibile, che “nelle zone con esclusiva funzione agricola sono di norma consentiti impegni di suolo esclusivamente per finalità collegate con la conservazione e lo sviluppo dell’agricoltura e delle attività connesse”.
Se le leggi non sono propositi, ma norme da osservare, viene davvero da chiedersi cosa stia accadendo nel concreto governare di questa Regione e dei suoi Comuni. Basta guardarsi intorno, anche qui, per capire che qualcosa non va nella politica e nell’amministrazione. Il fenomeno è diffuso, ma raggiunge limiti intollerabili in realtà come San Vincenzo dove vaste aree agricole sono massacrate da villette che spuntano dal nulla, da casolari rurali che si ampliano a dismisura e si moltiplicano fino a divenire agglomerati abitativi, da vere e proprie lottizzazioni che si materializzano tra relitti di campi coltivati. Basta percorrere la vecchia Aurelia o salire in quelle che un tempo erano le strade panoramiche di S. Carlo e S. Bartolo per capire che cosa stia accadendo: uno scempio paesaggistico e la distruzione progressiva del patrimonio produttivo agricolo.
Le domande sono molte. Com’è possibile, in presenza di leggi regionali a cui devono uniformarsi piani e regolamenti locali, disattendere clamorosamente i principi guida del governo del territorio?
Com’è possibile, in un’area come la Val di Cornia che ha tradizioni di pianificazione coordinata, assistere ad una così profonda divaricazione delle politiche di governo del territorio tra comuni limitrofi? Com’è possibile, senza che la politica si ponga serie domande, assistere al prevalere di evidenti interessi speculativi su quelli della produzione agricola e della conservazione di beni vitali per l’immagine della Toscana, determinati per la qualificazione dello sviluppo locale, compreso quello turistico? E’ sin troppo evidente, ormai, che è più facile per una società immobiliare ottenere permessi per una lottizzazione nelle zone agricole che per un imprenditore agricolo il permesso di ampliare una cantina o per una cooperativa le autorizzazioni a costruire un frantoio sociale.
Il problema dunque, anche in Toscana, non è dunque il “dire” ma il “fare” quel che si dice. Nella pubblica amministrazione, poi, il dire una cosa e farne un’altra dovrebbe configurare un illecito amministrativo, pena la perdita di credibilità della politica e l’inevitabile scivolamento nel dominio dell’arbitrio dove a contare non sono le leggi ma i poteri.
Massimo Zucconi è stato il creatore del sistema dei parchi della Val di Cornia e il suo direttore per oltre un decennio
PerplExpo 2015: dubbi e attese sulla stampa
“Titoli: costruzioni e immobili volano dopo Expo a Milano”, così una nota della Reuters a modo suo sottolinea quello che per molti purtroppo rappresenta il vero e unico traguardo dell’affaire gigantesco di trasformazione del territorio metropolitano e regionale. Nonostante a livello europeo il settore costruzioni sia in leggera perdita, aumentano invece in modo vistoso tutte le imprese coinvolte nelle grandi opere padane, più o meno convergenti sul nodo milanese, a partire dall’autostrada Pedemontana (Impregilo, Astaldi) e altre. La Reuters riassume anche alcune cifre dell’Expo, che “ si è impegnata a ospitare 7.000 eventi in sei mesi di esposizione, che si svolgerà nei pressi dell'area fieristica di Rho, a nordovest di Milano, su una superficie di 200 ettari. Il budget dell'evento è di 4,12 miliardi di euro (3,228 miliardi per infrastrutture, 892 milioni per l'organizzazione)”
Luca Pagni, su la Repubblica, propone conseguentemente un “Ecco chi guadagnerà con l’Expo”, confermando in apertura che il mondo dell’economia e della finanza sta già festeggiando e che la cosa non ha affatto bisogno di aspettare opere, movimenti terra, colate di cemento, flussi di visitatori che spendono nei negozi e negli alberghi. Confermando la precedente nota Reuters “Basta scorrere il listino di Borsa e vedere come già ieri siano schizzate verso l’alto le quotazioni delle società che gli investitori di Piazza Affari ritengono possano essere coinvolte favorevolmente dall’evento”. Ivi comprese le società di alcuni operatori (es. Zunino con le cittadelle griffate di Renzo Piano e Norman Foster) che sino alle scorse settimane erano date in grossa crisi finanziaria, con minaccia di abbandono dei progetti a mezza strada.
Ed emerge naturalmente, come ci si poteva aspettare, la logica che spinge alle procedure eccezionali, e in generale alla forzatura delle regole correnti: particolarmente micidiale, va sottolineato, in una situazione come quella milanese, con un piano regolatore cittadino ancora alle prime battute e con una caratterizzazione che pare assai orientata al patchwork di interessi particolari, e la tradizionale debolezza del coordinamento urbanistico metropolitano. Riassume bene questo aspetto il titolo scelto per l’articolo di Giuseppina Piano sulle pagine locali de la Repubblica: “Expo, è già corsa contro il tempo”, dove a partire da una dichiarazione del sottosegretario alla Presidenza del consiglio appare chiaro il bisogno comunque di fare in fretta. Questa corsa contro il tempo però sembra proporre un coerente, veloce “scaricamento” di buona parte delle istituzioni che hanno sostenuto la candidatura milanese: dalla prima riunione del consiglio comunale vengono esclusi D’Alema (che come ministro degli Esteri è stato fra i protagonisti) il presidente della Regione Formigoni (che pure appartiene al medesimo schieramento) e Penati (con buona pace di chi vedeva proprio nella dimensione minima metropolitana la scala di governo dell’evento). Mentre già, d’altra parte, emergono gravi ritardi accumulati per un’opera essenziale e complementare all’insediamento dell’Expo: “i quasi due milioni di metri quadrati a Rho-Pero che dovranno essere rivoltati come un guanto. La parte più lunga e a rischio sforamento è quella dei collegamenti: svincoli, parcheggi, strade. La storia insegna: la Fiera a Rho è stata inaugurata tre anni fa, i cantieri per i collegamenti non sono ancora finiti”.
Elisabetta Soglio, sul Corriere della Sera, sottolinea “Seduta in Comune «chiusa» a D'Alema”,e ancora al tema dello scaricamento istituzionale dopo l’assegnazione, è dedicato il titolo di Rodolfo Sala, “Adesso Letizia è più forte (e cala il gelo con Berlusconi)” sull’edizione milanese de la Repubblica. Velocissimo e drastico, appare il riposizionamento del sindaco già il giorno successivo: sia nell’avocare a sé e al comune la gran parte dei poteri decisionali, sia rispetto allo schieramento di parte, lontanissimo dalle larghe intese che si vantavano sino alla vigilia del voto parigino. Il progetto appare però probabilmente più complesso: “ridurre la giunta (quella attuale o la prossima solo un tantino ritoccata) a una condizione di marginalità, e puntare tutto sul nuovo comitato che gestirà la partita Expo. Tutto girerà intorno a questo, di qui al 2015, ed è lì che il sindaco potrebbe sperimentare un nuovo modello di governo”. Se possibile, a rafforzare l’impressione di una drastica svolta verso corsie preferenziali, che sfuggono in parte anche ai controlli democratici.
Si aspetta un nuovo atteggiamento da parte dell’opposizione ambientalista, per quanto ancora critica, Paolo Hutter, ricordando che con tutte le cautele e attenzioni “L’impatto non è mai zero”. Il nuovo approccio della rivendicazione, per avere qualche mordente, secondo Hutter, dovrà essere di rilancio propositivo su tutti i fronti, a partire da quelli più direttamente legati alle idee vincenti che hanno determinato l’assegnazione: ambiente, salute, energia, qualità dell’insediamento e dei servizi. E poi “ci vuole una verifica obiettiva e pluralistica. Troppo spesso, in questi Grandi Eventi, i dati vengono forniti solo dagli organizzatori, o comunque da agenzie nominate dai governi locali. … ci vorrebbe un gruppo di lavoro al quale partecipi anche almeno un tecnicoexposcettico”
Anche se si capisce immediatamente che per eventuali scettici e critici non si preparano tempi facili. Osserva sull’edizione locale del Corriere della Sera Claudio Schirinzi, come rapidamente si stia delineando l’emergere di un “ Nuovo Potere”, verso cui convergono decisamente vari soggetti, ma che si coagula nella figura di Letizia Moratti, “ Come utilizzerà, la Moratti, il suo nuovo potere? … La preparazione dell'Expo richiede un consenso ampio … tanto più perché nessuno può prevedere oggi chi sarà al governo della città, della Regione e del Paese nel 2015. Meglio arrivarci, dunque, con soluzioni condivise”. Ma resta misterioso l’orientamento di questa formula multi-partisan, e i modi in cui si è sviluppata sinora la vicenda sembrano andare in direzioni opposto rispetto all’auspicio di Paolo Hutter o degli altri ambientalisti con un approccio propositivo all’Expo.
Come il fondatore di Slow Food Carlo Petrini, anche componente del comitato scientifico dell’esposizione, che intervistato da Giorgio Salvetti sul manifesto conferma ottimismo: “ L’Expo può essere una sfida”. Da qui secondo Petrini l’importanza di partecipare direttamente sia alla preparazione che all’attuazione dell’iniziativa, anche se in modo critico. E in particolare rispetto al tema del rischio che tutto si traduca in una enorme speculazione edilizia: “ Le grandi esposizioni sono sempre state un'occasione per le città per rigenerarsi, anche qui bisogna che vengano rispettati i piani ecocompatibili. E' una questione di intelligenza, ma è una battaglia che va combattuta per poter esser vinta”.
Sulle pagine locali milanesi del manifesto, l’europarlamentare Vittorio Agnoletto, col polemico titolo “Affamare il pianeta” esprime una posizione fortemente dubbiosa: è davvero pensabile che un’area metropolitana e regionale che ha sinora saputo fare assai poco per la sua aria, l’acqua, il traffico, la tutela del territorio, possa diventare un simbolo internazionale di attenzione a questi temi nella prospettiva di una sana alimentazione e stile di vita? Senza un costante controllo da parte delle forze sociali, locali e non, l’evento potrebbe semplicemente tradursi nel fatto “che Milano diventi per quindici anni un enorme cantiere, con l’ulteriore paralisi del traffico urbano ed extraurbano, con nuove autostrade, tangenziali e la terza pista a Malpensa al posto di una rete di trasporti pubblici efficiente e non inquinante, con piste ciclabili, che è quello di cui avremmo bisogno”.
Sulle stesse pagine del manifesto, una sfumatura leggermente più propositiva è quella proposta da un gruppo di rappresentanti della Sinistra Democratica, che chiedono: “Ora un progetto”. A implicitamente intendere come quanto esposto sinora dai promotori in effetti fosse solo una serie di auspici e dichiarazioni di intenti. Un progetto, si afferma che sia soprattutto convergenza ampia di forze e interessi a ridisegnare il sistema metropolitano, dal punto di vista socioeconomico e infrastrutturale, ambientale e della partecipazione. Elementi chiave di questo progetto, una Legge speciale, e “un Osservatorio di grande autorevolezza, con personalità del mondo della cultura, dell’Università, della scienza, del lavoro, delle associazioni ambientaliste e degli interessi diffusi, che verifichi e accompagni le tappe progressive della realizzazione dell’Expo”.
CAGLIARI. Sul cemento di Tuvixeddu si decide il 30 maggio, ma prima che il Consiglio di Stato depositi la sentenza d’appello, che sarà anche definitiva, nessuna delle tre imprese impegnate nei lavori sui colli punici della città accenderà i motori delle betoniere. Tutto fermo, in base a un accordo proposto dai legali di Coimpresa, accolto dal presidente della sesta sezione Giuseppe Barbagallo e avallato dai difensori delle parti pubbliche e private in causa. La Regione ha insistito perchè si andasse alla sospensiva, il giudice ha preferito la linea del rinvio.
Non c’è spazio per i trionfalismi e neppure per la delusione: i giudici amministrativi romani hanno scelto di non esprimersi sulla richiesta avanzata dalla Regione, dal ministero dei Beni culturali, da Italia Nostra e da Legambiente di sospendere l’efficacia della sentenza con la quale il Tar Sardegna ha bocciato i vincoli imposti dalla giunta Soru, accogliendo integralmente i ricorsi di Coimpresa, Comune e Raimondo Cocco costruzioni. La scelta di non decidere è legata a due necessità: quella di affrontare con calma la montagna di faldoni che raccontano la complessa vicenda politico-amministrativa di Tuvixeddu e l’altra, non meno importante, di ridurre a una sola udienza il prevedibilissimo scontro fra i due schieramenti di avvocati, pronti a darsi battaglia in vista di un obbiettivo diventato centrale al di là del valore storico dei colli cagliaritani. Scelta logica, perchè una decisione sulle istanze di sospensiva sarebbe stata certamente letta, in un clima così teso, come un’anticipazione di giudizio. I giudici hanno preferito evitare il rischio, richiamando le parti al buon senso: due mesi di tempo a disposizione di tutti ma a bocce ferme, perchè i beni in discussione non vengano pregiudicati con nuovi colpi di bulldozer e i legali possano affilare le armi per una contesa che sarà finale. Al patto hanno aderito formalmente anche i difensori dell’impresa Cocco - gli avvocati Benedetto e Antonello Ballero - malgrado il decreto cautelare di stop ai lavori, firmato il 14 marzo dal presidente del Consiglio di Stato su richiesta della Regione, sia ormai scaduto.
La posta in gioco è altissima. Coimpresa si gioca la possibilità di realizzare un progetto che sulla carta si presenta ad alta redditività, coi lavori già avviati. La Regione e il comune di Cagliari - stranamente antagonisti, nonostante si tratti di difendere un bene collettivo - un pezzo della loro credibilità istituzionale.
Con un grande punto interrogativo sugli esiti del confronto una cosa è apparsa chiara nell’austera aula del Consiglio di Stato: il ministero dei Beni culturali è al fianco della Regione. Basta leggere il ricorso firmato dall’Avvocatura dello Stato per trovare la conferma: in tre pagine scarne ma analitiche i legali pubblici attaccano alle fondamenta la sentenza del Tar sardo, entrando con forza nel merito delle valutazioni tecniche e lanciando un giudizio di parte, ma comunque significativo, su alcune scelte del collegio cagliaritano. Su tutte quella di aver manifestato pareri extragiuridici su aspetti di taglio culturale, come la mappatura delle aree da sottoporre ai vincoli in base al Codice Urbani. E come il sospetto, manifestato esplicitamente dal Tar, che l’iniziativa del governo Soru di bloccare i lavori a Tuvixeddu nascondesse l’intenzione di aprire la strada a un piano alternativo, quello firmato dal celebre architetto francese Gilles Clement. Su quest’aspetto però la partita è aperta: c’è un’inchiesta giudiziaria condotta dal sostituto procuratore Daniele Caria dopo l’esposto depositato dal legale di Coimpresa, Agostinangelo Marras. Improbabile, sul piano strettamente tecnico, che le valutazioni del magistrato penale coincidano con quelle del giudice amministrativo: sono problemi diversi.
Partita tutta da giocare, dunque. Ma le note di commento nel corso della giornata sono fioccate lo stesso. La Regione - patrocinata dagli avvocati Paolo Carrozza, Vincenzo Cerulli Irelli e Giampiero Contu - ha espresso «grande soddisfazione per la posizione decisa e coraggiosa assunta nella vicenda a sostegno della legittimità del vincolo dal Ministero per i beni culturali, attraverso l’Avvocatura generale dello Stato e dalle principali associazioni ambientaliste, Italia Nostra e Legambiente. In questa buona compagnia - è scritto in una nota - la Regione andrà avanti nella tutela dell’ambiente e del paesaggio contro ogni tentativo di appropriazione speculativa del patrimonio naturale e storico dell’isola».
Legambiente - tutelata dall’avvocato Giuseppe Andreozzi - definisce «salomonica anche se non risolutiva» la decisione dei giudici romani e conferma come «il blocco delle attività di cantiere fosse una necessità imprescindibile». Soddisfatto anche l’avvocato Carlo Dore, legale di Italia Nostra. Mentre Coimpresa - i difensori sono Pietro Corda, Antonello Rossi e Duccio Maria Traina - sottolinea di aver deciso «volontariamente di non iniziare i lavori prima della data dell’udienza» e smentisce una nota diffusa nel sito della Regione in cui si parlava impropriamente di provvedimenti inibitori: «Restano interamente valide ed efficaci - scrive l’amministratore Giuseppe Cualbu, figlio di Gualtiero Cualbu - le sentenze del Tar di annullamento dei vincoli». Coimpresa respinge le accuse di «appropriazione speculativa» perchè sono riferite «a un progetto che prevede la cessione al pubblico di 38 ettari su 48 e la realizzazione di servizi necessari alla riqualificazione dei quartieri popolari circostanti. Ancora una volta - si chiude la nota - vengono usate argomentazioni e toni poco consoni a un’istituzione pubblica quale è la Regione, che intende colpire ingiustamente una parte dell’imprenditoria sarda».
Silenzio dal Comune, difeso in giudizio dagli avvocati Ovidio Marras, Massimo Massa, Federico Melis e Marcello Vignolo.
D. Lunedì a Parigi si decide l'assegnazione dell'edizione 2015 dell'Esposizione internazionale. In gara ci sono Milano e Smirne. Un attesa e un evento solo e soltanto milanese o che coinvolge anche la provincia? La sua città si sente coinvolta in questa sfida?
R. Sfida per cosa? Per esaltare un modello di sviluppo che sta portando la pianura padana al collasso ambientale e l'intero pianeta alla distruzione?
Una premessa storica. Le esposizioni universali nascono a metà dell'ottocento per magnificare lo sviluppo poderoso e all'apparenza inarrestabile del liberalismo politico e del liberismo economico.
Questi grandi avvenimenti nascono sostanzialmente per celebrare i successi, i progressi scientifici, i prodotti dell'industria. Nascono per mettere a disposizione della conoscenza globale i progressi dell'uomo. L'ottimismo regnava. L'uomo vedeva davanti a se un futuro grandioso.
Credo che i tempi siano "leggermente" cambiati. Intanto oggi, nell'era di internet, organizzare tali eventi è uno spreco, di energia e di risorse. Con le stese risorse si potrebbero risolvere problemi ben più importanti rispetto al desiderio di "passare alla storia" di alcuni sindaci, presidenti di provincia o di regione.
Oggi non c'è nulla da celebrare o da magnificare. 800 milioni di persone soffrono di fame e malnutrizione, più di un miliardo non ha accesso all'acqua potabile. Ogni ora 1200 bambini muoiono per malattie curabili.
La vera esposizione universale dovrebbe essere fatta su questo.
