Che a conti fatti la Fiera abbia poi scelto l'offerta più vantaggiosa, con uno scarto di cento milioni di euro, è del tutto ragionevole. Ma c'è da chiedersi perché l'amministrazione comunale abbia avallato il progetto scelto, che non era l'esito di un concorso pubblico e sarebbe potuto essere benissimo modificato. Ecco: secondo me gli amministratori di Milano vengono scelti ed eletti per le loro nobilissime qualità, tra le quali non viene considerato il buon gusto nel campo estetico della città.
L'Expo del 1851, a Londra, lanciò la grande novità di un edificio in ferro e vetro simile a una serra. L'Expo di Barcellona del 1888 fu la vetrina del modernismo architettonico catalano sullo sfondo di Gaudì. L'Expo del 1889 a Parigi mostrò le incredibili possibilità costruttive dell'acciaio e, demolita l'immensa galleria delle macchine, ne rimase la torre Eiffel. L'Expo di Chicago del 1893 lanciò il movimento della City Beautiful, cui dobbiamo il rinnovo urbanistico di molte città americane e tra l'altro il Mall e il Campidoglio di Washington. L'Expo di Parigi del 1925 divenne cassa di risonanza dell'Art déco, ma toccò ancora a Barcellona, nell'Expo del 1929, di ospitare il nuovo stile moderno, con il famoso padiglione di Mies van der Rohe. E l'Italia? Se l'Expo di Torino del 1902 promosse la diffusione dello stile liberty in Italia: l'esposizione di Milano del 1906 non segnò alcun rinnovamento architettonico e finì per risolversi non solo in un programma estetico irrilevante ma anche, raccontano i giornali dell'epoca, in un fallimento su tutta la linea, compresa quella organizzativa che avrebbe dovuto legittimare la pretesa milanese di essere la capitale morale dello Stato.
Le città hanno, come le persone, un carattere radicato nel loro passato che permane nel tempo e che è difficile modificare. Sicché, se Barcellona e Torino hanno colto nell'ultimo ventennio l'occasione delle Olimpiadi per affermare la propria vocazione culturale nell'architettura, a Milano la curiosa ostinazione sul progetto CityLife dimostra soprattutto la continuità del dubbio gusto tradizionale delle amministrazioni milanesi.
Uno spettro si aggira per Milano, la diceria che il progetto sulle aree dismesse della Fiera, con i suoi discussi grattacieli, sia l'esito di un concorso. Non è vero: Luigi Roth, il suo presidente, ha messo in vendita l'area chiedendo — a mio avviso meritevolmente — che l'offerta economica fosse accompagnata da un progetto, e sui progetti presentati chiese il giudizio di undici esperti in vari campi.
Non so degli altri, ma a me venne chiesto un parere dal punto di vista urbanistico, parere negativo su 4 progetti su 5 — ottimo era solo quello di Renzo Piano — con motivazioni che chiunque può leggere sul sito www.esteticadellacitta.it
Vezio De Lucia, lei che è un po' la memoria storica dell'urbanistica a Roma, cosa pensa delle accuse mosse nella puntata di domenica scorsa di Report dal titolo «I Re di Roma» - il programma di Milena Gabanelli di Rai3 - all'amministrazione capitolina sulla gestione delle periferie?
Mi sembra che la cosa più importante sia aver rivelato il doppio binario che ha seguito l'urbanistica romana: da una parte si lavorava alla formazione del nuovo piano regolatore e dall'altra invece si continuava ad operare in deroga alle prescrizioni del vecchio Prg. In sostanza si è predicato bene e razzolato male, nel senso che il comune di Roma, che ha preso le distanze dal metodo adottato a Milano di trattare direttamente con i costruttori, ci ha messo un tempo spropositato - 15 anni - per concludere l'iter di approvazione del nuovo Prg e quando si è arrivati alla fine, quasi tutto era già stato fatto. C'è poi un secondo punto molto importante messo in rilievo nel lavoro di Report: l'assunzione da parte dell'amministrazione capitolina del principio secondo il quale ogni nuova edificabilità prevista nel vecchio Prg, il famigerato piano del '62, equivalesse a un diritto edificatore acquisito da parte dei proprietari. Non è vero, un nuovo piano può cancellare qualunque previsione precedente senza che ciò comporti alcun indennizzo, perché non c'è nessun diritto acquisito.
Da cui le cosiddette «compensazioni» che molto hanno favorito i costruttori, o no?
Sì, per esempio nel quartiere di Tor Marancia era prevista la costruzione di un milione e 800 mila metri cubi di edifici. Poteva essere semplicemente cancellata nel nuovo piano e invece, presumendo l'esistenza di un diritto edificatorio, si è dovuto compensare il proprietario di Tor Marancia per aver trasferito altrove l'edificabilità di quell'area. E poiché l'area destinata alla compensazione viene considerata meno pregiata di Tor Marancia, allora per compensare in qualche modo anche il proprietario della nuova area si è dovuta anche aumentare la cubatura degli edifici previsti. Alla fine in totale si sono autorizzati 5 milioni e 200 mila metri cubi.
L'assessore all'urbanistica di Veltroni, Roberto Morassut ha replicato agli autori di Report affermando ciò che da sempre sostengono, ossia che il nuovo Prg non solo ha dimezzato la cubatura rispetto al vecchio piano, ma ha anche esteso i vincoli storico-archeologici e di verde. Morassut sostiene che sono stati vincolati a verde due terzi del territorio romano, 88 mila ettari su 129 mila, che è l'area su cui si estende Roma. È vero?
I dati non tornano: la città consolidata, secondo fonti comunali di alcuni d'anni fa, è di 46 mila ettari. A questi vanno aggiunti i 15 mila ettari previsti nel nuovo piano e in tutto fanno 61 mila ettari, da detrarre ai 129 mila. Rimangono quindi solo 68 mila ettari di verde e spazi aperti. Ma nel «sistema verde», di cui fa parte anche l'agro romano vero e proprio, vigono però anche regole molto permissive che consentono per esempio gli scavi o le discariche. Insomma il problema è che nella superficie verde romana sono permesse anche attività che la erodono, la condizionano, la riducono.
E il patrimonio storico-archeologico invece è sufficientemente tutelato secondo lei? Prendiamo l'Appia Antica, il più grande parco archeologico del mondo, cosa avviene da quelle parti? Si parla di 8 mila domande di condoni edilizi su una superficie fortemente vincolata.
Sì, credo che sia un numero esatto. Tempo fa calcolai che nel parco dell'Appia Antica sono stati realizzati almeno un milione di metri cubi abusivi.
Ai tempi di Rutelli sindaco, i fratelli Toti non avevano ancora messo le mani sulla città. È stato durante la giunta Veltroni che sono diventati tra i costruttori più potenti della capitale. Di Alemanno dicono invece che sia più amico dei piccoli costruttori. Come è cambiato il panorama dell'imprenditoria edile a Roma?
Non sono un esperto di rapporti tra politica e costruttori, ma vorrei fare un ragionamento più generale. A Roma come in moltissime altre città italiane, a Milano o Firenze, ormai l'urbanistica è fortemente condizionata dai costruttori. Da questo punto di vista c'è stata una regressione nella politica italiana: basta tornare al centrosinistra dei primi anni '60, quando i socialisti per esempio volevano liberare le città dallo strapotere dei costruttori per restituirle al potere pubblico. Lo fecero con una serie di leggi e per un po' di lustri tagliarono le unghie ai costruttori. Invece negli ultimi 15 anni gradatamente le trasformazioni delle città sono di nuovo determinate perlopiù dalla forza crescente dei costruttori.
In questo siamo in linea con il resto d'Europa?
No, all'estero i costruttori non hanno questo peso esorbitante. A Londra, per esempio, nel decennio Blair la città è cresciuta di un milione di abitanti ma non è stato sottratto nemmeno un metro quadro alla greenbelt, lo spazio verde attorno alla città. L'amministrazione ha ristrutturato e riconvertito gli spazi già usati o le aree dismesse, intensificando magari, ma senza espandere ulteriormente la città. Questa è la politica perseguita in quasi tutta l'Europa più evoluta, mentre in Italia non se ne parla neanche e la saldatura nello stesso soggetto tra proprietario fondiario e costruttore è un'anomalia patologica. Per dare inizio alla riqualificazione della città bisognerebbe innanzi tutto fermare il consumo del suolo, bloccarne l'espansione.
A Parigi o a Madrid, come ha ben spiegato Report, la costruzione di un nuovo quartiere comincia dalle strade e dai servizi, mentre gli alloggi sono perlomeno di tre tipi: residenziali, popolari e intermedi, ci sono cioè appartamenti in affitto anche per la classe media.
È solo una questione di buona o cattiva amministrazione o dietro c'è proprio un'altra idea di città, una diversa concezione della società che si intende costruire?
Non c'è bisogno di andare sempre all'estero, basta guardare a come sono state pensate le città dell'Emilia Romagna, quelli che erano esempi di buona amministrazione, dove nascevano prima le urbanizzazioni o gli asili, e poi si facevano le case. Le periferie di Modena o gli asili nido di Reggio Emilia erano studiati in tutto il mondo. È sì un problema anche amministrativo, quindi, ma non solo: riguarda la concezione stessa dell'urbanistica. Il Prg di Roma è fondato su una ventina di cosiddette centralità disseminate a corona attorno al centro storico che disegnano automaticamente una figura centripeta della città, rafforzano ancora di più l'idea del centro. È ovvio che non possono esistere funzioni qualificanti decentrabili in misura tale da poter riempire le venti centralità e potranno al massimo contenere qualche centro commerciale e qualche servizio di serie C ma non avranno certamente nessuna forza per poter diminuire il peso abnorme che il centro esercita sull'assetto urbanistico di Roma.
Non è stato così in passato.
Prendiamo il piano regolatore del '62, di cui io sono stato sempre molto critico: un'idea di città però ce l'aveva. Prevedeva per esempio lo Sdo, il sistema direzionale orientale, il piano di dislocazione della città moderna nella parte est della città, allora periferica, dove concentrare funzioni pregiatissime come i ministeri o la grande direzionalità pubblica. Un vero e proprio centro alternativo a quello storico che in questo modo poteva effettivamente essere alleviato dal traffico e dall'inquinamento. Un'altra idea epocale che avrebbe cambiato la faccia di Roma era il progetto Fori voluto da Luigi Petroselli che prevedeva di completare gli scavi dei Fori Imperiali e chiudere al traffico l'intera zona.
Ma in una Roma che soffre nella sua periferia di incomunicabilità, di frammentazione del tessuto sociale, quale soluzione offre il nuovo Prg, quale anima immagina della città?
Nessuna. Venti microscopiche centralità costituite di case e poco più, non sono un'idea di città, non sono niente. Non si può certo pensare che disseminando sul territorio di cintura venti microcittà si riesca ad affrontare i problemi della sterminata periferia romana o si riesca a ritrovare una connessione, una ricucitura, ad avviare una ricerca di identità intorno a questi luoghi.
Cosa si aspetta da Alemanno e quale suggerimento gli darebbe?
Da Alemanno non saprei proprio cosa aspettarmi. Credo però che per Roma bisognerebbe immediatamente tracciare una linea rossa sui confini attuali della città, delimitare per così dire le colonne d'Ercole. E tutto ciò che occorre per far fronte alla carenza di alloggi e quant'altro deve essere fatto all'interno di questa linea rossa sfruttando le risorse finanziarie pubbliche e private per riqualificare le periferie, cominciando dalle parti più sofferenti. Demolire e ricostruire: sono operazioni molto più complicate che costruire nell'agro romano e che necessitano di molta più energia creativa, ma che sono possibili.
Urbanistica romana, dopo la bufera è l’ora degli schieramenti. Ma è proprio vero che le centralità, i nuovi quartieri-città che si stanno alzando nelle periferie, sono state per lo più disegnate su ettari d’oro dei grandi costruttori? «Si potrebbe rispondere di sì» risponde Italo Insolera, il padre della storia dell’urbanistica romana. «Perché è quello che si vede. Ma non mi soffermerei a parlare solo di questo. Il problema è la struttura del piano regolatore. E a questo proposito è uscito un libro interessante dell’economista Franco Archibugi, che ora insegna in Inghilterra e che sostiene che in una metropoli moderna le centralità possono essere una, al massimo due. Lo Sdo, il famoso sistema direzionale orientale, era una vera alternativa al centro. Mentre otto o più centralità sono una balla. Non esistono in nessuna città del mondo».
E la mancanza di servizi o per lo meno il fatto che nascano prima le case e poi le infrastrutture? «Non è vero» continua Insolera «che si tratti di un vizio, per così dire, romano di sempre. Perfino l’Ina Casa, nel periodo più duro della ricostruzione, ovvero dopo la fine della guerra, si preoccupava di fornire in modo pronto i servizi dei quartieri che costruiva. Noi, allora giovani architetti, progettavamo insieme case e servizi con i finanziamenti del Piano Fanfani. Magari subito subito non c’erano, ma dopo un mese, i nuovi abitanti avevano tutto a disposizione. Non solo, c’era qualità architettonica, che ora, è opinione comune, nelle case dei nuovi quartieri non si vede. Gregotti si è impegnato per il piano di Acilia Madonnetta, ma, a parte lui, avete mai visto le abitazioni di qualcuno di questi quartieri periferici finire sulle riviste di architettura?».
Un altro urbanista di fama, Leonardo Benevolo, parla dal suo studio vicino Brescia. «Finora ho soltanto sentito critiche giornalistiche. Lo studio di un Piano è un’altra cosa. Ma quello di Roma è una canovaccio che sottolinea i temi da sviluppare, un’idea interessante, dopo il prg del ‘62 che ha scatenato l’abusivismo. Forse si è abusato di accordi di programma estranei al Piano stesso. Ma la questione centrale è un’altra. L’ente pubblico non si può limitare a dare autorizzazioni a costruire, altrimenti perde il controllo del territorio. Deve scendere in campo, come viene fatto in tutta Europa, con società miste con i privati, deve comprare le aree, urbanizzarle, scegliere i progetti e poi rivenderle. È un circolo virtuoso, che darebbe all’amministrazione il compito di disegnare veramente, da un punto di vista urbanistico e architettonico, la nuova metropoli».
La puntata di Report sull’urbanistica romana ha «scoperchiato» il vaso. Ma le critiche si sono abbattute sulla amministrazione Rutelli-Veltroni non proprio a ragione secondo Paolo Avarello, presidente dell’Istituto nazionale di Urbanistica, perché tutto ciò che è stato trasmesso da Report - spiega Avarello - non è il nuovo ma l’eredità del vecchio piano regolatore che risale al ’65 ma si allunga fino ai nostri giorni. Ora, invece, le amministrazioni Rutelli e Veltroni lasciano in eredità ad Alemanno con il nuovo piano regole che dovrebbero migliorare la qualità urbana in una città massacrata da decenni di abusivismo. Alemanno saprà farle rispettare? Una domanda che preoccupa il presidente dell’Inu.
Parliamo prima del passato recente. Che tipo di rapporto hanno impostato le amministrazioni Rutelli e Veltroni con i costruttori?
«Intanto le due amministrazioni non sono state la stessa cosa e non si sono trovate ad affrontare esattamente le stesse questioni. In particolare, la seconda amministrazione Rutelli ha avuto il grosso problema di liquidare il pregresso: chiudere i conti con il vecchio piano, ridurne le previsioni edificatorie. E ha scelto di farlo patteggiando con i privati, che dal piano del ’65 si erano visti riconosciuti una serie di diritti edificatori».
Non si poteva semplicemente dire: qui non si costruisce più?
«No, perché una volta assegnata l’edificabilità l’amministrazione, con le leggi vigenti in Italia, non ha molti margini per tornare indietro: i privati acquisiscono un diritto e se l’amministrazione prova a toccarlo, fanno ricorso e nel giro di 8 anni – tanto durano le cause – di solito vincono loro. Per di più l’ultima finanziaria Berlusconi ha ribadito che l’Ici si paga anche sulla sola previsione edificatoria del prg. Quindi se non vuoi più che il privato costruisca devi anche restituirgli l’Ici pagata. Comunque per liquidare i vecchi diritti edificatori le vie erano sostanzialmente due: patteggiare con i privati oppure espropriarne le aree. Ma l’amministrazione non aveva soldi per farlo.
Quindi è venuta a patti con i privati?
«Sì, non patti segreti, ma accordi in base ai quali l’edificato previsto nel vecchio prg è stato spostato altrove: non dove si era costruito troppo ed era meglio lasciare spazio a un parco, non nelle aree centrali ma in quelle periferiche, che valgono di meno, quindi aumentano le cubature. Si chiama compensazione e si pratica ovunque. Roma però ha dovuto anche fare i conti con una legge urbanistica regionale rigida per cui il piano ha dovuto stabilire non solo dove, ma anche quanto, come costruire. Mentre in Toscana, per esempio, quanto e come lo si vede in un secondo momento, proprio per evitare che si stabiliscano dei diritti acquisiti rigidi».
Perché il Lazio ha scelto un’altra via?
«La Regione aveva un assessore del Prc e i suoi consulenti, molto di sinistra, sostenevano che tutto si doveva espropriare e costruire a spese del pubblico».
E invece?
«Nella pratica il pubblico non ha i soldi. Una condizione diffusa oltre i confini italiani: anche altrove il pubblico non avendo soldi patteggia con il privato».
Forse altrove si patteggia in modo più vantaggioso?
«Sì, ma non è che l’amministrazione di Roma sia tra le ultime d’Europa. Su alcune cose ha fatto meglio, su altre ha “sbracato”. Il punto è che patteggiare si faceva anche prima, ma sottobanco e la quota sottratta ai costruttori andava in tasca ai decisori politici o tecnici e non per finanziare opere pubbliche. L’amministrazione Rutelli ha impostato l’urbanistica in modo che su ogni singolo progetto si decide cosa farà il privato per sé ma anche quale contributo in termini di aree verdi e opere pubbliche. Gli oneri concessori previsti per legge sono veramente una frazione minima: l’amministrazione si è fatta dare qualcosa di più dai privati in verde e in infrastrutture».
Ma il Comune non ha aree sue?
«Ne ha, ma non nei posti giusti, quindi se le deve far dare dai privati».
Vuol dire che ciò che è stato costruito in questi anni, frutto di questo patteggiamento, era un male necessario?
«Sono i quartieri previsti dal vecchio piano, un male inevitabile più che necessario, viste le leggi e le condizioni economiche».
Ma non si poteva dire qualche no in più?
«Forse sì, ma tenga conto di cosa significa l’edilizia a Roma».
Cosa significa?
«La prima attività non terziaria».
Risultato?
«Alcuni interventi sono infelici, altri meno, alcuni sono di buon livello. Ma quasi nulla di quello che ora fa gridare allo schifo viene dal nuovo piano, compresa la Bufalotta, che era in avanzata esecuzione quando è stato approvato il prg. Fare “papponi” in cui si tende a confondere il prima e il dopo e le responsabilità è ingiusto».
Ma Veltroni e Rutelli hanno davvero voltato pagina?
«Basta confrontare il peggiore dei quartieri realizzati in questi anni con via della Magliana o con le concentrazioni di abusivismo condonato».
E però le infrastrutture continuano ad inseguire ciò che i costruttori hanno già realizzato.
«Purtroppo è più facile fare le case che le infrastrutture. Però, per le nuove edificazioni è stato ribadito in sede di adozione del piano che senza metropolitana non si costruisce. Una regola che i costruttori non hanno mandato giù: speriamo bene.
Teme per il futuro?
«So che Alemanno ha detto che bisognerà rivedere alcune cose del piano. E so che su questo punto le pressioni sono molto forti».
L’idea centrale del piano è costruire in periferia nuove centralità. Funziona?
«La periferia romana è particolare, molto slabbrata con molti buchi: alcuni sono parchi altri no. Una periferia fatta solo di case non è una buona cosa. L’idea iniziale di densificare portando anche servizi e metropolitane, pattuita anche qui con gli operatori economici, era ottima. Però sconta molti ritardi. Storace per anni ha bloccato per motivi politici i grandi progetti di riqualificazione contrattati con interventi privati e poi si è perso tempo anche per completare i vecchi piani di edilizia economica che hanno prodotto quartieri brutti e nemmeno tanto economici. Nel frattempo è cambiato il mercato: quando l’iter è iniziato tutti volevano fare centri direzionali, centri commerciali, alberghi. Oggi i centri commerciali abbondano, vendere gli uffici è difficile, l’unica cosa che tira ancora è la casa».
Quindi anche l’idea delle centralità rischia di naufragare?
«So che Alemanno ha accennato che ci vuole qualche cambiamento al prg. E la pressione dei costruttori è la solita: fare solo e soltanto palazzine».
Incredibile. Continuano a mentire sui cosiddetti “diritti edificatori” che non esistono. Continuano a dire che, se un comune vuole fare una variante al piano regolatore che elimina, motivatamente, l’edificabilità concessa ad alcune aree, deve indennizzare i proprietari. E chi lo afferma è il presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica!!! (veramente, sapevamo che da qualche anno era un altro). Ci tocca ripetere per l’ennesima volta che il piano regolatore non attribuisce alcun “diritto edificatorio”, e che invece rimane totalmente in piedi il diritto di variante del Comune, purchè motivato. La dimostrazione della balla dei “diritti edificatori" venne fornita alcuni anni fa e dimostrata per tabulas (vedi in questo sito: Forse che il diritto impone di compensare i vincoli sul territorio?) e confermata da autorevoli giuristi (vedi la lettera a Italia nostra del prof. Vincenzo Cerulli Irelli).
Se i governanti di Roma hanno preferito accontentare la proprietà immobiliare anziché modificare il PRG eliminando l’eccesso di previsioni del vecchio PRG, concepito e approvato nella lontana “età dell’espansione”, ciò dipende da una precisa scelta politica, culturale, sociale: quella di cercare e ottenere sempre l’alleanza, il sostegno e l’appoggio degli interessi della proprietà immobiliare volta alla speculazione sul plusvalore dei suoli. La stessa scelta, del resto, che era state compiuta e ribadita dalle giunte dominate dalla destra democristiana, nei decenni precedenti alle giunte di Argan, Petroselli e Vetere.
la Repubblica
In Chinatown solo a piedi
di Alessia Gallione
La zona a traffico limitato pronta a partire a settembre. Ma soprattutto la promessa di trasformare via Paolo Sarpi in una strada pedonale, con i cantieri che potrebbero aprire nell’estate del 2009 per riportare a nuova vita il quartiere tra due anni. È una accelerazione decisa quella impressa da Palazzo Marino per risolvere la questione di Chinatown. E questa volta è la stessa Letizia Moratti ad assicurare tempi brevi: «Partiremo nelle prossime settimane per arrivare a una Ztl a settembre. È una delle tappe che stiamo portando avanti nell’interesse dei residenti e dei commercianti», ha assicurato il sindaco. Perché per ora, in attesa che da un incontro del tavolo istituzionale fissato lunedì prossimo arrivi una risposta dalla comunità cinese sul luogo scelto per trasferire le loro attività, c’è solo una certezza: «Il commercio all’ingrosso in zona Sarpi non può più restare».
L’ipotesi di Lacchiarella per uno spostamento dei grossisti rimane la più praticabile e immediata. Lo ha confermato anche il console cinese Limin Zhang al termine di un vertice in Comune da cui, però, non sono arrivate certezze: «Siamo ancora in una fase di studio delle proposte in campo - ha spiegato - anche se in questi giorni ci sarà una scelta unica e definitiva. Alcune aree sembrano ideali come per esempio Lacchiarella». E, per complicare ancora di più la questione, ieri è spuntata un’altra ipotesi a Locate Triulzi. È proprio di fronte a questo "tira e molla", che Palazzo Marino ha detto basta. «Dopo un anno di trattative non possiamo più aspettare. La Ztl partirà e nel frattempo sosterremo nuove opzioni per il trasferimento all’ingrosso: più ce ne sono meglio sarà», dice il vicesindaco Riccardo De Corato. E anche l’assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli ribadisce: «A noi l’ipotesi Lacchiarella sta bene anche se non considero ancora morta l’opportunità di via dei Missaglia». «Quello che vogliamo sono garanzie - aggiunge l’assessore al Commercio Tiziana Maiolo - una lista dei grossisti e la data del trasloco. Non ci saranno sussidi diretti, ma un’informazione dei possibili incentivi». Critico il consigliere del Pd Pierfrancesco Majorino: «Dopo più di un anno è ancora tutto fermo. Dal 21 organizzeremo incontri per aiutare la giunta con proposte mirate a uscire dal pantano in cui si è cacciata».
La Ztl che partirà a settembre consentirà l’accesso per i residenti non in tutto il quartiere ma solo nell’isolato in cui abitano e due strade, via Rosmini e via Niccolini, resteranno aperte al traffico. Quattro telecamere saranno sistemate in via Sarpi. Tra i cambiamenti ci sarà la modifica del senso di marcia di alcune vie: via Lomazzo, via Sarpi verso via Bertini, in via Messina si circolerebbe da via Sarpi verso via Fioravanti e in via Braccio da Montone da via Sarpi verso via Giusti. «La Ztl ci consentirà di studiare la pedonalizzazione e il progetto partirà subito», spiega l’assessore al Traffico Edoardo Croci. Il punto di partenza è un piano presentato da Unione del Commercio e Camera di commercio cinque anni fa, che trasformerebbe via Sarpi in una nuova via Dante, con la possibilità di passaggio solo per i residenti che hanno un posto auto, una nuova pavimentazione, panchine e verde. Per i lavori nel prossimo bilancio si dovranno prevedere almeno 4 milioni di euro di spesa e due anni di lavori.
Il Corriere della Sera
Moratti, via le auto da Chinatown
di Andrea Senesi
Linea dura del Comune per convincere i grossisti a traslocare da via Sarpi. «Da settembre, massimo ottobre, partirà la zona a traffico limitato nel quartiere», dice il sindaco Letizia Moratti. La pista più accreditata rimane quella di Lacchiarella, comune a sud di Milano. Anche se il sindaco Luigi Acerbi non nasconde qualche perplessità: «Non siamo stati coinvolti nella decisione». Ma neppure l'ipotesi via dei Missaglia è completamente tramontata.
