Ha fatto bene Salvatore Settis a ricordare nella lettera di dimissioni di aver criticato allo stesso modo, quale presidente di un organismo squisitamente tecnico-scientifico, il ministro Bondi al pari dei suoi predecessori, di uguale o diverso colore. Come fece, nella stessa carica, Giuseppe Chiarante, coi ministri Veltroni e Melandri e col forzista Urbani che però lo «epurò». La storia si ripete. Per anni Norberto Bobbio ci ha ricordato che l’autonomia critica degli intellettuali dalle parole d’ordine della politica è il dato fondante della cultura democratica. Quando si pretende che essi si allineino a governi e a partiti oppure tacciano e se ne vadano, la democrazia è in pericolo.
Pochi minuti dopo aver ricevuto da Settis le dimissioni, come se dovesse cambiarsi di camicia o di cravatta, Bondi ha nominato al suo posto un archeologo non meno noto, Andrea Carandini, che negli ultimi tempi ha detto di sì, in nome della lotta contro «i Talebani della conservazione» (abbiamo capito), alla politica dei commissariamenti per le aree archeologiche di Roma e Ostia e al prestito e al trasporto di opere delicatissime come i Bronzi di Riace trattati da Made in Italy commerciale. Un subentrante già omologato. Per ora accolto da una raffica di dimissioni che noi speriamo si moltiplichino, al pari delle qualificate proteste di intellettuali. A smentire quei pochi già saltati, invece, in modo fulmineo sul carro del vincitore.
Il nodo è politico. Si confrontano apertamente due concezioni profondamente diverse della cultura e dei suoi beni: quella di chi li considera un valore «in sé» e quindi ritiene che ogni valorizzazione sia contenuta nella tutela stessa da finanziare e potenziare, e quella di chi intende fermamente «mettere a reddito» il nostro passato spremendone profitti, anche a costo di lasciar decadere la tutela. Si confrontano conservazione intelligente e attiva e commercializzazione spinta e privatistica. Quest’ultima è la strategia del centrodestra. E quella del centrosinistra?
Illustre Signor Ministro, sul Giornale del 23 febbraio, Lei mi attribuisce, citando dall’intervista di Enrico Arosio sull’Espresso, affermazioni che non ho fatto, quali la denuncia della "malagestione dei musei" e del "clima di generale frustrazione che si respira nel Collegio Romano". Non sono parole mie, semmai dell’intervistatore: basta badare alle virgolette. Rispondo invece delle cose che ho detto, e che Lei ugualmente mi rimprovera: in particolare, di aver richiamato l’attenzione del governo e dell’opinione pubblica (in un articolo sul Sole-24 Ore del 4 luglio 2008) sui pesanti tagli al Suo Ministero, con cifre incontestabili perché tratte dalla Gazzetta Ufficiale.
Mi rimprovera il "dissenso di fondo", in particolare rispetto alla futura nomina del dott. Resca come direttore generale alla valorizzazione dei beni culturali. Inoltre, mi rimprovera «sensazionalismo mediatico» e «richiamo irresponsabile della ribalta», mi etichetta «polemista di riferimento del gruppo La Repubblica-Espresso» che «inforca la polemica sulla stampa di opposizione» e «lavora contro le istituzioni», e infine mi invita a dare le dimissioni («Se avesse voluto cercare un espediente per rassegnare le dimissioni, il professor Settis non avrebbe potuto trovarne uno migliore»).
Quando, in seguito all’articolo sul Sole , il sottosegretario Giro ed altri validi esponenti della maggioranza, come l’on. Gabriella Carlucci, mi invitarono alle dimissioni, fu Lei a chiedermi di mantenere il ruolo di presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali. Non mi colpisce il fatto che Lei abbia in merito cambiato idea. Mi colpisce la Sua convinzione (a) che le preoccupazioni che esprimo nascano non da riflessioni di natura istituzionale, ma da uno schieramento politico, e (b) che ogni pubblico dissenso dal Ministro debba esser vietato a chi ricopra la funzione di presidente del Consiglio Superiore. Nessuna di queste due affermazioni risponde al vero. Quanto alla prima, per non citare più remoti esempi, durante il governo Prodi criticai duramente (sulla Repubblica, 11 settembre 2006) la proposta di legge Nicolais sul silenzio-assenso, in termini identici a come lo avevo fatto un anno prima sullo stesso giornale (8 marzo 2005) rispetto a un’identica proposta Baccini (in ambo i casi, la proposta fu ritirata).
Quanto alla seconda affermazione, ricordo che il Consiglio Superiore è per legge un organo tecnico-scientifico e non politico. Ciò comporta, per il suo presidente come per gli altri membri, massima discrezione sui documenti riservati sottoposti dal Ministro; non comporta invece l’obbligo del silenzio sugli atti ufficiali del governo né il divieto di citare dati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, né tanto meno la proibizione di esprimere opinioni documentate. Non è vero che, come nel Suo articolo si trova scritto, io faccia parte dei "vertici del Ministero", né che io sia un "dirigente dei Beni culturali". E´ vero anzi il contrario: il Consiglio Superiore, in quanto organo tecnico-consultivo e non di amministrazione attiva, ha una funzione extra-burocratica, non è in gerarchia con l’Amministrazione ma rispetto ad essa ha funzione di riflessione e stimolo esterno.
Secondo la legge, il presidente è scelto tra le "otto eminenti personalità della cultura" che compongono, con altri membri, il Consiglio Superiore. Tale connotazione non solo implica ma esige piena libertà di coscienza, di parola e d’intervento sui temi generali della politica culturale del Ministero: la definizione tipologica di "eminenti personalità della cultura" non si lascia fuori dalla porta nel momento in cui si entra nel Consiglio Superiore, e anzi impone piena libertà di espressione, al servizio dei cittadini e delle istituzioni. Di fronte a una situazione sempre più grave, che per pesantezza dei tagli e assenza di turn over del personale mette in pericolo lo stesso esercizio della tutela in Italia, il mio auspicio era ed è che il Ministro (chiunque sia) e il Consiglio Superiore (chiunque possa esserne il presidente) esprimano una concorde, grave preoccupazione nelle sedi appropriate (governo e Parlamento), con massima trasparenza rispetto all’opinione pubblica.
Sui dati di fatto citati nell’intervista dell’Espresso, signor Ministro, Lei non risponde. Non nega (perché non può farlo) il taglio di oltre un miliardo di euro nel triennio ai fondi del Suo Ministero; non nega (non può farlo) che al 1 gennaio 2010 vi saranno 23 posti di dirigente archeologo in organico in tutta Italia, ma solo 7 funzionari col grado per ricoprirli. A questi ed altri segnali di degrado, Lei sembra reagire con passiva rassegnazione. Quanto alla "malagestione dei musei" (leggi: carenza di fondi e blocco delle assunzioni) e al "clima di generale frustrazione che si respira nel Collegio Romano", due affermazioni non mie ma Sue, solo il laconico tu dixisti di Matteo 26. 64 può commentarle degnamente.
Il Suo articolo, Signor Ministro, mi pone di fronte alla scelta fra la piena libertà di opinione e di parola e il silenzio che Lei, innovando rispetto alla legge, ritiene obbligatorio per il presidente del Consiglio Superiore: duro monito a chiunque ricoprirà in futuro questo ruolo. Eppure non ho lavorato "contro le istituzioni", ma, tutt’al contrario, per le istituzioni quando ne ho difeso le competenze, i campi di azione e l’oggetto stesso dagli incessanti tentativi di erosione e di vanificazione, da ultimo con l’inquietante vicenda del cosiddetto archeocondono e quella incoerente del commissariamento, in mani dotate di altra competenza, dell’area archeologica di Roma.
Di fronte alla prospettiva di rinunciare a difendere il Ministero e il patrimonio culturale, che Ella mi addita, la mia è una scelta facile. Senza la minima esitazione, continuo a ritenere incomprimibile la mia libertà di coscienza e di espressione e soprattutto a ritenerla non solo compatibile, ma pienamente convergente con l’ufficio che ricopro. La libertà di parola è la prima delle libertà. Nel recente passato ho potuto esercitarla senza ostacoli esprimendo pubbliche critiche ai governi in carica mentre collaboravo da vicino con i Suoi predecessori Giuliano Urbani, Rocco Buttiglione e Francesco Rutelli e, mi permetto di sottolineare, contribuendo più di una volta a salvaguardare le attribuzioni e le cure del Ministero e del patrimonio culturale. Continuerò a farlo come è mio dovere di cittadino, ma irrevocabilmente rassegno le dimissioni dalla presidenza del Consiglio Superiore.
Con i migliori auguri di buon lavoro.
Se voi che leggete non siete dentro una soprintendenza o dentro il ministero dei beni culturali probabilmente non potete averne piena percezione. Però per le sorti del nostro patrimonio artistico, dei nostri musei, dei nostri scavi archeologici, archivi e biblioteche - che già soffrono come dannati, hanno una gestione centrale sbrindellata - oggi può essere una giornata gravida di dalle conseguenze pesanti. Che implicano anche il concetto di libertà di pensiero nella pubblica amministrazione, cioè nel Paese.
IL TERREMOTO
Esagerato? Vediamo un po’. Oggi pomeriggio si riunisce il consiglio superiore dei beni culturali: è organismo consultivo di esperti nominati dal ministro, comitati di settore e rappresentanti eletti dai dipendenti del ministero stesso, dalle università. Il suo ruolo è dare pareri su questioni importanti. Oggi ha, tra l’altro, in discussione i piani di spesa delle soprintendenze, e saranno dolori. Lo presiede, forse per l’ultima volta, Salvatore Settis, archeologo, preside della Normale di Pisa. Salvo sorprese si dimetterà. E con lui altri membri del consiglio.
Di sicuro ha formalizzato le sue dimissioni via fax alla segreteria ministeriale il professor Andrea Emiliani, esperto che aveva indicato Rutelli e Bondi confermato. Potrebbe lasciare Andreina Ricci. Potrebbe dimettersi Mariella Guercio, altra esperta. «Faccio quel che farà Settis. Abbiamo tenuto una linea condivisa e quindi la mantengo» . E questo lo afferma a l’Unità un nome autorevole, culturalmente «pesante», come Antonio Paolucci, già soprintendente, già ministro lui stesso nel 95-96, ora direttore dei Musei Vaticani. Come altri esperti, Settis lo aveva nominato Rutelli, Bondi l’aveva confermato. Ma Settis, per il ministro, si macchia di un peccato imperdonabile: osa criticare pubblicamente le scelte del ministero.
Critica la scelta di affibbiare un commissario alle soprintendenze archeologiche di Roma e Ostia, per di più della protezione civile, Bertolaso. Critica, Settis, la nascita di una direzione per la valorizzazione, slegata dalla tutela per di più affidata a un manager inesperto in materia d’arte o archeologia quale Mario Resca. Settis peraltro ha sempre coltivato il «vizio», se qualcuno lo ritiene un vizio, di criticare anche in pubblico le scelte di un ministro anche se lui ci lavorava a fianco. È successo a Urbani, è successo a Rutelli.
Succede con Bondi e Bondi non lo tollera. Il ministro sul Giornale attacca Settis e già, che c’è, il soprintendente di Pompei Guzzo, bravissimo archeologo, ma reo - a suo parere - di non risolvere i guai del sito.
VIA LIBERA AI «BARBARI»?
Ci sono dunque le dimissioni di Settis in ballo. Perché non è soltanto una faccenda di poltrone e travalica i confini dei beni culturali ma di libertà di pensiero? Lo riassume bene Mario Torelli, archeologo di lungo corso, curatore della bella mostra sugli etruschi aperta a Palazzo delle Esposizioni a Roma fino all’8 marzo: «Questo ministro si leva di torno i tecnici perché danno fastidio, è un atteggiamento da ministro del ventennio fascista, per "non disturbate il manovratore"». Secondo l’archeologo, il ministro potrebbe avere in mente il sostituto di Settis e indica il collega Carandini. Ma Torelli dà voce a un fatto: nel ministero e nelle soprintendenze si dice poco in pubblico quel che si pensa per paura di ritorsioni. Cesare De Seta, un altro esperto di nomina direttamente ministeriale, dice al nostro giornale di voler discuterne oggi prima con Settis e poi valutare.
Il segretario della Uil Gianfranco Cerasoli mette il dito sul dubbio che arrovella parecchi: Settis non lasci, «le sue dimissioni sarebbero un regalo ai nuovi barbari», cioè «al trio Bondi-Brunetta-Tremonti» che, svitando bullone su bullone le soprintendenze e le loro risorse, affidandole a commissari
della protezione civile e quant’altro, stanno smantellando l`impalcatura statale che ha tenuto su dall’unità d’Italia a oggi. E questo dubbio - lasciando non si rischia di non porre più argini a manovre devastanti? - arrovella Marisa Dalai, studiosa designata dal Consiglio universitario nazionale.
Un dubbio che investe sempre più persone, nel nostro paese. E non solo per l’arte. Una via d’uscita in mente ce l’ha Vincenzo Vita, parlamentare Pd: invece di Settis «si dimetta Bondi.
Non cessano di stupirci le pulsioni dei nostri governanti nei confronti del mondo antico. Abbiamo sentito dell’incredibile progetto di far rivivere gli spettacoli circensi, al vero le corse alla Ben Hur, nel virtuale gli spettacoli gladiatori. Abbiamo visto l’inarrestabile corsa al commissario, a parole per far fronte ad insormontabili problemi di coordinamento amministrativo, di fatto per gestire l’ordinario in maniera autocratica. Ora si parla di singolari idee per la valorizzazione del patrimonio archeologico della Capitale, come quella del sottosegretario Giro, che vorrebbe approntare una seconda versione del grande plastico di Roma antica, realizzato settant’anni fa da Italo Gismondi per la Mostra Augustea della Romanità, poi traslato negli anni Cinquanta del secolo scorso con tutto il materiale di quella mostra nel Museo della Civiltà Romana all’Eur (di questa straordinaria istituzione avremo modo di occuparci in futuro) ed ora quasi unico frammento superstite di quel Museo, che tuttora suscita l’ammirazione dei turisti, di quei pochi che sanno dove trovarlo, di quei moltissimi che ne comprano le mille riproduzioni fotografiche vendute da tutte le bancarelle di souvenir.
Non so se l’on. le Giro ha idea di cosa comporti e soprattutto di quanto venga a costare una realizzazione del genere: si tratta di cifre con moltissimi zeri per un lavoro superfluo da fare in tempi di vacche magre. Evidentemente idee sensate per valorizzare l’enorme patrimonio archeologico di Roma di fatto non ci sono: si oscilla tra l’adorazione delle ricostruzioni al vero, in scala o in virtuale di una Roma di cartapesta e le risposte draconiane ai problemi, senza parlare di alcune iniziali uscite del sindaco Alemanno, come la dissennate proposte di urbanizzare la Campagna Romana o di mettere mano al piccone per distruggere la teca dell’Ara Pacis.
In questi giorni poi l’ago della bilancia pende verso l’antico inteso come arredo.
Una vecchia storia questa, che risale già alla precedente esperienza di governo di destra del 2001-2006. Chi ha dimenticato il festoso vertice di Pratica di Mare organizzato dal nostro premier e il suo fondale fabbricato con autentiche statue romane prelevate da grandi Musei Nazionali e artisticamente posate su prati artificiali? Come non ricordare la celebrazione del semestre italiano alla testa dell’Unione Europea contrassegnato da forti presenze classiche, nel caso specifico da un busto dell´imperatore Adriano, ancora una volta fatto pervenire nella sede della Presidenza nella capitale belga dalle collezioni di stato italiane?
Sempre sulla stessa linea di gusto di allora si vuole adesso graziosamente ornare le stanze del Cavaliere a Palazzo Chigi con statue romane, naturalmente prelevate dagli inesauribili magazzini dei nostri musei archeologici. Ma non finisce qui.
Costantemente ansioso di fare apprezzare i tesori del Belpaese, Berlusconi progetta un remake del vertice di Pratica di Mare in occasione del vertice del G 8, ma proporzionato ormai alla sua gloria imperiale: niente prati finti o il piattume della pianura Pontina, questa volta il fondale è quello dello stupendo paesaggio marittimo della Maddalena e l’arredo addirittura i Bronzi di Riace, ossia due delle pochissime statue originali pervenuteci dall’antichità, oggetto di un memorabile restauro di pochi anni fa, diretto da una grande archeologa prematuramente scomparsa, Alessandra Vaccaro Melucco, che con procedimenti d’avanguardia ha ricostruito persino la tecnica fusoria seguita per la realizzazione di quei capolavori.
La richiesta di prestito è stata sottoposta alle autorità di tutela e qualche illustre archeologo ha già detto che va appoggiata. Insomma è come se il Cavaliere chiedesse la Madonna della Seggiola come quadro da appendere a capo al letto, e la leonardesca Ultima Cena, opportunamente distaccata dalla sua sede milanese, per decorare la propria sala da pranzo.
La cosa ha uno suo interesse nell’ambito della storia del gusto: ricordo di aver usato già il caso di Pratica di Mare per illustrare ai miei allievi la mentalità dei ricchi parvenus romani, che rapinavano i tesori della Grecia per ornare le proprie villa al mare, affidandosi ad agenti per la scelta delle opere. Si sa che a scegliere il ritratto di Adriano mandato a anni fa a Bruxelles sarebbe stato lo stesso ministro dei Beni e delle Attività Culturali Giuliano Urbani, perché, riportavano i giornali, Adriano avrebbe il pregio di incarnare in maniera perfetta il simbolo del Buongoverno (la parola d’ordine di quegli anni...) e perché Berlusconi sarebbe un ammirato lettore delle «Memorie di Adriano», il capolavoro di Marguerite Yourcenar.
