CAGLIARI. Il messaggio che gli ecologisti del Gruppo d’Intervento Giuridico e degli Amici della Terra spediscono al presidente Renato Soru è molto chiaro: non basta creare leggi che tutelano l’ambiente, occorre anche applicarle. «Signor presidente - scrivono infatti - le chiediamo di svolgere le necessarie e opportune attività finalizzate all’effettuazione di coordinati interventi coattivi di demolizioni di abusi edilizi insanabili in aree di rilevante interesse tutelate con vincoli di natura ambientale». Insomma, in parole povere: si mettano in moto le ruspe e venga spazzato via tutto il cemento abusivo dalle coste sarde.
Non è la prima volta che gli ambientalisti chiedono alla Regione un atteggiamento più deciso contro gli abusi edilizi lungo i litorali dell’isola. Due istanze simili sono infatti state presentate in passato. Una nell’ottobre del 2006 e l’altra nel febbraio scorso. «Con le voci che circolano su nuovi e improbabili provvedimenti di condono e con la scarsa efficacia delle procedure repressive - dice il portavoce dei gruppi ambientalisti Stefano Deliperi - l’abusivismo edilizio imperversa. Ecco qualche dato: se nei primi otto mesi del 1994 erano stati accertati 397 casi di abusivismo edilizio nella sola provincia di Cagliari, nel 2005 sono stati accertati ben 420 nuovi casi abuso nel solo territorio comunale di Quartu Sant’Elena. E ancora: nel 2006, nel territorio di Quartucciu gli abusi riscontrati sono stati 105. Parlando di quest’anno, vorrei solo citare le oltre trenta ville messe sotto sequestro penale in Costa Smeralda dal Corpo Forestale e di vigilanza ambientale».
E sono i numeri a disegnare le reali dimensioni del fenomeno del quale parlano oggi i movimenti ecologisti. Secondo il censimento regionale con aerofotogrammetria del 2001, i casi stimati di abusivismo edilizio erano circa 45 mila. Quelli insanabili superavano i 4.500 e quasi tutti erano lungo i litorali. Secondo il Gruppo d’Intervento giuridico, Quartu Sant’Elena continua a essere la capitale dell’abusivismo in Sardegna, ma anche una delle prime in Italia. La verità è però che si tratta anche dell’unico comune dell’isola che è riuscito a disegnare una mappa completa degli abusi sul proprio territorio. Nel 1995, e cioé al termine dell’operazione-condono del 1985, a Quartu erano stati registrati 10.400 casi di abusivismo. Per capire meglio le drammatiche dimensioni del fenomeno, basti dire che in Italia solo Napoli e Gela potevano vantare un numero superiore di abusi edilizi.
Di questi, ben 486 sono risultati “insanabili totali” e 127 “insanabili parziali”. Andando ad analizzare più in profondità quei dati, è risultato che in 2.858 casi - per una volumetria complessiva di oltre 739 mila metri cubi - si è trattato di abusi nelle zone F turistiche. Dopo il secondo condono edilizio (1999) i casi di abusivismo “insanabili totali” sono scesi a 147 e quelli “insanabili parziali” a 72. Sempre tantissimi, quindi.
«Tra i casi sicuramente più eclatanti - continua Deliperi - c’è quello, sempre a Quartu, di addirittura 185 edifici abusivi all’interno del parco naturale di Molentargius-Saline. Ebbene, l’amministrazione comunale ha predisposto ventinove piani di risanamento, ancora in gran parte inattuati e sono cresciuti a dismisura gli oneri collettivi per dotare di servizi gli “abusi condonati”. La spesa complessiva è stata stimata in 222 milioni di euro a fronte dei 18-20 milioni di entrate derivanti dalle oblazioni pagate. Per quanto riguarda l’ultimo condono edilizio, cioé quello del 2003-2004 a Quartu sono state presentate oltre 3.500 istanze di condono. Un numero davvero imponente se si considera che, secondo i dati forniti da Confedilizia, le domande presentate a livello nazionale sono state 102.126. Nel comune di Cagliari, per capirci sono state circa 2.300».
Ma il caso di Molentargius non è isolato. Gli abusi edilizi in aree di pregio naturalistico sono segnalati dagli ecologisti del Gruppo d’Intervento Giuridico anche in altre zone della Sardegna. Come i complessi abusivi all’interno del parco naturale di Porto Conte, alcune strutture sul Monte Ortobene e perfino cinquanta abusi all’interno del parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena. Ma l’elenco continua con tredici unità abitative a Capo Ceraso (sequestrate nelle scorse settimane dal Corpo forestale e di vigilanza ambientale) e le 45 strutture abusive nell’isoletta di Corrumanciu nello stagno di Porto Pino.
Conti alla mano, Deliperi denuncia poi anche il fallimento finanziario della politica dei condoni: «Nel 1985, a fronte di una previsione di entrate di 2.995 milioni di euro, le entrate effettive furono pari al 58%; nel 1994, rispetto a un gettito previsto di 2.531 milioni di euro, le entrate salirono al 71%. Oggi, infine, rispetto a una previsione di 3.165 milioni di euro, la stima sulle entrate effettive è davvero molto bassa: appena il 40%. Sono numeri che parlano da soli e dimostrano che la linea del condono non paga non solo sotto il profilo dell’emersione dell’abusivismo, ma non paga neppure sul piano squisitamente finanziario».
Per concludere, gli ambientalisti ricordano i casi più noti di ordine di demolizione di abusi edilizi sulle coste contenuti in sentenze penali ormai passate in giudicato e perciò irrevocabili:
1) Porto Malu-Baia delle Ginestre. Risale ormai al 1996 la sentenza della Cassazione che ordinava la demolizione delle opere abusive e il ripristino ambientale. Dopo un lunga battaglia di ricorsi e opposizioni in fase di esecuzione, le ruspe del genio militare entrarono in azione nel giugno del 2001, ma si attende ancora il ripristino ambientale. Nel 2002 la Cassazione ha accolto un ulteriore ricorso del Comune e ora pende un nuovo incidente di esecuzione davanti alla corte d’appello di Cagliari.
Intanto, nel settembre dello scorso anno, il gruppo Antonioli ha acquistato all’asta fallimentare l’intero complesso (4,110 milioni di euro), sembra anche la parte che era diventata proprietà del comune di Teulada per effetto della sentenza penale.
2) Baccu Mandara. Sulla costa di Maracalagonis le ruspe sono entrate in azione nel marzo del 2002 per abbattere 29 unità immobiliari realizzate dalla Tre P srl e dichiarate abusive dal pretore di Cagliari dal 1996.
3) Piscinnì. Su questo tratto di costa sulcitana intervenne anche il ministero dei Beni culturali per annullare l’autorizzazione paesaggistica regionale in sanatoria delle opere abusive.
Il progetto, prima del gruppo Monzino e successivamente della Lega delle Cooperative, prevedeva 80 mila metri cubi complessivi.
4) Piscina Rey. Sono state necessarie ben dieci pronunce giurisdizionali per arrivare alla demolizione di un complesso di villette a schiera realizzate dalla Saitur srl in terreni a uso civico.
Sulla griglia ci sono sarde e sgombri. «Quando ho voglia di cozze, vado a prenderle in scogliera. In cinque minuti, ne porto a casa tre chili. Con la pasta sono ottime». Si sta all’ombra dei pioppi e delle lamiere, in questo Villaggio Bianco che gli abitanti chiamano «il nostro paradiso».
«La spiaggia e il mare sono proprio davanti a noi. Per i bambini non c’è nessun pericolo. E poi siamo tutti amici: alla sera facciamo delle belle tavolate e possiamo anche ballare, con gli stereo o la musica delle autoradio. Qui nessuno ci disturba e noi non disturbiamo nessuno». Sembra di tornare agli anni ‘70, quando per la vacanza bastavano un letto per dormire e un tavolo per i piatti di pasta al pasta al ragù e le fette di cocomero. «Ma lo sa che possiamo pescare anche carpe e tinche? Proprio qui accanto c’è il fiume Esino, con i pesci d’acqua dolce».
Sono felici - per ora - gli abitanti del Villaggio Bianco e anche quelli dell’Isola Blu, che assieme formano un "paese" di quasi 200 fra capanni o villini, costruiti con materiale di recupero o trasformando in «cottage» garage in lamiera e vecchi container.
Felici e anche ottimisti, perché ti raccontano la bellezza del mare e i colori dell’alba e quasi sembrano non vedere l’imponente raffineria dell’Api che è proprio a fianco dei capanni e che giorno e notte manda in cielo sbuffi di fuoco. Sembrano non sentire nemmeno lo sferragliare dei treni della linea Bologna - Lecce che passano in alto, sopra le loro teste. «Ci abbiamo fatto l’abitudine, ormai non li sentiamo più. L’importante è che ci lascino qui, che il Comune non ci mandi via. Siamo arrivati che eravamo giovani, qui abbiamo cresciuto i nostri figli. Adesso anche loro sono sposati e ci affidano i nipotini. In pratica, a dirla tutta, facciamo i badanti».
Vacanze poverette di chi ha lavorato una vita e, per risparmiare soldi e fare studiare i figli, si è inventato una vacanza fai da te. «Tutto è nato - dice Getulio Ceccarelli, 77 anni - nell’ormai lontano 1972. Qui dove c’è l’Isola Blu c’era un proprietario terriero che ci affittava le piazzole a 50.000 lire all’anno. Lì in prima fila, dove invece c’è il Villaggio Bianco, il proprietario vendeva piccoli lotti di terra. Io ho comprato un garage in lamiera. L’ho portato qui e piano piano l’ho trasformato in un villino. Ci sono anche i capanni a due piani. Muri al piano terra, e sopra il solito garage o un container. Subito il Comune di Falconara voleva mandarci via, e noi abbiamo fatto una manifestazione con i cartelli. Abbiamo raccolto le firme dei commercianti che erano d’accordo con noi, anche perché eravamo 2000 e facevamo la spesa nei loro negozi. Da allora è iniziata una battaglia che ancora non è finita. Il Comune decide di sfrattarci poi cambia la giunta e tutto ricomincia. Noi del Villaggio Bianco siamo uniti in una cooperativa, gli altri si sono organizzati in una Srl, una società a responsabilità limitata. Abbiamo i contratti regolari per la luce e l’acqua, al Comune paghiamo anche l’Ici. Abbiamo fatto il condono, 800.000 lire a testa. Poi ci hanno spiegato che, causa la legge Galasso, il condono non si poteva fare, ma i soldi se li sono tenuti».
Sbarre automatiche all’ingresso, e un cartello spiega che questa è "Proprietà privata" e con l’automobile «Se piano non vuoi andare / fai a meno di entrare». Cucina e bagno a piano terra, e sopra una o due camerette da letto. Lamiere, tende, teli di plastica, per riparare dal sole e dal vento.
Decine di griglie sulla spiaggia di sassi, portati ad ogni piena dal fiume Esino. Decine di piccole barche per la pesca. «Ogni tanto - raccontano Giorgio e Armanda S., coppia di settantenni del Villaggio bianco - passa di qui la Goletta verde e dice che il mare è inquinato. Poi arriva la mareggiata e tutto si risolve. Il Comune mette il cartello con il divieto di balneazione così si mette a posto la coscienza. Tanto, chi vuol fare il bagno, lo fa comunque. Per i bambini abbiamo le piccole piscine di plastica».
Arrivano da Ancona e dalla montagna, i villeggianti della raffineria. Ma ci sono anche romani e perugini che con 10-15.000 euro si sono comprati il villino al mare. «A marzo - raccontano Giorgio e Armanda - dovevano arrivare le ruspe, e invece siamo ancora qui. Questa è la nostra casa da fine maggio a fine agosto. Ci costa 450 euro all’anno, per le bollette e tutte le spese della Srl. Dove andremmo, con quei soldi? Due giorni di albergo e poi a casa. Ma non è solo una questione economica. Ci siamo affezionati, a questo posto. Qui abbiamo cresciuto i nostri bambini e adesso ci sono i nipoti. I nostri figli invece vanno via, sulle spiagge di lusso. Ognuno ha la sua macchina, noi in famiglia ne avevamo solo una, usata. Però i nipoti sono tanti. Quando giocano alla playstation si trovano anche in quindici, tutti in questa piccola cucina. Con i vicini, siamo diventati vecchi assieme. Si sta in compagnia anche a cena e, per fare festa, a mezzanotte facciamo una spaghettata».
Sarà però difficile tenere lontano le ruspe. «Il Comune - racconta Umberto Serrani, 71 anni - ha un progetto: tirare giù tutto e al posto di 200 capanni, uno diverso dall’altro, costruire 128 casette tutte uguali, di appena 33 metri quadrati. Intanto ci porterebbero via metà della terra che noi abbiamo comprato. Quel terreno serve a costruire parcheggi e una piccola darsena accanto al fiume. E poi ci farebbero pagare, oltre alla costruzione, anche le opere di urbanizzazione. Abbiamo fatto i conti: ognuno di noi dovrebbe spendere dai 50.000 ai 60.000 euro per avere un posto che è la metà di quello che abbiamo. Io sono ormai anziano, non me la sento di fare un investimento così grosso. A noi vecchi, chi ci fa un mutuo?». Ma c’è anche chi ha annusato l’affare. C’è chi ha comprato 3 o 4 quote della Srl Villaggio Bianco, villini compresi (per paura delle ruspe, qualcuno ha venduto a meno di 10.000 euro) per diventare poi proprietario di qualche cottage regolare previsto dal Comune. Con la nuova darsena un «Monolocale rialzato vista mare», accanto al posto barca, andrà via come il pane.
La signora Sandra, sulla sua veranda, ha messo anche i gerani. «Di plastica, così il vento salmastro non li rovina». Tiziana Serrani sta con marito e il figlio piccolo nel villino del padre Umberto.
«Mi hanno portata qui quando avevo 3 anni, e per me questa è la vacanza in capanno, non in una casa. Il nuovo progetto cambierebbe tutto e c’è una cosa che non capisco. Vogliono mandarci via perché ci sono la raffineria che inquina e la ferrovia che fa rumore. Perché allora costruire villini in muratura? Con le nuove casette, sarebbe come vivere in condominio, con le regole, gli orari, gli spazi definiti. E’ proprio ciò da cui fuggiamo». Giorgio S. sente già la tristezza dell’addio. «Non so se l’anno prossimo tutto questo esisterà ancora. Io mi alzo prestissimo, per vedere l’alba. E alla sera, con la scusa della pesca, guardo il tramonto. Ma lo sa che in questo pezzo di Adriatico, come se fossimo su un’isola, il sole sorge e tramonta in mare?»
ROMA - I reati aumentano a un ritmo da inflazione anni Settanta: più 33,5 per cento di cemento illegale nelle aree demaniali, più 19 per cento di crimini a danno dell´ecosistema marino. E intanto le chiazze di petrolio si allargano, i porticcioli abusivi si moltiplicano, la pesca di frodo diventa pratica quotidiana. È il quadro che emerge dal rapporto Mare Monstrum 2007, che la Legambiente ha appena chiuso consegnando alle stampe 122 pagine di malefatte.
La capitale dell´abusivismo marino è Ischia l´Incompiuta, l´isola che non riesce a prendere forma perché i cantieri clandestini non si fermano mai. Qui la febbre del mattone si respira assieme allo iodio e la gamma dei raggiri della legge è completa. Ci sono le scogliere costruite utilizzando rifiuti speciali, i vincoli paesaggistici che servono solo a far salire le quotazioni dei lavori illegali, gli alberghi che si allargano senza licenza, le case che crescono sui terreni franosi, un intero parco termale realizzato all´insegna dell´abusivismo.
Non va molto meglio negli altri luoghi di culto del mare campano: da Positano a Capri (dove è stato aggredito perfino lo Scoglio delle Sirene), la magistratura ha dovuto fare gli straordinari. A Conca dei Marini è finito sotto sequestro l´hotel Santa Rosa: nelle stanze in cui, nel Settecento, le suore inventavano la sfogliatella napoletana ora si produce solo abusivismo. Nel complesso della Costiera Amalfitana, nel 2006 sono stati sequestrati 47 cantieri abusivi e denunciate 150 persone.
L´ultima moda dell´abusivismo, a parte una fantasiosa seggiovia per collegare una villa alla spiaggia, è il parcheggio fronte mare che, cammin facendo, si trasforma in casa. Sembra impossibile - spiega Antonio Pergolizzi, responsabile dell´Osservatorio ambiente e legalità della Legambiente - eppure il meccanismo è semplice. Si presenta una richiesta al Comune per costruire un parcheggio, si pavimenta la zona e poi, a sorpresa, invece delle auto arriva un camion che traina una vera e propria casa, con tanto di tetto e terrazzino, su ruote: si posiziona ben bene l´edifico, si eliminano le ruote cementando il tutto nel pavimento e il gioco è fatto.
In maniera più o meno «creativa» l´abusivismo imperversa sull´intera costa italiana. Nel censimento di Mare Monstrum, a Sciacca figura un Golf resort a cinque stelle con 160 camere di lusso che proprio un paio di giorni fa ha avuto dalla Regione il via libera per riprendere i lavori. A Trapani «con la scusa di organizzare la Coppa America, un grande evento sportivo, si è aggredita la riserva naturale delle saline e la zona di protezione speciale».
In Calabria, a Corigliano, in una zona vincolata hanno costruito perfino un autodromo. A Vibo Valentia, dove a luglio una pioggia torrenziale ha fatto 4 morti e un centinaio di feriti, si è scoperto che le opere illegali bloccano i canali di scolo. In Puglia, vicino a Grottaglie, per far spazio alle case abusive sono stati uccisi alberi secolari.
Nel Lazio l´abusivismo ha assaltato il lago di Fondi come Terracina e Sabaudia, mentre Nettuno è l´unico Comune dell´Italia centro settentrionale sciolto per infiltrazione mafiosa. In Liguria l´offensiva più insidiosa viene condotta in nome dei posti barca e dell´allargamento di case che valgono fino a 15 mila euro a metro quadro.
Nel corso del 2006 si sono registrate 2,6 infrazioni per ogni chilometro di costa. Un dato che media i virtuosi, come la Sardegna con il suo modesto 0,7 e la Basilicata con 1, e i peccatori, come la Campania che svetta a quota 5,9 infrazioni per chilometro, il Veneto che insegue con 5,4, la Romagna (a quota 4,3) e il Lazio (3,7)
Abusivismo, stop alle ruspe
di Cecilia Gentile
la Repubblica, ed. Roma, 12 agosto 2006
Settanta demolizioni sospese. Ci sono le ville del parco di Veio, i cinque fabbricati di un vivaio a Caracalla, una sopraelevazione a via Margutta, tanto per fare qualche esempio eccellente. Il Comune ha le ruspe pronte, ma le mani legate. Bisogna prima dare il tempo ai responsabili degli abusi di organizzarsi. E´ quanto sta succedendo a Roma, dopo la decisione del Tar, che ha dato un´interpretazione molto restrittiva della legge sul condono edilizio.
Spiega Luca Odevaine, vice capo del Gabinetto del sindaco: «Finora abbiamo eseguito le demolizioni contestualmente alla notifica del provvedimento, per prendere di sorpresa l´abusivo e non dargli il tempo di resistere. In altre parole, usavamo la procedura d´urgenza, secondo quanto indicato dall´ultima legge sul condono edilizio, che dava facoltà ai comuni di abbattere d´ufficio tutti gli abusi costruiti dopo il 31 marzo 2003, termine stabilito dalla stessa legge per le costruzioni con diritto di sanatoria. Dal marzo scorso, invece, il Tar del Lazio ci ha prescritto di dividere la procedura in due fasi distinte. In questo modo l´abusivo ha tutto il tempo di organizzarsi, mettendo anziani o bambini nella costruzione da demolire, oppure barricandosi, oppure, come nel caso più frequente, presentando ricorso al Tar. Una volta fatto ricorso, bisogna aspettare che il tribunale amministrativo si pronunci. E i tempi, si sa, sono lunghissimi».
