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Condono o sanatoria. La differenza potrebbe essere più nel suono della parola, nell’effetto che fa, che nella sostanza. Per il governo significa un’operazione da 6 miliardi di euro che sono indispensabili per reggere la manovra da 24 miliardi di euro appena approvata dal consiglio dei ministri. Per gli ambientalisti vuol dire sanare un milione e quattrocentomila abitazioni sconosciute al catasto e in gran parte abusive. Con effetti devastanti per un territorio già martoriato. Certo, in teoria condono e sanatoria sono diversi. Il primo elimina gli effetti anche penali. La seconda ha un valore fiscale. Però quello che sulla carta è distinto, nella sostanza potrebbe essere simile. Anzi, c’è chi arriva a dire – perfino tra gli ambientalisti – che una sanatoria abborracciata, potrebbe essere addirittura peggio di un condono: ugualmente devastante, ma meno redditizia. Il danno e la beffa.

“Non ci sarà condono”, promette Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ecco allora l’ipotesi della sanatoria degli “immobili fantasma”, cioè non censiti al catasto. Che sono abbastanza per costruire una metropoli grande più di Roma. L’Agenzia del Territorio si sta occupando di due tipi di immobili: 1,4 milioni di case “fantasma” e 870mila fabbricati ex rurali. Finora si sa questo: entro il 31 dicembre 2010 i proprietari di immobili non censiti dovranno presentare, ai fini fiscali, la dichiarazione di aggiornamento catastale. Una sanatoria accompagnata da un giro di vite: per contrastare il fenomeno degli immobili fantasma è previsto che i contratti di compravendita e mutuo debbano contenere a pena di nullità i dati catastali esatti.

Tutto chiaro? Mica tanto. Le associazioni ambientaliste storcono il naso: “La sanatoria richiede per forza un condono”, sostiene Stefano Ficorilli del Wwf. Aggiunge: “E’ vero, non tutte le case fantasma costituiscono un illecito penale. Ma è certo il contrario: un immobile abusivo è per forza fantasma”. Insomma, la sanatoria dovrebbe riguardare anche le case costruite illegalmente (che sono gran parte del milione e quattrocentomila). E qui gratta gratta spunta il condono: se il proprietario denuncia al catasto il proprio immobile abusivo immediatamente dovrebbe scattare la denuncia penale (salvo prescrizione). “Quindi – sostiene il Wwf – deve necessariamente essere previsto un condono. Non è pensabile che una casa sia in regola da un punto di vista fiscale (sanatoria) e non da quello urbanistico (condono). Quale proprietario pagherebbe per mettere in regola un immobile da abbattere? Nessuno”.

Il condono, però, serve anche per raggiungere i 6 miliardi di entrate previste dal Governo. Con l’oblazione pagata dai proprietari delle case abusive – si calcola 5mila euro per unità immobiliare – il gioco sarebbe fatto visto che almeno un milione delle case fantasma sarebbero illegali e che dal condono del 2004 sono stati costruiti 350mila edifici fuorilegge. Insomma, il terzo “colpo” di spugna” edilizio dell’era Berlusconi sembra alle porte. Che si chiami condono o sanatoria. Ma quali saranno gli effetti? “Per il territorio sarà una sciagura”, prevede Ermete Realacci (Pd), “soprattutto se sarà confermato il termine aperto fino alla fine dell’anno”. L’annuncio avrebbe un effetto “criminogeno” perché darebbe il via al solito boom di abusi realizzati in vista della sanatoria. Ma molti sollevano il dubbio che, anche da un punto di vista economico, la sanatoria sia vantaggiosa: “Un pagamento una tantum, parziale, è meno redditizio per le casse dello Stato di una politica basata sul rispetto costante delle norme fiscali e urbanistiche”, sostiene Stefano Pareglio, professore di Economia Ambientale all’Università Cattolica. Aggiunge: “Soprattutto, però, si crea nei cittadini la convinzione che chi commette un abuso e aspetta il condono paga meno di chi rispetta le regole”. Il che in Italia, purtroppo, non è lontano dal vero.

La sanatoria, però, non convince nemmeno i comuni. Salvatore Perugini, sindaco di Cosenza e vice-presidente dell’Anci, sospira: “Siamo contrari anche sul piano del metodo. Ci hanno convocato, ma non ci hanno dato la possibilità di interloquire. E poi non si capisce che cosa ci aspetti: con il condono pagavi un’oblazione e da quel momento la casa era in regola e dovevi versare l’Ici. Ma se si trattasse soltanto di una manovra fiscale, resterebbe soltanto l’Ici, che tra l’altro adesso sulla prima casa neanche si paga”. Insomma, il danno ambientale, senza un consistente beneficio economico. E poi, a parte il carico di lavoro per i comuni, c’è la questione della sicurezza: “Se un immobile non risulta al catasto significa che non è passato al vaglio comunale. Quindi – spiega Perugini – una volta regolarizzato costringe i comuni a realizzare le opere di urbanizzazione (strade, scuole, allacci)”. Per garantire agli abitanti, che hanno costruito abusivamente, condizioni di vita dignitose pagate dalla collettività. Infine: “C’è il pericolo che le case fantasma siano realizzate a rischio... vicino a un fiume o in una zona franosa”.