Il confronto con il gusto di rapina dei Romani è calzante: i musei grondano ritratti di poeti, filosofi e scrittori greci, cui i romani pensavano come modelli insuperati di una perfezione letteraria vagheggiata. Vorremmo proprio sapere chi ha fatto la scelta stavolta e soprattutto quale rinvio letterario si annida dietro questa scelta. Ma, a prescindere dalle continue prove di cattivo gusto offerte dalla nostra classe dirigente con queste geniali idee, la cosa di maggior rilievo è che la richiesta mette a rischio due capolavori assoluti, conservati - come è giusto e doveroso che sia - in ambienti climatizzati e continuamente monitorati nel Museo di Reggio Calabria, opere che in un paese civile nessuno penserebbe seriamente di spostare. Non fa meraviglia che le discutibili brame di un tycoon vogliano mettere a repentaglio quei delicatissimi bronzi per farne un personale trofeo: fa meraviglia che ci siano archeologi professionisti pronti a dichiarare che è ora di finirla con questa ossessione della tutela.
L’attacco a Settis e a Guzzo, i commissariamenti delle Soprintendenze da parte del ministro Bondi, lo svilimento generale dell’Amministrazione dei Beni Culturali fanno parte di una scelta politica che delegittima la tutela pubblica, devitalizza e, di fatto, liquida il Ministero preparando la privatizzazione commerciale dei beni culturali “ricchi”. Una politica che va respinta con forza e indignazione.
Mentre le Soprintendenze stentano sempre più, per mancanza di fondi, a svolgere i loro ordinari compiti di tutela e rischiano di agonizzare con l’arrivo di sempre nuovi tagli di risorse accettati supinamente dal ministro Bondi, questi attacca frontalmente la sua stessa amministrazione. La delegittima sul piano tecnico-scientifico “dando spazio a figure nuove, con specifiche competenze manageriali, in grado per esempio di leggere un bilancio” (dall’intervento del 23 febbraio sul “Giornale”), come se l’attuale personale di Soprintendenza, tecnici e amministrativi, e quanti li hanno preceduti avessero portato allo sfascio, per ignoranza delle leggi economiche, le strutture della tutela e della valorizzazione. La svuota di poteri e di competenze specifiche moltiplicando i commissariamenti calati dall’alto (Pompei, aree archeologiche di Roma e di Ostia, ecc.) e reclutando supermanager e superesperti che, oltre a mortificare la dirigenza dei Beni Culturali, peseranno su di un bilancio già stremato che il piano Tremonti, da qui al 2011, riduce a cifre di pura sopravvivenza. Bondi e altri ministri di questo governo trattano poi la rete dei musei, dei monumenti, dei siti – evidentemente non conoscendola – come una sorta di antiquata e polverosa zavorra. Essi rimuovono il fatto che nel periodo 1996-2007 i visitatori dei musei, dei circuiti museali e delle aree archeologiche sono saliti da 25 a 34,5 milioni con un incremento del 38 per cento e che i relativi introiti sono più che raddoppiati balzando da 52,7 a 106 milioni di euro con un incremento del 101 per cento. Con una flessione o una stasi nel 2008 anno di crisi per tutte le correnti turistiche, a cominciare dalle più qualificate. Risultati formidabili conseguiti da questa Amministrazione pur sottopagata e con mezzi tecnici e finanziari sempre insufficienti. Si può fare certamente di più e di meglio su questo e su altri piani, a cominciare da una più incisiva e diffusa tutela del nostro paesaggio minacciato da mille insidie speculative. Ma lo si può incoraggiando, motivando, dotando di mezzi una Amministrazione onesta (non un solo implicato di alto livello in Tangentopoli), competente e leale verso lo Stato.
Il ministro Bondi ha invece scelto la strada opposta, quella della delegittimazione, dell’esautoramento, del richiamo intimidatorio al silenzio e all’ordine. Che ora rivolge pubblicamente ad un personaggio di alta competenza internazionale e di qualificato impegno culturale e civile come Salvatore Settis, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali ingiungendogli dalle colonne di un giornale appartenente alla famiglia del presidente del Consiglio di allinearsi e tacere, di cessare cioè dalla funzione critica che, in ogni democrazia compiuta, viene riconosciuto agli intellettuali. E analogo trattamento viene riservato ad uno dei più valorosi studiosi e soprintendenti, a Pier Giovanni Guzzo che tanto ha fatto, per la sua parte, a Pompei, in Puglia, in Emilia-Romagna. Un ordine rivolto al professor Settis affinché tutti i componenti critici del Consiglio Superiore intendano e chinino il capo in silenzio, pronti ad accettare qualunque cosa, anche l’umiliazione di vedere spregiata una rete di tutela e di musei ammirata, in linea generale, dai direttori dei maggiori musei del mondo, dagli esperti di ogni Paese. Noi siamo con loro in queste ore davvero drammatiche per l’autonomia della cultura.
Lo stesso commissariamento straordinario promesso un mese fa alle aree archeologiche di Roma e Ostia rappresenta un autentico suicidio anche sul piano dell’immagine turistica di una Capitale che coi fondi della legge Biasini e del Giubileo – spesi e spesi bene nella collaborazione piena, allora, fra Stato, Regione, Provincia e Comune – ha restaurato e riaperto siti e monumenti romani, ha inaugurato nuovi splendidi Musei (ex Collegio Massimo, Palazzo Altemps, ex Centrale Montemartini, Crypta Balbi, ecc.), altri ne ha riallestiti e ammodernati (Galleria Borghese e Musei Capitolini in testa) riacquistando così prestigio e attirando nuovi visitatori da tutto il mondo. In poche battute un patrimonio formidabile – di sostanza e di immagine – viene buttato in discarica dal Ministero e dal Comune di Roma con l’incoraggiamento di esperti esterni pronti a nuove e ricche consulenze. Un’operazione inaccettabile, sotto ogni punto di vista (compreso quello dell’immagine internazionale), contro la quale protestiamo indignati chiedendo al presidente della Repubblica, custode attivo della Costituzione, la operante difesa e attuazione del dettato dell’articolo 9 della suprema carta (“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”), chiedendo alla pubblica opinione, agli organi di informazione di non far passare sotto silenzio la rovina che viene rovesciata sui nostri beni culturali e paesaggistici con l’intento di smantellare – qui come nella scuola, nella sanità, nella ricerca – tutto ciò che è pubblico operando di fatto per la privatizzazione di quei beni in grado di produrre incassi e profitti. Cosa che non accade in nessun’altro Paese civile e avanzato dove la cultura viene in genere potenziata nei momenti di crisi anziché indebolita, intimidita, ammutolita. Non a caso al pari della Storia dell’Arte che già si insegna pochissimo e che questo Ministero dell’Istruzione vuole insegnare ancor di meno.
Assotecnici, Associazione “R.Bianchi Bandinelli”, Comitato per la Bellezza, Eddyburg, Italia Nostra, Legambiente, PatrimonioSos, WWF.
Il braccio di ferro fra Sandro Bondi e Salvatore Settis ha raggiunto il suo apice. Domani si riunisce il Consiglio superiore dei Beni culturali e ai diciotto suoi membri Settis, che del Consiglio è il presidente, leggerà una lettera di dimissioni. Molto motivata e molto dura, si sente dire. Ma non sarà solo il direttore della Normale di Pisa, storico dell’arte antica e dell’archeologia, ad andarsene. Dalle indiscrezioni che filtrano saranno almeno in quattro, forse in sei a lasciare l’incarico. E a quel punto non si sa quale sarà la sorte del principale organo di consulenza del ministero.
Nel frattempo tornano insistenti le voci che vorrebbero lo stesso Bondi in partenza dal ministero. Lo attende l’incarico di coordinatore del Pdl.
Al suo posto si insedierebbe Gaetano Quagliariello, attualmente vicepresidente dei senatori del centrodestra, il quale rinnoverebbe anche molto del personale che affianca Bondi.
Ma fintanto che è al Collegio Romano, Bondi sfodera la sciabola. Il ministro ha reagito con durezza alle ultime dichiarazioni di Settis (una lunga intervista a L’espresso di venerdì, alla quale il titolare del dicastero ha replicato con un articolo sul Giornale). Lo scontro ha però radici antiche, il dissenso sulle linee di conduzione del ministero si è fatto più marcato con il passare del tempo. Qualche volta si è composto, ma ora sembra che non sia più possibile. «Se avesse voluto cercare un espediente per rassegnare le dimissioni», ha scritto il ministro, «il professor Settis non ne avrebbe potuto trovare uno migliore». E quale sarebbe l’espediente? Il sensazionalismo mediatico, l’aver espresso ai giornali le sue critiche. Peggio ancora, secondo il ministro, se si tratta di «stampa di opposizione».
È proprio questo uno dei motivi della rottura. Settis non accetta di mettere il bavaglio. E così come è stato nel luglio scorso, quando denunciò il taglio di oltre un miliardo di euro nei bilanci già dissestati del ministero (il sottosegretario Francesco Giro di fatto lo licenziò, ma poi fu recuperata un’intesa con il ministro), anche stavolta il direttore della Normale non rinuncia a contestare le iniziative più discusse del ministero. Forte del fatto di essere presidente di un organo di consulenza e non un dirigente del ministero, soggetto a vincoli burocratici.
Un duro contrasto si è manifestato con la nomina a direttore generale di Mario Resca, ex amministratore delegato della McDonald’s, al quale Bondi aveva in un primo tempo affidato poteri straordinari sulla gestione dei musei, sulle mostre, sconfinando persino nel campo della tutela. La reazione di tutte le associazioni di salvaguardia, la raccolta di migliaia di firme e una bocciatura netta da parte di tutto il Consiglio superiore, presieduto da Settis, indussero Bondi a una mezza marcia indietro, giudicata insoddisfacente da molti: Resca, che non aveva nessuna competenza in fatto di management culturale, si sarebbe occupato solo della valorizzazione (ma la nomina ancora non è formalizzata).
Settis e il Consiglio non avevano taciuto il loro dissenso nei confronti della scelta, per esempio, di prestare a un museo del Nevada alcuni disegni di Leonardo, un’iniziativa fortemente sostenuta da Alain Elkann, consulente di Bondi, ma osteggiata dalla direttrice della Biblioteca reale di Torino che quei disegni custodiva. Anche la decisione di commissariare l’area archeologica romana ha incontrato le perplessità di Settis, oltre che l’opposizione dura di tutti i funzionari delle soprintendenze di Roma e di Ostia e di quattromila fra professori universitari e studiosi italiani e stranieri.
Tutte queste e altre iniziative del ministero andavano nella direzione, agli occhi di Settis, di un progressivo svuotamento delle soprintendenze, per altro verso lasciate a languire, indebolite e delegittimate. Nel giro di pochi anni da quegli uffici andranno via molti funzionari che non verranno sostituiti. Già nei prossimi mesi resteranno scoperti alcuni fra i principali posti di soprintendente. È difficilissimo apporre dei vincoli di tutela e alcuni soprintendenti temono di non essere appoggiati dai vertici del ministero, anzi si sentono sempre in bilico, minacciati di trasferimento.
In questa situazione ai limiti del collasso, sono stati istituiti commissari, i cui compiti sono ancora incerti. A Pompei il commissario Renato Profili non ha fondi propri, ma attinge a quelli ordinari della Soprintendenza. A Roma, dai Fori al Palatino, dai Mercati Traianei a Ostia, non è chiaro di che cosa si occuperà Guido Bertolaso, responsabile della Protezione civile.
Ma che sia quest’ultima struttura quella che, agli occhi di chi dirige il ministero, fornisce maggiori garanzie lo prova il bando lanciato dal commissario a Pompei per assumere, anche con compiti di custode, volontari della Protezione civile.
Una ventina di giorni fa per il ministro Bondi e per il sindaco Alemanno le aree archeologiche romane versavano in una emergenza così disastrosa da esigere la nomina subitanea di due commissari straordinari "anche a fini di protezione civile": l’immancabile Guido Bertolaso e l’assessore comunale all’urbanistica Marco Corsini, vice e "attuatore" delle misure previste. Stavano crollando Fori, Domus Aurea e Palatino? No, secondo i maggiori archeologi. Grande come una domus appariva il conflitto di interessi dell’assessore Corsini che passava, oplà, da controllato a controllore delle Soprintendenze romane.
Venti giorni dopo, non v’è ancora traccia del decreto di nomina. È svaporata quella drammatica emergenza? Mistero. L’hanno sottolineato venerdì in una affollatissima riunione i tecnici delle Soprintendenze archeologiche di Roma e di Ostia. Nei ruoli ministeriali mancano ben 122 archeologi, ma nemmeno un posto di archeologo è stato messo a concorso, dal ’98, nel Centro-Sud. Si tagliano fondi e, commissariando, si possono mettere le mani nei ricchi incassi dei monumenti di Roma e Ostia (circa 20 milioni annui). Il commissariamento come pretesto per affidare a gestioni privatistiche questi beni altamente redditizi e lasciare gli altri allo Stato? È il modo migliore per svuotare le Soprintendenze abilitando il Campidoglio ad un nuovo "sacco" dell’Agro Romano e del litorale. Si comincia da Roma, poi il resto d’Italia viene da sé. La lotta in corso delle maggiori associazioni è esemplare: come opporsi alla privatizzazione della "polpa" dei beni culturali e allo smantellamento della tutela.
Ci vorrebbe un Sarkozy. Non ai Beni culturali, ma accanto e sopra: a difenderli. "In tempi duri per l'economia il governo italiano reagisce tagliando alla cultura. Il governo francese fa il contrario: già lo scorso settembre il presidente Sarkozy disse che in tempi di crisi bisogna continuare a investire in cultura". Parla Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale di Pisa, Accademico dei Lincei e presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, l'organo consultivo del ministero. La gestione museale e del patrimonio artistico, in Italia, è tema controverso per definizione. Ma in questi mesi, tra tagli di bilancio, casi di malagestione, commissariamenti, nomine bizzarre e velleitarismi del ministro Sandro Bondi, che la politica ha catapultato in un ruolo per cui forse non nacque, la frustrazione cresce. Si respira un clima di 'Kulturherbst', autunno culturale, per usare l'amara espressione di Nietzsche.
Al professor Settis 'L'espresso' ha chiesto una lettura critica.
Professore, pochi mesi fa il sottosegretario Francesco Giro chiedeva le sue dimissioni per un suo aspro intervento sul 'Sole 24 Ore', in cui parlava di un ministero "allo stato larvale". Il ministro Bondi poi prese le distanze da Giro. I rapporti sono migliorati?
"Non vorrei ritornare su quella polemica assurda: nel denunciare oltre un miliardo di euro di tagli nel triennio 2009-2011 citavo dati della 'Gazzetta Ufficiale'".
Almeno un motivo di attrito è rimasto: la discussa nomina alla valorizzazione dei Beni di Mario Resca, manager proveniente dalla Mc Donald's.
"Chiariamo bene. Non si tratta di ostilità personale, né metto in dubbio le capacità del manager. Io ho espresso il mio dissenso, presente il ministro Bondi, in una riunione del Consiglio superiore. E il ministro, mi pare, ha recepito una metà importante del discorso: non si può creare una nuova direzione generale confondendo valorizzazione e tutela. Si è così accettato di riscrivere il provvedimento, mirato alla valorizzazione del patrimonio museale. La nomina del dottor Resca non c'è ancora, perché non c'è la carica. Prima di fare il vescovo si faccia la diocesi. Confermo, e con me l'intero Consiglio, compresi membri autorevoli come Antonio Paolucci e Andrea Emiliani, che una nuova direzione siffatta va affidata a una personalità con competenze specifiche nel management culturale".
In attesa che si dissipi il giallo su 'McMario', nel 2007, ultimo dato pubblico, i visitatori nei musei italiani sono calati.
"Il dato negativo sull'affluenza è una tendenza internazionale. Sarkozy, che non è certo un comunista, ha reagito con prontezza: ampliando l'orario dei musei e le fasce di età che entrano gratis. Non è un tabù: è il modello della National Gallery e del British Museum. Lo Stato spende di più ma ne vale la pena: è un grande atto di educazione civile e di cittadinanza".
Il ministro Tremonti le dirà: impossibile, con questa crisi economica.
"Io gli chiederei se alla crisi reagirebbe chiudendo le scuole elementari. Quello che si perde è peggio di quel che si risparmia, è la mia convinzione".
I fondamentali dei Beni italiani sono imbarazzanti: età media 56 anni, numero insufficiente, troppe soprintendenze gestite da reggenti.
"I 56 anni sono primato europeo. Da cinque anni martello su questi dati, con scarsi risultati. Con Rutelli sono ripartiti concorsi per far entrare circa 400 persone; ma a fronte di oltre 7 mila pensionamenti. Le anticipo un dato inedito: con i pensionamenti previsti entro il 2009, dal prossimo 1 gennaio su 24 posti di soprintendente per i Beni archeologici solo sette persone avranno il grado per ricoprire il ruolo. È grave".
Nei nostri musei il personale addetto ai visitatori è dequalificato: assenteismo, ignoranza, sciatteria, zero inglese. E questo in una superpotenza del turismo e della bellezza, come Berlusconi racconta nei G8.
"Non mi faccia dire. Basta una gita a Chiasso, come direbbe Arbasino, per registrare paragoni deprimenti. Ma non dimentichiamo che vi sono anche professionalità alte, mortificate dalla situazione; e molti giovani bravi e motivati che restano fuori per il blocco delle assunzioni".
Dove vede le emergenze gestionali maggiori?