E il titolo scelto dalla Moratti "nutrire il pianeta, energia per la vita" è del tutto fuorviante se non beffardo. Infatti nel programma dell'expo non si legge nessuna critica al modello agroalimentare fin quì seguito, imposto dalle stesse multinazionali che co-organizzeranno l'evento. Nessuna critica all'imposizione di monoculture che impoveriscono il suolo e affamano milioni di contadini. Nessuna obiezione all'obbligo di usare il terreno per produrre soia per il nostro bestiame. Nessuna parola verso l'impego di OGM.
Lo so. Credo che la grande maggioranza dei cittadini delle nostre città vogliano expo 2015. Ma sono realmente informati sullo stato del pianeta.
Anche le comunità della valle padana, sono portate a idolatrare questo mito della crescita economica, osannato dal concerto messo in piedi ad arte dai poteri economici, politici e massmediatici. Però non viene mai detto loro al Telegiornale che stiamo consumando più di quanto il pianeta è in grado di produrre. E che per garantire il nostro apparente benessere, stiamo dilapidando il capitale ambientale, a tutto danno del sud del mondo e delle generazioni future.
Se Milano otterrà l'Expo 2015 prevede più svantaggi o più benefici per il Comune da lei amministrato e per il territorio circostante?
In molti affermano che vi saranno enormi benefici da expo 2015. Sicuramente per qualcuno ci saranno grandi affari economici e commerciali. Per altri si apriranno le porte per grandi investimenti immobiliari.
Io, per il territorio, prevedo grossi problemi. Expo metterà il turbo a tanti progetti di devastazione ambientale. Dalla rimessa in discussione dei parchi, alla realizzazione di grandi opere faraoniche sul modello già visto in occasione dei mondiali Italia '90.
Dicono che ci saranno 70 mila posti di lavoro. Però si dice una mezza verità. Expo durerà 6 mesi, sarà pertanto lavoro precario. Magari in nero.
Non prevedo quindi benefici, ma soltanto l'avvio di una nuova stagione di consumo di territorio. Sempre all'insegna della rincorsa della fantomatica crescita economica e del PIL.
Se Milano otterrà l'Expo quali aspettative si creeranno per la sua città?
Le vere aspettative per il nostro paese sono, o dovrei dire erano, legate ad un serio investimento nel campo del turismo ambientale. La navigazione sui navigli per godere delle ville di delizia, la fruibilità dei nostri parchi, la bellezza del paesaggio da mettere a disposizione di quanti non immaginano che a pochi km da Milano ci siano posti come i nostri.
Purtoppo, a breve avremo già un antipasto di quello che ci aspetta con la nuova autostrada Malpensa-Magenta. Che dovrebbe proseguire fino alla tangenziale ovest, con tanti saluti al Parco del Ticino e alla riserva della Biosfera Unesco.
Credo che osservare dal Navilgio Grande di Cassinetta di Lugagnano una delle belle ville del '600 non sarà poi così entusiasmante se a pochi metri vedi e senti frecciare uno, dieci, cento tir carichi magari di bottiglie di acqua minerale provenienti dalla Sicilia e dirette in Valle d'Aosta.
Quali eventi, iniziative, progetti la sua città potrebbe attuare per arrivare preparata all'evento del 2015? Ritiene che possa essere in grado di riscuotere l'interesse di almeno una parte di visitatori stranieri attesi?
Se Milano otterrà Expo 2015, a Cassinetta di Lugagnano e ovunque altre comunità del Parco del Ticino lo proporranno, ci prepareremo a realizzare una contro-esposizione universale, una rassegna-manifestazione nazionale permanente, già a partire dal 2008 per promuovere un modello di sviluppo alternativo, che metta al centro il benessere delle persone, che non si può continuare a misurare con il PIL. Un indicatore, che come ha detto Bob Kennedy nel celebre, ma spesso dimenticato discorso tenuto all'università del Kansas, è del tutto inadeguato. Un discorso non molto lungo, che davvero invito a leggere.
Un discorso di un uomo politico molto lontano da quell'ideologia che spesso viene appicciccata a coloro che oggi propugnano la teoria della decrescita come unico mezzo per salvare il pianeta e con esso l'uomo e le generazioni future.
Quindi ci prepareremo anche noi a expo 2015. Ma a modo nostro e sui temi che davvero servono a rilanciare non l'economia, ma la speranza di una vita futura e migliore.
L’aeroporto di Malpensa, a 45 km. da Milano, si trova tra due autostrade e poteva essere logico pensare che dovesse essere collegato con entrambe.
Il collegamento con la A8 è stato “ammodernato” grazie ai mondiali di calcio “Italia 90” ma è costituito da un “budello” a due carreggiate senza corsie di emergenza e, quindi, con svincoli molto pericolosi.
La Malpensa-Boffalora, collegamento con la A4, che viene inaugurata oggi, ca. 10 anni dopol’apertura dell’ampliamento di Malpensa, è quindi un esempio di programmazione fallita.
Viene inaugurata solo oggi, mentre se ne parla dal 1998 (anno di inaugurazione di Malpensa 2000), oggi, quando si parla di ridimensionare Alitalia e Malpensa.
E’ tuttavia doveroso chiedersi perché c’è voluto così tanto tempo, così come altrettanto tempo ci vorrà per completare il raccordo FFSS-Ferrovie Nord a Castellanza per il collegamento delle FFSS da MICentrale a Malpensa. In compenso è stato progettato un assurdo (tanto costoso quanto devastante sotto il profilo di impatto ambientale) collegamento denominato “Accesso ferroviario da nord a Malpensa”.
Progetti “faraonici”, senza avere, dei faraoni, né le risorse economiche, né le capacità decisionali, né gli spazi per realizzarli. E’ fin troppo evidente che l’area di Malpensa non è in grado di ospitare un hub, se non a prezzi economici, sociali e ambientali impossibili da sostenere. La Boffalora-Malpensa ne è un esempio paradigmatico: è un disastro ambientale.
Questo collegamento, lungo 18 km., è stato realizzato scavando una trincea larga ca. 60 m e profonda ca. 10 m. Lo sbancamento ha riguardato 1.080.000 mq, pari a 108 ettari, e sono stati rimossi qualcosa come 10 milioni di mc. Questo per il tracciato, a cui va aggiunto un ulteriore consumo di suolo per i 6 svincoli: in media uno svincolo ogni 3 km. Logico o assurdo?
Si tratta inoltre di uno dei maggiori impatti ambientali causati da infrastrutture nel Nord Italia dell’ultimo decennio: i 18 Km di trincea sono infatti tutti in un’area tutelata da un parco.
Molti critici, cioè quei Tecnici che non sono pagati per sostenere quel che serve ai cattivi politici ed ai pessimi Amministratori, l’hanno definita , da tempo, un tragico sproposito.
E inoltre, brillante, ironica e satirica ciliegina sulla torta, amara, di questa cerimonia, l’inaugurazione dell’opera tanto attesa e celebrata, coincide con il tracollo di Malpensa, l’hub che non c’è, che non c’è mai stato.
Ma se Malpensa crescesse davvero fino ad un traffico di 40-50 milioni di passeggeri/anno, più del doppio di quelli raggiunti finora, cosa faremmo del territorio, del Parco Ticino, dei paesi e delle persone che vivono da sempre intorno all’aeroporto e che finiranno sotto le nuove rotte?
Si propone ancora, per salvare Malpensa, di potenziare la sezione Cargo 24 ore su 24 (lo si dice con vanto: l’unico aeroporto, in Europa, con i voli notturni...) “Delocalizzeremo” ancora altre migliaia di persone: a Tornavento, ad Arsago, a Somma, com’è già stato deciso, ma non ancora attuato completamente, a Case Nuove, Lonate e Ferno, perchè la delocalizzazione, oltre ad un costo sociale, ne ha uno, altrettanto elevato, economico?
Purtroppo non è finita qui: altri danni incombono a partire dal prolungamento della Malpensa- Boffalora fino alla Tangenziale Ovest, ulteriore devastazione ambientale ed economica
Noi non siamo contro il progresso, le infrastrutture, lo sviluppo.
Siamo contro un certo tipo di “sviluppo”, che va a favore dei grandi interessi economici, delle speculazioni edilizie, dei “signori del cemento” (e in questo caso dell’asfalto).
Malpensa, al di la delle strumentali e paradossali polemiche e manifestazioni di campagna elettorale, può benissimo rappresentare un aeroporto importante, funzionale, redditizio ed attraente senza ulteriori colate di danaro pubblico e cemento, e senza devastare ulteriormente il territorio, semplicemente svolgendo un ruolo primario in un moderno e concreto “sistema aeroportuale del Nord”, produttivo, funzionale, razionale,compatibile e non necessariamente “malpensocentrico”.
Anche perché, da sempre, abbiamo avuto il sospetto che non di Malpensa 2000 si trattasse, ma di 2000 speculazioni su Malpensa...
Gallarate, 30 marzo 2008
- WWF Italia
- LEGAMBIENTE
- UNI.CO.MAL. Lombardia (Unione Comitati Comprensorio Malpensa)
- Amici della Natura - Arsago Seprio
- EXCALIBUR Alternativa Verde - Lonate Pozzolo
È mai possibile che una metropoli come Milano si giochi il suo futuro nelle prossime ventiquattro ore, quando il Bureau International des Expositions la metterà in ballottaggio con Smirne a scrutinio segreto? E se malauguratamente la realpolitik globale dovesse favorire i turchi, nonostante il generoso sforzo comune messo in atto dalle istituzioni locali e dal governo nazionale, davvero potremmo dare la colpa all’Alitalia che da oggi taglia del 72 per cento i suoi voli da Malpensa?
O magari al discredito gettato dall’incolpevole mozzarella campana su un Expo 2015 dedicato, guarda caso, al tema dell’alimentazione?
Facciamo i debiti scongiuri, confidiamo in una vittoria che è senz’altro alla portata di Milano, ma per favore – nel caso l’esito non fosse quello sperato – evitiamo fin d’ora di abboccare al surreale pesce d’aprile della "congiura contro il Nord".
La coincidenza del 31 marzo 2008, tra il declassamento di Malpensa e la scelta dell’Expo che il sindaco Moratti ha enfatizzato come passaggio decisivo del suo progetto di sviluppo per Milano, semmai ci costringe a una riflessione severa: evidenzia i rischi che corre la metropoli più dinamica del paese, fallito il progetto di farne la capitale di un’inesistente nazione padana.
Il centrodestra che da un ventennio si presenta come politica nordista, governando a lungo pure a Roma, ha lasciato che le spinte centrifughe del territorio prescindessero da un disegno di sistema efficiente. Oscillando fra il laissez faire per le imprese in cerca di diversificazione e l’illusoria protezione di quelle obsolete.
La parola definitiva su Malpensa "hub" del Nord non l’ha pronunciata il ministro Padoa-Schioppa ma il governatore forzista del Veneto, Giancarlo Galan: quel progetto non ci interessa e non ci riguarda. Evviva la sincerità: Milano rischia di andare in panne continuando a pensarsi epicentro di un sistema padano che si è sviluppato felicemente lungo circuiti diversi.
Non è vero che da domani i manager lombardi, piemontesi, veneti, si strapperanno i capelli nell’impossibilità di partire da Malpensa per l’Oriente. Il trasferimento di 886 voli Alitalia a Fiumicino provoca certo disagi e dolorose ricadute occupazionali. Ma molti imprenditori già da tempo preferiscono un’ora d’attesa in più negli scali di Francoforte, Monaco, Londra – volando "point to point" dall’aeroporto di casa propria – agli ingorghi stressanti della Serenissima e della Milano-Laghi. Gli stessi milanesi restano affezionati alla comodità di Linate. Ciò non toglie che un aeroporto come Malpensa, collocato al centro di un’area tra le più industrializzate d’Europa e in prossimità del nuovo Polo fieristico di Rho, mantenga ottime prospettive di rilancio una volta liberato dall’assurda ipoteca dei voli Alitalia (carissimi e in perdita). Purché non si affidi al sogno ricorrente ma fallimentare di una casereccia Air Padania, o peggio di un’Alitalia di nuovo caricata sulle spalle del contribuente.
Il più esplicito nel sottrarsi alla cordata elettorale di Berlusconi – una specie di colletta tra grandi imprese che acquisterebbero così titoli di merito nei confronti del suo prossimo governo – è stato un personaggio non certo sospetto di simpatie a sinistra come Bernardo Caprotti, patron di Esselunga. Che ha definito Alitalia azienda gloriosa ma decotta, ricordandoci come una destra liberista già da tempo avrebbe semmai dovuto invocarne il fallimento. Ma soprattutto ha spiegato che solo una grande compagnia internazionale, con la sua esperienza industriale e con la possibilità di investirvi miliardi, può farne un business profittevole.
Lo stesso manager leghista Giuseppe Bonomi, presidente di Sea Aeroporti Milano, va ripetendo a mezza voce (per non smentire i demagoghi della sua parte politica) che senza alle spalle un solido operatore internazionale la cordata italiana non andrà da nessuna parte.
L’Esposizione Internazionale del 2015 che verrà assegnata domani a Parigi costituisce senz’altro un volano di risorse significative. Si parla di 3,7 miliardi di investimenti diretti e di un’attrazione di risorse che sfiora i 20 miliardi. Incrociamo le dita. Ma l’attesa di questi flussi finanziari non impedisce di tracciare un bilancio della transizione post-industriale vissuta dalla più europea fra le metropoli italiane.
Nella città che ha generato la leadership politica e imprenditoriale di Silvio Berlusconi, chi si è arricchito e chi gestisce il potere reale? Vi sono certamente le banche, il cui peso si è accresciuto grazie alla proiezione internazionale ma anche in seguito alla retrocessione delle grandi aziende indebitate. Fatto sta che le famiglie più influenti, anche dopo l’accumulazione straordinaria di cui si sono resi protagonisti alcuni stilisti, restano quelle che gestiscono rendite immobiliari e petrolifere. Le reti attrattive di saperi e di risorse, tipiche delle altre metropoli europee contemporanee, per fortuna esistono anche qui. Ma sopraffatte da potentati speculativi, bisognosi di protezione e poco propensi alla revisione dei privilegi che li avvantaggiano. Pur di tutelarsi nei salotti buoni, sono disposti a investirvi in perdita.
Una Malpensa liberata dal monopolio Alitalia e un Expo 2015 sottratto alla consorteria dei soliti noti, costituirebbero un’occasione formidabile di crescita per una Milano finalmente sottratta all’ideologia fasulla della questione settentrionale. Chissà che non possiamo ricordare questo fatidico lunedì 31 marzo 2008 come un passaggio difficile ma felice, oltre il vittimismo e l’assistenzialismo.
17 marzo 2008
La Maddalena, l'arsenale diventa un hotel
di Guido Piga
Rinasce, La Maddalena, come una stella luminosa al centro del Mediterraneo. Le sue "magnifiche sorti e progressive" passano dall'arsenale, da quello che sarà tirato su al suo posto, 113 anni anni dopo essere stato aperto dalla marina militare: un hotel lussuosissimo a 5 stelle. Eccolo, allora, quello che sarà il cuore del G8 del 2009 e che poi farà pulsare il turismo nell'arcipelago. "La Nuova" pubblica le foto del progetto redatto dagli architetti Stefano Boeri e Mario Cucinella. E' un intervento di riconversione economica senza precedenti in Sardegna.
La più grande operazione di ristrutturazione urbanistica dell'Isola è maestosa, ma non cancellerà il passato. Non del tutto, almeno. L'arsenale non ci sarà più, non ci saranno operai impegnati a riparare e rifare le navi della marina militare italiana. Ci sarà un albergo a 5 stelle, con 110 camere vista mare, alimentato da energia solare ed eolica, costruito con materiali naturali. Sarà una svolta architettonica radicale nel paesaggio della Sardegna, dopo quella impressa dal modello Costa Smeralda negli anni Sessanta (e poi sempre scimmiottata malamente).
L'hotel avrà dei grandi padiglioni. Uno è sospeso sopra il mare, con ampie vetrate. E' il punto in cui si riuniranno gli 8 presidenti dei paesi più industrializzati del mondo. La loro vista godrà del mare dell'arcipelago, dell'isola di Santo Stefano libera dalla servitù militare americana. Il vetro è dominante, nella riconversione dell'arsenale. E' un po' una metafora, economica e politica. Il vetro è un materiale ecosostenibile. Il filo rosso del G8 sarà proprio questo, la salvezza dell'ambiente. «Sarà un G8 in cui dovranno essere prese importanti decisioni per l'ambiente, noi dobbiamo dare l'esempio» è la linea del commissario Guido Bertolaso e del governatore Renato Soru. L'albergo sarà energeticamente autosufficiente. All'ingresso, in un grande piazzale bianco, ci saranno delle mini pale eoliche, sul tetto dei pannelli solari. L'acqua per il riscaldamento verrà pompata dal mare, una soluzione innovativa che è stata già sperimentata all'hotel Cervo.
Ma il massiccio ricorso al vetro ha una valenza politica. Il vetro è luce, rappresenta plasticamemente la rinascita della Maddalena che passa da un'economia di stellette (militari) a una di stelle (alberghiere). Il vetro è anche trasparenza, quella che dovrà essere (quanto più possibile) adottata dagli 8 grandi della terra nelle loro decisioni.
Sorgerà una torre, molto alta, quasi un faro. E' questo il punto di contatto con le funzioni dell'arsenale che non verranno dimenticate. Davanti e dietro, ecco i pontili. Nell'idea di Boeri e Cucinella una nave, anche da crociera, potrà attraccare proprio davanti all'hotel; tutte le altre potranno ormeggiare a Cala Camicia, dentro l'arsenale, lasciando libero solo il molo orientale che servirà ancora per un po' alla marina militare. La nautica vivrà e prospererà, nell'area da 16 mila metri quadrati completamente rivoluzionata. Ci sarà spazio anche per un cantiere da destinare ai maxi-yacht. Ma questa è una scelta che dovrà prendere la Regione, finito il vertice. Soru vuole un bando internazionale per la gestione dell'hotel e del porto, ci sono in pole position due candidati d'eccellenza: l'Aga Khan ed Ernesto Bertarelli. Il primo potrebbe mettere in campo lo Yacht Club Costa Smeralda per la nautica e le società turistiche del suo gruppo (dirette da una sarda, Francesca Cossu) per l'albergo. Il secondo potrebbe calare la carta della Maddalena come sede della Coppa America, qualora Alinghi dovesse vincerla ancora.
Solo ipotesi. La certezza è che l'arcipelago avrà una struttura di altissimo valore, unica nel Mediterraneo così come unica è la bellezza delle isole maddalenine. Una rinascita che avverrà in un anno. Lo stesso periodo di tempo che in Cina, nel campus dell'università di Pechino, hanno impiegato per costruire un albergo ecosostenibile da 20mila metricubi progettato da Mario Cucinella. Quel successo è stato raccontato, con molti particolari sull'impiego di materiali della bioedilizia targata Made in Italy, da "Abitare", la rivista di architettura diretta da Boeri. E allora avanti: come dicono Obama e Veltroni, "si può fare".
