Uscire dal fossile interrompendo immediatamente le estrazioni di petrolio e gas. Una rivoluzione per il sistema economico, ma é fondamentale che la riconversione non vada a gravare indistintamente su individui con capacità di reddito profondamente diversa. Qui l'articolo. (i.b.)
Per far fronte al pesante traffico automobilistico, il Lussemburgo eliminerà biglietti da treni, tram e autobus entro la prossima estate. E' già attivo il trasporto pubblico gratuito per i minori di 20 anni e tutti gli studenti delle scuole lussemburghesi. Qui l'articolo. (i.b.)
Un ulteriore aspetto della natura perversa del sistema capitalistico: anche gli sconvolgimenti climatici diventano incentivi per il suo mortifero sviluppo, fornendo profitti a coloro che si preparano a speculare sui disastri che il sistema stesso ha prodotto. (e.s)
L'articolo «Betting on a crash – confronting those speculating on our future» di Nick Buxton, pubblicato su Tni il 6 febbraio 2019, ci ricorda della capacità del capitalismo di cercare profitti nella più disperata delle situazioni e di una crescente industria globale che si prepara a trarre profitto dai cambiamenti climatici. Già il giornalista Mckenzie Funk nel suo libro «Windfall», uscito nel 2015 e non ancora tradotto in italiano, racconta di come banche, aziende energetiche, ingegneri e imprenditori stanno trasformato una crisi globale, dall'aumento del livello del mare, alle inondazioni, agli incendi e alla scarsità di cibo e acqua, in un'opportunità d'oro, raccogliendo profitti a breve termine.
In California ci sono i vigili del fuoco privati che si occupano di incendi sempre più intensi, speculatori che scommettono su dove le colture saranno costrette a muoversi mentre le temperature cambiano, società ag-tech che offrono colture geneticamente modificate in grado di far fronte a temperature estreme, società energetiche che pensano che gli estremi del cambiamento climatico porteranno effettivamente a un maggiore uso di energia, poiché le persone, per esempio, accenderanno più spesso i loro condizionatori d'aria.
L'autore dell'articolo spiega che dietro queste imprese, che speculano sul disastroso futuro che ci aspetta, ci sono moltissime società finanziarie e compagnie assicurative che ne sostengono gli investimenti, in quanto le previsioni indicano che i cambiamenti climatici genereranno profitti, ovviamente per pochi, pochissimi.
Barney Schauble, della società di investimento Nephila Advisors, ha dichiarato alla rivista Bloomberg: «Se riesci a vedere qualcosa che le altre persone semplicemente rifiutano di vedere, e puoi prendere decisioni su tale base, nel lungo periodo questo ti porterà buoni profitti». D'altronde il Wall Street Journal nel 2011 aveva pubblicato una guida apposita, scritta dall'imprenditore, investitore e scrittore James Altucher e il giornalista Douglas R. Sease proprio su come fare soldi vedendo opportunità laddove altri vedono pericoli (The Wall Street Journal Guide to Investing in the Apocalypse: Make Money by Seeing Opportunity Where Others See Peril). Non ci si può stupire quindi se sono in forte crescita industrie e mercati assicurativi che puntano su un futuro ancora più catastrofico del presente. Ovvio che questo nuovo mercato che specula sulle future disastri prospera anche grazie a un contesto politico globale nel quali i governi, anzichè mettere in atto azioni concrete per mitigare il cambiamento climatico come esortato dall'ultimo rapporto del IPPC, operano per promuovere azioni finanziarie che lucrano sui futuri disastri. Ci sono per esempio i 'cat bond' che vengono propagandati dall'OCSE, dalla Banca Mondiale e anche dall'ONU, come modi per proteggersi dalla catastrofe climatica. Ma come molti altri prodotti finanziari, oggi i 'cat bond' sono più utili a creare un nuovo flusso di profitti per i banchieri piuttosto che fornire sicurezza ai più vulnerabili.
Nick Buxton paragona questa situazione, di pericolosa speculazione da parte di queste corporazioni, potentissime in quanto sorrette dal potere politico ed economico, a un autista che si è impossessato delle chiavi della nostra macchina e che si sta dirigendo dritto dritto verso una scogliera, e che molto probabilmente non ci pensa nemmeno o al massimo sta riflettendo su come fare soldi dall'inevitabile incidente.
Conclude l'articolo citando un altro gruppo di scommettitori e speculatori: l'industria militare e delle produzioni di armi. Spiega come i militari sono le organizzazioni più attive quando si tratta di anticipare catastrofi, e si stanno ben preparando agli impatti dei cambiamenti climatici. E' confermato che l'attività di ricerca relativa a come affrontare i cambiamenti climatici e le conseguenze che questi porterebbero risale al 1990. Nel 2008, sia gli Stati Uniti che l'Unione Europea all'interno delle loro strategie di sicurezza hanno identificato il cambiamento climatico come un "moltiplicatore di minacce" segnalando che i cambiamenti climatici avrebbero intensificato i conflitti esistenti.
Non è difficile immaginare come il nostro futuro provocherà ulteriori diseguaglianze assicurando sicurezza e profitti solo a pochi. Diventa sempre più urgente non solo combattere i poteri politici, governi ciechi ed inetti, ma contrastare i grandi poteri economici e finanziari.
Firenze, 14 marzo 2019. Analisi del modello contrattuale realizzato per costruire una macchina che trasforma le risorse pubbliche in affari privati, presentato al ciclo di conferenze «La favola delle Grandi Opere» organizzato da PerunAltracittà. (e.s.)
21 marzo 2019. Nella giornata in ricordo delle vittime innocenti e dell'impegno contro le mafie organizzata da Libera, qui un'introduzione al fenomeno dell'ecomafia nel Nord Est, una mostruosa piovra che con i suoi tentacoli invisibili avviluppa l’economia e la politica. (i.b.)
La Mafia in Veneto, prende forma come crimine d’impresa con alleati preziosi dentro la Pubblica amministrazione che in certi contesti si è elevata a sistema, promuovendo e condizionando l’avvio di iniziative economiche impattanti per la comunità (quando non estremamente pericolose), di opere pubbliche infrastrutturali inutili e dannose come il Mose o la Pedemontana, forme occulte di abusivismo edilizio, autorizzazioni improprie o illegittime per l’esercizio di discariche.
Le recenti indagini della Procura distrettuale antimafia di Venezia, la guardia di finanza e la Polizia di Stato dimostrano che le cosche storiche si sono insediate anche nella regione Veneto, prendendo il controllo della criminalità e allacciando rapporti con l’imprenditoria e la politica.
I camorristi, insediati a Eraclea da oltre vent’anni, ottenevano il pizzo da imprese dell’edilizia e della ristorazione, controllavano il narcotraffico e la prostituzione e rifornivano le aziende di lavoratori in nero. Costituivano ditte destinate alla bancarotta e producevano false fatture. Insomma, avevano intrecciato stretti legami con l’imprenditoria locale, diventando protettori, dispensatori di favori e soci in affari.
È del 12 marzo 2019, la notizia di trentatré ordinanze cautelari verso gli appartenenti a un’organizzazione criminale di matrice ‘Ndranghetista operante a Padova e dedita alla commissione di gravi reati, tra cui, l’associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, violenza, usura, sequestro di persona, riciclaggio, emissione e uso di fatture per operazioni inesistenti.
L’ecomafia é diventata un altro tassello fondamentale, spesso non considerato, nel grande puzzle dei danni ambientali. L’opaco binomio tra corruzione, mafia e saccheggio ambientale é una tra le cause principali degli effetti nocivi sul nostro territorio e sulla nostra salute. L’ultimo Rapporto Ecomafia di Legambiente indica che il fatturato dell’ecomafia è salito a 14,1 miliardi, una crescita dovuta soprattutto alla lievitazione nel ciclo dei rifiuti che è sempre di più il cuore pulsante delle strategie ecocriminali.
Le finte operazioni di trattamento e riciclo per ridurre i costi di gestione e per evadere il fisco sono tra le forme criminali predilette dalle organizzazioni di stampo mafioso. Lo smaltimento dei rifiuti è infatti un settore di grande valore economico gestito da funzionari pubblici e singoli amministratori che hanno un ampio margine di discrezionalità. Così, coloro i quali dovrebbero in teoria garantire il rispetto delle regole e la supremazia dell’interesse collettivo su quelli privati, creano l’humus ideale per le pratiche corruttive. L’aumento delle inchieste sui traffici illegali di rifiuti è anche all’origine dell’incremento registrato degli illeciti ambientali, di persone denunciate e dei sequestri effettuati.