"Più che fare una classifica negativa, preferisco sottolineare le indicazioni date dal ministro Bondi: i tre luoghi dove intervenire subito sono Pompei, l'area archeologica di Roma e Brera a Milano. È un bene che il ministro individui delle priorità. Mi lascia interdetto, però, la strategia. Per esempio la nomina di Guido Bertolaso a commissario straordinario dell'area archeologica romana, Ostia inclusa".
Bertolaso, oltra a dirigere la Protezione civile, è commissario del G8 alla Maddalena. Un uomo già occupatissimo. Che sia un Superuomo nietzschiano?
"Non discuto il valore della persona. Ma il ricorso al commissario desta più d'una perplessità. Riflette una cultura politica emergenziale, è un segnale di sfiducia alla fascia dirigente dei Beni culturali, non dà poteri straordinari a un vero competente di archeologia".
Né le notizie migliorano sulle dismissioni dei beni minori dello Stato. Come giudica la vicenda della Patrimonio Spa?
"Operazione fondamentalmente fallita".
Perché?
"Detto che il patrimonio immobiliare dello Stato è sterminato, e ingestibile così com'è, la legge Tremonti non distingueva tra beni di alto, medio e nessun valore culturale. La reazione dell'opinione pubblica e dei media è stata vivace, anche nella maggioranza di centro-destra, e ha arginato gli effetti più negativi".
Come possono interagire cultura pubblica e apporto dei privati?
"Introdurrei criteri di valutazione sull'operato dei soprintendenti, accrescendone lo spazio di autonomia gestionale. Incentiverei l'intervento dei privati, per esempio su lasciti, prestiti e donazioni, attraverso vantaggi fiscali".
Suona anglosassone. Lei ha diretto il Getty Center a Los Angeles. Cosa possiamo imparare dagli americani?
"Diciamo così. Negli Stati Uniti ci sono tanti musei privati e ricchi. Il ruolo delle Foundations è cruciale. E il privato che dona ha vantaggi fiscali immediati e visibili: va in detrazione del reddito in un sistema contributivo molto favorevole".
A Milano si è esposta la 'Conversione di Saulo' di Caravaggio, ma solo grazie ai soldi dell'Eni, e a Palazzo Marino. A Pompei neanche riescono ad allontanare i gestori abusivi. L'Italia è lunga, ma il rapporto con i privati è complicato e non sempre chiaro.
"Qui si spalanca un mare di argomenti. Mi limito a questo: collaborare con sponsor privati è auspicabile, purché si salvaguardi il profilo, l'indipendenza culturale del museo. Sponsorizzazioni che servano davvero, e non una resa senza condizioni".
Jean Clair, il critico e curatore francese, a proposito dell'operazione Louvre negli Emirati, deplora che la Francia degradi una collezione pubblica a "mercanzia". Di più: il museo contemporaneo sta diventando "un grande magazzino", "un porto di mare", "un bordello". Esagera?
"Jean Clair parte da una concezione alta del patrimonio culturale come fondamento della cittadinanza, concezione che è nata fra Italia e Francia, fra Rivoluzione e Restaurazione. Chi ha in mente questo ha il diritto, il dovere d'indignarsi".
Oggi i musei, è ancora Clair, preferiscono l'amore di gruppo e i trasporti di massa.
"Clair non è un elitista, è autore di mostre popolarissime, come quella sulla 'Malinconia' di pochi anni fa. Non è contrario alla cultura di massa, ma alla banalizzazione della cultura, anticamera del suo annientamento".
L'articolo 9 della Costituzione dà competenza esclusiva allo Stato nella tutela dei Beni culturali e del paesaggio. In tempi di timido federalismo, è ancora valido?
"La Costituzione non è un monolite sacro. Ma nella prima parte, quella dei principi fondamentali (incluso l'art. 9), è ancora inapplicata. Applichiamola prima di pensare a cambiarla: è ancor oggi attuale e lungimirante, il miglior baluardo contro gli avventurismi. La presenza delle Regioni sul patrimonio culturale e ambientale è riconosciuta nelle modifiche al titolo V, articoli 116-118, realizzate durante l'ultimo governo Amato. Aggiungo che una serie di sentenze della Corte costituzionale, anche nel 2007-2008, danno spazio alle Regioni mantenendo allo Stato la priorità nella tutela. È chiaro che io auspico una cooperazione armonica tra istituzioni, non lotte assurde in nome di un federalismo sgangherato".
Per dar spazio allo spirito costruttivo: ci segnala un esempio positivo di museo pubblico in una grande città?
"Potrei dire il Museo Nazionale Romano, nelle sue diverse sedi, a cominciare da Palazzo Massimo. Collezioni di rilievo, attività interessanti, una nuova vivacità".
E un gioiello in una città piccola? L'Italia spesso è migliore dov'è minore.
"Vorrei citare il Museo Etrusco di Cortona. È un museo comunale, rinnovato pochi mesi fa. È esemplare per ordinamento didattico e qualità dell'allestimento, e attira un pubblico internazionale aggiungendo valore a un territorio fascinoso tra Toscana e Umbria".
La protesta continua. E contro il ventilato commissariamento — per ora solo annunciato dal governo — dell'area archeologica centrale di Roma (Colosseo, Domus Aurea, Palatino...) e del complesso di Ostia Antica, si è svolta ieri un'infuocata assemblea-conferenza stampa alla quale hanno partecipato un centinaio di addetti: funzionari delle soprintendenze coinvolte, sindacati, professionisti, associazionismo legato alla tutela (Italia Nostra e Comitato per la Bellezza, tra gli altri).
La preoccupazione, per tutti, è che dietro l'annunciato provvedimento (che dovrà essere trasformato in atto del governo e di cui per ora si ignorano i contenuti, salvo quelli di un comunicato stampa del ministero per i Beni culturali) possa celarsi il tentativo di una "privatizzazione di fatto". E nell'attesa di conoscere il provvedimento nei dettagli, gli archeologi tentano di tenere desta l'attenzione su un problema che giudicano di primaria importanza (e continua il tamtam su possibili occupazioni simboliche dei monumenti, mentre per la prossima settimana è allo studio l'ipotesi di un'assemblea all'interno del Colosseo con chiusure lampo del sito).
A sposare i dubbi degli archeologi contro l'ipotesi commissario speciale (Guido Bertolaso, con l'assessore comunale Marco Corsini vicecommissario attuatore) voluta dal ministro Sandro Bondi e dal sottosegretario Francesco Giro in accordo con Alemanno, anche settori della sinistra. Presenti ieri il deputato Walter Tocci e l'assessore regionale (Cultura) Giulia Rodano, che ha annunciato possibili ricorsi alla Corte costituzionale "se non avremo risposte chiare in merito alla presunta emergenza. Come Regione siamo contrari a un provvedimento immotivato.
Qual è l'emergenza che spinge lo Stato a commissariare se stesso? Non credo le infiltrazioni al Palatino o le cicche nei Fori".
"Prima si tagliano risorse e personale — hanno spiegato alcuni relatori — riducendo al collasso il sistema, poi si decide di commissariare tutto. Non risulta che il patrimonio archeologico si trovi in situazione di rischio conservativo tale da richiedere un intervento straordinario di Protezione civile fuori dall'ordinaria amministrazione. Basterebbe che il governo riservasse un'attenzione al settore, senza tagli a mezzi e fondi".
In serata, replica del sottosegretario Giro: "L'emergenza c'è, esiste, è visibile. È stata più volte denunciata dai cittadini, ai quali una risposta deve esser data in tempi brevi. Non ammetterlo sarebbe atto irresponsabile e immorale sotto il profilo amministrativo e politico. Sono ottimista che si possa presto concludere la procedura per l'avvio di una fase commissariale che affronti il grave stato di degrado e dissesto".
Macché stare ad impolverarsi nei nostri musei: quadri e statue devono viaggiare e ancora viaggiare o magari traslocare per un po’ di anni. Questo è il nuovo credo dei beni culturali dettato da Silvio Berlusconi. Lui vuole a Palazzo Chigi almeno quattro statue romane ora al Museo delle Terme a Roma (riallestito pochi anni or sono), due per il suo studio – che gli sembra, onestamente, spoglio – e altre due per il palazzo dove riceve. L’ha rivelato ieri dalle pagine romane il "Corriere della Sera" e, sin qui, non ci sono state smentite. A mezza bocca si lascia trapelare che quelle quattro statue sono ora chiuse nei magazzini. Per la verità, dobbiamo dire che esse sono in una sala del bel Museo delle Terme, chiusa per mancanza di fondi, come capiterà sempre più coi tagli feroci inferti alle risorse delle Soprintendenze. Quando Palazzo Chigi chiama, come si fa a dirgli di no? Sono metodi da papa-re, questi del Cavaliere. Ma papi e cardinali investivano denari di famiglia, denari loro.
Il presidente del Consiglio ha un suo motto: "ciascuno è padrone a casa sua" e, fino a prova contraria, le sedi del governo sono casa sua. Quindi anche quella della Maddalena dove si svolgerà il G8. Lì vuole i due "totem" più noti della scultura antica: i Bronzi di Riace. E c’è subito qualche illustre archeologo pronto a dire che, sì, insomma, si può fare. Nonostante la conclamata fragilità di quei due guerrieri? Nonostante. Ma non basta: per il G8 della Maddalena Berlusconi pensa in grande, vuole stupire i potenti del pianeta e quindi i suoi uffici hanno chiesto ventiquattro pezzi forti alle Soprintendenze romane ottenendo una ricca lista di possibili opzioni per quella sorta di finta parata di capolavori.
Il predecessore di Bondi al Collegio Romano, Francesco Rutelli, aveva creato per questo una commissione di esperti che, dopo alcuni mesi di lavoro, gli ha consegnato una sorta di prontuario delle cose trasportabili e di quelle che non si possono muovere. Che fine ha fatto? In questi giorni sarebbe molto utile rispolverarlo e farsene magari scudo. Non andrà così. Quando Berlusconi vuole, l’obbedienza scatta subito. Politica di potenza che, secondo l’etruscologo Mario Torelli, porta ad "una vera e propria bulimia di militarizzazioni e di commissariamenti". In testa quella delle Soprintendenze archeologiche di Roma e di Ostia. Commissario capo l’onnipresente Guido Bertolaso, che balza dai rifiuti campani alle frane calabresi, all’archeologia romana. Sostiene che lui non vuol fare l’archeologo e che già basta "l’archeologo Marchetti". Per la verità, Luciano Marchetti, direttore generale regionale del Lazio, è ingegnere e non archeologo, quindi bastava davvero lui a verificare se nei Fori romani ci sono guasti tali da esigere interventi da protezione civile. Bastavano lui e il personale delle Soprintendenze debitamente finanziati per risolvere con piena soddisfazione – come negli anni passati – i problemi sul campo. Senza consulenti esterni (che costeranno), senza "il codazzo di accademici" denunciato da Mario Torelli. Stamattina se ne parla alla Stampa Estera dalle 11 a cura di Assotecnici. I commissariamenti sono il grimaldello per esautorare le Soprintendenze la sui autonomia tecnico-scientifica dà un gran fastidio a chi vuole comandare e avere a disposizione i capolavori che gli pare. Quando, dove e come gli pare.
Il ministro Sandro Bondi ama i commissari. Ne ha mandati negli scavi di Pompei e poi a Napoli e a Roma, per agevolare la costruzione delle metropolitane, intralciate, si sente dire, dagli archeologi. Ora lo stesso ministro sostiene che l’area archeologica romana sia preda di un degrado tale da convocare al suo capezzale Guido Bertolaso, responsabile della Protezione civile. Ma loro, gli archeologi delle Soprintendenze di Roma e di Ostia, che custodiscono il più illustre patrimonio del pianeta, si ribellano. Per oggi le principali associazioni di tutela (Italia Nostra, Legambiente, Comitato per la Bellezza, Assotecnici) hanno convocato un’assemblea alla Sala stampa estera. Gli archeologi potranno andarci, ma usando l’accortezza di prendere un giorno di ferie, perché se partecipassero in rappresentanza dell’ufficio, è stato loro fatto intendere, potrebbero nascerne conseguenze. Nel frattempo, mentre altre manifestazioni si annunciano, anche clamorose, prosegue sul sito www. patrimoniosos. it la raccolta di firme contro il commissariamento, ora arrivate a quattromila, fra le quali quelle di quasi tutti i soprintendenti archeologi d’Italia, compreso Piero Guzzo di Napoli e Pompei, di illustri accademici (Fausto Zevi, Giovanni Colonna, Mario Torelli) più studiosi dalla Grecia, dall’India, dalla Lituania, dagli Stati Uniti, dalla Norvegia e dall’Argentina.
Tutti si oppongono a un provvedimento, largamente annunciato, ma che ancora non c’è, e che anzi, di fronte a un muro compatto di proteste, si dice stia vacillando. Se fosse varato come si teme, si aprirebbe un nuovo fronte nel dissestato mondo dei Beni culturali, soggetto a tagli di finanziamenti e al progressivo svuotamento delle strutture di tutela, le Soprintendenze, che annoverano ormai un personale invecchiato, mai rinnovato perché i concorsi stentano, e in balìa di norme contraddittorie, affogate in incombenze burocratiche che ne fiaccano le energie e con i capi che si alternano da un ufficio all’altro, sempre con l’incubo - i più energici - di essere trasferiti.
L’arrivo di Bertolaso quale commissario dell’archeologia romana e di un vice, Marco Corsini, assessore all’urbanistica del Campidoglio, viene vissuto come un altro fulmine dopo la designazione di Mario Resca, ex amministratore delegato di McDonald’s, a direttore generale per la valorizzazione. Un altro passo, si sente dire, verso lo svuotamento delle Soprintendenze. Il ministero, soprattutto il sottosegretario Francesco Giro, sostiene che il responsabile della Protezione civile sia la persona giusta per arginare i guai di un sito affetto da patologie drammatiche. E cita il caso del Palatino, dove frequenti sarebbero gli smottamenti a causa dell’intensificarsi delle piogge. Poco si farebbe, inoltre, per valorizzare l’area, mentre resta l’incongruenza di due Soprintendenze, una statale e una comunale, che si dividono il sito - una divisione raffigurata fisicamente in un muro che il sindaco Gianni Alemanno ha in programma di demolire il 21 aprile, giorno del Natale di Roma.
Ma, ribattono gli archeologi della Soprintendenza, non c’è bisogno di scomodare chi fronteggia inondazioni e terremoti per compiere operazioni di manutenzione e restauro. E, inoltre, se il Palatino rischia di crollare - come la stessa Soprintendenza sostiene di documentare da anni - perché commissariare anche Ostia e i Fori romani? E, si aggiunge, le migliaia di pratiche di condono ancora giacenti non sono un’emergenza? Non sono un’emergenza gli abusi edilizi nell’Appia antica? E, ancora, il commissariamento non è per caso collegato alle nuove norme introdotte con il federalismo fiscale che attribuiscono al Comune di Roma maggiori competenze sui beni culturali?
Gli archeologi romani sostengono poi che l’istituzione - anche questa solo annunciata - di un comitato scientifico che supporti il commissario «svilisca e delegittimi le professionalità presenti all’interno degli uffici». Alla guida del comitato sarebbe stato designato Andrea Carandini, archeologo di fama, che ha lavorato molto proprio sul Palatino. Ma c’è un altro elemento che allarma gli archeologi: l’idea che si intravede in molte dichiarazioni di separare siti "ad alto reddito" - il Colosseo, per esempio, l’unico bene culturale che si mantenga da sé, grazie ai milioni di biglietti staccati e alle mostre - e tutto il resto, che invece è soprattutto cure, restauri e soldi spesi senza immediati ritorni.
Del braccio di ferro fra Soprintendenze e ministero è molto preoccupato Salvatore Settis, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, che finora non è stato consultato. «Non ho visto l’ordinanza», dice il direttore della Scuola Normale, «e vorrei capire meglio: se ci si limita a sanare alcune emergenze, come il Palatino, può anche essere auspicabile un coinvolgimento della Protezione civile. Ma se il commissariamento esautorasse le due Soprintendenze, la questione sarebbe invece gravissima».
Se gli archeologi protestano, il soprintendente di Roma, Angelo Bottini, preferisce non commentare. Secondo i fautori del commissariamento, lui sarebbe favorevole all’iniziativa del ministero. Ma, alla richiesta di un commento, preferisce sottrarsi. Aggiungendo, però: «L’ordinanza ancora non c’è: se fossi contrario alle decisioni del ministero non protesterei, ma mi dimetterei».
Sull'argomento vedi anche, in eddyburg, l'articolo di Maria Pia Guermandie quelli raccolti in questa cartella
La rivolta degli archeologi "No al commissariamento"
Paolo Brogi – Corriere della Sera, ed. Roma
"Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, avuta notizia dell'annuncio da parte del Ministro Bondi della richiesta di un commissariamento straordinario del proprio Ufficio, non ritenendo plausibili le motivazioni addotte a sostegno di un provvedimento che solo un'emergenza di protezione civile potrebbe giustificare, dichiara lo stato di agitazione permanente".
Questo l'inizio del documento firmato da architetti e archeologi, un'ottantina. "La nomina di un Commissario straordinario, attualmente responsabile della Protezione Civile, di un vicecommissario attuatore (incompatibilmente assessore comunale), oltre a porre l'attività dell'Ufficio di tutela al di fuori dell'amministrazione ordinaria, ci esautora di fatto...".
Tra Stato e Comune bastava un semplice protocollo d'intesa, dicono, è evidente che gli obiettivi del commissariamento puntano a una privatizzazione strisciante.