Cala dunque il sipario sull´epoca dei blitz? E´ grazie a questa strategia che la prima giunta Veltroni in cinque anni è riuscita ad abbattere 350.000 metri cubi di cemento fuorilegge. E´ grazie all´effetto sorpresa che le ruspe hanno sbriciolato, per esempio, la parte abusiva dell´hotel Summit, 30.000 metri cubi ricavati sbancando una collina in via della Stazione Aurelia, le ville del parco di Veio e dell´Appia Antica, le costruzioni accanto a Villa Borghese, i superattici con vista mozzafiato nel cuore di Roma. Ancora: un palazzo di 10.000 metri cubi a Casal del Marmo, la più grande demolizione dopo quella dell´ala abusiva del Summit.
«In questo modo il Tar ci spunta le armi e ci toglie uno strumento importante per tutelare la città ed assicurare il rispetto delle regole», continua Odevaine, che sta cercando di superare l´empasse con l´aiuto dell´Avvocatura del Comune. «In accordo con il Tar - informa il vice capo di Gabinetto - stiamo lavorando per trovare un´interpretazione meno restrittiva della legge sul condono, perché tutto il lavoro di accertamento dell´abuso e di preparazione della demolizione non venga reso inutile alla fine, di fronte alla resistenza dell´abusivo. La tempestività è tutto in questi casi».
«Abusi? Ci sentiamo soli»
di Paolo Brogi
Corriere della Sera, ed. Roma, 8 agosto 2006
Il tavolo pieno di cartelline con richieste di condono. E di foto. Una mostra una bella piscina, in un'area adiacente alla Villa dei Quintili, tra Appia Nuova e l'Appia Antica. Se ne chiede il condono, peccato che non solo sia dentro il Parco dell'Appia ma addirittura sopra il Circo dei Quintili. La task force capitanata da Rita Paris, la funzionaria della sovrintendenza archeologica a cui compete l'Appia, cerca di trattenere questo nuovo assalto, centinaia e centinaia richieste di regolarizzare ciò che non può essere regolarizzato. Livia Gianmichele, Aldo Cellini, Antonella Rotondi e Rita Paris cercano di trattenere l'arrembaggio che riporta al clima da anni ‘50. Intanto basta già la semplice richiesta di condono: l'abuso è di fatto al riparo dalle ruspe. In più, non tutte le richieste approdano in sovrintendenza. Una parte si ferma nell'ufficio comunale dei condoni, che intanto incassa soldi, quelli previsti dai provvedimenti di regolarizzazione. Richieste spesso imbarazzanti. In via Appia Pignatelli, al 5, ecco tre villini costruiti in mezzo ai monumenti funerari sorti sopra le catacombe di Pretestato, monumenti già noti a Pirro Ligorio che li ritrasse nel ‘600. Piccole volte, colonne, basamenti vari ridotti ad arredo delle ville, come fossero parte naturale di quei giardini. E che ora i proprietari vorrebbero «sanare». Ovvio il parere negativo della sovrintendenza. Ma dopo cosa succede? Se lo chiedono in soprintendenza, che spesso nelle conferenze di servizio, ripetono ai funzionari capitolini: «A cosa vi riferite per i condoni dal momento che tutto il territorio dell'Appia è inedificabile?». «Ci sentiamo molto soli - spiega Rita Paris -. Il fenomeno è gravissimo, per numero di abusi e scempio del territorio. E dell'entità e gravità del problema ne siamo a conoscenza solo noi...».
Far West Appia: il mausoleo scomparso
di Paolo Brogi
Corriere della Sera, ed. Roma, 8 agosto 2006
Il Far West a Roma si chiama Appia. Ed è li che può scomparire addirittura una domus con annesso mausoleo. Sulle guide il monumento c'è, all'altezza del IV miglio, in un diverticolo della «regina viarum», via dei Lugari. Siamo poco oltre il Circo di Massenzio e la Tomba di Cecilia Metella, quando superate sulla sinistra uscendo la tomba di Marco Servilio (con i resti rinvenuti da Antonio Canova) e il sepolcro di Seneca si arriva all'altezza del tempio di Giove, un monumento in laterizio del II secolo d.C. Dall'altra parte della strada c'è ciò che resta del mausoleo di Sant'Urbano e ciò che è praticamente scomparso dell'annessa «domus Marmeniae». Ecco, in sintesi estrema, il monumento che non c'è più. Ci sono invece le costruzioni che hanno inglobato la domus di Marmenia, la matrona cristiana che al tempo di Antonino Pio fece traslare in questa zona i resti del martire Urbano, e di cui ora grazie all'ultimo condono del 2003 la proprietà chiede la regolarizzazione. Uno dei duemila condoni che assediano la sovrintendenza in quest'area pre in laterizio, con le sue tre absidi e la scala monumentale in direzione dell'Appia. I fratelli Lugari, i proprietari del fondo, sotto la sorveglianza del direttore dell'Ufficio tecnico degli scavi d'Antichità, il mitico Rodolfo Lanciani, dettero il via a una campagua di scavi che riportò in luce tutto il monumento con annessa l'ampia domus di Marmenia. Lungo i lati del diverticolo in basolato furono scoperte diverse strutture sepolcrali in opera laterizia, due delle quali di forma semicircolare, oltre a numerose sepolture ad inumazione coperte da tegole, particolarmente addensate attorno al mausoleo del martire Urbano. Dopo la lunga esplorazione, conclusa a fine ‘800, i fratelli Lugari curarono il percorso di visita dell'area che diventò meta di turisti e visitatori.
Ancora negli anni ‘50 nelle piante catastali era visibile il perimetro dell'area degli scavi che non vennero mai interrati, e alcune delle strutture della domus sono descritte dalla guida di Lorenzo Quilici negli anni ‘70. E poi? Poi il basolato è scomparso sotto una piscinetta, nel sottoscala del mausoleo sono stati ricavati un tinello e un cucinino, con un barbecue esterno, il tutto perseguito dalla sovrintendenza archeologica e considerato infine «non reato» dalla magistratura del tempo. La «domus» invece è stata inglobata da un villino a un piano con annessa una dependance per il portiere, che sorgono al numero sette di via dei Lugari. Spiega la relazione tecnica presentata per il condono che si tratta di una struttura principale di 104 mq al piano-terra e di 60 mq al primo piano, mentre la dependance è cca. 27 mq. «Da accurato esame visivo - spiega il relatore, un geometra - si è potuto stabilire che il corpo principale, al piano terra, di epoca presuntivamente romana, della superficie di 74 mq e dell'altezza di 3,10 metri è stato ampliato sul lato nord, costruendovi un altro corpo, dell'altezza di 3 metri e 25 centimetri e della superficie di 29 mq collegato con esso e che oggi costituisce la zona servizi della casa...». Il geometra indica poi ciò che a parer suo sono gli «abusi» per i quali si può chiedere la sanatoria e in particolare ricorda la «costruzione abusiva del corpo al piano terra, attaccato alla costruzione antica» e la «costruzione abusiva del corpo al primo piano sopra la costruzione antica...».
Fa impressione tutta questa documentazione che, assolutamente in regola con lo spirito dei condoni, mostra a che punto si sia potuti arrivare in un territorio di così gran pregio storico-archeologico-culturale come quello dell'Appia Antica. E fa impressione constatare come lo stesso Mausoleo, che è obliterato oggi alla vista e che non si vede più insieme a ciò che è stata la «domus Marmeniae», sia intimamente collegato a un'altra zona poco lontana come quella delle catacombe di Pretestato, di cui parliamo qui sotto con un altro abuso illustrato nella foto in basso. Da lì infatti i resti del martire Urbano furono traslati per impegno di Marmenia che li volle accanto alla sua abitazione per farne un santuario. Un mausoleo e una domus che sono diventati oggi un problema dell'ufficio condoni. Certo, l'Appia non sarà più la «terra di gangsters» come scriveva 50 anni fa Antonio Cederna, ma il Far West non è mai finito.
Napoli, l'agosto di mattone selvaggio
la Repubblica, ed. Napoli, 8 agosto 2006
Con il caldo il mattone si dilata, il cemento lievita, s'allarga, prende piede: quando anche il vicino va in vacanza, è il momento del business indisturbato. Gazebo che diventano attici, finestre trasformate in verande, vasche che con un colpo di bacchetta magica saranno piscine. Al centro di Napoli si osa meno. Ma basta allontanarsi di poco che in piazzali vuoti fino a pochi giorni prima, in agosto l'abuso è completo: intere ville sorte dal nulla. Come quella che il servizio antiabusivismo del Comune, in collaborazione con la polizia municipale e la Polizia di stato, ha demolito ieri in via Soffritto ai Camaldoli: una fabbrica su due livelli di 170 metri quadrati messa in piedi in una zona di pregio ambientale e ad alta instabilità idrogeologica.
C'è poco da stare allegri: la demolizione iniziata ai Camaldoli è un atto raro. Dal 1995 al 2000, a fronte di centinaia di abusi piccoli e grandi, nel campo dell'edilizia sul territorio di Napoli, soltanto 425 manufatti non in regola sono stati abbattuti. Ieri mattina i vigili hanno lavorato sodo: il villino contro il quale sono state azionate le ruspe è uno dei cinque controllati e sottoposti a sequestro nella stessa zona: 200, 150 e 100 metri quadri di mattoni e cemento, in un'area dove opera il clan di camorra legato al boss Polverino. E poi un altro sequestro al Serbatoio allo Scudillo, sotto l'ospedale Cardarelli, dove sono stati bloccati degli scavi per grandi vasche grezze, che forse sarebbero diventate piscine. Un'azione che ha avuto il plauso dell'assessore all'Edilizia Felice Laudadio: «È intenzione mia e dell'amministrazione dare nuova e incisiva azione nel settore dell'edilizia, combinando la pianificazione dello sviluppo sostenibile con la repressione dell'abusivismo».
Ma la rarissima demolizione, come i controlli seguiti da sequestro, sono episodi non abbastanza frequenti tanto da funzionare da deterrente. In questi giorni cumuli di mattoni si possono notare in molti punti della città: in attesa che la guardia venga abbassata e che anche chi controlla vada in vacanza, sono pronte a entrare in azione squadre speciali di muratori disposti a lavorare anche il giorno di Ferragosto per il triplo della paga normale. Quando si avvicina il tempo delle ferie totali, bisogna guardare in alto, sulle terrazze o nei cortili un po' nascosti. Si vedranno comparire le solite incannucciate a copertura di vetrate o strutture in lamiera temporanee, destinate a diventare muri di nuovi ambienti. «La situazione più preoccupante - dice il maggiore Antonio Baldi, che dirige il Servizio antiabusivismo - è a Pianura, dove gli abusi si sono scatenati in maniera violenta: siamo sotto organico ed è difficile portare avanti una vera battaglia, a ranghi così ridotti. La forza, d'estate, dovrebbe essere al completo».
La squadra di Baldi è composta da 124 vigili, ma le ferie l'hanno dimezzata, e questo avviene ogni anno con puntualità, dando spazio a mattone selvaggio. Non solo in periferia o in mezzo al verde dei Camaldoli. Per esempio, in zona Fontanelle alla Sanità, quando i vigili sono arrivati per apporre i sigilli, un costruttore stava realizzando tre piani a ridosso di un costone di tufo: 80-90 metri quadri per piano. Ma il gazebo è diventato splendido attico con vista sul golfo in corso Vittorio Emanuele, lato Mergellina. Il signore aveva un permesso per un gazebo. I vigili, allertati da una denuncia, questa volta erano stati tempestivi e avevano posto sotto sequestro addirittura i materiali depositati sulla terrazza, prima che la sopraelevazione fosse realizzata. Il sequestro però non è poi stato convalidato: al Tar era parso eccessivo. E ora l'attico è stato completato.
Scudillo, avanza mattone selvaggio
la Repubblica, ed. Napoli, 9 agosto 2006
Lo Scudillo: storia di un abuso senza fine. Una voragine che comincia negli anni Venti-Trenta, quando per realizzare una serie di opere edilizie l´area agricola collinare ad est, tra il Vomero e la Sanità viene sbancata. Da allora si è costruito e scavato contestualmente, senza rispetto per il rischio idrogeologico, dimenticando che lo Scudillo con i suoi 40 mila metri quadrati di grotte, è la zona a più alto tasso di cavità cittadina.
La variante di salvaguardia del Piano regolatore generale di Napoli tutela lo Scudillo e il Vallone di San Rocco, che dal 2004 sulla carta fanno parte del Parco regionale delle colline napoletane, 2215 ettari (circa un quinto del territorio comunale) al centro dell´area metropolitana. In questo contesto che usufruisce di vincoli, come si vede, ben definiti - tra l´altro c´è anche il decreto legislativo numero 42 del 2004 parte terza, che la identifica come area di grande pregio paesaggistico - c´è ancora il furbo che alla vigilia di Ferragosto scava e costruisce. È in buona compagnia, bisogna dire. Non c´è cassonetto, specialmente nelle zone intorno al centro, quelle più verdi, che non mostri calcinacci o piante strappate senza pietà, destinate il più delle volte a lasciare spazio a posti macchina.
Dopo il sequestro con (rara) demolizione di lunedì ai Camaldoli, eseguita dalla squadra antiabusivismo coordinata dal maggiore dei vigili Antonio Baldi, i cantieri non autorizzati non si fermano. E la cronaca di un abuso d´agosto si ricostruisce facilmente. Nonostante esista un voluminoso fascicolo sul caso Scudillo, tanto in soprintendenza a Palazzo Reale quanto al Servizio antiabusivismo del Comune, c´è un edificio residenziale ottenuto alcuni anni fa riattando un rudere in via Serbatoio allo Scudillo. Decine di denunce per lanciare l´allarme alle autorità sul rischio che comporta un intervento del genere per l´intera zona circostante hanno sortito in chi li sta portando avanti soltanto la convinzione che è meglio fare presto.
Nel mese di giugno infatti i lavori hanno avuto un´accelerazione: è stata terminata una piscina e alcuni nuovi corpi di fabbrica sono sorti in prossimità di quello principale. Per ospitare i materiali di costruzione è nata anche una discarica che gli operai usano costantemente. Arrivati sul posto dopo essere stati allertati dall´ennesima denuncia, i vigili rilevano un ampliamento per il quale il costruttore non è in possesso di autorizzazione. Il cantiere viene immediatamente sequestrato. Dieci giorni fa comincia l´esodo di agosto, ed ecco l´impresa riprendere a lavorare nonostante il divieto. La squadra di polizia giudiziaria dei vigili notifica la violazione dei sigilli al proprietario. Ma Ferragosto si avvicina, ditte disposte a lavorare senza permessi, se ben pagate - e quasi sempre in condizioni che interessano un altro ufficio questa volta della Asl, l´Ispettorato del lavoro - a Napoli non mancano. Così si riprende a scavare ancora, e questa volta lungo il costone della vallata, distruggendo una delle poche aree che resistono a verde nella zona, mentre si costruiscono dei muri con una grande quantità di mattoni di tufo trasportati da operai di colore. Le foto della pagina documentano l´abuso in corso ancora ieri in tarda mattinata.
I casi si moltiplicano e le forze in campo per effettuare i controlli necessari sono ridotte. Diecimila sopralluoghi all´anno. Circa settecento al mese. Che i vigili antiabusivismo stiano con le mani in mano proprio non si può dire. E il loro lavoro si intensifica ancora di più nella prima quindicina di agosto, quando le incursioni sui cantieri abusivi possono diventare anche trenta al giorno.
ANTONIO MASSARI, Punta Perotti, ore contate per il mostro, il manifesto, 2 aprile 2006
BARI - Più che un’esplosione sarà una liturgia liberatoria: cinque secondi che potrebbero segnare la fine di un’era, di un sistema di potere, di decenni di politica fondata sul cemento. Cinque secondi per un nuovo inizio, in questa città che per vent’anni è stata soffocata dall’amianto della Fibronit, con la sua discarica in pieno centro; che di amianto ha trovato invasa pure la sua costa; che ha visto stuprare il teatro Petruzzelli, ancora oggi scheletrito, a quindici anni dal suo incendio. Una città che ha visto crescere, all’improvviso, un sipario di cemento a pochi metri dalla costa. Ma per Punta Perotti, simbolo nazionale dell’abusivismo selvaggio, oggi è l’inizio della fine.
Ieri è stata delimitata la «zona rossa», questa mattina all’alba inizierà una sorta di «coprifuoco », con blocco della circolazione di mezzi e pedoni. Poi si darà il via alla prima esecuzione, alle 10,30 del mattino. «E’ stata la battaglia giudiziaria più difficile della mia vita», dice il sindaco Michele Emiliano, ex pm antimafia. Una battaglia iniziata alla vigilia della sua elezione, quando dichiarò che, con lui sulla poltrona di primo cittadino, Bari avrebbe visto crollare lo scempio sulla costa. Promessa mantenuta. Oggi si comincia: 70 mila metri cubi sbriciolati dalla potenza di 150 detonatori, tre chilometri e mezzo di micce, 350 chilogrammi di tritolo, piazzati in più di mille fori, nei punti chiave dell’ecomostro più famoso d’Italia. Crollerà in diretta tv.
Non soltanto le emittenti locali, ma persino la Bbc si è accreditata per assistere all’evento, che sarà seguito da 250 giornalisti. Un evento che si spera simboleggerà un’inversione di tendenza, come dice il presidente di Legambiente Roberto Della Seta: «Dalla demolizione dell’ecomostro barese può e deve partire una nuova stagione della legalità, imperniata sulla necessità di rispettare le regole, non solo in campo edilizio e, di certo, non con la logica delle sanatorie».
In cinque anni, dal 2001 al 2005, in Italia sono stati realizzati 140 mila edifici completamente fuorilegge. Ecco perché quest’esplosione non riguarda soltanto i baresi: «E’ un giorno storico per Bari, per la Puglia, e l’Italia intera: il valore simbolico è enorme, siamo di fronte a una grande festa della legalità», dice Franco Chiarello, sociologo, membro dell’associazione «Città plurale », tra le prime a lottare contro Punta Perotti. Una festa della legalità anche secondo Alfonso Pecoraro Scanio, segretario dei Verdi, che ieri a Bari ha aggiunto: «E’ l’auspicio di ciò che porteremo nel programma del nostro governo: un cambio di legge che permetta la demolizione per direttissima di tutti gli abusi edilizi».
Il mostro, intanto, crollerà solo per un terzo: l’operazione si concluderà il 23 e 24 aprile, quando l’orizzonte a sud di Bari tornerà definitivamente libero: 300 mila metri cubi saranno svaniti nella polvere e dei tre palazzacci, di tredici piani ognuno, non resterà che una cicatrice sul terreno e un amaro ricordo. Il ricordo di una stagione che sembra al tramonto: quella del partito del mattone, della speculazione edilizia, della lobby che ha segnato per decenni i destini di questa città. E fino all’ultimo istante, in questa storia ultradecennale, la suspense è rimasta al massimo livello: l’ultimo ricorso di uno dei tre costruttori, i Matarrese, è stato presentato e discusso soltanto ieri mattina, di sabato, nella procura barese. Il passo finale per salvare l’ecomostro è stato un passo falso. L’ennesimo tentativo, questa volta, era fondato sul pignoramento, che i Matarrese avanzano sugli immobili, a garanzia di un credito pari a 6 milioni e mezzo di euro. Essendo pignorati, sostengono i costruttori, i palazzi non possono essere abbattuti. «Il reclamo proposto dalla spa Salvatore Matarrese è infondato», ha dichiarato invece, ieri mattina, il presidente della seconda sezione civile del Tribunale di Bari, Luigi Di Lalla. Ricorso respinto: oggi si procede all’abbattimento. E in questa storia fatta di ricorsi, controricorsi, sentenze e centinaia di fascicoli in carta bollata, non è mancato quasi nulla: persino la richiesta, da parte dei costruttori, di un risarcimento visionario di 930 milioni di euro. Ciò che manca, invece, è un colpevole.