17 marzo 2008
La Maddalena: pomodori contro Legambiente
di Serena Lullia
La festa di Legambiente per lo smantellamento della base americana affonda davanti al porto. Le barche con le bandiere simbolo delle battaglie ecologiste galleggiano per alcune ore davanti all'isola parco. L'attracco nell'arcipelago non ci sarà. Un centinaio di maddalenini presidia il molo. Barriera umana di rabbia e frustrazione. Commercianti, ex dipendenti Usa ed ex lavoratori dell'arsenale bloccano l'ormeggio. Uova, pomodori e insulti diventano le armi per tenere lontano i soldati delle guerre verdi.
La visita sulle onde di Legambiente fa detonare il malessere di un'isola che in attesa del G8 si spegne lentamente. La goletta verde doveva fare rotta sulla Maddalena per festeggiare la liberazione dalle catene a stelle e strisce. Provincia, Comune e Parco erano stati annunciati come ospiti speciali del party sull'acqua. Ma quando il presidente regionale di Legambiente, Vincenzo Tiana, è sbarcato non ha trovato un comitato di accoglienza in doppio petto. Ad aspettarlo un centinaio di cittadini infuriati, uomini e donne rimaste incastrate negli ingranaggi della riconversione militare. L'annuncio della festa di primavera è stato interpretato come un insulto, un'offesa alla comunità maddalenina che da anni aspetta un'alternativa all'economia delle stellette. «Siamo venuti per fare proposte di sviluppo - spiega Tiana -. Ribadiamo la soddisfazione per lo smantellamento della base Usa ma condividiamo il malumore degli ex dipendenti.
Ci impegniamo a incontrare il commissario per il G8 Bertolaso e il presidente Soru perché diano risposte certe ai lavoratori isolani». Dichiarazioni che non spengono la rabbia dei maddalenini. I cittadini accerchiano il presidente Tiana, lo invitano ad andarsene, qualcuno gli regala il biglietto per il traghetto e glielo infila in tasca. Nel frattempo le barche di Legambiente provano ad avvicinarsi alla banchina. Parte il lancio di uova e sacchetti di sugo. Le imbarcazioni giallo-verdi sono costrette alla ritirata. Davanti al presidente verde sfila il malumore di un'isola intera. Il numero uno di Legambiente protetto dai carabinieri ascolta lo sfogo rabbioso della gente. «I maddalenini sono i primi ambientalisti - dice Nuccio Maddaluno, commerciante -. Legambiente vorrebbe frenare il cemento. Oggi abbiamo bisogno di costruire infrastrutture per rimettere in moto un'economia ferma. Non si tratta solo dell'arsenale o della base Usa. È mancato un indotto che ha bloccato tutto. Anche gli affari dei commercianti sono in caduta libera».
Il coordinatore di Forza Italia, Roberto Ugazzi, parla di paese al capolinea. «Quest' isola è stata svenduta - dice -. Non è stata mai creata un' alternativa all'economia militare. Ora siamo al collasso». I contestatori cercano tra la folla i politici annunciati come special guest. Il sindaco Comiti e l'assessore Zanchetta non si vedono. Il presidente Bonanno convoca una conferenza lampo per prendere le distanze da Legambiente. «I politici annunciati non ci sono - dice Pietro Cuneo, ex dipendente Usa -. Se non erano d'accordo con Legambiente dovevano impedire la visita di oggi. L' associazione ambientalista è stata poco sensibile. Il futuro della Maddalena non può essere basato solo sul G8. Gli ex dipendenti Usa sono senza certezze. Fra qualche mese saremo in mobilità. Ma i fatti dimostrano che non solo noi lavoratori ma tutta l'isola non ha nulla da festeggiare».
22 marzo 2008
I lavori del G8 coperti dal segreto di Stato
di Guido Piga
LA MADDALENA. Sulle opere per il G8 arriva il segreto di Stato. Ieri Romano Prodi ha firmato un’altra ordinanza, sarà pubblicata oggi sulla Gazzetta ufficiale. Guido Bertolaso, commissario straordinario dell’evento, avrà maggiori poteri. Soprattutto sugli appalti per l’arsenale e l’ospedale militare, su come verranno fatti i lavori, su chi li farà e come, su chi fornirà materiali e servizi. Molte le deroghe alle leggi statali e regionali.
Quello di apporre il segreto è un atto necessario e motivato. Il presidente del consiglio Prodi ha esteso a tutti i lavori del G8, comprese le forniture e i servizi, la «qualificazione di riservatezza e segretezza». E lo ha fatto spiegando che tutto deve essere fatto con la «massima sicurezza», soprattutto per la presenza dei più importanti leader politici del mondo. E, altro particolare fondamentale, con la «somma urgenza».
Il G8 alla Maddalena è tra poco più di un anno, non è più possibile perdere tempo. In ballo c’è l’immagine dell’Italia, chiamata a dare prova di grandi capacità organizzative e, anche, a riscattare la pessima prova dell’ultimo vertice organizzato a casa propria: quello tragico del luglio 2001 a Genova.
Dunque pieni poteri a Bertolaso ma, passaggio politicamente rilevante, sempre usati d’intesa con il presidente della Regione. Su questo non ci sono incertezze: anche nell’ordinanza pubblicata oggi sulla Gazzetta ufficiale, è riconosciuto il ruolo di primo piano affidato a Soru per l’imponente riconversione economica e sociale che cambierà la faccia della Maddalena. «Ma, attenzione - fanno sapere da palazzo Chigi e dallo staff di Bertolaso - la segretezza non vorrà dire assenza di informazione. Anzi, Bertolaso vuole dare la massima pubblicità a tutti gli atti che prenderà». Dopo ogni decisione, ci sarà la comunicazione ufficiale. Un segnale di trasparenza che vuole essere, insieme all’ecosostenibilità, la cifra caratterizzante del G8.
La segretezza con cui Bertolaso potrà operare è prevista dal codice sui contratti pubblici. Quando di mezzo c’è la sicurezza dello Stato, opere, servizi e forniture possono essere eseguiti in deroga. Non ci sarà pubblicità sugli appalti per la riconversione dell’arsenale, dell’ospedale militare, della caserma Faravelli e delle officine Sauro. Bertolaso potrà fare una «gara informale», invitando a presentare le loro proposte almeno cinque importanti imprese. Una di queste, o un consorzio di queste, avrà il ruolo di general contractor: in Italia è una qualifica che hanno solo 23 aziende, tra queste Impregilo e Astaldi, le prime due nel settore delle costruzioni. Il general contractor avrà la responsabilità di realizzare le opere nei tempi previsti (anticipando i soldi), facendo ricorso ai subappalti. Una possibilità che apre le porte alla partecipazione delle imprese maddalenine e sarde in generale.
Bertolaso, però, non farà le cose da solo. Sarà affiancato da una “struttura di missione” che lavora sotto la direzione della presidenza del consiglio e, per i casi specifici, sotto la guida della protezione civile. Ma la nuova ordinanza, che amplia quella firmata da Prodi nel novembre del 2007, prevede anche un’altra figura cui il commissario straordinario potrà fare ricorso: quella del soggetto attuatore. E’ un ruolo-chiave: dovrà seguire le procedure per l’affidamento dei lavori, dei servizi e delle forniture, la stipula dei contratti, la direzione dei lavori e il controllo della spesa pubblica. Avrà a sua volta il potere di derogare alle leggi statati (in primis quella sui contratti pubblici) e regionali. Alcuni esempi. Non dovrà seguire le norme che disciplinano la posa di cavi e la realizzazione di condotte, il trasporto dei rifiuti, la realizzazione di impianti di smaltimento. E così avverrà anche per la valutazione d’impatto ambientale. Si farà su tutte le opere, è bene rimarcarlo. Verranno accorciati solo i tempi della procedura, che saranno ridotti della metà. Ma, vista la «somma urgenza», Bertolaso (o il soggetto attuatore) potrà comunque affidare i lavori senza la valutazione, imponendo poi al general contractor le «prescrizioni che dovessero essere impartite a seguito della compiuta valutazione d’impatto ambientale». Questo permetterà al commissario di mantenere gli impegni presi: i cantieri per il G8 apriranno il 1° aprile.
A essere derogato sarà anche il piano paesaggistico regionale. Bertolaso potrà non tenere conto di una serie di articoli, dall’attuazione del piano alla disciplina transitoria, per finire con le prescrizioni sui “manufatti storico culturali”. Ma, l’ordinanza è chiara, lo dovrà fare in «raccordo con il presidente della Regione autonoma della Sardegna». Il G8 non violerà lo statuto speciale, semmai - è il caso del trasferimento dei beni dallo Stato - ha contribuito enormente a farlo applicare. E infatti, a parte tutte le altre opere pubbliche che saranno inserite nelle ordinanze di Bertolaso, come l’allungamento della pista dell’aeroporto di Olbia dopo il 2009, Soru ha ottenuto ciò che voleva per un bene strategico: il comprensorio di Punta Rossa, a Caprera, diventerà un centro di ricerca e sviluppo sulle specialità ambientali e artistiche della Sardegna.
Ma il G8 sarà una grande opportunità pure per ingegneri e architetti: una decina, sotto i 35 anni, potranno partecipare a un concorso per l’assunzione nella pubblica amministrazione, per un anno. Staranno a contatto con Boeri e Cucinella. Una bella scuola.
23 marzo 2008
G8, ricorso all’Unione europea
Paura di speculazioni immobiliari
LA MADDALENA. Il G8 non può diventare il grimaldello per aprire la porta a speculazioni immobiliari nell’arcipelago maddalenino. E’ la posizione degli ambientalisti del Gruppo d’Intervento giuridico e Amici della Terra, i quali temono che le deroghe concesse per garantire la riuscita di un evento straordinario come il vertice dei potenti della terra, possano alla fine rivelarsi devastanti sul piano dell’impatto ambientale.
«L’ordinanza del presidente del consiglio dei ministri - dice il portavoce dei movimenti ecologisti, Stefano Deliperi - disegna un G8 in “salsa cinese” con aperture potenziali spaventose per la speculazione edilizia. All’articolo 5 sono previste disposizioni in deroga per la segretazione degli interventi. All’articolo 8 sono previste ulteriori disposizioni in deroga alla disciplina dei termini e dei medesimi effetti della normativa sulla valutazione di impatto ambientale, della valutazione di incidenza ambientale e del piano paesaggistico regionale».
Come se non bastasse, poi, per gli ambientalisti diventa rischiosissimo il disposto secondo il quale «nelle more del procedimento di valutazione di impatto ambientale il soggetto attuatore è autorizzato a procedere agli affidamenti dei lavori, espressamente riservandosi il potere di imporre al soggetto affidatario le eventuali prescrizioni che dovessero essere impartite successivamente all’esito della valutazione di impatto ambientale, consentendo altresì l’apertura dei cantieri e l’inizio delle opere compatibilmente con le esigenze ambientali».
«Qui - dice Deliperi -, a nostro parere, vengono meno anche i principi fondamentali delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia che vincolano la realizzazione degli interventi assoggettati a Via alla positiva conclusione del relativo procedimento». Per questo motivo, gli ambientalisti hanno inoltrato un ricorso alla Commissione Europea «per verificare se sia rispondente al diritto comunitario una deroga di così eccessive proporzioni».
Per Deliperi nel primo decreto del governo, quello cioé che nominava Guido Bertolaso commissario straordinario, le disposizioni del piano paesaggistico regionale non potevano essere derogate. Quindi, è il passo successivo, il secondo decreto, che apre alcune porte pericolose per la salvaguardia ambientale alla Maddalena.
Altra circostanza che ha messo in allarme gli ecologisti è che le intese raggiunte tra la Regione, la Provincia Gallura e il Comune della Maddalena non contegono questa volta le schede istruttorie allegate. «Per questo - dice Deliperi - abbiamo già provveduto a richiederle per poter verificare ubicazioni e volumetrie per valutare quali iniziative ulteriori intraprendere per la salvaguardia dei valori ambientali e naturalistici dell’arcipelago della Maddalena».
La filosofia degli ambientalisti è molto chiara: «Così come abbiamo avversato il raddoppio della base militare in uso alla Us Navy dice infatti Stefano Deliperi -, ci opponiamo alla speculazione immobiliare. Faremo tutto il possibile per tenere fermi i principi cardine di salvaguardia di un ambiente unico e irripetibile». (p.m.)
Con la legge regionale 11 marzo 2005, n. 12, la Regione Lombardia ha imposto a tutti i comuni lombardi di provvedere alla sostituzione dei vecchi Piani Regolatori Generali con il nuovo Piano di Governo del Territorio;
Negli ultimi decenni, in particolare nella Brianza, si è assistito ad uno sproporzionato ed insensato consumo di suolo inedificato, senza preoccupazione alcuna delle conseguenze che un tale fenomeno produce sull’ambiente nel quale viviamo, sulla sicurezza alimentare e sulla salute dei cittadini;
Già nel 2004 nell’ambito del convegno provinciale “Il sistema del verde nord Milano”, tenutosi a Desio e organizzato da Legambiente Lombardia, con il patrocinio del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano e della Provincia di Milano, al quale hanno partecipato esponenti del mondo accademico, amministrativo, associativo e politico accomunati da una visione unitaria sulle politiche di salvaguardia del sistema delle aree verdi nord milanesi, si era posta l’attenzione sul ruolo chiave e fondamentale di questi anni per decidere che futuro si vuole costruire per i cittadini della Brianza e che destino si vuole dare a questo sistema del verde. Il convegno ha evidenziato che le decisioni cruciali, se si vogliono perseguire delle serie politiche di salvaguardia del verde e della salute dei cittadini, devono essere prese ora, poiché più tardi il modello di sviluppo in atto non permetterà più di tornare indietro: tutto ciò, purtroppo ha riscosso un appoggio “verbale” di alcuni amministratori locali a cui non sono seguiti fatti concreti;
Sempre nel 2004, il tavolo “A – ambiente e biodiversità” di Agenda 21 intercomunale di Desio-Cesano Maderno-Meda-Seveso, nel suo piano d’azione conclusivo, aveva evidenziato attraverso la mappatura cartografica e fotografica delle aree azzonate dai Piani Regolatori Comunali “a verde”, “agricole” e “a standard” dei 4 comuni, l’esiguità delle superfici allora disponibili da destinare a corridoi ecologici per mettere in rete le macroaree verdi presenti sui 4 comuni, ribadendo quindi l’urgenza di una politica di pianificazione urbanistica di salvaguardia e di valorizzazione delle stesse aree, che sinora è rimasta inascoltata;
Un’importante iniziativa in controtendenza rivolta “alla salvaguardia ambientale, alla tutela e riqualificazione degli spazi verdi esistenti” è stata l’istituzione in Comune di Seregno nel 2001 del PLIS “Brianza Centrale”. Questo parco, in posizione baricentrica rispetto ad alcuni grandi parchi di interesse regionale (Groane, Alta Valle del Lambro, Brughiera Briantea), pur essendo nato con il proposito di comprendere aree via via più ampie dei comuni contermini è rimasto per ora limitato entro i confini del comune di Seregno;
Il nuovo P.G.T., dal nostro punto di vista, se attuato con lungimiranza e con saggezza, attraverso il coinvolgimento di tutte le componenti della società civile, può diventare un’occasione unica per recuperare il tempo perduto ponendo al centro della pianificazione urbanistica le tematiche ambientali e di riduzione del consumo di suolo, fondamenta sulle quali costruire una nuova qualità dell’abitare, dove le aree verdi, agricole ed a standard, da semplici indici urbanistici, diventino aree strategiche, veramente fruibili da tutti i cittadini, sulle quali realizzare interventi di compensazione ambientale integrati fra loro (agricoltura produttiva, parchi urbani ed intercomunali, oasi e corridoi ecologici), finalizzati a porre un limite agli effetti negativi già evidenti (traffico, inquinamento, disgregazione sociale, impoverimento della biodiversità) provocati da questo eccesso di urbanizzazione del territorio;
Il contestuale rifacimento della pianificazione urbanistica in tutti i comuni della Lombardia in un medesimo ristretto periodo, fornisce un occasione unica per affrontare, attraverso il confronto e la collaborazione fra più comuni confinanti, tematiche che travalicano i singoli territori, come i corridoi ecologici o l’impatto dell’autostrada “ PEDEMONTANA”, progetti che, se affrontati con lungimiranza di vedute, eviterebbero alla Brianza di diventare definitivamente una megalopoli insalubre, invivibile e sepolta sotto un mare di cemento;
La PEDEMONTANA nasce vecchia e occorre prendere subito provvedimenti radicali e innovativi. Se ci sono soldi, questi dovrebbero essere spesi per costruire – ora non tra dieci anni – quelle infrastrutture che permettano di mantenere stili di vita dignitosi in situazioni critiche: quindi occorrerebbe impegnarsi a migliorare il trasporto pubblico rendendo meno appetibile la macchina privata, incrementare la qualità energetica delle abitazioni; la PEDEMONTANA rischia di diventare uno dei più grossi progetti di speculazione edilizia camuffata da intervento viabilistico;
Il progetto d’autostrada “PEDEMONTANA” produce un ulteriore grave impatto sul territorio della Brianza, senza produrre per i suoi abitanti benefici per quanto concerne gli aspetti relazionali, viabilistici ed urbanistici, privandoli oltretutto della superstrada MILANO-MEDA e dei diversi accessi che ripartivano in ambito locale i flussi di traffico, senza peraltro provvedere ad un potenziamento contestuale del trasporto pubblico;
É molto facile immaginare inoltre enormi quantità di nuove costruzioni, visto il progetto di legge della Giunta Regionale del 3 aprile 2007, che prevede che i concessionari che realizzeranno l'autostrada saranno autorizzati – per recuperare più velocemente gli investimenti – a costruire nelle vicinanze ulteriori costruzioni con aggravio del carico ambientale dovuto ai nuovi residenti e a nuove strutture;
Il recente tentativo, fortunatamente fallito, fatto attraverso l’emendamento 13 bis, detto “ammazzaparchi”, dimostra che la Regione Lombardia non ha alcuna intenzione di tutelare efficacemente il nostro territorio;
SI RICHIEDE DUNQUE
• che i Piani di Governo del Territorio dei singoli comuni perseguano, attraverso una progettazione sovracomunale, la preservazione, la salvaguardia e la valorizzazione delle residue aree agricole ed a standard, che in un territorio fortemente urbanizzato come la Brianza, hanno assunto un valore ambientale, che è anche economico, che deve essere riconosciuto formalmente e conformato anche dagli strumenti di pianificazione urbanistica, poiché contribuisce al miglioramento della vita di ogni cittadino. Tali aree per questi motivi devono rimanere escluse da processi speculativi che contribuiscono a ridurne le superfici per diventare invece parte di una progettazione ambientale di qualità che le renda fruibili ed integrate nella rete ecologica provinciale, attraverso la realizzazione di parchi;
• che vengano realizzati parchi urbani che, messi in rete da una pianificazione urbanistica condivisa a livello sovracomunale, costituiscano la spina dorsale di un corridoio ecologico del nord Milano che metta in comunicazione e renda fruibili da tutti i cittadini i “polmoni verdi” già esistenti della futura provincia di Monza e Brianza: Parco delle Groane, Parco della Brughiera Briantea, Parco del Grugnotorto-Villoresi, Parco Brianza Centrale, Parco della Valle del Lambro, Parco dei Colli Briantei, Parco del Molgora e Parco del Rio Vallone.