Nell'attesa, tra i commercianti cinesi di via Sarpi e dintorni, la tattica più usata è la melina. Cercano di prendere tempo, gli asiatici, con (forse) l'obiettivo di alzare il più possibile la posta in palio, di incassare somme elevate di denaro per vendere quei negozi «che abbiamo comprato pagando in contanti».
Ora basta, non si scherza più. I grossisti cinesi da via Sarpi e dintorni se ne devono andare. Da settembre, massimo ottobre, tutto il quartiere diventerà una zona a traffico limitato. Obiettivo: eliminare i carrellini dei grossisti. Che devono decidersi ad accettare una delle ipotesi di trasferimento sul tavolo dell'amministrazione ormai da mesi.
Ieri, per la prima volta, è stato lo stesso sindaco Letizia Moratti a parlare della necessità di dare il via alla zona a traffico limitato: «A breve partiremo con la segnaletica per arrivare a una ztl nel mese di settembre e ottobre».
Quattro telecamere regoleranno l'accesso, consentito ai residenti solo per l'isolato in cui abitano. Di più. I tre assessori alla partita — Tiziana Maiolo (Attività produttive), Carlo Masseroli (Urbanistica) e De Corato (vicesindaco, con delega alla sicurezza) — rialzano la posta. Nel 2009 partiranno i lavori (due anni di tempo) per la pedonalizzazione dell'area. Via Sarpi come via Dante, il fantasma agitato per convincere i grossisti a fare le valigie da via Sarpi. Già, ma verso dove? Lacchiarella rimane la pista più accreditata. Lì ci sono i capannoni abbandonati del Girasole, e lo stesso sindaco del Comune a sud di Milano, Luigi Acerbi, si dice possibilista sull'operazione. A patto che non sia quel maxi-polo del commercio all'ingrosso per tutto il nord Italia che qualche imprenditore cinese già immagina. «Non deve avere un impatto negativo sugli equilibri della nostra comunità». E poi, il problema del metodo. «Milano avrebbe dovuto coinvolgerci prima nell'operazione» lamenta il sindaco. Attacca anche l'opposizione: «Dopo più di un anno a Chinatown è ancora tutto fermo», dice Piefrancesco Majorino del Pd.
A Palazzo Marino il timore vero è un altro. E cioè che la comunità accetti Lacchiarella senza offrire in cambio garanzie precise sui tempi della delocalizzazione da Sarpi. «Tant'è vero — ragiona la Maiolo — che abbiamo chiesto, per ora senza risposta, una lista dettagliata dei commercianti che accetterebbero il trasloco». In ogni caso, la pazienza è finita, ripetono in coro dal Comune. E per i grossisti — ribadiscono — non ci saranno aiuti di natura economica. «La decisione di creare la Ztl — attacca De Corato — risale ad aprile dello scorso anno. Dopo più di un anno ora non possiamo più attendere ». «Una vittoria della Lega», esulta il capogruppo del Carroccio Matteo Salvini. E sul quartiere che verrà circolano già i primi progetti. Dal recupero dell'ex stabile Enel di via Niccolini a una nuova libreria Feltrinelli che dovrebbe aprire nella zona nel frattempo liberata dai carrellini. «Non so come la partenza della Ztl sarà presa dai commercianti cinesi» dice il console Limin Zhang. Che, nel merito conferma: «Mi risulta che qualcuno ha già accettato il trasferimento a Lacchiarella. Lì sono già pronti i capannoni e i terreni». Detto comunque che l'ipotesi Gratosoglio non è del tutto tramontata (Masseroli sostiene che la soluzione potrebbe essere «complementare » a quella di Lacchiarella), al tavolo di ieri ne è spuntata, portavoce il console, un'altra: Locate Triulzi. Nel frattempo, la Ztl partirà. Con buona pace dei commercianti cinesi. E italiani. Che piuttosto della soluzione intermedia preferirebbero da subito la completa pedonalizzazione dell'area. Lunedì è in calendario il prossimo incontro tra Comune e comunità. Potrebbe essere il giorno della verità sul destino della zona Sarpi. Spettatori interessati: Gratosoglio, Lacchiarella e Locate Triulzi.
la Repubblica
Al Girasole già spuntano uffici con gli ideogrammi
di Anna Cirillo
I giardinieri rasano i prati a puntino, non un filo fuori posto nell’immenso giardino in cui è immersa una cittadella agonizzante. Il Girasole è un gioiellino, sembra un villaggio vacanze in campagna. Ma i capannoni rossi di questo comprensorio a poco più di due chilometri da Lacchiarella (tre dall’autostrada A7) dedicati da sempre all’ingrosso di abbigliamento, sono in parte abbandonati. Più della metà chiusi, non affittati. Si gira nel dedalo di strade silenziose con una sensazione di vuoto e desolazione. E in uno spazio sporco e disadorno spiccano cartelli con ideogrammi. È l’ufficio messo in piedi dai cinesi per attirare qui i commercianti di via Sarpi. Ma anche altri, perché no.
L’intuizione fu di Berlusconi, a costruirla l’Edilnord, inaugurazione nel 1985: 800mila metri quadrati, 22 padiglioni dall’aria discreta, un totale di superficie coperta di 170mila metri quadrati, più il palazzo Marco Polo, destinato a uffici e centro direzionale. C’erano due banche, andate via nel 2001, tabaccheria, ristorante: ora è deserto, sopravvive solo il bar. La storia del Girasole è stata di gloria per circa una decina d’anni. Cittadella della moda, con sfilate, grossisti di livello, pista di atterraggio per elicotteri, la Fiera di Milano che portò qui alcune manifestazioni fino al 1994. Tanto che prima della scelta di Rho-Pero si parlò di piazzare la fiera in un’area industriale adiacente al Girasole. «All’inizio qui era pieno di grossisti, tutta roba di qualità, gli spazi mancavano - racconta Vittoria Aspirondi, commerciante all’ingrosso di abiti, arrivata 23 anni fa - . I cinesi ben vengano, porteranno un po’ di gente, un po’ di vita in questo posto vuoto, che è un delitto far morire». «Tutto il mondo veniva qui, arabi, americani, francesi, era un piacere non solo per la qualità dei prodotti ma anche per le manifestazioni» ricorda Renata Pellizzari, due negozi a Milano e a Lignano. Poi il declino. La Fininvest a inizio anni ‘90 vende la proprietà a diversi enti di previdenza. «Il vero problema del Girasole è questo - spiega Brunello Maggiani, storico di Lacchiarella, amministratore di alcuni padiglioni - . Uno dei padiglioni più grandi, 14.400 metri quadrati, è stato appena venduto dall’Enpam, l’ente di previdenza dei medici, alla Pirelli Real Estate. Altri proprietari, in ordine di importanza, sono Cassa pensione geometri, Inpdap, Inps, Enasarco, Cassa notai, Cassa ragionieri. Il 75 per cento dello spazio è in mano a enti previdenziali». Che non usano i padiglioni e non li affittano. A parte Groma, società di gestione servizi integrati per patrimoni immobiliari, costola della Cassa geometri che agisce anche per conto di Enasarco. Ed è con Groma che i cinesi stanno trattando. «Un gruppo di ristoratori di Paolo Sarpi - spiega Vincenzo Acunto, direttore generale di Groma - ha firmato con noi un pre-contratto di locazione per quasi 50mila metri quadrati di capannoni, depositi per commercio all’ingrosso di proprietà nostra e di Enasarco. L’affitto è 6 euro al metro quadrato al mese, più gli oneri condominiali: sorveglianza 24 ore su 24, riscaldamento centralizzato, manutenzione verde e strade. Se l’operazione non va in porto perderanno la cauzione, altrimenti gli affitti inizieranno da luglio, con contratti di 6+6 anni». La società di cinesi, che ha aperto un ufficio in loco, fa da intermediaria per subaffittare gli spazi a connazionali. Il sindaco di Lacchiarella, Luigi Acerbi, non è contrario all’operazione, «a condizione che si dimostri che ha ricadute positive per noi. Non siamo disponibili ad accettare qualsiasi cosa. E poi ci dev’essere un adeguamento infrastrutturale che non può essere sostenuto solo da Lacchiarella. Per questo è importante il dialogo tra istituzioni, che finora non è avvenuto».
Non solo apparentemente, ma anche in sostanza, è del tutto corretto il modo in cui – almeno a sentire gli articoli riportati – si starebbe avviando a soluzione l’annoso problema della incompatibilità fra tessuto storico e attività “pesanti” come quelle che si legano necessariamente a grossi movimenti merci. Si aprono prospettive di vera rinascita per un quartiere a lungo in bilico fra vitalissima zona commerciale urbana e rischio di degrado, spaziale così come sociale. E con la scelta di una struttura già presente nell’area metropolitana, ma sottoutilizzata, si prospetta uno sbocco sicuramente migliore di quello nelle scarse aree verdi ai margini del comune di Milano che si era affacciato in precedenza. Però.
Però, anche tralasciando per ora il fatto che quello che si prospetta per il quartiere centrale “liberato” è un processo di gentrification assai poco strisciante, va guardata forse meglio la posizione del Girasole, nel bel mezzo del parco agricolo di greenbelt , e ad esempio a poche centinaia di metri da un grosso polo logistico all’interno del medesimo territorio comunale. E, ancora ad esempio, proprio nella fascia a parco ufficialmente non ancora toccata dai grandi progetti della Traiettoria Orbitale Milanese. Si prospetta forse qualche altra operazione di forzatura dei piani, in qualche modo simile a quella bi-partisan ormai celebrata del Cerba, nel caso in cui gli spazi esistenti dovessero risultare molto meno accoglienti di quanto si dice?
Perché non pensavano certo ad allargare il campo giochi dell’oratorio, i sindaci che tanto premevano a favore del famigerato “emendamento ammazzaparchi” mentre all'orizzonte si profila, già approvata in commissione, la nuova legge sulle infrastrutture che privatizza le fasce laterali a favore della capannonizzazione del territorio (f.b.)
Roma, bufera sull’urbanistica
Paolo Boccacci
«Questa puntata di Report è un cattivo esempio di servizio pubblico informativo. Non me lo sarei aspettato. Sono costretto a passare alle vie legali.».
Finirà in tribunale lo speciale della trasmissione Report dedicato all’urbanistica romana, un martellante j’accuse di un’ora sui nuovi quartieri nati nella periferia della Capitale negli ultimi quindici anni sotto le giunte di centrosinistra. A querelare il programma condotto da Milena Gabanelli è l’ex assessore all’Urbanistica della giunta Veltroni e ora deputato del Pd Roberto Morassut, che attacca: «C’è un’incredibile massa di falsità e di approssimazioni che vuole gettare un’ombra su 15 anni di politica urbanistica capitolina, su un’amministrazione che ha approvato per la prima volta dopo 100 anni il piano regolatore generale con tre voti di consiglio, 7000 osservazioni e migliaia di incontri con cittadini, comitati di quartiere, associazioni imprenditoriali, associazioni ambientaliste e organizzazioni professionali».
I capi d’accusa della trasmissione sono numerosi e pesanti, sostenuti da interviste ad abitanti dei nuovi quartieri, ad ambientalisti, urbanisti "critici" come Paolo Berdini e Vezio De Lucia, e all’archistar Massimiliano Fuksas, messe in contraddittorio indiretto con un "botta e risposta" con lo stesso Morassut.
La prima accusa è quella di aver progettato le nuove centralità, ovvero i nuovi quartieri, su terreni di proprietà dei grandi costruttori, da Francesco Gaetano Caltagirone ai Toti, dai Parnasi agli Scarpellini. Ma non è tutto. Si parla anche di case già costruite e di servizi che mancano. A Ponte di Nona, il quartiere di Caltagirone, gli abitanti affermano che il trenino passa ogni 40 minuti. A Bufalotta, edificata da Caltagirone, dai Toti e da altri costruttori, invece non ci sarebbe ombra di quel "parco delle Sabine" pubblicizzato dai cartelloni con le offerte delle case in vendita.
E ancora. Durante tutto l’arco del programma si riafferma il concetto che ogni operazione rappresenterebbe un enorme regalo fatto ai costruttori e una cementificazione anche di aree pregiate del territorio. Vediamo a volo d’uccello. La Nuova Fiera di Roma? Un regalo ai Toti. La nuova sede della Luiss nel complesso dell’Assunzione? Altro cadeaux. La Centralità della Romanina? Un grande affare per il costruttore Scarpellini, che avrebbe offerto 50 milioni per costruire la nuova metropolitana in cambio di un aumento di cubatura, poi negato, che gliene avrebbe fatti guadagnare 250. Avanti. Ad Acilia niente campus universitari promessi. Poco lontano i palazzi abusivi di Antonio Pulcini, soprannominati "Le terrazze del presidente" condonate, mentre si aspetta ancora il raddoppio di via Acilia. Ancora: Grotta Perfetta quartiere dormitorio, Tor Pagnotta anche. A Vitinia le costruzioni metterebbero in pericolo le antiche torri. A Ponte di Nona gli abitanti passano in macchina venti giorni all’anno per il traffico. Tor Vergata non ha un metrò. E sulla via Appia Antica si condonano gli abusi edilizi. Infine anche la Città dei piccoli nell’ex Fiera di Roma della Colombo sarebbe un colossale affare per gli imprenditori che vi costruirebbero case, uffici e negozi, mentre Bonifaci ha avuto il cambio di destinazione d’uso per far nascere delle case a ridosso della Flaminia. Ma Report va anche a Parigi e a Madrid per scoprire che nella Capitale francese si costruisce solo su suoli acquistati da una società mista con la presenza del capitale pubblico al 51% e in quella spagnola il Comune costruisce e affitta case a 350 euro al mese.
«Il quadro di Roma? Assolutamente veritiero» afferma Vezio De Lucia «con tanti regali ai costruttori. L’errore più grande nell’aver avviato quella procedura che al tempo dell’amministrazione Rutelli fu chiamata "pianificar facendo" che significava facciamo il piano, e ci sono voluti 15 anni, e nel frattempo si assumono decisioni in deroga contrattate con i costruttori, anche con l’accordo della sinistra radicale».
Critico l’architetto Paolo Desideri. «È spregevole ridurre la lettura di 15 anni della storia urbanistica di Roma delle giunte di sinistra al fatto che la sinistra avrebbe imparato a fare affari. Non è vero. La sinistra ha imparato a fare regole. Le giunte Rutelli e Veltroni hanno il merito di avere varato il nuovo piano regolatore, le regole di questo mercato liberista che è sempre stata la Roma dei palazzinari, esattamente il contrario di quello che si è visto in televisione».
«Nell’urbanistica romana non c´è niente di positivo» afferma l’urbanista Paolo Berdini «Il problema è la guida della città che deve essere nelle mani dell’amministrazione pubblica e non della proprietà fondiaria. Ho contato oltre 50 accordi di programma in variante sia al piano del ‘62 che a quello nuovo. La somma di tanti pezzi scollegati non fa una città».
«Sono un estimatore della Gabanelli» ribatte l’ex presidente dell’Inu Paolo Avarello «ma questo servizio mi ha deluso, perché si punta a fare spettacolo con una confusione di informazione e molto qualunquismo. Era tutta una melassa tendente al negativo senza approfondimenti veri sul negativo e senza citare il positivo che c’è».
"Abbiamo demolito 250 costruzioni abusive"
Carlo Alberto Bucci
Dieci anni con le ingiunzioni di abbattimento in mano e le ruspe alle spalle. Con centinaia di demolizioni abusive messe a segno. E con due volte l’auto da ricomprare perché, nel 1998 e nel 2000, l’utilitaria di famiglia venne data alle fiamme. Lettere minatorie, pedinamenti, cani feroci alle calcagna. È la vita, sotto tiro e sotto scorta, di Massimo Miglio, 58 anni, dal 1998 alla guida dell’Ufficio centrale antiabusivismo del Comune di Roma.
Anche il suo ufficio è stato citato da Report. Perché?
«Hanno detto che abbiamo regalato 700mila metri cubi al costruttore Pulcini. Un banale errore. Il nostro ufficio non è competente al rilascio di concessioni. Ma si occupa, esclusivamente, della repressione dell’abusivismo».
Dieci anni di lavoro, quante demolizioni?
«Circa 250, a Roma e provincia, per un totale di mezzo milione di metri cubi di volumetrie abbattute».
Un bel polverone.
«Non sta a me dirlo. Certo, non mi risulta che in Italia esista una città che più di Roma abbia represso l’abusivismo edilizio».
Nonostante i condoni dell’85, del 1994 e del 2003?
«I condoni edilizi sono stati nefasti, certo. Ma più nefasto è il prendere tempo. È invece necessario intervenire con immediatezza, fare presto. Abbattere cioè quando l’edificio è ancora solo uno scheletro di cemento. E questo nell’interesse anche della persona che ha fatto l’abuso, che eviterà così nuove, inutili spese».
Dal centro storico alla periferia, dai parchi alle antenne di Monte Mario: quali sono state le "Punta Perotti" di Roma?
«I nostri ecomostri sono, erano, i due complessi da 25 appartamenti abbattuti in zona Boccea. Ma anche le 60 abitazioni, costruite sui resti di una fattoria in via della Giustiniana, nel Parco di Veio, zona protetta e vincolata, demolite l’anno scorso».
Stesso rigore sull’Appia Antica?
«Certo, ricordo nel 2005 che intervenimmo di notte per tirare giù le costruzioni abusive di fronte a Cecilia Metella scoperte il giorno prima. E al momento non ci sono nuovi casi di abusi recenti né demolizioni in programma. La zona è ben controllata».
Nel 2004 vi presero a sassate quando interveniste al Celio.
«Veramente fui inseguito da un uomo che, armato di bastone, mi urlava: "Ti ammazzo!" C’è stata da poco l’ultima udienza per il processo. Ma ciò che conta è che siamo intervenuti abbattendo edifici nel verde, che poi è diventato parco pubblico. Una grande soddisfazione».
Che strumenti le servirebbero per migliorare la lotta al mattone selvaggio?
«Ad esempio, che il Tribunale amministrativo regionale, ogni volta che sospende l’esecuzione di un provvedimento di demolizione, contestualmente sospendesse la prosecuzione dell’attività edilizia».
Perché?
«Altrimenti diventa un vincolo per l’amministrazione comunale. E una sorta di liberatoria per l’autore dell’abuso edilizio».
Morassut: "Hanno deformato la realtà Le regole sono certe"
Paolo Boccacci
Morassut, ha annunciato una querela a Report, parlando di falsità raccontate sull’urbanistica romana.
«Certo. Un esempio? Si è detto che in una memoria di giunta presentata da me il 22 febbraio del 2008 per la centralità di Acilia Madonnetta, vi sia stato scritto che il campus universitario di Roma Tre sia saltato e che non vi sia nessuna previsione di trasporti pubblici. Niente di più falso».
L’accusa numero uno: le centralità nascono seguendo gli interessi e le proprietà dei suoli dei grandi costruttori.
«È una visione paleolitica e tendenziosa. Le proprietà delle aree fabbricabili sono necessariamente e quasi sempre private. Poi nelle centralità abbiamo dimezzato i metri cubi previsti nel ‘62. E nelle quantità approvate è prevista la cessione al Comune della metà per i servizi. I redattori di Report avrebbero potuto leggere le norme tecniche del piano, raccontare un’altra storia e imparare anche qualcosa. Per non dire che stiamo realizzando la metrò C, che sarà la linea metropolitana più lunga d´Europa».
Altra accusa: da Bufalotta a Ponte di Nona mancano i servizi.
«Tanto per cominciare tutte le varianti di Bufalotta di cui parla Report sono virtuali, non sono mai state approvate. Bufalotta e Ponte di Nona poi sono previsioni del vecchio prg, quello del ‘62. Sono due esempi dell’eredità gravissima che abbiamo ricevuto dagli anni ‘60-‘80. Lo sforzo di questi anni è stato quello di reperire le risorse per le infrastrutture, ad esempio, per Ponte di Nona, con le complanari sull’A24.
Tor Pagnotta: mancano i collegamenti.
«Il comprensorio del prg del ‘62 aveva una previsione di 5,5 milioni di metri cubi: li abbiamo ridotti ad uno e cento imponendo al proprietario delle aree di contribuire alla realizzazione del trasporto pubblico, che sta per andare in appalto, la Eur-Tor De Cenci-Tor Pagnotta, un tram su gomma».
Ma è ancora da fare.
«Certo, ma avere imposto il finanziamento è una delle motivazioni che ha condotto importanti quotidiani legati a poteri economici nella capitale ad avere sul piano regolatore di Roma negli ultimi mesi e anni un comportamento estremamente conflittuale».
"Le terrazze del presidente" di Pulcini non erano abusive?
«Si è trattato di condoni rilasciati dopo una lunga istruttoria e tenendo conto di ciò che stabiliva la legge fatta da Berlusconi».
Si è parlato di agro romano devastato dal cemento.
«Il nuovo piano regolatore ha dimezzato le dimensioni del vecchio prg, da 120 a 65 milioni di metri cubi, di cui la metà non residenziali, ha esteso i vincoli storico-archeologici da un’area di 1700 ettari a una di 7000 ettari e ha vincolato a verde due terzi del territorio romano, 88 mila ettari su 129 mila. Rivendico con orgoglio una stagione urbanistica straordinaria. In 15 anni sulla moralità della nostra amministrazione e delle persone che l’hanno guidata non è passata un’ombra. Non sarà una cattiva trasmissione televisiva a incrinare questa immagine»
A Parigi si costruisce solo su aree di società miste, con capitali a maggioranza pubblici.
«Parigi è la capitale della Francia amata dalla Francia e ha un’immensa disponibilità di risorse. Non è la stessa situazione di Roma. Qui abbiamo avviato un percorso simile per la riqualificazione di Ostia insieme al Demanio dello Stato».
Rampelli: "Il problema è la totale assenza di servizi e case popolari"
Ha visto Report sul Piano regolatore di Roma?
«Sì, molto interessante. Bentornato il giornalismo d’inchiesta. Però perché così tardi? Queste scelte urbanistiche che hanno messo in sofferenza la città erano state delineate fin dalla prima giunta Rutelli». Fabio Rampelli, deputato di An, architetto (tesi sui centri storici) autore del libro che inneggia al parco di Tormarancia, è uno dei nomi che ricorre come prossimo assessore all’Urbanistica.
In mezzo, però, i maxi-condoni del governo di centrodestra. Facile gridare alla cementificazione.
«Ma il Campidoglio aveva il dovere del controllo e della repressione degli abusi edilizi e invece ha consentito a circa 70 mila persone di costruirsi una casa abusiva. A quel punto la scelta era mettere in mezzo a una strada quelle famiglie o trovare soluzioni alternative. E comunque il primo condono generalizzato fu quello delle borgate abusive fatto da Petroselli, sul quale si sono consolidate le fortune della sinistra».
Nella trasmissione si parla anche del maxi-condono che ha favorito il costruttore Pulcini, con zoommata sui suoi finanziamenti, tutti dichiarati, a partiti come An e Lega.
«Non ho visto quella parte, ma comunque sarei molto più preoccupato da finanziamenti che vengono in nero che non quelli registrati».
Torniamo al parco di Tormarancia per il quale si è tanto battuto. Come sa, la sua istituzione ha quasi raddoppiato i diritti di cubatura dei costruttori che ora hanno cantieri in molte altre zone, una fra tante la Cassia. Dove però voi protestate contro il cemento...
«Noi abbiamo sempre chiesto soluzioni diverse rispetto alle compensazioni. Mai attuate. E comunque parliamo della tutela di un parco archeologico unico al mondo di fronte alla quale la previsione di costruire 2 milioni di metri cubi, una città come Pomezia, faceva rabbrividire».
Troppe case costruite, è la tesi di Report. Però tutte già vendute. E tra gli scontenti c’è chi ammette che il valore, in due anni, è raddoppiato. Voi fermerete i cantieri?
«La vera tragedia dell’urbanistica di questi anni non è tanto nell’aver costruito case ma l’assenza di edilizia sociale e di infrastrutture per migliorare la qualità della vita dei romani. A maggior ragione visti i 70 milioni di mc in più previsti nel Prg»
E allora?
«Noi facciamo una proposta innovativa, la "sostituzione": significa demolire le aree degradate delle periferie per dotarle di servizi, piazze, strade e poterle poi densificare. A quali quartieri penso? Non li dico, si creerebbero allarmi ingiustificati. Ci vorrà grande consenso anche tra cittadini e municipi».
Torrino, Infernetto: tanti comitati di quelle aree si sono schierati con voi e spesso sono pieni di abusivismo edilizio.
«Noi useremo il pugno di ferro contro ogni illegalità. Vogliamo una città delle regole anche nel campo dell’urbanistica. Per arrivarci però bisogna offrire strumenti facili e veloci per realizzare ciò che si è in diritto di fare. La iper-burocrazia può indurre a una inaccettabile logica del far da sé».
Anche la sua giunta dovrà fare i conti con le pressioni di costruttori proprietari o che hanno interessi nei giornali. Da Caltagirone a Toti a Bonifaci. Come li terrete a bada?
«Siamo stati chiamati dai romani a tutelare gli interessi di tutti, troveremo una soluzione che sappia coniugare le esigenze degli imprenditori con quelle della Capitale d’Italia».
Postilla
La trasmissione Report ha avuto il grande merito di sollevare il coperchio delle pesanti ipocrisie che ricoprivano il “modello Roma” e di indicare ad una vasta platea quale è quella televisiva che il re è nudo, allargando la discussione finora ristretta a pochi spazi privilegiati, come eddyburg.