Punta Perotti nacque infatti con tutte le carte in regola. Ottenne le concessioni edilizie e le autorizzazioni, sia dal comune di Bari, sia dalla Regione. E così venne su: dieci volte più grande del Fuenti, un altro mostro edilizio, altrettanto tristemente famoso, cresciuto e poi abbattuto sulla costiera amalfitana. Era l’11 maggio 1992, quando il consiglio comunale di Bari, guidato da una giunta socialista e democristiana, approvò i piani di lottizzazione. La magistratura, in seguito, così commentò la vicenda: «Il Comune adottò un disinvolto iter amministrativo. Il procedimento che portò all’improvviso rilascio dei provvedimenti autorizzatori e concessori fu scandaloso». Per quanto disinvolto, l’iter andò a buon fine e le tre imprese edilizie di Matarrese, Andidero e Quistelli, due anni dopo intrapresero la costruzione: nel 1995 venne rilasciata la concessione edilizia e Punta Perotti, nell’arco di pochi mesi, si stagliò sull’orizzonte chiudendo la prospettiva a sud della città. Due anni dopo, però, la procura di Bari, su richiesta dei pm Roberto Rossi e Ciro Angelillis, sequestrò gli immobili: secondo la magistratura erano abusivi, in quanto edificati in violazione della legge Galasso, che impedisce la costruzione a meno di 300 metri dal mare. E’ l’inizio di una saga giudiziaria e politica che ha tenuto banco per dieci anni. Il mito della Bari da bere, del lungomare stile Copacabana, delle dimore più «in» della città, iniziava a sgretolarsi, sotto i colpi della magistratura e di una fetta di cittadini e associazioni che vissero la nascita dell’ecomostro come un sopruso. Le speranze di veder crollare Punta Perotti, però, furono presto disattese: nell’ottobre 1997 la Cassazione annullò il sequestro disposto dalla procura di Bari. Di lì a due anni i costruttori e i progettisti, nel frattempo indagati, furono assolti con formula piena: «Il fatto non costituisce reato», disse il giudice per le indagini preliminari, Maria Mitola. Mancava sia il dolo, sia la colpa grave. Il tribunale ordinò però la confisca degli immobili, che passarono al Comune. I costruttori furono nuovamente assolti nel 2000, dalla corte di appello, che a sua volta ordinò la restituzione degli edifici. Da quel momento lo scontro diventa feroce: la procura barese ricorre immediatamente in Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza di assoluzione, e la Suprema corte conferma la sentenza di primo grado: i beni tornano al comune che è costretto, da quel momento, a deciderne il destino. Siamo nel bel mezzo della gestione forzista del sindaco di Cagno Abbrescia, che resta al potere per ben 10 anni: la sua giunta firma la confisca, ma l’abbattimento slitta e i costruttori dilatano i tempi con una lunga sequela di azioni giudiziarie. «Di Cagno non sarebbe mai riuscito ad abbattere», continua Emiliano, «c’era un grande circolo di amici, questa è la verità, sarebbe stato impossibile per ciascuno di loro realizzare una mossa di questo livello. Invece ora il sindaco può fare l’arbitro: non è più tra i giocatori. E’ possibile», conclude Emiliano, «che anche l’amministrazione pubblica, quando cerca di ripristinare la legalità, debba andare incontro a battaglie che richiedono prestazioni eroiche? Mi chiedo quanti altri responsabili della cosa pubblica, e mi riferisco anche ai direttori dei lavori o ai geometri, avrebbero potuto sostenere il peso delle minacce, delle denunce, delle querele, che ha dovuto sopportare questa amministrazione ».
Intanto sul web, già da parecchi giorni, impazza la febbre da esplosione. Il sito www.perottipoint.it ha realizzato la versione virtuale dell’ecomostro mettendone in vendita gli appartamenti. Suite da 10 a 50 euro l’una: con il ricavato Legambiente acquisterà alberi destinati alla città. Tra gli acquirenti Massimo D’Alema, Fausto Bertinotti, il presidente della regione Nichi Vendola. Il progetto va oltre: i cineamatori sono chiamati a raccolta. Qualsiasi immagine dell’esplosione registrata dai videomaker sarà destinata a un unico cortometraggio, supervisionato dal regista Alessandro Piva, l’autore de La capagira: una sequenza di esplosioni ispirata a Zabriskie point di Michelangelo Antonioni.
Ora non resta che attivare i detonatori. Un’operazione imponente. La Capitaneria di porto impedirà a qualsiasi natante di avvicinarsi oltre un terzo di miglio dalla costa. Nel raggio di 200 metri dal luogo dell’implosione sarà impedito il passaggio, a chiunque, dalle 6,45 del mattino alle 19. Sarà bloccato il traffico dei treni, poiché i binari corrono a poche decine di metri dagli edifici. Tutto per un botto da cinque secondi. E per un riscatto atteso da troppi anni.
GUGLIELMO RAGOZZINO, La saracinesca salta in aria. Per esempio, il manifesto, 2 aprile 2006
Oggi, 2 aprile, verso le 11, è prevista la demolizione di uno dei tre edifici di Punta Perotti. Il calendario delle demolizioni indica il 23 e il 24 aprile come i giorni in cui avverrà il completamento dell’opera. A questo punto la «saracinesca» che sbarra il lungomare di Bari, non ci sarà più. Ma dietro appariranno tutti i problemi, di Bari e del resto d’Italia, tutto compreso: amate sponde, città turrite, colline apriche.
Bari è l’avanguardia, ma negli anni scorsi vi è stato il caso del mostro del Fuenti, la fungaia di Eboli, le case di Ostia: tutti episodi isolati; collegati, nella diceria popolare, più all’esagerazione di sindaci troppo zelanti che all’applicazione della legge.
Bari, con l’appoggio degli ambientalisti, per esempio di Legambiente, per una volta ha ottenuto un risultato. Promette di dare una sistemazione degna a quella parte di costa di cui i costruttori, i Matarrese e gli altri, cercavano di appropriarsi. Anche coloro che avevano acquistato un alloggio negli edifici della saracinesca sapevano di partecipare a un esproprio: essi toglievano alla città, a tutti i concittadini, un bene comune come la vista del mare, la costa, il paesaggio, l’aria di tutti, la spiaggia. Non erano quindi diversi tra loro: costruttori, progettisti, poteri pubblici conniventi e futuri inquilini. Tutti uguali, tutti nemici della città. A Bari in passato è stato fatto scempio della semplice e impareggiabile città murattiana, quella che prese nome da Gioacchino Murat. Quel poco che ne resta verrà conservato e valorizzato dai baresi? Nessuno più di loro ha il diritto e il dovere di farlo. Altrimenti la demolizione di Punta Perotti non sarà servita a niente, tranne che a spostare la speculazione edilizia un po’ più in là.
Legambiente ha fatto circolare in questi giorni alcune cifre inquietanti, elaborate insieme al Cresme/Si. (Cresme sta per centro ricerche economiche sociologiche e di mercato). Vi sarebbero in Italia 3 nuove costruzioni abusive all’ora, oltre 70 al giorno. In ogni ora del giorno e della notte, compreso Natale e Pasqua, compreso il giorno delle elezioni e ferragosto, si dà inizio a 3 nuove costruzioni che essendo abusive non saranno controllate da nessuno. Anzi le forze del bene chiuderanno entrambi gli occhi e si tapperanno la bocca e le orecchie per non sentire, non vedere, non dover parlare. Le moltiplicazioni si fanno in fretta. Nel 2004 e nel 2005 le costruzioni abusive nuove sono state 32 mila in entrambi gli anni. A tale cifra si è arrivati dai 22 mila nel 2001, 25 mila nel 2002, 29 mila nel 2003 in un crescendo ammirato e studiato dagli stessi esperti della Cina, detentori di tutti gli altri record mondiali. E’ facile collegare ai condoni l’aumento delle costruzioni abusive. E’ invalsa la convinzione che in ogni caso la costruzione abusiva sarebbe stata in seguito sanata e in questo modo avrebbe acquistato un’ulteriore pregio in termini di mercato, diventando più vendibile. E anche i grandi costruttori vendono il loro prodotto a «piccoli» acquirenti che si impegnano per uno o pochi alloggi. Un condono probabile o certo è gradito ai secondi e di conseguenza ai primi, i padroni delle città, per arroganti che siano.
Se dunque nel quadriennio berlusconiano -2002-2005 - le costruzioni abusive sono state 118 mila, Legambiente offre anche il dato sul quadriennio precedente che fu berlusconiano solo per la seconda parte del 2001. Nei quattro anni 1998-2001 le costruzioni abusive censite furono 96 mila. Siamo andati di male in peggio, ma il peggio che viene dopo non giustifica per nulla il male precedente, anzi ne è la necessaria conseguenza. Il nuovo governo, ogni nuovo governo, deve imparare a dire « basta». L’esplosione di Punta Perotti, il merito dei baresi può diventare un segnale per tutti.
STEFANO COSTANTINI, Sulle macerie soffia il vento della legalità, la Repubblica, ed. Bari, 3 aprile 2006
La nuvola che si è alzata dalle macerie di Punta Perotti ha portato via in pochi secondi undici anni di polemiche. Compresa quella, un po´ ipocrita diciamolo, di cui si è discusso negli ultimi giorni, ovvero se la demolizione fosse una festa oppure no. Inutile negarlo, festa è stata, come hanno dimostrato decine di migliaia di persone che per terra e per mare hanno voluto partecipare, seppure mestamente, alla condanna a morte dell´ecomostro. Sul lungomare di Bari si è sgretolato un incubo, è caduto un tabù: non esistono più interessi e persone intoccabili, le regole valgono per tutti e vanno rispettate. Questa è la vera notizia, non tanto quelle tonnellate di cemento cancellate dall´orizzonte del lungomare, che continuerà ad essere soffocato da altre brutture. Ma quegli scheletri erano diventati un simbolo, un simbolo da abbattere per ricominciare. Serviva un rito di purificazione e il tritolo l´ha compiuto. Del resto, non sempre le feste sono gioiose e ieri è stata una di quelle.
In pochi indimenticabili secondi non si è consumata una vendetta, non c´è stato un esproprio, solo il ripristino della legalità. Perché a Bari, in Puglia, da qualche tempo soffia un vento nuovo: dal Codice etico dell´università alla demolizione dell´ecomostro, dalla battaglia contro gli accessi negati al mare alla trasparenza degli appalti, c´è la consapevolezza che qualcosa è cambiato, può cambiare. Ora si tratta di vigilare sul futuro di Punta Perotti e di tutte le punte perotti possibili. E il sindaco ora ha il dovere di fare una promessa, di giurare su quei detriti: lì dovrà nascere un grande parco, sul mare. E ciò che si costruirà nella zona dovrà essere compatibile con il sogno di una città migliore. Imprenditori di tutto il mondo si affacceranno sull´orizzonte ritrovato, si scatenerà la caccia all´affare. Insomma, l´opinione pubblica, la magistratura, le associazioni ambientaliste, parte della classe dirigente di Bari che hanno combattuto finora la battaglia non depositino le armi, non ancora. La lezione di Bari al resto del Paese è proprio questa, in definitiva. Non esistono storie segnate e neppure infinite. La storia, qualche volta, siamo noi.
DAVIDE CARLUCCI, Da Mola a tutta la provincia sorgono i gruppi di sostegno alle demolizioni, La Repubblica, ed. Bari, 3 aprile 2006
A Mola di Bari il movimento civico "Mola Democratica" ha già un elenco di ecomostri: già realizzati, e quindi da abbattere, oppure da scongiurare. «C´è una vasta lottizzazione abusiva villette sotto sequestro sul litorale nord. Esito primo grado: condanna per lottizzazione abusiva e violazione della legge Galasso con confisca suoli, passaggio al Comune dei suoli e ordine di abbattimento. Per non parlare dello stabilimento ex-Iom sul litorale sud: abbandonato e in avanzato stato di degrado con probabile rilascio di amianto».
La caccia alle prossime demolizioni è già partita in tutta la Puglia. Lo confermano le decine di segnalazioni inviate per la campagna di Legambiente e Repubblica sulla "caccia agli ecomostri". Ma anche la mobilitazione di diversi comitati cittadini, ognuno dei quali individua, nelle proprie realtà, la «nostra Punta Perotti». Usano quest´espressione gli ambientalisti di Bisceglie che lottano contro un complesso immobiliare per cui l´ufficio tecnico del Comune ha disposto l´abbattimento. «Anche a Cassano Murge abbiamo un vecchio albergo abbandonato nel mezzo di una bella collina - spiega il sindaco Giovanni Gentile - lo abbatteremo a giugno per poi riqualificare l´area con interventi edilizi più soft». A Palagianello il sindaco Francesco Petrera, vuole buttare giù e riconvertire un capannone in pieno parco delle Gravine. È stato costruito grazie alla legge regionale 3 del ‘98 che permetteva di costruire in deroga a ogni vincolo paesaggistico. Fu finanziato con i fondi della Legge 488 per creare posti di lavoro, ma il proprietario non ha mai avviato alcuna attività e ora è rimasto solo lo sfregio ambientale. «Abbiamo aperto un contenzioso per entrare in possesso dell´opificio, realizzato su suolo pubblico», spiega Petrera.
FEDERICA CAVADINI intervista MASSIMILIANO FUKSAS, «E adesso abbattiamo Corviale e lo Zen di Palermo»,Corriere della Sera, 3 aprile 2006
Un ecomostro finito in polvere, finalmente cancellato dal Belpaese, non basta a restituire il sorriso a Massimiliano Fuksas in una domenica da cani, volo Alitalia per New York cancellato, dietrofront da Fiumicino, morale dell'architetto romano: «Questo è un Paese dal quale non si riesce nemmeno a partire».
La demolizione di Punta Perotti non la conforta, non è un passo nella direzione giusta?
«Ogni dieci anni ne buttiamo giù uno e ci mettiamo a posto la coscienza. Non credo ci sia molto da festeggiare. Abbiamo nove milioni di edifici abusivi, ed è una vergogna tutta italiana, in Europa questo fenomeno non esiste. Sono appena stato a Istanbul, gli abusi sono 4 milioni e mezzo in Turchia, la metà dei nostri».
Legambiente ha presentato una sua lista di edifici da eliminare. Lei cosa cancellerebbe dal panorama? Tre esempi.
«Primo: il quartiere zen di Palermo, luogo di disperazione, chiuso come una fortezza in cui regna il degrado. Ci sono stato l'ultima volta un anno fa e non sono sceso dall'auto. Bisogna trovare case e luoghi umani per gli abitanti e ridare loro un futuro. Secondo: dopo la storia infinita delle vele di Secondigliano, altro quartiere da cancellare, sopra Pozzuoli, è Monteruscello, un fortino chiuso e impenetrabile. Terzo: qui a Roma, Corviale, un blocco di cemento armato lungo un chilometro e il colmo è che ci sono "colleghi" che lo difendono».
Ma eliminare gli ecomostri non basta.
«Tanto gli abusi ormai sono tutti condonati. Il problema in Italia è quello che non si fa. Facciamo fatica a trovare fondi per realizzare nuovi musei, per esempio, penso al Maxxi. Per l'Auditorium a Roma ci sono voluti dieci anni, per il mio Palazzo dei congressi ce ne vorranno altrettanti».
Ma la «sua» Fiera di Milano è stata realizzata in tempi record.
«Ventisei mesi: sì, sono abbastanza contento. Ma temo che sia stato un caso, l'eccezione che conferma la regola. E comunque le infrastrutture che dipendevano dal governo sono ancora in ritardo».
Cosa non funziona?
«Nulla funziona. È un Paese alla deriva. Piccolo esempio: abbiamo aperto un nuovo studio nel centro di Roma, un restauro perfetto pronto da sei mesi. Ma stiamo ancora aspettando il gas».
Soluzioni?
«Incidere nella coscienza profonda del Paese. Far funzionare la scuola, dalle elementari all'università, finanziare la ricerca. Ma non abbiamo una classe politica all'altezza. Le intelligenze creative non vengono ascoltate, non parlo di architetti ma anche di sociologi, economisti».
Lei ormai vive fra Roma, Parigi e Francoforte. È una scelta non formalizzata?
«Vero, ho voglia di andarmene. Ma non amo abbandonare una battaglia. Comunque il colmo è che dall'Italia ormai è difficile anche partire. A proposito, a quest'ora avrei dovuto essere a New York».
Massimiliano Fuksas, ha ragione quando commenta che ogni dieci anni ne buttiamo giù uno e non c’è molto da festeggiare. Poi se la prende con lo Zen di Palermo e Corviale di Roma. Qui non si può essere d’accordo. Si tratta di progetti importanti, che hanno segnato un’epoca, gli anni Settanta e dintorni, quelli della casa come servizio sociale. Forse hanno sbagliato gli architetti nel fare le case popolari come monumenti. Ma sono errori generosi, figli della nostra cultura. Discutiamone, ma senza mettere mano alla dinamite. Lasciamo ai fascisti la demonizzazione dell’edilizia collettivizzata. Per memoria ricordo che a Roma le domande di condono relative agli anni dal 1994 al 2003 (sindaci Rutelli e Veltroni) sono state 85 mila. Le demolizioni poche decine. Ci sono intere città abusive. Altro che Corviale. (vezio de lucia)
L’intervento di Vezio De Lucia pubblicato su eddyburg Errori degli urbanisti? Non credo
L'articolo di Roberta Carlini sul manifesto del 18.9.2005 riporta un fatto non nuovo, l’uso della rigida legislazione di derivazione pattizia fra Stato e Chiesa per violare la legge italiana ed operare, da parte di soggetti in vario modo legati alla Chiesa cattolica, in condizioni di impunità.
Un precedente ancor più clamoroso di edificio di culto cattolico realizzato abusivamente si ebbe con la chiesa del Centro direzionale di Napoli, realizzata dalla Mededil e non da enti della Chiesa, ma destinata al culto pubblico cattolico e quindi all’assegnazione (in proprietà ?) all’autorità ecclesiastica (art. 57 della legge 865 del 1971) come opera di urbanizzazione secondaria (attrezzatura religiosa), ai sensi degli art. 41 e 44 della legge 865 del 1971, modificativa degli art. 1 e 4 della legge 847 del 1964.
Segnalai il fatto in un mio lavoro (Gli edifici di culto nel sistema giuridico italiano, Edisud, Salerno, 1991), evidenziando che il Papa in persona era venuto ad inaugurare l’avveniristica chiesa, con tanto di guglia di architettura qualificata, ma l’edificio non solo era stato realizzato senza alcuna concessione amministrativa, addirittura non era stato ancora approvato lo strumento urbanistico che avrebbe potuto consentire il rilascio della concessione edilizia per realizzare l’opera.
La Mededil, secondo una prassi in voga negli allegri anni ottanta, aveva anticipato la realizzazione di un’attrezzatura urbana, per metterla sul piatto della trattativa con l’Amministrazione comunale, onde spuntare maggiori vantaggi per la sua speculazione in termini di cubature o di omissione di controlli.
Nel caso di Pescasseroli, oltre all’allegro utilizzo del territorio demaniale, oltre alla violazione dei vincoli derivanti dagli usi civici, oltre alla realizzazione del manufatto edilizio senza alcuna autorizzazione ad edificare, ci si imbatte in una astuta e violenta prevaricazione da parte dell’ente religioso, che evidenzia una delle più gravi incostituzionalità del concordato di Craxi del 1984 (che ha avuto esecuzione in Italia con la legge 121 del 1985).
In base ad un articolo del codice civile del 1942, l’art. 831 comma 2°, gli edifici aperti al culto pubblico cattolico non possono essere sottratti alla loro destinazione, nemmeno per effetto di alienazione, finché la stessa non sia cessata in conformità alle leggi che li riguardano. La prassi interpretativa, più che il testo letterale di questa norma, ritiene che il richiamo alle …leggi che li riguardano…, implichi l’efficacia civile delle norme del codice di diritto canonico (un ordinamento straniero rispetto a quello italiano) che regolano la destinazione al culto pubblico.