Tra i firmatari direttori di museo (Rita Paris di Palazzo Massimo, Maria Antonietta Tomei del Museo delle Terme, Alessandra Capodiferro e Matilde De Angelis di Altemps, Mariarosa Barbera della Domus Aurea, Rossella Rea del Colosseo, Laura Vendittelli di Cripta Balbi, Marina Piranomonte delle Terme di Caracalla), gli scavatori del Suburbio (Rita Santiolini, Stefano Musco, Daniela Rossi, Paola Anzidei, Paola Filippini), gli esperti di Palatino e area centrale (Roberto Egidi, Maria Grazia Filetici, Giuseppe Morganti, Piero Meogrossi, Paola Catalano, Fedora Filippi).
A Roma 55 archeologi contro il ministro Bondi
Vittorio Emiliani – l’Unità
Da Roma ad Ostia Antica, non ci stanno ad essere "commissariati", in via straordinaria dal governo, attraverso il sottosegretario alla Protezione civile, Bertolaso, e l’assessore comunale all’urbanistica, Corsini (che, come "vice-commissario attuatore", diventerebbe il controllore di se stesso). Gli archeologi non vogliono neppure essere posti sotto tutela da consulenti tecnico-scientifici esterni (si è parlato di Andrea Carandini). In 55 hanno sottoscritto un documento in cui dicono che le nomine proposte dal ministro Bondi, dopo l’incontro col sindaco Alemanno, esautorano "di fatto il corpo degli archeologi, degli architetti e di tutto il personale tecnico-amministrativo", determinano "una sovrapposizione (o meglio uno svuotamento) di funzioni", in "gravissimo contrasto con ogni criterio di economicità" e di produttività. Da una parte si taglia, dall’altra si creano nuovi uffici. In forza di quali eccezionali emergenze?
Il protocollo d’intesa
Secondo i 55 firmatari per una "fruizione unitaria dell’area archeologica centrale di Roma", i due Fori, sarebbe bastato - tesi ampiamente condivisa - "un semplice protocollo di intesa tra gli Uffici statali e comunali". È avvenuto in altre situazioni straordinarie: per investire al meglio i fondi (90 miliardi di lire degli anni ‘80) della legge speciale Biasini, quelli per Roma Capitale e per il Giubileo 2000, gli stessi proventi del Lotto del mercoledì, "dimostrando capacità di spesa e ampiezza di risultati".
Perciò la decisione Bondi-Alemanno non convince affatto. Ci sono di mezzo, allora, "la gestione (e gli introiti), perché di questo si tratta, di Aree Archeologiche Monumentali di rilevanza mondiale" quali il Colosseo (che da solo incassa 1,5 milioni di euro l’anno), la Domus Aurea, i Fori Imperiali? Questo sembra essere il vero perno della vicenda: determinare "una spaccatura insanabile" fra una "archeologia ad alto reddito" e una invece "senza reddito" per gestire probabilmente la prima in forma privatistica (il vecchio disegno di Giuliano Urbani di privatizzare i Musei "ricchi") e lasciare la seconda in braccio allo Stato. Tutto ciò confligge tuttavia coi principii fondamentali dell’articolo 9 della Costituzione per il quale - come hanno ribadito numerose sentenze della Corte - la tutela rappresenta il valore primario, esercitato dalla Repubblica. Alcune associazioni - Assotecnici, Italia Nostra (uscita giorni fa con un documento ben argomentato di protesta), Bianchi Bandinelli, Comitato per la Bellezza, i siti Eddyburg e PatrimonioSos, Legambiente - hanno già aderito all’idea di una manifestazione nella quale illustrare le ragioni di questo "no" a provvedimenti che stravolgono le leggi vigenti, svuotando di poteri e di mezzi le già indebolite Soprintendenze, facendo entrare la politica, in modo sempre più devastante in attività tecnico-scientifiche che sono e devono rimanere pienamente autonome. La cultura è un valore "in sé", enorme, e non un affare.
Fori, la rivolta degli archeologi contro Bertolaso commissario
Carlo Alberto Bucci – La Repubblica, ed. Roma
Rivolta all’ombra del Colosseo contro il commissario Bertolaso e la nomina di una commissione scientifica esterna per l’area archeologica di Roma. Sono una cinquantina i funzionari, archeologi e architetti, che hanno proclamato lo "stato di agitazione permanente" per reagire alla decisione del ministro Bondi di commissariare la Soprintendenza speciale di Roma: "Solo un’emergenza di protezione civile - scrivono - potrebbe giustificare un tale, gravissimo provvedimento". Il 30 gennaio - giorno dell’accordo tra Stato e Comune sul nome del capo della Protezione civile - il gruppo direttivo e i lavoratori della Soprintendenza si sono riuniti in assemblea chiudendo per alcune ore alle visite i monumenti e i musei. E questo potrebbe essere lo strumento di lotta se non verrà accolto l’appello contro "il rischio cogente di distruzione di un Ufficio di tutela di grande rilevanza storica e cultura".
Da Antonello Vodret memoria storica della Domus Aurea, a Roberto Egidi autore di importanti scoperte a piazza Venezia, dalla responsabile dell’Appia Rita Paris, alla direttrice del Colosseo Rossella Rea, fino ad Alessandra Capodiferro che due settimane fa ha ritrovato la straordinaria Testa di Artemide a Testaccio: c’è tutta la squadra che dagli anni Ottanta ha riportato l’archeologia a Roma a sentirsi "esautorata della pienezza del proprio ruolo istituzionale" dalla "sovrapposizione (svuotamento) di funzioni". I firmatari approvano l’abbattimento del muro tra Fori imperiali e Foro romano ("ma sarebbe bastato un protocollo d’intesa tra uffici statali e comunali"). E, dietro "questa gravissima manovra", vedono il rischio "di un nuovo assetto gestionale: forse di diritto privatistico?"
Leggendo i giornali dei giorni passati, ho avuto la netta sensazione che Roma fosse stata colpita da un grave calamità: eppure non posso dire di avere avvertito sismi capaci di gravi distruzioni, né ho notizia di una grave inondazione delle zone basse della città, una triste realtà che per secoli ha segnato la vita di quei romani che abitavano Trastevere e il Campo Marzio, prima che venissero eretti i muraglioni del Tevere, una delle prime Grandi Opere del Regno per Roma Capitale (anche allora!) , fermamente voluta da Giuseppe Garibaldi.
Ho faticato un po’ per darmi una spiegazione del fatto che Bertolaso, sottosegretario di Stato alla Protezione Civile, ossia la persona alla quale il Governo di norma affida pezzi di territorio nazionale travolti da gravi emergenze naturali, perché provveda a salvare persone e cose e organizzi soccorsi, sia stato nominato Commissario per l’archeologia, con un simpatico codazzo di consiglieri scientifici di estrazione accademica, che, come sanno fare solo gli italiani, sono corsi in aiuto del vincitore. Mi è sembrato poi di capire che a lui e alla sua comprovata esperienza anche in fatto di situazioni fuori dal normale si intenderebbe affidare un evento, il cui solo riscontro nella storia è la caduta del Muro di Berlino: l’abbattimento del muro che separa il Foro Romano dai Fori Imperiali, il primo da sempre affidato alla tutela della Soprintendenza Archeologica di Roma, e i secondi gestiti invece dalla Soprintendenza del Comune, il tutto in vista di una circostanza epocale, l’unificazione dell’amministrazione dell’immenso patrimonio archeologico del Centro storico di Roma.
Ho celiato un po’ sul senso di ridicolo che suscita in chiunque la chiamata dell’Uomo delle Emergenze Calamitose al solo scopo di permettere che una sola persona gestisca un patrimonio, quello archeologico di Roma, diviso tra Stato ed Ente Locale in forza di una tradizione amministrativa non sempre chiara e non sempre ripartita in base a criteri logici e di efficienza, ma che per un secolo ha bene o male funzionato. I funzionari delle Soprintendenze archeologiche di Stato, di Roma e di Ostia (due sono le Soprintendenze che tutelano il patrimonio della Roma dei Cesari e del suo suburbio), hanno dichiarato di paventare dirizzoni della politica del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in senso privatistico e si sono posti in stato di agitazione. E’ difficile non condividere le preoccupazioni dei colleghi delle Soprintendenze soprattutto di fronte ad un ennesima prova della sfiducia degli organi di governo nei confronti di un servizio, quello loro, e di un’amministrazione, che proprio in questi giorni sta celebrando il centenario della prima legge di tutela con una bella e malinconica mostra al Colosseo. Ma, per quanto l’ansia di privatizzare tutto possa agitare i sonni dei ministri del governo Berlusconi (e questo sicuramente accade, come si è potuto chiaramente dedurre dal suggerimento di affidare le università a fondazioni), il principale motivo di preoccupazione di quanti sono pensosi del destino delle nostre antichità consiste non tanto nello spettro di una deriva privatistica, dal momento che sappiamo bene che al privato interessano solo quei pezzi di Stato che conviene sfruttare sul piano economico (e dei beni culturali si sa ce n’è pochini di convenienti), quanto piuttosto nel demone decisionista che rappresenta uno dei chiodi fissi del Cavaliere, come si deduce agevolmente dai suoi continui ricorsi al voto di fiducia, pur in presenza di una maggioranza parlamentare schiacciante.
Siamo di fronte ad una vera e propria bulimia di militarizzazioni e di commissariamenti da parte della destra al governo, che nel campo dei Beni Culturali e in particolare di quelli archeologici non sembra avere limiti: si è commissariato Pompei per motivi di «ordine pubblico», si è già prima ancora di Bertolaso commissariata Roma e Napoli nella persona del direttore generale del Ministero Cecchi con il compito di «coordinare i lavori delle due metropolitane», ora si torna a commissariare Roma per motivi francamente poco comprensibili. In qualche caso, come quello destinato alle metropolitane, la presenza di un commissario può avere una sua utilità, ma non sempre è così. Ad esempio, il prefetto al quale è stato affidato il commissariamento di Pompei si è già prodotto in episodi di danneggiamento del patrimonio archeologico: volendo a tutti i costi approntare un ristorante per gli scavi da allocare nel borbonico Casino delle Aquile, il commissario ha liberato in maniera spicciativa l’edificio di quanto era in esso contenuto, ivi compresi i frammenti di un soffitto dipinto romano che attendevano di essere restaurati. Com’è noto, in campo archeologico la fretta è una cattiva consigliera e quest’ansia di bonapartistico decisionismo ci preoccupa non poco.
E infatti la nomina di tutti questi commissari viene ad aggiungersi ad altri segnali poco incoraggianti, come il trasferimento al Comune di Roma di tutti i monumenti archeologici della città tentato (e non riuscito) con la solita legge finanziaria; ma come dimenticare la nomina del manager della MacDonald a Superdirigente delle Mostre, al quale anche, ohimé, veniva data la potestà di avviare la libera circolazione dei beni archeologici, sognata dagli antiquari e chiodo fisso dell’on. le Carlucci di Forza Italia, che ne ha fatto reiterati disegni di legge, per ora fortunatamente solo disegni e non leggi dello Stato. A ben veder si tratta di tentativi che delineano un progetto di svuotamento del servizio di tutela dello Stato, da affidare a pochissime persone, solo occasionalmente di formazione tecnica, magari molto ossequenti, e di dare finalmente mano libera agli antiquari e alla speculazione edilizia. Amen.
La protesta degli archeologi "Il Commissario? Occupiamo il Colosseo"
Edoardo Sassi – Corriere della Sera, ed. Roma, 7 febbraio 2009
L'ipotesi (ma è molto più di un'ipotesi) è venuta fuori ieri durante un'infuocata assemblea di addetti ai lavori convocata all'università "La Sapienza": "Siamo pronti a occupare il Colosseo ". Parola di archeologi (tutti d'accordo: funzionari di soprintendenze, studenti, associazioni di categoria, liberi professionisti...) e infuriati per il "vergognoso " progetto di commissariamento ministeriale delle soprintendenze di Roma e Ostia, recente decisione del ministro per i Beni culturali Sandro Bondi in accordo con il sindaco Gianni Alemanno.
Se e quando si farà, è ancora da decidere. Ma tutti sono consapevoli che solo un gesto di grande portata simbolica accenderebbe i riflettori su una manovra che i critici dell'operazione giudicano "vergognosa" e, di fatto, una privatizzazione strisciante. Di questo, soprattutto, si è parlato ieri all'università. Intanto sono salite a oltre duemila, e in poche ore, la firme per la petizione contro il commissariamento governativo di Colosseo, Fori, Terme ecc. sul sito www-firmiamo.it/nocommissariosoprintendenzeromaeostia (tra i firmatari, la stragrande maggioranza dei funzionari di Stato degli istituti di tutela coinvolti, oltre ad accademici, direttori di istituti scientifici, giornalisti...).
Cresce insomma di ora in ora — e dilaga — la protesta. E da ieri, a chiedere quali siano le ragioni che hanno portato a questo provvedimento straordinario (e inedito) e alla nomina del sottosegretario Guido Bertolaso a commissario (con l'assessore all'urbanistica Marco Corsini in qualità di "soggetto attuatore") sono anche la capogruppo del Pd in commissione cultura alla Camera, Manuela Ghizzoni, con la segretaria di presidenza Emilia De Biasi e i deputati Tocci e Giulietti (contrari anche il ministro ombra Cerami e l'assessore regionale alla Cultura Rodano): "Su questo commissariamento abbiamo molte perplessità — spiegano i parlamentari del Pd nell'interrogazione rivolta al ministro— si genera una confusione istituzionale, una sovrapposizione di ruoli e uno ingiustificato svuotamento delle competenze delle soprintendenze archeologiche con evidenti rischi per la tutela del patrimonio.
Inoltre con questo commissariamento il ministro sembra mostrare la sua volontà di dividere il patrimonio culturale in due livelli: uno di serie A, con beni culturali ad alto reddito (per esempio il Colosseo) e uno di serie B con beni senza reddito, causando, fra l'altro, l'abbandono al degrado di quel patrimonio archeologico, artistico e culturale diffuso, che costituisce la caratteristica storica e la risorsa fondamentale del nostro Paese e che determina un grande indotto turistico".
"Basta polemiche: non devo fare l'archeologo"
Guido Bertolaso* – Corriere della Sera, 8 febbraio 2009
Caro Direttore,
leggo tra l'incredulo e il divertito dell'intenzione degli archeologi romani di occupare il Colosseo, azione "di lotta e di governo" a difesa dell'onore e del potere delle sovrintendenze, lesi da un accordo tra il Ministro Bondi e il Sindaco Alemanno che mi hanno indicato come possibile Commissario straordinario per le aree archeologiche del Foro, dell'Appia Antica e di Ostia Antica.
Leggo che la mia nomina sarebbe il primo passo per privatizzare le aree archeologiche più note e visitate della Capitale, lasciare il resto del patrimonio ad una sovrintendenza umiliata e senza risorse, dare spazio alla creatività dei politici nella gestione del patrimonio archeologico, ben sapendo che essi non sanno che farsene della competenza e della capacità degli addetti ai lavori.
E' noto come sia restio a farmi coinvolgere e replicare in dibattiti e polemiche astratte, lo faccio solo perché si tratta del più importante quotidiano del nostro Paese che ha, anche recentemente e con una delle firme più importanti, descritto quale sia il mio stile di vita e di lavoro.
Ristabiliamo la verità: ho ricevuto una lettera del Ministro Bondi che mi indica una serie di situazioni a rischio di instabilità, di degrado irreversibile, di dissesto che possono compromettere l'area più bella e importante del mondo e ritiene necessario il ricorso alle procedure accelerate che sono proprie della Protezione Civile per definire un quadro di interventi e di priorità, procedendo, nel contempo, alla messa in sicurezza dei beni più esposti, per poi avviare ad attuazione le misure previste dal piano.
Un lavoro "normale" per la Protezione Civile, come tale per me accettabile come le decine d'altri che mi vedono Commissario - a titolo gratuito - proprio perché a capo della Protezione Civile.
Perché nessuno si è scandalizzato quando si sono fatti i lavori per il Giubileo? quando ci è stato chiesto di occuparci di Pompei? di consentire all'archeologo Marchetti di provare a recuperare la Domus Aurea? di ricostruire la Cattedrale di Noto? di contribuire al restauro del David di Donatello o dell'Ultima Cena del Vasari danneggiata dall'alluvione di Firenze?
Non ho alcuna intenzione di trasformarmi in archeologo, non rappresento il "privato", visto che faccio il funzionario dello Stato da sempre e non voglio certo cominciare adesso a sperimentare un metodo di lavoro diverso da quello della Protezione Civile, che si basa sul coinvolgimento e sulla collaborazione di tutti i soggetti responsabili di possibili situazioni di crisi, attuale o potenziale, per lavorare speditamente alla soluzione dei problemi esistenti e tornare il più in fretta possibile alla normalità.
Dove per normalità si intende la restituzione della piena responsabilità sui beni e le realtà che hanno costituito oggetto di intervento ai soggetti istituzionali legittimi. Non c'è nessun esproprio in un intervento di Protezione Civile, solo un uso del tempo molto diverso dalla condizione ordinaria e un metodo di lavoro che pr vilegia chi accetta di lavorare in squadra.
Oltre a questo, devo precisare che un altro rischio c'è, negli interventi della Protezione Civile: tutto il tempo disponibile viene dedicato prima ad una istruttoria precisa sulle cose da fare, coinvolgendo tutte le Autorità responsabili per trovare e scegliere la soluzione migliore, poi si passa alla fase decisionale e si decide e poi si fa ciò che si è deciso. Ed è quello che vorremmo fare anche in questo caso, come faremo (oltre a quanto già fatto) anche per il Tevere, in modo che lo squallido spettacolo delle buste di plastica che pendono dagli alberi, come lugubri ricordi di rischi passati e dell'incuria attuale, presto sparisca alla vista dei cittadini e dei turisti. Un lavoro di messa in sicurezza e di esaltazione del decoro antico, in modo che la tutela resti a chi ne ha la responsabilità e la protezione sia di chi la sa fare.