Solo un anno fa abbiamo assistito all’inchiesta “Blood Money” del giornale napoletano Fanpage sul business del ciclo di rifiuti che, dalla Campania si sarebbe diramato al Nord, e riguardava un possibile affare legato allo smaltimento di rifiuti mediante una costruzione di un sito di stoccaggio a Marghera che avrebbe dovuto contenere rifiuti frutto di un sequestro degli anni 2004- 2005.
E ancora, il sequestro di due cave nel 2018, riempite di immondizia a Noale, in provincia di Venezia, e a Paese, in provincia di Treviso dove, anziché trattare i rifiuti, eliminando amianto e metalli pesanti si attuava una miscela con altri rifiuti, meno inquinati, aggiungendo calce e cemento per produrre un amalgama da usare nell’edilizia o nelle grandi opere stradali. Risultato: 280mila tonnellate di materiale contaminato da metalli pesanti e da amianto utilizzato per lavori come il Passante di Mestre, il casello autostradale di Noventa di Piave, l’aeroporto Marco Polo di Venezia e il parco San Giuliano di Mestre. Due giorni fa, il 19 marzo, nel Basso Vicentino è stato scoperto un capannone, di proprietà di un noto istituto bancario di livello nazionale, in cui erano illecitamente occultate circa 900 tonnellate di rifiuti non riciclabili derivanti anche da processi di lavorazione industriale.
Il Veneto non è nemmeno immune alle Agromafie, altro settore illecito in crescita, correlato ai fenomeni della contraffazione, del riciclaggio e del Caporalato. Nell’agricoltura e nell’allevamento il capolarato è una piaga che toglie dignità al lavoratore mediante abusi, sfruttamento e salari inferiori rispetto alle regolari tariffe del mercato. Le condizioni lavorative disumane a cui sono costretti i braccianti sono difficilmente denunciate per paura di perdere il lavoro. Ciò accade perché la posta in gioco per i lavoratori, molto spesso extracomunitari regolari, è troppo alta: avere un’occupazione è condizione imprescindibile per mantenere il permesso di soggiorno, per cui una denuncia potrebbe causare effetti ancora più gravi come il non riuscire più a rinnovare il permesso di soggiorno, in quanto per la legge Bossi-Fini per rimanere regolarmente in Italia è necessario avere uno stipendio.
Tre anni fa, nel veneziano, si era scoperta una baraccopoli in cui vivevano in condizioni sanitarie pessime alcuni braccianti bengalesi che lavoravano sette giorni su sette a 150-200 euro al mese. Mentre, a settembre 2018, è stata sgominata una rete di caporalato che faceva riferimento a due cooperative fittizie le quali reclutavano in nero la manodopera dall’Albania e dalla Romania, facendo fare ai lavoratori la spola fra i campi del Veneto e della Toscana.
Grazie alla l.68/2015 che disciplina gli ecoreati e che li ha introdotti nel Codice penale, si sono compiuti molti passi in avanti. Tuttavia ciò non basta, soprattutto dopo l’abolizione del divieto di vendita dei beni sequestrati alle mafie, in sostanziale modifica alla L.109/1996 la quale prevedeva il loro riuso prevalentemente per fini pubblici e sociali creando un autentico e pulito riscatto economico e sociale.
Infatti, il Decreto-legge Sicurezza, ora convertito in L.132/2018, non è altro che un regalo alle Mafie. Vendendo i beni immobili confiscati ai privati implicitamente si favoriscono i clan, che potrebbero riacquistare i beni attraverso prestanomi e riciclare i patrimoni e le ricchezze accumulate illecitamente.
Inoltre, con la nuova manovra, le pubbliche amministrazioni potranno sostenere spese fino a 240.000 euro senza fare gare o appalti: ciò significa che la Mafia non dovrà nemmeno fare uno sforzo per partecipare.
Breve bibliografia di riferimento
Gianni Belloni e Antonio Vesco, Come pesci nell'acqua. Mafie, impresa e politica in Veneto. Mafie, impresa e politica in Veneto, Donzelli, 2018.
Legambiente, Rapporto ecomafia, 2018.
Antonio Pergolizzi, Emergenza Green Corruption. Come la corruzione divora l'ambiente, Andrea Pacilli Editore, 2018
Osservatorio Placido Rizzotto - Flai Cgil, Quarto rapporto agromafie e caporalato, 2018
Fanpage, Bloody Money, 2018
Tra le grandi opere inutili e dannose gli aeroporti occupano un posto particolare per il loro devastante impatto ecologico e sociale. Firenze è un esempio eclatante. Un introduzione al problema generale e le ragioni del no dei comitati toscani in manifestazione il 30 marzo.
Gli aeroporti sono, nella stragrande maggioranza dei casi, delle gradi opere inutili e dannose. Esiste oramai un ampia letteratura riguardante l'espansione degli aeroporti, che sta avvenendo in tutto il mondo. Da una parte i governi favoriscono la costruzione di nuovi aeroporti o l'allargamento di quelli esistenti perché queste infrastrutture sono viste come strumenti economici per collegare il paese ad altre parti del mondo e quindi come mezzo per far parte dell'economia globale. Dall'altra un numero crescente di abitanti si oppone a questi interventi perché queste gigantesche opere hanno un devastante impatto in termini di emissioni, inquinamento, consumo di suolo e trasformazioni territoriali che in molti casi implicano anche espulsioni di comunità intere.
Una parte della letteratura scientifica a sostegno dell'opposizione a queste infrastrutture si concentra proprio sull'impatto dell'inquinamento (dal rumore alla qualità dell'aria) e sulle ripercussioni dell'aviazione sulle emissioni di biossido di carbonio e quindi dell'impatto negativo di questo mezzo di trasporto sui cambiamenti climatici.
Il conflitto tra l'aviazione, come strumento di espansione economica, e la necessità di proteggere l'ambiente naturale e sociale dal deleterio impatto dell'inquinamento, delle emissioni e delle distruzioni di abitazioni, edifici storici, comunità e villaggi locali, sembra diventare un elemento caratterizzante delle principali città industrializzate. Gli esempi degli aeroporti di Roissy-Charles de Gaulle, Nantes, Frankfurt, Narita, e Shiphol sono forse i più noti in Europa. Gli aeroporti sono gigantesche e costosissime opere che richiedono ampie superfici, complesse infrastrutture che si espandono molto al di là degli edifici e dei servizi strettamente legati al trasporto aereo, sia all'interno che all'esterno degli aeroporti. Pensiamo alla quantità di spazio destinata ai negozi dentro gli aeroporti; all'infrastruttura stradale e ferroviaria che viene ampliata per collegare l'aeroporto; al commercio, logistica e terziario in generale che viene sviluppato nell'intorno degli aeroporti per rendere economicamente sostenibile l'investimento. Gli aeroporti diventano città dentro le città.
L'ampliamento dell'aeroporto di Heathrow e quello di Manchester in Inghilterra hanno sollevato moltissime obiezioni di cittadini e stimolato anche importanti studi scientifici per articolare il dibattito e gestire il conflitto. Non ci sono dubbi né sull'inquinamento acustico, il primo problema che di solito mobilita i cittadini, né l'inquinamento atmosferico; Hume e Watson (The human health impacts of aviation in Upham, P, Maughan, J, Raper, D, Thomas, C. Towards Sustainable Aviation, Earthscan Publications, 2003) spiegano che i principali inquinanti che si presentano sono il biossido di azoto, il particolato e i composti organici atmosferici che includono benzene, idrocarburi poliaromatici, cherosene, gasolio e glicole etilenico e che gli esami sanitari delle popolazioni esposte alle emissioni degli aerei dovrebbero essere condotte in maniera sistematica e paragonate a quelle delle popolazioni non esposte. Dai primi anni 2000, si è affiancato un ulteriore motivo che rende l'espansione degli aeroporti controproducente. L'Associazione Internazionale per il Trasporto Aereo informa che gli aerei sono responsabili per il 2% delle emissioni di biossido di carbonio prodotte dall'uomo nel 2017, anche se alcuni scienziati sostengono che è più alta. E' vero che auto, centrali elettriche e fabbriche fanno più danni. Ma il contributo dell'aviazione ai cambiamenti climatici diventa più grande di anno in anno. Per due motivi: primo, perché i viaggi aerei stanno crescendo a un ritmo sorprendente; secondo perché l'aviazione non sta facendo nessun progresso per ridurre le emissioni: la possibilità di avere aerei elettrici è ben lontana da venire. Quindi la dipendenza dal petrolio è assicurata!