Da sempre critici sugli ultimi lustri dell’urbanistica capitolina, registriamo quindi con grande interesse questo riaccendersi di attenzione mediatica che ha visto, per il momento, soprattutto le reazioni stizzite di chi si è sentito messo sotto accusa. Primo fra tutti l’assessore Morassut che cerca un recupero dopo le desolanti affermazioni sulla capitale come una “giungla in cui si combatte a colpi di machete” pronunciate in trasmissione, con una serie di smentite (da verificare) che però non incrinano il disperante quadro d’insieme sulla gestione urbanistica della Capitale che emergeva nel servizio televisivo. Quadro costruito con ritmo incalzante sia attraverso le parole degli intervistati, sia con l’evidenza delle immagini, testimoni inesorabili di uno squallore edilizio che credevamo archiviato ai film denuncia anni ‘60.
O ancora Massimo Miglio, a capo dell’Ufficio antiabusivismo del Comune, che restituisce un’immagine della situazione dell’Appia improntata ad un ottimismo da eroe della ruspa contraddetto quotidianamente dalle cronache che ritrovate su eddyburg.
Ma già s’annuncia una nuova gestione e nuovi protagonisti; alcune affermazioni dell’esponente del centro destra Rampelli sono senz’altro condivisibili: la condanna delle compensazioni come strumento ordinario di pianificazione, il richiamo alla “città delle regole” e l’accenno a quella “sostituzione” che pare prefigurare la ricerca di soluzioni di riqualificazione e la rinuncia a nuovo consumo di suolo. Meno ci piacciono le semplificazioni distorsive sui “condoni” di Petroselli (quella era davvero edilizia di necessità!) e l’affermazione finale secondo la quale occorre “coniugare le esigenze degli imprenditori con quelle della Capitale d’Italia”, con la quale si ribadisce che le richieste di pochi, valgono tanto (se non di più) dei bisogni di tutti, intesi come l’insieme non solo dei cittadini romani, ma di tutti coloro che vivono Roma.
E’, quest’ultima, un’aspirazione cui siamo purtroppo abituati da tempo e che scorre sotto traccia in maniera bipartisan come poche altre. Eddyburg, con l’aiuto di quanti vorranno allargare la discussione e portare il loro contributo ad una vicenda di capitale importanza, rimarrà ad osservare, ad analizzare, a criticare: in maniera bipartisan. (m.p.g.)
Vedi l'inchiesta di Report (Raitre, domenica) sui 70 milioni di metri cubi di cemento che circonderanno la capitale, e capisci perché il centrosinistra ha perso le elezioni. Il caso Roma come ottimo osservatorio per capire una delle ragioni, forse la principale, della sconfitta elettorale del tandem Veltroni-Rutelli.
Quella foresta di 1700 palazzoni che sta nascendo in una delle zone paesaggistiche più belle del paese, l'agro romano (o quel che ne resta), è raccontata da immagini, numeri, interviste curate da Paolo Mondani, autore del lungo tour intorno alla città. Stiamo parlando degli effetti del nuovo piano regolatore, votato a febbraio dalla giunta Veltroni, già in incubazione durante la gestione Rutelli. Progressivamente e inesorabilmente cambiato a colpi di "accordi di programma" per favorire gli strabilianti profitti dei veri re di Roma: i costruttori.
Un esempio che li riassume tutti. Periferia nord est, zona Bufalotta. Qui regnano i fratelli Toti e Francesco Gaetano Caltagirone (anche proprietario del principale quotidiano della città: Il Messaggero). La zona è scelta come sede di una "centralità", termine tecnico per definire le città satellite, con ospedali, ministeri e abitazioni a basso costo. I costruttori però si accorgono che non riescono a vendere quel milione di metri cubi destinato a uffici, e allora chiedono al Comune una variante di destinazione. Detto e fatto. Spariscono le opere pubbliche e spuntano 5000 appartamenti in più. In cambio il Comune incassa dal costruttore una elargizione di 80 milioni per prolungare di quattro chilometri la metropolitana (che però di milioni di euro ne costa 600).
Tutte le zone di nuova edificazione sono collocate sui terreni già di proprietà dei costruttori. In pratica sono i vecchi palazzinari a stabilire dove si deve sviluppare la città. Non solo. Questi 70 milioni di metri cubi hanno prezzi poco conformi alle tasche di chi dovrebbe comprarli: meno di 70 metri quadrati costano 320 mila euro, in zone vendute come isole di benessere nel verde, in realtà agglomerati dormitorio, senza servizi, senza altra alternativa che l'auto privata per raggiungere il centro storico.
Tutto come nelle peggiori tradizioni (condoni edilizi compresi). Il contrario di quello che succede nelle municipalità di Parigi o Madrid, dove è il Comune a decidere la mappa delle aree da edificare, a stabilire i prezzi (popolari), a dettare criteri urbanistici all'avanguardia con infrastrutture così sviluppate da rendere inutile l'uso dell'automobile per gli abitanti. Un'altra idea di bene pubblico.
…
«Approvare un piano regolatore che dopo 100 anni ha dato alla capitale regole per lo sviluppo del territorio e ha contribuito al rilancio dell’economia è un risultato storico e non è stata una passeggiata tra i fiori di campo», rivendica Roberto Morassut, neodeputato del Pd ed ex assessore all’urbanistica capitolina. Come 3 milioni di persone domenica ha visto l’inchiesta di Report sull’urbanistica negli anni di Rutelli e Veltroni.
Secondo Report, l’amministrazione avrebbe abdicato al suo ruolo. Un’accusa pesante.
«Paradossale: se avessimo voluto abdicare avremmo scelto la strada degli accordi con i singoli operatori come ha fatto a Milano il centrodestra e invece approvando il piano abbiamo dettato regole chiare per tutti senza orientare il mercato a favore dell’uno o dell’altro. Report fa una incredibile trasfigurazione: ricostruzioni faziose, numeri sbagliati, approssimazioni incredibili da parte di chi è chiamato a svolgere un servizio pubblico. Ci tornerò su per le vie legali. In 15 anni sulla moralità di questa amministrazione non è passata un’ombra. E sono state sotto gli occhi di tutti le pressioni operate anche da certi organi di stampa legati ad interessi edilizi: noi le abbiamo affrontate anche a costo di arrivare allo scontro, coinvolgendo in questo processo i mondi associativi e imprenditoriali, le associazioni ambientaliste e i comitati di quartiere.
E alla fine chi ha vinto?
«Non c’è vittoria o sconfitta, l’importante è aver definito regole forti e trasparenti a un mercato dove i poteri economici esistono ma vanno governati e non demonizzati. A Ballarò Alemanno mi ha definito l’assessore dei veti e ora Report parla di un “sacco di Roma”: c’è qualcosa che non torna».
Report ha indicato i vantaggi per i privati di questa stagione urbanistica: e quelli pubblici?
«Con il prg abbiamo garantito che due terzi del territorio romano saranno per sempre destinati a verde, suolo agricolo e parchi protetti, abbiamo dimezzato le previsioni del vecchio piano (da 120 milioni di mc a 65, la metà non residenziali), e poi abbiamo attivato una quantità di opere pubbliche a carico degli operatori privati (vedi oltre 100 asili nido), rilanciato l’architettura di qualità attraverso i concorsi e i progetti d’autore, incentivato l’uso di tecnologie bio-energetiche. Al di là di facili ricostruzioni rivendico con orgoglio una stagione di governo dell’urbanistica che lascerà il segno».
Il piano dice che si costruisce solo dove c’è trasporto su ferro, perché si è costruito anche altrove?
«La norma che abbiamo introdotto vale per i programmi previsti dal nuovo prg ed è stata una battaglia non facile, i programmi partiti nei decenni scorsi come Bufalotta e Ponte di Nona rispondono alle vecchie norme e scontano limiti che ci siamo preoccupati di colmare con un piano di opere pubbliche in corso di attuazione».
Bufalotta, periferia nord-est, è uno dei nodi toccati da Report.
«Bufalotta è un’eredità molto contraddittoria del passato: doveva essere l’area di sosta per i tir provenienti dalla Roma-Firenze, poi all’inizio degli anni 90 è diventata un quartiere misto di residenze e servizi. Per produrre risorse aggiuntive si è ipotizzato di modificare una parte del non residenziale. C’è stata una discussione vera, l’amministrazione ha registrato una resistenza del territorio e quella delibera è stata tolta dall’ordine dei lavori e non inserita nel prg, ma questo l’avventurosa narrativa di Report non l’ha raccontato».
Altra contraddizione: i prezzi delle case anche in periferia.
«C’è un fenomeno legato all’andamento del mercato immobiliare internazionale. Ma il prg obbliga gli operatori privati a destinare all’affitto concordato e solidale 1 alloggio su 6 delle nuove edificazioni: una norma importantissima, totalmente ignorata da Report. Il punto è che in Italia i Comuni sono nudi di fronte alla rendita privata, serve una nuova legge urbanistica che superi quella del ’42 difesa dagli urbanisti massimalisti e incolti ascoltati da Report e svuotata dalle corti d’appello: espropriare oggi significa comprare a costi di mercato pazzeschi le aree per l’edilizia popolare. Una nuova legge urbanistica dovrebbe regolare nazionalmente i contratti tra pubblico e privato come si fa in Francia o in Spagna. Questo Report l’ha raccontato».
E però Report dice che il prg valorizza proprio le aree private.
«L’idea centrale del piano è spostare in periferia pezzi di città con funzioni di pregio per rompere lo schema eccesso di funzioni nel centro storico e di residenze nella periferia. Ma è il pubblico che guida la trasformazione urbana, vedi i campus universitari di Pietralata e Tor Vergata, cantierizzazioni rivoluzionarie: basta andare a vedere e magari filmare. Se mai il punto è che i privati, che non sono stati in grado di presentare progetti con funzioni qualificanti, sono al palo. Ma, in assenza di progetti adeguati, nei loro confronti non è stata attivata nessuna procedura approvativa da parte dell’amministrazione»
Il testo originale e il file video sono disponibili nel sito di Report
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Buonasera. Oggi parleremo di piano regolatore, ovvero ciò che decide la sorte di una città. La città in questione è patrimonio dell'umanità.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Roma. Quartiere Ponte di Nona costruito da Francesco Gaetano Caltagirone.
PAOLO MONDANI
Perché ci sono questi cartelli ovunque con scritto area di cantiere?
FRANCESCO GARGIUOLI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
perché questa è di fatto un'area di cantiere, queste sono palazzine che sono all'interno di un'area in costruzione. Sono abitate, sono palazzine comunque sprovviste di certificati di abitabilità. Tra l'altro i certificati di abitabilità potrebbero anche servire per ottenere uno sgravio Ici come prima casa, dato che qui sono tutte prime coppie giovani e quasi tutti, il 95%.hanno la prima casa a Ponte di Nona. Questa zona non è servita dall'autobus, nel momento in cui il comitato di quartiere fece la richiesta per avere gli autobus, l'Atac rispose che non può far attraversare i propri mezzi su un'area di cantiere.
CORRADO STEFANO GOTTI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Tutto questo è stato edificato e realizzato all'epoca.... concesso all'epoca dell'amministrazione Rutelli.
GIANNI ALESSANDRONI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
La ferrovia c'è soltanto che passa un trenino ogni 40 minuti, se tutto quanto va bene e all'ora di punta.
PAOLO MONDANI
Che ferrovia è?
GIANNI ALESSANDRONI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
La FR2. In alcune ore non ci son treni, per due ore non ci sono treni, hanno messo adesso qualche trenino nuovo ma passa soltanto nelle ore non di punta e gli altri son dei carri bestiame. Oltretutto non ci sono parcheggi nelle stazioni.
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
In Francia si realizza prima le strade, le infrastrutture viarie, tutto e poi l'architettura....Penso che sia uno specifica....
PAOLO MONDANI
E la macchina non serve?
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
Io ho una macchina, ma non la uso mai e mi sto chiedendo di venderla, perché quand'è che la uso? Quando vengo in Italia?
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Beato lui. Nei prossimi 10 anni si prevede di costruire a Roma 70 milioni di metri cubi. Per dare un'idea: 1700 nuovi palazzi di 8 piani. E si prevede che 350.000 persone andranno ad abitare lì. La crescita è zero, ma sono cambiati gli stili di vita, tante persone sole, coppie non sposate, immigrati, studenti fuori sede, tutte persone che non sono in grado di pagare dei costi troppo elevati. Magari non si vende tutto, però intanto si costruisce, e in 70 milioni di metri cubi ci sta tanta roba. Può essere che si decida anche di seguire le tendenze europee, che sono quelle di spostare fuori dal centro tutte le funzioni politiche ed amministrative e quindi anche il traffico che comportano per lasciare spazio alla naturale vocazione di Roma che è quella culturale e turistica. Nelle chiese di Roma trovi Michelangelo, Raffaello, Caravaggio, opere di valore inestimabile che non trovi nelle chiese di Boston o di Berlino. E infatti gli amministratori prevedevano questi spostamenti già con il piano regolatore del '65. Poi per 40 anni si è costruito di tutto, ma i ministeri con annessi e connessi sono sempre rimasti lì. A febbraio scorso è stato approvato l'ultimo piano regolatore. Cosa c'è dentro lo racconta Paolo Mondani
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Lo scorso febbraio, mentre i comitati di quartiere protestano contro i milioni di metri cubi di cemento che pioveranno sulla città, il Consiglio Comunale di Roma approva il nuovo piano regolatore.
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA
Onorevoli colleghi, il nuovo piano regolatore, generale di Roma....
CONSIGLIERE COMUNALE
C'è una violazione della prassi accertata....
CONSIGLIERE COMUNALE
E in due giorni per una maggioranza, solo in questo caso unita e bolscevica, ci fanno votare nonostante la nostra opposizione....
CITTADINO
I soldi che vi ha dato lo Stato per le case popolari, li avete usati per costruire opere inutili!
DONNA OCCHIALI DA SOLE
Loro sul raccordo hanno tanto di cartelloni giganteschi, residenze nel parco, quindi.... e invece il parco delle Sabine che doveva iniziare contestualmente alla edilizia residenziale.... proprio se no sono, così , strafregati!
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Area della Bufalotta, estrema periferia al nord est di Roma. Tra le vie Salaria e Nomentana. Il Comune realizza qui una centralità, una piccola città che sulla carta promette tanto verde, case, uffici, centri commerciali. Ma per ora ci sono solo i centri commerciali e le case costruite dai fratelli Toti e da Francesco Gaetano Caltagirone.
PAOLO MONDANI
Quanto è grande il suo appartamento e quanto lo ha pagato?
DONNA 1
Sul catasto c'è scritto 69.
PAOLO MONDANI
69 metri quadri?
DONNA 1
Si ma 69 metri quadri non netti, dentro sarà un 50 metri quadri, 55 metri quadri, non di più!
PAOLO MONDANI
Complessivamente quanto costa?
DONNA 1
317! Mannaggia!
PAOLO MONDANI
317 mila?
DONNA 2
No aspetta 317 e 900.
DONNA 1
E poi non di lusso, perché a me sembra che siano case popolari, perché io ho visto le case popolari e le rifiniture sono fatte bene, dopo anni ho visto case popolari che ancora reggono. In questa la pavimentazione la scia a desiderare, la zoccolatura marcia.
PAOLO MONDANI
Quanto paga al mese di mutuo lei signora?
DONNA 1
1500 euro al mese, che non so se... che paga la figliola, perché l'appartamento è della figlia!
PAOLO MONDANI
Per quanto tempo?
DONNA 1
30 anni!
PAOLO MONDANI
Ma lei....si diverte lei!?
DONNA 1
Io rido perché non so la figlia che farà!!! E poi dicono che non se ne vanno via di casa, sono bamboccioni, ma come fanno questi figlioli a sposarsi, a uscire di casa, a comprare casa, a vivere!
DONNA 2
Il mio ragazzo, siamo cosi, è un bamboccione anche lui perché chiaramente non si può fare!
PAOLO MONDANI
Sta a casa con i genitori, vi amerete a distanza a vita, questa è la verità?
DONNA 2
Sempre, si. E non potremmo fare nemmeno figli, perché la casa che ho comprato non è che una stanza in più, eventualmente, per poter supportare una famiglia di tre persone.
DONNA OCCHIALI DA SOLE
Siamo stati allettati dal fatto che questa sia una nuova forma di città, la centralità urbana, piena di servizi, diciamo qualcosa di simile all'Eur o al centro di Roma, con la parte direzionale, con i servizi pubblici, i servizi privati, dove c'erano anche possibilità di lavoro perché ci sarebbero stati tanti uffici a disposizione, la metropolitana, l'imbocco con l'autostrada che è l'unica cosa che hanno fatto, ma semplicemente perché c'era Ikea, e il centro commerciale, perché altrimenti di noi se ne sarebbero strafregati.
PAOLO MONDANI
Che cosa sono le centralità?
PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA
Le centralità sono aree di proprietà dei privati che son state....
PAOLO MONDANI
Sparpagliate nella città....
PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA
....Sparpagliate nella città, andiamo dal nord della città a est della città., al sud estremo della città.
PAOLO MONDANI
Sono queste piccole aree blu, diciamo cosi?
PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA
Si, sono queste aree blu, che erano gli ex servizi generali della città che sono stati appunto privatizzati, sulla base di questa visione, tutta privatistica.
PAOLO MONDANI
Guarda caso le centralità, queste piccole città che dovete realizzare, stanno proprio là dove i proprietari hanno acquisito le aree, esempio, Bufalotta i Toti e i Caltagirone.Acilia Madonnetta passa da Telecom a Toti e Ligresti, Romanina a Scarpellini, Fiumicino a Magliana sempre dei Toti.
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA
Si è messo in moto un mercato delle aree, individuato dal nuovo piano regolatore, che ha spesso modificato anche gli assetti proprietari.
PAOLO MONDANI
Il problema è che voi indicate li le previsioni di....
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA
Ma queste, ripeto, indicazioni, previsioni, sono stati precedenti a questi processi di compravendita, ma a me francamente come si muove il mercato interessa relativamente.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
E infatti il Comune decide di fare le nuove città, le famose centralità, proprio dove i grandi proprietari hanno comprato le aree. Solo un caso? Questo è il video promozionale della centralità Bufalotta dove proprietari e costruttori promettono case spaziose, verde e servizi. Il Comune dice: nella centralità vanno trasferiti dal centro alcuni servizi di qualità come ospedali e ministeri, e invece il comune nell'ottobre scorso, sulla Bufalotta cambia idea.
PIERGIORGIO ROSSO - INGEGNERE - ASSOCIAZIONE NUOVO MUNICIPIO IV
Il 10 di ottobre del 2007 la giunta del Comune di Roma ha approvato una delibera, che cambia la destinazione d'uso di una parte della centralità metropolitana Bufalotta. La centralità metropolitana Bufalotta prevede 2.750.000 metri cubi destinati in parte a servizi e in parte a residenze, la parte a servizi è di circa un milione di metri cubi ebbene questa porzione di un milione di metri cubi, secondo questa delibera, sarà trasformata da uffici a residenze. Questa richiesta è stata accolta dalla giunta sulla base di una analoga richiesta da parte dei costruttori, che avevano difficoltà a vendere uffici. Sono circa 5.000 appartamenti in più e circa 12.000 abitanti in più, su una popolazione già insediata di 200.000 nel municipio IV di Roma. Noi usiamo dire, siamo circa la quattordicesima città in Italia in termini di popolazione.
DONNA OCCHIALI DA SOLE
Ho paura che il mio acquisto, così, si trasformi in una grande bella bolla di sapone e "puff", e insieme alla centralità se ne vanno anche i miei investimenti.
PAOLO MONDANI
Il caso Bufalotta, dove il proprietario dell'area che è Toti chiede di modificare con un accordo di programma un milione di metri cubi destinati ad uffici in residenze. Questo secondo me contraddice un po' l'idea che facciate di queste centralità, di queste mini città tante piccole citt. composte da uffici, funzioni moderne.
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA
Si è addivenuti ad un compromesso, all'idea di un compromesso in cui in cambio di una valorizzazione immobiliare vi fosse un notevole versamento di oneri all'amministrazione per realizzare le infrastrutture in trasporto pubblico.
PIERGIORGIO ROSSO - INGEGNERE - ASSOCIAZIONE NUOVO MUNICIPIO IV
E questo che ci scandalizza: che un operazione di valorizzazione di fondiaria venga spacciat.come rilevante interesse pubblico e quindi l'amministrazione l'appoggia e chiede in cambio 80 milioni di euro.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Il Comune scambia i trasporti con le case e i costruttori non fanno i servizi di qualità. La centralità Bufalotta diventerà un altro quartiere sul raccordo anulare. I costruttori versano in cambio 80 milioni di euro, con i quali il Comune prolungherà la metropolitana B1 fino a Bufalotta. Peccato che non ci sia ancora il progetto e che per i 4 nuovi chilometri di metrò occorreranno 600 milioni di euro. Ma per concludere il patto coi costruttori resta aperto un problema, quello delle regole. Il nuovo piano regolatore a Bufalotta non prevede tutte quelle case. Per cambiarlo non basta una delibera del Comune. Come fare? Con uno strumento rivoluzionario: l'accordo di programma.
PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA
Attraverso l'uso dell'accordo di programma io posso conservare, variare, aumentare, cambiare destinazione ad alcune previsioni del vecchio piano del nuovo piano addirittura quindi in buona sostanza le regole sono saltate.
PAOLO MONDANI
E questo è andato a vantaggio soprattutto di chi in questi anni?
PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA
Beh del gruppo Acqua Marcia direi, del gruppo Toti Lamaro, del gruppo Bonifaci che hanno ottenuto delle valorizzazioni immobiliari impressionanti o lo stesso gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Osserviamo la delibera della Giunta comunale del 9 ottobre 2007. Che riguarda l'accordo di programma in variante al piano regolatore per interventi nel settore urbano di Bufalotta. Scopriamo che c'è una seconda concessione, quella che permette un ampliamento dei volumi del complesso di Viale Romania n. 32 per il nuovo polo dell'università Luiss.
VANESSA RANIERI - ASSOCIAZIONE VILLA ADA GREENS
Quello che noi riteniam. assolutamente paradossale è che si va in deroga con accordo di programma al piano regolatore, vantando un interesse generale che in realtà è un interesse di un'università privata.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Ecco il complesso che era di proprietà delle suore dell'Assunzione, poi comprato dai fratelli Toti della Lamaro Costruzioni che lo hanno dato in affitto alla Luiss. La delibera non è ancora approvata dal consiglio comunale eppure i lavori sono iniziati. Come mai? Ce lo spiega questa comunicazione dei vigili urbani del secondo municipio. Leggiamo che la Lamaro ha presentato al municipio una Dia, dichiarazione di inizio attività, in cui dichiara l'esecuzione di opere di restauro conservativo. E invece i vigili urbani si accorgono di lavori abusivi di ristrutturazione. Insomma, il secondo municipio autorizza solo lavori di conservazione e nessun ampliamento, il Comune invece sì ma in una proposta di delibera non ancora approvata. Guarda caso, la Lamaro l'ampliamento lo ha già iniziato. Ma si può fare su un'area simile?
VANESSA RANIERI - ASSOCIAZIONE VILLA ADA GREENS
Questa è una zona assolutamente vincolata a tutela integrale, è una zona G1 Parco storico vincolato anche se privato, è un'area che ricade nella valle del Tevere 15/08 e quindi....
PAOLO MONDANI
Che vuol dire un piano paesistico?
VANESSA RANIERI - ASSOCIAZIONE VILLA ADA GREENS
Esattamente ed ha anche un vincolo paesaggistico specifico apposto con decreto ministeriale.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Le sorprese non finiscono qui. Leggiamo nella delibera che la Lamaro Appalti ha deciso di stanziare 8 milioni di euro di contributo straordinario volontario a favore del Comune di Roma visto che non riuscirà a garantire gli standard di verde e parcheggi fissati per legge. Ci guadagna il Comune in questo scambio?
VANESSA RANIERI - ASSOCIAZIONE VILLA ADA GREENS
Beh io direi proprio di no visto che quel di più che gli concede il Comune in termini edificatori renderà 150 milioni di euro alla Lamaro appalti a fronte degli 8 milioni che loro daranno qualora loro non si atterrano agli standard urbanistici.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Il Comune si accontenta di poco. Altri no. Ecco il contratto con il quale la società Lamaro dei fratelli Toti dà mandato all'avvocato Marco Simeon di convincere il Vaticano e le suore dell'Assunzione a vendere il complesso di Viale Romania. Legato all'Opus Dei, Simeon, è stato responsabile relazioni istituzionali di Capitalia. Oggi è a Mediobanca. Ma sempre sotto l'ala protettrice di Cesare Geronzi. I Fratelli Toti per la consulenza versano a Simeon un milione e 300 mila euro.
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA
Francamente i cognomi Toti, questo, quell'altro interessa poco, torno al concetto. L'amministrazione da' delle norme, da delle regole, da degli indirizzi poi il mercato si muove. Indipendentemente. Io difendo il progetto di creare in quel luogo un campus universitario della Luiss, perché Roma è la capitale d'Italia, la Luiss è una grande università, benché privata, che forma una parte importante della classe dirigente e deve avere una sede degna.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Sulla Roma-Fiumicino c'è un'altra grande area di proprietà dei fratelli Toti che essendo anche costruttori hanno potuto edificare i capannoni della nuova Fiera di Roma. Il piano regolatore non prevedeva affatto la nuova fiera eppure su questi 300 ettari i Toti ottengono di poter realizzare tre milioni di metri cubi, di cui la fiera è solo una parte. Ma la storia viene da lontano.
PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA
Questa zona era destinata dal piano regolatore del 1965 ad auto-porto, cioè qui arrivavano le merci, cambiavano vettori, arrivavano i tir e poi cambiavano le merci con i piccoli vettori verso la città di Roma. Da allora il destino di quest'area è diventato travolgente nel senso che, a cavallo delle due giunte, di Francesco Rutelli e di Walter Veltroni, sempre attraverso lo strumento dell'accordo di programma, gruppo Lamaro propone al comune di fare qui la Fiera di Roma e il Comune di Roma fa una variante attraverso un accordo di programma e questa zona da auto-porto diventa Fiera di Roma, anche qui c'è una plusvalenza che lascio immaginare.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Siamo sulla via Anagnina, quadrante sud est di Roma. Quartieri degli anni '60 nati con l'abusivismo e quartieri legali fatti solo di case. La viabilità è collassata dall'arrivo del centro commerciale dell'Ikea. Proprio qui, sull'unica area verde rimasta libera, di proprietà dell'Immobilfin di Sergio Scarpellini, il comune vuole costruire una centralità. E con lo strumento dell'accordo di programma, in deroga alle previsioni del piano regolatore, le costruzioni previste crescono a dismisura.
ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X
Il piano regolatore del 2003, la proposta originaria prevedeva un'edificazione di 750 mila metri cubi, qui, che poi in fase di deduzione, contro deduzioni, contro deduzioni, insomma, alla fine il nuovo piano regolatore ha fissato la quota a 1 milione e 130 mila metri cubi e c'è stato già uno spostamento consistente in avanti.
PAOLO MONDANI
E Scarpellini cosa intende fare qua?
ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X
Adesso c'è il proprietario che propone per dare, dice lui, un contributo di 50 milioni al prolungamento della metropolitana.
PAOLO MONDANI
50 milioni di euro?
ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X
50 milioni di euro, meno del 20% del costo dell'opera totale, in cambio di quest.piccolo contributo lui chiede un incremento ulteriore di 670 mila metri cubi che complessivamente porterebbe l'edificazione della centralità a 1 milione e 800 mila metri cubi.
PAOLO MONDANI
Lei la Romanina quando la comprò?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
La Romanina l'avevo comprata....qual è il concetto?
PAOLO MONDANI
In che anno voglio dire?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Nel '90.
PAOLO MONDANI
E quanto la pagò?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
La pagai 160 miliardi.
PAOLO MONDANI
Oggi quanto vale quella quell'area?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Ma che le devo dire....
PAOLO MONDANI
Lei è un intermediario immobiliare, uno dei più famosi a Roma?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Si, si ma io....
PAOLO MONDANI
Se non lo sa lei, chi lo sa?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Sì ma io lo so quanto può valere.
PAOLO MONDANI
E allora me lo dica!
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Diciamo che valgono 5 o 6 volte in più.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Quei terreni comprati nel '90 oggi valgono 5 o 6 volte in più anche perché il piano regolatore gli da l'ok per costruire 1 milione 100 mila metri cubi. Il signor Scarpellini però vorrebbe edificarne 700.000 in più. Non sarebbe possibile, se non attraverso l'accordo di programma, che è uno strumento amministrativo che permette al pubblico di fare una variante al piano regolatore. Ma mica la puoi fare perché è nell'interesse del costruttore! Si può fare solo quando c'è un interesse pubblico. In questo caso l'interesse pubblico consiste in denaro che il signor Scarpellini darà al Comune. Quanto lo vediamo fra qualche minuto dopo un po' di pubblicità.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Stavamo parlando del signor Scarpellini, un imprenditore molto abile, può darsi che qualcuno ricordi quando qualche anno fa comprò dalla Telecom il complesso Marini, dove ci stanno gli uffici dei parlamentari. Bene, lui era riuscito a stipulare un contratto d'affitto con lo Stato per 18 anni, ancora prima di diventarne il proprietario. Ad ogni modo, è stato autorizzato dal Comune a costruire nella periferia romana 1 milione 100 mila metri cubi. Lui vorrebbe arrivare a 1 milione e 8. L'ostacolo è superabile solo con una variante al piano regolatore. Per dire, il progettista del signor Scarpellini è stato consulente per i problemi urbanistici della Regione e direttore del piano regolatore di Roma fino al 2002. Capita, i professionisti oggi lavorano per un ente e domani per un imprenditore. Chiusa parentesi. Ma qual è la contropartita che offrirà al Comune in cambio della variante e quanto ci guadagnerà il signor Scarpellini dall' operazione?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Noi imprenditori è come si diventa quasi come dire giocatori. Sai quanta gente mi dice ma chi te lo fa fare a te che fai una vita da povero!
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Al povero Scarpellini costruire a Romanina frutterà 420 milioni di euro di guadagno netto. Se il Comune gli consentirà di realizzare 670 mila metri cubi in più il netto salirà di altri 250 milioni. In cambio di questa fortuna Scarpellini promette solo 50 milioni di euro al Comune per realizzare il prolungamento della metropolitana da Anagnina a Romanina che costerà, dicono in tecnici, 350 milioni e che se realizzata farà lievitare ancora il valore dell'area.
ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X
Siamo preoccupati concretamente che quella che qui è stata definita come centralità che doveva portare delle funzioni che erano riqualificanti rispetto a una periferia che è molto degradata, diventa invece un nuovo contenitore di case e centri commerciali.
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Bisogna che in questo paese cominciate a pensarla positivamente non sempre negativamente. La dimostrazione di fatto è che io ho cominciato la gavett. e oggi eccomi qua.
PAOLO MONDANI
E quanti appartamenti pensate di fare più o meno?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Quanti ne verranno? Tanti un paio di mila. Anche anche.
PAOLO MONDANI
2000?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
2000 anche di più.
PAOLO MONDANI
2500?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
2500, 3000. Anche di più.
PAOLO MONDANI
3000?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Secondo gli appartamenti come sono piccoli, grandi.
PAOLO MONDANI
Se non lo sa lei dott. Scarpellini!
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Ancora al dettaglio non lo abbiamo studiato.
ALDO PIRONE - COORD. COMUNITA' TERRITORIALE MUNICIPIO X
Noi qui praticamente arriviamo alle pendici dei castelli romani, ormai tutta la vecchia campagna romana in questo settore, è stata completamente, o verrà completamente coperta dal cemento.
PAOLO MONDANI
A Romanina, Scarpellini dice che occorre passare da circa 1 milione a 1 milione e cento metri cubi a 1 milione e 8. Anche li, che senso ha?
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA
Non ho nessuna pregiudiziale, naturalmente però essendoci stato un voto del Consiglio Comunale, che in materia urbanistica è centrale, ritengo che quel voto e quel dimensionamento vada rispettato e si debba comunque operare, per dare comunque la metropolitana a Romanina mantenendo il dimensionamento stabilito.
PAOLO MONDANI
L'idea di passare dalla previsione di piano attuale alla vostra massima, quella del milione e 8 ha trovato un qualche consenso?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Ma buonsenso no, c'è diciamo della maggioranza, perché questo effettivamente il progetto....
PAOLO MONDANI
Sono d'accordo insomma, questa è la cosa?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Non credo che sia....perché noi facciamo una cosa credo utile per la città, adesso si parla perché lei mi sta intervistando.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Scarpellini è convinto che con l'accordo di programma il Comune gli darà il via libera, ma l'assessore Morassut dice che a Romanina si rispetterà il piano regolatore e che non si faranno 1 milione 800 mila metri cubi. Chi ha ragione? Lo chiediamo a Giovanni Mazza, il signore che vediamo in piedi discutere con un assessore durante l'approvazione del piano regolatore. Giovanni Mazza, ex consigliere comunale del partito comunista italiano oggi è uno dei principali consulenti di costruttori come Pulcini, Bonifici, Caltagirone, Ligresti e naturalmente Scarpellini.
PAOLO MONDANI
Il nuovo piano regolatore di Roma, fa delle previsioni di cubature da costruire, ma tutti sanno che verranno smentite dai futuri accordi di programma, allora questo piano regolatore, non ci dice la verità. Sì o no?
GIOVANNI MAZZA - CONSULENTE COSTRUTTORI
Non si può ridurre a sì o no, il piano regolatore dice una mezza verità, diciamo cosi, diciam.prevalentemente dice la verità, poi in alcune parti questa verità è una mezza bugia che va corretta.
PAOLO MONDANI
Leggo che lei alla Lega Nord ha dato 75 mila euro di contributi, ai DS 68 mila, finanziamento al partito?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Si, finanziamento al partito.
PAOLO MONDANI
Tutto regolare?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Si tutto regolare, con fatture se no non posso fare questo.
PAOLO MONDANI
Ad altri partiti ha dato qualche cosa?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Si tutto regolare, tutto regolare.
PAOLO MONDANI
Anche ad altri partiti voglio dire?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Si ma più che altro sono....
PAOLO MONDANI
Contributi elettorali?
SERGIO SCARPELLINI - COSTRUTTORE
Sì, tutti i contributi elettorali che ho fatto.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Centralità Acilia Madonnetta. Siamo a due passi dal mare. In un'area archeologica che come dicono a Roma, basta spostare la terra e salta fuori qualcosa. Il progetto realizzato dall'architetto Vittorio Gregotti prevedeva tanti servizi di qualità. Prevedeva, appunto.
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Innanzi tutto le centralità per definizione devono stare vicino al ferro, per cui....
PAOLO MONDANI
Cioè vicino alla ferrovia?
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Vicino alla ferrovia, la cosiddetta cura del ferro, chiamata da Veltroni, cioè vicino alla ferrovia, per cui si sarebbe dovuta realizzare una stazione, che avrebbe servito questa centralità, e poi anche tre campus universitari. Questi tre campus universitari avrebbero dovuto essere finanziati dall'Inail che purtroppo con la finanziaria dell'anno scorso questo finanziamento in realtà non verrà mai.
PAOLO MONDANI
Quindi cancellati i campus?
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Cancellati per esempio già i campus universitari.
PAOLO MONDANI
La stazione ferroviaria però?
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
La stazione ferroviaria teoricamente si dovrebbe costruire prima, ma in realtà questa cosa con molta probabilità non si farà.
ADRIANA FORNARO - COMITATO DI QUARTIER MADONNETTA
Si sono rifatti per quanto riguarda la viabilità a delle piantine di zona che risalgono agli anni 60 quindi non hanno tenuto conto del costruito recente e hanno supposto di poter creare delle strade di collegamento che non sono più realizzabili perché ci sono delle case condonate, per cui o abbattono le case condonate o non creeranno le infrastrutture per quanto riguarda la viabilità.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
In una recente memoria presentata alla giunta comunale prima delle elezioni, l'assessore Morassut scrive che il progetto di Acilia Madonnetta è saltato e va interamente rivisto con la proprietà: Telecom, Marzotto, Pirelli Re. Rimangono quindi tre sole certezze: si faranno case per 10 mila persone, l'università non ha i soldi per spostarsi, la stazione ferroviaria è sospesa.
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Inizialmente siamo partiti con una cubatura di un milione e 800 mila metri cubi. Su richiesta degli abitanti si è cercato di abbassare questo quorum e i cittadini avevano chiesto che fossero circa 800 mila metri cubi. Alla fine l'assessore Morassut all'urbanistica e D'Alessandro ai lavori pubblici comunicano con grande giubilo ai giornali che si è venuti incontro ai cittadini e che questa centralità non peserà più per un milione e 8 ma per un milione e 4. Quindi in realtà....
PAOLO MONDANI
Soddisfatta dei meno 400 mila lei?
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Caspita è stato un affare per noi!
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
A pochi passi dalla futura centralità, spuntano i palazzoni di Via Di Acilia. Da tempo sono in vendita e vanno a ruba. Sono le Terrazze del Presidente, un complesso edilizio vicinissimo alla tenuta del Presidente della Repubblica a Castel Porziano. Siamo nel 1990, ai costruttori Antonio Pulcini e Salvatore Ligresti arriva un primo miracolo: la regione Lazio concede di realizzare questi palazzi su un terreno destinato a servizi pubblici. La concessione viene però cancellata dal Tar e dal Consiglio di Stato e questi edifici vengono dichiarati ufficialmente abusivi. Ma nel '94 arriva il secondo miracolo.
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Sotto il governo Berlusconi c'è diciamo il condono edilizio che prevedeva che si potesse condonare diciamo ogni domanda fino a un massimo di 750 metri cubi.
PAOLO MONDANI
Un pò strano perché qui quanti saranno i metri cubi?
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Qua sono 283 mila quindi sono moltissimi.
PAOLO MONDANI
Era impossibile condonare?
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Era impossibile condonare, però viene in aiuto di Pulcini un emendamento del Centro Destra che consente, anche a coloro a cui è stato annullato con sentenza del Tar, appunto la concezione edilizia, di poter sanare l'opera.
PAOLO MONDANI
Insomma un emendamento "ad hoc" per le case di via di Acilia?
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Un emendamento "ad hoc" esattamente!
PAOLO MONDANI
Chi deve ringraziare di quella diciamo cosi...?
ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE
Ma io credo che, non lo so, la politica italiana. Che devo dire??
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
A questo punto, usando la legge sul condono edilizio, Antonio Pulcini chiede al Comune di Roma la concessione in sanatoria. Rimane però aperto il problema della destinazione d'uso dell'area. Il piano regolatore non prevedeva case in questo luogo, quindi Pulcini non avrebbe potuto ottenere il condono. Eppure riesce ad aprire con il Comune una lunga trattativa.
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Nel 2003 finalmente però l'ufficio anti abusivismo del Comune di Roma, sotto la giunta Veltroni, regala una splendida concessione edilizia in sanatoria.
PAOLO MONDANI
Quanti appartamenti realizzate li?
ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE
Circa 1300.
PAOLO MONDANI
Quanta gente in tutto?
ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE
4000, 4500 persone.
UOMO
Ci ritroviamo dei palazzi che sono venduti a dei prezzi esorbitanti, sicuramente per la tasca di pochissimi e sono appartamenti non extra lusso, ma molto, ma molto di più. Addirittura è previsto anche un laghetto privato all'interno del cortile.
PAOLO MONDANI
Quanto costa a metro quadro di media comprare lì da lei?
ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE
Mediamente in questo momento costano sulle 4000/4500.
PAOLO MONDANI
4000/4500?
ANTONIO PULCINI - COSTRUTTORE
Sì è un buon prodotto, di elevata qualità, questo però lo può andare a visitare se dovesse avere bisogno di comprare una casa. Si può accomodare nei nostri uffici.
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI ROMA
Si trattava di un complesso immobiliare abbandonato diciamo da anni che attraverso una procedura di condono edilizio, lungamente varata dagli uffici, sono stati chiesti oneri aggiuntivi per realizzare quelle necessarie opere di viabilità e di collegamento, tra cui l'ampliamento di Via di Acilia, il sottopasso sotto la via Cristoforo Colombo per le interconnessioni tra Via di Acilia e la Cristoforo e Colombo e una serie di altri servizi
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Quindi il comune fa uno scambio con il costruttore. Ti dò la concessione in sanatoria e tu mi fai le strade.
PAULA DE JESUS - ARCHITETTO - COMITATO ENTROTERRA XIII
Col piccolo particolare che quello che il Comune consente loro lo fanno subito e presto. Le opere pubbliche no, per cui ad oggi, ancora oggi stiamo aspettando il raddoppio di via di Acilia. Eppure le case sono costruite.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
La pubblica amministrazione incapace di ridurre la spesa, per far quadrare i conti, ha tagliato i trasferimenti ai comuni e i comuni, per sopravvivere, hanno cominciato ad elargire licenze edilizie e monetizzato le aree verdi, cioè chiedono a chi costruisce contanti, in cambio d.standard edilizi, ovvero tutto quello che fa la differenza fra un quartiere normale e un quartiere dormitorio. Poi col contante ci costruisco una linea della metropolitana che però all'ente pubblico viene a costare 7 volte tanto, e magari non si fa nei tempi previsti. Intanto però con l'aumento dell'immigrazione, confinata in case dimesse con poche funzioni di qualità, e poche possibilità di integrazione si potrebbe correre il rischio di vedere qui quello che è successo qualche anno fa in un comune a nord di Parigi. A Clichy Sous Bois, dove un paio di anni fa è esplosa la rivolta: 9000 auto incendiate. 3000 persone arrestate, il governo ha dovuto dichiarare lo stato di emergenza, ad oggi non ancora sospeso. A un passo, Parigi, dove in campo urbanistico il Comune ha l'ultima parola su tutto.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Parigi è dodici volte più piccola del comune di Roma. Gli abitanti sono invece circa gli stessi. A Roma ci sono due linee metropolitane, a Parigi 14, più tre treni regionali che arrivano fino in centro. Quelle torri sulle sfondo sono gli uffici della Defence costruita su aree pubbliche, così come su aree pubbliche è la zona direzionale di Paris Rive Gauche. Andiamo a visitare il quartiere periferico di Bercy, paragonabile a una nuova centralità romana.
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
Dove c'è sia un gran parco di 12 ettari che due attrezzature maggiori, il Ministero delle Finanze e il Palazzo dello Sport e una grande zona di abitazioni, di commercio e di uffici. Si vede lungo il giardino tutta una zona di abitazioni, il cinema di Francia e dall'altra parte le 4 torri delle biblioteche di Francia. I commerci sono i commerci atipici, i commerci molto ricercati, non è il commercio di....
PAOLO MONDANI
Non avete portato il centro commerciale insomma?
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
No qua no, ma non ci sono i centri commerciali a Parigi. Questo è vietato.
PAOLO MONDANI
E perché?
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
perché i centri commerciali uccidono il piccolo commercio. Abbiamo tre tipi di alloggi qui, il privato, il sociale e la l'intermedier, sono gli appartamenti che sono in affitto per la classe media. Dunque abbiamo tutta la superficie sociale. Questi alloggi mi sa dire quali sono gli alloggi sociali e privati, si vede la differenza di architettura, ma non di qualità.
PAOLO MONDANI
Quante case avete realizzato qui, quanti alloggi sono?
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
I nuovi alloggi 2500.
PAOLO MONDANI
E in rapporto pubblico e privato quanti pubblici e quanti...?
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
Due terzi pubblici e un terzo privato. Il prezzo dell'affitto degli alloggi pubblici è uguale per tutta Parigi. Però il prezzo degli affitti o dell'acquisto delle zone libero, insomma private quello è il prezzo del mercato. La metro ha cambiato totalmente la zona, questa zona che era una zona di "fondo" città, con la metro è diventata una zona di "inizio" città. Prima da questo punto per arrivare al centro di Parigi, alla Madeleine occorreva più di un ora, un'ora e mezza, adesso 10 minuti e si è alla Madeleine.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
E a pochi passi, la zona degli uffici, degli alberghi e dei cinema. Va ancora detto che a Parigi il 50 per cento degli alloggi che si realizzano sono pubblici, l'altra metà sono privati ma è il Comune che fa il progetto. Resta solo da chiarire se le nuove città, come Bercy, vengono costruite su terreni pubblici o come accade a Roma su aree private.
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
Ci sono anche dei pezzi direi di proprietari privati, piccoli pezzi, ma direi che le gran zone di intervento pubblico si fanno su dei territori che appartengono a un gran proprietario pubblico.
PAOLO MONDANI
A Roma è possibile espropriare un terreno ma il Comune lo deve pagare a prezzo di mercato e di solito non ha i soldi per farlo. A Parigi come si comporta il Comune?
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
Quello che realizza l'operazione è una società a capitale misto gestita dal Comune, scelta dal comune, la Semapa, la Semaest, la Semavip, ce ne sono parecchie a Parigi dunque queste società a capitale misto finalmente hanno un capitale di soldi, un 51% di capitale appartiene al Comune di Parigi, dunque il Comune ha il controllo. Dunque chi compra i terreni non è il Comune, è la società a capitale misto.
PAOLO MONDANI
Quindi l'operazione la fa una società controllata al 51% dal pubblico. E il privato, con il suo 49%, permette al Comune di comprare le aree necessarie.
PIERRE MICHELONI - URBANISTICA APUR - COMUNE DI PARIGI
Compra i terreni, li viabilizza, costruisce le attrezzature, scuole, giardini, questo e quello, lottizza, vende i lotti e con i soldi, riprende i soldi che ha dato. Dunque è un gioco di equilibrio finanziario.
PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA
Roma in particolare è un caso unico in Europa. Nell'Europa nel nord, dalla Francia alla Germania alla Gran bretagna è comunque l'amministrazione pubblica che disegna l'assetto delle città, poi ovviamente volta per volta nei vari comparti di trasformazione della città contratta con il privato le forme di realizzazione, ma localizzazione delle funzioni che vanno nelle città è in mano al pubblico.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Affacciate sulle aree verdi di Tor Marancia ci sono le case Caltagirone di Grotta Perfetta. A Roma è ormai il privato che costruisce alloggi a basso prezzo, lui decide dove farli, sempre sulle sue aree, e decide qual è l'architettura. Le case di Caltagirone sono inconfondibili, sempre uguali a se stesse, parallelepipedi bianchi come blocchi di cemento.
PAOLO BERDINI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. TOR VERGATA
La qualità urbana è quella che si vede, insomma, un grande terrazzo aperto sopra i box dei garage, invece di fare del verde e negozi che non apriranno mai perché ormai la logica dei centri commerciali farà si che questi resteranno per sempre dei grandi quartieri dormitorio avulsi dalla città.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Francesco Gaetano Caltagirone sta realizzando un milione di metri cubi a Tor Pagnotta, un'antica tenuta della famiglia Torlonia in mezzo all'agro romano a sud di Roma, tra le vie Ardeatina e Laurentina. Nel 1259 i Cavalieri Templari si erano installati qui, e intorno alla torre medioevale si trovano reperti archeologici di epoca romana un po' ovunque. Ora un milione di metri cubi di appartamenti. Il via libera viene dato dalle giunte di centro sinistra.
UOMO 1
I nuovi edifici sorgeranno proprio tra i due casali, questi due casali antichi, qua verrà il nucleo duro della lottizzazione. Palazzi alti sette otto piani che copriranno quest'ultimo scorcio di campagna romana, di agro romano.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Francesco Gaetano Caltagirone, il più importante tra i costruttori romani, editore de.Messaggero, suocero di Pierferdinando Casini e da poco nominato Cavaliere del lavoro dal Presidente Napolitano, non costruisce solo palazzi. Nel 1991 partecipa alla realizzazione della linea ferroviaria Roma-Napoli dell'Alta velocità. Costo iniziale, 1,9 miliardi di euro. Verrà terminata tra il 2008 e il 2009 perché i tempi di consegna sono triplicati e il prezzo iniziale pure: i tecnici parlano di 6,7 miliardi di euro. Tra l'altro, un'opera affidata a trattativa privata benché le normative europee prevedano solo la gara pubblica. Nel 2006, la società Vianini di Caltagirone una gara la vince, quella per la linea C della metropolitana di Roma, insieme al Gruppo Astaldi e alle cooperative rosse della CCC di Bologna. Costo, 2,18 miliardi di euro per 27 km di linea. Data di consegna: il 2015. Il Comune avrebbe potuto fare un appalto normale e invece ha usato la legge obiettivo del governo Berlusconi e con i privati ha stipulato un contratto a contraente generale. Che cosa vuol dire?
IVAN CICCONI - INGEGNERE - ESPERTO APPALTI PUBBLICI
Il contraente generale è un concessionario, quindi con tutti i poteri del concessionario, e quindi svolge la funzione di committente. Fa il progetto esecutivo, affida il lavoro a terzi a trattativa privata liberamente come prevede la legge obiettivo e svolge anche l'attività di direzione dei lavori, cioè controlla se stesso. La legge obiettivo dice che è un concessionario, quindi con questi poteri, con l'esclusione della gestione dell'opera. Quindi non rischia assolutamente nulla nella gestione, viene pagato al cento per cento dal committente ma non ha nessun interesse a finire presto e bene i lavori perché non ha nessun incentivo o responsabilità di recuperare attraverso la gestione. E i 2,18 miliardi di euro andrà bene se raddoppieranno semplicemente e non triplicheranno e quadruplicheranno come sta avvenendo con l'alta velocità.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Vitinia è un quartiere sulla Via del Mare costruito nel 1939 da Mussolini. L'esperienza dovrebbe insegnare che nuovi quartieri in mezzo al nulla costano troppo in termini di servizi e diventano dei dormitori. Eppure, dalla metà degli anni '90 sorge il villaggio Caltagirone, 800 mila metri cubi per 8 mila abitanti, nel bel mezzo della Valle di Malafede.
ANGELO BONELLI - EX PRESIDENTE MUNICIPIO XIII
Questa era un'area che nel 1987 l'allora ministro dell'ambiente volle insieme a tante aree del litorale romano proteggere con un decreto che aveva il nome Zone d'importanza naturalistica del litorale romano.
PAOLO MONDANI
Il ministro Pavan?
ANGELO BONELLI - EX PRESIDENTE MUNICIPIO XIII
L'allora ministro dell'ambiente Pavan esatto. Accadde però che nel 1994 il ministro dell'ambiente, l'allora ministro dell'ambiente Matteoli modificò il perimetro delle zone d'importanza naturalistica del litorale romano, istituendo la riserva del litorale romano ma non inserendo più queste aree dove noi oggi ci troviamo perché vi fu una valutazione diciamo urbanistica che le aree erano compromesse. Dal nostro punto di vista in quel periodo non c'era nulla di compromesso anzi c'era qualcosa da tutelare e da conservare.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Successivamente, durante la prima Giunta Rutelli si è a lungo discusso se cancellare la previsione di questo nuovo quartiere, alla fine ciò che resta sono le vie con i nomi di cantanti e attori. A fine anni '80 quattro costruttori, Caltagirone, Marronaro, Bonifaci e Santarelli comprano le aree libere di Ponte di Nona. Dieci anni dopo cominciano a costruire il più grande quartiere satellite intorno a Roma, 12 mila appartamenti su 167 ettari strappati all'agro romano per 40 mila nuovi abitanti. L'edilizia di Caltagirone, tutta uguale a se stessa, trionfa.
FRANCESCO GARGIUOLI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Un appartamento di 65 metri quadri adesso si aggira attorno ai 220 mila, 230 mila euro. Poi c'è da pagare il condominio, bollette....
PAOLO MONDANI
Ci sono appartamenti piu' grandi?