Se poi, alla prima verifica, scopriremo che il Ministro e il Sindaco hanno visto i segni di un' emergenza dove non c'era, basterà una normale ordinanza per tranquillizzare le Autorità e tornare alla situazione precedente. Se davvero non ci fossero rischi per le aree di cui mi scrive il Ministro Bondi il primo ad essere felice sarei io. Ma da romano, da italiano, da appassionato alle nostre bellezze ed avvilito per la nostra incapacità a fare bene le cose e ad evitare le polemiche, ho ragione di credere che qualcosa di utile vada fatto, presto e bene, anche per questa gemma importante del nostro inestimabile patrimonio culturale.
*Capo Dipartimento Protezione Civile
COMUNICATO dei FUNZIONARI ARCHEOLOGI e ARCHITETTI della SOPRINTENDENZA SPECIALE PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
Per aderire all'appello
Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, avuta notizia dell’annuncio da parte del Ministro Bondi della richiesta di un commissariamento straordinario del proprio Ufficio, ricordando il dettato costituzionale, la normativa vigente e i propri obblighi istituzionali in relazione alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma, non ritenendo plausibili le motivazioni addotte a sostegno di un tale gravissimo provvedimento, che solo un’emergenza di protezione civile potrebbe giustificare, dichiara lo stato di agitazione permanente. La nomina di un Commissario straordinario, attualmente responsabile del dipartimento della Protezione Civile, di un vicecommissario attuatore (incompatibilmente Assessore del Comune di Roma) e di consulenti tecnico-scientifici esterni, oltre a porre l’attività dell’Ufficio di tutela al di fuori dell’amministrazione ordinaria, esautora di fatto il corpo degli Archeologi, degli Architetti e di tutto il personale tecnico-amministrativo, della pienezza del proprio ruolo istituzionale determinando una sovrapposizione (o forse meglio uno svuotamento) di funzioni in evidente gravissimo contrasto con ogni criterio di economicità e di controllo della Pubblica Amministrazione, oltre che di quella valorizzazione della sua produttività tanto proclamata dal Governo e in particolare dal Ministro della Funzione Pubblica.
E’ evidente che gli obiettivi sono altri da quelli dichiarati a mezzo stampa di creare una fruizione unitaria dell’Area Archeologica Centrale di Roma, per la quale sarebbe bastato un semplice protocollo d’intesa tra Uffici statali e comunali, ratificato dagli organi di controllo amministrativi per le parti economiche di riscossione dei biglietti d’ingresso, così come per quanto riguarda la necessità di realizzare opere urgenti finalizzate al 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, considerato che è ben noto a tutti come la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, con impegno costante e competenza tecnico-scientifica abbia saputo rispondere positivamente ad altri impegnativi appuntamenti straordinari come quelli della Legge Biasini, della legge per Roma Capitale, del Giubileo 2000, del Piano Nazionale per l’Archeologia e dei fondi del Gioco del Lotto, dimostrando capacità di spesa e ampiezza di risultati.
Questa manovra gravissima si lega invece al confronto politico – la cui asprezza è nota a tutti - sul conferimento di poteri a Roma Capitale in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio storico artistico, ed in particolare archeologico. La gestione (e gli introiti), perché di questo si tratta, di Aree Archeologiche Monumentali di rilevanza mondiale, quali sono il Colosseo, la Domus Aurea, i Fori Imperiali, costituiscono il vero perno di questa vicenda, che prelude ad un nuovo assetto gestionale, forse di diritto privatistico?
Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma denuncia con forza – e fa appello ad ogni Cittadino, Rappresentante istituzionale, parlamentare e politico, ad ogni giurista e costituzionalista, ad ogni Istituto di ricerca nazionale e internazionale, ad ogni Associazione che vorrà condividere tale opinione - il rischio cogente della distruzione di un Ufficio di tutela di grande rilevanza storica e culturale, con una spaccatura insanabile per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma, attraverso la determinazione sul territorio urbano di un’"Archeologia ad alto reddito" e un’ "Archeologia senza reddito", contro i principi fondamentali della Repubblica, garantiti dall’Art. 9 della Costituzione, per i quali il valore della tutela del patrimonio culturale è sovraordinato ad ogni altro interesse, anche economico.
Anna Paola Anzidei
Ines Arletti
Luigia Attilia
Giovanna Bandini
Mariarosaria Barbera
Maria Bartoli
Calogero Bennici
Marina Bertinetti
Silvia Borghini
Anna Buccellato
Antonio Federico Caiola
Daniela Candilio
Alessandra Capodiferro
Francesco Capuani
Paola Catalano
Fiorenzo Catalli
Tiziana Ceccarini
Laura Cianfriglia
Antonella Cirillo
Olimpia Colacicchi
Matilde De Angelis d’Ossat
Anna De Santis
Roberto Egidi
Maria Grazia Filetici
Fedora Filippi
Paola Filippini
Rosanna Friggeri
Carmelo La Micela
Maria Gloria Leonetti
Marina Magnani Cianetti
Piero Meogrossi
Giuseppe Morganti
Simona Morretta
Stefano Musco
Patrizia Paoloni
Elio Paparatti
Debora Papetti
Rita Paris
Marina Piranomonte
Fulvia Polinari
Paola Quaranta
Rossella Rea
Giacomo Restante
Cristina Robotti
Miria Roghi
Daniela Rossi
Rita Santolini
Renato Sebastiani
Mirella Serlorenzi
Francesco Spicaglia
Miriam Taviani
Antonella Tomasello
Maria Antonietta Tomei
Laura Vendittelli
Luigi Vergantini
Antonello Vodret
Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia
COMUNICATO DEL 4.02.2009
Il personale della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia Antica si riconosce e fa proprio il comunicato della Soprintendenza Archeologica di Roma, in merito al previsto commissariamento di ambedue gli uffici.
Identico futuro si delinea, infatti, anche per l’area archeologica di Ostia Antica che, secondo il comunicato del 30.1.09 del Ministro Bondi, verrà ricompresa nella specifica ordinanza che prevederà "poteri straordinari, anche di protezione civile ……… attraverso la nomina del Sottosegretario di Stato Guido Bertolaso quale Commissario straordinario e dell’Assessore del Comune di Roma alle Politiche della Programmazione e Pianificazione del Territorio Marco Corsini quale soggetto attuatore".
Nel concordare con l’analisi fatta dai colleghi della Soprintendenza Archeologica di Roma è d’obbligo sottolineare che l’area archeologica di Ostia Antica, come può constatare qualsiasi visitatore, non si trova in situazioni oggettive di degrado e di emergenza tali da giustificare il ricorso a poteri straordinari (anche di protezione civile), né su di essa esiste una problematica sovrapposizione di competenze tra Stato ed Enti Locali che, sempre secondo il comunicato del Ministro Bondi, verrà "risolta" con l’istituzione del tavolo tecnico insediato il 30.1.2009 deputato ad individuare un "comune indirizzo di tutela, valorizzazione e promozione".
Il preannunciato provvedimento, che, giova ricordarlo, ha per oggetto le aree archeologiche più prestigiose e considerate a più alto "reddito" della nostra regione, mortifica, inoltre, la professionalità di tutto il personale di Ostia (dai tecnici, agli amministrativi, agli addetti alla vigilanza) e svuota, di fatto, di contenuti l’attività della Soprintendenza impegnata da sempre sui due aspetti fondamentali ed inscindibili del proprio lavoro: la tutela dei beni e la valorizzazione della aree archeologiche e dei monumenti di competenza.
Ci uniamo, dunque, all’appello dei colleghi della Soprintendenza Archeologica di Roma affinché chi condivide le nostre opinioni, dal singolo cittadino sino ai rappresentanti istituzionali, faccia sentire la propria voce a difesa del patrimonio comune.
Adriani Marina
Amato Luigi
Arciprete Giovanna
Bacarella Pietro
Barraco Ersilia
Bedello Margherita
Biondi Claudio
Buttacavoli Calogero
Casu Mirella
Cerquetti Viviana
Colaianni Nunzia
Conticello Giuseppina
Costabile Maurizia
Cucinotta Giuseppina
Da Roit Paolo
D’Aleo Maria
Di Casimirri Ileana
Di Giacomo Adriana
Fabi Giuliana
Falchi Stefania
Genovese Anna
Germoni Paola
Giampaolo Stefania
Giovannangeli Franco
Gramegna Maria Teresa
Marzi Marco
Masciangioli Patrizia
Melis Susanna
Morelli Marco
Morelli Cinzia
Notaro Roberta
Orlando Adriana
Pandolfi Sabrina
Paroli Lidia
Pecoroni Giancarlo
Pellegrino Angelo
Pietrini Stefania
Ponzo Orlando
Prestopino Alfredo
Renda Ida
Rinaldi Marta
Roglia Paola
Romanelli Franchino
Rossigno Grazia
Rossigno Laura
Segantini Giorgio
Seno Manuela
Sgreccia Fabiola
Spanu Mario
Stanco Lucia
Stani Stefano
Stronati Giuseppe
Tartabini Giancarlo
Tomei Patrizia
Tortora Franca
Virzì Margherita
La responsabilità di garantire la migliore conservazione al patrimonio archeologico di Roma comporta iniziative coraggiose, ma anche valutazioni ponderate e consapevolezza dell’attenzione internazionale. È un segnale positivo che si torni finalmente a considerare, come si apprende dai comunicati ministeriali, la necessità di promuovere a favore delle antichità di Roma provvedimenti straordinari per fare fronte alle esigenze di protezione, studio e valorizzazione.
Erano anni che il governo non assumeva iniziative adeguate a tal fine. Del tutto incomprensibile, se l’obiettivo è veramente quello di potenziare e proteggere i beni archeologici, risulta tuttavia la preposizione di un commissario alla gestione della Soprintendenza archeologica di Roma, mentre sarebbe più ragionevole un atto inteso a ripristinare in pieno la sua autonomia amministrativa.
Desta poi perplessità l’intento di porre quell’ufficio in subordine, per le valutazioni di ordine archeologico, a un comitato esterno, il quale lo priverebbe dell’autonomia scientifica attribuitagli per legge; nel contempo verrebbero così del tutto sviliti i già trascurati organi consultivi del Ministero, a cominciare dal Consiglio nazionale dei beni culturali.
Un commissariamento, ossia l’esautoramento dei poteri istituzionali, presuppone da una parte l’esistenza di situazioni di gravissima emergenza, le quali possano giustificare l’inosservanza di regole e procedure ordinarie, dall’altra una struttura insanabilmente inadeguata ai compiti.
Non esistono a Roma né le une né le altre condizioni, sia perché le emergenze segnalate sono fittizie, e vi sono semmai segni di ordinario fabbisogno insoddisfatto in conseguenza di annose inadempienze ministeriali, sia perché la Soprintendenza di Roma è notoriamente quella di gran lunga più efficiente d’Italia, il cui prestigio, riconosciuto a livello internazionale, è comprovato dalla sua storia e dalla sua produzione scientifica, non seconda a quella di alcun dipartimento universitario.
Non vi è neanche l’asserita necessità di trovare per le antichità di Roma nuove fonti di finanziamento, perché la Soprintendenza sarebbe ampiamente autosufficiente se non venisse privata da parte del Ministero di buona quota dei suoi introiti, che ammontano a circa 30 milioni di euro annui.
D’altra parte quell’ufficio ha dimostrato più volte di essere all’altezza di progettare e di eseguire gradualmente, ma su un vastissimo fronte, opere di grande entità con impegni di spesa giudiziosamente contenuti e diluiti nel tempo, come è richiesto dalla natura dei lavori sui beni culturali.
Ricordo qui la legge ottenuta nel 1971 dal soprintendente Carettoni, con la quale fu erogato un finanziamento complessivo di 5 miliardi di lire per cinque anni; rivalutati ad oggi corrispondono a circa 79,5 miliardi, pari a 41 milioni di euro. Ricordo soprattutto la legge speciale per il patrimonio archeologico di Roma del 1981, promossa dalla soprintendenza sotto la mia conduzione per fare fronte alla reale emergenza costituita dal decadimento dei grandi monumenti marmorei. Le superfici scolpite andavano infatti in rapido disfacimento sotto l’aggressione dell’inquinamento atmosferico. La legge, approvata all’unanimità dal Parlamento su proposta del ministro Biasini, attribuì un finanziamento per gli anni 1982-1986 di 180 miliardi, e fu rifinanziata per il 1987 con altri 50 miliardi; l’importo complessivo di 230 miliardi rivalutato ad oggi corrisponde a 790 miliardi di lire, pari a circa 408 milioni di euro. La sua attuazione richiese oltre un decennio e anche se le opere previste erano state dichiarate per legge necessarie e urgenti, la spesa fu eseguita adottando le ordinarie procedure di appalto.
Il fabbisogno economico di oggi non è ai livelli del 1981, perché da allora molti problemi sono stati risolti, a cominciare dalle nuove sedi del Museo Nazionale Romano acquistate e ristrutturate, fino ai grandi restauri e alle acquisizioni di monumenti. I proventi attuali della Soprintendenza corrispondono a circa la metà della dotazione annua rivalutata della legge Biasini.
Le condizioni dell’ufficio sono oggi migliori che in passato.
Il personale è più che sufficiente e qualificato per affrontare compiti delicati e gravosi. Sarebbe solamente necessario sanare due disfunzioni: la prima consiste nel mancato riconoscimento a molti dipendenti della qualifica corrispondente alle mansioni che di fatto essi svolgono; la seconda deriva dalla sottoutilizzazione di numerosi altri dipendenti che non vengono impiegati secondo le effettive capacità tecniche o amministrative perché destinati ad espletare funzioni di vigilanza.
L’inadeguata dotazione di personale da adibire al controllo di monumenti e musei è infatti il vero punto dolente del ministero, comprensibilmente afflitto da un fabbisogno che potrebbe dilatarsi a dismisura. Questa preoccupazione appare tuttavia ingiustificata, e direi anche miope, nei confronti di beni che hanno valore strategico per l’economia nazionale, con un rendimento immensamente superiore agli oneri che esso comporta, come è nel caso di Roma. Il riordinamento degli organici e la riqualificazione dei compiti per il personale addetto al funzionamento e alla protezione delle antichità e delle opere d´arte, potrebbero essere iniziative meritevoli e facilmente realizzabili.
COMUNICATO dei FUNZIONARI ARCHEOLOGI e ARCHITETTI della SOPRINTENDENZA SPECIALE PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, avuta notizia dell’annuncio da parte del Ministro Bondi della richiesta di un commissariamento straordinario del proprio Ufficio, ricordando il dettato costituzionale, la normativa vigente e i propri obblighi istituzionali in relazione alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma, non ritenendo plausibili le motivazioni addotte a sostegno di un tale gravissimo provvedimento, che solo un’ emergenza di protezione civile potrebbe giustificare, dichiara lo stato di agitazione permanente.
La nomina di un Commissario straordinario, attualmente responsabile del dipartimento della Protezione Civile, di un vicecommissario attuatore (incompatibilmente Assessore del Comune di Roma) e di consulenti tecnico-scientifici esterni, oltre a porre l’attività dell’Ufficio di tutela al di fuori dell’amministrazione ordinaria, esautora di fatto il corpo degli Archeologi, degli Architetti e di tutto il personale tecnico-amministrativo, della pienezza del proprio ruolo istituzionale determinando una sovrapposizione (o forse meglio uno svuotamento) di funzioni in evidente gravissimo contrasto con ogni criterio di economicità e di controllo della Pubblica Amministrazione, oltre che di quella valorizzazione della sua produttività tanto proclamata dal Governo e in particolare dal Ministro della Funzione Pubblica.
E’ evidente che gli obiettivi sono altri da quelli dichiarati a mezzo stampa di creare una fruizione unitaria dell’Area Archeologica Centrale di Roma, per la quale sarebbe bastato un semplice protocollo d’intesa tra Uffici statali e comunali, ratificato dagli organi di controllo amministrativi per le parti economiche di riscossione dei biglietti d’ingresso, così come per quanto riguarda la necessità di realizzare opere urgenti finalizzate al 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, considerato che è ben noto a tutti come la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, con impegno costante e competenza tecnico-scientifica abbia saputo rispondere positivamente ad altri impegnativi appuntamenti straordinari come quelli della Legge Biasini, della legge per Roma Capitale, del Giubileo 2000, del Piano Nazionale per l’Archeologia e dei fondi del Gioco del Lotto, dimostrando capacità di spesa e ampiezza di risultati.
Questa manovra gravissima si lega invece al confronto politico – la cui asprezza è nota a tutti - sul conferimento di poteri a Roma Capitale in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio storico artistico, ed in particolare archeologico. La gestione (e gli introiti), perché di questo si tratta, di Aree Archeologiche Monumentali di rilevanza mondiale, quali sono il Colosseo, la Domus Aurea, i Fori Imperiali, costituiscono il vero perno di questa vicenda, che prelude ad un nuovo assetto gestionale, forse di diritto privatistico ?