Il caso dell'aeroporto di Firenze: per comprendere le principali ragioni che rendono illegittimo e non vantaggioso (se non per Toscana Aeroporti!) il nuovo aeroporto si legga «L'aeroporto di Firenze e il mito dello sviluppo» di Paolo Baldeschi. Dello stesso autore si legga «Oscure manovre attorno all’aeroporto di Firenze», sulla Commissione tecnica Via ha “approvato” il progetto del nuovo aeroporto di Firenze con 142 prescrizioni cui i proponenti Enac e Toscana Aeroporti dovrebbero ottemperare e «Il nuovo aeroporto di Firenze e il sistema di aggiramento delle regole». Articoli che spiegano come le autorità competenti stanno aggirando gli strumenti che dovrebbero garantire democrazia nei processi delle decisioni. Rimandiamo al sito di per un altra città per ulteriori articoli.
Infine riportiamo qui il comunicato dei comitati, movimenti e sindaci che manifesteranno il 30 marzo contro l'aeroporto per la difesa della Piana e della salute degli abitanti di Firenze, Prato e Pistoia. (i.b.)
Basta nocività! NO al nuovo aeroporto di Firenze – SI’ al Parco Agricolo della Piana per tutte/i!
Il progetto del nuovo aeroporto di Firenze altera in modo irreversibile l’equilibrio dell'ecosistema della Piana e minaccia la salute di tutte le popolazioni da Firenze a Prato a Pistoia.
È incompatibile con il Parco Agricolo della Piana, con le attività del Polo Scientifico di Sesto Fiorentino e della Scuola Marescialli. In un territorio già saturo di funzioni urbanistiche e di fonti inquinanti, non c'è più lo spazio per realizzare in sicurezza una struttura aeroportuale da 5 milioni di passeggeri/anno con il suo pesante impatto sull'ambiente (emissioni, rumori, polveri, rischio idrogeologico e consumo di altri 380 ettari di suolo).
La truffa delle "compensazioni ambientali" imposte dalla nuova pista non è accettabile: la deviazione dei fossi, la cancellazione delle zone umide aumentano il rischio idraulico. Lo spostamento del Lago di Peretola a Signa è stato scambiato con la nuova viabilità dalle Signe a Indicatore, un intervento necessario atteso dalle popolazioni da 50 anni e ancora tutto da realizzare.
Denunciamo l'imbroglio sull'occupazione, con la fumosa promessa di nuovi posti di lavoro, mentre già da tempo negli aeroporti della Toscana assistiamo alla riduzione ed alla precarizzazione del lavoro.
Rendere compatibili gli aeroporti con le popolazioni, e non viceversa!
L'attuale scalo di Peretola, cresciuto senza controlli ed autorizzazioni ambientali oltre i 2,5 milioni di passeggeri/anno, da troppo tempo non è più sostenibile dagli abitanti di Brozzi, Quaracchi, Piagge e Peretola. Chi per decenni ha ignorato questo disagio (vedi non attuazione delle stesse prescrizioni 2003), tenta ora di strumentalizzarlo per imporre la nuova pista. Per questo chiediamo un piano di drastica riduzione del traffico aereo, la tutela dell'occupazione ed il reimpiego dei lavoratori, collegamenti ferroviari efficienti con gli aeroporti vicini, nel rispetto delle caratteristiche e dei limiti di queste strutture.
Il Parco della Piana rappresenta uno strumento irrinunciabile per dare un futuro al nostro territorio e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni: salvaguardia delle aree verdi, umide e archeologiche, nuova agricoltura di filiera corta, tutela della salute, basta cementificazione, strategia rifiuti zero e stop incenerimento rifiuti, creazione di lavoro stabile e sicuro, mobilità sostenibile basata sul trasporto pubblico e sulla riduzione del traffico privato, diritti e servizi sociali per tutti e tutte senza discriminazioni.
La partecipazione diretta degli abitanti, dei Comitati e dei Sindaci contrari all'opera è essenziale per battere i potenti interessi economici e politici che sostengono il nuovo aeroporto (Toscana Aeroporti spa, Confindustria, Camera di Commercio, Rossi, Nardella, Governo e ENAC). La vicenda dell'inceneritore di Firenze-Case Passerini ci dimostra che la tenacia popolare, i ricorsi di Sindaci e Comitati possono vincere anche dopo il via libera della Conferenza dei Servizi.
Abbiamo il diritto di decidere del nostro futuro, attivando un reale processo partecipativo. L'uso delle risorse basato sul profitto e non su finalità sociali sta distruggendo la biodiversità, il clima ed il pianeta: alla logica del breve periodo che comanda gli affari e la mercificazione turistica di Firenze contrapponiamo una visione lungimirante che conservi i beni comuni per oggi e per le generazioni future.
La Piana non si arrende al potere del denaro! Riprendiamoci salute, lavoro e territorio.
Manifestazione No Aeroporto!
Ritrovo ore 14,30 Polo Scientifico di Sesto Fiorentino.
Sono stati invitati a partecipare i sindaci che si sono espressi contro l'Aeroporto anche con ricorso al TAR:.
-Sindaco di Sesto Fiorentino: Lorenzo Falchi
-Sindaco di Carmignano: Edoardo Prestanti
-Sindaco di Calenzano : Alessio Biagioli
-Sindaco di Poggio a Caiano : Francesco Puggelli
-Sindaco di Campi Bisenzio: Emiliano Fossi
-Sindaco di Prato: Matteo Biffoni
Promossa da Movimenti, Comitati e Associazioni per la tutela della Piana Firenze – Prato - Pistoia.
Per aderire e partecipare, ulteriori info e percorso > Evento Facebook "Manifestazione No Aeroporto Si Parco!"
19 marzo 2019. Conferenza stampa davanti al Ministero dell'Ambiente per spiegare i motivi della mobilitazione di sabato a Roma, una marcia che inizierà alle 14.00 da piazza della Repubblica e arriverà a San Giovanni. Qui il link per aggiornarsi sul percorso. (i.b.)
Oggi, comitati ambientalisti e i comitati territoriali da diversi luoghi del paese, si sono ritrovati in conferenza stampa presso il Ministero dell’Ambiente per annunciare la marcia per il clima, contro le grandi opere inutili e contro la devastazione ambientale del 23 Marzo a Roma (partenza alle ore 14 da piazza della Repubblica)
Giungeranno dalla Val di Susa, da Taranto, passando per la Laguna di Venezia, per la Terra dei Fuochi, per le zone terremotate delle Marche i manifestanti che invaderanno Roma per suonare il campanello dall’arme sull’urgenza di un cambiamento di rotta. Come spiegato davanti alle finestre del ministro Costa, “la mancanza di manutenzione delle infrastrutture, la corruzione e la cementificazione selvaggia seminano morti e feriti a ogni ondata di maltempo perché le risorse pubbliche vengono utilizzate per la costruzione di opere che perpetuano un modello di sviluppo volto al profitto di pochi, senza il rispetto dei territori e di chi li abita“. Decine di pullman in arrivo da tutta Italia, dalla Sicilia all’estremo nord si ritroveranno per una mobilitazione inedita, ecologica e sociale, che unirà le istanze dei comitati che si battono da anni contro i progetti inutili e nocivi per l’ambiente a quelle del nascente movimento contro il cambiamento climatico.
La mobilitazione di sabato arriverà infatti a poco più di una settimana dallo Sciopero mondiale per il clima che ha portato in piazza milioni di giovani in Italia e nel mondo per chiedere ai governi azioni concrete contro il cambiamento climatico. “Siamo scesi in piazza il 15 marzo e scenderemo in piazza il 23 perché come Greta ci ha insegnato, la crisi climatica non si affronta in un giorno solo, e dobbiamo ribadire che la nostra generazione non ha intenzione di pagarne le conseguenze sulla nostra pelle e sulle terre che attraversiamo” dice Vittoria, studentessa alla Sapienza. Proprio dall’università sabato partirà un piccolo corteo studentesco che raggiungerà i comitati in piazza della Repubblica.