Sommessamente, invece, segnalai che poteva al più rimandarsi agli artt. 10 e 11 del vecchio concordato del 1929, e che era comunque impensabile che l’autorità ecclesiastica, appartenente ad un ordinamento diverso da quello italiano, potesse autonomamente imporre un vincolo destinativo perenne (servitù di uso pubblico soggetta alla giurisdizione della autorità straniera) senza il consenso della proprietà. Regola che dovrebbe almeno valere per la nuova edilizia di culto, vista la tutela costituzionale del diritto di proprietà (art.42 Cost.).
La revisione del concordato lateranense del 1929, operata dal Governo Craxi nel 1984, ha fra l’altro prodotto l’art.5 invocato dalle suore di Pescasseroli, che vieta l’esercizio di ogni manifestazione della potestà ablativa dello Stato sugli edifici aperti al culto pubblico cattolico se non previo concordamento con l’autorità ecclesiastica.
In nome di una pretesa difesa della libertà della Chiesa e dell’interventismo in favore dei (supposti) bisogni religiosi della popolazione, si è sancita una sorta di extra-territorialità, come per una sede diplomatica, per cui anche se l’edificio di culto sta crollando, o minaccia la pubblica incolumità, senza autorizzazione ecclesiastica i pompieri non possono intervenire.
Si noti che quella che gli amministrativisti chiamano potestà ablativa (requisizione, espropriazione, demolizione) riguarda sempre ipotesi di pubblica utilità che, dinanzi all’art. 5 del concordato, deve soccombere, perché l’autorità ecclesiastica non risponde alla lealtà costituzionale italiana, ma alla sovranità della S.Sede.
Per chi non sia del mestiere, voglio anche evidenziare che la norma concordataria non può essere rimossa con una legge ordinaria, ma richiede una revisione contrattata con la Chiesa, o un procedimento di revisione costituzionale (art.138 cost.) e che la stessa Corte costituzionale può tentare di dichiarane la incostituzionalità (abrogandola) solo comparandola con i supremi principi dell’ordinamento costituzionale, categoria di fonti inventata dalla Corte stessa, ma non enucleabile che da lei.
Le suore di Pescasseroli, quindi, hanno imposto un vincolo destinativo illegale, senza consenso della proprietà, peraltro su un edificio illegittimo (corpo di reato), cercando di avvalersi di una copertura di tipo internazionalistico, illecitamente creata dal concordato craxiano.
Quando troveremo un giudice dello Stato disposto a sollevare la questione di incostituzionalità dell’art. 5 ?
A TRICASE, IN PUGLIA, UN COMITATO DI CITTADINI COMPRA UN RUDERE PER POI ABBATTERLO. Ieri l'altro mattina alle 9.00, le ruspe e i martelli pneumatici sono entrati in azione nel territorio di Tricase (Lecce), in contrada Mito, per buttare giù il rustico di una villetta semiabusiva di circa 100 metri quadrati. Il piccolo edificio si trovava su un terreno di oltre 3.000 metri quadrati, a due passi dall'antica Torre del Sasso, compromettendo lo splendido paesaggio sulla serra costiera.
Si è compiuto così il primo proposito della lucertola salentina, Coppula Tisa, il personaggio alla guida del progetto animato dal Comitato Finis Terrae e da Kpr Comunicazione, con il fine di promuovere un cambiamento culturale nella percezione dei luoghi, a partire proprio dal Salento. Il comitato di cittadini formatosi l'anno scorso ha lavorato per sensibilizzare l'intera comunità in un appassionato dibattito culturale sul valore della bellezza e sulla tutela del paesaggio. Primo obiettivo della campagna l'individuazione, l'acquisto e la successiva demolizione di un immobile simbolo del degrado architettonico.
È stata scelta una costruzione in palese contrasto con l'identità culturale dei luoghi e per questo emblematica di una responsabilità storica collettiva sull'uso del territorio e sulla generale perdita del senso della bellezza. L'evento segna un punto di svolta nella storia italiana, dato che da tutta Italia e dall'estero, attraverso la sottoscrizione popolare e il contributo di Banca Popolare Pugliese, sono stati raccolti contributi per un totale di 80.000 euro utili per sostenere l'acquisto e la demolizione di questo piccolo immobile. I cittadini hanno messo mano al portafogli per dire basta all'indifferenza che ha portato le nostre campagne e i nostri litorali ad essere invasi da costruzioni invasive e in totale difformità di logica con il territorio.
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L'entusiasmo e la partecipazione di tutti hanno dato finalmente corpo ad un grande ideale: la riscoperta del valore dell'armonia tra l'uomo e il paesaggio naturale. L'associazione, attraverso queste azioni, sostiene di effettuare il condono morale, convertendo il condono edilizio in un gesto di civiltà che ci riscatta tutti. Il terreno, restituito alla sua antica poesia e bellezza, verrà riconsegnato al beneficio della collettività nel corso di una cerimonia ufficiale che si svolgerà sullo stesso luogo il giorno 30 luglio, alle ore 18.00, alla presenza del Presidente della Regione On. Nichi Vendola, chiamato a controfirmare un documento di impegno con il comitato Finis Terrae. La Regione Puglia ritorna così grazie all'impegno dei cittadini ad essere il garante pubblico della tutela di un bene comune, impegnandosi ad apporre un vincolo di inedificabilità assoluta al luogo. In tal modo i cittadini responsabilizzano la regione che dopo un fatto del genere non potrà più far finta di non vedere, e incarnano per un momento un'autorità pari a quella dello stato riuscendo dove questo ha più volte fallito.
È questo il momento centrale della campagna promossa da Coppula Tisa (personaggio del fumetto satirico ideato da Norman Mommens, una lucertola con la coppola all'insù, come usavano i contadini fieri di una volta, che mise alla berlina vizi politici e affaristici), poiché l'obiettivo del progetto non è rappresentato tanto dalla "demolizione", che pure ha un valore simbolico, quanto piuttosto dalla "costruzione" di una nuova cultura dell'armonia, del recupero del buonsenso, che pone in primo piano il bene comune rispetto alle esigenze egoistiche del singolo. L'associazione si propone di acquistare pezzi di territorio ritenuti interessanti allo scopo di preservarli da edificazioni e discariche selvagge, interrare i pali di cemento, bonificare le aree ritenute importanti dal punto di vista ambientale ed estetico, coinvolgere i ragazzi delle scuole a scopo didattico, organizzare campagne di sensibilizzazione ambientale, piantumare essenze botanicamente (e culturalmente) compatibili con il territorio, riorganizzare i cartelloni pubblicitari e i neon nei paesi, abbattere i "mostri" e creare un "pensatoio" economico e legislativo, per incentivare chi costruisce dopo aver abbattuto, o dare più valore a terreni sgombri da edifici. Attraverso queste azioni Coppula Tisa celebra insieme ai suoi sostenitori la riconquista del paesaggio alla comunità, dando al territorio il valore di luogo di relazioni e non di lottizzazioni.
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Alla base di questa operazione vediamo scardinate le logiche prettamente consumistiche e di profitto vigenti, in favore di una rinnovata visione per cui "l'uomo contemporaneo recuperi quel sentimento che tocca più i sensi e meno l'intelletto che è la percezione estetica e morale delle cose." Il fatto che tutto ciò passi per i cittadini e il finanziamento di una banca può far sperare che davvero qualcosa stia cambiando nella mentalità del "Bel Paese", che scoppia di costruzioni venute alla luce, nella maggior parte dei casi, negli ultimi cinquant'anni (che superano, per quantità e volume, nove volte quelle edificate nei precedenti 2200 anni fino alla Seconda Guerra Mondiale). Questo ci deve fare riflettere sulle reali possibilità di considerare il territorio e le sue modificazioni in termini di equilibri ambientali e sociali evitando i disastri che derivano da questo attacco all'armonia, all'anima italiana. Dal Tacco d'Italia parte una sfida pronta a colpire su tutto il territorio italiano e chissà che non riesca a fare da ponte per evitare la costruzione di colossi di cemento armato ritenuti indispensabili solo per il grande ritorno in immagine che procurerebbero, e reinvestire i fondi in azioni utili per intervenire sul territorio già palcoscenico di disastri ecologici e sociali.
Nota: qui il sito dell'Associazione Coppula Tisa (l.t.)
Urbanizzazione alle pendici del Vesuvio (Controluce) Il primo ad andarsene è fra i primi che quel giorno ci dovrà essere. Perché se il Vesuvio dovesse svegliarsi, Pasquale Belviso non potrebbe allontanarsi di un metro. Sarebbe costretto a restare accanto ai macchinari dell’Osservatorio geologico, proprio lì, sulle pendici del vulcano. Quei macchinari che, ogni fine mese, gli assicurano uno stipendio da tecnico di laboratorio. Ma che non potranno garantire, quel giorno, la sicurezza della sua famiglia. Allora meglio andare via, infilandosi in quella breccia di speranza aperta dalla Regione Campania: trentamila euro per costruirsi una casa altrove.
Un attimo: e se invece il motivo fosse un altro? Se l’equipaggio stesse abbandonando la nave in vista di un imminente disastro? È quanto si chiedono 600 mila persone, che non vivono a bordo di un transatlantico, ma su una polveriera. Certo, l’interrogativo svapora davanti a dati scientifici che raccontano di un vulcano in letargo, così assopito che nemmeno si stiracchia. Ma se abiti nei 200 chilometri quadrati più pericolosi d’Italia e, una mattina qualunque, leggi che il primo a scappare sarà un tecnico dell’Osservatorio Vesuviano, beh, c’è poco da fare: un brivido lungo la schiena ti corre comunque. Perché, dentro i confini della «zona rossa», la superstizione conta più della prevenzione e il fatalismo uccide spesso la ragione.
Capita perfino quando, dopo decenni d’immobilismo, qualcosa si muove e la Regione decide di premiare chi comprerà casa altrove. Grazie al cielo però c’è Pasquale Belviso, il tecnico che per primo ha richiesto il bonus. Non è tipo da amuleti, quest’uomo di 35 anni che vive a Ercolano e conosce il Vesuvio come fosse un parente. Gli è stata offerta un’opportunità, ci ha ragionato su con la moglie e i due figli, e insieme hanno deciso. Come hanno fatto, del resto, le altre 900 famiglie che, in appena due giorni, hanno ritirato il modulo per il finanziamento. «La mia non è una fuga - precisa -. Rispetto il vulcano, ma non lo temo perché è sorvegliato 24 ore su 24.
E se dovesse svegliarsi, ci avvertirebbe con largo anticipo. In caso di eruzione, però, mi ritroverei a dover scegliere cosa fare: portare in salvo la mia famiglia, o rimanere al lavoro per fronteggiare l’emergenza. Allora ci siamo detti: perché aspettare ancora... Ci danno un’opportunità, cogliamola al volo». Peccato che la Chiesa locale sia convinta del contrario e affidi i suoi dubbi a una lettera firmata dai vicari episcopali e dai decani dei Comuni vesuviani. «Se è vero che gli incentivi economici produrranno l’allontanamento di circa 100 mila persone in 15 anni - si legge nella missiva indirizzata al presidente della Campania, Antonio Bassolino, e all’assessore regionale all’Urbanistica, Marco Di Lello - che qualità di vita avranno le altre 500 mila che resteranno?».
Parole addirittura accomodanti se confrontate con quelle pronunciate da don Raffaele Borriello, vicario di Torre del Greco. «Il danno d’immagine inferto col bonus è un dato certo - sentenzia il prelato -. Il solo invito ad andar via è un atto che spinge alla rassegnazione chi resta». Marco Di Lello, lo stratega del piano che prevede uno stanziamento di 772 milioni di euro in 15 anni destinati a cambiare la faccia dei 18 Comuni a rischio, non cede alla tentazione del rattoppo. Parla chiaro e poco gli importa se lo strappo si fa più profondo.
«Dov’erano i parroci e i vicari episcopali quando le palazzine venivano su a pochi metri dal cratere e l’abusivismo sfregiava irrimediabilmente la loro terra? - sbotta -. Sbaglierò, ma non ricordo che abbiano alzato la voce come fanno adesso. E poi, dicano almeno che cos’hanno in mente: dobbiamo restare con le mani in mano ad aspettare che ci piovano sulla testa cenere e lapilli? Abbiamo consultato decine di volte i sindaci della zona per capire quale fosse la strada migliore. E sono i sindaci a rappresentare le comunità nelle istituzioni: chi altro avremmo dovuto ascoltare?».
Ma attenzione, il Vesuvio nasconde anche uno spicchio di paradiso. Silenzioso, piccolo, ma sufficiente a contenere i sogni di molte famiglie napoletane che, non potendo concedersi il lusso di una casa in città, la vengono a comprare qui, dove i prezzi sono ancora accessibili. «Tre anni fa, mi sono trasferita a Ercolano con mio marito e nostro figlio - racconta Loredana Mariniello, ricercatrice della facoltà di Scienze biotecnologiche -. Con la stessa cifra, a Napoli avremmo acquistato a stento un bilocale da ristrutturare. Oggi, invece, viviamo in un appartamento di cento metri quadri con parco e posto auto. Lo so, è rischioso. All’inizio ci pensavo spesso, poi mi sono abituata e non ci faccio più caso. Come tutti, d’altronde. E credo proprio che, se il vulcano vuole, rimarremo a lungo insieme».
Il nuovo condono edilizio, vergognosetto ma invocato come ormai indispensabile per tirar su un po' di soldi, nasce sotto auspici incoraggianti. La sanatoria delle sanatorie, l'autocertificazione offerta dalla Regione Sicilia ai 400 mila isolani colpevoli di abusi edilizi, che da anni e anni lasciano ammuffire le pratiche dei vecchi condoni nella certezza che nessuno andrà mai a disturbarli, è stata accolta infatti così: 1,1% di adesioni a Palermo, 0,37% a Messina, 0,037% a Catania. A Agrigento i cittadini che temono le ire dello Stato e hanno scelto di chiudere il vetusto contenzioso sono 3 (tre) su 12 mila.
Gli amministratori regionali si aspettavano entrate per 700 milioni di euro (1.750 per ogni abusivo) di cui 70 solo quest'anno. Dalle quattro città principali, scaduti i termini fissati, ne arriveranno 1 milione e 85 mila. Hanno deciso una proroga. Auguri. La catastrofe siciliana, ridicola se non fosse tragica, è tuttavia soltanto la punta estrema di un panorama che, sul fronte dell'edilizia fuorilegge, è per molti aspetti disastroso. Eppure, si sapeva. Da anni. Basta rileggere cosa scriveva il Sole 24 Ore sul condono del 1985 varato, tra le polemiche, da Bettino Craxi e Franco Nicolazzi: «Secondo il Censis, le oblazioni porteranno circa 5.500 miliardi e gli oneri di concessione faranno incassare ai Comuni circa 7 mila miliardi, ma a fronte di questi 13 mila miliardi circa, la collettività dovrà spendere da 11 a 25 mila miliardi per realizzare le opere di urbanizzazione». Errore: sarebbe andata peggio. I miliardi di vecchie lire incassati al 31 dicembre 1986 furono 3.500 (tre volte di meno degli oltre 9 mil a sbandierati nelle previsioni) a corredo di circa un milione e 300 mila domande contro i 3 milioni che erano stati ottimisticamente previsti sulla base del censimento che nel 1981 aveva fatto «scoprire» la nascita in soli dieci anni di 4 milioni e 418 mila abitazioni: il doppio di quelle stimate dall'Istat. Quanto ai costi per urbanizzare intere borgate abusive sparse per l'Italia portandoci strade e fognature e luce e tutto il resto, si sa come andavano le cose in quegli anni, coi lavori pubblici. Segnati da rincari che talvolta, come denunciò la Corte dei Conti accusando Edoardo Longarini, vedevano «sovrapprezzi del 258% (sbancamento), 477% (fondazione da 0 a 2 metri) e 156% (fondazione sotto i 2 metri)» rispetto ai prezzi Anas. Al Comune di Roma hanno fatto i conti: dal condono del 1985 e da quello berlusconiano del 1994 hanno ricavato in totale 467 milioni e mezzo di euro. Cioè 922 per ognuna delle 506.578 domande di condono. O se volete 1.502 euro per ciascuna delle 311.034 pratiche portate a compimento. Tiriamo le somme? Tra questi abusi, dalle marachelle venali alle porcate più vergognose, c'erano circa 100 mila case abusive costruite tra il 1967 e il 1993. In larga parte villini tirati su alla meno peggio senza uno straccio di programmazione, nel caos più totale della più scalcagnata periferia capitolina. Bene: l'urbanizzazione primaria e secondaria di un'area progettata in ogni dettaglio, dalle strade alle fognature ai servizi essenziali, costa circa 22 mila euro per ogni abitazione, caricati per 15 mila sulla famiglia che compra o costruisce seguendo la legge. Ma questo se ogni intervento è coordinato e prefissato. Nel caso delle borgate abusive, ciao: il costo di una urbanizzazione completa schizza fino a 30 mila o oltre. Risultato: anche quelli che approfittarono del condono berlusconiano, assai meno ge neroso di quello craxiano, hanno pagato in questi anni circa 10 mila euro, di cui 5 mila al comune di Roma. Una cifra da tre a quattro volte più bassa di quella costata allo stesso Comune per mettere i fuorilegge «redenti» in condizioni di vivere in modo civile. Il che fa dire ai responsabili dei settori coinvolti, dall'assessore Roberto Morassut al direttore dell'ufficio condoni Riccardo Lenzini, che se le case da condonare adesso fossero 20 mila (stima riduttiva) lo Stato e il Comune incasserebbero 200 m ilioni di euro contro una spese di almeno 440. Un bell'affare... Questo se tutti pagassero. Ma così non è. Basta prendere, appunto, il caso della Sicilia che insieme con la Campania, la Calabria e la Puglia copre da sempre, accusa Legambiente, il 37% (qualche anno di più, qualche anno di meno) del panorama dell'abusivismo italiano. Nell'isola scoppiò la rivolta, quando uscì il condono del 1985. Dissero che era troppo severo e bloccarono le autostrade e fermarono i treni e paralizzarono Palermo. «Non riusciremo mai a pagare queste cifre!» E tutti i sindaci in coro, train ati da quello comunista di Vittoria si sgolavano: «Hanno ragione!». Il prezzo fissato per sanare era: 25 mila al metro quadro per le case costruite prima del 1977, 36 mila per quelle fatte dopo. Per capirci: 2 milioni e mezzo di multa più 6 e mezzo di oneri per una casa di 100 metri quadri. Totale: 9 milioni. Ma c'era il trucco: degli oneri andava saldato subito solo il 10%. E la stessa multa andava calcolata sulla base di tabelle che sistematicamente furono, diciamo così, interpretate al ribasso. Risultato: 400 mila abusivi, in cambio di un anticipo certo non rovinoso, bloccarono per anni e anni inchieste, espropri e minacce di abbattimento in attesa di chiudere la pratica successivamente. Quando? Con calma... Franco Piro, coordinatore della Margherita ed ex assessore siciliano al bilancio, ricorda come andò a Termini Imerese, 28 mila abitanti: «Istanze esitate nella I sanatoria: 40%. Nella II: 10%». E già possono andar contenti, lì: altrove è andata assai peggio. Con percentuali di fascicoli portati fino a conclusione assolutamente ridicole. Nonostante la Regione, per accertare quante domande fossero o meno in diritto di essere accolte, avesse assunto con la legge 37/85, una caterva di geometri e impiegati e ingegneri per un totale di 1.324 giovani. Tutti precari poi confermati dall'assunzione definitiva. Con una spesa a carico di Mamma Chioccia, in quindici anni e passa, stimata in oltre 600 milioni di euro. Pari a quasi il doppio dei 360 che risultano incassati nell'isola dal condono del 1994. Un costo spropositato, accusano i nemici del condono, tanto più rispetto ai risultati: poco più di 1.500 pratiche portate a compimento a Palermo. Su 50 mila. Al punto che qualche mese fa, come dicevamo, la Regione ha deciso di tentare una sanatoria della sanatoria offrendo agli abusivi in sonno, ben decisi a starsene quieti e non svegliare il cane dormiente, la possibilità di chiudere i conti e mettersi in regola con l'autocertificazione. Come sia andata l'abbiamo detto: 63 risposte su 17 mila a Messina, 3 su 12 mila ad Agrigento, 9 su 25 mila a Catania... Perché muoversi? Metti che il prossimo condono sia ancora più generoso... (1 - continua) La cronaca
Arriva il condono edilizio da 1,5 miliardi
Antonella BaccaroROMA - E adesso il governo deve affrettarsi. L’annuncio ufficiale, dato ieri dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che il condono edilizio si farà e dovrà portare nelle casse dello Stato 1,5 miliardi di euro, spazza via le obiezioni politiche sul «se» sia opportuno varare una sanatoria. Il confronto si sposta ora sul «come» procedere, con l’esigenza primaria di circoscrivere immediatamente la portata del provvedimento, per evitare che nel Paese si scateni una corsa all’edificazione selvaggia. All’inaugurazione della Fiera del Levante di Bari, il premier, ricostruendo i termini della prossima manovra, ha dosato le parole: «So che il condono edilizio dà fastidio a tutti - ha detto - ma ci troviamo con l'esigenza di trovare 2-3 mila miliardi di vecchie lire e non possiamo farne a meno. E’ una misura che possiamo fare una sola volta». Il fatto che Berlusconi abbia riportato il condono all’interno della Finanziaria non significa che tramonti l’ipotesi di anticipare la misura con un decreto. Questo sembra ancora l’orientamento dei tecnici ministeriali che in questi giorni avrebbero ipotizzato una riapertura dei termini del condono del 1994 (per quanti cioè abbiano edificato per non più di 250 metri quadri rispetto a quanto accatastato legalmente), aggiornato nella tempistica (per gli abusi commessi fino al 30 giugno 2003) e nelle somme da versare: rateizzabili in tre anni con un acconto non inferiore al 50% del dovuto e pari, in media, a 100 euro al metro quadro.