FRANCESCO GARGIUOLI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Ci sono appartamenti più grandi di 85, 90 metri quadri che costano intorno ai 290, 320 mila euro, quindi diciamo non sono prezzi da periferia abbandonata tra virgolette come questa.
PAOLO MONDANI
Ma qui a quanti chilometri sete dal centro di Roma?
FRANCESCO GARGIUOLI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Dal centro di Roma distiamo all'incirca in linea d'aria una ventina di chilometri. Distiamo circa cinque chilometri dal raccordo anulare.
MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Questa è la peculiarità di questo quartiere, praticamente siamo di fronte ad un interruttore il quale basta che chiunque vada lo spenga e tutte le luci e tutti i lampioni del quartiere si spengono contemporaneamente. E questo mette molto a rischio la sicurezza e tutte le persone che vivono nelle case.
PAOLO MONDANI
Ma com'è possibile?
MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Com'è possibile, questo è nato praticamente all'inizio quando c'erano ancora i cantieri in corso ed è rimasto così come all'epoca.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Qui niente è rimasto come all'epoca. Ci hanno costruito sopra il più grande centro commerciale d'Europa.
CORRADO STEFANO GOTTI - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Una convenzione urbanistica con il Comune di Roma ha concesso la possibilità di costruire circa un milione e trecento mila metri cubi di costruzione. Ma il quartiere difetta dei più elementari servizi pubblici.
UOMO 2
Ho preso un cento metri quadri, li ho pagati 220 mila euro ma adesso credo che ne valga quasi 400.
PAOLO MONDANI
Tutto sommato Caltagirone serve perché sennò lei con 220 mila euro in città cosa avrebbe trovato?
UOMO 2
Avrei trovato un 70 metri quadri, ma adesso diciamo che l'innamoramento comincia a scemare perché quello che avevano detto che sarebbe stato realizzato non si è visto.
MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Spendo due o tre ore della mia giornata, invece di passarle con la mie famiglia le passo in macchina.
PAOLO MONDANI
Avete fatto i conti di quanto tempo all'anno passate in automobile?
MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Si. Per me personalmente circa 500 ore all'anno solamente per recarmi al lavoro ogni anno.
PAOLO MONDANI
Che fanno in termine di giorni?
MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
In termine di giorni fanno circa 20 giorni di 365 giorni.
PAOLO MONDANI
Cioè lei passa venti giorni all'anno in automobile?
MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Esatto, io sono attrezzato, porto il computer, il cellulare....
PAOLO MONDANI
Solamente per andare da casa al centro e tornare.
MASSIMO MANCUSO - COMITATO NUOVA PONTE DI NONA
Esatto e cerco anche di lavorare per strada, visto che tanto sono bloccato nel traffico.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
L'edilizia popolare non si costruisce più: zero a Roma e l'1 % a livello italiano. Il pubblico potrebbe espropriare le aree, ma deve pagare a prezzi di mercato e non ce la fa. E così il privato si è sostituito al pubblico, e le case a basso costo le costruisce dove ha i terreni di sua proprietà. E le costruisce come gli pare. La gente allettata compra e poi si ritrova con meno di quel che gli era stato promesso. Per dire, la grande università di Tor Vergata non ha una fermata del metrò. Gli studenti che devono andar lì, tirano su la macchina perché gli autobus sono quel che sono. Il Comune potrebbe riqualificare le aree dismesse, fatiscenti, che stanno dentro al raccordo e che sono tante, sono già provviste degli edifici scolastici e dei collegamenti, quindi non bisognerebbe fare grandi investimenti. Chissà com'è, è troppo complicato. Abbiamo visto che a Parigi l'edilizia convenzionata è un punto fermo del Comune, che è anche imprenditore e decide lui che cosa è nell'interesse pubblico. Come fanno in Spagna dove stanno cementificando il cementificabile.lo andiamo a vedere.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Periferia di Madrid. Zona di Vallecas, siamo a sette chilometri dal centro. Il Comune sta costruendo più di mille alloggi. Le strade sono state realizzate per sopportare il grande flusso di traffico dei futuri abitanti. A Madrid come a Parigi, il Comune può espropriare l'area e comprarla a prezzo di mercato ma si ripagherà con la vendita degli alloggi di sua proprietà. Insomma, il Comune qui si comporta come un imprenditore.
MARIA PILAR MARTINEZ LOPEZ - ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI MADRID
Quando pianifichiamo un nuovo quartiere la prima cosa da sapere è che il 50% delle case che costruiremo sono pubbliche e il 50% private. Nel piano regolatore del 1997 prevediamo 300 mila nuovi alloggi a Madrid e abbiamo predisposto piani a medio termine. L'attuale piano prevede di costruire 35 mila alloggi in cinque anni. Ne sono trascorsi quattr.e ne abbiamo terminati già 32 mila. Il 30% di questi alloggi è dato in affitto, mentre gli altri vanno a famiglie che hanno problemi economici nell'acquisto di un alloggio, per esempio un appartamento di 50 metri quadri compreso il garage lo vendiamo a 126 mila euro, mentre sul mercato libero costerebbe il triplo.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Le case pubbliche vanno dai 40 ai 90 metri quadri. E costano tra i 100 e i 300 mila euro. Ma questi prezzi non vanno a discapito della qualità. I migliori architetti del mondo e i migliori in Spagna stanno progettando case pubbliche a Madrid. E qui a Vallecas si sono sbizzarriti con i colori e le tipologie edilizie. Tra l'altro, gli alloggi in vendita possono essere dati in affitto.
MARIA PILAR MARTINEZ LOPEZ - ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI MADRID
L'alloggio pubblico di 50 metri quadri di cui parlavo prima, che vendiamo compreso il garage a 126 mila euro, se lo diamo in affitto costa 326 euro al mese.
PAOLO MONDANI
E' possibile per un giovane solo o per una coppia non sposata accedere alle case pubbliche? E' possibile farlo?
MARIA PILAR MARTINEZ LOPEZ - ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI MADRID
E' logico, la politica del comune di Madrid è una politica universale, è per tutti e in particolare per i giovani, il giovane single può acquistare o affittare un alloggio pubblico e possono accedere tutti i tipi di famiglia, la coppia sposata, le coppie non sposate e le coppie gay.
PAOLO MONDANI
Come si fa ad accedere alla lista di coloro che vogliono comprare o affittare una casa pubblica? Bisogna avere per esempio un limite di reddito?
MARIA PILAR MARTINEZ LOPEZ - ASSESSORE URBANISTICA - COMUNE DI MADRID
Esiste un registro di coloro che vogliono una casa pubblica e l'accesso è legato al reddito. Per le case in affitto possono accedere tutti i redditi. Naturalmente ai più alti diamo le case private sfitte che nel centro storico riusciamo a mettere sul mercato tramite la nostra agenzia municipale dell'affitto. Per poter comprare un alloggio pubblico invece, si deve avere un reddito che va dai 1300 ai 1400 euro mensili.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
L'amministrazione comunale di Madrid è governata dal centro destra ma sulla politica degli alloggi pubblici non c'è quasi differenza con il governo socialista di Zapatero che ha fatto della casa ai giovani uno dei primi obiettivi del suo programma.
LUIS DONCEL - GIORNALISTA EL PAIS
Dal 1 gennaio 2008 Zapatero ha deciso di dare 210 euro al mese di contributo per l'affitto a tutti i giovani sotto i 30 anni che guadagnano meno di 22 mila euro l'anno. Il governo stima che saranno 350 mila i giovani che potranno usufruire di questo contributo. Nel 2007 in Spagna sono stati costruiti 90 mila alloggi popolari e Zapatero ha promesso di realizzarne nei prossimi 10 anni 1 milione e mezzo, 150 mila all'anno.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
A Parigi e Madrid la mano pubblica governa il territorio. Se a Roma non lo fa, lo fanno altri: costruttori e abusivi. Nella capitale l'abusivismo non lo ha fermato mai nessuno, basti pensare che durante i 15 anni di giunte Rutelli e Veltroni, tra il 1993 e il 2008, il nuovo territorio compromesso dagli abusi è di 1000 ettari, pari a più della metà del centro storico della capitale.
VEZIO DE LUCIA - URBANISTA
Nel periodo 1994- 2003 sono le date dei due ultimi condoni, tutti e due dei governi Berlusconi, a Roma sono stati censiti dagli uffici 85 mila domande di condono in 9 anni, in 9 anni in cui i sindaci sono stati Francesco Rutelli e Walter Veltroni. Quasi nessuno si è chiesto com'è possibile. Io posso anche comprendere che nelle 85 mila domande ci siano anche cose irrilevanti, cose modeste, però ci sono anche cose grandi, ci sono anche cose in posti molto delicati, nell'Appia antica.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Appia antica. Il parco che si estende per 3500 ettari dal centro fino ai castelli romani. Mausolei, sepolcri e acquedotti dell'età repubblicana e imperiale, le principali catacombe della storia cristiana e gli otto chilometri della via Appia, la regina Viarum la chiamavano i romani. E' il più grande parco archeologico del mondo. Dal 1965, con un decreto, lo Stato italiano protegge questa area eppure da allora sono stati costruiti abusivamente almeno 1 milione e duecentomila metri cubi di cemento. E nonostante nuovi vincoli, dopo ben tre condoni edilizi l'abusivismo va avanti e gli uffici comunali accettano le domande di condono.
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
La parte più bella del Mausoleo di Cecilia Metella e delle mura del Castello dei Caetani è impedita alla vista del pubblico perché è proprietà privata. Vede perfettamente il Mausoleo con le mura e le torri, la parte terminale del Circo di Massenzio è stato acquistato ed ha avuto la sua trasformazione in zona residenziale, questa è la situazione all'88 e questa la situazione nel '94, quindi quello che era un piccolissimo manufatto poi è stato ulteriormente ampliato.
PAOLO MONDANI
Cioè è diventata una bella casa di campagna.
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Diciamo di campagna e poi è stato aggiunto, vede, un bella veranda che visto che siamo a ridosso delle mura forse tanto bene non sta.
PAOLO MONDANI
Hanno chiesto il condono edilizio?
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Sì. Hanno chiesto il condono edilizio.... per lo più l'ottengono perché il Comune, l'ufficio preposto ai condoni del comune di Roma ha rilasciato tutta una serie di condoni senza effettuare alcuna verifica sul valore delle aree, sui vincoli esistenti.
PAOLO MONDANI
Lei sa che nel 2004 c'è una legge che dice che si potevano sanare abusi anche all'interno delle aree con un qualche vincolo paesistico?
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Sì, purtroppo sì.
PAOLO MONDANI
Ma lei ritiene che qui ci sia un vincolo superiore a quello paesistico, per esempio?
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Quello paesistico è quello più vecchio del '53, poi vi è il vincolo quello più importante a mio avviso che è quello del piano regolatore del '65, poi vi è il vincolo del parco regionale dall'88 in poi, e poi vi sono tutta una serie di vincoli specifici di movimenti e di ampi settori, vincoli specifici archeologici che riguardano a volte anche settori, aree di centinaia di ettari.
PAOLO MONDANI
Quindi lei dice nessuna legge, nessun condono, nessuna leggina può consentire un abuso qui, figuriamoci addirittura il condono di un abuso.
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Assolutamente.
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA COMUNE DI ROMA
Se, diciamo, questi cicli decennali '84, '85, '94, 2003, cioè ogni nove anni esce un condono edilizio. Questo andazzo...
PAOLO MONDANI
Parliamo di aree con vincoli particolari.
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA COMUNE DI ROMA
Sì, aree con vincoli particolari che tuttavia diciamo quando tira aria di condono non è che si va tanto per il sottile.
PAOLO MONDANI
Voi potevate vigilare sul territorio o no?
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA COMUNE DI ROMA
Sì ma questa è lotta diciamo ....noi dobbiamo immaginare che siamo dentro..
PAOLO MONDANI
A parte i piccoli abusi..
ROBERTO MORASSUT - EX ASSESSORE URBANISTICA COMUNE DI ROMA
Siamo dentro una giungla, una foresta tropicale dove la vegetazione si sviluppa diciamo in maniera e dove si combatte a colpi di macete.
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Tra questi due monumenti recentemente restaurati da noi che poi continuano all'interno con mosaici e altre parti, dai fotogrammetrici, dalle fotografie aeree, dai catastali a nostra disposizione, la villa che è all'interno è completamente abusiva.
PAOLO MONDANI
E chi sono i proprietari visto che si tratta di gente così importante da quel che capisco?
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Dino editore.
LIVIA GIAMMICHELE - SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA ROMA
Appia Country club porta ad un complesso sportivo completamente abusivo. Campi da tennis, calcetto, casina sociale, piscina.
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Questo è ceramiche Appia Nuova anche questo completamente illecito sia nei manufatti realizzati che in tutta l'attività che viene svolta in modo pazzesco, eccessivo.
PAOLO MONDANI
Troviamo un'azienda agricola, questa che si chiama Cavicchi.
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Sì più che azienda agricola, una rivendita di prodotti agricoli direi.
PAOLO MONDANI
E poi questo ristorante Pappa e ciccia.
Anche qui c'è il vincolo archeologico?
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
Sì. Vi sono tutti i vincoli. I soliti vincoli di tutta l'Appia. è stato denunciato da noi a tutti.
PAOLO MONDANI
E nessuno viene qui ad abbatterlo?
RITA PARIS - DIRETTORE SOPR. ARCHEOLOGICA ROMA
No.
LIVIA GIAMMICHELE - SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA ROMA
Grosso modo 8mila condoni che riguardano l'interno del parco, l'Appia. 8mila.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Stiamo parlando della città che possiede il più importante patrimonio culturale dell'umanità. L'ex assessore all'urbanistica Morassut ora deputato dice " il pubblico non ce la fa a vigilare perché siamo dentro ad una giungla dove si combatte a colpi di macete". Roma ha 2 milioni e mezzo di abitanti, e sono almeno 400 tra fra tecnici ingegneri e personale amministrativo che lavorano agli assessorati all'urbanistica di provincia, comune e regione. Torniamo fra breve.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
E' tornata la febbre edilizia in tutto il paese, dicono che bisogna investire nel mattone e si è ripreso a costruire. In Inghilterra il 70% dei nuovi edifici deve sorgere su aree già edificate o dismesse. Il sindaco di Londra punta di arrivare addirittura al 100%. In Germania invece dal '98, cioè ben dieci anni fa, una legge che fissa il consumo di suolo in 11.000 ettari l'anno. L'Italia edifica 8 volte tanto. L'Italia, che possiede l'80% del patrimonio artistico, architettonico e culturale dell'intero pianeta, quello che nessun cinese, indiano o vietnamita ci può copiare e vendere ad un prezzo più competitivo. Bene, Roma inaugura le centralità, cioè tante nuove aree dove il Comune autorizza la costruzione di nuovi insediamenti.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Con il nuovo piano regolatore il Comune di Roma prevede di costruire nei prossimi dieci anni 70 milioni di metri cubi di cemento su un territorio di 15 mila ettari. Una nuova città più grande di Napoli. Eppure, tolti gli extracomunitari, la crescita demografica a Roma è pari allo zero. Lo sviluppo più spinto è previsto verso il mare, sulla via Cristoforo Colombo. Il primo progetto riguarda la ex fiera di Roma. Il Comune affiderà a una cordata di costruttori la realizzazione di 288 mila metri cubi di cemento, su un'area che ne conteneva 120 mila. Non solo, l'Ente fiera, che mette insieme il comune e la Regione Lazio, venderà l'area ai costruttori. Caso più unico che raro in Europa: il comune vende un'area di pregio ai privati a 500 metri dal centro storico. Dulcis in fundo, sarà necessario un accordo di programma, altra deroga alle regole, perché il piano regolatore non prevede un nuovo quartiere qui. Il progetto si chiama Città dei piccoli, perché conterrà un asilo nido e uno spazio per i giochi dei bambini. In realtà...
FRANCESCA BARELLI - ARCHITETTO COMITATO EX FIERA DI ROMA
L'intervento prevede destinazioni d'uso prevalentemente residenziali, superfici direzionali di piccolo taglio, superfici commerciali ed eventualmente strutture ricettive, come a dire di tutto un po', però è sottolineato l'intervento sarà prevalentemente residenziale.
UOMO
La gente non ha case, è disperata e si costruiscono case da 500mila euro l'una insomma. Questa è la realtà.
PAOLO MONDANI
Quali sono i costruttori che vogliono realizzare qua?
FRANCESCA BARELLI - ARCHITETTO COMITATO EX FIERA DI ROMA
Nomi noti. Leggiamo il nome di Francesco Gaetano Caltagirone, Viainini Lavori, Paola Santarelli, Salvatore Ligresti e Pierluigi Toti.
PIETRO SAMPERI - DOCENTE URBANISTICA UNIV. LA SAPIENZA
Il Comune si è dato una norma vincolante nel piano regolatore che ogni operazione di trasformazione urbanistica deve essere sottoposta al parere e a eventuali proposte alternative da parte dei cittadini attraverso i municipi. Questa procedura o non viene realizzata o se viene realizzata è un bluff.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Il parere dei cittadini non risulta all'amministrazione comunale e allora i comitati di quartiere dell'Eur, con l'ingegner Giorgio Biuso, già direttore dell'Ente Eur dal 1954 al 1992, vanno a parlare con gli assessori e chiedono: visti tutti i mega-progetti previsti nella zona, come faremo a spostarci dato che strade e trasporti sono insufficienti?
GIORGIO BIUSO - ARCHITETTO EX DIRETTORE ENTE EUR
Quando ci siamo sentiti rispondere dalle amministrazioni che non si poteva fermare tutto questo perché era un incremento per lo sviluppo della città, però non c'erano i soldi per fare tutti questi servizi.
PAOLO MONDANI
Non ci sono i soldi per fare la cura del ferro, per fare le metropolitane.
GIORGIO BIUSO - ARCHITETTO EX DIRETTORE ENTE EUR
Per fare la cura del ferro, per fare i sottopassi, per allargare le strade.
PAOLO MONDANI
Ci sono per fare i palazzi ma non per la viabilità.
GIORGIO BIUSO - ARCHITETTO EX DIRETTORE ENTE EUR
I cittadini allora hanno fatto dei progetti. Ci sono state dal 2000 riunioni con la Terza università, professori Quilici e Picconato, con la Sapienza, professor Monardo e abbiamo studiato un modello che proiettato negli anni futuri c'ha dato dei risultati raccapriccianti. Tra cinque anni, se le cose continuano con questo andazzo, Roma sarà paralizzata.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
I progetti dell'EUR hanno un nome e un cognome: il mega centro commerciale più residenze e uffici denominato Eur Castellaccio per 800 mila metri cubi, è del costruttore Parnasi; l'area dell'ex Velodromo che diventerà la Città del benessere con piscine e negozi è di Aquadrome, società mista tra Eur Spa, partecipata dal Comune di Roma e dallo stato, e Condotte Immobiliare, del gruppo Ferfina; i 400 appartamenti di lusso realizzati al posto dei tre palazzi del ministero delle Finanze sono dei costruttori Toti, Ligresti e Marchini; i 150 mila metri cubi di piazza dei Navigatori, dove si stanno edificando tre palazzi per uffici e negozi, sono della famiglia Bellavista Caltagirone, cugini di Francesco Gaetano, e infine il Centro Congressi per 11 mila addetti progettato da Massimiliano Fuksas, realizzato dalla società Condotte e di proprietà di Eur Spa. All'architetto Fuksas abbiamo chiesto perché ha rifiutato di progettare le famose centralità.
MASSIMILIANO FUKSAS - ARCHITETTO
Quando qualcuno mi viene a chiedere una lottizzazione o questi progetti delle centralità, così, molte volte io rispondo con una frase abbastanza sprezzante forse, dico: io non ho fatto queste cose quando ero giovane ed ero povero in canna perché dovrei farlo oggi. Quello che manca e' di risolvere di studiare come far vivere il maggior numero possibile con una qualità di vita altissima e con un consumo energetico limitato. Ecco, gli architetti non si sono occupati di questo, i costruttori non se ne sono occupati per niente. Che a Roma e in Italia non ci sia stata un'evoluzione anche degli imprenditori o dei cosiddetti "palazzinari" è evidente. Quello che si costruisce è molto simile a quello che si costruiva negli anni Settanta.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
MILANO - L'ultimo annuncio arriva da Brescia: l'aeroporto di Montichiari ha ottenuto l'ok dalla regione Lombardia ad allungare la sua pista fino a 3.200 metri. Ma anche Bergamo non vuole essere da meno: a Orio al Serio è partita la corsa per costruire il nuovo terminal e la società di gestione dello scalo punta al traguardo degli 8 milioni di passeggeri l'anno. Poi c'è Malpensa, che prova a elaborare il lutto dell'abbandono di Alitalia sottoscrivendo un accordo con Lufthansa (lontano comunque dal colmare il vuoto lasciato dalla compagnia della Magliana). Insomma, ognuno dei principali aeroporti lombardi continua la sua corsa solitaria, una crescita spontanea che non guarda in faccia a nessuno, nemmeno al vicino di casa. Tutto bello e tutto possibile?
Partenza obbligata da Brescia dove il «Gabriele D'Annunzio » di Montichiari si è visto approvare il piano d'area dal Pirellone; il piano contiene un lunga serie di vincoli e permessi, il principale dei quali è l'allungamento della pista. «Sarà un importante fattore di crescita per lo scalo - dice il presidente Francesco Bettoni - perché grazie a questa novità potranno partire e atterrare anche aerei di grandi dimensioni. Questo porta la capacità teorica di Montichiari a 3 milioni di passeggeri l'anno e 500 mila tonnellate di merci. La nostra strategia è rivolta principalmente al settore merci, ma reclamiamo da tempo maggiore autonomia rispetto ai nostri vicini di Verona, la cui società è azionista di maggioranza a Montichiari».
Bergamo si conferma aeroporto dei record: anche a marzo ha ampliamente migliorato la sua performance rispetto ai dodici mesi precedenti, incrementando i passeggeri del 17%: Orio è ormai stabilmente ben oltre i 5 milioni di transiti l'anno.
Ma nei cieli di Lombardia, scossi dalla crisi di Alitalia, c'è posto per tutti? E come viene vista da Malpensa e dalla Regione l'attivismo degli altri scali lombardi? La miccia della polemica è stata accesa qualche giorno fa da Mario Agostinelli, consigliere regionale della Sinistra Arcobaleno: «Il sì a Montichiari dimostra che Lega e Forza Italia hanno cavalcato in campagna elettorale la crisi di Malpensa solo per guadagnare voti. E' chiaro che la crescita di Brescia entra in concorrenza con l'hub varesino».
«Le statistiche confermano che il traffico aereo in tutto il pianeta cresce del 5-6% l'anno - ribatte Raffaele Cattaneo, assessore regionale alle infrastrutture nonché consigliere di amministrazione di Sea, la società che gestisce Malpensa - dunque c'è posto per tutti, anche perché ogni singolo scalo continua ad avere la sua specificità. Detto questo è auspicabile un maggior dialogo tra le varie società di gestione».
Il dato riguardante la crescita generale del traffico viene confermato da Renato Piccardi docente ed esperto di trasporto aereo del Politecnico di Milano: «Entro il 2020 i passeggeri che prendono l'aereo in Lombardia potrebbero passare dai 40 milioni attuali a 100 milioni. Le piste dunque potrebbero non bastare, ma siamo in una zona altamente congestionata dal punto di vista urbanistico. Occorre ponderare bene ogni nuovo passo: per una questione di impatto ambientale ma anche per evitare doppioni o il fatto che aeroporti vicini finiscano per rubarsi la clientela e dunque per danneggiarsi a vicenda».
Gentili telespettatori,
Vi comunichiamo che Report andrà in onda Domenica 4 Maggio alle 21.30 su RAI TRE.
La puntata si intitola ''I RE DI ROMA'' di Paolo Mondani.
Lo scorso febbraio, il consiglio comunale di Roma ha approvato il nuovo piano regolatore. Le previsioni parlano di nuovi edifici per 70 milioni di metri cubi di cemento su un territorio di 11-15 mila ettari.
Una nuova città, più grande di Napoli, che verrà costruita nelle campagne di Roma. Tutto questo nonostante la crescita demografica nella capitale sia vicino allo zero, esclusi i circa 200 mila nuovi residenti tra gli extracomunitari. Nel piano regolatore e' stata prevista, dall'amministrazione comunale, la realizzazione di tante piccole città, denominate Centralità, tutto intorno all'attuale zona urbanizzata. Queste micro città verranno costruite su aree private che sono in possesso dei grandi costruttori: Toti, Scarpellini, Ligresti, Caltagirone, Santarelli, che chiedono già oggi di aumentare le cospicue previsioni cubatorie previste dal piano regolatore appena approvato. Lo strumento attraverso cui queste richieste possono realizzarsi è il cosiddetto ''Accordo di Programma''.
Basta che un costruttore o un proprietario di un'area chieda all'Amministrazione di andare in deroga al piano regolatore, che questa procedura sostituisce alla decisione pubblica un tavolo di trattativa tra le parti. E' grazie a questa tecnica che molte regole urbanistiche possono saltare.
L'inchiesta mostra come funzionano invece le cose in altre due capitali europee: Parigi e Madrid.
A Parigi e' stata costruita Bercy: una mini-città cresciuta in questi anni attorno al centro storico, paragonabile ad una delle ''Centralità''' che si vogliono costruire a Roma. Qui però il comune di Parigi, pur coinvolgendo la proprietà privata e i costruttori, mantiene il suo ruolo di perno della decisione urbanistica, in termini di localizzazione delle funzioni e di progettazione.
A Madrid si mostra, in parallelo con Roma, come viene affrontato il tema della costruzione dell'edilizia popolare e pubblica. L'amministrazione spagnola si muove da autentico imprenditore tenendo però sempre in altissima considerazione le esigenze dei giovani che cercano casa. A Roma e nel resto d'Italia la costruzione delle case pubbliche è ormai ridotta quasi allo zero e la realizzazione delle case a basso costo è stata interamente delegata ai grandi costruttori privati.