I Comitati rivendicano la lotta alla cementificazione e alle grandi opere inutili come primo punto in agenda per una politica ambientale che non sia soltanto un ipocrita nascondersi dietro le tracce di Greta Thunberg. Mentre in Val di Susa, nonostante gli annunci, partono i bandi per il cantiere del TAV, il governo ha fatto retromarcia su tutte le altre grandi opere devastanti sul territorio nazionale: il TAV Terzo Valico, il TAP e la rete SNAM, le Grandi Navi e il MOSEa Venezia, l’Ex-ILVA , ora ArcelorMittal a Taranto, il MUOS in Sicilia, la Pedemontana Veneta, inscenando, inoltre, un tira e molla sulle trivellazioni, con esiti catastrofici nello Ionio, in Adriatico, in Basilicata ed in Sicilia. A questo si aggiunge la mancata ricostruzione delle zone che hanno subito nella maniera più tragica la mancata messa in sicurezza dei territori come le Marche. Proprio i terremotati marchigiani saranno presenti con una delegazione sabato a Roma.
Una presenza particolarmente importante arriverà dal Sud Italia. “In Campania, forse abbiamo sperimentato gli effetti sulla salute prima che in altre regioni tanto è che in quelle terre è nato il termine biocidio per indicare l’attacco alla vita stessa che riguarda ognuno di noi” dice Raniero del comitato Stop-Biocidio prima di lasciare alla parola a Margherita dei Movimenti per il diritto all’abitare romani. «Centinaia di migliaia di immobili vuoti sono simbolo a Roma di come la cementificazione e la speculazione edilizia non hanno mai risposto alle esigenze abitative delle altrettante centinaia di migliaia di persone che hanno diritto alla casa» aggiunge prima di annunciare un concentramento di sfrattati e senza casa al Ministero delle infrastrutture a Piazza Porta Pia alle ore 11, come prologo del concentramento di Piazza della Repubblica.
Tra i tanti comitati ovviamente c’erano anche i notav: «La lotta è lunga e dura, sono 30 anni che la portiamo avanti, riguarda noi e i nostri figli che hanno diritto a vivere in una valle salubre, non intossicata dallo smerino e dalle polveri provocate dallo sventramento delle montagne» dice Emilio arrivato dalla Val di Susa.
L’obiettivo della manifestazione è quello di pretendere un cambiamento di rotta radicale nella gestione delle risorse. Un nuovo modello di sviluppo che dovrebbe ribaltare le priorità: non quelle di una classe imprenditoriale che ha passato gli ultimi trent’anni a delocalizzare e inquinare in nome del profitto ma delle persone che lavorano, studiano e vivono nel nostro paese. Mentre negli ultimi mesi i giornali sono stati invasi dal pensiero unico dello Sviluppo e del Progresso e il dibattito pubblico è stato preso in ostaggio da un manipolo di industriali senza scrupoli messi in fila dietro il feticcio del SITAV, sabato a Roma risuonerà finalmente una voce diversa.
I timidi provvedimenti presi nei confronti del cambiamento climatico, nel rispetto degli Accordi di Parigi 2016, sono del tutto insufficienti. Il cambiamento climatico è l’effetto di politiche estrattiviste legate a un sistema di produzione che sposa speculazione e profitto per pochi a danno dei molti. Siamo ancora in tempo per cambiare ma questo tempo è adesso, dicono i comitati davanti al Ministero dell’ambiente invitando ad unirsi al corteo del 23 marzo.
Una gigantesca infrastruttura, sia fisica che economica, proposta dalla Cina per avvicinare i mercati euroasiatici, sta diventando sempre più concreta. L'Italia vi partecipa già con 2,5 miliardi di euro. (segue) (a.b.)
Una gigantesca infrastruttura, sia fisica che economica, proposta dalla Cina per avvicinare i mercati euroasiatici, sta diventando sempre più concreta. L'Italia vi partecipa già con 2,5 miliardi di euro. Il progetto include una fittissima rete di comunicazioni che si tradurranno in porti, stazioni, superstrade che sventreranno mari, valli e montagne da Pechino ad Amburgo. Su queste vie si prevedono nuove città e piattaforme logistiche. Una follia urbanocentrica che acquista dimensioni planetarie e planetarie saranno le conseguenze ambientali e sociali e politiche.Qui un breve video e alcuni dettagli sul progetto. (a.b.)
Il 23 marzo 2019 anche eddyburg si unisce alle migliaia di persone che scenderanno in strada per le vie e le piazze di Roma in una grande Marcia per il clima, contro le grandi opere inutili e per una giustizia ambientale. Ancora una volta sono i movimenti, i comitati, gli abitanti a rivendicare le ragioni per una rivoluzione del sistema, del modello di sviluppo in assenza di una sintesi politica capace di cogliere la svolta radicale necessaria per coniugare la salute, il benessere sociale, la salvaguardia del nostro pianeta terra e delle specie che lo abitano e i diritti umani. (i.b)
Riflessione sull'esplosione delle mega-city, mega-regioni; forme urbane che stravolgono l'idea stessa di città con drammatiche ripercussioni ecologiche, sociali e in termini di democrazia. E' davvero questo l'unico modello possibile? (i.b.)
inarchpiemonte.it, 18 febbraio 2019. Dieci domande che un cittadino probabilmente si pone e che non trovano risposta nei principali media e le risposte, che dimostrano l'inattendibilità e controsenso di chi ancora sostiene quest'opera. (i.b.)
L'articolo è raggiungibile a questo link. Su eddyburg sono disponibili molti interventi che analizzano le contraddizioni, i trucchi e le bugie dette per giustificare la costruzione della TAV. Qui una rassegna bibliografica. (i.b.)
comune-info.net, 13 marzo 2019. Fermare subito l'estrazione di giacimenti indurrebbe uno “shock” al sistema produttivo capitalistico, obbligandoci a ripensare al nostro modo di abitare il pianeta e uscire da questo modello di sviluppo nefasto. Una degna risposta alle rivendicazione del 15 e 23 marzo prossimo. (i.b.)
Sbilanciamoci.info, 6 marzo 2019. Non ad ogni costo, non per pregiudizio o ideologia, non solo per la ferrovia Torino-Lione. Si deve e si può decidere con giudizio, come spiega Maria Rosa Vittadini. (m.b.)
Su eddyburg sono disponibili molti interventi che illustrano le storture del progetto TAV e le ragioni di un dissenso motivato. Qui una rassegna bibliografica curata da Ilaria Boniburini e l'articolo
«Ancora sulla Torino-Lione: buchi nei monti, buchi nei conti» di Vittadini e Donati contenete un'analisi della Tav nel contesto delle politiche nazionali dei trasporti con proposte su come affrontare trasporti e infrastrutture per non continuare a mettere in campo grandi opere inutili. (m.b.)
L’analisi costi-benefici (ABC) del nuovo collegamento ferroviario Torino Lione è difficile da leggere, solleva dubbi che non trovano risposta, e porta a risultati apparentemente paradossali. Di primo acchito suggerisce infatti ai lettori non esperti di ABC che più la linea ferroviaria sottrarrà traffico alla strada più i costi saranno superiori ai benefici: dunque meglio non realizzare mai nessuna ferrovia. Anche dal punto di vista di chi ha sempre nutrito profondi dubbi sulla utilità della nuova linea, queste paradossali conclusioni appaiono inaccettabili, richiedono un adeguato approfondimento tecnico e adeguate risposte politiche.
D’altra parte c’è da restar stupefatti per l’atteggiamento pro TAV “senza se e senza ma” di larga parte del mondo imprenditoriale, anche al di là degli ovvi interessi delle imprese coinvolte. Quale imprenditore nella gestione della sua azienda si imbarcherebbe in investimenti che invece di migliorare i bilanci fanno buttare soldi dalla finestra? Da troppo tempo lo spreco di denaro pubblico nel nostro Paese è piuttosto una regola che una eccezione. Ma proprio per combattere questa stortura serve l’analisi costi-benefici. Le scomposte reazioni in atto sono un buon indicatore sia della strumentalizzazione puramente politica della questione TAV sia di quanto sia amara la medicina per curare il consueto andazzo di spreco.
Invece capire che cosa l’ABC realmente dice, rendere chiari i suoi limiti, contestare a ragion veduta gli aspetti contestabili è l’unica condizione capace di fare in modo che essa possa svolgere il suo compito, che è quello di aiutare il decisore politico ad assumere buone decisioni e i cittadini a capire, al di là delle esternazioni strumentali, di cosa realmente si tratta. In tanta confusione il rischio evidente è che tutto il lavoro fatto venga sveltamente buttato via, sepolto per il prevalere di posizioni ideologiche e irresponsabili, tipo quelle che si richiamano alla firma di accordi pregressi. Come se quella firma non fosse responsabilità precisa dei promotori e di precisi governi passati che dovrebbero trovare anche nell’ABC il significato della loro responsabilità.