Un condono simile avrebbe poco a che fare con la sanatoria per le sole «opere interne» ipotizzato da Alleanza nazionale. Ieri il ministro delle Politiche agricole, Giovanni Alemanno, ha sottolineato la necessità che i termini del provvedimento vengano «concordati» con il ministero dell'Ambiente «perché va verificato che non serva a giustificare scempi ambientali, per esempio salvando gli ecomostri». In sintonia il ministro delle Politiche comunitarie, Rocco Buttiglione che, commentando l’annuncio del premier, ha detto: «Non facciamo salti di gioia, ma sappiamo che la situazione della finanza pubblica è quella che è. Bisognerà limitarsi agli abusi di entità minore che derivano dall’inefficienza dei Comuni». Una tesi, quest’ultima sostenuta anche dal presidente di Assoedilizia, Achille Colombo Clerici. Sempre Buttiglione propone che siano i Comuni a stabilire quali opere siano sanabili «perché ci possono essere quelle che, pur rientrando nella metratura prescritta, violano l’ambiente o l’arte». Infine, secondo il ministro, ai Comuni minori dovrebbe andare un finanziamento per far fronte alla mole di lavoro che il condono comporterà.
A questo proposito il responsabile delle Infrastrutture di Forza Italia, Maurizio Lupi sottolinea «che bisognerà evitare improvvisazioni, curando in particolare che non si vadano a sanare abusi per cui sia già stata chiesta la sanatoria nei due precedenti condoni». La sanatoria è per il vicepresidente di Confindustria, Francesco Rosario Averna «una strada che porta all'illegalità». E’ una misura «inefficace e pericolosa» per il sindaco di Roma, Walter Veltroni. Ironizza il presidente Ds, Massimo D'Alema: «E’ uno scandalo. Mentre le riforme Berlusconi non le sa fare, i condoni sono la sua specialità». Ermete Realacci, presidente di Legambiente e membro dell'esecutivo della Margherita, promette un’«opposizione durissima». E il Verde, Paolo Cento, annuncia un girotondo intorno a Palazzo Chigi.
MILANO - Puzza. Più lo annusi e più puzza, questo condono edilizio varato sotto il titolo furbetto e ipocrita «Misure per la riqualificazione ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio nonché...». Repressione dell’abusivismo? Leggete il comma 6 dell’articolo 8. Dove si dice, alla faccia della favoletta sul silenzio-diniego, che il pagamento della multa e degli oneri più la presentazione di tutti i documenti richiesti entro il 30 settembre 2004 equivarranno due anni dopo, «senza l’adozione di un provvedimento negativo del Comune», al «titolo abilitativo edilizio in sanatoria». Traduzione: stavolta gli abusivi non saranno manco costretti a restare in sospeso per anni aspettando la risposta degli uffici tecnici municipali. Fatta eccezione per le poche aree protette dai vincoli più rigidi, basterà che attendano la scadenza dei 24 mesi. Dopodiché, se per pigrizia o complicità nessuno avrà mai aperto il loro fascicolo, ciao: saranno in regola.
Indovina indovinello: come pensate che possa finire se intere regioni non sono ancora riuscite a sbrigare il 20% delle pratiche degli altri condoni vecchie di nove e di diciotto anni?
REGALI PER GLI ABUSIVI - Il silenzio-assenso non è neppure l'unico inserto eticamente schifosetto inserito in questo condono che qualche buontempone aveva preannunciato «leggero». All'articolo 7 («definizione degli illeciti edilizi») in fondo a un delirante labirinto di «disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e successive modificazioni...», c'è per esempio un regalo in più a chi approfitta della sanatoria: l'estinzione del reato. Accompagnato dalla seguente precisazione: «Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abitativo edilizio in sanatoria». Prego rileggere: «Per ogni singola richiesta». Quattro paroline che, secondo Beppe Arnone e gli altri avvocati di Legambiente, «consentirà ai palazzinari che hanno tirato su interi villaggi o condomini da 10 piani, di sanare tutto: basterà che ogni proprietario condoni il proprio pezzo. Una casa Mario, una Ugo, una Giovanni...».
AREE PROTETTE - Obiezione: il silenzio-diniego proteggerà le aree protette! Senza lasciare neppure la possibilità di fare ricorso! Macché: Altero Matteoli, il ministro dell'Ambiente che si era consolato con questa versione, ha letto male. Al comma 2 dell'articolo 10 sta scritto, certo, che gli abusi nelle aree di tutela sono sanabili solo con l'ok delle amministrazioni preposte. E che se queste non rispondono entro 180 giorni, la risposta è no. Ma «il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto». Quanto al comma 5, spiega che un antico principio viene rovesciato: una volta se costruivi una casa su terreno dello Stato diventava automaticamente proprietà pubblica. Ora non più: basta pagare e sei tu a prenderti la terra pubblica che hai occupato. Cosa possa significare per il Demanio, soprattutto in certe aree meridionali, lo potete immaginare.
IATTURA PER IL SUD - «Il Mezzogiorno cialtrone e devastatore del passato sta pericolosamente rialzando la testa e il condono lo aiuta», ha scritto ieri mattina Gianfranco Viesti nell'articolo di fondo della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, giornale certo non ostile al governo e men che mai anti-meridionalista. Il titolo già diceva tutto: «Condono edilizio iattura per il Sud». Iattura morale, iattura politica, iattura finanziaria. Nel momento in cui ha deciso di vendersi anche l'anima tirandosi addosso le critiche pesantissime non solo degli svagati fraticelli ambientalisti ma anche della Confindustria, il governo non deve aver fatto benissimo i conti.
Basti prendere a esempio il caso di Ardea, un paesotto alle porte di Roma che negli ultimi dieci anni è passato da 16 a 26 mila abitanti dilagando nelle campagne nel caos più assoluto e spesso illegale: se ognuno degli abusivi che ha tirato su le 430 case fuorilegge pagasse sul serio i 155 euro al metro fissati come tetto massimo dalla sanatoria (sinceramente: campa cavallo!) lo Stato incasserebbe 6.665.000 euro per poi spenderne almeno 9.460.000 in oneri di urbanizzazione. Una perdita secca di quasi tre milioni. Solo ad Ardea.
ONERI DI URBANIZZAZIONE - Per avere un'idea di quanto ci rimetterebbe in tutta la penisola, basta confrontare il dato che il Tesoro confida di ricavare dalla sanatoria, 3,3 miliardi di euro, con quello che costerebbe portare poi tutti i servizi (fogne, acqua, strade, luce pubblica....) nelle borgate, nei villaggi turistici, negli osceni agglomerati costieri nati fuori da ogni legge. Minimo (minimo) 22 mila euro ad abitazione. Che fanno, moltiplicati per le 362.676 case abusive nate secondo il Cresme dal 1994 in qua, 7 miliardi e 978 milioni. Un affarone.
Ammesso che la gente paghi. Come dice il dossier Ecomafia2003 , il 47,7% degli abusi viene commesso nelle quattro regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania) in cui lo Stato fatica molto a farsi rispettare. Ora: se è vero che queste regioni sono storicamente non solo più povere ma anche più riottose a pagare oblazioni, multe e contributi (come testimoniano i disastrosi risultati dei condoni precedenti quando la stragrande maggioranza degli abusivi ha pagato la prima rata per bloccare inchieste e demolizioni e poi non ci ha pensato più) è pensabile che ora accettino di tirar fuori, come minimo, 98 euro al metro quadro? E' pensabile che chi se n'è infischiato perfino della sanatoria della sanatoria offerta dalla Regione Sicilia sganci adesso, per 100 metri quadri, almeno 9.800 euro per rientrare dentro una legalità urbanistica alla quale si sente culturalmente estraneo? Certo: chi non ci sta rischia di vedersi la casa abbattuta. Ma il rischio, dicono le statistiche, è in queste quattro regioni intorno allo 0,97% perfino nei casi in cui c'è già l'ordinanza di demolizione.
Dicono i promotori del condono che adesso, per le ruspe, ci sono finalmente i soldi. Da 50 a 100 milioni di euro. Bene. Peccato che, come dimostrano i numeri di chi le demolizioni le ha fatte davvero come ad Eboli, ogni metro cubo demolito costa 17 euro. Fate i conti: calcolando 300 metri cubi a casa, i soli 21 mila edifici insanabili da demolire in Sicilia con provvedimenti già esecutivi (sulla carta) si porterebbero via 107 milioni. Cioè l'intero stanziamento. Auguri.
NAPOLI - Non gli bastava 'o sole, non gli bastava 'o mare, non gli bastava 'o Vesuvio. E così il proprietario di «Hercolandia», un parco giochi abusivo sul fianco del vulcano, ben dentro il vincolatissimo parco naturale, ha tirato su una torre Eiffel. Enorme. Luccicante. 'Na bellezza. Intonatissima a questa Disneyland sgarrupata e fuorilegge che sulla carta figura così: spettacolo viaggiante. Da rimuovere ogni anno, a fine stagione. Solo che, avuta la licenza, il padrone non si è mai ricordato di portarsi via la roba. E anche quest'anno si è dimenticato lì il muro di recinzione, la cancellata, il bar, il capannone dei giochi, la pavimentazione, la piscina, le giostre e pure la Tour, che svetta possente e ridicola sul golfo più bello del mondo.
Quando un amico gli chiede se non teme che un giorno, metti caso, chissà, possano demolirgli quel pezzo di grandeur français e svettante su Torre del Greco, fa spallucce. I numeri gli danno ragione. Dice uno studio di Legambiente che le domande di condono per abusi edilizi nei soli 13 comuni che hanno un pezzo del territorio dentro il Parco nazionale del Vesuvio, sommando la sanatoria del 1985 e quella del 1994, furono 49.087. Una enormità. Che sommandosi con i quartieri popolari progettati da una mano pubblica non troppo scrupolosa (valga ad esempio il caso dell'ospedale di Torre del Greco che il primo presidente del Parco, Ugo Leone, scoprì essere stato tirato su in mezzo a un'antica conca lavica) e le contrade di case e fabbriche e laboratori più o meno legali dilagate alle pendici del monte Somma con devastante spontaneismo, hanno dato vita a una periferia ad altissimo rischio.
Certo, dall'ultima eruzione del 1944 sono passati 59 anni e la statua di San Gennaro, che nel 1906 riuscì a fermare la lava a un passo da Trecase, può fare miracoli. Tutti sanno però che un giorno o l'altro il Vesuvio si sveglierà. E anche chi non vuole prendere sul serio le ipotesi pessimistiche di Alfonsa Milia, una ricercatrice che sul Journal of Geological Society di Londra ha previsto un gigantesco maremoto, concorda tuttavia con il vulcanologo Franco Barberi: «Non esiste al mondo una località a più alto rischio vulcanico considerando l'abnorme concentrazione edilizia spintasi fino a poche centinaia di metri dal cratere». Dice Giovanni Macedonio, direttore dell'Osservatorio Vesuviano, che il vulcano è «tranquillissimo» ma che «prima o poi dovremo fare i conti con una nuova eruzione». Il materiale incandescente sta pressato a una profondità di otto chilometri. Un bene e un male: quando verrà su, dice, dovrebbe dare un po' di tempo per l'evacuazione. Dovrebbe. Ma poi quello strato di lava «salterebbe come un tappo di champagne».
Dal 1631 ad oggi il Vesuvio ha brontolato, più o meno rovinosamente, 42 volte. In media una ogni otto anni. E lo sapevano i bisnonni e lo sapevano i nonni e lo sapevano i padri di chi ha ammucchiato tutte quelle migliaia di case. Niente. E il governo regionale di Antonio Bassolino si trova oggi, senza avere i soldi necessari come non ce li ha il governo Berlusconi, a dover trovare una nuova casa a 700 mila persone a rischio. Incentivate ad andarsene, fino all'esaurimento dei fondi, con buoni-casa di 25 mila euro a famiglia.
E' da pazzi costruire lì, sotto il vulcano. Eppure hanno continuato a farlo. E via via che si faceva certezza l'ipotesi del nuovo condono berlusconiano, dicono a Legambiente, si sono risentiti i rumori dei martelli pneumatici e dei camion delle imprese abusive che sono al servizio, se non direttamente possedute dai clan camorristi che controllano il ciclo del cemento: Apicella a Casal del Principe, Bardellino a Caserta, Polverino a Marano... Ditte fantasma che fanno tutto in nero e che si vantano, secondo il sostituto procuratore della Repubblica di Nola, Federico Bisceglie, il quale con due colleghi è oberato da 33 mila procedimenti, di costruire un villino, dalle fondamenta al tetto in 288 ore: dodici giorni e dodici notti.
Quanti sono gli edifici abusivi costruiti all'interno del parco? Boh. Per Legambiente, che accusa una larga parte degli uffici pubblici di non avere la più pallida idea della situazione, «almeno 5.000». L'Ente Parco, che però ammette di potersi muovere solo quando c'è una denuncia e quindi di avere dei numeri ufficiali inferiori a quelli reali, dice di averne censiti, soltanto dal '97 ad oggi, 418. Abbattuti? Una ventina. Per una spesa complessiva di 757 mila euro. Un miliardo e mezzo di lire: 70 milioni a demolizione. Ma le ultime due, uniche del 2003, ne sono costati insieme quattrocento.
«E' molto, molto, molto costoso - spiega il direttore del parco, Carlo Bifulco -. Un 10% se ne va in spese legali per respingere ricorsi, un 40% nelle demolizioni, un 50% nelle discariche: non è che noi possiamo buttare le macerie nelle discariche abusive».
«Dall'ordinanza di abbattimento alla sua esecuzione passano in media quattro anni: troppi», spiega il presidente Amilcare Troiano, di An. Dice che adesso, un po' dalla giunta regionale di sinistra e un po' dal governo di destra, arriveranno due milioni e mezzo di euro, per l'operazione ruspe. Dopo di che resterà il problema principale: nessuno vuole vincere gli appalti per abbattere le case abusive. L'ultima gara è andata deserta. Troppi rischi. E quando finalmente i caterpillar sono entrati in azione, la sede dell'Ente Parco ha dovuto chiedere la protezione di quattro guardie armate. Con gli impiegati, il cuore in gola, barricati negli uffici.
Figuratevi come va nel resto della regione, dove secondo il procuratore generale della corte d'Appello di Napoli, Vincenzo Gargano, è in corso una «aggressione al territorio» con la sistematica violazione di ogni legge, urbanistica e penale, dato che tutte le volte che vengono sequestrati cantieri si assiste a «reiterate violazioni dei sigilli». Nel tentativo di capire le dimensioni di questa Caporetto dello Stato, Legambiente ha chiesto a tutti i comuni come si regolavano con gli abusivi. Qualcuno, come Vico Equense, dove sorge un mostro non diverso dal famigerato «Fuenti» e dove nessuno deve aver mai messo le mani nei faldoni , ha risposto che andassero loro, gli ambientalisti, «nei giorni di accesso al pubblico», a cercarsi i dati: «l'estrapolazione manuale di tali dati dai fascicoli richiede un impegno lavorativo non indifferente».
Altri hanno dato risposte da far cadere le braccia. Le demolizioni eseguite rispetto a quelle firmate a partire dal 1988 (non rispetto agli abusi: alle demolizioni già decise) sono state 22 su 2.922 a Ischia, 10 su 3.204 a Torre del Greco, zero su 900 a Grumo, zero su 1.093 a Marano, zero su 1.617 a Casamicciola. Una resa.
Alla quale brindano, tra gli altri, i ristorantoni hollywoodiani con colonne corinzie e porticati finta-Pompei costruiti alla faccia di ogni vincolo sulla strada che sale al cratere da Trecase. Roba per palati fini. In un trionfo di statue: dalla Venere di Milo al Discobolo, dal Davide a Capitan Fracassa. Tutti insieme a far compagnia a Brontolo, Eolo, Mammolo, Cucciolo... Poveri nani. (2 – continua)
Cinque anni fa nel mese di settembre a Eboli avviammo un intervento di bonifica contro l'abusivismo edilizio che era presente sulla nostra fascia costiera. La camorra negli anni sessanta e settanta lungo gli otto chilometri della nostra costa aveva lottizzato il territorio. In una villa appartenuta al clan Galasso, che il nostro comune ha confiscato utilizzando la Rognoni-LaTorre, vennero trovate le bozze del piano regolatore di Eboli.
Il fenomeno abusivo aveva assunto le caratteristiche di un affare di miliardi. In quattro anni riuscimmo ad abbattere 450 costruzioni abusive, spendendo 2 miliardi di vecchie lire. Per il primo intervento che riguardò 72 costruzioni abusive, in quell'ormai lontanissimo settembre del 1998, ricorremmo al genio militare. Le nostre gare di appalto andavano puntualmente deserte, le imprese avevano paura di parteciparvi. Fu vicino a noi, per fortuna, lo Stato. Avemmo al fianco Prefetti come: Natale D'Agostino, oggi scomparso ed Efisio Orrù oggi Prefetto di Cagliari che ci accompagnarono passo dopo passo, insieme al magistrato Angelo Frattini della procura di Salerno.
Tutti insieme riuscimmo in quei mesi straordinari a costruire una formidabile sinergia tra tanti pezzi dello Stato e anche aziende private. Prefettura, Procura di Salerno, Provincia di Salerno, Comune di Eboli, Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale, ASL SA/2, Telecom, Enel, Vigili del Fuoco, fu particolarmente entusiasmante vederci intorno ad un tavolo per risolvere in maniera definitiva un problema di illegalità quotidiana. La favola durò sino al 2001!
Vezio De Lucia nella intervista all' Unità sostiene che oggi questo non sarebbe più riproponibile. Ritengo che abbia pienamente ragione. Oggi il Comune di Eboli è denunciati dagli abusivi, ed è sotto inchiesta. Il clima è profondamente cambiato. Sembra passato un secolo non cinque anni. La proposta di condono edilizio è la conferma ufficiale che si va in altra direzione. Lo stato deve fare cassa. Il metodo più semplice è sanare l'illegalità.