• che si utilizzi sin d’ora lo strumento del Piano di Governo del Territorio affinché le aree libere che in un malaugurato futuro dovessero essere attraversate dal tracciato della “PEDEMONTANA”, rimangano prive di costruzioni di qualsiasi tipo per destinarle al contrario ad opere di compensazione ambientale caratterizzate da una progettazione di effettiva qualità al fine di realizzare opere ambientali che abbiano una positiva ricaduta in ogni singolo comune ed una rilevanza ambientale sovracomunale;
• che ci sia sinergia e coordinamento con quei Comuni che hanno espresso criticità rispetto agli elaborati progettuali della Pedemontana per le pesanti ricadute causate, tenendo in considerazione tali richieste per una riformulazione progettuale
• che si faccia ogni sforzo in fase di progettazione esecutiva per ridurre l’impatto ambientale della Pedemontana, mitigandone la percezione, riducendo i carichi di traffico forzato indotti dalle opere accessorie all’interno dei comuni attraversati quali le strade d’arroccamento, evitando lo sviluppo edilizio intensivo attorno alla nuova viabilità in quanto fattore non più sostenibile di sfruttamento del territorio;
• nell’ipotesi che l’autostrada Pedemontana venga comunque realizzata, sarà compito del coordinamento vigilare attentamente con tutti i mezzi a disposizione, affinché le risorse finanziarie delle compensazioni ambientali – così come più volte dichiarato dallo stesso presidente di Società Pedemontana Fabio Terragni – vengano destinate ad EFFETTIVE OPERE di COMPENSAZIONE AMBIENTALE, per ricucire il territorio che verrà ulteriormente deturpato da questa infrastruttura e per realizzare i parchi urbani ed i corridoi ecologici utili alla formazione della rete ecologica provinciale e non ad opere inutili o che nulla hanno a che vedere con essa.
IN PARTICOLARE, SI RITIENE FONDAMENTALE:
• la riduzione delle superfici fuori terra legate direttamente o indirettamente alla nuova viabilità;
• la realizzazione di sistemi accessori di viabilità lenta (piste ciclabili);
• il supporto economico ai Parchi (locali e regionali) delle zone interessate dalla Pedemontana per interventi ambientali negli stessi;
• la realizzazione di collegamenti per garantire la continuità delle aree protette attualmente esistenti;
• il recupero e/o la realizzazione di nuove aree verdi in ambito comunale e sovracomunale pensate non solo come aree attrezzate ma come veri e propri parchi naturali;
• che le risorse da spendere in compensazione ambientale legate all’autostrada Pedemontana, NON DOVRANNO ricadere “a pioggia” sui singoli Comuni unicamente in forma di risarcimento del danno prodotto. Priorità quindi ad una REALE COMPENSAZIONE AMBIENTALE PIANIFICATA PER MEZZO DI UNA PROGETTAZIONE CONDIVISA
PER QUANTO CONCERNE LA PROGETTAZIONE A SCALA TERRITORIALE DEGLI INTERVENTI DI RIFORESTAZIONE E DI RIQUALIFICAZIONE DEL PAESAGGIO si prospettano i sottoindicati interventi:
CESANO MADERNO:
- zona ricadente nel Parco della Baruccanetta e delle Rogge: coerentemente con il progetto preliminare relativo alla creazione del Parco della Baruccanetta e delle Rogge, approvato dall’Amministrazione Comunale di Cesano Maderno nel luglio del 2006, si chiede di realizzare una fascia di mitigazione e compensazione ambientale, in parte a prato rustico stabile e in parte a forestazione urbana, a cavallo del futuro tracciato autostradale, che in questo tratto scorrerà in galleria artificiale e verrà sostituito da una viabilità di arroccamento a raso. Ciò consentirà di creare una vera e propria spina verde nord-sud tra il centro di Cesano e le frazioni di Molinello e Cascina Gaeta, come negli obiettivi del Parco della Baruccanetta e delle Rogge, nonché a scala più ampia un corridoio ecologico e di fruizione ciclopedonale di collegamento con il Bosco delle Querce a nord e con il PLIS del Grugnotorto Villoresi a sud.
- zona compresa tra il grande svincolo di Cascina Gaeta-Binzago e il confine di Desio: si richiede una riqualificazione ambientale complessiva delle aree adiacenti al tracciato PEDEMONTANA mediante mirate opere di mitigazione e compensazione ambientale e ripristinando la naturalità dei luoghi, oggi in parte compromessi dall’uso improprio dei suoli, con la realizzazione di fasce boscate, siepi e filari che andrebbero a connettersi con il sistema del verde presente in territorio di Desio. Si ricorda che quest’ambito è inoltre interessato dalla presenza di un corridoio ecologico secondario (art. 58) e da una zona extraurbana con presupposti per l’attivazione di progetti di consolidamento ecologico (art. 61) individuati dal PTCP della Provincia di Milano. Inoltre si richiede che per tale area venga richiesta l’adesione all’esistente Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale”.
DESIO:
- zona Villa Buttafava, cascina San Giuseppe e aree agricole circostanti: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale che preservi il carattere rurale attuale e si adoperi per rendere fruibili, attraverso la realizzazione di percorsi ciclopedonali a siepi e filari, i tracciati interpoderali e vicinali già esistenti, anche attraverso convenzioni con singoli coltivatori diretti presenti sulle aree. Inoltre si richiede che per tale area venga richiesta l’adesione all’esistente Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale”;
- zona fra le località di San Giuseppe e San Carlo: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale, in parte a prato rustico stabile e in parte a forestazione urbana, per mitigare la presenza della PEDEMONTANA con costruzione di percorsi ciclopedonali. Inoltre si richiede che per tale area venga richiesta l’adesione all’esistente Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale”
- zona in località San Carlo, Ospedale, via per Cesano e via per Bovisio: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale conformata come parco urbano d’interesse sovracomunale, con opere che ne realizzino la piena fruibilità cittadina, sull’esempio del parco della Porada a Seregno, preservandone per quanto possibile il carattere rurale di alcune aree ancora coltivate, caratterizzate dalla presenza della rete di tracciati interpoderali e vicinali, anche attraverso convenzioni con singoli coltivatori diretti presenti sulle aree. La finalità di questo parco a oltre mitigare la presenza della PEDEMONTANA, sarebbe di creare un nodo ecologico che metterebbe in comunicazione diretta altri parchi esistenti nei comuni contermini: Parco di Cassina Savina e Parco della Baruccanetta e delle Rogge a Cesano Maderno, con il Parco del Meredo e il Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale” a Seregno;
- dorsale verde nord-sud, San Carlo-Valera, attraversata dalla nuova tangenziale ovest di Desio: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale con funzione di corridoio ecologico, con opere che ne realizzino la piena fruibilità cittadina, preservandone per quanto possibile il carattere rurale di alcune aree ancora coltivate, caratterizzate dalla presenza della rete di tracciati interpoderali e vicinali, anche attraverso convenzioni con singoli coltivatori diretti presenti sulle aree. Finalità di questo parco, creazione un corridoio ecologico che metterebbe in comunicazione diretta il Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale” a Seregno, con il Parco del Grugnotorto-Villoresi di Varedo, attraverso il proposto parco urbano di San Carlo del precedente punto;
- dorsale verde est-ovest, Valera-Prati, caratterizzata dalla presenza del cimitero di Desio ed in parte attraversata dalla nuova tangenziale sud di Desio: creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale con funzione di corridoio ecologico, con opere che ne realizzino la piena fruibilità cittadina, preservando per quanto possibile il carattere rurale di alcune aree ancora coltivate, caratterizzate dalla presenza della rete di tracciati interpoderali e vicinali e da un tessuto agricolo antico quale quello della cascina Valera e della zona dei “Prati” (così chiamata in memoria dei prati adacquatori della roggia di Desio, di cui rimangono le testimonianze nei terreni agricoli di competenza delle cascine Antona Traversi e Prati in territorio di Muggiò) anche attraverso convenzioni con singoli coltivatori diretti presenti sulle aree. La finalità di questo parco è la creazione di un corridoio ecologico che metterebbe in comunicazione diretta, per mezzo dell’area di pertinenza del cimitero nuovo e di alcune aree libere su quella direttrice, il centro storico di Desio ed il suo parco comunale Cusani-Traversi-Tittoni con il Parco del Grugnotorto-Villoresi di Muggiò e da lì verso Varedo, Seregno e Cesano Maderno, attraverso i già proposti corridoi ecologici dei precedenti punti;
MACHERIO – LISSONE – SOVICO – ALBIATE: - rispetto le aree agricole e standard, indicate nei piani urbanistici vigenti, dei comuni di: MACHERIO zona Torrette – Pedresse – Santa Margherita (aree a nord dell’asse viario costituito dalle vie S. Ambrogio, Cardinal Ferrari e Regina Margherita delimitate a est dalla via Bosco del Ratto)
LISSONE zona Santa Margherita – Cascina Bini (aree a est dell’asse viario costituito dalle vie Angelo Arosio, Giusti, Pasolini, Verga, Lecco e Raiberti)
SOVICO zona Boscone (Bosco del Ratto) (aree a ovest della linea ipotetica che, idealmente, congiunge le cascine Greppi, Virginia e Canzi; aree prospicienti via A. Volta e la Strada Comunale delle Prigioni)
ALBIATE zona Dosso – C.na Canzi (aree a ovest dell’asse viario costituito dalle vie Adamello, Trieste, Aquileia, Montello e Gorizia; aree prospicienti le vie Dosso, Pasubio e delle Valli; aree a sud della ferrovia “Seregno-Carnate”)
si richiede la creazione di un’area complessiva di mitigazione e compensazione ambientale conformata come ampliamento del Parco Locale d’Interesse Sovracomunale “Brianza Centrale” da attuarsi attraverso: interventi di riforestazione su aree standard o da acquisire; la ricomposizione delle caratteristiche del paesaggio rurale delle aree coltivate, con messa a dimora di siepi e filari lungo la rete esistente di tracciati interpoderali e vicinali da recuperare anche in funzione ciclopedonale per garantirne una piena fruibilità cittadina; la creazione di corridoi ecologici e di una rete di percorsi a servizio della mobilità lenta per una comunicazione diretta con le aree protette esistenti (Parco della Valle del Lambro, Parco urbano di Lissone, ecc.); la conservazione e la valorizzazione dei beni storici ed architettonici esistenti.
- in particolare si chiede:
la formazione di fasce boscate, per la mitigazione ambientale e paesistica, in prossimità del tracciato della Pedemontana e della nuova SP n. 6 “Monza–Carate”;
la salvaguardia ed il recupero paesistico dell’area circostante l’oratorio di Santa Margherita alle Torrette (Macherio), della strada vicinale alberata per la frazione S. Margherita e del prospiciente contesto agricolo; l’ampliamento e la riqualificazione dell’area forestale del Boscone (Bosco del Ratto) con mirati interventi di riforestazione e il mantenimento dei prati stabili e degli incolti esistenti;
il consolidamento, nei comuni di Albiate e Carate Brianza, del corridoio ecologico secondario (art. 58 PTCP della Provincia di Milano) di rilevante importanza strategica per la connessione tra la zona del Dosso (Seregno – Albiate) ed il Parco Regionale della Valle del Lambro;
MEDA: - progettazione integrata del corridoio ambientale di collegamento tra la porzione meridionale del Parco della Brughiera in direzione del Bosco delle Querce Attraverso la Valle dei Mulini, percorso ambientale ancora riconoscibile percepibile di cui il Vecchio Mulino e l’area “Cave” (da recuperare) di Meda costituiscono il il primo elemento da collegare agli ambiti con le medesime funzioni in direzione di Lentate sino a Cantù Asiago. Il sistema avrà altri elementi minori anche utilizzando il corridoio del Torrente Terrò, sino a ricongiungere il sistema al Parco Brianza Centrale lungo la direttrice da Meda Sud al Meredo;
- ripristino della comunicazione interpoderale e di quella intercomunale interrotte sin dall’evento diossina a partire dal Bosco delle Querce con la creazione di una rete a servizio della mobilità lenta con innesti al centro abitato (mantenimento dello scavalcamento della sede ferroviaria e prosecuzione in direzione nord, anche ripristinando i camminamenti in fregio al Terrò sino a ricongiungersi alla direttrice Parco della Porada – Parco della Brughiera lungo Via Trieste e Via Valseriana);
- Consentire, con adeguata copertura finanziaria, l’acquisizione da parte dell’ente Parco Sovracomunale Brughiera Briantea dell’ex FORNACE CEPPI da adibire a “porta del Parco” con museo delle attività lavorative, estrattive d’argilla in primis, ora scomparse, nonché possibile sede del Parco stesso
SEREGNO:
- valorizzazione dell’esistente PLIS “Brianza Centrale” – ampliato mediante adesione di aree nei comuni limitrofi – tramite interventi di riforestazione su aree da acquisire e la realizzazione di percorsi ciclopedonali su tracciati interpoderali e vicinali già esistenti, in particolare nella zona Dosso.
- acquisizione delle aree della porzione di territorio (comunale e sovracomunale) denominato “Meredo” e realizzazione delle opere di forestazione e delle attrezzature già previste nel PP del PLIS “Brianza Centrale”. In subordine acquisizione delle aree medesime e cessione al comune delle stesse, oppure la stipula di contratti decennali di comodato ad uso pubblico sempre con il comune interessati e sempre per la medesima tipologia di opere;
- studio della fauna selvatica esistente nel PLIS al fine di favorirne per quanto possibile la diffusione, anche mediante la realizzazione di piccole opere di collegamento per superare i principali assi di comunicazione: Nuova Valassina, futura Pedemontana, ferrovia Milano-Como-Chiasso (linea di cui è previsto il quadruplicamento);
SEVESO:
per la presenza del casello di uscita della Pedemontana si determinerà una forte pressione sia sul Bosco delle Querce che su le residuali aree verdi di Baruccana. La compensazione in tale ambito dovrà garantire e rafforzare la continuità delle aree verdi anche con interventi di riforestazione.
? la conservazione del corridoio ambientale in direzione del Meredo e l’ampliamento delle aree assegnate al Bosco delle Querce dovranno raccordasi alle medesime azioni prospettate per i comuni limitrofi a costruire una rete ambientale in comunicazione.
VIMERCATESE: la realizzazione di collegamenti per garantire la continuità delle aree protette attualmente esistenti con riferimento ai corridoi ecologici già individuati nel progetto Dorsale Verde della Provincia di Milano. Nel vimercatese in particolare occorre pianificare il collegamento dei parchi presenti nella direttrice da Ovest ad Est con interventi di riqualificazione ambientale finalizzati a connettere tra loro le aree del Parco dei colli Briantei con il Parco del Molgora e di qui, proseguendo verso Est, con il Parco del Rio Vallone fino al Parco Adda
Firmatari del documento:
- Alternativa Verde per Desio – Desio;
www.alternativaverde.it ;
info@alternativaverde.it
- Associazione per i Parchi del Vimercatese;
www.parchivimercatese.it ;
parchivimercatese@brianzaest.it
- Associazione Econazionalista Domà Nunch – Uboldo,Barlassina;
www.eldraghbloeu.com ;
redazion@eldraghbloeu.com
- Associazione Torrette Bini Dosso Boscone per l’ampliamento del Parco Brianza Centrale – Macherio;
www.macherio.net/comitatotorrette.htm ;
dantedinanni@libero.it
- Cesano per Noi-Noi per Cesano – Cesano Maderno;
noipercesano@hotmail.it
- Circolo Legambiente “Roberto Giussani” – Desio;
legambientedesio@libero.it
- Legambiente Seregno ONLUS – Seregno;
www.legambienteseregno.it ;
info@egambienteseregno.it
- Sinistra e Ambiente – Meda;
www.centrosinistrameda.it/sinistra_e_ambiente.htm
- WWF Sezione Groane;
http://web.tiscali.it/wwfgroane/index.html ;
groanewwf@yahoo.it;
L’approvazione definitiva e il varo con due decreti legislativi del Codice per il Beni culturali e il paesaggio, con un atteggiamento responsabile della stessa opposizione di centrodestra e delle Regioni più gelose di una propria (ma poco meritata) autonomia, rappresenta un indubbio successo, un premio alla tenacia: per il governo ancora in carica, per il ministro Francesco Rutelli e per il professor Salvatore Settis presidente della commissione per la revisione del Codice.
Ma anche per il sottosegretario Danielle Mazzonis delegata ai problemi del paesaggio che erano quelli dove le tribolazioni, i pericoli e i guasti emergevano drammaticamente.
Per i Beni Culturali infatti c’è una riacquisizione importante e cioè quella dell’impianto di fondo del cosiddetto Regolamento Melandri col quale nel 2000 si riuscì a rimediare ad un improvvido voto parlamentare che trasformava da non vendibili in vendibili tutti i beni culturali demaniali «salvo eccezioni». Il regolamento - che disciplinava con grande attenzione cessioni (a volte sacrosante) e cessioni in uso - venne travolto dal duo Tremonti-Urbani che invece puntava a dismissioni di massa (poi irrealizzate, o quasi). Averne recuperato l’impianto mi sembra un punto fermo nella legislazione di tutela del patrimonio. Così come aver chiarito le norme relative alla circolazione internazionale dei beni stessi e al patrimonio ecclesiastico che è tanta parte di quello nazionale.