Oggi, per evidenti interessi elettorali, sembra che la decisione debba essere rimandata a dopo le elezioni europee. Non tutto il male vien per nuocere. Il tempo così disponibile potrebbe permettere di fare della discussione pubblica sull’ABC, i suoi limiti metodologici, le sue assunzioni un contributo realmente democratico alla decisione. Nel caso specifico della Torino-Lione più democratico di qualunque referendum, che allargando il perimetro della consultazione indebolisce il livello di informazione sui problemi e marginalizza le ragioni di vita delle collettività locali interessate a favore delle ragioni di mercato di collettività che usufruiscono solo dei vantaggi.
La discussione pubblica è il migliore strumento per dare adeguate risposte alle domande e per chiarire gli aspetti controversi. Non solo e non tanto ad uso degli addetti ai lavori, ma per mettere i cittadini, e probabilmente anche molti politici, in grado di capire e il Governo in grado di assumere una decisione appropriata all’importanza della questione. Senza voler entrare nel già ben confuso dibattito metodologico, alcune questioni appaiono assolutamente dirimenti.
Questione prima: l’inclusione tra i costi delle minori accise sui carburanti incassate dallo Stato e dei minori pedaggi incassati dai concessionari autostradali
E’ una delle questioni sollevate più di frequente dai critici del lavoro presentato al Ministro Toninelli. E’ vero che l’ABC dovrebbe misurare i guadagni e le perdite per tutti i soggetti coinvolti, dunque anche per lo Stato e per i concessionari. Ma l’inclusione nelle perdite di queste componenti si presta a più di una contestazione e i manuali di ABC forniscono in proposito indicazioni non univoche. In ogni caso la raccolta di accise deriva dalla politica fiscale e come tale può essere opportunamente modificata, mentre le perdite dei concessionari autostradali possono essere considerate un irrilevante effetto collaterale ai fini del benessere della società. Beninteso in una concezione del benessere diversa da quella, esclusivamente economica. misurata dall’ABC. Un benessere da misurare affiancando all’ABC opportune analisi multi-criteri, capaci di dar conto del raggiungimento di obiettivi non solo di carattere trasportistico, ma relativi alla qualità della vita, alle condizioni dell’economia o e alla capacità della distribuzione dei costi e dei benefici di collaborare all’aumento della coesione sociale. Dunque un insieme di metodi di valutazione, comprese le valutazioni dell’impatto ambientale delle opere e del loro processo di realizzazione, di cui l’ABC non dà minimamente conto. In ogni caso i numeri forniti dall’ABC non sembrano lasciare dubbi: con o senza accise e pedaggi i costi superano i benefici e il motivo principale sta nella modesta quantità di traffico ferroviario prevedibile.
Questione seconda: le possibili alternative
La stima di tale traffico è condotta attraverso una convincente critica delle precedenti stime del traffico stradale e del traffico ferroviario e il confronto tra quelle stime e l’andamento reale dei traffici a partire dal 2000. La sovrastima del traffico futuro è praticamente una costante nei progetti infrastrutturali, ma nel caso della Torino-Lione il lungo tempo trascorso ha permesso di verificare l’andamento reale dei traffici. Un andamento così inferiore alle previsioni iniziali da lasciar ben poco spazio a prospettive più rosee.
In questa situazione di oggettiva debolezza dei flussi di traffico correva l’obbligo che l’ABC confrontasse i costi e i benefici delle tre alternative possibili: l’alternativa 0, l’alternativa TAV e l’alternativa costituita dal miglioramento della linea esistente. Una linea che FS e SNCF nel 2002 ritenevano in grado di portare circa 22 milioni di tonn/anno: ovvero più o meno lo stesso traffico ferroviario previsto dal progetto TAV al 2050. Certo anche migliorata la linea esistente avrebbe prestazioni più basse di quelle previste in sede comunitaria per le nuove linee. Ma comunque, tariffando e regolamentando opportunamente traffico stradale e traffico ferroviario, un uso accorto delle linea vecchia consentirebbe di spostare traffico dalla strada alla ferrovia e di indicare, attraverso i reali ritmi di crescita, se e quando una nuova linea dovesse divenire necessaria. E’ appena il caso di ricordare che il traffico di transito svizzero si svolgeva per il 70% per ferrovia anche quando i valichi del Lötschberg e del S.Gottardo avevano prestazioni non tanto diverse da quelle dell’attuale linea Torino Lione.
Questione terza: il problema della rete
Non è ben chiaro quale sia il “perimetro” del progetto valutato nell’ABC: se si valuta la tratta internazionale, se si valuta la tratta internazionale più le due tratte nazionali, se si valuta la tratta internazionale più la sola tratta nazionale italiana.
In ogni caso trattandosi del miglioramento delle prestazioni di un breve tratto si pone il problema delle caratteristiche delle tratte a monte e a valle dell’intervento e il problema della rete che l’intervento dovrebbe potenziare. Infatti che senso ha spendere ingenti risorse per spingere al massimo le prestazioni di un breve tratto se poi gli itinerari che dovrebbero sostenere i nuovi traffici hanno prestazioni nettamente inferiori? Non sanno (o fingono di non sapere), gli incauti politici che si stanno spendendo pro-Tav, che Slovenia e gli altri paesi dell’est fino a Kiev hanno esplicitamente dichiarato la loro indisponibilità ad investire per l’AV? Una delle ragioni di debolezza estrema del progetto Torino-Lione sta proprio nell’assenza di un disegno di rete che ne giustifichi il senso strategico.
Manca drammaticamente, in altre parole, un Piano nazionale dei trasporti, come quelle promesso (ma neppure iniziato) dal ministro Delrio. Un piano capace di definire, anche attraverso valutazioni economiche, le opere prioritarie perché più utili di altre alla qualità della vita dei cittadini e alle esigenze delle imprese produttive. E’ molto probabile che in questo quadro strategico la Torino Lione non si collochi affatto tra le priorità. Per restare nel campo ferroviario per le merci vengono probabilmente prima il potenziamento delle linee di valico verso nord o gli interventi per portare l’Adriatica e la Tirrenica almeno ad un livello di decenza. Oppure. per l’ampiezza della ricaduta sul benessere dei cittadini, vengono prima i servizi ferroviari nelle aree metropolitane, su cui siamo abissalmente in ritardo rispetto ad altri paesi europei
La ripresa della programmazione in fatto di infrastrutture e l’avvio di un vero Piano nazionale dei trasporti, costruito attraverso l’ascolto e la partecipazione attiva delle Regioni e delle collettività interessate, rappresenta la via maestra per dar senso alle cose e per uscire da situazioni di impasse come quella che oggi interessa la Torino Lione. Una situazione conflittuale destinata a ripresentarsi puntuale per tutti i grandi progetti in campo, sistematicamente sganciati da ogni logica di sistema. La discussione pubblica sull’ABC potrebbe consapevolmente divenire il primo passo per l’avvio di un tale nuovo Piano dei trasporti: una concreta prova della serietà del Governo e un evidente vantaggio per il futuro del Paese.