L'abusivismo edilizio è un fenomeno fortemente diffuso nel mezzogiorno. Il Cresme ci dice periodicamente che la grande parte di mattone selvaggio è controllato dalla criminalità organizzata. Non si cancelleranno solo anni di lotta alla devastazione del territorio, ma si dirà a tutti che è inutile rispettare leggi a regolamenti perché poi vinceranno sempre i criminali. S'inviano in questo modo, segnali estremamente negativi. Gli enti locali diventeranno ancora più deboli costretti come già lo sono, a correre dietro gli effetti devastanti dell'annuncio, eppure dal 1998 al 2000, a seguito delle demolizioni ad Eboli, del Fuenti, il villaggio Coppola il numero di costruzione abusive si era ridotto. Sappiamo che dal 2001: il fenomeno è di nuovo in ripresa figlio del clima che è cambiato, mattone selvaggio vola di nuovo.
C'è rabbia per la mancata approvazione di quella proposta di legge scritta insieme ai sindaci di Pomigliano D'Arco di Montecorice, insieme allo stesso prefetto di Salerno, con gli ambientalisti. La proposta di tre ministri: Lavori Pubblici, Ambiente e Cultura, insabbiatasi colpevolmente al Senato, conteneva un principio di base: mai più il condono edilizio. Oggi siamo di fronte ad una nuova sanatoria. Non esistono condoni piccoli o grandi. E' già ripreso l'assalto al territorio, e i comuni già preparano i bilanci pensando quanto costerà alla collettività urbanizzare le costruzioni abusive. Il nostro territorio ha bisogno di cure e non sanatorie. Rosa Iervolino Sindaco di Napoli ricordava che basta ormai un temporale più intenso per avere problemi, senza che lo stato investa un centesimo. Noi stessi a Eboli nel settembre scorso anno ne siamo stati vittime, lo Stato, quello di oggi, non è intervenuto. Ci hanno detto che avendo tutto risolto, anche l'emergenza, coi fondi del comune, non si riteneva di dover intervenire. Troppo bravi. Avremmo dovuto lasciare isolati per mesi decine di famiglie. Da noi si dice "cornuti e mazziati".
Non si può essere osservatori, bisogna rialzare la testa. Vezio de Lucia propone una grande manifestazione nazionale. Io dico a Eboli. Siamo pronti ad ospitarla, nel cuore del mezzogiorno, dove si concentra circa l'80% del fenomeno dell'abusivismo. Noi lanciamo una proposta convinti che saranno tanti, Sindaci, Parlamentari, Sindacalisti, Associazioni Ambientaliste e semplici cittadini che non tollerano più queste illegalità, e che vorranno far sentire la propria voce. Potremo ritrovarci nel nostro Palasport dopo il congresso nazionale dell'Anci. Spero, anzi sono certo, che anche lì la voce degli enti locali sarà forte. La data potrebbe essere il 25 ottobre. Italia Nostra già ha comunicato la propria adesione. Vediamoci qui, ricominciamo dal Sud, dove, lo Stato nel 1998 ha dimostrato che l'illegalità si vince, basta che ognuno faccia la sua parte fino in fondo.
Gerardo Rosania, Sindaco di Eboli
DAL NOSTRO INVIATO PORTOFERRAIO (Isola d' Elba) - Il giorno che un go-kart approdò sulla spiaggia di Pianosa fu davvero un giorno speciale. Certo, nell' arcipelago toscano la gente vive da secoli nel mito dello sbarco degli argonauti sulla spiaggia delle Ghiaie, dove si asciugarono i sudori macchiando per sempre i candidi sassi. L' arrivo di un go-kart dal mare, però, spalancò a tutti la bocca per lo stupore: «Ooooh!». Gli unici a non stupirsi più di tanto furono Umberto Mazzantini e i suoi amici di Legambiente. I quali già non s' erano meravigliati quando le acque di un insignificante torrentello, rovesciandosi furiose a valle, si erano portate via il 4 settembre 2002 la pista e i capannoni e i go-kart e tutto ciò che avevano trovato sul loro cammino nella piana di Marmi, tra Procchio e Marina di Campo. Tutti lo sanno, da sempre, che i torrenti dell' Elba certe volte possono gonfiarsi di colpo e venir giù con la violenza di un fiume in piena. Tutti, meno quegli scriteriati che da qualche anno, indifferenti ai racconti dei nonni e agli studi degli scienziati, cercano di occupare sistematicamente le aree umide di fondovalle. Come la combriccola di costruttori edili e funzionari comunali e giudici e prefetti travolta dall' inchiesta giudiziaria sul complesso di Procchio, sulla costa nord, a una manciata di chilometri da Portoferraio. Al centro della vicenda c' è una vasta area nel cuore del centro balneare, a pochi metri dal mare. Posizione strategica ma infelice: ci passano in mezzo il Fosso di Procchio e un altro torrente, che con qualche approssimazione sono stati imprigionati in una condotta che alla prima pioggia battente salta. Come successe appunto l' anno scorso, quando tutta la zona andò di nuovo sotto dando vita a un bacino che Sergio Rossi, il corrosivo direttore del sito internet «elbareport.it», bollò col toponimo irridente di Lago Papera. Nome da allora usato da tutti coloro che si oppongono al progetto. Il quale prevede la costruzione di un palazzone di 7.500 metri quadri con decine e decine di appartamenti e appartamentini. Un progetto sventurato. Che nonostante la mancanza di alcuni requisiti essenziali e la fierissima opposizione degli ambientalisti, era riuscito a ottenere (miracolo!) un permesso d' iniziare i lavori. Infatti il cantiere è lì. Orrendo. Enorme. Immensamente sproporzionato rispetto al paese, alla strada, alle colline alle spalle. Bloccato. L' inchiesta condotta dai magistrati di Genova ha scovato un sacco di cose che non tornano. Prima fra tutte la sentenza con cui il dirigente dell' ufficio dei gip di Livorno Germano Lamberti, cugino del sindaco della città toscana, Gianfranco Lamberti, decise di bocciare la richiesta di sequestro del cantiere che gli aveva passato il pm di Livorno Antonio Giaconi. No, rispose il giudice: richiesta respinta, tutto in regola, avanti coi lavori. Non sapeva che, la notte dopo aver ricevuto il fascicolo, era stato intercettato mentre consigliava, lui, al protagonista principale della speculazione edilizia, il costruttore Uberto Coppetelli, quali carte procurarsi per avere un verdetto favorevole. Una telefonata galeotta. Come tante altre registrate dagli investigatori tra i vari personaggi coinvolti: il giudice, il costruttore, il prefetto di Livorno Vincenzo Gallitto, il suo ex vice, Giuseppe Pesce ora prefetto di Isernia, un paio di costruttori pistoiesi e il dirigente dell' ufficio tecnico del comune di Marciana Gabriele Mazzarri. Chiacchierate in cui, dice l' Ansa, c' è chi parla di «distruzione delle prove», chi chiede in cambio dei piacerini un appartamento «non sulla strada, ma in una posizione migliore, sul dietro, dalla parte del giardino», chi rassicura gli amici che «no, non c' è alcuna inchiesta della magistratura in corso». Insomma: un pasticciaccio. Esploso col blocco del cantiere, l' arresto dei costruttori, del funzionario e del giudice e la richiesta di manette anche per i due prefetti. Giusto ciò che mancava per rendere immortale questa estate elbana. Che ne già aveva viste di tutti i colori. L' arresto di agenti di polizia generosissimi nei permessi di soggiorno a quelle signorine che accettavano di mostrarsi carnalmente riconoscenti. La catena di incendi dolosi, uno dei quali finito in tragedia con la morte di una turista. Lo scandalo del viaggio a Montecarlo della Comunità Montana da allora ribattezzata Comunità Mondana: un giretto da 80 mila euro con mogli e amici finito dopo mille polemiche con le irate dimissioni («Vergogna! E' una congiura!») del presidente forzista Mauro Febbo il quale, a conferma della statura morale, ha confessato giusto l' altro ieri di essersi pure messo in tasca «otto o novecentomila euro» che gli erano stati affidati da piccoli risparmiatori. Mai vista un' estate così. Come mai si era visto, dal tempo in cui cessarono gli sbarchi di etruschi, greci, pisani, saraceni, inglesi, francesi, tanti tentativi di conquistare questo o quel pezzo delle pregiatissime spiagge dell' arcipelago. Basti dire che, sulla base dei soli «piani strutturali» dei suoi otto comuni, l' Elba dovrebbe essere arricchita (dicono i sindaci) o infestata (dicono gli ambientalisti) da altri 1.462.714 metri cubi di villaggi turistici e palazzi e attività commerciali. Per capirci: l' equivalente di un condominio largo 15 metri, alto 20 (sette piani) e lungo 4 chilometri e 875 metri. Il tutto, dicono, per venire incontro alle «esigenze abitative» di una popolazione che pure, dal 1951, è calata da 29 a 28 mila abitanti. Tutto regolare? Sì e no. Certo, l' Elba resta bellissima, non vedi qui come in tutta la Toscana e il Centro-nord, i quartieri interamente abusivi come a Giugliano, le coste devastate dal cemento selvaggio come in Calabria, le case perennemente in costruzione con i piloni nudi come in Sicilia. Ma anche qui, in questo gioiello che è l' arcipelago toscano, puoi vedere mille esempi d' un abusivismo più subdolo e nascosto ma non meno pernicioso. Come il rudere di 40 metri a Porto Azzurro trasformato dal senatore della Margherita Andrea Rigoni (condannato a otto mesi col costruttore, il solito Uberto Coppetelli) in una villa di 300 metri quadri. O l' osceno complesso abusivo abbandonato e mai abbattuto che sfregia lo Spalmatoio di Giannutri. O ancora il mostro di cemento armato di 32 mila metri quadri che avrebbe dovuto storpiare per sempre la collina di Pontecchio se Legambiente non fosse riuscita a dimostrare che sarebbe sorto proprio dentro il territorio del parco naturale. O ancora le manovre intorno alla vendita, decisa da Tremonti, di Pianosa, che fa gola a tutti con quel vecchio carcere e quel paesino da ristrutturare. O intorno all' isoletta di Cerboli. Un coriandolo perso nel Tirreno. Ma un coriandolo che, con un gioco di società anonime incastrate l' una nell' altra come scatole cinesi, è finito al centro di un complesso gioco sui tavoli della City a Londra. Business is business. E chi se ne frega del picchio muraiolo... Gian Antonio Stella (3-continua. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 13 e il 16 settembre
FONDI (Latina) - Raccolta la cicoria, parcheggiato il trattore e mondata la cicerchia, il presidente del Consiglio Regionale del Lazio Claudio Fazzone avrà un angoletto dove sfilarsi stremato gli stivali infangati: la casupola contadina che sta costruendo per realizzare il suo sogno agreste prevede infatti un salotto di 130 metri quadrati. La metratura di un campo di beach-volley.
Direte: è uno scherzo? No: è un abuso edilizio, accusano gli ambientalisti. Lui, amareggiato, nega: «La mia famiglia come ogni altra ha il diritto di pensare all' avvenire dei propri figli». Tutto in ordine, dice. Mai visto un «fabbricato rurale» con otto camere e cinque bagni grandi come quelli di Caterina di Russia e cucine e garage e rispostigli per un totale di tremila metri cubi? Sulla faccenda, a Fondi, 30 mila abitanti, ai confini tra il Lazio e la Campania, si è accesa una polemica rovente. L' ultima di un' interminabile litania che vede da una parte gli amministratori pubblici che accusano WWF e Legambiente d' essere trinariciuti nemici del progresso che intralciano con le loro irritanti perplessità il luminoso avvenire turistico, dall' altra i guardiani della natura che inondano da anni i giornali e le televisioni denunciando abusi su abusi così volgari, sfrontati e indecenti da strappare, oltre l' indignazione e la rabbia, perfino qualche risata. Prima fra tutti il prodigioso "effetto serra" di Marina di Fondi: unico esempio mondiale di casa coltivata. Tirato su un enorme scheletro di tubi e fasciato tutto col cellophane, gli ingegnosi contadini devono avere annaffiato certi semi di calcestruzzo transgenico con dell' acqua miracolosa. Certo è che, d' incanto, sotto la serra è sbocciata una casa col tetto, le finestre, l' antenna tivù, il camino. E' ricca, Fondi. Abissalmente più ricca di quella conosciuta dai viaggiatori del Gran Tour che scendevano verso Napoli e restavano impressionati dall' estrema povertà della gente, descritta da Charles Dickens a metà dell' 800 senza pietà: «Tutto è miserabile e sordido. Un immondo canale di fango e di rifiuti serpeggia lungo il mezzo della squallida via, alimentato da sconci rivoletti che colano da povere case. Non esiste porta o finestra o imposta in tutto l' abitato; non un tetto, un muro, un palo, un pilastro che non sia rovinato, sgangherato e fradicio. (...) I paesani son facce torve, scavate! Tutti mendicanti. (...) Ti vengono addosso a branchi, facendo ressa e dandosi impedimento a vicenda. Chiedono con insistenza la carità per amor di Dio, per amor della Vergine, per amor di tutti i Santi".
Gli aranci prima, le primizie di serra poi, ne hanno fatto uno dei più importanti mercati ortofrutticoli della penisola. Merito di una piana riparata alle spalle dai monti, del clima, del sudore dei contadini rinforzati qualche decennio fa dall' arrivo di braccianti veneti. La sciatteria urbanistica descritta dall' autore de «Il Circolo Pickwick», però, si è trascinata fin dentro il secolo scorso ed è esplosa tra gli anni Sessanta e i Settanta devastando via via la costa.
Basta leggere la relazione del commissario di governo Angelo Di Caprio che fu mandato a gestire il comune nel 2001. Dove si ricorda come le domande presentate per usufruire prima del condono craxiano dell' 85 e poi di quello berlusconiano del ' 94, fossero un' enormità in proporzione alla popolazione di Fondi: 7.215. Delle quali 5.825 (81%) ancora da esaminare sette anni dopo l' ultima sanatoria. Ma più ancora basta guardare cosa stavano facendo di una basilica romanica sopra le cui volte, prima del provvidenziale intervento giudiziario, avevano cominciato a costruire una «pittoresca» pizzeria. O ancora basta farsi un giretto lungo la spiaggia.
Di qua, la generosa campagna bagnata dal lago di Fondi è coperta dagli scheletri di cemento armato dell' «Isola dei Ciurli», un' oscena lottizzazione bloccata dai giudici convinti che non fosse cristallino il modo in cui erano stato concesse tutte le 21 licenze edilizie necessarie, una separatamente dall' altra per non dare nell' occhio. Trucco usato più volte. E in particolare una notte leggendaria in cui l' allora assessore all' urbanistica, un attimo prima di dimettersi, aveva firmato in poche ore 700 «via libera» ai cantieri. Una generosità scriteriata che, insieme con una sfilza di complicità, cecità, errori in buonafede e altri meno, ha permesso la costruzione «quasi in regola" (quasi) di decine di ville platealmente abusive e stabilimenti balneari che, fottendosene della legge regionale che vietava di toccare le dune, non solo le hanno distrutte ma anche violentate e umiliate. Come nel caso dei bagni «Tucano» il cui padrone ha terrazzato le magnifiche onde di sabbia coperte dalla macchia mediterranea per piazzare meglio gli sdrai. Una volgarità da papponi. Fatta sotto gli occhi dei vigili. Denunciata e mai colpita. Offensiva verso la natura quanto le mèches a un leone ingentilito da bigodini.
Per non parlare del muraglione tirato su, ognuno il suo pezzo, dai padroni delle ville costruite a pochi passi dal mare e servite tutte da grandi scalinate che degradano fino in acqua e portano cartelli con scritto: «proprietà privata». Ci credo: è proprietà nostra. Demaniale. Pubblica. Proprietà di tutti gli italiani, derubati da una banda di furboni che adesso pretenderebbe anche qualche intervento pubblico (coi soldi nostri) per erigere una barriera contro il mare che avanza. Mare che, supplendo alla latitanza decennale degli amministratori, si sta facendo carico di metter fifa agli abusivi minacciando d' abbattere i manufatti cementizi. Operazione che non passa neppure per la testa del sindaco, il geometra forzista Luigi Parisella, passato alla storia (minima) italiana per aver dichiarato davanti alle telecamere di Report, testuale, che «il diritto di tutti i cittadini è sacrosanto come sono sacrosanti i diritti di chi ha costruito abusivamente e ha diritto alla sanatoria perché è una legge dello Stato» La legge, si sa, è legge. E le migliori sono le leggine. Come quella che consentiva fino a qualche tempo fa, a chi aveva almeno 10 mila metri di terra, di tirar su un «fabbricato rurale» di una certa cubatura. Era una misura per i contadini: è finita, stando alle denunce di Luigi Di Biasio, il responsabile locale di Legambiente, con un' alluvione di case che, al posto delle «attrezzature necessarie alla conduzione del fondo agricolo (stalle, rimesse, fienili, silos etc...)» pretese dal piano regolatore, erano piene di salotti e salottini, verande e mansardine. Belle case, ma mai come quella che si sta costruendo Claudio Fazzone, il poliziotto salito da capo-scorta di Nicola Mancino a presidente forzista del consiglio regionale del Lazio: una villa intestata alla moglie Stefania Peppe e a una sua cugina, Giulia Iodice, di tremila metri cubi. Con due salotti per un totale di 213 metri quadrati. Certo, per arrivare a quella cubatura l' area dietro il paese non bastava. Così hanno sommato «ulteriori appezzamenti di terreno»che stanno sul costone di un monte spelacchiato a cinque o sei chilometri. Povero Fazzone, chissà che fatica andare su e giù col trattore blu...
ROMA - Una calda notte di agosto, a pochi passi dalla celeberrima tomba di Cecilia Metella, nel cuore dell'Appia Antica, è spuntata una villa abusiva. E' venuta su così, come un fungo. In poche ore tra il sabato e la domenica, mentre l'Italia era distratta dalla strage di Rozzano e dalla catena di anziani uccisi dall'afa. Villa prefabbricata, ma villa vera, con le camere e il salone e i bagni e la veranda e un bel tetto verde per un totale di oltre 150 metri quadri. Degno suggello alla notizia che il governo aveva ormai praticamente deciso di varare un nuovo condono edilizio. Direte: ma come è possibile costruire una villa fuorilegge lì, dentro uno dei parchi archeologici più famosi del mondo, protetto da regole di salvaguardia rigidissime, sorvegliato da un manipolo piccolo ma appassionato di guardiaparco? E' possibile.
Basta seguire le regole che tutti gli abusivi di questa zona, una delle più prestigiose di Roma, abitata da nomi illustri che vanno da Franco Zeffirelli al sarto Valentino Garavani, da Gina Lollobrigida a Marta Marzotto a grandi protagonisti dell’imprenditoria e della finanza, hanno ormai mandato a mente.
Uno: si piantano fitti fitti un po’ di alberi per una prima barriera che impedisca la vista ai curiosi. Due: si fa stendere una parete di canne, la più alta possibile, ma comunque oltre i due metri. Tre: si rafforza la barriera di alberi e di canne con un telo verde da cantiere. E via così. Ormai il comandante Guido Cubeddu e i suoi uomini capiscono al volo. E anche lì, in via del Pago Tropio, alle spalle dei magnifici resti della basilica di San Nicola e del Castello dei Caetani, a non più di settanta metri dalla tomba della figlia del console Quinto Metello che costituisce uno dei punti di maggior richiamo di questo parco fortissimamente voluto e imposto con le sue battaglie giornalistiche dal grande Antonio Cederna, avevano capito da tempo che era in preparazione un progetto edilizio.
Un anno fa, più o meno di questi tempi, avevano sorpreso una ditta specializzata a scavare le fondamenta di una villa. Certo, non una villa in muratura. Quella avrebbe dovuto arrivare dopo, di condono in condono.
Ma una casa comunque molto bella. In legno di primissima qualità. Dalle rifiniture di pregio e dallo stile vagamente orientale. Progettata e costruita pezzo per pezzo da una società romana specializzata. Immediata denuncia, intervento della magistratura, sequestro del cantiere, ordine perentorio di rimuovere immediatamente i pannelli e le travi e i tramezzi già pronti per essere montati.