Per il paesaggio il nuovo Codice Rutelli-Settis ha il merito di mettere finalmente ordine (in parte, diciamolo, l’aveva già fatto Rocco Buttiglione nel breve passaggio al ministero) nella selva di norme e di conflitti generati dalla stratificazione di leggi e soprattutto dal confusionario Titolo V della Costituzione, una delle maggiori colpe del centrosinistra ante-Berlusconi II, con una serie di concessioni alle Regioni di taglio pseudo federalista e con l’oscuramento sostanziale dell’articolo 9 della Costituzione (quella vera). E cioè «la Repubblica tutela il paesaggio della Nazione», cioè Stato, in primis, Regioni, Enti locali, armonicamente. E l’attuale Codice - che recita in modo tranciante «salva la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio» - ridà pieno valore a questo articolo-cardine della tutela restituendo alle Soprintendenze statali un ruolo attivo e il potere di vincolo e di rigoroso rispetto del medesimo. Ruolo e potere che, nonostante le sentenze della Cassazione e della Consulta (fondamentale la n. 367 del 2007 sul paesaggio), era stato fortemente intaccato. Col duplice risultato negativo - verificabile in pieno nel caso esemplare di Monticchiello - di indurre le Soprintendenze territoriali al sonno e alla latitanza, e le Regioni alla più pericolosa delle sub-deleghe, quella ai Comuni. I quali ultimi, privati (bisogna rimarcarlo) di consistenti fondi erariali, hanno oggi assai più interesse ad incentivare l’attività edilizia che non a tutelare il paesaggio. Il Comune che ha incassato di più in Italia da oneri e da concessioni edilizie è stato quello di Lucca. Pensate quale frenetica attività edile vi si è scatenata.
Il passaggio del Codice su queste sub-deleghe non è dei più chiari e però comincia a porre dei limiti. Intanto all’idea che il paesaggio è una sorta di “proprietà” delle comunità locali e non invece dell’intera Nazione. E poi al lassismo (ammantato di democrazia di base...) di certe Regioni che in realtà “lasciano fare” ai Comuni, anche a quelli che non hanno nessun strumento tecnico valido per occuparsi di tali temi strategici.
Introduce invece essenziali elementi di chiarezza il passaggio sulla co-pianificazione paesaggistica regionale. La collaborazione delle Regioni con lo Stato, cioè col ministero, non è più auspicata ma diventa obbligatoria. Ministero e Regioni «definiscono d’intesa le politiche per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio», «cooperano nella definizione di indirizzi e criteri riguardanti l’attività di pianificazione territoriale, Nonché nella gestione dei conseguenti interventi». Dunque, criteri univoci, piani paesaggistici regionali dettagliati e prescrittivi (e non di semplice indirizzo per gli Enti locali come il recente Pit toscano), elaborazione congiunta. Nei casi di interventi edilizi in aree vincolate - e sono tanti visto che il 47 per cento del Belpaese è coperto da vincoli paesaggistici - le Soprintendenze hanno il potere di esprimere un parere preventivo vincolante e comunque obbligatorio. Nel termine però di 45 giorni.
E qui nasce una questione centrale che nessun Codice può risolvere, quella cioè dell’inadeguatezza, a volte disperante, dei quadri tecnici delle Soprintendenze territoriali di settore, con pochi e malpagati architetti e ingegneri, gravati, ognuno, di centinaia di pratiche, e quindi di controlli, sopralluoghi, verifiche, pareri, ecc. Il ministro Rutelli ha fatto bene a inserire in questi atti legislativi anche il finanziamento, per 15 milioni annui, dell’abbattimento di abusi e di ecomostri. Ma chi verrà dopo di lui al Collegio Romano dovrà assolutamente dedicare i propri sforzi non alla moltiplicazione delle Soprintendenze, bensì al potenziamento esclusivamente tecnico-scientifico, strutturale degli organismi territoriali esistenti ai quali il Codice, in questa nuova e strategica versione, ridà un ruolo e un potere in nome della Costituzione e della bellezza. Ruolo che però va esercitato con quadri e strumenti adeguati. Altrimenti sarà la solita Italia che sforna buone leggi e poi non attrezza uomini e uffici per attuarle, provocando soltanto frustrazione e sfiducia. Oltre al massacro in atto del Belpaese. Provocato, come ognun sa, da un meccanismo infernale inserito nella legge finanziaria, in base al quale - cancellando una saggia norma della legge Bucalossi del 1977 - si consente ai Comuni di utilizzare gli introiti da oneri di urbanizzazione, Ici e altro al 50 per cento per la spesa corrente e al 25 per cento per manutenzioni e non esclusivamente, invece, per spese di investimento. Col risultato di seminare di cantieri edili i più straordinari paesaggi e di suicidarsi sul piano del turismo internazionale. Un bell’esempio di cretinismo politico-culturale. Quindi, a buone, magari ottime leggi come questa facciamo seguire tecnici e mezzi qualificati per attuarle seriamente e rapidamente. Nell’interesse pubblico e in quello privato.
Porta Vittoria, S. Giulia, Falck la crisi si abbatte sui progetti
di Luca Pagni
Porta Vittoria, Santa Giulia, ex Falck: negli ambienti politici ed economici cresce la preoccupazione per i tre grandi cantieri che, legati ai destini degli immobiliaristi in difficoltà come Coppola e Zunino, corrono il rischio di arenarsi o di subire pesanti ritardi. L´assessore all´Urbanistica Masseroli lancia l´allarme: «Attenti alle crisi di sistema, le banche sono meno disposte ad investire».
Milano aspetta dai primi anni Ottanta il recupero delle aree di Montecity, alle spalle della stazione di Rogoredo. E dalla metà degli anni ‘90 che al posto della vecchia stazione di Porta Vittoria nasca un nuovo quartiere residenziale. Da qualche stagione in meno Sesto San Giovanni attende di dire addio alle ultime vestigia del suo passato ad alta concentrazione industriale rappresentato da quel che resta delle acciaierie della Falck. Dopo così tanto tempo, l´area metropolitana può ancora permettersi di perdere altro tempo, in attesa di capire come finirà la parabola degli uomini d´oro della finanza italiana di inizio secolo, di quel gruppetto di imprenditori che hanno cavalcato l´onda della bolla degli immobili e che ora devono frettolosamente vendere le aree in via di trasformazione?
Nelle ultime settimane è questo un timore comune in molte stanze che contano della Milano della politica e dell´economia. Cosa succederà della aree che l´Ipi di Danilo Coppola (Porta Vittoria) e la Risanamento di Luigi Zunino (Santa Giulia e Sesto San Giovanni) hanno problemi? Il primo con la giustizia e con il Fisco. Il secondo con le banche che in questi anni gli hanno garantito sostanziosi crediti per le sue operazioni. Nei salotti finanziari si cercano altri imprenditori pronti a subentrare in operazioni che potrebbero ancora rivelarsi vantaggiose. In quelli della politica le preoccupazioni sono quelle di un ennesimo ritardo nei cantieri e nelle opere che devono essere realizzate per garantire i servizi collegati per rendere vivibili i nuovi quartieri, dalle scuole ai parchi.
In verità, le tre operazioni di recupero - le più importanti in corso a Milano e nelle immediate vicinanze e non solo per le dimensioni - non sono allo stesso livello. Il progetto più avanzato è quello di Santa Giulia. Nel triangolo compreso tra Rogoredo, Tangenziale est e San Donato sono ormai in via di ultimazione i cantiere dei palazzi che Zunino ha ceduto ad alcune cooperative che hanno realizzato interventi in edilizia convenzionata. Mentre l´accordo più importante, per le altre funzioni, è quello chiuso con Sky che qui sta procedendo alla realizzazione della nuova sede, la più grande del sud Europa per la corporation di Rupert Murdoch. Tutto da definire, invece, il futuro del grande centro congressi - struttura che a Milano manca da sempre - ora che anche la Fondazione Fiera ha fatto sapere al Comune di essere a sua volta interessata a costruirlo in uno dei padiglioni del vecchio recinto. Ma le preoccupazioni della giunta Moratti sono anche altre: che le difficoltà del gruppo Zunino influiscano sui tempi di realizzazione delle opere pubbliche a Santa Giulia, soprattutto quelle strategiche di collegamento viario con la Tangenziale Est.
A Porta Vittoria - area che solo tre anni fa è passata dalle mani di Zunino a quelle di Coppola - i lavori, invece, sono più indietro. Dopo la bonifica dell´ex stazione Fs, la parte cantierata è minima. I permessi ci sono già tutti, per dare impulso ai lavori bisogna attendere che arrivi un nuovo proprietario per Ipi spa, la società quotata in Borsa che ha in portafoglio Porta Vittoria. In questo caso, i ritardi si assommano agli anni persi per un cambio di programma della giunta guidata dall´allora sindaco Marco Formentini, ai tempi di quando Milano votava in massa per il candidato della Lega: qui sarebbe dovuta sorgere la nuova sede dell´Università statale che poi si decise di realizzare alla Bicocca.
Per le aree Falck si dovrà attendere ancor più tempo. Anche perché è stata l´ultima a passare in mano a Zunino, che l´ha rilevato dalla famiglia Pasini di Sesto. Aree che sono a un passo dalla Bicocca e che l´imprenditore piemontese ha affidato al ridisegno di Renzo Piano: così come a Santa Giulia sono in ballo oltre un milione e 200mila metri quadri da recuperare, uno dei più grandi interventi di aree dismesse in tutta Europa.
"Banche e imprenditori hanno paura di investire"
di Maurizio Bono (intervista all’assessore Masseroli)
Assessore Masseroli, c´è il rischio che i guai di Danilo Coppola e le difficoltà del gruppo Zunino si abbattano sui progetti di sviluppo di Milano?
«Il nostro livello di preoccupazione è alto per tutto il sistema. Non tanto per i singoli progetti, ma per la disponibilità dei soggetti econonomici a investire, in questo clima, nel futuro di una città che pure resta fortemente attrattiva. Grandi operazioni di sviluppo richiedono tempi lunghi di immobilizzo dei capitali, mentre le banche sono meno disposte a rischiare».
Pensa a un rallentamento?
«Non lo credo. Sono in ottima salute i progetti Citylife, Porta Nuova, Marelli, Bisceglie e Bovisa. Ma sono consapevole che di fronte al bisogno di case di Milano bisognerà anche trovare interlocutori diversi, fondazioni e assicurazioni disposte a finanziare case in affitto a canone sociale o moderato, in cambio di un ritorno del 2 o 3 per cento all´anno. Servirebbero sconti fiscali per incentivarli».
Finora però avete fatto conto soprattutto sui grandi gruppi immobiliari, e ora su Santa Giulia (Zunino) e Porta Vittoria (Coppola) l´impatto c´è.
«Come Comune siamo partner di tutti i progetti di sviluppo e facciamo il tifo perché proseguano nel migliore dei modi, compreso quello di Zunino sull´area Falck che è a Sesto San Giovanni, ma riguarda anche Milano e il suo futuro. Per Porta Vittoria la via d´uscita è la vendita del progetto. Ho visto recentemente Franco Tatò, ora al timone dell´Ipi, e mi ha parlato di due fondi potenzialmente interessati. Noi abbiamo dato ampia disponibilità a ripensare un progetto ormai attempato».
Anche se gli accordi sottoscritti allora erano definitivi?
«Tra regole astratte e la realtà, in via di principio sono per la realtà, nel campo del lecito».
E Santa Giulia?
«Ha stadi diversi di avanzamento, ma l´urgenza riguarda soprattutto 180 mila metri quadrati di edilizia convenzionata: un ritardo lì sarebbe grave per la quantità di famiglie in attesa di andarci a vivere».
Cosa manca?
«A Zunino tocca finanziare l´urbanizzazione primaria, strade e fogne, e poi incasserà a sua volta dalle cooperative di abitazione. Oltre a fare il tifo, stiamo cercando dei percorsi per sbloccare la situazione. Per esempio anticipare l´attività di urbanizzazione saltando un passaggio, con l´intervento diretto delle cooperative per attivare le imprese».
C´è anche il problema del centro congressi: i vostri accordi lo prevedevano lì, ora la Fiera lo vorrebbe fare grande il doppio accanto a Citylife...
«Rispetto a 8 anni fa è evidente che le dimensioni che avevamo immaginato non bastano perché sia internazionalmente competitivo. Fiera spinge per una soluzione più adatta e più veloce. Dovremo parlarne con gli uni e con gli altri, a Zunino l´ho detto e mi ha chiesto di aspettare».
Tornando a Coppola e Porta Vittoria, lì c´è il problema della Biblioteca Europea...
«Noi finora abbiamo dato l´area, pagato la progettazione e aggiunto un´area da valorizzare per la residenza libera, di fatto co-finanziando il progetto. Più di così, senza fondi statali, non possiamo fare».
Quei cavalieri del mattone dagli affari d´oro ai troppi debiti
di Walter Galbiati
Un tempo facevano affari fra di loro passandosi di mano palazzi a suon di milioni di euro. Erano ricercati da tutti, banche e grandi gruppi industriali, che avevano in mente di vendere i loro portafogli immobiliari, o qualche pezzo pregiato, a prezzi da capogiro. Ora che il mercato in generale, e quello immobiliare in particolare, è girato in negativo si trovano in difficoltà. L´apice l´hanno toccato nel 2004, quando Danilo Coppola e Luigi Zunino si sono accordati sulle spalle di un altro raider, Stefano Ricucci sul futuro dell´Ipi: il primo per comprare il secondo per cedere l´ex società del gruppo Fiat, in pancia della quale è custodito il progetto di Porta Vittoria. Una delle maggiori aree di sviluppo dell´area milanese insieme con altre due iniziative che fanno ancora capo a Zunino, Santa Giulia e "l´ex Falck" di Sesto San Giovanni.
E proprio sullo sviluppo di questi tre progetti si sono riverberati i recenti guai dei due immobiliaristi, in difficoltà nel raccattare i soldi per finire i lavori avviati. Su Danilo Coppola ha pesato più di tutto l´arresto dello scorso marzo disposto dalla procura di Roma con l´accusa di bancarotta fraudolenta relativa alla società Micop. Un duro colpo alla sua reputazione, affossata anche dalle indagini a suo carico per associazione a delinquere, reimpiego di capitali di provenienza illecita, evasione di imposte per circa 70 milioni, appropriazione indebita aggravata e falso ideologico. Dopo aver ottenuto i domiciliari, anche per motivi di salute, a dicembre Coppola era tornato in cella per aver trasgredito le regole rilasciando un´intervista tv. L´immobiliarista era fuggito dall´ospedale di Frascati, in cui era stato ricoverato temporaneamente, per concedere un´intervista televisiva. Ieri, è tornato di nuovo ai domiciliari, ma la sua ascendenza sul sistema bancario che dovrebbe concedergli i finanziamenti per ultimare i progetti, è ormai ai minimi storici. Per arrivare al capolinea Porta Vittoria ha bisogno di un centinaio di milioni di euro. Coppola ha messo tutto in vendita per pagare le sue pendenze col Fisco (70 milioni). Della cessione, che riguarda l´intero gruppo Ipi, si sta occupando Banca Leonardo, la merchant bank guidata da Gerardo Bragiotti. L´onere, quindi, e gli eventuali profitti di Porta Vittoria spetteranno a chi si farà carico del gruppo.
Zunino, invece, soffre per via dell´eccessivo indebitamento delle sue società. La Risanamento spa, la holding quotata, ha perso in un anno oltre l´80% del proprio valore, penalizzando ulteriormente l´immobiliarista che per finanziarsi aveva dato in pegno i titoli della stessa Risanamento. Il sistema bancario ha recentemente rinegoziato le linee di credito concesse col gruppo Zunino, chiedendogli di cedere una parte del patrimonio immobiliare, messo insieme in breve tempo e in modo disomogeneo. Le risorse raccolte serviranno in parte per allentare la morsa del debito. E in parte per finanziare le aree di Santa Giulia e di Sesto San Giovanni. Per ultimare la prima, già ben avviata, servirà oltre un miliardo di euro, mentre per la seconda sono necessari altri due miliardi da spalmare in dieci anni.
E proprio ieri la Risanamento, dopo i recenti crolli di Borsa, ha comunicato di aver avviato nuove trattative con le banche di riferimento, tra le quali Intesa Sanpaolo, Unicredit, la Popolare di Milano e il Banco Popolare, per discutere nuove concessioni di credito. A differenza di Coppola, gli istituti hanno garantito il proprio appoggio a Zunino. La reputazione dell´immobiliarista piemontese presso "i signori del credito" è stata solo scalfita dalle vicende che hanno travolto i furbetti del quartierino. Ha rimediato solo un rinvio a giudizio per ostacolo alle autorità di vigilanza nella scalata ad Antoveneta promossa da Gianpiero Fiorani e i "signori del credito" lo considerano ancora "affidabile". Tanto è vero che i due più grandi istituti del Paese, Intesa Sanpaolo guidata da Corrado Passera e l´Unicredit di Alessandro Profumo, figurano ancora al suo fianco. I due advisor incaricati della cessione del patrimonio immobiliare del gruppo sono proprio Banca Intesa e Mediobanca, la merchant bank milanese il cui presidente del consiglio di sorveglianza, Cesare Geronzi, è designato da Unicredit, azionista con circa l´8,5%.
Nei commenti generalmente entusiastici che si sono letti su tutta la stampa si avverte l’eco della dichiarazione trionfale del ministro Rutelli. In questa conclusiva revisione del “codice” Italia Nostra stenta a riconoscere “una svolta storica”. Si tratta invece di un assai cauto intervento correttivo che ripristina talune essenziali garanzie, come in tema di alienazione di beni culturali pubblici (non però nei controlli sui trasferimenti privati all’estero), ma non sa riconoscere nel “centro storico” un unitario bene culturale e, per talune sue disposizioni, segna perfino un arretramento rispetto alla precedente revisione. E’sanzionata infatti la opzione esclusiva per la “gestione” in forma indiretta al fine di assicurare il migliore livello di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica (è così sancita la mortificazione della responsabilità istituzionale). Né più si vuole che il parere della soprintendenza rimanga in ogni caso vincolante (anche a regime) quando la regione abbia delegato i comuni a rilasciare l’autorizzazione paesaggistica. Bene invece che i nuovi piani paesaggistici (e l’adeguamento di quelli esistenti) siano redatti di intesa da regione e soprintendenze e che il ministero possa autonomamente riconoscere nuovi ambiti di tutela paesaggistica, dettandone la disciplina. Mentre contrasta con il principio costituzionale dell’esercizio unitario della funzione di tutela la previsione che, una volta approvati i piani paesaggistici, il parere delle soprintendenze sulle progettate trasformazioni fisiche dei luoghi cessi di essere vincolante. E’ un cedimento subito nella sede della conferenza unificata stato–regioni che contraddice il testo, sul punto rigoroso, elaborato dalla commissione presieduta da Salvatore Settis.