E’ questo obiettivo quello che, per ora, nel giro di pochi mesi, ha spinto migliaia di giovani a disertare le lezioni per rispondere all’appello lanciato da Greta Thunberg, la studentessa svedese che, decidendo di andare in piazza invece che a scuola ogni venerdì, per gettare l’allarme, ha cominciato a smuovere molte coscienze: per spingerle a salvaguardare condizioni di esistenza e convivenza decenti non più solo, come si ripete nelle giaculatorie ufficiali, per “le future generazioni”. No. Già per la generazione che si affaccia alla vita ora e che ha capito che con la nostra insipienza e la nostra inerzia le stiamo preparando un vero inferno. Da cui molti sono già stati inghiottiti: non si spiegherebbero altrimenti origini e dimensioni delle migrazioni in corso, che è ormai l’unico problema che preoccupa governi e forze politiche di mezzo mondo, se non si capisce che si tratta di un effetto, non di una causa. Mai uno scontro generazionale si è prospettato più radicale. Se questo movimento di giovani continuerà a crescere in dimensioni, radicalità e capacità di articolarsi in programmi e iniziative, come è giusto e probabile che sia, sarà esso, e non le forze politiche “di opposizione”, che continuano a rimestare sigle, personaggi e programmi, a invertire e rovesciare le tendenze in atto, apparentemente irresistibili, che stanno precipitando il mondo in un abisso di nazionalismi, razzismi, cinismo, ignoranza e rassegnazione. Una deriva che non può essere contrastata solo a livello nazionale, e nemmeno solo a livello europeo ma che ha bisogno del mondo intero come palcoscenico: quello che il movimento messo in moto da Greta Thunberg sta conquistando. Per ora questa “insorgenza” non ha ancora un programma che non sia la mera denuncia. Denuncia che ha riscontri precisi in coloro, soprattutto scienziati, ma anche “militanti” ambientalisti (non tutti; e nemmeno la maggioranza) che si adoperano da decenni per far capire la gravità del problema a Governi, media, imprenditori, manager e, soprattutto, a una parte di “opinione pubblica”, quella raggiungibile attraverso canali associativi, perché la maggioranza dei cittadini, grazie a un vero e proprio tradimento degli addetti all’informazione, è stata spinta a ignorarla, sottovalutarla, dimenticarla. Ma se cause e dinamiche dei cambiamenti climatici sono chiare e accessibili a chiunque se ne voglia informare, le risposte da dare sono ancora avvolte nella nebbia. Perché non c’è solo da abbandonare il più presto possibile tutti i combustibili fossili e passare alle fonti rinnovabili. Quel cambio di rotta – lo ha spiegato Naomi Klein nel suo libro Una rivoluzione ci salverà – richiede una dislocazione radicale del potere dai centri di comando attuali alle comunità, in tutti i principali settori della produzione e della gestione del territorio. Forme di autogoverno ancora in gran parte da costruire o ricostituire, una democratizzazione di tutte le istituzioni, non solo pubbliche, ma anche private: imprese, corporations, finanza; per lo meno quelle al di sopra di una certa soglia dimensionale. Per questo è inutile aspettare la green economy e prospettare la conversione ecologica come un business. Se lo fosse, o lo potesse essere, sarebbe già avvenuta.
Il problema è il “come?”. Come tradurre in programmi, progetti, realizzazioni e gestioni democratiche le indicazioni che derivano dalla dimostrata insostenibilità del modo attuale di condurre gli affari sia economici che di governo? Qui, con la lodevole eccezione di pochi tecnici che vi si cimentano e di moltissime associazioni e comitati che hanno sviluppato esperienze esemplari, soprattutto in campo agricolo e alimentare, gran pare del lavoro è ancora tutto da fare. Ma da oggi si può cercare di farlo, in modo concreto, qui e ora, in un confronto serrato con le giovani generazioni che hanno compreso l’importanza del problema. Questo dà la misura della distanza della “politica”, sia di governo che di opposizione, dai problemi che la nascita di questo movimento mette all’ordine del giorno. Che cosa ha a che fare questa insorgenza con lo schieramento compatto di partiti, giornalisti, industriali, sindacati, ministri e portaborse che invece che di Greta Thunberg si sono messi al seguito delle sette madamine di Torino per spiegarci che dal tunnel del Tav Torino-Lione (che forse entrerà in funzione tra quindici anni, o forse mai) dipende il futuro della nazione, dello “sviluppo”, dell’ambiente, del benessere? C’è forse qualcosa che possa mostrare meglio di questa caduta in un delirio collettivo la distanza che separa l’agenda delle nuove generazioni, e la sua impellenza, dall’ottusità di quelle vecchie? Quelle che stanno trascinando tutti e tutto verso il baratro ambientale, facendolo comunque precedere o accompagnare da un baratro non meno devastante di identitarismo e di razzismo, anche se malamente mascherato?
Qui la pagina web e quella facebook di Fridays for Future.
Il 15 marzo in tutto il mondo si svolgeranno manifestazioni per esigere dai governanti azioni concrete e immediate per impedire la fine della vita sul pianeta minacciata dai cambiamenti climatici. In prima linea ci sono i ragazzi e le ragazze del movimento FridaysForFuture, ispirato dalla quindicenne Greta Thunberg che la scorsa estate si è seduta davanti al parlamento svedese in protesta per tre settimane. Da settembre ogni venerdì un numero crescente di persone, non solo giovani, si sono unite allo sciopero. (i.b.)
Dall'8 al 10 a Roma una tre giorni di incontri e discussioni sui conflitti ambientali, cambiamenti climatici, salute e ambiente, economia circolare a cui parteciperanno attivisti delle lotte territoriali, scienziati e ricercatori. Organizzata da A Sud e CDCA. Qui il programma completo.
Sul nuovo sito di Laudato Si potrete trovare i materiali del Forum che si è tenuto a Milano il 19 gennaio 2019, nel quale si sono discussi temi quali cambiamenti climatici, depredazioni ambientali, migranti, riconversione ecologica, ecofemminismo, beni comuni, diritto al salute e pace. (a.b.)
Sintesi del secondo incontro della rete SET sulle dinamiche e l'impatto della turistificazione, che sta causando un vero e proprio «urbanicidio». Urgono azioni concertate tra movimenti sociali e politici che si battono per il diritto alla casa e al lavoro, per la difesa dell’ambiente e dei beni comuni. (i.b)
A Firenze dal 1 al 3 marzo 2019 si è svolto il secondo incontro nazionale della rete S.E.T. (Sud Europa di fronte alla turistificazione), che ha visto la partecipazione dei nodi di Barcellona, Bologna, Genova, Firenze, Napoli, Palermo, Roma e Venezia, con l’obiettivo di costruire azioni comuni per contrastare la turistificazione.
Gli incontri si sono tenuti presso la Facoltà di Architettura, il C.S.A Next Emerson e La Polveriera Spazio Comune e si sono articolati intorno a due temi: “L’abitare e la turistificazione” e “Al Gran Bazar della città neoliberista: nuove infrastrutture e turismo globale”.
Il dibattito ha messo in luce le criticità connesse all’industria turistica rispetto a una molteplicità di temi tra i quali:
1. l’emergenza abitativa – aggravata dall’impatto delle locazioni turistiche, dall’aumento delle strutture ricettive e dagli investimenti dei gruppi finanziari nel mercato immobiliare;
2. l’espropriazione dello spazio pubblico e del patrimonio collettivo – dovuta a politiche di “riqualificazione” e a operazioni “anti degrado” che provocano la mercificazione degli spazi;
3. la vendita di aree e immobili per il recupero di “vuoto urbano” a fini speculativi;
4. la realizzazione di opere infrastrutturali, finalizzate all’incremento dei flussi turistici, che alterano irreversibilmente il territorio, gli ecosistemi e il clima;
5. la complicità delle amministrazioni locali nel facilitare e incentivare i processi di speculazione e turistificazione.
La dinamica della turistificazione sta svuotando le città da chi le abita, causando un vero e proprio urbanicidio. Questo rende necessaria una risposta istituzionale urgente ed efficace, in sinergia con i movimenti sociali e politici per il diritto alla casa e al lavoro, con le lotte in difesa dell’ambiente e dei beni comuni.
La rete S.E.T. ha individuato alcuni obiettivi e strategie di intervento:
· l’organizzazione di assemblee e azioni politiche per la riappropriazione dello spazio pubblico;
· la realizzazione di inchieste in ogni città per smascherare i processi di speculazione in corso;
· l’apertura di vertenze con le istituzioni per spingerle a governare in modo efficace l’industria turistica;
· la sensibilizzazione e responsabilizzazione di vecchi e nuovi abitanti;
· l’allargamento della rete attraverso il coinvolgimento di altre città e di altri soggetti, singoli o organizzati, all’interno di ciascun nodo;
· la collaborazione con giuristi e urbanisti per approfondire gli aspetti tecnici e normativi del fenomeno.
I prossimi appuntamenti della Rete S.E.T.:
Roma, 23 marzo – Marcia per il clima e contro le grandi opere inutili;
Siviglia, 6 aprile – Incontro europeo della Rete S.E.T.;
Berlino, Barcellona, Napoli, 6 aprile – Manifestazione contro la bolla degli affitti;
Napoli, 6 aprile – Incontro con Salvatore Settis “Il diritto alla città al tempo del turismo”, organizzato da SET Napoli e dal laboratorio “Ecologie politiche del presente”;
Maggio (data da definire) – Azione internazionale simultanea contro la vendita delle città.