Un ordine mai rispettato dalla proprietaria, Annapia Greco, della famiglia romana diventata immensamente ricca scoprendo per prima verso la metà degli anni Settanta il businness dell’importazione di prodotti di abbigliamento cinesi di buona qualità e bassissimo prezzo. Prodotti venduti in Italia con il marchio oggi famoso di Balloon. La donna non è l’unica della famiglia, in zona. La madre vive in una antica e splendida villa in via della Caffarella e il fratello Roberto, l’amministratore delegato e l’anima del gruppo, abita in un’altra dimora straordinariamente bella nel cuore del Parco. Mai un abuso, mai una forzatura, mai un problema.
Rispettosissimo.
Per mesi e mesi i guardiaparco hanno tenuto d’occhio il posto, arrampicandosi sul tetto della camionetta per dare ogni giorno un’occhiata al di là della impenetrabile cortina di alberi, canne e teli. E per mesi e mesi il cantiere è rimasto bloccato.
Deserto. Finché la mattina del lunedì 25 agosto dietro la barriera, in plastica coincidenza coi titoli dei giornali che la settimana prima avevano dato ormai per scontato il condono per bocca di vari membri del governo, hanno finalmente visto qualcosa.
Allungato il collo, hanno intravisto un tetto: la casa, come avrebbero poi dimostrato le foto scattate dall’elicottero, era spuntata.
Stupore? Zero. I dati elaborati per Legambiente da Mauro Veronesi sull’abusivismo edilizio non lasciano dubbi: dal 1994 ad oggi si sono edificate mediamente nel territorio del comune di Roma 23.145 case abusive: sette al giorno. Anche nelle zone più sorvegliate, anche nelle zone soggette ai vincoli più stretti. Certo, è un fenomeno che riguarda tutta l’Italia. E ce lo dice un rapporto del 1998 dei carabinieri del Nucleo Ecologico, che avevano censito allora (e da allora le cose sono peggiorate) 3.309 abusi edilizi nei parchi naturali, 12.899 nelle aree protette, 2.194 in quelle demaniali. Cifre preoccupanti, ma mai quanto la percentuale delle demolizioni effettivamente eseguite di edifici destinati dalla legge, con sentenza, all’abbattimento: 2,4%.
Figuratevi la situazione in un parco urbano, collocato proprio dentro la capitale, ricco di un patrimonio edilizio accumulatosi dal medioevo al novecento e creato solo nel 1988 come quello dell’Appia Antica. A far la lista degli abusi censiti non si finisce più: 40 campi da tennis, 7 piscine, 35 case, 4 campi da calcetto, 44 capannoni industriali, un campo da baseball, una pista di pattinaggio... Un disastro. Testimoniato dalla indifferenza che mostrano in troppi davanti alle regole.
Prendete la società Tosinvest, di proprietà della famiglia di Antonio Angelucci, l’ex portantino diventato uno degli uomini più ricchi d’Italia, editore prima dell’«Unità» e oggi di «Libero». Possiede da un po’ di anni quattro ettari e mezzo a pochi metri dalla porta San Sebastiano. Una volta, stando ai rapporti, alle fotografie e ai rilievi aerofotogrammetrici, c’erano due baracche. Oggi, nonostante il divieto assoluto di edificare, ci sono una villa a un piano di 292 metri quadri, una «casa custode» di 106, un «magazzino attrezzi agricoli» di 120, un «recinto cavalli»...
E il Centro Motoristico Appia Antica, anche questo a pochi passi da Porta San Sebastiano? Spiega la direzione del parco che nell’ottobre 1988 i vigili urbani denunciarono l’esistenza di «un laboratorio di autofficina con annesso deposito di materiali di ricambio sprovvisto di autorizzazione comunale». Bene: oggi «l’attività si svolge su immobile di proprietà pubblica regionale in affidamento al Comune, occupato senza titolo da ex affittuari in quanto il Comune di Roma aveva dato formale disdetta del contratto già dal 1992, e su un’area privata occupata abusivamente di circa 10.000 metri quadri destinata alla pubblica fruizione nell’ambito del piano del parco della Caffarella». Area trasformata «con sbancamenti e risistemazioni in un grande parcheggio (per almeno 200 auto) all’aperto». Salvatore Bonanno, il titolare della concessionaria, presenta nel gennaio 1999 una dichiarazione d’inizio attività. Per perfezionare la pratica gli serve il parere favorevole del Parco, della Sovrintendenza, di vari uffici comunali: non ne avrà neanche uno. Eppure, accusa la direzione del Parco, è ancora lì. E, come dimostrano le foto scattate in anni diversi, ha pure «trasformato in un villino» un vecchio rudere.
Poche centinaia di metri più in là, l’«effetto serra» ha dato lo stesso frutto di tante altre finte serre lungo l’antica Appia fino ai confini della Campania: sotto il cellophane tirato su per coltivare zucchine e pomodori, giorno dopo giorno è spuntata una casa abusiva. Col comignolo. E lo chiamano «parco»...
ROMA - «Dico: ' sti poveri romeni! Quello che mi dispiace è per questi poveri romeni senza casa!». Per loro, gorgheggia al telefono Annapia Greco, fece costruire la villa abusiva sull' Appia Antica denunciata ieri mattina dal Corriere e abbattuta ieri sera dalle ruspe sotto gli occhi del sindaco di Roma, Walter Veltroni, tornato apposta da un viaggio: «Che me ne facevo, io, di una villa laggiù?»
«Ho una casa tanto bella in piazza del Colosseo e ci vivo tanto felice! Tanto serena! Tutta questa pubblicità! Tutte queste cattiverie sulla mia famiglia! E che ho fatto mai? Ci ho provato, d' accordo, è andata male, pazienza. Me volete crocefigge' ? Chiedo: me volete crocefigge' ? Che ho fatto mai: ho solo cercato di fare del bene a ' sti romeni. Di dar loro una casa. Vedesse i loro occhi.... Poverini».
Romana, 57 anni, soave rappresentante dei troppi italiani indifferenti alle leggi di tutela, sorella di quel Roberto Greco che a metà degli anni Settanta intuì per primo l'affarone di importare camicie e magliette dalla Cina e creò con gli altri fratelli il marchio con la mongolfiera «Balloon», Annapia giura che proprio non riesce a capacitarsi di tutto questo fracasso intorno alla lussuosa residenza fuorilegge tirata su a settanta metri dalla tomba di Cecilia Metella: «Io l' avevo venduta, l' avevo...».
E quando?
«Da tantissimo tempo.... Tantissimo...».
Quando?
«Ma come posso ricordarlo? Tantissimo...».
Eppure fu lei un anno fa a metter giù le fondamenta, lei a essere denunciata, lei a essere nominata custode giudiziario...
«Sì, ma... Insomma... Guardi: io tenevo quel terreno per fare la contadina...».
La contadina.
«Sì. Volevo fare l' orto... La frutta... Siccome che poi ho ospitato dei rumeni che non sapevano dove andare a dormire... Mi facevano pena. Vedesse la moglie, il figlio... Li potevo lasciare senza una casa? Mi dica: li avrebbe lasciati lei, senza una casa?».
Non mi dirà che ha fatto costruire una villa sull' Appia Antica per...
«Certo! Per questa povera gente. Erano i miei protetti. Comunque, per essere precisi, io non ho costruito niente».
Solo perché l' hanno beccata...
«D' accordo: ma non ho costruito io».
Sperava nel condono?
«Casomai ci speravano quelli che l' hanno costruita».
Insiste? L' ha comprata lei o no, quella casa? Ha fatto scavare lei o no le fondamenta?
«Fondamenta? Due buchi, erano. Profondi come un vaso di fiori».
Fatto sta...
«Va bene, gliel' ho detto: ci ho provato ed è andata male. Pazienza. Capita...Ho detto: vabbè, allora la vendo...».
Ma pensava davvero di farla franca?
«Senta, io capisco le sue osservazioni. Sono d' accordo. Sa, ho fatto l'istituto d' arte... La battaglia contro gli abusi è nobilissima. Ma perché tutto questo parlare di me? Della mia famiglia? Vi rendete conto del danno fatto con questa pubblicità negativa all' azienda dei miei fratelli? Perché ce l' avete con noi?»
No, signora: anche suo fratello Roberto ha una villa sull' Appia ma di lui le autorità del Parco parlano solo bene. È lei la discola... Ma si rende conto? Una villa abusiva a due passi da Cecilia Metella...
«Lo so: me lo sono posto il problema. Sa dove sono, in questo momento? Nelle Marche. Con il Fai, il Fondo ambiente italiano...».
Scherza?
«No, davvero. Quando hanno visto il Corriere mi volevano buttar giù dal pullman: "Traditrice! Sei peggio di Giuda"».
Ammetterà che...
«Ma che ammetto? La casa l' hanno costruita quelli che hanno comprato il terreno... Che c' entro io? Capisco, voi fate il vostro dovere ma mi state rovinando i rapporti con i miei fratelli. Metta che poi fanno un infarto...».
Andiamo, signora: l' infarto!
«Non capisco... Ce l' avete coi ricchi? Tutto questo guardare le cose nostre...Perché ci fate del male?»
Senta: fu lei a far tirar su la barriera di canne, lei a far stendere la rete verde per nascondere i lavori agli ispettori del Parco...
«Ma no, ma no... L' hanno fatto dopo che l' avevo venduta...».
Aveva l' ordine del magistrato di rimuovere i pannelli e tutto il materiale comprato per costruire la villa: perché l' avrebbe lasciato lì se non per aspettare il momento giusto per fare i lavori?
«Con tutto quello che mi era costata! Dovevo pure fare un' altra spesa? Che ne sapevo che poi quelli che hanno comprato...».
Ma davvero non ricorda quando ha venduto?
«Tanto tempo fa. All' inizio dell' estate, forse...».
No: da quel che risulta lei ha fatto il preliminare il 22 agosto.
«Ma no, ma no...».
Esattamente il giorno prima di far montare la villa...
«Ma no, c' è un errore...».
...E il passaggio di proprietà l' ha fatto davanti al notaio Renato Caraffa addirittura il 5 settembre, quando la villa era già lì: quindi l' ha fatta montare lei, prima di vendere.
«Ma no, c' è un errore»....
L'atto ufficiale è lì: 5 settembre.
«L'avrà registrato allora... Che ne so, io? Faccio come Berlusconi: giuro sulle mie figlie che non sapevo niente, dell' abuso».
La visura camerale è chiara.
«Ma per carità! Per carità! Io non so neanche cos' è una visura camerale! Ripeto: io avevo venduto».
Per curiosità: a quanto?
«Due lire. Giuro. Per colpa proprio del sequestro e di tutte quelle storie. Due lire. O se vuole diciamo due euro».
Quanto?
«Poco! Pochissimo! Davvero! Guardi: quando l' ho vista in fotografia sul Corriere mi sono detta: quant' è bella... Che peccato averla venduta...».
Mica tanto: l' hanno buttata giù...
«Non potevano, è proprietà privata».
Signora: una casa abusiva sull' Appia!
«Non hanno avuto pietà, poveri rumeni».
Ancora? E su: mica l' ha venduta ai rumeni, la villa. L' ha ceduta a una signora quasi ottantenne, Adele Gattoni Celli, che contestualmente ha girato la nuda proprietà a una certa Albertina Marinelli.
«Ma non guardi le carte, non creda alle carte... Le dico che l' ho data ai rumeni».
E sa dove abita questa signora che ha comprato?
«Mi dica».
Guarda caso, proprio al suo indirizzo: piazza del Colosseo 9.
«Ma davvero? Ah, le coincidenze della vita...».
Che cosa significa "condono edilizio"? Per capirlo, occorrerebbe subito, adesso, una grande fotografia dell’Italia scattata dal satellite, così vedremmo quanti piccoli e grandi cantieri si sono aperti dal giorno in cui è stato annunciato il condono. Sono, credo, centinaia di migliaia: si è aperto in Italia un grandioso laboratorio di "formazione civile" perché alla quantità di frodi edilizie, già evidenti, viene dato oggi il potere di appestare ed esprimersi completamente.
La pratica del condono - abitudine tutta italiana, che all’estero si stenta a comprendere - è doppiamente da condannare: primo, perché incoraggia comportamenti illeciti; secondo, perché penalizza i comportamenti corretti, offendendo i cittadini che rispettano le regole. Il condono perdona ai furbi e dà uno schiaffo agli onesti. Inoltre, ferisce profondamente coloro che da anni - magari in solitudine, nel silenzio - si battono e consumano energie per difendere le nostre coste, l’aria, il paesaggio.
Quanto all’ambiente intorno a noi, sarà un altro colpo durissimo. Lungo le coste italiane tutti abbiamo visto case di un piano con pilastri sul tetto, con i tondini di ferro che escono di un metro già pronti ad accogliere i pilastri per il piano superiore. Quindi, case più alte (ma anche più lunghe, perché accostare una stanza a un’altra è facilissimo). Gli ecomostri stanno lì ad aspettare sereni: anche per loro, chissà, alla fine ci sarà qualche bugia o salterà fuori un sotterfugio legale.
Lo scempio, lungo le nostre coste, è cosa fatta. Nelle città, i tetti dei palazzi mostrano già una quantità rilevante di abbaini: quest’attività continuerà, con una crescita degli abitanti che renderà ancora più caotico e ingestibile il tessuto cittadino, aumenterà i volumi di traffico e i veleni nell’aria. Le periferie sornione, anche loro fremono di innumerevoli attività edilizie che confermeranno ancora di più il loro disastro originale. Mentre si cerca di sgombrare le falde del Vesuvio per creare vie di fuga in caso di eruzione si fa un bel condono, lasciando quasi tutti fatalisticamente tranquilli. E le zone archeologiche accerchiate da veri paesi abusivi assenti di opere di urbanizzazione? E i parchi nazionali, vere zone di equilibrio ambientale, penetrati da costruzioni improvvise e patologiche?
Pagherà la collettività. Gli esperti hanno già fatto i calcoli economici di quanto perderanno i cittadini - attraverso le tasse comunali - per le demolizioni; ma poi si sa che la parola demolizione non è così consueta in Italia né l’abbattimento del costruito è un’esperienza così diffusa. I Comuni dovranno pensare a portare fogne, strade, servizi nei quartieri sorti senza regole e oggi avviati a beneficiare di questo magnanimo perdono. Ancora una volta, le spese per demolizioni e urbanizzazione saranno equamente ripartite: gli onesti pagheranno tante tasse quante ne pagheranno - a meno di evasione fiscale - coloro che hanno compiuto gli illeciti.
C’è un’altra questione da affrontare. Quali saranno i criteri di questa ennesima sanatoria: quali e quante case, cioè, saranno legalizzate? Bisognerà capire quale sarà la superficie massima "illegale" che potrà essere sanata: cento metri quadrati? Duecentocinquanta?
Dicono, per giustificarsi, che sarà un condono "leggero". Allora, con leggerezza, si perdoneranno con il timbro dello Stato mille piccole mostruosità, balconi e gazebo spuntati dal nulla, sopraelevazioni e cantine adattate a "taverne"; ma è il momento di domandarsi se, invece, non assisteremo a un autentico scempio ambientale, magari grazie alle tante aree provvidenzialmente rese libere dal fuoco in estate.
Domandiamoci: che cosa è la "buona politica"? Io penso a Barcellona, al modo in cui l’amministrazione di questa città, negli ultimi anni, si è condotta: perseguendo un obiettivo di bellezza, dove bellezza significa anche rigore, funzionalità, efficienza. Per l’Italia, solo un sogno. Ma per impedire che anche questa sanatoria abbia corso bisogna intervenire. Un "manifesto anticondono" - promosso da urbanisti, architetti e intellettuali - mi vedrebbe come prima firmataria.
Neanche ad "Abusopoli" ci credono troppo, alla tesi che il condono servirebbe a tirar su un po' di soldi chiudendo col passato per poi dare vita a un grande progetto di risanamento delle coste e delle aree protette e delle periferie urbane. Lo dice un sondaggio dell' Abacus condotto per Legambiente. Dal quale emerge non solo la netta contrarietà di fondo della maggioranza degli italiani all' ipotesi di mettere una pietra sopra, scusate il bisticcio, agli abusi. Ma anche degli stessi abitanti di quel profondo Sud che ospita gran parte di questi abusi e i due terzi di quelli così osceni da essere destinati all' abbattimento.
Dice infatti l' inchiesta, condotta su un campione di 1.001 persone rappresentativo della popolazione nazionale (età, scolarità, regioni di residenza, dimensione del comune e così via) che anche nel Mezzogiorno più estremo e nelle isole soltanto il 34% ritiene che la sanatoria «consentirebbe di recuperare denaro per lo Stato senza aumentare le tasse». Mentre la fetta più larga della popolazione, pari a quasi il 54% (poi c' è un 11% che non sa o non risponde) è convinta che i danni sarebbero superiori ai vantaggi. Chi perché il condono «favorirebbe ulteriormente l' abusivismo edilizio nella speranza di un futuro condono» (27%) e chi perché «favorirebbe la criminalità organizzata che nell' abusivismo edilizio ha grandi interessi».
Ermete Realacci, che come presidente dell' organizzazione ambientalista aveva commissionato il sondaggio, attacca: «I numeri non lasciano spazio ad equivoci. Nessuno può far più finta di non sapere: gli italiani conoscono benissimo quali sono i rischi di una scelta come quella che pare abbia in mente il governo. E lo stesso elettorato di centrodestra offre una serie di risposte sulle quali penso che i partiti della Casa della libertà debbano riflettere. C' è da augurarsi che adesso tutti coloro che, dentro il governo e la maggioranza, hanno usato parole di perplessità e di critica sull' idea balzana di una sanatoria, si sentano più forti. E che la loro voce, una voce di buonsenso, venga finalmente ascoltata».
Che i numeri siano secchi, in effetti, è difficilmente contestabile. Apertamente a favore del condono senza perplessità sui risvolti morali e finanziari ma solo interessati a un' operazione che eviterebbe a Giulio Tremonti di dover recuperare denaro con i sistemi tradizionali spezzando l' illusione dello slogan «meno tasse per tutti», infatti, sono il 24% degli italiani. Contrari perché alimenterebbe una nuova ondata di edilizia fuorilegge il 40%, timorosi di una stagione d' oro della mafia, della camorra e delle altre organizzazioni che in certe regioni controllano spesso il settore il 25%. Percentuali che, tra gli elettori di sinistra, si accentuano vistosamente.
Contro l' ipotesi della sanatoria, per l' una o l' altra delle motivazioni enunciate dal sondaggio, si dichiarano il 77% degli elettori di Rifondazione e dei Comunisti italiani (contro un 12% scarso di favorevoli o non ostili), il 75% dei simpatizzanti della Margherita e addirittura l' 88% di chi vota per la Quercia. Una posizione così netta e radicale sotto il profilo ideologico (domandina: che c' entri qualcosa anche l' opposizione a tutto ciò che fa il governo?) da fare risaltare una qualche contraddizione con le scelte pratiche quotidiane di una miriade di regioni, città e paesi amministrati dalla sinistra dove questo scrupolo legalitario non è poi così forte. Basti pensare, per fare un solo esempio, a Giugliano, che è diventata la terza città della Campania dopo Napoli e Salerno dilagando nella campagna circostante con uno sviluppo edilizio vorticoso e largamente fuorilegge. Le più interessanti, però, sono le risposte di chi dice di riconoscersi nei partiti di governo.
Certo, tra gli elettori di Forza Italia, evidentemente i più sensibili alle promesse berlusconiane di una riduzione della pressione fiscale, l' ipotesi che il governo usi anche l' arma del condono sugli abusi pur di non «mettere le mani nelle tasche degli italiani» raccoglie meno ostilità che altrove: il 37% è d' accordo.