Il corpo tecnico-scientifico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma denuncia con forza – e fa appello ad ogni Cittadino, Rappresentante istituzionale, parlamentare e politico, ad ogni giurista e costituzionalista, ad ogni Istituto di ricerca nazionale e internazionale, ad ogni Associazione che vorrà condividere tale opinione - il rischio cogente della distruzione di un Ufficio di tutela di grande rilevanza storica e culturale, con una spaccatura insanabile per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma, attraverso la determinazione sul territorio urbano di un’"Archeologia ad alto reddito" e un’ "Archeologia senza reddito", contro i principi fondamentali della Repubblica, garantiti dall’Art. 9 della Costituzione, per i quali il valore della tutela del patrimonio culturale è sovraordinato ad ogni altro interesse, anche economico.
Anna Paola Anzidei
Ines Arletti
Luigia Attilia
Giovanna Bandini
Mariarosaria Barbera
Maria Bartoli
Calogero Bennici
Marina Bertinetti
Silvia Borghini
Anna Buccellato
Antonio Federico Caiola
Daniela Candilio
Alessandra Capodiferro
Francesco Capuani
Paola Catalano
Fiorenzo Catalli
Tiziana Ceccarini
Laura Cianfriglia
Antonella Cirillo
Olimpia Colacicchi
Matilde De Angelis d’Ossat
Roberto Egidi
Maria Grazia Filetici
Fedora Filippi
Paola Filippini
Rosanna Friggeri
Carmelo La Micela
Maria Gloria Leonetti
Marina Magnani Cianetti
Piero Meogrossi
Giuseppe Morganti
Simona Morretta
Stefano Musco
Patrizia Paoloni
Elio Paparatti
Debora Papetti
Rita Paris
Marina Piranomonte
Fulvia Polinari
Paola Quaranta
Rossella Rea
Giacomo Restante
Cristina Robotti
Miria Roghi
Daniela Rossi
Rita Santolini
Renato Sebastiani
Mirella Serlorenzi
Francesco Spicaglia
Miriam Taviani
Antonella Tomasello
Maria Antonietta Tomei
Laura Vendittelli
Luigi Vergantini
Antonello Vodret
l’Unità
E ora Bertolaso farà anche l’archeologo?
di Vittorio Emiliani
Campidoglio e Collegio Romano hanno confezionato ieri un altro “pasticciaccio brutto”, un colpo di mano dei più clamorosi, stavolta in tema di archeologia romana. Il ministro Bondi e il sindaco Alemanno hanno concordato di proporre al governo la nomina di un commissario straordinario e di un vice-commissario, pure straordinario ma “attuatore” (entrambi con poteri che vanno quindi al di là delle leggi vigenti), per “l’intera area archeologica di Roma e di Ostia antica” nelle persone del sottosegretario alla Protezione civile, Guido Bertolaso, e dell’assessore capitolino alla pianificazione Marco Corsini. E la Regione Lazio (assessore alla Cultura, Rodano)? Dimenticata. E la direzione generale regionale dei BCA (Marchetti)? Svuotata, assieme alle Soprintendenze statali ai Beni archeologici di Roma (Bottini) e di Ostia Antica (Moretti) e a quella Capitolina (Broccoli). Spunta invece un superconsulente nella persona dell’archeologo Andrea Carandini che ambisce ad un Museo dell’antichità romana (ma non c’è già Roma?). Ed è sempre in agguato l’ombra di Cutrufo coi centurioni, le bighe e il parco tematico sulla romanità.
Quali i motivi di questo clamoroso commissariamento? Forse un dissesto idrogeologico stile Calabria? Neanche per sogno. Fra l’altro il comunicato ufficiale parla di poteri straordinari “anche” di protezione civile. “Anche”, attenzione. Ci sono stati alcuni cedimenti sul Palatino, ma basterebbe finanziare seriamente la Soprintendenza. Siamo ad una emergenza tale da scomodare Bertolaso? Non scherziamo. Si sa che le piogge eccezionali hanno prodotto infiltrazioni d’acqua nella Domus Aurea, ma è arcinoto che, fino a quando non si taglieranno i pini del parco soprastante che con le loro radici portano in basso acqua e umidità, il problema non verrà risolto. Nominiamo per questo Bertolaso? Ma per favore. Se esistono problemi di sicurezza per i Fori e per i loro monumenti durante la notte, ci mandiamo di pattuglia il capo della polizia Manganelli? Con questa logica diventa possibile. Ci sono problemi di custodi? Problemi non mancano mai, però, forse, ad affrontarli basta il sottosegretario Giro, mentre il ministro Bondi scrive poesie e recensioni.
Non stiamo a prenderci in giro (nella lingua del Belli sarei più drastico), siamo vecchi del mestiere: si crea il solito tavolone di lavoro, tecnico e affollatissimo, lo si riunisce una volta, e intanto supercommissario e vice fanno quello che vogliono coi loro poteri straordinari. Non a caso ci hanno messo due figure di nomina strettamente politica - un sottosegretario e un assessore comunale – il secondo chiaramente incompatibile, tagliando fuori, di fatto, i tecnici delle Soprintendenze e i loro uffici ai quali per ora spetta, in toto, la tutela. Non solo: il patto di ieri passa fra governo centrale e Comune di Roma lasciando seccamente fuori la Regione Lazio infischiandosene del Codice per i beni culturali e paesaggistici e del Titolo V della Costituzione. Regolarmente approvati e vigenti entrambi, mentre il disegno di legge sul federalismo fiscale che contiene le norme (pasticciate) per il futuro Ente Roma Capitale è, per ora, passato, a fatica, in prima lettura al Senato, e ne ha un bel po’ di strada da fare. Ma il sindaco Alemanno vuole mano libera e con lui il vice-sindaco Cutrufo. Per “valorizzare Roma”, per “rendere riconoscibili i luoghi” (i turisti, si sa, dentro i Fori si perdono, a migliaia, e lì vagano smarriti per mesi). Magari con una spettacolare illuminazione per il prossimo Natale di Roma. Nel contempo vogliono organizzare all’EUR un fragoroso circuito di Formula 1 così i residenti imparano a convivere con l’urlo dei bolidi e l’immagine futuristica di Roma trionfa nel mondo, in competizione con Shangai e Montecarlo, regni dei grattacieli e del cemento. Ma dove siamo precipitati in pochi mesi? In quale abisso sottoculturale? Intellettuali romani e italiani, battete un colpo se ci siete. Opposizione, svegliati.
Campidoglio e Collegio Romano hanno confezionato ieri un altro “pasticciaccio brutto”, un colpo di mano dei più clamorosi, stavolta in tema di archeologia romana. Il ministro Bondi e il sindaco Alemanno hanno concordato di proporre al governo la nomina di un commissario straordinario e di un vice-commissario, pure straordinario ma “attuatore” (entrambi con poteri che vanno quindi al di là delle leggi vigenti), per “l’intera area archeologica di Roma e di Ostia antica” nelle persone del sottosegretario alla Protezione civile, Guido Bertolaso, e dell’assessore capitolino alla pianificazione Marco Corsini. E la Regione Lazio (assessore alla Cultura, Rodano)? Dimenticata. E la direzione generale regionale dei BCA (Marchetti)? Svuotata, assieme alle Soprintendenze statali ai Beni archeologici di Roma (Bottini) e di Ostia Antica (Moretti) e a quella Capitolina (Broccoli). Spunta invece un superconsulente nella persona dell’archeologo Andrea Carandini che ambisce ad un Museo dell’antichità romana (ma non c’è già Roma?). Ed è sempre in agguato l’ombra di Cutrufo coi centurioni, le bighe e il parco tematico sulla romanità.
Quali i motivi di questo clamoroso commissariamento? Forse un dissesto idrogeologico stile Calabria? Neanche per sogno. Fra l’altro il comunicato ufficiale parla di poteri straordinari “anche” di protezione civile. “Anche”, attenzione. Ci sono stati alcuni cedimenti sul Palatino, ma basterebbe finanziare seriamente la Soprintendenza. Siamo ad una emergenza tale da scomodare Bertolaso? Non scherziamo. Si sa che le piogge eccezionali hanno prodotto infiltrazioni d’acqua nella Domus Aurea, ma è arcinoto che, fino a quando non si taglieranno i pini del parco soprastante che con le loro radici portano in basso acqua e umidità, il problema non verrà risolto. Nominiamo per questo Bertolaso? Ma per favore. Se esistono problemi di sicurezza per i Fori e per i loro monumenti durante la notte, ci mandiamo di pattuglia il capo della polizia Manganelli? Con questa logica diventa possibile. Ci sono problemi di custodi? Problemi non mancano mai, però, forse, ad affrontarli basta il sottosegretario Giro, mentre il ministro Bondi scrive poesie e recensioni.
Non stiamo a prenderci in giro (nella lingua del Belli sarei più drastico), siamo vecchi del mestiere: si crea il solito tavolone di lavoro, tecnico e affollatissimo, lo si riunisce una volta, e intanto supercommissario e vice fanno quello che vogliono coi loro poteri straordinari. Non a caso ci hanno messo due figure di nomina strettamente politica - un sottosegretario e un assessore comunale – il secondo chiaramente incompatibile, tagliando fuori, di fatto, i tecnici delle Soprintendenze e i loro uffici ai quali per ora spetta, in toto, la tutela. Non solo: il patto di ieri passa fra governo centrale e Comune di Roma lasciando seccamente fuori la Regione Lazio infischiandosene del Codice per i beni culturali e paesaggistici e del Titolo V della Costituzione. Regolarmente approvati e vigenti entrambi, mentre il disegno di legge sul federalismo fiscale che contiene le norme (pasticciate) per il futuro Ente Roma Capitale è, per ora, passato, a fatica, in prima lettura al Senato, e ne ha un bel po’ di strada da fare. Ma il sindaco Alemanno vuole mano libera e con lui il vice-sindaco Cutrufo. Per “valorizzare Roma”, per “rendere riconoscibili i luoghi” (i turisti, si sa, dentro i Fori si perdono, a migliaia, e lì vagano smarriti per mesi). Magari con una spettacolare illuminazione per il prossimo Natale di Roma. Nel contempo vogliono organizzare all’EUR un fragoroso circuito di Formula 1 così i residenti imparano a convivere con l’urlo dei bolidi e l’immagine futuristica di Roma trionfa nel mondo, in competizione con Shangai e Montecarlo, regni dei grattacieli e del cemento. Ma dove siamo precipitati in pochi mesi? In quale abisso sottoculturale? Intellettuali romani e italiani, battete un colpo se ci siete. Opposizione, svegliati.
la Repubblica
Archeologia a Roma. Il ministro Bondi manda i commissari
di Francesco Erbani
Dopo Pompei anche Roma avrà il suo commissario. Il ministro per i Beni culturali Sandro Bondi, d´accordo con il sindaco Gianni Alemanno, proporrà al governo di nominare Guido Bertolaso, capo della protezione civile, e l´assessore all´urbanistica del Comune di Roma, Marco Corsini, commissario e vicecommissario per l´area archeologica non solo di Roma, ma anche di Ostia. Bertolaso e Corsini, si legge in una nota, avranno «poteri straordinari, anche di protezione civile».
Quali siano nel dettaglio i poteri ancora non si capisce. Ma qualcuno legge questa vicenda insieme alle norme per Roma capitale contenute nel provvedimento sul federalismo fiscale, che potrebbero trasferire alla capitale competenze sul patrimonio storico-artistico che ora sono dello Stato. Il sindaco di Roma spinge strenuamente in questa direzione. La nomina di Corsini come vice di Bertolaso pone anche un problema di compatibilità visto che molti provvedimenti dell´assessorato all´urbanistica sono sottoposti al controllo della Soprintendenza archeologica di Roma.
Per il sottosegretario Francesco Giro si tratta di «una svolta epocale», perché consentirà di abbattere «il muro fra Governo centrale e Comune di Roma che spaccava in due anche materialmente l´area archeologica centrale». Ma anche questa esigenza, da molti condivisa, non spiega il perché sia stato investito il capo della protezione civile, quasi che l´area archeologica romana fosse abbandonata a una gravissima incuria che sfiora lo stato di calamità. A meno che l´obiettivo vero non sia di poter operare rapidamente e in deroga a tutte le leggi, cosa che è consentita alla protezione civile. Al nuovo commissario, aggiunge Giro, sarà affiancato un comitato scientifico guidato dall´archeologo Andrea Carandini.
La Repubblica, ed. Roma
Fori, Bertolaso supercommissario.
Braccio di ferro Comune-Governo
di Carlo Alberto Bucci
Un medico e un avvocato per curare l’intero patrimonio archeologico di Roma: il parco dei Fori, ovviamente, ma anche l’area di Ostia antica e quella dell’Appia. Sarà il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, affiancato dall’assessore all´Urbanistica Marco Corsini, a occuparsi della valorizzazione di tutti i monumenti e i resti di epoca romana rinvenuti nella capitale e dintorni. Mettendo così fine a quello spezzatino di competenze, comunale e statale, spesso sovrapposte e in conflitto fra loro. «Il primo segno di questa nuova era», spiega il responsabile della Cultura Umberto Croppi, «sarà visibile il 21 aprile, Natale di Roma, quando verrà abbattuto il muro che ancora divide la parte di Foro di pertinenza comunale da quella statale».
La decisione è arrivata ieri, al termine della prima riunione del tavolo tecnico Città-Stato presieduto dal sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro. È stato il ministero a rendere noto, in un comunicato, l’intenzione del ministro Bondi di proporre al premier, d’intesa con il sindaco Alemanno, «una specifica ordinanza che preveda poteri straordinari, anche di protezione civile, per risolvere le problematiche dell’intera area archeologica di Roma e di Ostia Antica» attraverso la nomina di Bertolaso «quale commissario straordinario» e di Corsini «quale soggetto attuatore». Un ticket che in realtà nasconderebbe l’ennesimo conflitto tra il governo centrale e quello locale: con Alemanno che, contrario all’ipotesi Bertolaso con cui nei giorni dell’emergenza maltempo ebbe più di uno scontro, avrebbe voluto al vertice un suo uomo, l’assessore Corsini; e il sottosegretario Giro che sin dal sopralluogo compiuto ai Fori il 30 dicembre aveva caldeggiato «una legge speciale per l’area archeologica centrale» e «il coinvolgimento di Bertolaso». Esattamente quel che è avvenuto ieri, grazie anche alla mediazione di Gianni Letta.
Si tratta dunque di uno schiaffo al sindaco Alemanno? «Volevo l’eccellenza e ho avuto l’eccellenza» glissa con eleganza Giro: «Uniamo al carisma di Bertolaso la grande competenza di Corsini che, quand’era assessore a Venezia, ha fatto risorgere la Fenice ed è un avvocato dello Stato esperto in appalti pubblici. Sarà un subcommissario con altrettanti poteri. Capace anche di governare la contabilità speciale dell’ufficio, dove confluiranno i fondi della soprintendenza archeologica, della Arcus spa e delle Fondazioni bancarie». È trionfante il sottosegretario ai Beni culturali: «Da oggi lavoreremo insieme, in modo condiviso e unitario, per rilanciare la zona archeologica più celebre del pianeta». Protesta però l’assessore regionale alla Cultura del Lazio: «La Regione, che deve esprimere un parere vincolante, non è stata consultata». E mugugni per lo scippo subìto giungono pure dalla soprintendenza, che tuttavia «resterà nella pienezza dei suoi poteri» rassicura Corsini: «La tutela continuerà a essere esercitata da Bottini». Detto questo, «si tratta di un’impresa storica», conclude l’assessore: «Perciò il governo ha previsto una dotazione all’altezza della missione: mettere fine a decenni di degrado e abbandono di un tesoro che non appartiene solo a Roma ma al mondo intero».
Italia Nostra
Comunicato sul Commissariamento
della Soprintendenza Archeologica
Il comunicato del MiBAC in data 30 gennaio con cui si rende pubblica la decisione del Ministro Bondi, in accordo con il Sindaco Alemanno, di proporre la nomina di Guido Bertolaso, capo della protezione civile, e dell’assessore all’urbanistica del Comune di Roma, Marco Corsini, quali commissario straordinario e vicecommissario (“soggetto attuatore”) per le aree archeologiche di Roma e di Ostia Antica, suscita in Italia Nostra più di un motivo di preoccupazione se non di sconcerto.
In attesa di conoscere nel dettaglio i poteri attribuiti ai commissari, si rileva come prosegua, da parte del Ministero, la pratica dei commissariamenti dei propri organi di tutela sul territorio, le Soprintendenze, così come già accaduto per Pompei, con risultati di modestissimo impatto rispetto alle dichiarate finalità, così come rilevato concordemente dagli organi di stampa e dagli studiosi nazionali e internazionali.
Poiché, ancor più che per il sito campano, le ragioni di “protezione civile” addotte per il provvedimento per le aree archeologiche di Roma e Ostia appaiono del tutto inconsistenti, trova spazio il sospetto che l’obiettivo principale di una simile decisione sia da annettere alla facoltà, spesso connessa al ruolo dei commissari, di deroga rispetto alle normative correnti, a partire da quella sui Lavori Pubblici e quindi, in buona sostanza, la facoltà di agire da stazione appaltante con corsie “privilegiate” rispetto alle regole vigenti.
Italia Nostra, oltre a respingere queste modalità tese a creare situazioni di emergenza fittizie allo scopo di operare in assenza di vincoli e controlli, sottolinea la gravità della decisione ministeriale che di fatto viene ad esautorare i propri organi territoriali, le Soprintendenze, ponendole “sotto tutela” di figure peraltro completamente prive di ogni seppur minima competenza nell’ambito del patrimonio archeologico, della sua tutela e della sua gestione, a tal punto che lo stesso Ministero ha ritenuto necessario, contestualmente, affiancar loro un Comitato scientifico, ancora una volta esterno alla Soprintendenza che, quindi, viene di fatto completamente delegittimata anche sotto il profilo culturale.