A Firenze venerdì 1, sabato 2 e domenica 3 marzo 2019 proseguono i lavori della rete SET - Sud Europa di fronte alla turistificazione, con il secondo convegno nazionale, per continuare la lotta contro gli effetti devastanti dell'industria turistica. Qui il programma e riferimenti. (i.b.)
Si legga il manifesto fondativo della rete pubblicato da eddyburg ad Aprile, e i contenuti del primo convegno della Rete su «Città italiane di fronte alla turistificazione».
PROGRAMMA DEL CONVEGNO
Firenze, 1-3 marzo 2019
Turismo nei territori e nelle città: beni comuni addio?
VENERDÌ 1° MARZO
ore 10.00 sotto la sede della Città Metropolitana in via Cavour, 1
Presidio contro la vendita di Mondeggi Bene Comune
ore 17.45, piazza de' Ciompi
Performance pubblica
SABATO 2 MARZO
ore 10.00 CSA Next Emerson, Via di Bellagio 15
10.00-18.00
TAVOLO 2 – La dimensione territoriale
Al Gran Bazar della città neoliberista: nuove infrastrutture e turismo globale
Logistica e infrastrutture come effetto o causa della monocoltura turistica, espulsione e pendolarismo di lavoratori e abitanti nel parco a tema, impatto ambientale dell'industria turistica, land grabbing e appropriazioni speculative, paesaggio da bene comune a merce, il territorio al servizio della turistificazione.
Pratiche di resistenza e riappropriazione: lotta alle grandi e meno grandi opere, prospettive ecologiche, uso civico e collettivo dei beni e dei luoghi non alienabili, ricostruzione di paesaggi e narrazioni nel territorio urbanizzato.
LABORATORIO 1 - Storia, strategie e tattiche per destabilizzare il Nuovo Ordine Urbano con Ex-Voto fecit.
L’obiettivo del laboratorio è fornire ai partecipanti una conoscenza base sulle forme e le pratiche di resistenza creativa.
LABORATORIO 2 - Maschere per la città
Laboratorio Aperto e Creativo per preparare i manufatti, le azioni e le immaginazioni necessari al carnevale delle autogestioni con RibellArti e Míles Eri
DOMENICA 3 MARZO
ore 10.00 La Polveriera Spazio Comune, Via Santa Reparata 12
10.00-13.00 Finalizzazione dei preparativi per il Carnevale delle Autogestioni
14.30-18.30 Carnevale delle Autogestioni
Azioni e interventi in difesa dei Beni e dei Luoghi Comuni
Beni comuni e patrimonio storico: contro lo sgombero della Polveriera Spazio Comune e di Mondeggi- Fattoria senza padroni.
Azioni conclusive dei laboratori, portare SET nello spazio pubblico.
Giovedì 28 febbraio, ore 18.00, a Milano presso l’auditorium Stefano Cerri di via Valvassori Peroni si tiene un importante incontro pubblico per discutere dell’inaccettabile progetto di svuotamento di Città Studi: con Salvatore Settis, Paolo Berdini e Serena Vicari Haddock. (m.c.g.) Qui il link all'evento
Per superare la logica emergenziale della ricostruzione serve una strategia di contenimento del rischio sismico all’altezza di un paese scientificamente avanzato e, per giunta, già in possesso di una specifica esperienza. Una proposta autorevole, che vi invitiamo a sottoscrivere. (m.b)
Il documento “La prevenzione sismica in Italia: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile” è stato concepito per richiamare l’attenzione e sollecitare un consenso di un ampio pubblico su un tema di grande rilevanza come la riduzione del rischio sismico nel Paese, che richiede decisioni difficili, che vanno comprese e condivise. Le decisioni si devono basare sul patrimonio di conoscenze finora acquisito nelle varie discipline coinvolte (geologia strutturale, sismologia, ingegneria sismica, storia, statistica, economia, pianificazione territoriale...) e che oggi in Italia sanno individuare le zone di maggior rischio, conoscere i metodi per rendere antisismiche le costruzioni e resiliente il territorio. Ciò non significa che tali conoscenze siano esenti da incertezze. Le questioni coinvolte spesso non hanno risposta determinata. Dove, cosa e come, in quanto tempo e con quante risorse, sotto la responsabilità di chi, questi gli elementi vincolanti che pretendono l’impegno a fare di più e meglio nella difesa dai terremoti. Paradigmi e protocolli decisionali son venuti maturando nella riflessione scientifica.
Va fatto ogni sforzo per diffondere una cultura del rischio, per argomentare la procedura decisionale, per coinvolgere il cittadino come attore consapevole e determinare un’indifferibile inversione di rotta rispetto all’evidente deficit di prevenzione che grava soprattutto in talune aree del territorio nazionale, dove si può prefigurare una vera e propria condizione di latente emergenza.
Abbiamo così ritenuto di dare con questo documento un contributo costruttivo, di prospettiva prendendo spunto da alcune considerazioni espresse da un articolo di Roberto De Marco, per molti anni direttore del Servizio Sismico Nazionale, su un supplemento alla rivista “Geologia dell’Ambiente” (1), e dal contributo di alcuni docenti e esperti che hanno dedicato al tema della difesa dai terremoti un lungo impegno professionale. Ora, nostro compito è quello di diffondere il documento, anche attraverso l’auspicabile impegno di chi ne dovesse condividere i contenuti, e cercare un confronto costruttivo rispetto alle diverse competenze e alle molte culture che un tema così importante necessariamente coinvolge.
(1) “Rischio sismico in Italia: analisi e prospettive per una prevenzione efficace in un Paese fragile” Supplemento alla Rivista Geologia dell’Ambiente (SIGEA), Roma - 2018.
Qui si può scaricare il documento integrale
Per aderire scrivere una mail all’indirizzo: nonquestaprevenzione@gmail.com
I promotori del documento
Claudio Chesi
Teresa Crespellani
Marisa Dalai
Vezio De Lucia
Roberto De Marco
Georg Frisch
Elsa Garavaglia
Elisa Guagenti
Emanuela Guidoboni
Scira Menoni
Paola Nicita
Federico Perotti
Vincenzo Petrini
Fabio Sabetta
Giancarlo Storto
Maria Cristina Treu
Giovanni Vannucchi
La Lucania o Basilicata è la terra di mezzo tra la Puglia, la Campania e la Calabria. Una terra di mezzo fatta da territori diversificati, dunque complessa. E’ anche la terra di un tempo più lento, di lunghi silenzi, forse perché si compone di solamente 131 comuni di cui solo le due province Potenza e Matera raggiungono i 60 000 abitanti. Dunque la regione dai due nomi si caratterizza di tanti piccoli paesi. La dimensione del paese è una realtà che lascia poco spazio ai giovani. E’ quella realtà stretta che spezza il respiro, troppo apprensiva per capire la voglia di cambiamento che morde l’animo di un giovane adolescente. Così si cresce con un unico sogno di riscatto: andarsene. Una concezione, cresciuta e pasciuta negli animi dei giovani lucani perché si sono sempre sentiti ripetere: “qui non c’è niente”.
La città però lascia un senso di inquietudine a volte, soprattutto quelle grandi città fatte di palazzi e strade ed auto, certe volte provocano un non so che di disturbo. Il passo svelto che non permette neanche di osservare, capire i luoghi, ma si corre perché il tempo è dettato dalla tirannia di un orologio che è sempre troppo svelto rispetto al proprio di ritmo, lieve e pacato, al proprio di ritmo che sia dettato dalla propria volontà e mai da quella del flusso a cui necessariamente ci si deve adattare. Così si possono fare scelte contro corrente, per studiare non si sogna di andare in chissà quale grande città, ma restare in un luogo non troppo lontano così da poter ritornare quando la nostalgia chiama. Matera, in tempi decisamente non sospetti, era quella realtà non troppo lontana, una realtà che risultò una scoperta perché per i lucani del Sud era una realtà estranea, pur essendo della medesima terra. Matera, città strana nel bel mezzo di una terra arsa e brulla, che si affaccia su gole cupe, che se si è abituati a distese di larghe vallate, ci si sente chiusi in una claustrofobica realtà di un paesaggio estraneo. Matera era nell’immaginario una città pugliese e lo era soprattutto nei suoi colori, il tufo tanto diverso dalle pietre di fiume di cui sono fatte le case dei paesi a meridione. Ma un tratto comune pure lo si ritrovava, nella Matera di allora tutto era fermo e veramente non c’era molto. A passeggiare in un umida sera di febbraio di quell’ormai lontano 2010 non un’anima viva, non un locale aperto sino all’ora di dopo cena e non pareva molto diversa come realtà da quella di un paesino lucano sperduto sul Pollino.