La percentuale di chi è consapevole degli inconvenienti, però resta sostenuta: il 30% pensa che la sanatoria invoglierebbe a nuove illegalità di massa intorno al mattone, il 21% che finirebbe per dare spazio alla criminalità che opera nel settore. Due dubbi che crescono (57% complessivo) tra gli elettori di Alleanza Nazionale, che pure ha spesso difeso in passato, come nella borgata romana della Storta, gli «abusivi per necessità», al punto che Tommaso Luzzi, dopo che s' era dato fuoco per proteggere i borgatari fuorilegge, fu premiato alle «regionali» da 7.718 preferenze.
Ma che più ancora sembrano animare la diffidenza dei leghisti. I quali, tra coloro che guardano al condono come a un incentivo per i furbi che hanno in programma nuove ondate di abusi, sono in assoluto i più ostili (quasi il 54%) dopo i diessini. Una percentuale quasi analoga a quella degli abitanti del Nordest dove i favorevoli senza riserve alla sanatoria, dice l' Abacus, sono solo il 18%. Due punti in meno che nel Nordovest.
Certo, le domande poste non erano così dirette da spingere a dire sì o no. Ma forse, oltre a quell' Italia che tira su ville abusive sull' Appia Antica o devasta le spiagge costruendo fin sulla spiaggia o lascia orrendi scheletri sulle Dolomiti, ce n' è un' altra che comincia a pensare che il Bel Paese occorre anche meritarselo...
SELINUNTE (Trapani) - Se vi piacciono i tondini di ferro ruggine ficcati su nel cielo, se adorate il calcestruzzo sgretolato dalla salsedine, se andate pazzi per i selciati sconnessi, se vi commuovono le scalinate di cemento armato che digradano sulla spiaggia demaniale fino al mare e le necropoli riciclate in discariche, c'è il posto che fa per voi. Si chiama Triscina, sta a due passi da Selinunte (l’ideale per farci fare un figurone), è completamente abusiva e detiene probabilmente il record mondiale di impunità: su circa 5 mila case nate fuorilegge (tutte), oltre 800 sono così al di là di ogni limite di illegalità da non aver potuto approfittare neppure del condono del 1985. Non hanno potuto approfittare neppure del condono del 1994, né delle ammiccanti leggine via via tentate dalla Regione Sicilia.
Colpite dalla ordinanza di demolizione (obbligatoria) non hanno mai visto però una ruspa, un piccone, uno scalpello. Sapete quante ne hanno abbattute, in questi anni? Zero: zero carbonella.
Eppure qui, di quegli «abusivi per necessità» che vengono difesi a spada tratta dai legalisti di bocca buona, non ce n’è uno in giro.
Basta vagabondare tra le stradine che scendono a pettine verso il mare: cancelli sbarrati, finestre sbarrate, porte sbarrate. Non un’auto parcheggiata, un bambino che giochi, un ciclista che pedali, un panno steso al sole. «La Florida d’Italia! La Florida d’Italia!», strilla ogni tanto qualcuno vagheggiando di una regione aperta tutto l’anno grazie al sole, al mare, alle ginestre, alle ricchezze archeologiche. E sarebbe questa? Una Florida sgangherata che poco dopo la metà di settembre ha già chiuso tutto, ritirato le sdraio, smontato il campeggio, serrato le baracche-bar sulla spiaggia? Li conti sulle dita gli abitanti di questa scheletrica e bruttissima città fantasma che restano a vivere quaggiù anche dopo la fine dell’estate. E se da altre parti della penisola, in certe periferie delle grandi città, potresti avere lo scrupolo di buttar giù una schifezza perché c’è dentro qualcuno, qui no: nessun alibi. Tranne, s’intende, quello politico che tutti, dai sindaci agli assessori, ti ripetono qui in Sicilia: un abusivo è un abusivo, 5 mila abusivi sono un partito.
Spiega un rapporto di Legambiente che la Sicilia, con 63.089 case abusive costruite dal 1994 ad oggi, rappresenta un sesto dell’intero panorama (362.676) dell’edilizia illegale italiana. Spiega anche che 305 case su mille, nell’isola, «non sono occupate e quindi rientrano tra le cosiddette "seconde case"». Conclusione: visto che nella stragrande maggioranza questi edifici fuorilegge costruiti negli ultimi anni in attesa di un nuovo condono sono proprio case per le vacanze, si potrebbero buttare giù.
Sì, ciao. «Il problema è che i sindaci le ordinanze le firmano perché lo vuole la legge - racconta il dirigente generale dell’urbanistica regionale, Nino Scimemi -. Ma poi difficilmente fanno partire gli appalti per affidare i lavori di abbattimento».
Basti ricordare la testimonianza di Enzo Bianco: «Ero sindaco di Catania da poche settimane quando, una mattina, un impiegato mi porta alla firma un faldone con due o trecento ordini di demolizione... Comincio a firmare e gli chiedo: "Qual è il calendario delle demolizioni?" Quello sbianca, chiude il faldone, gira i tacchi e se ne va. Dopo un po’ entra il capo di gabinetto: "Ma signor sindaco, le firme servono solo a non farla incriminare per omissione di atti d’ufficio... Non penserà mica..."».
Molti anni dopo, non è cambiato niente. Incapace di raccogliere informazioni precise in un panorama così sgangherato, la Regione ha distribuito un questionario per un sondaggio a campione. Risultato: nonostante lo sbracamento dello Stato con la raffica di condoni, gli abusi edilizi accertati come in-sa-na-bi-li in Sicilia e quindi colpiti da una obbligatoria ordinanza di abbattimento sono oggi 21 mila. E quelle eseguite negli ultimi anni? Boh... Nessuno ne ha la più pallida idea. Forse 200, dicono in Regione. Delle quali 130 (in larga misura baracche) a Siracusa grazie a un protocollo d’intesa del sindaco Titti Bufardeci con la Procura e il resto nelle altre province, che ospitano il 93% degli abusi isolani.
Il che fa ipotizzare agli ambientalisti una percentuale di demolizioni effettive intorno allo 0,3 di quelle firmate. Umiliante.
Chi ha governato l’isola in questi anni, destra e sinistra, non è riuscito a fare il suo mestiere tra gli «abusivi del superfluo» (chi aveva una casa sequestrata e acquisita per abusivismo se l’è tenuta ed è «ospite» del Comune) come a Triscina, che con Marinella stringe Selinunte in una morsa di calcestruzzo e scarica dove può, compresa la necropoli di Timpone Nero dove i sepolcri vuotati dai tombaroli vengono usati come depositi d’immondizia. Non ci è riuscito con i grandi palazzinari e le aziendine edili che hanno tirato su alla periferia della sola Palermo un agglomerato di condomini e casette abusive dove vivono almeno 80 mila persone. Non ci è riuscito a Pizzo Sella, la «collina del disonore» palermitana dove tre grosse imprese (una delle quali controllata dalla sorella di Michele Greco, detto «Il Papa») edificarono 170 ville: 64 subito abitate, 55 finite ma mai occupate, 51 mai finite. Hanno perso tutti i processi, i costruttori. Tutti. Fino in Cassazione. Eppure, di quelle 170 ville, ne hanno tirata giù (nel lontano 1998: poi basta) solo una. Meglio: uno scheletro.
Il tribunale ha stabilito, al di là di ogni ragionevole dubbio, che si trattò di un tipo di abusivismo assai consueto, in una regione in cui solo il 18,4 per cento dei comuni si è dotato di un piano regolatore: le licenze c’erano, ma erano state comperate. Come siano stati puniti quei funzionari infedeli, quei costruttori e quei progettisti che devastarono la collina ce lo dice la sentenza. Totale imputati: dieci. Totale condanne: 36 mesi di carcere.
Una settimana per ogni villa. Con la condizionale, si capisce...
( 6 - continua.
Le precedenti puntate sono state pubblicate il 13, 16, 17, 18 e 19 settembre)
Gian Antonio Stella
ROMA - «Una cosa del genere non l’ho mai vista». Braccio Oddi Baglioni, vicepresidente dell’Oice, l’associazione degli ingegneri, architetti e progettisti italiani, si dice letteralmente sbalordito. Eppure, nell’Italia scossa dalla febbre del condono edilizio, è successo davvero. Un giudice ha deciso di mettere all’asta tre appartamenti totalmente abusivi. Ignaro? Tutt’altro: consapevole a tal punto della situazione da specificare, nel bando, che gli immobili «non possono essere nemmeno sanati con l’articolo 40 entro 120 giorni dalla data del trasferimento» di proprietà. L’incredibile vicenda è accaduta a Livorno. Sul Tirreno del 20 settembre è apparso un avviso d’asta del tribunale relativo a tre appartamenti di 45 metri quadri al prezzo di circa 130 mila euro ciascuno. Tutti e tre costruiti all’isola d’Elba, località Capoliveri. Tutti e tre totalmente abusivi.
Lo stato di totale illegalità viene candidamente ammesso nella specifica del bando, che avverrà il 25 novembre alle ore 11 presso il tribunale di Livorno, precisando che le unità immobiliari sono «prive di concessione edilizia e della doppia conformità» e pertanto non è possibile alcuna sanatoria.
Dall’ufficio del notaio Bianca Corrias - che si occupa dell’asta - fanno sapere che l’abusività non compromette il meccanismo d’asta e che, in ogni caso, stanno eseguendo l’incarico conferito loro dal giudice Carlo Cardi sull’esecuzione immobiliare numero 251/01 promossa dalla Cassa di Risparmio di Livorno Spa.
«Una vicenda paradossale - continua Oddi Baglioni - sempre che non ci siano cavilli particolari legati alle procedure fallimentari, mi sembra una storia fuori dal mondo: un tribunale che mette all’asta, al prezzi di 3 mila euro al metro quadro, immobili che secondo la legge andrebbero demoliti». A meno che il giudice, con singolare senso della notizia, non avesse già fatto affidamento sull’arrivo della sanatoria.
Infatti la prima data dell’annuncio, apparso sul sito Internet delle aste giudiziali, risale al 27 giugno scorso, quando di condono, fra le rituali smentite, si parlava già come ipotesi. Diverso il caso dell’ultima pubblicità, quando il condono era ormai sulla pista di decollo. L’Oice sottolinea, inoltre, i «danni devastanti dell’effetto annuncio». «La cosa peggiore - sottolinea in un comunicato - è lo slittamento del termine per fare domanda al 31 marzo prossimo: è come dare la licenza di costruire abusivamente per altri sei mesi».
L’Oice contesta anche l’ambiguità del decreto del governo. «Il testo infatti non chiarisce - spiega ancora Oddi Baglioni - il confine di insanabilità, se e in che misura esso riguarda i piani paesaggistici, solo le aree protette o il demanio».
Il docenti del Dipartimento di urbanistica e pianificazione del territorio dell’Università di Firenze ritengono che il decreto sul condono edilizio, se dovesse diventare operativo, scatenerebbe una serie a catena di disastri sul territorio nazionale e sulle istituzioni preposte a programmarne la tutela e lo sviluppo.
Un disastro urbanistico e ambientale: gli abusi, sia quando riguardano le periferie, sia, soprattutto, quando riguardano le aree demaniali, anche se non protette da vincolo specifico, proprio in quanto illegali aggravano il degrado. La loro convalida non può che rendere più difficile (se non impossibile) un’effettiva opera di recupero. Circa le periferie poi è perlomeno strano che dopo tutto il discorrere che si è fatto di recente sulla necessità di un loro recupero, il primo provvedimento operativo sia il condono degli abusi.
Un disastro istituzionale: vanificando l’azione di enti locali (comuni, provincie e regioni) che tentano di programmare e regolare l’attività edilizia, vietando l’abusivismo, non solo si accentuano i contrasti fra istituzioni centrali e enti locali e si contravviene ad ogni obiettivo federalista; ma si contraddice e si svuota di senso anche la politica dei programmi speciali integrati di origine europea e statale che ormai da molti anni operano nei territori in crisi con ben altri metodi e obiettivi.
Un disastro civile, culturale e di immagine a livello europeo: si perpetua la peggiore tradizione italica della “simonia”, con lo Stato che, come un tempo si vendevano le indulgenze, vende la possibilità di evadere la legge e i cittadini che ne approfittano dopo essersi arrangiati da sé. Una tradizione che pone l’Italia fuori del contesto europeo, dove la pratica del condono è sconosciuta e anche grazie a ciò l’abusivismo è inesistente. Alimentare il culto dell’impunità vuol dire infatti incentivare l’abusivismo.
Infine, un disastro anche dal punto di vista economico: come dimostrano ormai in modo indiscutibile le ricerche e i bilanci sui precedenti condoni le entrate non coprono gli oneri per la regolare urbanizzazione delle aree abusive. A Roma, ad esempio, è stato calcolato che a fronte di 20.000 case da condonare, lo Stato e il comune incasserebbero complessivamente 200 milioni di euro, mentre le spese di urbanizzazione ammonterebbero a 440 milioni. Ci si può facilmente immaginare che a scala nazionale il passivo salirebbe a cifre astronomiche.
Nel nostro paese, il territorio e il paesaggio non sono beni vendibili con cui “fare cassa” in caso di necessità, ma al contrario risorse bisognose di cure, di un’adeguata programmazione e di investimenti perché possano rendere sui tempi lunghi.
I docenti del Dipartimento fanno appello al Governo e al Parlamento perché la proposta di condono non venga approvata, e crisi delle periferie, crisi della programmazione urbanistica e crisi della politica residenziale pubblica non vengano sfruttate da iniziative superficiali e controproducenti del Ministero del Tesoro, ma vengano affrontate nell’ambito dei Ministeri e degli enti locali competenti portando avanti una seria programmazione integrata fra obiettivi di natura sociale, economica e urbanistico-ambientale.
Giandomenico Amendola, Nicola Assini, Michelangelo Caponetto, Carlo Carbone, Gianfranco Censini, Gabriele Corsani, Mario Guido Cusmano, , Gian Franco Di Pietro, Guido Ferrara , Teresa Gobbò, Gianfranco Gorelli, Massimo Grandi, Biagio Guccione, Alberto Magnaghi, Susanna Magnelli, Marco Massa, Manlio Marchetta, Maurizio Morandi, Carlo Natali, Giancarlo Paba, Raffaele Paloscia, Francesco Pardi, Massimo Preite, Giorgio Pizziolo, Francesco Ventura, Paolo Ventura, Alberto Ziparo
NO AL CONDONO EDILIZIO
GLI ARCHITETTI FANNO OBIEZIONE DI COSCIENZA
“L’architettura è espressione culturale essenziale dell’identità storica in ogni paese.
L’architettura si fonda su un insieme di valori etici ed estetici che ne formano la qualità e contribuisce, in larga misura, a determinare le condizioni di vita dell’uomo e non può essere ridotta a mero fatto commerciale regolato solo da criteri quantitativi. L’opera di architettura tende a sopravvivere al suo ideatore, al suo costruttore, al suo proprietario, ai suoi primi utenti. Per questi motivi è di interesse pubblico e costituisce un patrimonio della comunità.
La tutela di questo interesse è uno degli scopi primari dell’opera professionale e costituisce fondamento etico della professione.”
( Dalla premessa alle norme deontologiche dell’Ordine degli Architetti d’Italia.)
L’abusivismo ha prodotto danni irreparabili in tutto il territorio nazionale.
L’annuncio di un provvedimento di condono edilizio alimenta già di per sé nuove forme di abuso.
Non esiste un condono eticamente “leggero” né i suoi effetti sul territorio lo saranno mai:
l’insieme dei piccoli ed innumerevoli abusi al pari dei più clamorosi sono un danno per il proprietario del lotto adiacente così come per l’intera collettività.
Tutto il territorio è antropizzato e tutto il territorio è paesaggio. Difenderlo significa controllare, attraverso il progetto di architettura, la sua trasformazione all’interno di modalità consapevoli e condivise, in cui si incontrino e confrontino interessi collettivi ed individuali.
L’abuso edilizio nega tutto ciò dando ragione unicamente alla speculazione e all’imposizione dell’interesse privatistico.
Tutti i giorni nella nostra pratica professionale ci confrontiamo non solo con l’insieme delle regole che la comunità si è data, ma siamo anche chiamati a fornire gli strumenti per la costruzione di quelle stesse leggi necessarie alla salvaguardia dei singoli e del territorio.
Ignorare o eludere tali leggi significa non solo offendere il nostro lavoro, ma soprattutto gli interessi della collettività.
Per tutto ciò
Gli Architetti si dichiarano contrari a qualsiasi ulteriore condono edilizio e si impegnano a non prestare la propria attività professionale per i provvedimenti di condono edilizio.
Questi condoni edilizi ogni nove anni, che denunciano l’insania dominante in Italia, presentano il loro simbolo più inquietante nella cartolina del Vesuvio superpopolato. Il caso del massimo e più temerario abusivismo, infatti, è quello delle costruzioni tollerate per decenni sulle pendici del vulcano e spinte fino a breve distanza dal cratere. Quali e quante amministrazioni locali furono responsabili d’un simile scempio, a prospettiva disastrosa per 700 mila persone? Tutte o quasi, sotto la pressione della camorra o della densità di popolazione in Campania. Ora i dati raccolti da Gian Antonio Stella, nell’inchiesta pubblicata sul Corriere , segnalano una somma di scandali cronicizzati con fatti e cifre anche recenti. Reiterate sanatorie, solo venti demolizioni dal 1997 in poi, quasi 50 mila domande di condono, imprese abusive della camorra che intimidisce i possibili appaltatori degli abbattimenti. E l’incentivo a sfollare almeno l’area del maggior pericolo, giacché secondo l’Osservatorio Vesuviano «prima o poi dovremo fare i conti con una nuova eruzione», prevede solo buoni casa di 25 mila euro per famiglia.
Eppure si tratta del vulcano più temibile d’Europa, sempre vivo benché da 59 anni dormiente. Negli ultimi due secoli furono sette le maggiori eruzioni, dal 1822 al 1944, quando la colata lavica rovinò su abitati come San Sebastiano e Massa di Somma. Si teme in particolare la calotta calcarea, che può esplodere, anche se dopo macroscopici e prolungati segni premonitori controllabili dai sistemi d’allarme in un’area d’oltre 110 chilometri.
Che fare dinanzi a un’eruzione, sia pure non improvvisa e tuttavia intensa come quella del 1631, che giunse a devastare un’area di 500 chilometri quadrati? Il sonno lungo d’un vulcano a tendenza esplosiva non è affatto un dato rassicurante, come avvertono i vulcanologi rievocando l’esperienza storica dei risvegli più calamitosi dal 79 d.C., l’anno di Ercolano e Pompei, al 1980 del Mount Saint Helens esploso in America.
Nel settembre 1995 fu annunciato un Piano Vesuvio della Protezione Civile, che nel caso d’allarme dovrebbe organizzare l’esodo collettivo da un’area divisa in tre zone, rossa, gialla, blu, in tempi diversi secondo l’intensità immediata del pericolo. Per la zona rossa, tempo massimo una settimana. Anche se la maggioranza degli esperti considera improbabile per i prossimi tempi un’eruzione simile a quella del 1631, ora si vorrebbe sapere se quel progetto per l’emergenza è aggiornato, a distanza di otto anni, secondo i dati più recenti sull’abusivismo. E poi, si tiene conto veramente di tutto? Per esempio, del panico prevedibile dopo il semplice annuncio del primo allarme, delle fughe di massa nel timore d’una paralisi di porti e stazioni ferroviarie, delle conseguenze d’una pioggia di ceneri propagate dai venti su persone, motori, sistemi elettrici o meccanici.
Questo, in brevi termini semplificativi, è il massimo e peggiore scandalo nazionale dell’abusivismo edilizio, benché non se ne discuta quasi mai dalle tribune pubbliche. Ma è anche un esempio delle questioni vitali che dovrebbe trattare la politica seria, ben oltre le schermaglie tra schieramenti politici sui loro interessi e le dispute sulle opere pubbliche spettacolo. Se qualcuno vuole obiettare, come sempre, che il pessimismo allarmista deprime, la risposta è che l’ottimismo lassista deresponsabilizza.