A queste considerazioni si aggiunge il fatto che il “soggetto attuatore” o vicecommissario Marco Corsini è contestualmente Assessore del Comune di Roma, e dunque il provvedimento, accogliendo la rivendicazione del sindaco Alemanno, in pratica trasferisce alla amministrazione della capitale i compiti di tutela archeologica, perciò municipalizzata. Per altro Corsini è assessore all’Urbanistica, in questo ruolo chiamato quotidianamente ad assumere provvedimenti sui quali la Soprintendenza archeologica ha l’obbligo di esercitare controlli ed esprimere pareri: sovrapposizione questa, che rende assolutamente incompatibile, sotto il profilo di opportunità istituzionale, l’esercizio contestuale della doppia funzione.
La stessa estensione del provvedimento, oltre che all’area capitolina, a quella di Ostia Antica, rende più che opportuno necessario, anche da un punto di vista territoriale, il coinvolgimento di organi istituzionali di area vasta quali Regione e Provincia; a meno che l’ampliamento al sito costiero non stia a prefigurare, quasi una prova generale, il progetto di una futura annessione della Soprintendenza Ostiense a quella di Roma, cancellazione determinata non da ragioni di ordine scientifico-culturale, bensì dai diktat del Ministero dell’Economia.
Italia Nostra nel richiedere al Ministro di recedere della proposta, lo invita piuttosto ad attivarsi per recuperare quelle risorse finanziarie, ma non solo, che, sottratte al Ministero da lui diretto, sono i veri e soli strumenti di cui le Soprintendenze di Roma e Ostia hanno assoluto e urgente bisogno per operare e garantire quei livelli di tutela che, pur in condizioni di difficoltà così gravi come quelle attuali, hanno saputo garantire fino a questo momento.
La situazione dei beni culturali e ambientali sprofonda sempre più nei tagli e nella confusione. Da una parte il Ministero crea la figura accentrata di un supermanager alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico, dall’altra, in Senato, viene approvato – per ora in commissione - l’emendamento alla legge sul federalismo fiscale, col quale si decentrano, molto confusamente, al Comune di Roma compiti sin qui nazionali, o nazionali e regionali, fra i quali 1)"valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali"; 2) "valutazione dell’impatto ambientale" (sia pure in collaborazione con Ministero e Regione); 3)"pianificazione territoriale".Facendo così di Roma Capitale un ente controllore di se stesso, controllore e insieme controllato. Sarà infatti il Consiglio comunale ad approvare i regolamenti di attuazione delle nuove competenze. Un’autentica "rivoluzione" attuata con un emendamento e senza il lavoro preparatorio di alcuna commissione di studio tecnico-scientifica.
Sono misure, difatti, che non rispondono ad alcun disegno strategico generale: da un lato si accentrano funzioni di valorizzazione tipicamente regionali e locali, dall’altro se ne municipalizzano altre che riguardano beni culturali, ambientali, fluviali, ecc. i quali richiedono invece una dimensione di intervento di livello superiore (come la già esistente Autorità nazionale del Tevere). Né si capisce se questi provvedimenti riguardino i beni archeologici e la loro gestione (quella del Colosseo, per esempio, dove esponenti del Comune hanno già ipotizzato di realizzare combattimenti coi gladiatori). Inoltre il livello della politica locale si avvicina sempre più alle Soprintendenze le quale devono invece poter controllare, in piena autonomia e sulla base di criteri tecnico-scientifici, l’attività degli enti locali e regionali, per esempio sul piano paesaggistico, dotate (e lo sono sempre meno) dei necessari strumenti di indagine e di valutazione.
Le associazioni firmatarie rivolgono dunque un pressante appello alle massime istituzioni della Repubblica, al Parlamento stesso, affinché una materia così vasta, così delicata e così preziosa non venga affrontata con un sbrigativo e confuso emendamento. Il problema, oggi, è, più che mai, quello di attuare il dettato dell’articolo 9 della Costituzione, "la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione", potenziando e non frantumando l’intervento pubblico in un patrimonio già tanto manomesso e dissipato.
Associazione "R. Bianchi Bandinelli", Assotecnici, Comitato per la Bellezza, Italia Nostra, Legambiente, Wwf Italia, eddyburg
Il caos avanza nei beni culturali e ambientali. Alemanno, nei giorni scorsi, esulta per l’emendamento di nuovo appiccicato, fuori sacco, alla legge sul federalismo, col quale passano a Roma Capitale, cioè a lui, tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Ne risulta scardinato lo storico sistema nazionale della tutela dei beni culturali e ambientali. Il ministro Bondi mette in moto Gianni Letta, incontra Alemanno e precisa, il 15 gennaio, che soltanto la "valorizzazione" potrà "essere assegnata anche agli Enti Locali". Alemanno ha dovuto rassegnarsi a stralciare la parola "tutela" dall’emendamento approvato al Senato dalle commissioni riunite. Resta la valorizzazione dei medesimi beni (anche fluviali). Restano la "difesa dall’inquinamento", la "valutazione dell’impatto ambientale" (bontà loro, "in collaborazione con il Ministero e con la Regione Lazio"), la "pianificazione territoriale"e altri poteri ancora. Da esercitare, badate, "con regolamenti adottati dal consiglio comunale". Tutto in famiglia. Inoltre, quale "valorizzazione" sarà e per quali beni? Anche per quelli archeologici mai nominati nel testo e che a Roma sono un po’ tanti? Mistero.
Con questo emendamento, anche se in parte modificato, nasce in ogni caso il Super Comune controllore di se stesso. Eppure Bondi aveva accentrato, poche settimane fa, in un supermanager tutta la valorizzazione del patrimonio storico-artistico. Da una parte si accentra e dall’altra si decentra: non è forse il Partito delle Libertà? In realtà, tutto ciò che è pubblico deve essere devitalizzato, polverizzato, e poi disperso, nel caos. Col grimaldello di un emendamento, si introducono simili impegnative (storiche, secondo il sindaco di Roma) misure. Tanto in basso è caduta la democrazia parlamentare nel nostro Paese. Cancellata la tutela (per fortuna), rimangono tante spine allarmanti in quell’emendamento. La valutazione d’impatto ambientale, riservata, in prima battuta, al Comune che così può cementificare quello che gli pare, dove e come gli pare. La pianificazione territoriale, scippata alla Regione Lazio e al controllo (Codice Rutelli) delle stesse Soprintendenze. Pure il Tevere verrà tutelato dal solo Campidoglio. Ma non c’è una Autorità nazionale di bacino? Che importa, si "municipalizza" pure lui. Sul Tevere, del resto, sforna idee brillanti qualche componente della commissione Marzano: le banchine diventino parcheggi di automobili (così, con le piene, vanno tutte al mare), oppure "l’isola della salute", cioè l’Isola Tiberina, dedicata ad Esculapio e da secoli ad ospedali come l’Israelitico e il Fetebenefratelli, sia trasformata in un polo di divertimenti. Il tutto senza controlli tecnico-scientifici di sorta? Ma sì, nella massima confusione fra Collegio Romano e Campidoglio, fra la debolezza di Bondi e le ambizioni sbagliate di Alemanno e Cutrufo, può anche succedere.
Una modifica c’è stata. Ma non è sufficiente a rendere accettabile la riforma che Sandro Bondi vuole attuare per il Ministero dei beni culturali. Ed ha sbagliato il Consiglio superiore a dare ad essa il via libera. È la posizione dell’Associazione Bianchi Bandinelli e di chi ha promosso l’appello, sottoscritto da settemila persone, contro la nascita di una Direzione generale con poteri sia sulla valorizzazione del patrimonio sia sulla tutela (poteri poi ridimensionati e ora senza ingerenze sulla tutela) e che verrebbe affidata a un manager, Mario Resca, affiancato da Vittorio Sgarbi.
Ieri all’Accademia di San Luca è stato presentato l’appello firmato da storici dell’arte, direttori di musei - molti gli stranieri - semplici cittadini, allarmati per la concezione mercantile del patrimonio che sarebbe propria della nuova Direzione generale e soprattutto del direttore designato. Silvia Ginzburg ha raccontato come, grazie anche ai siti di Repubblica e dell’Unità, l’afflusso delle sottoscrizioni sia stato impetuoso. «I firmatari hanno capito qual era lo spirito di questa riforma e quali rischi corra in generale una cultura che non sia televisione», spiega la Ginzburg, che ha denunciato anche le pressioni subite in molte soprintendenze affinché non si sottoscrivesse l’appello (l’on. Carlucci ha chiesto le dimissioni dei funzionari firmatari). Marisa Dalai Emiliani (che al Consiglio superiore ha votato no anche alla seconda versione del decreto) ha denunciato una riforma avviata senza consultazione con gli addetti ai lavori: «Mi preoccupa il fatto che la nuova Direzione generale abbia competenza su tutto il patrimonio e non più solo sui musei, come nella prima redazione».
Pornotax, archeocondono, condoni fiscali, edilizi, paesaggistici e ambientali, multe per eccesso di velocità. Fatti e norme fra loro in apparenza irrelati, ma sintomi di una tendenza comune. La pornotax recentemente introdotta prevede un’imposta extra del 25% sui prodotti pornografici (a definire che cos’è pornografia sarà, chi sa perché, il ministro dei Beni culturali). A quel che pare il gettito (previsto in 220 milioni l’anno) sarà usato per ripristinare finanziamenti all’opera lirica, al teatro, al cinema. Insomma, in un Paese che (a differenza di altri, come Stati Uniti o Gran Bretagna) non prevede benefici fiscali per chi faccia donazioni a istituzioni culturali, il buon cittadino che voglia finanziare la Scala o il San Carlo dovrà farlo consumando pornografia.
Il condono fiscale ha una lunga storia, a partire dal quarto governo Rumor (1973), quando ministro delle finanze era Emilio Colombo (ora senatore a vita), ma ha raggiunto il culmine coi condoni del 2003 e del 2005 (governo Berlusconi, ministro Tremonti), seguiti da un condono erariale (2006) che ridusse l’entità delle oblazioni comminate da condanne di primo grado. Il principio è chiaro: cittadini e imprese che hanno evaso le tasse (cioè violato la legge) vengono invitati a confessarlo, e pagando una frazione di quello che avrebbero dovuto vengono assolti dal peccato e dalle sue conseguenze. Il procuratore generale della Corte dei conti Pasqualucci nella relazione inaugurale 2008 ha stigmatizzato queste e altre sanatorie contabili come "incuranti dei loro effetti sui bilanci pubblici"; la Corte di Giustizia Europea ha condannato l’Italia (17 luglio 2008) per aver favorito mediante il condono la frode fiscale, violando il principio di eguaglianza fra i contribuenti degli Stati europei. Ma nulla assicura che altri condoni, più o meno "tombali", non siano in agguato.
Analogo il meccanismo sanatorio dei condoni edilizi, ambientali e paesaggistici. Cittadini che hanno violato la legge e sarebbero passibili di punizioni penali e pecuniarie (nonché dell’abbattimento di edifici abusivi) vengono istantaneamente assolti su pagamento di un’oblazione. In tal modo si legittima l’abuso col sigillo della legge, incoraggiando ulteriori abusi, perpetrati in attesa del prossimo, immancabile condono. Piombate a proteggere e incoraggiare la cementificazione dell’Italia coi governi Craxi (1985) e Berlusconi (1994, 2003, 2004), queste sanatorie mostrano la loro logica in alcuni episodi illuminanti. Per esempio nel 2004, pochi mesi dopo l’approvazione del Codice Urbani che prescrive l’assoluto divieto di sanatorie paesaggistiche (art. 181), lo stesso governo Berlusconi approvava una legge (308/2004) con la totale sanatoria di ogni illecito ambientale e paesaggistico, anche i più gravi. Nessuno vorrà credere che (come scrissero alcuni giornali) questo voltafaccia fosse indirizzato a sancire abusi edilizi in una villa del presidente del Consiglio; ma nessuno ha mai spiegato come mai a distanza di pochi mesi lo stesso governo adottasse per legge due principi tra loro opposti, prima condannando l´abusivismo e poi premiandolo.
Il cosiddetto "archeocondono" è fratello (non tanto minore) di queste sanatorie, e può rispuntare a sorpresa come emendamento alla Finanziaria. Capovolgendo la legge secondo la quale il patrimonio archeologico è di proprietà pubblica, questa norma più volte presentata e finora mai approvata (un primo, timido tentativo si deve a Veltroni: Atti Camera 3216/1997), prevede che chiunque illecitamente detenga materiali archeologici possa, anziché esser perseguito dalla magistratura o arrestato dai Carabinieri, autodenunciarsi pagando un’oblazione volontaria e restando in possesso dei materiali (secondo una versione più ipocrita, la proprietà sarebbe dello Stato, che li concederebbe al collezionista, tombarolo o trafficante, in deposito più o meno perpetuo, con facoltà di trasferirlo a pagamento ad altri). Anche i reati penali legati al traffico illecito di oggetti archeologici verrebbero estinti da questa "multa". Vanificato il lavoro di magistratura, Carabinieri, Guardia di Finanza. Ridicolizzata la nostra richiesta ai musei stranieri di restituire gli oggetti scavati illecitamente.
Una ratio comune lega queste norme e questi progetti: far cassa, ad ogni costo. Non ci sono soldi per l´opera lirica? Ricaviamoli dalla pornotax. Mancano finanziamenti per ridurre l’indebitamento pubblico? Ci aiuterà qualche sanatoria edilizia o ambientale, e se sarà al costo di disastri ecologici e paesaggistici, pazienza. Anche l’archeocondono, si sussurra, produrrebbe un gettito per ridurre (di poco) la voragine aperta dalla legge 133 nei conti del Ministero dei beni culturali. Stesso fine avrebbe il deposito ai privati di opere d’archeologia e d´arte su pagamento di canoni di concessione: il primo passo verso la vendita. Intanto qualcuno già corteggia emiri del Golfo Persico sperando in "depositi lunghi", pronto cassa, di qualche Botticelli o Caravaggio "minore" (?). Anche l’intensificarsi dei controlli sulla velocità nelle strade (lettori automatici, tutor, e così via) e il moltiplicarsi delle multe per assicurare introiti ai Comuni sempre più annaspanti ha, in piccolo, la stessa logica. Vuoi violare i limiti di velocità (o la legge sul patrimonio archeologico)? Tutto ok, purché sia a pagamento. Purché si inventino nuovi eufemismi: la pornotax diventa "tassa etica", le sanatorie vengono battezzate "programmazione fiscale", l’archeocondono pudicamente si traveste da "riemersione di materiali archeologici".
Si può ipotizzare l’estensione della medesima ratio ad altri ambiti. Pochi soldi per l’università dopo la legge 133? Semplice, vendiamo qualche esame e un po’ di lauree (magari ad honorem, rendono di più). Mancano i poliziotti, o la benzina nelle loro macchine? Facile, prendiamo i reati più comuni (furto, droga, violenze varie) e decretiamo che si estinguono sull’istante mediante autodenuncia e oblazione volontaria. E si potrebbe continuare. In tal modo, proprio come nel caso dell’archeocondono, il funzionamento della legge e delle istituzioni verrebbe garantito dai soldi di chi viola la legge e offende le istituzioni. Vi sarebbero da una parte gli impuniti che si arricchiscono violando la legge e si mettono al sicuro pagando oblazioni, dall’altra la massa dei cittadini tenuti (per mancanza di soldi) al rigoroso rispetto delle norme. Alle leggi ad personam che già offendono giustizia e diritto, si aggiungerebbe un pulviscolo di leggi a benificio di determinate categorie: ieri evasori fiscali, speculatori edilizi, distruttori del paesaggio, domani trafficanti di materiali archeologici, dopodomani chissà...
Fantapolitica? Forse. Ma fantasiose sarebbero apparse a chiunque, solo dieci anni fa, troppe cose che abbiamo visto accadere, incluse quelle di cui sopra. Se non è troppo tardi, fermiamoci a pensare. È proprio sicuro che la priorità assoluta debba essere far cassa, a costo di svuotare dall´interno le leggi che regolano la convivenza civile? È giusto che pagando si possa violare impunemente la legge? Che chi ha più soldi debba farla franca? Che, poiché la crisi economica impone di far cassa, nulla (ma proprio nulla) si debba fare per ridurre la gigantesca evasione fiscale, la più grande del mondo in valori assoluti (280 miliardi nel 2007 secondo l’Agenzia delle entrate)? È giusto che si rinunci ai maggiori introiti fiscali per poi tappare il buco tagliando gli investimenti sulla cultura? Siamo sicuri che invece di reprimere e punire chi non paga le tasse è giusto reprimere e punire, mediante tagli di bilancio sferrati alla cieca, chi fa ricerca, chi fa musica o teatro, chi insegna e chi studia, chi scava o vuol visitare in pace un piccolo museo? Dov’è finito il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione? Nella colpevole inerzia di troppe forze politiche (di maggioranza e "opposizione"), resta un soggetto che può e deve rispondere a queste domande. Noi, i cittadini.
Illustre Signor Ministro Bondi, a differenza di molti altri, non ho nessuna obiezione alla Sua decisione di avere fra i Suoi consulenti l’attuale presidente del Casinò di Campione dr. Mario Resca. Ogni ministro può circondarsi di consulenti con disparate competenze e opinioni, che possano aiutarlo a formare le proprie linee di indirizzo.
Nutro invece gravi riserve sull’ipotesi di riforma del Ministero che dovrebbe creare un nuovo "Direttore generale per la valorizzazione dei musei", peraltro responsabile anche dei parchi archeologici e dei complessi monumentali. Ecco perché.