Vivere a Matera per 8-9 anni ha significato vederla cambiare con i suoi abitanti arresi e ormai rassegnati, tifare per un nuovo spiraglio di futuro. Chi la città ha cercato di studiarla dalla facoltà di Architettura, la osservava e vedeva capovolgersi delle concezioni fino ad allora immutate: i Sassi e la loro vergogna che oggi sono il riscatto e i nuovi quartieri il riscatto di ieri che oggi sono le periferie lasciate a sé stesse, è un andare a passo di gambero che capovolge il progresso in regresso e il regresso in progresso?! Come la si voglia leggere o interpretare resta il fatto che all’indomani del titolo di Capitale Europea della Cultura qualcosa nell’aria è cambiato, le strade sono più affollate e pian piano, senza neanche accorgersene qualcosa è cambiato. Molti lo hanno creduto, tanto che il proliferare di negozietti ed attività è diventata una realtà così consolidata che l’apertura di un nuovo locale ormai non stupisce più nessuno. Un dato allarmante però resta, camminando per le sue strade sono più i canuti che gli sbarbati. Oggi, nell’anno di Matera Capitale Europea della Cultura però, una domanda dovremmo anche porcela per un futuro diverso: quali possibilità occupazionali, dunque di futuro, offre la città ai suoi giovani e nella fattispecie a quelli che ha formato?
Dunque se Matera non accoglie come dovrebbe, o meglio non trattiene come dovrebbe si ritorna alle origini, al piccolo paese di montagna vicino alla fine estrema della regione, si ritorna a Cersosimo. La scelta di ritornare è costosa, è faticosa e ha non poca rabbia dentro. Lo si ama il proprio paese natale, di un amore viscerale anche inspiegabile forse, ma si hanno anche alcune consapevolezze che non lasciano molto spazio all’ottimismo. Oggi si ritorna e gli amici di un tempo non ci sono più, tutti sparpagliati altrove, un altrove fatto di emigrazione. Ci si può opporre con ostinazione a rimandare questo triste giorno, ma il paese è lento poiché è popolato prevalentemente da anziani e i giovani sono una specie unica quanto rara! Così rispolverando certi ricordi, certe speranze, che ora acquistano un certo sapore di utopia se si lascia spazio alla consapevolezza di oggi e pur avendo ben chiaro nella mente le unicità della propria terra natale, una triste consapevolezza tiranneggia sulle proprie convinzioni: l’assenza di politiche atte a creare concrete possibilità di sostentamento, di miglioramento e di sviluppo.
I giovani del mio paese e più in generale del meridione sono dipinti in un modo che li denigra, li etichetta ma che non mette in evidenza la realtà difficile che si vive. Paradossalmente si hanno molti più mezzi, ma anche molte meno possibilità. Condannati eternamente ad essere “ragazzi”, cimentandosi al massimo in attività che vengono spacciate per volontariato ma che per il dispendio di impegno che necessitano meriterebbero il giusto riconoscimento e compenso. Una vita precaria e senza possibilità di programmazione alcuna, che nei piccoli centri è affiancata da altri aspetti: la solitudine, la mancanza di confronto e quindi la possibilità di crescita. Mai come in questo periodo storico, i giovani sono una minoranza e in quanto minoranza subisce le decisioni di una maggioranza che sceglie in base alle proprie di esigenze e che dunque hanno il respiro di un tempo limitato. Non vi è un’ottica di prospettiva a lungo termine tipica di una giovane età, ci si pone nella condizione di guardare all’oggi e mai a quello che potrebbe essere. Si è persa quella immaginazione che è salvifica soprattutto in territori dimenticati come i nostri piccoli centri.
Il dibattito dell’abbandono e dei paesi fantasma è comune a molti territori della nostra penisola. All’interno della strategia dello sviluppo delle aree interne si punta proprio a invertire questa tendenza. Gli approcci messi in campo, però, sono sempre gli stessi, restano invariati da almeno trent’anni. Non è dunque solamente parlandone con convegni e dibattiti, spesso anche auto-referenziali, che si può avere la presunzione di invertire la tendenza e risolvere uno dei grossi problemi del nostro secolo e cioè lo squilibrio di popolamento che c’è tra alcune aree del nostro pianeta. E’ pura demagogia questa? I territori periferici e più interni ne risultano notevolmente svantaggiati. Bisognerebbe partire da quello che potrebbe essere il vero problema di fondo e cioè l’assenza di scenari di futuro non sui territori, ma nella testa di chi li vive quei territori. Dunque chi è rimasto, conscio della propria sconfitta cerca di non reiterare l’errore e spinge i propri figli a non tornare, investendo per loro altrove. Le soluzioni per risolvere uno scenario desolante e così difficile non le si hanno in tasca, ma dicerto non le si possono ricercare solamente trovando un Caprio espiatorio rappresentato nella poca volontà dei giovani ad invertire la tendenza.
Se si parla di periferia urbana, bisognerebbe cominciare a parlare anche di periferia territoriale, soprattutto dove non si ha un territorio metropolitano a cui far riferimento. Volendo provare a non arrendersi al nichilismo ci si scontra con una triste realtà, che è matrigna, l’assenza di numeri cioè di utenza porta a rendere del tutto fallimentare qualsiasi iniziativa. Dunque quale potrebbe essere la strada per non arrendersi a un destino già segnato? Come si potrebbero ridisegnare nuovi scenari nella mente di cittadini arresi? Basterà veramente uno sporadico evento che vedrà uno di questi 131 comuni Capitale per un giorno a riportare ai suoi monti, alle sue vallate ed ai suoi fiumi la vita? In che modo si potrebbero esplorare nuove forme di residenza? Attenzione “residenza” e non “cittadini temporanei”, come piace al Dossier definire i turisti che momentaneamente si trovano, se si è fortunati a visitare i nostri territori. In che modo si possono metter su delle strategie politiche atte a fare in modo che questi territori ritornino in auge come un modello alternativo di vita che possa essere però al passo con i tempi? Non solo da Capitale Europea della Cultura, non solo perché è trendy, ma perché la Lucania, a partire da Matera, merita un futuro diverso, quello che non è mai stato concesso, fatto di una libertà che possa dare la possibilità di non diventare un grande luna pack, o un museo della civiltà contadina, un mero luogo pittoresco, oggi i paesi lucani sono vuoti e soffrono di tante vite assenti:
Come si può far riconoscere il valore e le potenzialità di un territorio, se non si ha conoscenza del proprio territorio? L’auspicio è che si possano spendere le molteplici professionalità che oggi i giovani lucani, in loco o fuori loco, hanno acquistato per indagare e poi costruire una visione di Basilicata. Ma per far questo non si può demandare tale compito a un sistema altro, ma è necessario partire dalla costruzione di un vero Sistema Culturale che riesca ad approfondire, fare ricerca e coinvolgere prima e poi riattivare i territori, nella propria lettura e poi nel far conoscere i tanti contenuti che una storia ricca come quella che caratterizza il territorio lucano. Non bisogna dimenticare la geografia dei luoghi e quella lucana è una geografia baricentrica che pone la regione al centro del bacino del Mediterraneo, dunque bisognerebbe riflettere sul ruolo geo-politico che una tale posizione investe sia sul suo contesto Nazionale che su quello internazionale. Il contatto con l’Europa che può passare sia in senso fisico solo se si creano adeguate infrastrutture, che in senso più immateriale, attraverso la ricostruzione di nessi e fili interrotti o logori della storia, soprattutto recente.
Una consapevolezza, però dovrebbe restare al centro come un perno per qualsivoglia strategia di sviluppo territoriale:
il futuro di un territorio è nelle possibilità che vengono date ai propri giovani di far progredire quel territorio, altrimenti si è già perso, ancor prima di cominciare.
Vedremo se questo anno da Capitale possa gettare le basi per una rinascita culturale all’insegna della ricerca delle radici di una terra unica e complessa come la Lucania.
A Bologna un Laboratorio sul Diritto alla Città per contrastare l'idea della città come spazio di profitto, piuttosto che come luogo della condivisione, dell’incontro e di realizzazione collettiva, con contributi di accademici, esperti, forze sociali e politiche che in Italia e in Europa hanno deciso di muoversi nella direzione opposta. Primo appuntamento il 22 febbraio. Qui i dettagli. (i.b.)