Sono previste le repliche di questa puntata su Raisat Extra canale 120 piattaforma Sky nei seguenti giorni:
lunedì 05/05 alle 10.00 e alle 21.00
mercoledì 07/05 alle 23.15
venerdì 09/05 alle 04.00
Sul sito www.report.rai.it potete trovare la trascrizione integrale dei testi ed i video di tutte le inchieste di Report.
In un recente articolo su Liberazione l’urbanista Sergio Brenna, a proposito dell’Expo 2015, citava le parole pronunciate nel ’43 da De Finetti in uno dei suoi saggi riguardanti la pianificazione della città e del territorio. Una citazione che ci sentiamo di riprendere per la sua impressionante attualità e viste le proposte contenute nei programmi dei due maggiori schieramenti politici in materia di governo del territorio e tutela dell’ambiente. De Finetti avvertiva “di non lasciar prendere la mano ai praticoni o ai cosiddetti uomini d’azione che si battono per il sistema del fare pur di fare perché il tempo stringe e la necessità è grande”. E sì, perché se da un lato conosciamo molto bene le scelte di politica urbanistica promosse dalle destre, dall’altro scopriamo nel programma riformista del Pd affermazioni in materia di governo del territorio che rasentano il paradosso. In linea con la politica del “ma anche” e del “più”, troviamo quella del “basta” poiché la crescita economica richiede che si “debba fare”. In tema di ambiente si dice allora: “…basta con l’ambientalismo che cavalca ogni movimento di protesta e impedisce la crescita dell’Italia…” e si ribadisce che per modernizzare il Paese c’è bisogno “del nostro ambientalismo del fare”.
Date queste prospettive ed utilizzando ancora le riflessioni di De Finetti ritengo che “…conviene precederli e cercar di fissare qualche concetto fondamentale per lo sviluppo della città” e, aggiungiamo noi, anche del territorio, “…che valga anche a difenderli dagli improvvisatori”.
Il presupposto fondante della linea politica comune a entrambi gli schieramenti è la dottrina neoliberista che affida al mercato anche la definizione degli assetti territoriali ed allo Stato l’assunzione di un ruolo minimale. I neoliberisti non sono contro l’intervento dello Stato nel mercato ma ritengono che esso debba operare per integrarlo ed aiutarlo (Hayek). In quest’ottica il decisore pubblico dovrebbe intervenire solo per sostenere l’interesse privato, considerato il vero motore dello sviluppo economico. Secondo gli apologeti del neoliberismo la pianificazione dovrebbe pertanto rinunciare definitivamente alla pretesa di svolgere, a qualunque livello ed in qualunque modo, un ruolo di “sistema” nei confronti delle attività private. Da qui il fatto che il governo del territorio, a loro avviso, dovrebbe essere affidato ad una strumentazione minimale, altamente flessibile che liberi il mercato dai “lacci e laccioli” della politica, considerati un freno all’obiettivo primario della crescita economica. Esplicativo a questo proposito è il progetto di legge che era stato presentato sotto il governo Berlusconi dall’ex Assessore lombardo Lupi che, approvato alla Camera grazieanche ai voti ed alle convergenze di Margherita e DS, fortunatamente non è andato in porto per la scadenza della legislatura. Si trattava di un progetto neoliberista che in nome della “regola aurea” per cui il bene pubblico deve essere conseguito con il minimo sacrificio della proprietà privata, privatizzava di fatto l’urbanistica ponendo al centro dell’agire pubblico l’interesse ed il ruolo dei privati, ossia quello delle rendite immobiliari. Si trattava di un disegno di legge ispirato alla legge lombarda per “il governo del territorio” (LR 12/2005), una legge in cui alle rendite fondiarie si riconoscono il diritto “naturale ad edificare” ed un ruolo “sociale” oltre che economico. In questa legge regionale, che interpreta in chiave leghista il principio di “sussidiarietà”, si pongono forti limiti ai poteri di pianificazione di “area vasta” delle Province e li si devolvono ai Comuni, i quali se ne servono per far quadrare i propri bilanci mettendo a disposizione delle rendite immobiliari vaste aree del proprio territorio non ancora urbanizzato. É una legge che fa propria la politica del “pianificar facendo” già in essere da diversi anni e praticata dai Comuni ricorrendo astrumenti urbanistici che hanno consentito di aggirare i PRG vigenti. Un recentissimo studio (Legambiente – DIAP) ha evidenziato che in Lombardia, nel solo periodo 1999-2004, ogni anno sono stati sottratti all’agricoltura ed alla campagna ben 4.950 ettari. Ogni giorno sono stati coperti di cemento e asfalto ben 135.600 mq. E poiché questo non basta, da alcuni mesi l’Assessore lümbard all’urbanistica Boni sta profondendo tutto il suo impegno per peggiorare la legge regionale vigente, proponendo emendamenti che prevedono di dare ai Comuni la possibilità di urbanizzare anche nei Parchi. Fin’ora l’Assessore è stato stoppato grazie ad una massiccia mobilitazione che ha visto impegnati Associazioni ambientaliste, urbanisti, cittadini e l’opposizione di centro-sinistra in regione Lombardia. Ciò nonostante il caparbio Assessore ha promesso che ci riproverà, con buona pace delle direttive dell’U.E. che invitano gli Stati membri a dar corso a politiche per lo “sviluppo urbano sostenibile” che pongano al centro il contenimento del consumo di suolo, la tutela della biodiversità e degli spazi verdi. E, se questi sono i prodromi, ne vedremo delle belle quando si presenteranno i progetti relativi all’Expo 2015! Sotto il governo Prodi si è tentato di dare al Paese una legge quadro che ponesse un freno al dilagare di leggi regionali neoliberiste ed a politiche di urbanizzazioni prive di limiti. Purtroppo l’interruzione della legislatura non ha permesso al Parlamento di approvare un testo unico in cui anteporre l’interesse pubblico e generale a quello privato affidando la responsabilità del governo del territorio e delle città esclusivamente ai poteri pubblici, i quali la devono esercitare impiegando il metodo e gli strumenti della pianificazione. Ora, visti i programmi dei due maggiori schieramenti il rischio di vedere riesumato il progetto di legge Lupi è assai concreto.
I soggetti e le associazioni che hanno concorso a dar vita a “La Sinistra l’Arcobaleno” e che nel corso di questi anni hanno sviluppato iniziative di lotta per la difesa dell’ambiente e del territorio hanno contribuito a diffondere una coscienza collettiva di essi quali “beni comuni”. Una consapevolezza necessaria e da cui bisogna partire per intraprendere il faticoso ma indispensabile percorso verso uno “sviluppo socialmente ed ambientalmente sostenibile”.
“La Sinistra l’Arcobaleno”, riconoscendo la valenza di queste pratiche e l’importanza del tema dello sviluppo sostenibile ne ha fatto un punto imprescindibile del proprio programma. Un obiettivo programmatico decisivo che presuppone una concezione del territorio e dell’ambiente diametralmente opposta a quella dominante. Si tratta di concepire il territorio non più come un mero supporto fisico da sfruttare in funzione dell’insediamento delle attività umane. Si tratta di concepire l’ambiente non come ricettacolo/pattumiera atta a raccogliere qualsiasi “scarto” di un modello di sviluppo che si fonda su una crescente produzione di merci ad alto contenuto energetico, di materie prime non facilmente riproducibili e difficilmente degradabili.
Territorio e ambiente sono beni necessari, indispensabili e soprattutto finiti. Ed è propria la coscienza del loro limite che deve spingere verso un radicale cambiamento di rotta nella loro gestione ed organizzazione. Ma per poterli gestire e governare in modo virtuoso e consapevole è necessario ridare centralità alla pianificazione pubblica. Solo entro un processo di pianificazione del territorio e di ciò che interagisce con esso è possibile recuperare un equilibrio ecologico da tempo compromesso.
Un processo che deve essere necessariamente affidato al potere pubblico poiché solo in questo ambito è possibile ricercare le risposte ai problemi che minacciano il clima e la vita sul pianeta. Pubblico e partecipato perché si tratta di gestire in modo efficace, trasparente e condiviso risorse che appartengono alla collettività. Soltanto entro questo processo che è anche un processo di apprendimento e crescita culturale, è possibile dare concretezza ad una diversa idea di società.
Mario Agostinelli è Capogruppo PRC–SE nel Consiglio regionale della Lombardia; Andrea Rossi è Consigliere PRC SE alla Provincia di Lodi
Una Camargue italiana dove i cavalli corrono liberi sulle dune lungo il fiume, fino al mare. Dove migliaia di uccelli migratori fanno tappa nelle sterminate paludi ricche di cibo, mentre altre centinaia di specie si fermano a nidificare. Dove sontuosi esemplari di cervo abitano i boschi, insieme a daini, lepri, scoiattoli e volpi. Dove specie rare di anfibi, come l’ululone dal ventre giallo, un piccolo rospo divenuto per i biologi un po’ il simbolo delle specie da proteggere, hanno trovato l’habitat assolutamente ideale. Un ambiente magico da cui partono per riprodursi, nelle loro cicliche migrazioni verso il mare dei Sargassi, le anguille. È qui nel territorio dimenticato del Parco del Delta del Po, tra Chioggia e Comacchio, a cavallo tra il Veneto e l’Emilia, che il Wwf e il mensile Geo, terranno in occasione delle giornate italiane della biodiversità, il 9, 10 e 11 maggio prossimi, il censimento e la mappatura degli animali che abitano l’intera area. Cinquanta ricercatori, coordinati dal naturalista Fernando Spina, dell’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, esploreranno il territorio, divisi in piccoli gruppi, per lanciare una sfida in difesa di uno straordinario ambiente minacciato.
«Sabato 10 maggio ci porterà la sua benedizione, sul posto, il premio Nobel Dario Fo, particolarmente sensibile ai temi ambientali - racconta soddisfatta Fiona Diwan, direttore di Geo, motore dell’iniziativa. - Perché il Delta non è più terra di malaria e povertà (ci morì Anita Garibaldi), ma scrigno delle meraviglie naturalistiche italiane, da conoscere e proteggere». La minaccia più insidiosa si chiama Euroworld, un’immensa colata di cemento per realizzare un parco divertimenti che intende riprodurre, con tanto di funicolare, su una superficie complessiva di 124 chilometri, in provincia di Rovigo, una gigantesca ricostruzione, ad uso turistico, dell’intero continente europeo. Un’operazione assolutamente da cancellare secondo tutti i naturalisti che amano il parco. «Difendere la biodiversità non significa semplicemente difendere il numero delle specie presenti in un determinato habitat - spiega Fernando Spina. - Ma capire le interconnessioni, le relazioni esistenti tra specie e specie, di cui lo stesso uomo fa parte. La biodiversità non è qualcosa di estetico, da guardare, non è un lusso inutile. Ma è la chiave della vita sul pianeta. Ogni specie è come una tessera di un immenso mosaico. Ha una sua identità, certo, ma è solo la relazione con le altre tessere che ci permettere di capire il disegno complessivo».
L’Italia è il paese europeo con la maggiore ricchezza di sistemi ecologici. Corridoio biologico tra l’Europa e l’Africa. «Un territorio unico che ospita complessivamente 57.468 specie animali e 9 mila botaniche - ricorda Enzo Venini, presidente del Wwf Italia. - La biodiversità è importante perché fa funzionare meglio gli ecosistemi, che con un numero maggiore di specie sono più stabili. Gli ambienti con biodiversità elevata dimostrano infatti maggiore resistenza al cambiamento. E anche una maggiore resilienza, la capacità cioè di tornare allo stato originario una volta perturbati. Insomma investire sulla biodiversità è un po’ come fare un’assicurazione sulla vita del pianeta».
Nota: di seguito un interessante commento sul progetto, che ho ripreso dal forum del sito per appassionati www.parksmania.it ; allegati anche due pdf scaricabili: la presentazione “istituzionale” del progetto con alcuni dati quantitativi, e il comunicato stampa degli ambientalisti,; per qualche altra informazione "interessata" sul progetto di parco tematico c'è il sito http://www.euroworld-italia.it (f.b.)
Io abito nella zona in cui dovrebbe essere costruito il parco (il delta del Po, in provincia di Rovigo) e devo ammettere che stando alle dichiarazioni comparse su un periodico locale (la Città) la situazione è abbastanza nebbiosa. La ditta (svizzera mi pare) che vuole costruire il parco vuole garanzie dagli enti locali in breve tempo per iniziare i lavori il prima possibile e aprire per il 2013-2014, ma i nostri sindaci e amministrazioni comunali stanno facendo una specie di ostruzionismo dicendo "che devono parlare, decidere se una cosa del genere può relamente incentivare il turismo (mi chiedo pensano a sta roba, sono anni che cercano di portare turisti dove l'attrattiva e le strutture turistiche sono pressocheè nulle o fatiscenti)" e cose simili, ma tutte senza presentare un vero interesse al progetto, che porterebbe pure circa 20-30000 posti di lavoro secondo le stime. A questo si aggiunge un precente storico non indifferente: alla fine degli anni 80 il comune di Taglio di Po, in questo caso interessato marginalmente dal progetto, ma che è comunque coinvolto nelle trattative e la cui approvazione è necessaria per dare il via alla progettazione del parco, ha rifiutato categoricamente e senza appello la costruzione di Mirabilandia sul suo territorio, parco che è poi stato realizzato a Ravenna.
Diciamo che allo stato attuale, date le richiesta di "decidere presto" fatte dai costruttori e il "voler rallentare " dei comuni diciamo che il parco si farà in Italia al 10%.... al 90% andrà costruito in Croazia o Spagna
PS. Il parco sarà costituito da una parte tematica (però non si sa niente sulle attrazioni che potrebbero essere presenti) e da un parco acquatico. E' interessante notare che se il parco verrà realizzato si troverà ad appena 60 km da Mirabilandia.
Lombardia: una tomba di cemento per il verde
il manifesto, ed. Milano
Coldiretti Milano e Lodi
Una colata di cemento si sta mangiando i campi della Lombardia.
A lanciare l’allarme sono le associazioni delle imprese agricole, Coldiretti di Milano e Lodi, Confagricoltura e Cia che hanno presentato i dati sul trend di scomparsa delle aree verdi attorno al capoluogo e nelle altre province della regione. Fra la provincia di Milano e l’area metropolitana si arriva, secondo dati del Politecnico, a oltre il 42 per cento del consumo di suolo con quasi 840 chilometri quadrati fra terreni già urbanizzati e altri ancora da edificare. La situazione peggiore si registra nella zona a nord di Milano (con una fetta già consumata e a rischio dell’83 per cento), all’interno del capoluogo (70 per cento), nel Rhodense e nel Legnanese che si attestano sul 58 per cento e la Brianza sul 54 per cento. “A forza di asfalto e cemento rischiamo di trovarci senza più terreni sufficienti da coltivare, con un conseguente danno per l’ambiente.
Noi non siamo contro tutto a priori, ma serve una politica di concertazione sull’uso del territorio che veda coinvolto in prima persona chi di questo territorio si occupa, fra cui noi”, dicono gli agricoltori, che in questa battaglia sono affiancati da Legambiente, Wwf, Fai e associazioni dei consumatori.
Attorno al capoluogo lombardo c’è la situazione peggiore con la Tem (Tangenziale est esterna) che per 40 chilometri attraverserà il Parco agricolo Sud Milano, con la Brebemi che si collegherà alla Tem all’altezza di Melzo, con raddoppio della Paullese fra Milano e Crema, con il collegamento della Tem alla Cerca nell’area di Melegnano.
Senza dimenticare poi tutto il sistema degli accessi alla Fiera e all’aeroporto di Malpensa, i collegamenti fra la Padana superiore e la Tangenziale Ovest con 14 svincoli fra Abbiategrasso e Magenta e il collegamento a nord con la Boffalora-Malpensa. “Se andiamo avanti così più che infrastrutture in mezzo alla campagna lombarda, ci ritroveremo una spianata di capannoni e strade punteggiata ogni tanto da qualche terreno agricolo.
Un paradosso, vista l’importanza che le coltivazioni hanno sempre avuto e che stanno assumendo ancora di più oggi anche a livello internazionale – afferma Carlo Franciosi, presidente della Coldiretti di Milano e Lodi - Il suolo non è una risorsa infinita. Non si può certo pensare di coltivare grano e mais sulla corsia di sorpasso della tangenziale o della Brebemi, o di trasformare l’ingresso di una cascina in un casello della Brebemi. Serve una mobilitazione che salvaguardi le aree agricole come zone ad alto valore ambientale evitando che finiscano cannibalizzate da strade che molte volte invece di diminuire il traffico, al contrario lo aumentano, con inquinamento e smog”.
L’avanzata del cemento sta colpendo anche il sud della Lombardia, fra le province di Mantova, Lodi e Pavia, dove si stanno espandendo capannoni, strade e poli logistici. Secondo dati raccolti da Legambiente, fra il 1999 e il 2004, a Mantova ogni anno sono spariti oltre 6 milioni di metri quadrati di terreni verdi, a Lodi oltre 2 milioni, a Pavia quasi 5 milioni e mezzo.
Con indici di consumo procapite per abitante fra i più alti della Lombardia: 16 a Mantova, 11 a Lodi e anche a Pavia. Secondo gli agricoltori serve un atteggiamento responsabile degli enti locali per quanto riguarda le pianificazioni urbanistiche e i via libera a insediamenti che potrebbero stravolgere le ultime aree verdi rimaste. Una posizione condivisa anche da ambientalisti e consumatori con i quali Coldiretti, Confagricoltura e Cia stanno dando vita a un patto per la difesa del territorio.
Gli agricoltori sotto assedio "Il cemento ci sta uccidendo"
la Repubblica ed. Milano
di Ilaria Carra
Cemento e catrame occupano in provincia di Milano il 34% del suolo. Ma ci sarà una crescita, fino arrivare al 42,7% quando saranno costruite le aree edificabili. Per questo gli agricoltori lanciano l’allarme e chiedono di potersi sedere ai tavoli dove si decide il futuro della Lombardia. «A forza di asfalto e cemento rischiamo di trovarci senza più terreni sufficienti da coltivare. Serve una politica di concertazione sull’uso del territorio, in cui si mettano a punto anche forme di compensazione» sostengono Coldiretti, Cia e Confagricoltura, che hanno presentato il documento, "Un futuro per l’agricoltura milanese", con cui chiedono maggiori tutele per la salvaguardia del territorio agricolo dai progetti infrastrutturali. Una posizione sottoscritta anche da Fai, Slow food, Italia Nostra, Legambiente, Wwf, e Adiconsum.
I dati rivelano che l’avanzata del cemento sta colpendo anche il Sud della Lombardia, rimasta in passato più tutelata rispetto al nord, fra le province di Mantova, Lodi e Pavia, dove si stanno espandendo capannoni, strade e poli logistici. Fra il 1999 e il 2004 a Mantova ogni anno sono spariti oltre 6 milioni di metri quadrati di terreni verdi, a Lodi oltre 2 milioni, a Pavia quasi 5 milioni e mezzo.
A Milano seconda città agricola d’Italia, e quinta provincia in Lombardia, con 90mila ettari coltivati e 370milioni di euro lordi di prodotti della terra, la situazione è già compromessa da tempo: secondo i dati del Politecnico tra provincia e area metropolitana il consumo di suolo supera il 42 per cento, con quasi 840 chilometri quadrati fra terreni già urbanizzati e altri in attesa di edificazione. Le preoccupazioni degli agricoltori nel Milanese riguardano in particolare i progetti stradali (Tem, Brebemi, i collegamenti con la Fiera e Malpensa, Pedemontana) e quelli dei centri come il Cerba che sorgeranno nei parchi. Senza contare i progetti edilizi in chiave Expo. «Che è basato, prima di tutto, sull’agroalimentare: ma senza territorio come facciamo?», si chiede Carlo Franciosi, presidente Coldiretti Milano e Lodi. «L’Expo dovrebbe portare, invece, a un’eccellenza agricola - auspica Paola Santeramo, presidente provinciale della Cia - chiediamo un piano di recupero delle cascine abbandonate, uno sviluppo degli agriturismo e un piano di insediamento di giovani imprenditori». A difesa del territorio divorato dal mattone si schiera anche Pietro Mezzi, assessore provinciale al Territorio, che chiede «di porre un limite prima di arrivare al punto di non ritorno». In altre parole: giù le mani dai parchi a chi pensa di ritoccarne i confini per costruire.
Giulia Crespi: "La nuova legge allenterà la tutela". E rispunta la contestata norma "ammazzaparchi"
Da piccola era solita andare al Parco agricolo sud con il padre, quando ancora si sentiva il profumo del fieno. «Oggi quasi non si sente più, con esso sono scomparse molte aree verdi di Milano e provincia. E se passa il progetto di legge della Regione sui parchi sarà un danno ulteriore per il nostro territorio». È con il Pirellone che se la prende Giulia Maria Crespi, presidente del Fai (Fondo italiano per l’Ambiente), che, dopo aver sottoscritto il documento "Un futuro per l’agricoltura milanese", attacca il progetto di legge regionale sui parchi. «Stanno pensando - denuncia - di estendere la caccia nelle aree protette e di eliminare la tipologia dei parchi regionali, mettendo ai vertici personaggi politici che non hanno le competenze adatte per quell’incarico». Una preoccupazione condivisa anche dai Verdi con il consigliere Carlo Monguzzi, che denuncia «la maggior libertà di edificare dei Comuni dopo la riforma urbanistica voluta dalla Regione». Dove ora, alla commissione Ambiente, si sta discutendo appunto il nuovo progetto di legge, che approderà in consiglio entro l’estate.
Tre i punti fondamentali: la riduzione notevole dei membri dei cda dei parchi, la possibilità per la Regione di intervenire in contenziosi sorti tra comuni ed enti gestori delle aree protette (un’eventualità già respinta in passato, battezzata "ammazzaparchi", e che ora ritorna), e la nomina dei direttori da parte della giunta regionale selezionando i candidati da un albo accessibile a chiunque abbia i requisiti. «Vogliono gestire i parchi come le Asl», critica Francesco Prina, consigliere del Pd al Pirellone. «Vogliamo soltanto razionalizzarne la struttura - spiega Marco Pagnoncelli, assessore regionale all’Ambiente - i parchi devono diventare attori protagonisti. Lo sviluppo ha il suo prezzo ma andrà di pari passo con la tutela del territorio».
Con la pubblicazione delle ennesime, per ora ultime consistenti modifiche alla legge urbanistica regionale lombarda 12/2005, introdotte dalla legge regionale 4/2008 si è consumato un nuovo episodio del processo apparentemente inarrestabile di deregulation urbanistica.
L’attenzione del pubblico è stata richiamata, anche dall’opposizione, soltanto sul cosiddetto emendamento “ammazzaparchi” che consentiva alla giunta regionale di decidere in via definitiva sulle richieste dei comuni di modifica dei Piani territoriali di coordinamento dei parchi stessi. L’emendamento è stato alla fine ritirato dallo stesso assessore competente.
E’ invece stato approvato, nel silenzio generale, un altro emendamento, quello che introduce il comma 1 bis dell’art.103. Tale emendamento disapplica nella Regione il decreto 2 aprile 1968 n. 1444, tranne che per la distanza minima di dieci metri tra edifici.
Morte accertata per l’urbanistica riformista.
Chi conosce non solo il decreto, ma anche l’impianto e lo spirito della legge 12 non faticherà ad intuire quanto vaste e sconvolgenti possano essere sul territorio le conseguenze di questo articoletto di poche righe. Per tutte mi limito a qualche esempio.
Partiamo dalla questione degli standard urbanistici. L’articolo 9 della legge 12 continua a prevedere che, in quella porzione dello strumento urbanistico generale denominato “piano dei servizi”, sia rispettata la quantità minima di spazi pubblici pari a 18 mq per abitante. Si apre però una fila lunghissima di interrogativi, dei quali fornirò ancora una volta solo qualche esempio. Come si calcolano i mc per abitante? Non vi sono più obblighi di previsione degli standard, in misura quantitativamente definita, per gli insediamenti non residenziali? E gli standard di livello urbano dove sono andati a finire?. E cosa garantisce l’applicazione degli standard nella pianificazione attuativa?. Come sempre ormai, in Lombardia, terremoto e totale incertezza del diritto. O meglio, perdita di ogni omogeneità di comportamento, e facoltà per ciascuno dei 1546 comuni in cui è sminuzzato il territorio regionale di darsi o anche di non darsi regole e principi di comportamento civili e moderne.
Ma la disapplicazione dello storico decreto produce una serie di altri effetti di portata difficilmente calcolabile rispetto alla prassi urbanistica faticosamente conquistata negli ultimi quarant’anni. La definizione di centro storico sparisce dalla legislazione urbanistica e resta affidata al solo fragilissimo baluardo del piano paesistico regionale. I limiti massimi di densità edilizia e di altezza che ci avevano consentito di uscire faticosamente dall’incubo urbanistico degli anni 50 non esistono più; il nuovo incubo fa pensare ad una generalizzazione del modello Pudong.
E’ solo qualche esempio, ma sufficiente per capire dove ci stanno portando le istituzioni lombarde, circondate dal silenzio praticamente totale di associazioni, organismi culturali ed università. Orbene, la legge è appena entrata in vigore. Il governo, giunto al termine della propria vita, ed in particolare il Ministero dell’ambiente avranno la forza di reagire? Avrà la voglia di reagire la Provincia di Milano? Oppure a resistere saranno lasciati ancora una volta, da soli, i “comitati”?
Ci volevano alcuni creativi d’eccezione per organizzare un festival che si propone, nientemeno, che di rappresentare come “paesaggio della felicità” ciò che resta delle cittadine industriali della pedemontana triveneta con il “passaggio al postfordismo”.