E se pure, in conclusione, ci si voglia dichiarare soddisfatti per il recupero di essenziali funzioni alle istituzioni di tutela dello Stato, non può essere ignorato il problema che gli uffici territoriali del ministero - le soprintendenze - a quelle funzioni non sono in grado di far fronte (perché mantenuti in vistosa carenza di energie professionali e mezzi) e dunque la effettiva salvaguardia del paesaggio esige misure straordinarie che rimandano alla responsabilità politica del nuovo parlamento e del governo che verrà. E non è segno confortante che questo tema (l’adempimento di un precetto costituzionale, nel celebrato anniversario dei sessant’anni) sia rimasto del tutto assente dal dibattito elettorale e che si stenti a riconoscere nel programma dei partiti un prioritario impegno al riguardo.
Chi più ne ha, più ne spreca. Stiamo parlando del territorio agricolo lombardo, sempre più 'terreno di conquista' per iniziative immobiliari e opere infrastrutturali che non tengono in conto il valore dei suoli: un valore che è allo stesso tempo ambientale, paesaggistico e agricolo, ma che sparisce di fronte alle rendite speculative connesse alla sua trasformazione in terreno edificabile. Di questo si è parlato al convegno organizzato oggi da Legambiente Lombardia con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale Lombardo.
Quanto siano speculative le rendite connesse al consumo di suolo lo si capisce dalla pressione che esse esercitano sui terreni agricoli della 'Bassa'. A Mantova spetta il titolo di 'provincia sciupasuoli'. In tutta la provincia mantovana, ogni anno, 'spariscono' 616 ettari di suolo prevalentemente agricolo, cioè una superficie pari a quella di un migliaio di campi di calcio, per far fronte ad un fabbisogno che non ha nulla a che fare con la domanda di residenza: infatti, con una popolazione che è appena un decimo di quella della provincia di Milano, a Mantova si consumano ogni anno 16 metri quadri di suolo per abitante (a Milano il dato pro capite è 2,4 mq). Ma nella categoria 'sciupasuoli' ci sono un po' tutte le provincie della 'Bassa': Pavia e Lodi (11 mq/ab*anno), Cremona (8,6) e Brescia (8,0 mq/ab*anno). Tutti territori di conquista per una alluvione di capannoni spesso vuoti, centri commerciali con annessi parcheggi, strade. Certo, la 'bolla immobiliare' ha giocato a favore di questa crescita inflattiva di consumi di suolo, ma il dato è destinato a consolidarsi, e forse anche a peggiorare, con le previste nuove opere autostradali (Cremona-Mantova, Tirreno-Brennero, Broni-Mortara, BreBeMi) che porteranno con sé anche una crescita di valore immobiliare per i suoli in prossimità dei futuri svincoli. Le situazioni più gravi restano, come ovvio, quelle dell'area metropolitana che da Varese e Milano si estende ormai senza interruzione fino a Brescia, provincia in cui il dato del consumo di suolo è in assoluto il più alto della Lombardia (929 ettari all'anno nel periodo 1999-2004), di poco superiore perfino a quello milanese che tuttavia presenta una situazione ormai consolidata di cementificazione pervasiva, specie nel quadrante nord. Tuttavia il dato delle province meridionali lombarde è preoccupante perchè indica una tendenza alla crescita del cosiddetto sprawl urbanistico, un termine anglosassone che significa 'sparpagliamento' disordinato degli insediamenti e che porta con sé costi ambientali crescenti, a partire dall'aumento della mobilità commerciale e privata, e quindi dell'inquinamento atmosferico, ai danni di un territorio agricolo che è tra i più fertili e produttivi d'Europa.
I primi dati raccolti ed elaborati dal DiAP (Dipartimento di Architettura e Pianificazione) del Politecnico di Milano, nell'ambito del costituendo Osservatorio Nazionale sul Consumo di Suolo promosso da INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) e Legambiente, parlano di una Lombardia che consuma quasi 5000 ettari di suolo ogni anno, pari a circa 140.000 metri quadri di terra Lombarda che ogni giorno vengono coperti di cemento e asfalto.
“Suolo e acqua sono le risorse naturali più preziose di cui dispone la nostra regione – commenta Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia –, il suolo in particolare è una risorsa non rinnovabile e che quindi, una volta consumato, non sarà più disponibile per le generazioni che verranno. Occorrono politiche e norme efficaci contro la dilapidazione del patrimonio territoriale lombardo, che purtroppo è favorito dai comuni per i quali le concessioni di nuovi volumi edificabili rappresentano il modo più facile per fare cassa”.
Per raggiungere l'obiettivo della tutela dei suoli, Legambiente propone di attuare la 'compensazione ecologica preventiva': si tratta in pratica di vincolare ogni trasformazione di suoli alla realizzazione di interventi di riqualificazione e cura del paesaggio attraverso azioni di rinaturazione, per responsabilizzare il settore delle costruzioni e incentivare l'edilizia della ristrutturazione e del riuso delle aree dismesse rispetto a quella che occupa territori 'vergini'.
“Sono sempre di più i Paesi europei che mettono in campo norme rigorose per preservare le proprie risorse di natura e paesaggio connesse con la conservazione del territorio rurale – concludeDi Simine -. In Italia e in Lombardia non esiste ancora nulla di simile, ma non c'è tempo da perdere se vogliamo impedire che la nostra regione diventi una distesa caotica di piastre commerciali, autostrade e parcheggi”.
Dati sul consumo di suolo in Lombardia:
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Fonte: elaborazioni Legambiente – DIAP Politecnico, su dati ARPA Lombardia riferiti al periodo 1999-2004. La popolazione di riferimento è desunta dal censimento ISTAT 2001
Una striscia di asfalto con tanto verde accanto. Sarà così la Pedemontana, l’autostrada che collegherà le province nord da Bergamo a Varese attraverso cinque parchi naturali: le opere di compensazione ambientale prevedono anche una pista ciclabile di 90 chilometri, siepi e filari. Gli ecologisti si dicono d’accordo «a patto che non attiri altro cemento» dice Damiano Di Simine, di Legambiente.
Come un grande parco. Che costeggerà la cosiddetta "città infinita" tra Bergamo e le province che lambiscono il territorio di Malpensa. Fatto di case e capannoni. Praticamente senza soluzione di continuità. Una sorta di spina dorsale trasversale composta da una pista ciclabile innovativa lunga 90 chilometri. Circondata da siepi e filari, da Varese a Bergamo. Che collegherà i 5 parchi regionali (Ticino, Pineta di Appiano Gentile, Groane, Lambro, Adda Nord), i 12 parchi locali di interesse sovracomunale (Rugareto, Medio Olona, Rile-Tenore-Olona, Lura, Brughiera Briantea, Brianza Centrale, Grugnotorto Villoresi, Colline Briantee, Cavallera, Molgora, Rio Vallone, Brembo). Più 50 progetti locali di riqualificazione ambientale che saranno gestiti direttamente dai sindaci dei comuni interessati.
Si tratta del progetto delle opere di compensazione ambientale della Pedemontana, la nuova autostrada che collegherà tra loro le province nel nord della Lombardia, appena approvato dal collegio di vigilanza, che sarà presentato ufficialmente domani. Patrocinato sia dalla Provincia che dalla Regione e realizzato in collaborazione con il Politecnico. Un investimento di 100 milioni di euro, di cui 35 solo per la "greenway" che costeggerà il tracciato dell’autostrada a una distanza di circa 5 chilometri. Si tratta del 3,5% dell’importo per la realizzazione complessiva dell’opera. «Una cifra che potrebbe raddoppiare aggiungendo i fondi comunitari e regionali se altri seguiranno il nostro modello - assicura il numero uno di Pedemontana spa, Fabio Terragni - Abbiamo proposto alle amministrazioni interessate di evitare ogni dispersione delle risorse e di concentrarle su un progetto unitario». Sette tipologie di interventi, come spiega Arturo Lanzani, docente di Tecnica e Progettazione urbanistica al Politecnico, che con Antonio Longo ha coordinato il progetto. Ampliamenti di parchi urbani, interventi forestali, di connessione della mobilità lenta attraverso la nuova pista ciclabile, piantumazione di nuove aree, acquisizione di altre zone boschive, interventi di tipo agroambientale e di vera e propria riqualificazione del paesaggio rurale. «Questo - spiega Lanzani - è un territorio già straurbanizzato dove però esiste una emergenza infrastrutturale anche di tipo ambientale. Lo sforzo è stato quello di coniugare un ragionamento d’insieme».
La realizzazione della pista ciclabile (35 milioni di euro) sarà interamente a carico di Pedemontana spa. I 50 progetti di riqualificazione ambientale, invece, saranno promossi e sviluppati dai Comuni e dagli enti Parco. I lavori potranno in molti casi iniziare anche prima della realizzazione dell’opera. Si tratta di progetti di diversa natura e dimensione che potranno contare su gli altri 65 milioni di euro messi a disposizione da Autostrada Pedemontana Lombarda. La maggior parte saranno destinati alla riqualificazione del paesaggio agrario nel Vimercatese e nella piana agricola Comasca. Un intervento che interesserà centinaia di ettari di paesaggio.
Intervista al presidente di Legambiente
di Anna Cirillo
Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia, bastano queste opere di compensazione ambientale per una operazione come la Pedemontana?
«Il progetto Pedemontana è molto pesante. Le compensazioni ambientali per un totale di 100 milioni di euro sono una sfida interessante. Ma diciamo che in altri paesi, tipo Germania, per un’opera come questa, che supera i 4 miliardi di euro e che si sviluppa in aree già fortemente urbanizzate del nord Milano, si avrebbe diritto a compensazioni doppie, se non triple».
E quale giudizio dà sulla qualità delle compensazioni?
«La progettazione è di qualità, si sono individuate, per esempio, alcune aree sulle quali fare interventi, invece della solita politica a pioggia per accontentare tutti. La pista ciclabile va benissimo, ma spenderei di più per le forestazioni, per compensare con natura vera quello che alla natura viene sottratto con la Pedemontana. Inoltre le opere di compensazione, che pure sono irrinunciabili, non bastano. Bisogna fare di più».
Quanto e che cosa di più?
«La Pedemontana è l’ottava autostrada che si vuole costruire in Lombardia ed è quella che ha un senso, dare ordine alla mobilità caotica, mentre le altre hanno prevalentemente un interesse speculativo: urbanizzare la campagna, costruire dove costa meno, creare nuova urbanizzazione, con tutto quello che ciò comporta. Per la Pedemontana ci sono due cose che vanno fatte assolutamente. La prima, impedire con dei vincoli nuove costruzioni, tipo centri commerciali, perché significherebbero ancora più traffico».
E la seconda?
«Secondo, sottoporre l’autostrada ad una cura dimagrante, cioè tagliare sulla viabilità connessa, complementare alla Pedemontana: le nuove strade a scorrimento veloce che vanno ad inserirsi ovunque ci sia un po’ di territorio che ha potenziali urbanistici. Di queste, quella più pericolosa in termini di occupazione del suolo è la nuova Varesina, parallela all’attuale statale, che va inutilmente a distruggere nel Varesotto boschi e foreste, creando condizioni per una ulteriore invasione di cemento».
Welcome to Bovisa, city of Milan. John Foot, londinese, 43 anni, insegna a Cambridge, ma la sua materia, Storia moderna italiana, ha deciso di approfondirla sul posto. E per passione, oltre che per amore, vive in Bovisa, da dove osserva la città e le sue trasformazioni, urbanistiche anzitutto e perciò sociali, raccontandole in libri acuti e originali. «È un posto perfetto per capire quello che succede a Milano, perché è un laboratorio».
In che senso?
«Vivo lì da 15 anni, da quando mi sono sposato con un’italiana. C’erano ancora qualche fabbrica e dei residui del quartiere operaio che fu. Poi 10 anni di abbandono totale, quasi di autogestione urbanistica. Adesso è un misto di studenti del Politecnico, creativi e designer che stanno nelle ex fabbriche, loft, artisti che gravitano intorno alla nuova Triennale. E stranieri. Con una buona integrazione, anche se ora sono arrivate baracche e campi nomadi».
E che metafora di Milano ne ricava?
«Quella dell’enorme delusione dal punto di vista urbanistico. La fine della grande industria dava un’opportunità di ridisegnare la città non solo dal punto di vista economico, ma anche degli alloggi, della destinazione degli spazi. E così è stato, ma senza visione di insieme. Si è lavorato a lotti, a pezzi. Il risultato è una città disordinata, caotica, inquinata, dove ci sono pezzettini meravigliosi accanto a pezzettini orrendi. E questo se vogliamo è a sua volta un’altra metafora del fatto che è venuto meno un substrato che unificava, un tessuto connettivo, un’idea comune. Insomma, la società».
È una visione terribile.
«Ma anche con lati positivi. Le periferie sono brutte, ma sono poco isolate: una volta erano ammassi di condomini squadrati o di case autocostruite, le cosiddette coree, che sorgevano nel deserto, e diventavano ghetti per gli immigrati meridionali. Adesso gli immigrati - non più meridionali ma stranieri - sono dappertutto, perché ognuno di loro ha agito per conto proprio e si è scelto dove vivere. Ora anzi sono gli stranieri le forze fresche, fisicamente e mentalmente, della città, solo loro hanno ancora spirito di iniziativa».
Ognuno fa per sé. Ma la politica? Una volta aveva un ruolo di regia.
«Ma ora non decide nulla, è molto indietro rispetto ai processi sociali, si limita a prenderne atto senza governarli o almeno indirizzarli. In questo il massimo è stato Albertini: la metafora dell’amministratore di condominio che aveva usato per sé gli calzava a pennello, non faceva niente e lasciava andare avanti la società. Si va al traino di minoranze illuminate e intraprendenti, come la moda e il design (che forse sarà la salvezza futura), o di eventi che vengono da fuori, come l’Expo. Manca una strategia di lungo periodo. E in una città che per decenni ha avuto una politica lungimirante».
Cos’è successo?
«Che questa politica riformista è stata distrutta da due cose. Il craxismo, che ha introdotto l’individualismo della peggior specie, quello che nega un tessuto sociale comune e anzi lo distrugge. Da me la signora Thatcher diceva "la società non esiste". E la sua lezione è stata applicata. E Tangentopoli, che ha eliminato l’iniziativa della politica stessa, che adesso gioca di rimessa, in contropiede».
A proposito, lei è anche un grande appassionato di calcio: ha scritto un libro per spiegare il football italiano agli inglesi.
«Sì, ed è un altro modo di raccontare l’Italia e la sua società. E anche in questo Milano è un buon osservatorio. Per dire, Herrera - un allenatore che non si sapeva neppure con precisione se fosse francese, spagnolo o argentino - è perfetto per spiegare la Milano del Boom, dove venivano a lavorare e avevano successo persone di mille posti diversi. Così come la reinvenzione della città degli anni Ottanta e Novanta è andata di pari passo con la reinvenzione del calcio fatta da Berlusconi: si spendeva e spandeva per dare spettacolo, e il divario tra ricchi e poveri aumentava. E tra gli scandali iniziali di Tangentopoli ci fu proprio il rifacimento di San Siro».
Lei ci va, allo stadio?
«Mi sono goduto dal vivo il mio Arsenal che batteva il Milan».
Stop al cantiere sulle tombe di Sant’Avendrace
di Mauro Lissia
CAGLIARI. E’ arrivato l’ordine di stop immediato per i lavori in corso nel viale Sant’Avendrace, dove l’impresa ‘Cocco Raimondo costruzioni srl’ è impegnata a costruire un palazzo di cinque piani a ridosso delle tombe puniche. Dopo la sentenza del Tar Sardegna, che ha bocciato i vincoli paesaggistici imposti dalla Regione, le betoniere avevano ripreso immediatamente a girare nell’area interna di fronte al costone cimiteriale. Fino a ieri pomeriggio, quando gli uomini del Corpo Forestale al comando di Giuseppe Delogu hanno notificato a tempo di record il decreto cautelare firmato alle 15.10 dal presidente della sesta sezione del Consiglio di Stato, che ha accolto l’istanza urgente proposta mercoledì per la Regione dagli avvocati Giampiero Contu, Paolo Carrozza e Vincenzo Cerulli Irelli e ha trasmesso il provvedimento via fax alla presidenza della giunta. Tutto di nuovo fermo, dunque. In attesa della decisione sui ricorsi per sospensiva, che dovrebbe essere assunta dai giudici in composizione collegiale nell’udienza di trattazione fissata per il primo aprile.
Almeno fino a quel momento in viale Sant’Avendrace non potrà muoversi una foglia, la Forestale vigilerà per conto della Regione e considerata dalla straordinaria rapidità d’azione mostrata in queste ore i controlli si annunciano rigorosi. Il provvedimento del Consiglio di Stato - simile all’ex articolo 700 dei procedimenti civili - non riguarda l’area del parco archeologico in cui lavorava l’impresa incaricata dal Comune e neppure il cantiere di Nuove Iniziative Coimpresa: qui, più opportunamente, prima di riaccendere i bulldozer i responsabili hanno deciso di attendere il pronunciamento dei giudici amministrativi di secondo grado. Atteggiamento di prudenza colto dai legali della Regione, che infatti hanno chiesto il decreto cautelare soltanto per l’impresa Cocco. Per le ragioni esposte nell’istanza: «Si segnala - scrivono i legali - che in queste ore, come dimostrano le fotografie allegate, l’impresa Cocco Raimondo srl sta realizzando proprio davanti alle grotte derivanti da antichi insediamenti rupestri (assimilabili ai Sassi di Matera) opere in cemento armato che coprono gli inestimabili reperti archeologici e che renderanno pressochè impossibile, tra pochi giorni, un accettabile ripristino dello stato dei luoghi, necessario per la tutela della zona sottoposta a vincolo paesaggistico sulla cui legittimità la sezione è chiamata a decidere. A fronte di un comportamento così aggressivo - scrivono ancora i legali - che non intende neppure aspettare i pochi giorni necessari per giungere alla camera di consiglio di trattazione dell’istanza di sospensione, si rende necessaria l’adozione di un decreto presidenziale che eviti ulteriori gravi compromissioni fino alla data della camera di consiglio».
Sulle istanze di questo tipo, che seguono una procedura privilegiata e molto celere, il Consiglio di Stato decide in composizione monocratica senza sentire le ragioni dell’altra parte, in questo caso i legali dell’impresa Cocco. E di norma il decreto, se i motivi sono validi, viene emesso in automatico quando - come in questo caso - i giudici non sono in condizione di rispondere all’istanza urgente di sospensiva nei dieci giorni successivi alla notifica del ricorso. Con le feste pasquali di mezzo la prima data utile era quella del primo aprile. Così nel frattempo, rispettando a puntino le prescrizioni della legge, il magistrato ha ‘congelato’ la situazione per due settimane.
Nel decreto non c’è dunque alcuna indicazione sul merito della causa ma solo riferimenti al ricorso da trattare, anche perchè l’ordinanza che uscirà dalla camera di consiglio di aprile dovrà riguardare tutti e tre i ricorsi depositati dagli avvocati della Regione contro le tre sentenze - di fatto una, riferita a tre situazioni quasi speculari - emesse dal Tar l’8 febbraio scorso.