Nella Sua dichiarazione alla VII Commissione del Senato del 4 giugno 2008, Lei dichiarò che era Sua intenzione «garantire che vengano scongiurati tagli delle attuali dotazioni, come è noto già assai limitate», esprimendo «disappunto per i tagli alla cultura operati con l’abolizione dell’Ici senza preventivo accordo del Ministero» e «l’auspicio che eventuali sacrifici vengano preventivamente concordati col Ministero».
Dichiarò inoltre che «dopo due riforme organizzative ravvicinate, i cui effetti di rivolgimento sono ancora ben lungi dall’essersi stabilizzati» era «giunto il momento di puntare sull’attuazione delle norme, più che sulla produzione di ulteriore inflazione normativa». Queste Sue e nostre speranze sono state disattese. I tagli al bilancio del Suo Ministero apportati dal decreto legge 112 e da altri provvedimenti, i più pesanti di tutta la pubblica amministrazione, ammontano nel triennio 2009-2011 a oltre un miliardo: la legge 133 anziché mitigare questi tagli li ha aumentati di altri 31 milioni. Come ha evidenziato un appello del Fai e di altre associazioni, rivolto al presidente del Consiglio, si è inoltre operato un drastico taglio al personale delle Soprintendenze, per Sua stessa dichiarazione già gravemente insufficiente: 15 per cento per la prima fascia, 10 per cento per la seconda.
Contraddicendo le Sue dichiarazioni al Parlamento, Lei ora promuove una nuova riforma dell’amministrazione, la terza in pochissimi anni. La creazione di una nuova "direzione generale per la valorizzazione dei musei" è la più importante fra le innovazioni proposte (ma non va dimenticata l’incomprensibile cancellazione dell’arte contemporanea). Il nuovo direttore generale avrà fra i suoi compiti l’autorizzazione a tutti i prestiti per mostre, la decisione su quali siano le mostre di "rilevante interesse culturale", i programmi sulle ricerche scientifiche sul patrimonio museale, e infine «i criteri per l’affidamento in comodato o in deposito di cose o beni da parte dei musei».
L’elenco di queste (e molte altre) competenze è doppiamente preoccupante. Da un lato, "ritagliare" musei, parchi archeologici e complessi monumentali fuori dal territorio di pertinenza è l’esatto opposto di tutta la tradizione italiana della tutela, anzi capovolge il senso dell’ultima riforma del ministero (2007), che alle quattro "soprintendenze ai poli museali" (Roma, Napoli, Firenze e Venezia) ha riassegnato il territorio urbano di pertinenza. La creazione dei "poli museali" per la prima volta nella storia d’Italia aveva infatti scorporato i musei dal territorio, considerandoli come entità a parte, con effetti solo negativi.
Per esempio, a Roma le grandi gallerie private (Colonna, Doria Pamphilj) ricaddero sotto competenza diversa da quella delle gallerie nazionali di identica origine fidecommissaria (Borghese, Barberini). Si spezzò allora il nesso vitale, efficace per secoli, fra la città, coi suoi palazzi e le sue chiese, e i musei, che dall’identico tessuto di committenze, mecenatismi, collezioni trassero origine e alimento. Nata dall’ossessione del modello americano coi suoi musei ovviamente del tutto staccati dal territorio (ma nelle chiese di New York non c’è Giotto, non c’è Tiziano, non c’è Caravaggio), questa ferita al modello italiano di tutela è stata appena sanata, ma la nuova direzione generale creerebbe una sorta di nuovo, unico, gigantesco polo museale.
Non meno grave è la seconda preoccupazione. Che cosa farà il nuovo direttore generale per "valorizzare" le opere dei musei? L’articolo 6 del Codice dei beni culturali (approvato dal precedente governo Berlusconi) dichiara che scopo unico della valorizzazione del patrimonio culturale è «promuovere lo sviluppo della cultura». Ma le competenze del nuovo direttore generale sembrano mirate a ben altra valorizzazione, in senso esclusivamente economico. Per esempio, nello stabilire "linee guida per l’affidamento in comodato" di opere dei musei (articolo 8 h), egli potrebbe forse, al fine di far cassa, spedire quadri e statue nei salotti (secondo l’idea lanciata dal soprintendente comunale di Roma) o negli Emirati Arabi? Come mai egli dovrà vigilare, in concorrenza anzi conflitto con gli altri direttori generali, sulle soprintendenze speciali di Roma, Venezia, Firenze e Napoli e su quelle archeologiche di Roma, Napoli e Pompei? Perché gli vengono attribuite competenze di tutela che condurranno a conflitti con altre strutture del Ministero?
Queste considerazioni, Signor Ministro, valgono a prescindere dalla persona che Lei vorrà scegliere per ricoprire un tale ufficio. Ma per un compito tanto delicato e controverso, chi sarà scelto? Contraddicendo la Sua dichiarazione al Senato in cui si era impegnato a lanciare «un bando di concorso a livello internazionale fra i massimi esperti del settore», Lei ha invece deciso di procedere per le vie brevi, interpellando prima Antonio Paolucci, poi Mario Resca. Nella sua intervista a Repubblica del 13 novembre, Paolucci ha dichiarato: «Conosco bene il profilo del nuovo direttore generale: il ministro Bondi mi ha offerto quel ruolo».
Ma quale può esser mai un profilo che si attagli a uno storico dell’arte di provatissima esperienza come Paolucci e a un manager di McDonald’s come Mario Resca? Come potrebbe, una persona con la sua formazione e la sua storia (che meritano il massimo rispetto) guidare «i programmi concernenti studi, ricerche e iniziative scientifiche» nei musei (articolo 8 g), o distinguere fra mostre «di rilevante interesse culturale o scientifico» e quelle che non lo sono (articolo 8 f)? Le dichiarazioni dello stesso dr. Resca (a Repubblica del 15 novembre) non hanno mitigato queste preoccupazioni. Anziché considerare il nostro patrimonio culturale «l’identità e l’anima stessa del nostro Paese», come nelle Sue dichiarazioni al Senato, egli lo vede come «una miniera di petrolio a costo zero», su cui è necessario «fare marketing», «generando ricavi» mediante la «circolazione delle nostre opere nel mondo»; l’esempio addotto è Abu Dhabi.
Signor Ministro: gravi ragioni istituzionali sconsigliano vivamente una nuova direzione generale secondo queste linee, chiunque vi fosse chiamato. Nella Sua relazione al Senato, Lei elogiò «la straordinaria tradizione di specializzazione tecnico-amministrativa che caratterizza le soprintendenze come un´area di sicura eccellenza nel panorama della burocrazia italiana».
Una concezione aziendalistico-manageriale che ignorasse la necessaria specificità delle competenze culturali e professionali mortificherebbe tale eccellenza, delegittimando i custodi del nostro patrimonio. Se, come credo, non è questa la Sua intenzione, la riforma proposta va a mio avviso radicalmente riconsiderata. È quello che Le ha chiesto, con voto unanime, il Consiglio Superiore dei Beni Culturali.
«Le racconto questa storia». Gli occhi azzurri di Clara Baracchini sorridono dietro le lenti. «Io, come molti miei colleghi storici dell'arte delle soprintendenze, passo tanto tempo andando in giro con il cappello in mano a cercare soldi. Fondazioni bancarie, enti, curie. Se potessi porterei anche la fisarmonica e la scimmietta. Ero riuscita a farmi dare 30 mila euro da una banca per un progetto di archiviazione informatica. Dovevo segnalarlo sul sito della Soprintendenza. Sa, una banca dà i soldi perché la cosa si conosca in giro. Cerco il nostro sito. Ma il sito non c'è più. Sa cos'era successo? Il sito della Direzione regionale della Toscana era chiuso. Mancavano i soldi per la manutenzione».
Quei soldi forse sono andati persi, forse no, ma la storia che racconta Clara Baracchini può fare da exergo a un viaggio negli uffici addetti alla tutela del patrimonio storico-artistico, architettonico, archivistico, bibliotecario e del paesaggio. Ora l´attenzione si concentra sulla nomina di Mario Resca a direttore generale dei Musei e della valorizzazione, la punta luccicante del Belpaese. Ma le parti in ombra restano tante. Clara Baracchini è uno dei cinque storici dell'arte che controlla le province di Pisa e Livorno. È in servizio da 35 anni, nel 2010 va in pensione e come lei altri due suoi colleghi. I due superstiti smetteranno poco dopo. Resteranno a tutelare uno dei repertori d´arte più pregiati del mondo tre funzionari, nessuno dei quali entrato con una laurea in storia dell´arte, ma assunto come coadiutore e poi parificato agli storici dell´arte dopo aver seguito un corso di formazione. Andati via anche questi tre funzionari c'è il nulla. L'ultimo concorso nazionale ha bandito 5 posti per storici dell'arte, ma nessuno in Toscana.
La macchina della tutela in Italia è in panne. Qualcuno fa i conti: fra il 2011 e il 2015 vanno in pensione tutti i funzionari assunti fra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, gli anni in cui ci furono concorsi e assunzioni. Poi i concorsi si sono diradati, fin quasi a sparire. Ora ne è stato bandito uno per 55 architetti, 30 archeologi e, appunto, 5 storici dell'arte. Ma è una goccia nel mare. Gli archeologi, per esempio, sono in tutto 340, dovrebbero essere 470. Il personale è invecchiato (la media è intorno ai 55 anni), infiacchito. E non manca chi denuncia il disegno consapevole di smantellare il sistema delle soprintendenze - la Lega lo ha scritto nel suo programma elettorale - un disegno che viaggia parallelamente alla trasformazione in senso federalista dello Stato e che potrebbe portare la tutela sotto il controllo di Regioni e Comuni (lo si è tentato per Roma, con un emendamento che sparisce e poi riappare). Ma non con un progetto organico. Bensì lasciando morire di stenti il sistema della tutela.
Su questo corpo debilitato si sono abbattuti i tagli della Finanziaria: 236 milioni di euro per il 2009, 251 per il 2010, 434 per il 2011. Che in totale fanno quasi un miliardo di euro, qualche manciata di milioni in più persino rispetto alla prima versione del decreto che aveva indotto Salvatore Settis a denunciare nel luglio scorso «il colpo mortale» inflitto a un'amministrazione già sofferente. (I dati più attendibili sono quelli elaborati dai coraggiosi redattori del sito www. patrimoniosos. it).
Un allarmato articolo ha scritto su queste pagine Eugenio Scalfari. E le cifre del disastro si rincorrono. Il 90 per cento delle spese che nel prossimo triennio sosterranno le soprintendenze archeologiche è solo manutenzione: pulizie, impianti di condizionamento, recinzioni che si rompono, bagni che perdono. Pochissimo va per i restauri, ancora meno per nuovi scavi, che ormai si avviano solo perché si fanno buchi per la metropolitana, per l'alta velocità o, più modestamente, per un parcheggio. Molte soprintendenze attingeranno a fondi speciali per ripianare debiti o per pagare bollette. Alla Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei queste ultime non vengono saldate da mesi e a metà ottobre è scaduto il contratto per la pulizia degli uffici. Che non è stato rinnovato.
La tutela del patrimonio si esercita studiando, proteggendo e quindi restaurando. Ma nelle soprintendenze storico-artistiche non è ancora arrivata la circolare che mette in moto le procedure per programmare annualmente e triennalmente i restauri. Un passaggio burocratico indispensabile, che di solito avviene a luglio. E che non è avvenuto.
Ma i soldi, si sente lamentare in molti uffici, sono solo uno dei problemi. Senza soldi non si fa nulla, ma anche senza uomini. E le assunzioni sono un miraggio. Il concorso per dieci posti di soprintendente archeologo è bloccato da una messe di ricorsi. Nel frattempo le poltrone restano vacanti o coperte con reggenze. Inoltre si assiste a una carambola di spostamenti come in nessun´altra amministrazione pubblica e che porterebbe al collasso qualunque istituzione. Carla Di Francesco, architetto, era fino alla primavera scorsa Direttore regionale in Lombardia. Poi è passata alla guida della Darc, la Direzione generale architettura contemporanea che nel frattempo ha acquisito anche la tutela del paesaggio ma che, se andrà avanti la riorganizzazione promossa da Bondi, sparirà. Ora Carla Di Francesco regge la direzione regionale dell'Emilia Romagna. Francesco Scoppola si è alternato in sei diversi incarichi dalla fine del 2004 a oggi: da direttore nelle Marche, dove è stato allontanato per aver osato mettere un vincolo su tutto il pregiato promontorio del Cònero, è passato al Molise e ora è in Umbria. Molti trasferimenti sono decisi per punire funzionari troppo rigorosi. Alcuni vengono attuati in maniera improvvida, scatenando ricorsi amministrativi, sospensive del Tar e reintegri. Il tourbillon sembra ora una macchina impazzita, i tempi di permanenza a dirigere un ufficio sono, in molti casi, di pochi mesi e pare trascorsa un'era geologica dai tempi di Adriano La Regina, per ventisette anni soprintendente archeologico a Roma, o di Paolo Del Poggetto, soprintendente a Urbino per vent´anni.
La Lombardia ha cambiato tre direttori regionali in una manciata di mesi e l'ultima tornata di nomine ha catapultato a Milano Mario Turetta, che non è né architetto, né archeologo né storico dell'arte, ma ex segretario di Giuliano Urbani, da lui allocato in Piemonte, trasferito a Roma da Buttiglione, rimandato a Torino da Rutelli e ora, appunto, inviato a dirigere la struttura che dovrà fornire le autorizzazioni per l'Expo del 2015. E qui si tocca uno dei tasti più dolenti: quello della tutela di territorio e paesaggio incalzati dall'incessante procedere del cemento (3 milioni e mezzo di appartamenti costruiti negli ultimi dieci anni, in piena stagnazione demografica, un trend paragonabile, se non superiore, a quello del dopoguerra). Gli insediamenti invadono i litorali e le colline, sono spesso seconde case, ma anche stabilimenti industriali e centri commerciali. Le soprintendenze, con il nuovo Codice dei Beni culturali, avrebbero l'impegnativo compito di partecipare con le Regioni alla pianificazione del territorio: ma in queste condizioni, si sente dire dappertutto, è un compito improbo per soprintendenti sul cui capo pende la spada di Damocle di un trasferimento o che sono minacciati da richieste risarcitorie contenere la forza esercitata dall'industria del mattone. Al recente congresso di Italia Nostra, a Mantova, è venuto fuori che ormai si sono molto ridotti gli annullamenti di autorizzazioni a costruire in zone vincolate, a dispetto di chi continua a raffigurare le soprintendenze come delle conventicole di "signor no". Inoltre una circolare ha ammesso il ricorso gerarchico ai vertici del ministero contro un soprintendente solo nel caso in cui questi apponga un vincolo. Non per il contrario. Come a dire: chi tutela rischia, chi ama il quieto vivere no.
Per “rilanciare” i musei e i siti archeologici lo Stato assume un manager. Di indubbia esperienza. In banche, in società finanziarie, nella moda, finanche in McDonald’s Italia. Scarsissima per non dire nulla invece l’esperienza nel settore in cui sarà il consigliere del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi. Il quale aveva preannunciato un concorso internazionale per esperti che si è guardato bene dal bandire.
Bondi ha scelto Mario Resca, 63 anni. Il suo identikit corrisponde esattamente al ritratto che temeva l’ex ministro, ex soprintendente e attuale direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci: un manager che si è laureato alla Bocconi quando lui auspicava uno storico dell’arte o un archeologo. Perché uno così ha per sua natura un’impostazione tutta economicistica. Se ad allenare la Nazionale di calcio mettessero qualcuno che non ha mai allenato una squadra voi cosa direste? Scoppierebbe una rivoluzione? Perché per i musei la regola non vale?
Annuncia Bondi: "Resca assumerà il ruolo di consigliere del ministro per le politiche museali, al fine di avviare la sua attività per il rilancio del settore museale nazionale".
Per fornirvi un ritratto, sintetizziamo quanto lanciano le agenzie di stampa. Che lo descrivono così: candidato nel 2003 alla direzione generale della Rai, indicato nel maggio di quest'anno come possibile amministratore delegato per Alitaia, ferrarese, Resca si è laureato in economia e commercio alla Bocconi di Milano (proprio quello che paventava Paolucci). Poi è entrato subito alla Chase Manhattan Bank, nel 1974 ha iniziato a dirigere la Biondi Finanziaria (gruppo Fiat). Poi, tra vari alti incarichi dirigenziali nel nostro paese e all’estero (Lancôme Italia, società del Gruppo Rcs Corriere della Sera e del Gruppo Versace), dal 1995 al 2007 è stato
presidente e amministratore delegato di McDonald's Italia. È consigliere indipendente dell'Eni dal maggio 2002. Ma la caratteristica principale è forse l'amicizia con Silvio Berlusconi. E nell’arte? Avrebbe collaborato con Sgarbi in una galleria di una nota località turistica alpina.
“Ha sicuramente un grande curriculum ma qualcuno avrebbe ragione a dire: che c'azzecca ?" , chiede ironicamente Gianfranco Cerasoli, segretario dei beni culturali della Uil citando Di Pietro. "Sono senza parole - commenta stupefatta Manuela Ghizzoni, della commissione Cultura della Camera per il Partito Democratico - Nulla da dire sulla competenza imprenditoriale dell'uomo di McDonald's Italia. Resta da chiedere a Bondi cosa c'entrino gli hamburger con lo straordinario patrimonio culturale italiano". Appunto. Il problema non è la persona. È il suo curriculum. O meglio: la politica culturale a cui pensano Bondi, e chissà, forse Tremonti.