Rovereto, Schio, Valdagno, Montebelluna, Conegliano, Vittorio Veneto, Maniago: luoghi di antica vocazione protoindustriale, accanto a vere e proprie company town, ma anche nodi commerciali sulle antiche vie d’Alemagna, sedi di importanti commerci testimoniati in alcuni casi dalla presenza di consistenti comunità ebraiche. Esattamente l’opposto del Veneto contadino, arretrato e ignorante divenuto luogo comune nell’Italia della ricostruzione postbellica degli anni Cinquanta.
Ciò nonostante, città tutte più o meno travolte dal selvaggio sviluppo, immobiliare prima ancora che produttivo, dei decenni più recenti, che ne hanno a volte conservato i pregevoli centri antichi ma sfigurato i confini, le campagne, la parte esterna del corpo. Il rapido smembramento delle forme consolidate è andato di pari passo con lo sgretolamento delle regole sociali consolidate, spesso un po’ pesanti e chiuse, ma comunque in grado di riprodurre una tranquilla e peculiare convivenza civile.
E con la forma va perdendosi anche la memoria, giacché oggi la Pedemontana veneta, più che un’organizzazione sociale, produttiva e territoriale peculiare designa più volgarmente un progetto autostradale.
“Perché la città torni a diventare impresa e l'impresa torni a essere città”, recita dunque l’iniziativa che dal 18 al 20 aprile prossimi intende promuovere “un rinnovato senso del lavoro, di progettazione e di vita proteso al perseguimento della felicità”. Chi sono costoro, e con chi intendono comunicare?
Un ex giornalista d’un noto quotidiano di sinistra, in seguito responsabile per la comunicazione d’un rilevante monopolio, ora portavoce del Presidente regionale; un geniale organizzatore d’eventi e arredatore, da qualche tempo direttore editoriale d’una rivista nazionale che sponsorizza l’evento; l’attivissimo cantore della nuova classe imprenditoriale postfordista; qualche docente di economia e affini, qualche giornalista, un editore, una sindacalista pedemontana. Un mix interessante, non c’è che dire, per chi apprezza il genere, ma per organizzare che cosa?
Beh, un festival, come dice il titolo stesso dell’evento.
Se non fosse un festival, il fatto che gli organizzatori dichiarino che “questo territorio, e le sue imprese, devono diventare attrattivi per migliaia di lavoratori intellettuali provenienti da ogni angolo del pianeta, offrendo loro come prospettiva quella di lavorare nelle aziende più innovative del mondo, in una “metropoli” che offre occasioni, stimoli culturali e un paesaggio dove vivere felici” aprirebbe diversi interrogativi. Che cosa significa oggi essere un’azienda innovativa? Sono davvero le metropoli, e nel caso quali metropoli, i luoghi che offrono stimoli culturali e un paesaggio che fa vivere felici? Le nostre comunità residue sono davvero disponibili a convivere con ulteriori migliaia di lavoratori provenienti da ogni angolo del pianeta, per ora verosimilmente attratti dai differenziali salariali rispetto ai paesi d’origine più che da altri fattori? E che significa occuparsi del nostro paesaggio? Argomenti che sarebbe assai utile fossero discussi nei luoghi consoni, deputati ad assumere le decisioni in nome della collettività, siano essi le aule dei consigli regionali o comunali piuttosto che le sedi delle organizzazioni di categoria e quant’altro. Ma che invece brillano per assenza di dibattito pubblico, a iniziare dalla campagna elettorale e dai relativi programmi partitici.
La risposta implicita che il festival ci fornisce è l’evento-spettacolo come nuovo motore dell’economia urbana, poco importa se innanzitutto dell’economia immobiliare. Tesi un po’ vecchiotta, oggetto di un dibattito disciplinare da una ventina d’anni, e ahimé tornata in strepitosa auge dopo la recente designazione di Milano a sede Expo.
Relegati al ruolo di consumatori passivi, non ci resta che approfittare di quel poco di sicuramente interessante che il festival offre, come i filmati d’autore in programma a Vittorio Veneto. Tra questi il bellissimo “Pier Paolo Pasolini e la forma della città”, girato nel 1972 a Sanaa e Orte, i cui contenuti costituiscono una lucida denuncia delle tesi fatte proprie dagli organizzatori.
La coerenza è proprio passata di moda, anche da queste parti prossime alla montagna?
Sono passati soltanto pochi giorni da quando, presentando il “nuovo” progetto per l’autostrada lombarda Pedemontana, il presidente ne enfatizzava il potenziale ruolo di vero e proprio corridoio verde dentro la cosiddetta “città infinita”. Contemporaneamente, una dettagliata analisi pubblicata dai Comitati territoriali di alcune aree interessate sottolineava il rischio, quasi ovvio, che qualunque intenzione e dichiarazione in questo senso potesse rivelarsi alla fine assai debole: sia in una prospettiva storica, visto che puntualmente l’infrastruttura stradale a tutte e latitudini si tira appresso forme di urbanizzazione conseguenti; sia nella contingenza politica e culturale italiana e specie padana, dove dietro altisonanti quanto banali “misure d’uomo” e altrettanto rituali “attenzioni all’ambiente”, spunta sempre implacabile la necessità di “sviluppo del territorio”.
Quasi contemporaneamente alle rassicuranti e propositive dichiarazioni sulla Pedemontana, in altra sede non troppo discosta si presentava il progetto di legge lombardo Infrastrutture di Interesse Concorrente Statale e Regionale, che mira a definire “procedure scandite da tempistiche veloci e da meccanismi di reazione all’inerzia degli organi istituzionali”, si orienta in particolare all’autostrada Pedemontana, al nuovo collegamento Milano-Brescia, alla Tangenziale Esterna del capoluogo, e vedi vedi “valorizzazione massima delle aree infrastrutturali, comprese le aree connesse”.
Insomma, detto in altre parole: che ce ne facciamo di tutto quel verde, che poi i paroloni tipo greenway non li capisce nessuno? Molto meglio, che so, l’ outlet del fuoristrada, la boutique dell’insaccato, il mega-fashion-district della calzatura sportiva.
Vicolungo insegna: fuori dall’oblio della storia, a colpi di comodi parcheggi e trompe l’oeil precompressi studiati dai migliori megavetrinisti.
Proprio mentre il comune di Milano inaugura il suo nuovo rapporto col territorio agricolo post-Expo, dedicando al Farmers’ Market un rettangolo di (esageriamo) mille metri quadrati in piazza San Nazaro, affacciato sul corso di Porta Romana, fuori dalla cerchia delle tangenziali, hic sunt peones, l’ineluttabile “sviluppo del territorio” si è già mangiato virtualmente qualche migliaio di ettari, rigorosamente a nastro, lungo le nuove arterie, magari anche in pieno parco Ticino sulle fasce laterali dell’appena inaugurata A4-Malpensa.
Come? Il nostro bel Progetto di Legge lo esplicita all’articolo 10, dove si spiega che “per ottenere maggiori introiti dalla possibilità di sfruttare economicamente aree attigue ai tracciati ed ammortizzare più facilmente gli investimenti attraendo capitali privati, le concessioni possano riguardare anche aree esterne alle infrastrutture, ma con le stesse collegate, sicché i relativi margini di gestione possano contribuire all’abbattimento dei costi dell’esposizione finanziaria dell’iniziativa complessiva”.
Chiaro, inequivocabile, squadrato. Ricorda proprio la forma di quegli insediamenti “esterni alle infrastrutture ma ad essi collegati” che allietano nella logica del massimo sfruttamento i vari serpentoni stradali di piano e di valle.
Maggiori particolari, nell’allegato.
Nota: Chi non ama le cose esterne alle infrastrutture ma ad esse collegate, può aderire alla Petizione contro il PdL (f.b.)
Nel quartiere della Magliana - periferia sud di Roma tristemente nota per essere stata uno degli esempi più mostruosi della speculazione edilizia degli anni '70 nonché per l'omonima banda malavitosa che ha ispirato libri e film - alcuni intramontabili affaristi hanno messo gli occhi su una scuola abbandonata da tempo. Vorrebbero realizzarvi nientemeno che una funivia per collegare il quartiere con l'Eur, dall'altra parte del Tevere. Manco fossimo al Sasso del Pordoi. La grancassa dei giornali di informazione, che più che informare amplificano veline fabbricate altrove, ha costruito l'evento: siamo di fronte, assicurano, al grande futuro di Roma.
Dietro il progetto c'è invece una ignobile speculazione: la scuola possiede l'unico vero spazio verde del quartiere e lì si vorrebbe realizzare un immenso parcheggio per i residenti. La periferia ha fame di parcheggi e servizi? Ecco pronta la ricetta: saccheggiamo le proprietà pubbliche per costruire box auto. Mille posti auto per 60 mila euro ciascuno fanno la gigantesca cifra di 60 milioni di euro. Il promotore del progetto è Sviluppo Italia, uno dei figli prediletti del precedente governo Berlusconi, veicolo di spregiudicate operazioni. E' stato il comune di Roma ad avergli affidato la responsabilità del progetto.
Il caso della Magliana è il paradigma del futuro della città nei prossimi cinque anni di amministrazione. Il nuovo sindaco dovrà scegliere se continuare nella spregiudicata politica affaristica fin qui consentita e tollerata o invertire una buona volta il corso degli eventi. In questi anni si è costruito ai ritmi degli anni '60 e '70, quando la città cresceva di 50 mila abitanti ogni anno. Oggi la popolazione non cresce e l'enorme quantità di cemento serve soltanto ai grandi investitori internazionali. Gli ultimi dieci anni hanno consentito il più gigantesco sacco urbanistico di Roma, 80 milioni di metri cubi di cemento che hanno creato una periferia sempre più lontana. E sempre più povera di relazioni. In ossequio al «mercato», infatti, nel giro di sette ani sono stati inaugurati 28 giganteschi centri commerciali disseminati lontano dai quartieri. Il piccolo tessuto commerciale periferico sta scomparendo perché non regge la concorrenza. La città diviene sempre più deserta.
Ma ancora oggi per salvare le periferie si parla soltanto dell'intervento delle archistar, i grandi architetti internazionali che con la loro maestria dovrebbero riqualificare la città anonima. Non è la loro bravura a essere in discussione. Il problema è che aggiungendo senza alcuna idea unificante ulteriori pezzi ad una città congestionata, non si fa altro che peggiorare la già grave situazione. Le città non cambiano con l'eclettismo. Le belle architetture aiutano certamente la qualità urbana, ma se manca proprio la città non servono a nulla. Le città sono beni pubblici per eccellenza e per cambiarle occorrono idee lungimiranti, non pezzi casuali e incoerenti.
Il caso della Magliana è paradigmatico anche per un altro fondamentale motivo. Per scongiurare l'ignobile speculazione la scuola è stata occupata da un gruppo di giovani: oggi ci abitano decine di famiglie di immigrati che non potrebbero permettersi altro che un sordido scantinato o una baracca lungofiume. Poco distante, in una piccola e splendida bottega, si costruiscono insieme ai bambini del quartiere biciclette con materiale di scarto. Intelligenze collettive che cercano un futuro possibile.
Non è minimalismo senza prospettive. Al contrario, Roma ha bisogno proprio di una grande idea pubblica unificante e tante piccole attenzioni alle sue informi periferie. Siamo purtroppo ancora all'interno della cultura opposta: nessuna idea e tante gigantesche valanghe di cemento. Firmati o no da archistar stanno soffocando la città, ed è ora di voltare pagina.
Ricordate la scena finale dell'«Abbuffata» di Mimmo Calopresti, quella dove Gerard Depardieu festeggia al centro di una tavolata con tutti gli abitanti del paese? Tenetela bene a mente, perché quella sequenza rischia di essere l'ultima immagine di com'era fino a pochi mesi fa Largo Savonarola, una delle più belle piazzette di tutta la Calabria, con il suo splendido affaccio sul mare e sull'isola di Cirella. Sì, ricordatela bene perché quella piazza, orgoglio di Diamante, paese di cinquemila abitanti in provincia di Cosenza, non c'è più, deturpata dallo scheletro di un albergo che, arrampicandosi dalla scogliera sottostante, ostacola ai diamantesi la vista sul Tirreno. E questo nonostante da mesi l'amministrazione comunale di centrosinistra tenti in tutti i modi, ma inutilmente, di fermarne la costruzione dell'ennesimo ecomostro che deturpa le coste italiane.
L'ultimo smacco è di ieri, quando il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza con cui il Tar della Calabria aveva accettato la richiesta di sospensiva di revoca della concessione edilizia presentata dalla ditta costruttrice dell'albergo. Una decisione che però, per quanto amara, non scoraggia il sindaco di Diamante, Ernesto Magorno, e la sua giunta, determinati nel continuare la loro battaglia. E questo anche se rappresenta comunque un boccone duro da mandare giù. «Sono perplesso - ammette infatti Magorno - troppo spesso si accusa la politica calabrese di agire male, e perfino di essere collusa con la criminalità. Quando però si tenta di fare qualcosa di buono la risposta da parte delle altre istituzioni dello stato non c'è». Almeno per ora, comunque, i lavori dell'albergo non proseguiranno. Il cantiere è stato infatti posto sotto sequestro dalla procura di Paola che ha indagato i responsabili della ditta e l'ex responsabile dell'ufficio urbanistico.
Quella dell'albergo di Diamante è a suo modo un classico esempio di come in Italia vanno un certo tipo di cose. Tutto comincia nel 2005, quando il paese è governato da un giunta civica di centrodestra. Largo Savonarola è ancora una splendida piazzetta appesa sull'Alto Tirreno. Una vista mozzafiato, con il paesaggio reso ancora più suggestivo dalla visione di una delle due isole calabresi. Sotto la piazza, a picco sulla scogliera, già esistono un ristorante e una casa disabitata da anni, il cui tetto è proprio parte della piazza: un rettangolo di circa duecento metri quadrati recintato da un piccolo muro ma di proprietà del Comune. La concessione rilasciata alla ditta S.I.R. sas consente di trasformare la casa disabitata in albergo, rialzandola di un piano. «Già questa è assurdità, perché si permette di edificare sopra il terrazzo che è del comune», commenta Magorno.
La concessione viene però subordinata alla stipula di una convenzione tra la S.I.R e il comune, in cui si dovrebbero fissare non solo le nuove cubature previste, ma soprattutto si confermerebbe che la proprietà della terrazza resta dell'amministrazione. Stipula che però non viene mai fatta. Nonostante questo, la S.I.R. comincia i lavori. Nel frattempo nella giunta le cose cambiano: alcuni assessori si dimettono e il comune viene commissariato. E il commissario blocca i lavori dell'albergo. Fino al 29 maggio dell'anno scorso quando, vinte le elezioni, la nuova giunta guidata da Magorno avvia le procedure per annullare la concessione edilizia e procedere con l'abbattimento di quanto costruito fino ad allora. Mentre la S.I.R fa ricorso al Tar chiedendo la sospensiva dell'annullamento della concessione (ricorso in seguito accolto dal Tribunale amministrativo), interviene la procura di Paola a sequestrare il cantiere.
Quella di Diamante è una battaglia per opporsi anche a un destino che, negli anni passati, ha visto l'intera zona cedere lentamente al cemento. Come ricorda lo stesso Magorno in una lettera che il 5 febbraio scorso invia al presidente della repubblica Giorgio Napolitano: «Negli anni '80 - scrive il sindaco - Diamante, con tutta la costa tirrenica, ha subito l'impatto di una enorme speculazione edilizia che ha sconvolto non solo il territorio ma anche le abitudini e lo stile di vita dei residenti». Un destino che in molti vorrebbero che non si ripetesse ancora, ma che purtroppo sembra essere sempre in agguato. Come dimostra un'altra speculazione edilizia che minaccia un'area archeologica poco distante da Diamante, dove è prevista la costruzione di villette a schiera per 38mila metri cubi.
Per quanto riguarda la piazzetta, Napolitano ha promesso di interessare della vicenda il ministero dell'Ambiente. «Finora però non si fatto vivo nessuno», spiega Magorno. «Di una cosa, però sono sicuro: finché il sindaco sarà io, sulla piazzetta non costruiranno niente».
Cominciamo col non esagerare. La partita sull’Expo non è affatto decisiva per i destini del nostro paese, né per quelli delle sue connessioni culturali e produttive internazionali. Si tratta di un successo importante per Milano sul piano del marketing urbano, visto che le città sono diventate purtroppo pure occasioni di competizione mercantile. In questo si sono trasformate le Esposizioni universali che hanno cessato la loro funzione propria alla fine del XIX secolo, trasformandosi in utilissime occasioni di lavoro e di afflusso temporaneo di capitali. Non è più il tempo delle Tour Eiffel.
Sarebbe invece importante compiere da subito uno sforzo di progettazione urbana di lungo periodo per costruire un’ipotesi credibile, un piano, su come si possa utilizzare tale occasione, immaginando miglioramenti strutturali, diffusi e non esibizionisti. Le occasioni eccezionali come Olimpiadi, campionati internazionali, esposizioni tematiche possono essere utilizzate positivamente come hanno fatto Barcellona o Torino vincendo l’ideologia della deregolamentazione con piani di lunga durata o trasformarsi in disastri come a Siviglia o ad Osaka.
Per quanto riguarda la reazioni polemiche che hanno attraversato i giornali, esse oscillano tra l’odio generalizzato per la nuova costruzione (un’ostilità peraltro ampiamente giustificata dallo stato cattivo dello sviluppo urbano degli ultimi anni) e l’entusiasmo senza confini per il cambiamento incessante, tra le battaglie pro o contro il grattacielo, battaglie senza senso perché non si può essere pro o contro una tipologia architettonica ma solo pro o contro la sua qualità e il suo uso proprio o improprio. Quanto, poi, al giudizio sulla qualità dei prodotti architettonici recenti, essa è sovente una pura proiezione dei parametri di giudizio personali: le preferenze di gusto non sono argomenti sufficienti a discutere con competenza di un argomento così complesso. Se le critiche che, da questo punto di vista, ho sollevato fin dall’origine al progetto dell’area della vecchia Fiera coincidono con quelle del dottor Silvio Berlusconi è una questione che riguarda le contraddizioni interne al suo schieramento che quel progetto ha promosso: questo sì sicuramente in funzione di alcuni privati interessi.
Poco più di un secolo fa Cesare Beruto, ingegnere capo del Comune, disegnava il nuovo piano regolatore con l'esplicito intendimento che Milano diventasse ancora più bella, un piano molto apprezzato dai contemporanei, dai cittadini e dagli intenditori. Che nessuno oggi riconosca nelle strade di Milano l'impronta dell'opera d'arte è per la nostra città una disgrazia, ma non è un fatto così fuori dell'ordinario: dal Cinquecento al Settecento nessuno costruiva più nello stile gotico e nessuno era più in grado di apprezzare lo specifico carattere architettonico di ogni cattedrale. Soltanto con il revival gotico, quando tornò di moda, qualcuno ricominciò a studiarlo e Viollet-le-Duc ne fece poi un'analisi magistrale. Da allora in poi tutti furono di nuovo in grado di comprendere, volendo, una cattedrale gotica.
Ecco un esempio. Beruto aveva disegnato, davanti a Santa Maria delle Grazie, una lunga strada verso la campagna — via Ruffini, via Mascheroni, via Rossetti, viale Scarampo — sicché chi fosse arrivato in città l'avrebbe vista là in fondo. E ancora oggi — se la continuità di questa visuale venisse mantenuta — chi arrivasse dalle autostrade verrebbe accolto da uno dei monumenti più significativi della città, dove è conservato il Cenacolo leonardesco.
Nessuna città europea avrebbe una prospettiva così significativa e le migliaia di visitatori attesi per l'Expo, quelli che arriveranno dai loro Paesi in automobile o dalla Malpensa con un autobus o un taxi, avrebbero un memorabile benvenuto. Ma il progetto in corso sulle aree della ex fiera non tiene conto di questo suggerimento. Ha, infatti, disposto fabbricati che occludono questa vista.
Le nostre città sono state costruite nel corso di mille anni per essere opere d'arte. Questa intenzione estetica è evidente per chi le sappia leggere — una conoscenza alla portata di tutti — e sembra strano che siano proprio gli italiani a ignorare di cosa sia fatta la loro bellezza.
In questi giorni tutti sembrano d'improvviso i più appassionati cultori della bellezza, ma di una bellezza che sembra un contenitore cui ciascuno è libero di dare il contenuto e il significato che crede. Non è così, non è vero che de gustibus non est disputandum. Le regole costitutive della bellezza delle città, quelle che ne hanno fatto un'opera d'arte, sono l'esito di un processo millenario nel quale sono state coinvolte quaranta generazioni di cittadini, e sono ancora quelle che suggeriscono di abbellire una città con un nuovo teatro, una nuova biblioteca, un nuovo museo, tutti temi collettivi inventati centinaia di anni fa, accanto alle strade trionfali, alle passeggiate, ai boulevard cui sarà bene ricorrere anche ora. Che l'occasione dell'Expo sia la vetrina della nostra volontà di bellezza e non della nostra ignoranza.
Nota: per chi volesse verificare, del Piano Beruto sono disponibili su Mall/Antologia la relazione e la carta della versione 1884 (f.b.)
All’appuntamento con l’Expo appena conquistata, fra sette anni esatti, si presenterà una città radicalmente cambiata: una selva di grattacieli griffati, monumenti di archeologia industriale richiamati alla vita, battelli che scivolano su vie d’acqua urbane. Ecco un viaggio tra i quindici mega-progetti che ridisegnano il suo futuro.
l vento di aprile soffia insistente sulle fronde chiare del betullino e il fruscio arriva fino a dentro, mischiato con il fischio delle foglie di una quercia ancora giovane. Entra anche il profumo intenso del gelsomino che ha messo i primi fiori, e la macchia di colore rosso delle bacche del cratego. È il momento migliore, per il bosco. Il momento del risveglio. Ma questo è un bosco speciale: siamo in un appartamento di città, al ventisettesimo piano della torre "D" di Porta Nuova Isola, pareti di vetro che danno sul terrazzo, davanti una quinta di verde. E questo è il "Bosco Verticale", progettato dallo studio Boeri, novecento alberi alti fino a nove metri sovrapposti l’uno all’altro, salici e peri da fiore, ciliegi giapponesi e bambù, piantati piano sopra piano. Poco più su, sul tetto, volteggiano le pale eoliche che garantiscono energia. Molto più giù, invece, le sonde geotermiche pompano calore dal sottosuolo e da qualche parte le acque grigie, filtrate, tornano in circolo per l’irrigazione. Dalle finestre, tra le fronde, ecco a perdita d’occhio il profilo della città.
Ed ecco, appena in là sull’orizzonte, a nascondere le cime delle montagne, un altro bosco, stavolta semplicemente pensile. A centosessanta metri di altezza, che vuol dire al trentunesimo piano. Sul belvedere, con ristorante, del grattacielo che è la nuova sede della Regione Lombardia e che quassù vuole attirare cittadini e turisti. Un parallelepipedo di vetro progettato dall’architetto cinese della Piramide del Louvre, immaginato per celebrare la trasparenza e il buon governo, al centro di una grande piazza coperta da una cupola, dove migliaia di persone passeggiano e fanno shopping negli elegantissimi negozi; ma anche se ne stanno semplicemente sedute ai bordi della fontana circolare, pc sulle ginocchia, collegate col wi-fi. Un’opera grandiosa: centomila metri quadri edificati per un costo di 320 milioni di euro. La più maestosa delle opere commissionate da un ente pubblico dal tempo degli Sforza; l’erede, nelle intenzioni, del Castello.
Benvenuti a Milano 2015. Benvenuti nella città che ha vinto l’Expo e che per questo, da stanca metropoli post-industriale, smarrita e senza vocazione, ha ripreso a correre. Se l’iniezione di denaro prevista dal piano per l’esposizione - 4,1 miliardi di euro - permetterà la costruzione ex novo di un pezzo di città che oggi non esiste, il quartiere della fiera da più di un milione di metri quadrati, e il completamento di strade, linee di metropolitana, reti ferroviarie, una zona verde grande come tre Hyde Park e mezzo, perfino la creazione di una via d’acqua sulla quale scivolano i battelli, quella che fra sette anni si presenterà all’appuntamento con il mondo sarà in ogni caso una città completamente nuova. Ci saranno colline nel piatto della pianura; laghi là dove era asciutto. Ma sarà, soprattutto, una città verticale. Con grattacieli storti, sì anche sbilenchi; qualcuno colorato, altri con le guglie; certi che sembreranno essere lì lì per cadere, altri ancora perfino attorcigliati. Torri rivestite di vetro, acciaio, pietra, ma anche di bosco, addirittura di lamine d’oro. E tutti, questo è certo, saranno altissimi.
È come se a Milano si fosse scatenata una gara tra gli architetti di tutto il mondo per vedere chi inventa l’edificio più stupefacente. Spariti i vecchi immobiliaristi legati in qualche modo alla tradizione, ora anche i cantieri sono nelle mani di chi non ha mai avuto legami con la città, gli sviluppatori internazionali, che costruiscono a Londra come ad Abu Dhabi e che rispondono esclusivamente a logiche di profitto. L’obiettivo è diventato far rumore, farsi vedere, trasformare tutto in attrazione, vendere. Ma attrazione per chi? Per il mezzo milione di abitanti che negli ultimi trent’anni ha lasciato la città, che ci ritorna al mattino per lavorare ma che se ne va la sera? Nel 1972 Milano era una metropoli da un milione e settecentomila abitanti; oggi sfiora il milione e tre. Una città impoverita ma, soprattutto, una città che ha il drammatico problema del pendolarismo: 840mila ingressi ogni mattina, 510mila persone che arrivano in automobile, hanno dei costi altissimi. Far tornare i milanesi a Milano, smettere con l’edificazione delle città-satellite nell’hinterland, ricominciare a costruire solo al centro potrebbe essere un disegno per il futuro.