La giunta Soru, impegnata in una battaglia senza esclusione di colpi contro la distruzione dei colli punici, spera naturalmente che l’efficacia della sentenza del Tar venga sospesa. Sarebbe già una parziale vittoria, perchè i lavori attorno all’area archeologica verrebbero fermati almeno sino alla sentenza di merito. Ci sarebbe un anno, forse un anno e mezzo di tempo per studiare nuove strategie di difesa del sito punico.
Italia Nostra ricorre in appello contro la sentenza del Tar che ha bocciato i vincoli per interesse pubblico sui colli
CAGLIARI. E dopo la Regione anche l’associazione Italia Nostra-Onlus, che lavora da decenni alla tutela del patrimonio storico-culturale e del paesaggio, ha ricorso contro la sentenza con la quale il Tar ha cancellato i vincoli sui colli punici. In venti pagine fitte di riferimenti legislativi l’avvocato Carlo Dore attacca punto per punto le motivazioni espresse dalla seconda sezione del tribunale amministrativo, puntando l’indice soprattutto sull’aspetto centrale: la legittimità della commissione paesaggistica nominata dalla Regione per decidere sul ‘notevole interesse pubblico’ dell’area di Tuvixeddu-Tuvumannu. Per il Tar doveva essere nominata dopo l’approvazione di una legge regionale, mentre la giunta Soru l’ha fatto - così hanno sostenuto i giudici amministrativi - senza neppure indicare i criteri per la selezione dei quattro membri esterni. L’avvocato Dore ribatte sostenendo che «deve ritenersi che l’articolo 137 del Codice Urbani (quello che prevede l’istituzione delle nuove commissioni paesaggistiche, in sostituzione di quelle provinciali, ndr) abbia abrogato la norma regionale in precedenza vigente che attribuiva relativa funzione alle commissioni provinciali per le bellezze naturali». Dore, con un’argomentazione in nove punti, cerca di dimostrare che la scelta della Regione sui commissari è stata in realtà corretta proprio sulla base del Codice Urbani: «La scelta dei componenti esterni - scrive il legale - aveva ed ha carattere discrezionale e doveva ritenersi sufficiente il riferimento, contenuto nella delibera della giunta che li aveva nominati, ai relativi curricula, da cui risultava in modo inequivocabile come gli stessi possedessero i requisiti di professionalità e di competenza richiesti dalle norme». Secondo Dore «basterebbe consultare internet per avere conferma dei titoli e delle esperienze vantate dai professori Camarda, Mongiu e Zucca e dall’architetto Roggio per avere conferma della correttezza della scelta operata dalla Regione».
Sul problema della validità dell’accordo di programma del 2000 l’avvocato Dore sostiene che «poteva essere risolto per impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità sopravvenuta, circostanze sicuramente verificatesi in questo caso vista l’approvazione del Codice Urbani». Mentre lo sviamento di potere contestato dal Tar - per il progetto Clement, alternativo a Coimpresa - Dore liquida drasticamente il problema: «Pettegolezzi e insinuazioni che il Tar non ha verificato ma al contrario a preso per oro colato». Con il ricorso si chiede al Consiglio di Stato che la sentenza del Tar Sardegna venga sospesa perchè «l’esecuzione dei lavori determinerebbe un’irreversibile modifica dello stato dei luoghi, con la devastazione della zona di massima tutela». (m.l)
Il grattacielo, oggetto architettonico nato alla fine del XIX secolo, deriva dalla combinazione di una tecnica di costruzione (lo scheletro metallico), del perfezionamento di ascensore e telefono e soprattutto dall'incredibile ricchezza di alcune imprese, che si possono permettere un edificio emblematico, che suscita ogni tipo di invidia. Il primo immobile di grande altezza (40 m) è costruito a New York nel 1868, il secondo a Minneapolis e il terzo a Chicago nel 1884, da William Le Baron Jenney. La torre diventa l'espressione per eccellenza del capitalismo. Come si dicesse che è datata: essa viene sempre sorpassata da un'impresa di maggior successo, che esibisce la sua supremazia edificando la torre più alta. All'insaziabile «sempre di più» dei capitani d'industria o dell'alta finanza, corrisponde il «sempre più alto», simbolo, ai loro occhi, della potenza: la loro torre, allo stesso tempo sede sociale, insegna e marchio. Vi è qualcosa d'infantile in questa competizione ascensionale, fatta salva una manciata di architetti convinti che «la torre» esprima il futuro...
di un secolo passato! La vera sfida, d'ora in poi, consiste nell'inventare una forma architettonica che possa rispondere alle contrastanti aspettative di cittadini alla ricerca di un reale confort nel rispetto dell'ambiente, e accompagnare le trasformazioni urbane in atto. Le persone senza fissa dimora attendono delle ancore di salvataggio (strutture leggere di servizi d'emergenza), primo passo verso un'abitazione decente. Chi soffre di un disagio abitativo spera in alloggi più confortevoli e adatti alla dimensione della famiglia o alle esigenze dei sensi individuali. Anche l'edilizia popolare esige norme nuove e inserimenti più civili. In breve, la posta in gioco è enorme e necessita di sperimentazioni coraggiose nel metodo di finanziamento, nel sistema d'attribuzione, nell'architettura di questi habitat e, perché no, nel coinvolgimento dei futuri locatari nella loro costruzione. La torre non è la risposta all'alloggio della maggioranza delle persone: è costosa, le tasse rappresentano un secondo affitto - ciò spiega perché sia riservata ad abitazioni di lusso - non possiede alcuno spazio pubblico, la vita ruota intorno all'ascensore, la consegna a domicilio, l'isolamento dalla città «reale». Essa è un vicolo cieco in altezza, come la definisce Paul Virilio, in Città panico (Raffaello Cortina, 2004).
Quanto agli uffici, non è ancora un fenomeno ben conosciuto l'assenteismo causato dall'internamento in un universo dominato dall'aria condizionata ma abbondano le testimonianze relative ad angine e altre patologie respiratorie. Dopo l'attentato dell'11 settembre 2001, gli impiegati delle imprese del World Trade Center sono stati trasferiti in edifici più piccoli: oggi, soddisfatti dei nuovi ambienti, rimpiangono solo l'atmosfera di Manhattan (1) . Tuttavia qualche architetto-star stimolato da tutta una lobby immobiliare afferma senza alcuna prova che la torre risolve la questione fondiaria (questo è vero, in parte), accresce la densità (questo non è dimostrato), economizza l'energia (i dati sono contraddittori), e partecipa allo spirito della città (questo non è sempre evidente), ecc.
Al Mercato internazionale dei professionisti dell'immobiliare (il Mipim), a Cannes nel 2007, i visitatori potevano ammirare i plastici dei futuri grattacieli di Mosca (la torre della Federazione, 448 metri, consegna nel 2010), di Varsavia (Zlota 44, 54 piani, 192 metri), di New York (la torre della Libertà 541 metri, quella del New York Times, 228 metri), di Dubai (certamente di circa 800 m), della Défense (la torre Granite del gruppo Nexity di Christian de Portzamparc, la Generali di Valode e Pistre, la torre faro di Unibail di Tom Mayne di 300 metri, consegna nel 2012), di Londra (Renzo Piano e la London Tower Bridge di 300 m)... Un'incredibile frenesia costruttiva, immagine dell'arroganza delle multinazionali. Già nel 1936, all'epoca delle sue conferenze a Rio de Janeiro, Le Corbusier reclamava Parigi una torre di 2.000 metri. Per il momento solo dei giapponesi hanno lavorato al progetto di una torre di 4 km d'altezza o una piramide di 2004 m (detta «Try 2004») che può accogliere 700.000 residenti permanenti.
Già nel 1930, l'architetto Frank Lloyd Wright denunciava il «tout-tour» (il tutto-torre, ndt): «I grattacieli non hanno vita propria, né vita da dare, non ricevendone alcuna dalla natura della costruzione.
(...) Perfettamente barbari, essi si innalzano senza particolari riguardi per i dintorni, né gli uni per gli altri (...). L'esterno dei grattacieli è senza morale, senza bellezza, senza continuità.
È una prodezza commerciale o un semplice espediente. I grattacieli non hanno che il successo commerciale come ideale unitario più importante (2) ». Certamente, Wright non anticipava la vittoria del centro commerciale (shopping mall) e dello scenario che l'accompagna, almeno in certe megalopoli. Questo surrogato di città si bea di questa immagine, nella quale la torre ha il ruolo principale. Guy Debord, nella rivista Potlatch (n° 5, 20 luglio 1954), se la prende con chi è «più guardia della media» (si riferisce a Le Corbusier) che ambisce «a sopprimere la strada» e rinchiudere la popolazione nelle torri, anche quando secondo lui si tratta di valorizzare i «giochi e le conoscenze noi abbiamo diritto ad aspirare in una architettura veramente sconvolgente».
Svilupperà, in seguito, la psicogeografia, l'urbanistica unitaria e la deriva, criticando senza tregua la fredda geometria dei grandi complessi, torri e sbarre insensibili al vagabondaggio ludico.
L'urbanista cinese Zhuo Jian (3) , che elenca 7.000 immobili di grande altezza a Shanghai (una ventina superano i 200 m), constata che il suolo si abbassa di parecchi centimetri ogni anno. Gli esperti spiegano che una torre è energivora nella sua fabbricazione (la produzione di acciaio e vetri sempre più sofisticati necessita di un'importante spesa energetica) e nella sua manutenzione (aria condizionata, illuminazione delle parti centrali dei piani, ascensori, etc.), anche se si considerassero soluzioni alternative (come quelle utilizzate nell'ingegnosa torre Hypergreen di Jacques Ferrier). Insistono sulla durata di vita limitata (una ventina d'anni, senza lavori di ristrutturazione) di questo «prodotto» oneroso e poco adattabile a utilizzi differenti. Credere che sia facile alloggiarvi un'università, una biblioteca, abitazioni di lusso, un hotel a 5 stelle, con orari e con «clienti» così diversi, è illusorio.
E a Parigi? Il Front de Seine, le Olympiades, il quartiere Italie-Masséna, Flandres e la torre Montparnasse (1973, 210 metri) non incoraggiano la costruzione di altre torri e condannano l'urbanistica funzionalistica.
Nel 1977, il Consiglio di Parigi fissa a 37 metri l'altezza massima delle costruzioni. Nel 2003, una consultazione della cittadinanza parigina registra il 63% d'opposizione contro gli edifici di grande altezza. Tuttavia, nel giugno 2006, alcuni architetti individuano diciassette siti in grado di accogliere torri di 100-150 m e immobili per abitazioni di 50 m (cioè 17 piani). Nel gennaio 2007, tre di essi sono presi in considerazione dalla municipalità, a titolo di test (Porte de La Chapelle, Bercy-Poniatowski e Massena-Bruneseau).
Dodici squadre disegnano torri che possono arrampicarsi fino a 210 m, su terreni inospitali, circondati da infrastrutture pesanti, rumorose e inquinanti. La maggior parte dei progetti prevede spazi verdi e luoghi pubblici, si integra alla periferia vicina e necessita di trasporti pubblici. Tuttavia, conserva una monofunzionalità verticale, non tiene in gran conto dell'effetto maschera sul soleggiamento del quartiere e dell'accelerazione dei venti, del trattamento dei rifiuti e del costo energetico di queste costruzioni. Quanto all'estetica, il dibattito è appena cominciato! È assurdo, di conseguenza, essere semplicemente a favore o contro: esistono torri splendide, che onorano il paesaggio della città che contribuiscono ad abbellire - chi resterebbe insensibile alla bellezza di alcune città «in piedi», come New York o Chicago? È tuttavia aberrante costruire una torre solitaria senza preoccuparsi dell'urbanistica, cioè dei trasporti pubblici, della relazione col suolo, con la strada, dei rapporti di scala con gli altri edifici, del gioco delle proporzioni fra le facciate, il piazzale, le coltivazioni. Se, al posto di costruire delle torri adatte ad uno stile di vita costrittivo, certi architetti avessero dedicato la loro intelligenza a concepire degli ecoquartieri, non solo secondo le attuali norme dettate dall'alta qualità ambientale, spesso elementari, ma anche secondo quelle di «alta qualità esistenziale», prendendosi cura delle persone, dei luoghi e delle «cose della città» (per esempio, delle illuminazioni dolci e rassicuranti), allora l'urbanità sarebbe meno selettiva e l'alterità meno discriminante.
La torre non permette l'incontro. Del resto, né la letteratura né il cinema l'hanno rappresentata come un luogo magico; al contrario, essa alimenta gli scenari catastrofici! Diffidiamo delle mode, per loro natura passeggere.
note:
L’Autore è filosofo, urbanista e docente universitario, ha scritto tra l’altro Petit manifeste pour une écologie existentielle (Bourin-editore, 2007), collabora alla rivista Urbanisme , Parigi.
(1) Sophie Body-Gendrot, La société américaine après le 11 Septembre , Presses de Sciences Po, Parigi, 2002.
(2) «La tyrannie du gratte-ciel», conferenze del 1930, inL'Avenir de l'architecture , Editions du Linteau, Parigi, 2002.
(3) Cfr. Urbanisme , n° 354, Parigi, maggio-giugno 2007.
(Traduzione di A. D'A.)
Non si possono scegliere, si sa, i tempi nei quali si nasce e, di conseguenza, non si possono scegliere neppure i propri contemporanei. Avremmo voluto evitare questa Cagliari dei costruttori e del “fare”, concentrata a distruggere quello che di bello possiede.
Come è noto il Tar della nostra Isola ha bocciato - meglio dire bastonato - il provvedimento della Regione che poneva nuovi vincoli sulla necropoli di Tuvixeddu perché, dice il Tar, pare che il sito sia già ben tutelato con i vincoli decisi dalla Sovrintendenza nel ‘96.
Beh, entrare nei cunicoli delle sentenze e discuterle è un esercizio improduttivo e dannoso. Però si può ragionare sulle cose che accadono intorno a noi.
La necropoli di Tuvixeddu subisce una distruzione sistematica che continua anche dopo il ’96 e sepolture puniche e romane hanno continuato ad essere barbaramente ricoperte da mattoni e cemento. Un’impresa edile è sospettata, oggi, di avere violato alcune tombe con le ruspe. Un’altra impresa ha costruito a pochi metri da un complesso di sepolture che in una città più civile sarebbero state protette gelosamente. Decine e decine di tombe sono state sbancate per le nuove fondamenta in prossimità del sepolcro del romano Caio Rubellio il quale ora vede il retro di uno squallido palazzo e medita un ricorso al Tar.
Infastidite dalla presenza della necropoli che avrebbe inorgoglito qualunque altra città le nostre imprese hanno pensato di costruire sul colle sacro palazzine e perfino una strada nel canyon. Eppure archeologi titolati hanno dichiarato che là, a Tuvixeddu, ci sono tombe dappertutto e se ne trovano sempre di nuove. Niente da fare, se ne impipano e non c’è tempo per queste bambinate. C’è da costruire, e nella nostra città, di questi tempi, costruire è un verbo che annulla tutti gli altri. Un imprenditore ha dichiarato che “gli ambientalisti sono il cancro della città” dimenticando che nella storia del nostro Paese il “cancro” delle città è rappresentato - non solo a nostro avviso - proprio dalle imprese prive di una filosofia del costruire. Antonio Cederna le chiamava “i nuovi Vandali”. E ogni angolo libero è inesorabilmente riempito di palazzi con licenze, timbri e bolli in regola. La faccia è salva, la città si educa alla bruttezza e Caio Rubellio perderà il ricorso.
I verdetti utilizzati come randelli dai litiganti e i ragionamenti a trotto di cane sulle sentenze hanno deformato la discussione su Tuvixeddu. Non sono i giudici del Tar a decidere del nostro Paesaggio. Essi giudicano fatti e procedimenti, indicano e censurano errori. Sul Paesaggio, invece, abbiamo tutti competenze, il dovere di esercitare la critica e di guardare ai fatti come sono davanti agli occhi.
La necropoli, che non è di destra o di sinistra, non è ancora del tutto perduta. L’offensivo giardinetto da “Caro estinto” accanto alle tombe non è un male irreversibile e si smantella da sé, ricoperto da erba giuridica e da malva, asparagi, borragine, agavi, iris e perfino orchidee. Ma l’ottusa confusione tra la crescita della città e l’edificare ha diffuso l’idea che costruire sia un’azione proseguibile in eterno. Dicono che costruire distribuisce ricchezza ma si arricchiscono in pochi, come sempre, e la città diventa sempre più brutta. In appena sessant’anni Cagliari e il suo contorno di allegri borghi agricoli, vigne e orti è diventata un'irriconoscibile poltiglia urbana. La bellezza non esiste più e mai arriveranno turisti in visita al paesaggio della statale 554, agli abusi edilizi di Quartu, alle case squallide degli altri paesoni senza costrutto, ai canneti incendiati degli stagni, alla spiaggia nera del Poetto.
Verrà ricordata la storia affaristica di Cagliari di questi anni e lo spregio del bello culminato con l’annichilimento del Poetto o il finto decoro di Castello dove la Porta dei Leoni è trasformata in un muretto dozzinale o l’anfiteatro soffocato da tavolacci. Per questa volgarità non avremmo scelto di vivere in questi anni e avremmo evitato molti nostri contemporanei, compresi i politici piccoli, gli affaristi e i domatori di pulci.
Pubblicato anche su La nuova Sardegna, 15 febbraio 2008
Negli ultimi mesi del 2007 si è sviluppato in Lombardia un vivace dibattito sul consumo del suolo, iniziato con la presentazione di uno studio curato dalla Provincia di Milano con il Politecnico di Milano in cui si dimostra la progressiva diminuzione del verde nell'hinterland milanese e, parallelamente, l'aumento dell'area urbanizzata che passerà nei prossimi anni dal 34 al 42, 7%, se si realizzeranno tutte le previsioni di espansione insite nei Piani di governo del territorio dei Comuni. Lo studio individua nella misura del 45% la soglia di sostenibilità ammissibile per il territorio: Oltre quel dato i terreni non garantiscono più la rigenerazione ambientale, spiega Maria Cristina Treu, docente del Politecnico che ha curato lo studio insieme alla Provincia. Di questo passo, la città infinita divorerà i campi e l'ambiente. (Davide Carlucci, “ Nell'allegra incoscienza di tutte le autorità responsabili per l'urbanistica dell’area metropolitana, il consumo di suolo ha raggiunto livelli paradossali”, la Repubblica, 20.10.07).