Ma per costruire in centro, è necessario soprattutto farlo in verticale. Vediamola, questa nuova città, dal ventottesimo piano della torre "D". All’orizzonte, a quel punto, i vecchi simboli saranno diventati insignificanti: la Madonnina, la Torre Velasca, il grattacielo Pirelli. Stracciati, in una classifica basata semplicemente sull’altezza, da almeno quindici nuovi "mostri" di acciaio, cemento, vetro e tanto verde. Disegnati dai più grandi architetti del mondo chiamati a operare ovunque, a riempire vuoti, a reinventare aree dismesse, a costruire dove per trent’anni non si è fatto. Sono quindici progetti giganteschi e 147 piccoli interventi, che l’abolizione del vecchio piano regolatore e la scomparsa della destinazione d’uso ha liberalizzato. Nasceranno quartieri nuovi e altri abbandonati torneranno a vivere; anche i comuni limitrofi avranno i loro simboli. Come Rozzano, con la torre Landmark, alta duecento metri. Perfino le caserme cittadine troveranno una seconda vita; e cambieranno pelle gli scali ferroviari abbandonati.
Il più grande piano di riqualificazione urbana si sta realizzando nella zona intorno all’Isola, vecchio quartiere tra la stazione Centrale e Garibaldi, che prevede l’edificazione di 350mila metri quadrati e la realizzazione di una delle aree pedonali più grandi della città, dentro la quale ci sarà la Biblioteca degli Alberi, un reticolo di percorsi tra piantumazioni di diverse essenze destinati a diventare anche percorsi didattici. Svetta, in questa zona, la nuova sede della Regione Lombardia, con i trenta piani, centosessanta metri, firmata dallo studio Pei. Il nuovo Pirellone si alza su un impianto formato da corpi allungati a serpentina, arrotondati, che si incrociano saldandosi in un unico edificio. Poco distante è Cesar Pelli a immaginare una torre che si innalza con tre guglie, stile Dubai estrema, e che guarda in una nuova piazza circolare e pedonale.
I mega-progetti in fase di esecuzione non sono raggruppati in una zona, identificabili con un quartiere: toccano tutta la città, anche quella considerata oggi periferia, anche comuni esterni, come Sesto San Giovanni e Rozzano, appunto. Ed è proprio questo il filo conduttore della Milano di domani, espresso chiaramente nel piano "Milano verso il futuro" dall’assessore allo Sviluppo del territorio Carlo Masseroli: superare il concetto centro-periferia, distribuire i servizi ovunque, creare una metropoli integrata e continua. Superare anche il confine tra città e hinterland, fare in modo che diventi una realtà «la grande Milano, nella quale Milano-città rappresenti il nodo principale di una costellazione». A sud-est, ad esempio, in un’area che ora è periferica, separata dal corpo metropolitano da ferrovia e tangenziale, la città cambierà volto con il progetto Santa Giulia, ideato da Norman Foster, l’archietto del St. Mary Axe, "The Gerkin", il grattacielo a forma di cetriolo che per primo ha cambiato lo skyline di Londra. Santa Giulia, che prende il nome da una chiesa che verrà costruita, è immaginato per essere abitato da cinquanta-sessantamila persone, dunque sulla carta è già promosso come modello di città nella città e di metropoli nel verde. Qui nascerà il Crescent, una zona residenziale d’eccellenza, high tech e domotica, energia rinnovabile, con appartamenti i cui costi partono da due milioni di euro.
Via le periferie, dunque. Come ha detto Renzo Piano, l’architetto che ha progettato l’area Falk, centocinquanta ettari di archeologia industriale, la città già delle fabbriche, degli altiforni e delle acciaierie, quella più intimamente legata alla storia della Milano operaia dove ogni mattina, al suonare delle sirene, arrivavano migliaia di persone in tuta blu. Piano vuole che la sua città resti una fabbrica: «Una fabbrica di idee, il mio Beaubourg a Sesto San Giovanni». È qui uno dei recuperi più straordinari di costruzioni di archeologia industriale, il laminatoio, destinato a diventare secondo il progetto della Provincia un museo di arte contemporanea, la nostra Tate Modern. Ed è qui che Carlo Rubbia sperimenterà gli "Elfi", veicoli a trazione elettrica o a idrogeno. Due torri, anche qui: alte duecento metri, direttamente sulla "Rambla", un ampio viale alberato che converge in un parco centrale.
Il primato dell’altezza spetta al progetto City Life, che è forse il più vistoso, immaginifico, sicuramente il più griffato. Nel quartiere storico della vecchia Fiera - quella costruita nel 1906, proprio per un’esposizione universale - stanno prendendo corpo i tre spettacolari grattacieli dell’architetto iracheno Zaha Hadid, del giapponese Arata Isozaki, di Daniel Libeskind, il progettista di Ground Zero: lo "storto", il "curvo" e il "dritto", alto, quest’ultimo, duecentodiciotto metri, cinquanta piani. Accanto ai tre giganti è previsto l’edificio del Museo di arte contemporanea, e la pianta complessiva prevede percorsi in mezzo al verde, corsi d’acqua con ponti trasparenti. Saranno, l’acqua e il verde, i nuovi elementi di Milano. Se da una parte c’è la ricerca di un simbolismo stravagante, dall’altra la qualità della vita assume un posto di primo piano. Il verde è dappertutto: si immagina un anello intorno alla città, fatto solo di boschi. Il piano generale per l’Expo prevede addirittura la rinascita di una via d’acqua, che giunga diretta al centro. Ma non saranno progetti troppo ambiziosi? Non sarà che ancora una volta, al passaggio dall’effimero al concreto tutto si ferma?
La storia dell’urbanistica milanese è storia di grandi incompiute. In ritardo sulle grandi città europee, su Barcellona e Berlino, sulla Parigi di Bercy e sulla Londra dei Docks, Milano sembra volere oggi ripensare a fondo il suo destino. Se davvero è uscita dalla crisi degli anni Novanta, se davvero la sua classe dirigente saprà non solo lasciare mano libera ai developers ma costruire un’idea di sviluppo, il momento è quello giusto. L’appuntamento con il mondo è fissato per il primo maggio del 2015.
postilla
Ce lo ricorda involontariamente anche la giornalista, inserendo doverosamente la torre Landmark di Rozzano, nel Parco Sud, fra i principali progetti destinati a rivoluzionare l’area metropolitana: non si tratta di interventi “a scala urbana” così come siamo soliti immaginarla. E del resto ci ha provato - senza molto successo mediatico a dire il vero - anche il presidente della Provincia Filippo Penati, a sottolineare come la candidatura all’Expo riguardasse l’area padana centrale che certo fa capo a Milano, ma coinvolge un territorio assai più ampio. Ebbene questi mirabolanti progetti di trasformazione vanno tutti, nessuno escluso, nella duplice direzione da un lato di rafforzare la presenza terziario-direzionale nel cuore dell’area metropolitana, dall’altro di innescare inesorabilmente processi abbastanza rapidi di espulsione di popolazione.
Si parla molto e giustamente in questi giorni degli sgomberi di campi Rom, ma andrebbe ricordato che prima in modo diretto con demolizioni e riorganizzazioni spaziali, poi indirettamente con le ondate di incremento dei valori immobiliari, i grandi progetti spingono ad una massiccia sostituzione sociale, secondo processi già visti in tante città del mondo, e che iniziano a destare preoccupazioni solo quando hanno assunto forme patologiche.
Forme che da un lato vedono la sparizione dal territorio locale di ceti e professioni indispensabili al metabolismo urbano (da insegnanti, a poliziotti, a altri operatori di servizi), dall’altro in assenza di grandi strategie di area vasta in questo senso, di una crescita insediativa guidata dal “mercato”, o meglio come già visto da frammentatissimi mercati locali di piccoli territori comunali in devastante concorrenza reciproca. Andava e va in questo senso, non a caso, il famigerato tentativo della Regione di modificare la legge urbanistica riguardo ai perimetri dei parchi.
Se la sinistra, o anche il centrosinistra, vogliono davvero distinguersi per le proprie proposte, dovrebbero farsi portatori – come già accennato da qualcuno – di una “legge speciale” per l’Expo, che ad esempio garantisca un coordinamento metropolitano, una authority se non altro urbanistica in grado di evitare quanto già si riflette evidente, su queste scintillanti facciate a doppio taglio (f.b.)
“Gli spiriti inquieti che tendono al nuovo per il nuovo, allo strano ed al mirabolante non servono all’architettura e, quando per caso si dedicano a questo mestiere che è tutto reale e concreto, raramente giovano. E danno non piccolo fanno anche gli ingegni copiatori, quelli che per mancanza di forza inventiva e di spirito critico si attaccano alla moda e seguono solo questa, accettandola tal quale anche se allogena ed estranea affatto al loro tema, al loro clima, ai loro mezzi economici e tecnici.
Oggi è l’americanismo indigesto che folleggia in grattacieli.
Perché le forze nuove della città si esprimono in modi così alieni, così sciocchi, così dannosi all’utile ?
Anche se animato da volontà di far nuovo, di far grande, ogni signore delle ferriere suole affidare la soluzione dei propri problemi ad un suo tecnico, necessariamente ubbidiente alla moda che è nell’aria e alla personalità volitiva del padrone.
Costui ha sempre delle idee, raccolte a Londra, a Parigi, oggi soprattutto in America: costui si gloria non di inventare (la parola è disusata fuor del campo tecnico) ma d’imitare ieri un lord Derby, o un banchiere Laffitte, oggi una Corporation famosa pel suo grattacielo.
Università, burocrazia, potentati sono vuoti di idee.
Guai a lasciar prendere la mano ai praticoni od ai cosiddetti uomini d’azione, che credono di fare la civiltà d’oggi perché costruiscono case o producono beni industriali o commerciano le merci od il danaro e lo fanno sempre con furia gloriandosi della velocità della loro azione e del loro successo, ma sciupando la civiltà del domani, l’industria del domani, la ricchezza del domani. E questi realizzatori noi sappiamo sin d’ora che balzeranno alla ribalta alla prima occasione a bandire programmi mirabolanti e semplicistici, a chiedere libero campo per le loro imprese, a battersi per il sistema del fare pur di fare perché il tempo stringe e la necessità è grande.
Conviene dunque precederli e cercar di fissare qualche concetto fondamentale per lo sviluppo della città, che valga anche a difenderla dagli improvvisatori.
G. de Finetti, La Ricostruzione delle città. Per la città del 2000, serie di articoli inediti per “Il Sole”, 17 aprile 1943, ora in Milano. Costruzione di una città, Hoepli, Milano 2002, pp. 322-323.
Con grande profusione del consueto fascino seduttivo italico da parte delle istituzioni locali (dalle glorie della lirica scaligera e del calcio ambrosiano, al glamour degli stilisti, dei designers, dei cantautori, sino alle prelibatezze gastrononomiche di casa Berlusconi ad Arcore) e grazie alla consumata abilità diplomatica del Governo nazionale, Milano ha ottenuto l’ambìta designazione da parte dei membri del BIE a sede dell’Expò mondiale nel 2015.
Insieme alle meritate congratulazioni per il raggiungimento della meta agognata e alla soddisfazione per le prospettive di investimento e di incentivo allo sviluppo socio-economico che ciò comporta, da più parti – politicamente e culturalmente spesso molto distanti – si è, tuttavia, levato l’auspicio che ciò non avvenga con le stesse modalità con cui Milano ha proceduto sinora a ridefinire i caratteri tipologico-funzionali e di espressività architettonico-progettuale delle proprie aree in corso di trasformazione urbanistica.
Così, ad esempio, si sono espressi il giorno dopo la designazione Renato Nicolini sul Manifesto e Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera, segnalando i rischi di una concezione per un verso di effimera inusualità dell’immagine per quantità, forma ed altezza rispetto al contesto insediativo, per altro verso di sudditanza agli appetiti di immensi guadagni speculativi che dietro quella scelta si cela e, da ultimo, di carenza di reale innovatività nei caratteri funzionali ed insediativi, in grado di esprimere effetti durevoli nel tempo e su larga scala territoriale.
Ma, inaspettatamente, appena la settimana prima, era stato Angelo Crespi, direttore de Il Domenicale, settimanale di cultura promosso e sponsorizzato da Marcello Dell’Utri, a lanciare una severa critica (ampiamente ripresa e riproposta dal Foglio, da Libero e dallo stesso Corriere della Sera) alle scelte progettuali ed espressive utilizzate dalle archistar internazionali Libeskind, Hadid e Isozaki nel progetto Citylife di riconfigurazione dell’area del vecchio recinto fieristico in dismissione, che pure l’Amministrazione comunale aveva proposto al BIE a sostegno della propria candidatura come modello di successo della propria capacità di indirizzo delle trasformazioni urbane in corso.
Si tratta di aree su cui si appuntano gli appetiti di quegli stessi centri finanziari che, in un quadro di estesa globalizzazione degli scambi finanziari e commerciali e alla ricerca di condizioni di più bassa remunerazione della forza lavoro, presiedono alla ricollocazione globalizzata di gran parte delle produzioni materiali di massa dei paesi industrialmente maturi verso i paesi di nuova industrializzazione (est europeo, Turchia, India, Estremo Oriente; in misura assai minore America meridionale, spesso riproponendovi i più arretrati rapporti sociali e forme di organizzazione produttiva dismessi in Occidente) e lasciando così liberi nelle città novecentesche del mondo occidentale ampi comparti di aree alla ricerca di nuove destinazioni funzionali.
Essi vedono nelle operazioni immobiliari conseguenti alle nuove destinazioni d’uso delle aree dismesse il coronamento di un disegno di predominanza della valorizzazione capitalistica nella quale ritengono propria legittima prerogativa non solo proporre quantità e funzioni secondo una valutazione delle opportunità di mercato e delle sue eventuali fluttuazioni (oggi, la residenza di lusso, il consumismo di massa della grande distribuzione commerciale e dello svago; domani, una volta saturata la domanda solvibile, quant’altro vorrà il mercato), ma anche quella di fornirne una conformazione progettuale e di immagine che, ovviamente, nella loro visione attiene piuttosto al carattere della riconoscibilità del marchio aziendale o del logo pubblicitario, che non a quello dei caratteri insediativi o della tradizione culturale del contesto o della città in cui si colloca l’intervento. In questo, occorre dirlo, supportate dal pervasivo diffondersi di una cultura progettuale veicolata in campo urbanistico-architettonico dall’ambito mass-mediatico e più affine al mondo della novità effimera della moda e del design che non all’individuazione di tendenze stabili e durature, che meglio si confanno a fenomeni di lunga durata come sono quelli di conformazione urbana.
In alcuni casi, addirittura, gli operatori finanziari hanno tratto spunto da un iniziale caso di successo nel riuso del proprio sito aziendale dismesso per accreditarsi come promotori immobiliari affidabili per casi analoghi, dando vita ad un nuovo ramo imprenditoriale (a Milano è il caso di Pirelli e Fiera di Milano che a partire dalla trasformazione di propri siti dimessi hanno sviluppato Pirelli Real Estate e Nuovosistemafiera come promotori di analoghe operazioni per altri siti propri o di terzi), in cui sempre più spesso, l’effetto di “scoop” nella fantasmagoria dell’immagine di queste opere affidate all’indiscutibilità della fama mediatica dei grandi nomi dello stilismo architettonico viene proposto ad amministratori in vena di cavalcare una sempre più pervasiva politica-spettacolo per accaparrarsi il consenso della pubblica opinione con l’affermazione di una facile immagine di modernità ed efficienza.
A Milano, in particolare, questa stagione in cui è la proprietà immobiliare a proporre quantità edificatorie, scelte funzionali, tipologiche e linguistico-espressive ad un’amministrazione pubblica in posizione di succube accettazione, ha inteso nobilitarsi dandosi il nome di Nuovo Rinascimento Urbano; ciò non solo non è bastato a impedire l’immediata ribellione dei cittadini delle aree attigue, che vedono sottrarsi luminosità, visuali, spazi pubblici e accrescersi il traffico e l’inquinamento ambientale, ma –come si è visto – neanche il dissenso espresso dagli ambienti culturali più consapevoli, siano essi progressisti o conservatori.
La riproposizione di quel modello alle aree di Expò 2015 e agli scali ferroviari in dismissione (quasi 3 milioni di metri quadri di aree con quattro milioni di metri cubi di edificazioni e spazi verdi insufficienti) sarebbe, ovviamente, non solo disastroso per la qualità ambientale ed i caratteri insediativi e paesaggistici dell’ambito urbano milanese, ma smentirebbe l’unica (e sinora inattuata) indicazione strategica di un Documento di Inquadramento Urbanistico per il resto succube di un mercato immobiliare ingessato: cioè che a partire da “l'opinione diffusa tra gli addetti ai lavori che l’offerta esistente a Milano di spazi per uffici e servizi sia inadeguata alle richieste del mercato (che) nelle maggiori città europee è rivolta a superfici monopiano di grande dimensione, con luce diretta e ben dotate di tutti gli impianti necessari per la comunicazione trasmissione (…) e che Milano sembra per ora esclusa da questo processo anche perché incapace di intercettare e trattenere gli investitori internazionali, si formulava l’ipotesi di nuove tipologie di terziario avanzato, tale da permettere l’insediamento di uffici e servizi, ed insieme una parte rilevante di verde e spazi e attrezzature per il tempo libero e sportive, in un contesto di particolare qualità ambientale. Il progetto dovrebbe diventare la prova della possibilità di costruire uno spazio urbano capace di fare concorrenza all’attrattività dei centri storici per qualità monumentale e ambientale. Un’ambizione che dopo tanti disastri dell’urbanistica e dell’architettura moderna può far sorridere, ma è una condizione indispensabile per il successo del progetto. Un intervento nel settore nord-ovest avrebbe un rilievo strutturale sulla forma della regione urbana…”[1].
Quella singolare figura di architetto-urbanista, pubblico amministratore e studioso della città che fu Giuseppe de Finetti, nell’immediato dopoguerra, indicando nella frenesia di privatismo che si rivela nelle ricostruzioni senza piano regolatore l’indizio più valido della decadenza dello spirito civico e, con ciò, della classe dirigente venturi aevi immemor, proponeva una metropoli milanese che si attuasse in forme civili senza barbarismi, senza esotismi e senza arcaismi e la città futura assomigliarsi in questa porzione centrale molto più alla città del Rinascimento che non a quella dello “stupido secolo XIX” che la guerra ha distrutta.
Bertinotti, con bella suggestione metaforica, oggi intitola La città degli uomini il suo ultimo libro, in cui espone “cinque riflessioni sul mondo che cambia”. Eppure, anche inteso in senso più letterale quel titolo esprime una piena attualità problematica e progettuale: occorre, quindi, chiedersi se non sia giunto il momento di un’estensione delle rivendicazioni no logo anche al campo delle manifestazioni della creatività architettonica, affinché un’architettura della città degli uomini si opponga all’uso servile cui troppo spesso si acconcia l’architettura degli architetti.
[1] L. Mazza, Ricostruire la Grande Milano, relazione accompagnatoria al DIU, giugno 2000, pp. 115-117, passim.
Nell'entusiasmo per l'assegnazione dell'Expo 2015 a Milano, forse è meglio non accettare in maniera acritica affermazioni non dimostrate sugli effetti benefici della manifestazione. Perché le incertezze sono molte. A partire dal bilancio finale dell'organizzatore: eventuali perdite sarebbero pagate dallo Stato italiano. Nel calcolo dell'impatto occupazionale non si considera l'effetto sostituzione. Quanto alle infrastrutture, seppure utili, la loro costruzione non dipende dall'evento.
L'assegnazione a Milano dell'Expo 2015 è stata accolta con molto entusiasmo, confermando ancora una volta che i grandi eventi, dall'Esposizione universale alle Olimpiadi, hanno un forte sostegno a priori non solo dei decision maker, ma anche dell'opinione pubblica. Di fronte a questo sostegno trasversale, è giusto che l'economista faccia il suo mestiere e provi a indagarne i possibili effetti reali, al di là delle solite immagini retoriche utilizzate dai promotori: oggi "l'Expo pagherà l'Expo", come i greci dissero a suo tempo "i giochi pagheranno i giochi" .
UNA SCOMMESSA AL RIALZO
L'economia dei grandi eventi è poco studiata. La gran parte del materiale disponibile proviene dai promotori stessi o della stampa che ne commenta, in itinere, gli esiti più visibili. Tuttavia, alcuni lavori, ancora per certi aspetti "pionieristici", sono stati sviluppati. Baade e Matheson, in una lucida analisi, ricordano come il contesto stesso di competizione, con il potere di monopolio dell'ente accreditatore (solo il Bie può concedere una Exposition Universelle, solo il Comitato olimpico internazionale può attribuire le Olimpiadi), crea una situazione di svantaggio per le città candidate. (1) In primo luogo, sono sottoposte a un meccanismo di rilancio: nel processo di candidatura, la configurazione che ottimizza il bilancio costo-beneficio per il territorio non è un punto di equilibrio stabile; i candidati devono a più riprese aumentare la posta per accrescere le loro probabilità di successo. Una volta entrati, non c'è niente che consenta di uscire da questo meccanismo e che garantisca che il bilancio rimanga positivo. (2)
Va poi considerato il sistema delle royalties che gli organizzatori devono pagare agli accreditatori per poter organizzare l'evento: illustra alla perfezione i meccanismi di estrazione della rendita da parte del monopolista. Le royalties sono talmente cospicue che alcuni organismi le coprono della massima riservatezza. (3) Se è comune percezione che i grandi eventi comportano un flusso di reddito per la città ospite, meno diffusa è la percezione che questo reddito ha come contropartita una spesa. Bisogna però ammettere che le informazioni disponibili sull'Expo 2015 sono piuttosto rassicuranti: si parla di 11 milioni di euro (4), facendo sperare che non sia stata estratta tutta la rendita.
LA VALUTAZIONE DEI COSTI-BENEFICI
Il punto più critico risiede forse altrove, nella visione distorta dei costi e benefici che può nascere da un progetto del genere.
La considerazione più banale riguarda l'equilibrio economico dell'organizzatore, che in caso di mancata realizzazione degli incassi previsti (5) si troverebbe costretto a chiedere l'applicazione della garanzia dello Stato italiano. (6) Ma al di là dell'equilibrio dell'esercizio, sia a livello dell'ente organizzatore, sia dell'insieme delle amministrazioni coinvolte, quello che merita l'attenzione degli economisti è l'effettivo interesse della collettività nazionale a ospitare un simile evento.
Lavori di analisi economica che fanno uso di concetti cardine, come il surplus, sono rari. Tuttavia, uno studio sulle Olimpiadi invernali di Vancouver del 2010 mostra come queste rappresenteranno per il Canada una perdita netta di benessere. (7) Non tutti i dati necessari sono disponibili e il lavoro si basa su ipotesi perfettibili, tuttavia ricorda a chi lo vorrebbe dimenticare, che al di là dell'equilibrio finanziario degli enti promotori, quello che conta è il contributo delle risorse investite al benessere delle popolazioni.
Tra gli argomenti a favore di un evento di questo tipo si cita quasi sempre l'eredità che lascia. Ci sono tuttavia seri dubbi sull'utilità di molte delle opere realizzate per l'Expo. Di solito, il suo formato implica che diversi padiglioni siano temporanei. Quanto poi agli investimenti più duraturi, in particolare nelle infrastrutture di trasporto, è difficile sostenere che non abbiano un'utilità sociale rilevante, tuttavia sarebbe sbagliato attribuirli all'Expo, tanto che lo stesso dossier di candidatura li categorizza, in maniera corretta, sotto la voce "infrastrutture non legate alla realizzazione dell'Expo".
E sono da prendere con cautela anche le cifre indicate sugli effetti occupazionali. I promotori calcolano l'impatto indiretto della gestione dell'evento a 12.734 posti di lavoro: "ad esclusione dell'occupazione direttamente creata dall'Expo" sostiene il capitolo 21 del dossier di candidatura. Sarebbe comunque più giusto un calcolo che tenesse conto esplicitamente degli effetti di sostituzione. (8) E la pratica di contabilizzare nell'impatto dell'evento sia l'occupazione diretta, che quella indiretta e indotta, seppure prassi corrente nei lavori empirici, solleva forti obbiezioni concettuali (9) .
Queste considerazioni non vogliono essere una valutazione negativa della candidatura all'Expo, ma un chiaro avvertimento contro interpretazioni ingenue dell'economia dei grandi eventi. E un invito a non accettare in maniera acritica affermazioni non dimostrate sugli effetti benefici dell'Expo 2015.
PER SAPERNE DI PIU'
http://www.brunoleoni.com/nextpage.aspx?codice=4008
(1) "Bidding for the Olympics: fool's gold?" Robert Baade e Victor Matheson. Disponibile negli atti della conferenza International Association of Sport Economists.
(2) Tranne decisioni coraggiose come quella presa nel 2002 in Francia dal nuovo governo Raffarin di rinunciare all'Expo 2004 di Dugny. Che pure pagò cospicui indennizzi a vari enti, tra cui 94 milioni di euro all'amministrazione locale promotrice del progetto, il département di Seine-Saint-Denis.
(3) Per i gran premi di Formula uno, si veda per esempio Trevor Mules, "Taxpayer subsidies for major sporting events", Sport management Review, 1998, 1, 25-43.
(4) Fonte: dossier di candidatura Expo 2015
(5) Su questo punto, le previsioni di biglietteria appaiono molte alte: 29 milioni di visitatori, una cifra considerevole rispetto alle ultime edizioni svoltesi in Europa che non hanno superato i 20 milioni (17 milioni a Hannover). Certo, l'ipotesi si basa su un prezzo del biglietto più popolare: 28 euro a tariffa piena, contro i 69 euro chiesti a Hannover. È tuttavia lecito considerare che la robustezza del piano economico prospettato per l'evento dipende completamente dell'affidabilità di questa previsione. Inoltre, anche le spese sono da considerarsi come un "wish data" soprattutto se si considerano le molte prove ormai disponibili della lievitazione dei costi nel contesto dei grandi progetti. Si vedano ad esempio le ampie evidenze raccolte da Flyvberg in merito.