Lo studio precedeva l'illustrazione del nuovo Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) presentato dall'assessore provinciale al territorio, Pietro Mezzi: Uno strumento che dovrebbe aiutare a governare meglio i processi di trasformazione del territorio nell'area metropolitana milanese e a coordinare, per grandi temi, le pianificazioni dei 189 Comuni della Provincia, Milano compresa (...) È un Piano che cerca di mettere ordine e di semplificare le procedure, ma che si pone anche programmi ambiziosi: tra questi, creare la rete ecologica provinciale, in particolare nel Nord Milano; indicare i punti di forza dello sviluppo urbanistico dei Comuni; individuare le aree destinate all'attività agricola (Pietro Mezzi, “ È vicino il punto di non ritorno”, la Repubblica, 21.10.07).
Questa prospettiva tocca direttamente la pianificazione urbanistica dei Comuni racchiusi nei confini provinciali in quanto il Ptcp si prefigge di non superare la soglia stabilita nel 45% del consumo di suolo. Ancora Mezzi: Si pone così il problema di realizzare una concreta sostenibilità. Gli amministratori, i politici, gli ambientalisti, gli studiosi sapranno raccogliere questa sfida o si continuerà a pensare in termini di sviluppo infinito? E ad affidare al consumo del suolo l'unica risposta alla crisi strutturale della finanza locale? Il nuovo Piano territoriale di coordinamento provinciale si pone questo obiettivo e, con gli inevitabili e faticosi compromessi; propone una crescita giudiziosa. La più sostenibile in questa situazione.
A quel punto scoppia la polemica tra il Presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, e il suo assessore circa la libertà dei Comuni di costruire sul loro territorio, tesi sostenuta da Penati: limitare la crescita della grande Milano, imporre un tetto all'espansione urbana nell'hinterland? (...) "Ogni comune è libero di programmare il suo sviluppo con i piani di governo del territorio. E il nostro piano di coordinamento territoriale provinciale non può darsi il compito di programmare meglio lo sviluppo delle singole realtà. E un tema complesso e cruciale, la pianificazione sovracomunale è una materia delicata da affrontare rispettando il corretto ruolo della sussidiarietà” (...) Penati tira dritto anche sul Cerba, il Centro europeo di ricerca biomedica avanzata, 620mila metri quadrati nel parco Sud, voluto dall'oncologo Umberto Veronesi ma osteggiato dagli ambientalisti (Davide Carlucci, “ Penati: Comuni liberi di costruire", la Repubblica,22.10.07).
Diventa inevitabile la richiesta di alcuni Comuni, inseriti nel Parco Agricolo Sud Milano, di modificare i confini delle Zone tutelate in modo da poter disporre di maggiori superfici per lo sviluppo urbanistico. I Comuni del Parco agricolo Sud Milano convocati (. ..) in assemblea in Provincia hanno diverse motivazioni ma per 23 di essi (sono in tutto 61, compreso il capoluogo) c'è un fine comune. Vogliono la modifica dei confini del parco, fissati da una legge regionale 17 anni fa. Da allora, dicono i sindaci, sono cambiate molte cose. Non troppe, per fortuna, se oggi l'espansione urbanistica a sud di Milano è ancora ferma al 19% del territorio, mentre tocca quote preoccupanti nel capoluogo (70%) e soprattutto nell'hinterland (66% nella Brianza ovest, 60% lungo l' asse del Sempione, 57% nella Brianza centrale). (Stefano Rossi, “I Comuni scoppiano, 23 su 61 vogliono modificare i confini delle zone tutelate”, la Repubblica, 29.10.07).
In questo quadro già abbastanza ambiguo si inserisce, a livello regionale, un altro palese attacco alla cultura della difesa del territorio, quando l'assessore all'Urbanistica della Regione Lombardia Davide Boni, nella seduta della V Commissione consiliare del 7.11.07, annuncia alcune modifiche alla L.R.12/2005 Testo Unico sull'Urbanistica, consistenti nella possibilità di prevedere, nei nuovi Piani di governo del territorio, espansioni nel territorio dei Parchi regionali e, in caso di opposizione dell'ente parco, l'intervento diretto della Regione con procedure semplifìcate (si veda: Carlo Monguzzi, capogruppo dei Verdi in Regione Lombardia, “ Via libera alla cementificazione del parco sud, Milano”, pubblicato il 7.11.07 sul sito www.verdilombardi.org).
Questa manovra che di fatto permetterebbe ai Comuni lombardi di aggredire le aree tutelate dei parchi viene considerata un grave attacco all'ambiente e al diritto di tutti i cittadini a conservarsi parti di territorio di altissimo valore naturalistico, oltre a contrastare gravemente con l'Art. 9 della Costituzione italiana che prevede la salvaguardia del paesaggio, e quindi delle aree a forte valenza ambientale.
Fortunatamente insorge il fronte ambientalista e dal sito "Eddyburg", viene lanciato un appello al mondo della cultura delle professioni, delle istituzioni e ai comitati per la difesa del territorio affinché intervengano per chiedere di ritirare l'emendamento (si veda: “ Lombardia vergogna d'Europa?”, pubblicato il 16.11.07 sul sito www.eddyburg.it ). La mobilitazione è tale che l'emendamento in questione viene bloccato e la sua discussione, in Regione Lombardia, rimandata a gennaio. La delicata questione del consumo di suolo impone vigile attenzione a tutte le componenti della società civile, temi ribaditi recentemente in un convegno "Ambiente e Territorio" (Milano, 1-2 dicembre) in cui è stata proposta anche una legge che limiti lo spreco di suoli come già avvenuto in altri Paesi europei: Consumo di suolo come uso sbagliato di una risorsa irriproducibile, scarsa, preziosa. Un bene, il suolo, inteso come bene collettivo, come l'acqua, l'aria, l’energia. Da utilizzare con parsimonia e per la cui conservazione occorrono politiche locali e nazionali. Il documento finale della due giorni milanese infatti a governo e parlamento chiede addirittura una legge che ne limiti l'uso, come da tempo hanno legiferato in Germania, Olanda e Inghilterra (Pietro Mezzi, “ Raymond Unwin direbbe regional planning in practice. Contrastare il consumo di suolo a scala metropolitana”, il Manifesto, 12.12.07).
Questo obiettivo di equità nell'uso delle risorse appare motto difficile da raggiungere, soprattutto rispetto al contenimento dell'uso del suolo, se permangono alcune misure contenute nelle leggi finanziarie che, consentono ai Comuni di utilizzare gli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente, come spiega puntualmente Vittorio Emiliani: Non c'è pace per il paesaggio italiano che pure - assieme alle città d'arte ricomprese in esso in un unico palinsesto - rappresenta la superstite risorsa primaria per il nostro turismo di qualità (Vittorio Emiliani, “Un lucido aggiornamento sulla temperatura (febbre alta) del territorio italiano, mentre il medico pensa ad altro”, l'Unità, 20.12.07).
Il piano regolatore di Roma è stato approvato in via definitiva lo scorso martedì. Questo fatto produrrà almeno un grande risultato: non essere più tempestati di messaggi prefabbricati e trionfalistici che tutti i quotidiani e molti osservatori della materia hanno continuato a diffondere senza alcun approfondimento critico. Una volta archiviata l’approvazione del piano inizierà quel lento processo di approfondimento, di studi sistematici e di oggettiva osservazione della realtà urbana che farà finalmente giustizia di questa impressionante manipolazione di massa.
Porto il mio contributo a costruire questo indispensabile quadro critico. Iniziamo dalle bugie. Ci viene detto continuamente che “ il piano tutela 88 mila ettari di territorio di Roma, due terzi dei 129 mila ettari complessivi”. Bello, no? Ma non è vero. E’ lo stesso comune di Roma ad aver certificato che già nel 2004, e cioè prima che il nuovo piano producesse i suoi effetti, il cemento e l’asfalto coprivano 46 mila ettari. Dunque già prima che il piano fosse attuato, la tutela riguardava meno dei due terzi del territorio. Il piano poi prevede la costruzione di 70 milioni di metri cubi di cemento. Una stima prudente dice che verranno consumati almeno 15 mila ettari di agro. La metà del territorio di Roma sarà dunque coperto di cemento e si continua senza pudore a dire che i due terzi sono tutelati.
Ancora. Per giustificare il diluvio di cemento (70 milioni a fronte di una città con popolazione stabile, a parte gli immigrati, da 20 anni) si dice che il vecchio piano prevedeva bel 120 milioni di metri cubi e che pertanto ne sono stati tagliati 50. Due menzogne in una. Intanto non è vero che il piano del 1965 avesse un residuo così astronomico. Il calcolo è stato effettuato sommando tutte le cubature lì previste, quelle private e quelle pubbliche. Aree immense come i 600 ettari dell’Università di Tor Vergata, la città militare della Cecchignola, o l’area della ricerca alla Casaccia avevano un indice molto alto (2 metri cubi al metro quadrato) sono state infilate in un immenso frullatore che tutto omogeneizza. In un piano “pubblicistico” come quello del 1965 erano previsti ben 9.000 ettari di servizi pubblici: 180 milioni di metri cubi. Et voilà i 120 milioni di residuo: scuole e ospedali sono considerati come le abitazioni private! La seconda bugia è che sia stato il nuovo piano a tagliare le cubature. Intanto non sono stati tagliati 50 milioni di metri cubi per le cose che dicevamo prima. Ma, ciò che più conta, il merito è della migliore urbanistica e dell’ambientalismo degli anni ’90. Cederna, De Lucia, Italia Nostra e tanti altri.
Anzi dalla metà degli anni ’90, i tagli veri strappati negli anni precedenti furono trasformati in “ diritti edificatori”. E qui iniziano le critiche all’impianto teorico del piano. Di fronte alla lucida politica di cancellazione delle previsioni edificatorie costruita negli anni ’80 e concretizzatasi nella “ Variante di salvaguardia” del 1991, con il “ Piano delle certezze” del 1997 si affermò che non si poteva tagliare nessuna previsione urbanistica. Nacquero i diritti edificatori che dovevano essere obbligatoriamente “ compensati”. Vincenzo Cerulli Irelli e Edoardo Salzano demolirono alla radice questa insensata teoria. Nel gennaio 2003, Italia Nostra presentò pubblicamente il loro parere pro veritate che dimostrava una cosa fondamentale: la legislazione in materia urbanistica consentiva, su basi di rigorose motivazioni, la cancellazione delle previsioni dei piani urbanistici.
Con lo sciagurato istituto della compensazione non solo è stata resa sistematica l’urbanistica contrattata, ma si è inaugurato un devastante meccanismo incrementale della crescita urbana. Le compensazioni avvengono infatti tra privati su aree private. Così chi ospita volumetrie originariamente destinate in altri luoghi esige il proprio tornaconto che si traduce almeno in un raddoppio delle volumetrie previste. Il caso del comprensorio di Tormarancia è esemplare. Erano previsti 1 milione e ottocentomila metri cubi: alla fine delle compensazioni sono diventati 5,2 milioni! Le improvvide invenzioni romane si sono propagate come un’epidemia in tutta Italia e ogni comune ha inaugurato la stagione delle compensazioni e i diritti acquisiti. Ne è nato lo scempio del bel Paese.
Il terzo pilastro teorico dell’urbanistica romana, il più aberrante. E’ la prevalenza delle previsioni urbanistiche sulla tutela paesistica, e cioè il capovolgimento della gerarchia legislativa italiana. Finora erano i piani di tutela ambientale che condizionavano i piani regolatori comunali: il paesaggio, lo ricordo ai responsabili dell’urbanistica romana, è un principio contenuto nella carta costituzionale. Lo scorso anno il comune di Roma ha imposto alla Regione Lazio di cambiare il piano paesistico per accogliere oltre 80 osservazioni finalizzate alla cancellazione di vincoli paesistici, così da consentire la realizzazione delle previsioni del piano. Anche qui è facile comprendere la gravità del precedente sul dibattito nazionale.
Occupiamoci ora dei contenuti di merito del nuovo piano. Gli strumenti urbanistici traggono linfa dalla sistematica delle analisi, e cioè dallo sforzo di comprensione delle dinamiche in atto. Sforzo modesto o inesistente nel caso del piano romano. Sarebbe bastato analizzare il fenomeno demografico per comprendere che dal 1991 a oggi (è la provincia di Roma a certificarlo) da Roma se ne sono andati via circa 300.000 abitanti per andare ad abitare nei comuni della corona metropolitana. A Roma città, poi, cresce solo la parte esterna al grande raccordo anulare. Tutto l’anello interno sta perdendo popolazione, mentre i luoghi di lavoro sono rimasti nello stesso ristretto spazio del centro storico, dei quartieri della prima periferia e all’Eur. Ottocentomila cittadini (è sempre la Provincia a certificare le quantità) si spostano dai comuni metropolitani per andare a lavorare nel centro della città. A Roma non esiste alcun fenomeno che non sia leggibile e risolvibile alla scala metropolitana. Ma il nuovo piano regolatore al riguardo non dice nulla e pensare di risolvere il futuro della città nel suo ristretto ambito è stato un errore gravissimo.
Dicevo prima che Roma si sta vuotando di residenti. Sono stati rimpiazzati da un imponente fenomeno immigratorio. Vivono a Roma oltre 400 mila stranieri. Una città delle dimensioni di Bologna. Si sarebbe potuto sfruttare questo fenomeno esogeno per costruire prospettive urbane di straordinaria valenza: come fornire alloggi a queste persone, quali servizi dedicare loro, quali centri di aggregazione culturale e religiosa fornirgli. Il piano regolatore non dice nulla. Questo esercito di uomini e donne è stato abbandonato alle logiche del “mercato”, costringendoli a finanziare un imponente fenomeno di affitti sommersi. Si è rinunciato a conoscere e programmare e oggi per la domanda di stranieri e studenti non si trova un posto letto a meno di 400 euro al mese. Una stanza vale oltre 600 euro.
E veniamo all’idea di piano. Affermava l’attuale assessore all’urbanistica Roberto Morassut che “ Il nuovo piano cerca di predisporre le basi per quella città policentrica che è stata un po’ il cuore della campagna elettorale del sindaco Veltroni. L’idea portante è togliere il dominio della rendita immobiliare, stabilendo che all’interno di ogni centralità debba insediarsi un mix funzionale, così che vi sia una parte residenziale, una parte per uffici, un’altra per i servizi e le funzioni moderne”. La prima occasione solenne è di pochi anni fa. Un gruppo di imprenditori-proprietari delle aree di Bufalotta sottoscrive un solenne contratto con il comune di Roma in cui si impegna a realizzare una delle mitiche centralità. Tre milioni di metri cubi equamente suddivisi in tre parti: commerciale, residenziale e terziaria. Nei due anni trascorsi sono stati realizzati i primi due segmenti del nuovo quartiere. Era arrivata l’ora della qualità. Ma il “mercato” non tira e allora i proprietari chiedono al comune di trasformare le previsioni di uffici in case.
E’ evidente che i patti sottoscritti non possono essere mutati a piacere. Le regole non si cambiano durante la partita. In particolare nel caso specifico di Bufalotta. Accettare di barattare uffici con residenze avrebbe avuto il significato di demolire la principale idea di piano, e cioè la diffusione in periferia delle centralità. Eppure nel novembre 2007 la giunta comunale di Roma ha deciso di accettare quella proposta indecente. E così facendo ha gettato a mare l’intero piano regolatore!
L’altra idea portante è quella del sistema ambientale. Abbiamo creato la più grande cintura verde del mondo, ci dicono. Davvero? Guardiamo gli atti. Le previsioni di piano sono state disegnate in scala di dettaglio, mentre il sistema ambientale è delineato con un dettaglio minore. La regola dell’urbanistica afferma che tra le due previsioni prevale quella più precisa: ciò significa che il grande disegno ambientale è una chiacchiera al vento. Vincerà il cemento. Lo avevano capito tutti ma molti hanno fatto finta di non capire. Si sono salvati (forse) la coscienza, ma hanno ingannato la città.
La gestione urbanistica, infine. La radicalità delle critiche che ho esposto è stata –se possibile- aggravata da una gestione quotidiana fallimentare. La pianificazione è stata disarticolata in tanti segmenti tra loro scoordinati. L’assessorato all’urbanistica per la redazione del piano. Quello alle opere pubbliche che sovrintendeva ai piani esecutivi. Ad una società esterna di amici, Risorse per Roma, è stato affidata la regia del futuro della città, sottraendolo alla normale dialettica democratica. All’assessorato alle grandi opere è stato infine affidata la fabbrica delle deroghe.
Attraverso l’uso dell’accordo di programma si variato continuamente lo stesso piano regolatore che si stava approvando. Con accordo di programma si è cambiato per decine di volte il piano adottato nel 2003. Con accordo di programma si vuole addirittura cambiare il piano che è stato approvato martedì scorso. Il giorno dopo il consiglio comunale sarà infatti costretto ad approvare una (o più) deroghe per soddisfare gli appetiti del mercato. Del resto è con tanti accordi di programma che si è permesso di costruire in soli sette anni 28 (ventotto) giganteschi centri commerciali. Due di essi sono stati addirittura definiti come i più grandi d’Europa, giganti con un’offerta di 6-7.000 posti auto. Il traffico romano è quotidianamente nel caos per soddisfare gli interessi di dieci società di distribuzione commerciale.
L’urbanistica romana è questa. Il piano è approvato, e quando si comincerà a diradare la cortina fumogena delle bugie fin qui diffuse da astuti manipolatori, resterà l’amara verità di questi anni: il più grande sacco urbanistico della storia della città eterna.
P.s. Alle tante menzogne che sono state accreditate in questi anni, Giuseppe Campos Venuti non poteva mancare di aggiungere un’ultima vergogna. Afferma in una intervista all’Unità che anche Antonio Cederna aveva tessuto le lodi del piano. Una spudorata bugia: è noto a tutti che i primi elaborati del nuovo piano regolatore sono stati resi pubblici dopo il piano delle Certezze, nel 1998. Antonio ci aveva lasciato da due anni.
Prima di quella data, è vero, c’erano stati alcuni documenti di indirizzo che Cederna salutò con piacere. Dalla cura del ferro alla politica di tutela dell’agro romano. Ma gli anni successivi hanno dimostrato che quegli indirizzi erano pura finzione. Della cura del ferro da tempo abbandonata basta chiedere a Walter Tocci che la ideò insieme a Italo Insolera. Per quanto riguarda l’agro romano è facile vedere che è sommerso quotidianamente da una dilagante “repellente crosta di cemento e asfalto”.
E’ davvero sintomo di “cattiva coscienza” strumentalizzare la memoria di un galantuomo che ha speso la sua vita per difendere Roma dagli assalti degli energumeni del cemento. Ed è spudorato, per essere gentili, che tali argomenti falsi vengano utilizzati proprio dal principale responsabile del piano del sacco urbanistico di Roma.