Il Senato dà il via libera alla conversione in legge del decreto che sospende le demolizioni delle case abusive in Campania. E lo fa nella stessa giornata in cui a Casalnuovo vengono rasi al suolo altri due fabbricati costruiti senza licenza.

Un intero pomeriggio è durata la discussione in Senato. E se la parola passa ora alla Camera, c´è da registrare una importante modifica rispetto al testo che portava la firma del governo: il decreto che secondo la prima versione doveva limitarsi ad un solo articolo e doveva essere applicato esclusivamente alle abitazioni che fossero stabilmente occupate da chi non possedeva un´altra casa, e che non si trovassero in territori tutelati da vincoli paesaggistici, allarga ora le sue maglie e concede una sospensione degli abbattimenti anche alle abitazioni costruite in aree vincolate.

Una sospensione di più breve durata, però: il blocco delle demolizioni nelle zone paesaggisticamente protette avrà durata solo sino al 31 dicembre di quest´anno, termine però entro il quale la Regione dovrà provvedere alla «rivisitazione del regime vincolistico». È la speranza, lasciata a chi abbia edificato in area a vincolo, di ritrovarsi a gennaio 2011 fuori da quella limitazione ed essere messo così alla pari con gli altri casi per i quali il blocco degli abbattimenti è confermato fino al 30 giugno. Resta inteso che il provvedimento riguarda solo immobili costruiti entro il 31 marzo del 2003.

In aula hanno votato contro Pd, Idv e Udc, ma la maggioranza ha fatto sentire il proprio peso, nonostante le pressioni contrarie esercitate, fuori dall´aula, anche da associazioni ambientaliste come il Wwf e il Fai. I cui presidenti, rispettivamente Stefano Leoni e Giulia Maria Mozzoni Crespi, ieri hanno confermato anche il proprio parere negativo sulla sanatoria delle cosiddette «case fantasma». «Un terzo condono edilizio - spiegano - che sarebbe devastante per il territorio del Paese e deludente per i conti pubblici». E mentre a Roma si discuteva, a Casalnuovo venivano abbattuti due edifici abusivi ancora allo stato grezzo, non abitati. A Casalnuovo sono quindi ricominciate le operazioni di demolizione. Operazioni iniziate all´alba, per evitare eventuali scontri con la popolazione, sotto lo sguardo vigile delle forze dell´ordine. I due edifici, in via Vecchiullo, sorgevano circondati da altri palazzi ugualmente abusivi, in un quartiere interamente fuorilegge edificato nel 2006.

Per firmare l’appello di eddyburg contro il decreto

Un pasticcio dietro il quale può celarsi il solito maledetto imbroglio: un nuovo maxi-condono edilizio. Il terzo da quando il Cavaliere-immobiliarista è sceso in campo. Disastrosamente per il Belpaese, in ogni senso. Così si può sintetizzare l’idea del duo Berlusconi-Tremonti di immettere nella manovra straordinaria la regolarizzazione catastale delle cosiddette “case fantasma”, peraltro già in atto in forma ordinaria. Da sola essa è infatti destinata a fruttare poco più di 1,5 milioni di euro. Che balzerebbero tuttavia a 6 (sulla carta) con un nuovo condono. Un gioco di sottomano. Per il quale la spesa dei Comuni sarebbe, come si sa, più alta del ricavato, a meno di non riuscire ad esigere sull’unghia dai condonati sanatoria e oneri di urbanizzazione evasi. Operazione delle più accidentate per “fare cassa”. Delle più facili, invece, per incoraggiare altro abusivismo edilizio, sovente promosso, totalmente “in nero”, dai vari racket, con ricadute spaventose – come testimoniano le continue frane omicide – su periferie, campagne e paesaggio. Secondo i dati di Legambiente, il 45 % degli illeciti edilizi si concentra in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, al quale va aggiunto l’8,3 di Roma.

Cerchiamo di capirci qualcosa di più. Dal 2007 l’Agenzia del Territorio sta indagando su due differenti tipologie: a) le case fantasma, appunto, sconosciute al fisco, circa 2 milioni, individuate sovrapponendo alle mappe catastali (aggiornate, di fatto, soltanto nelle ex asburgiche Trieste e Gorizia) le fotografie aeree del territorio; b) i fabbricati ex rurali, circa 870.000, già nei catasti comunali e che però possono non essere più pertinenze agricole. Si sa così per certo che le case fantasma si trovano soprattutto al Centro-Sud, col record assoluto di irregolarità a Salerno, seguita da Roma e Cosenza; col primato per Kmq a Napoli e Avellino (ma fra loro c’è Varese, patria di Umberto Bossi), e con quello per densità ogni 100 abitanti ad Avellino, Viterbo e Potenza.

Gettito stimabile, 1,5 miliardi, forse qualcosa di più. Ma unicamente se i titolari di questi fabbricati fantasma (sono anche box, capannoni, laboratori, ecc.) decideranno di pagare tutto e subito in termini di Ici, Irpef e tassa rifiuti sin qui evase. Tuttavia questi edifici fantasma è probabile che siano anche abusivi. In tal caso dovrebbero essere affidati alle ruspe. Ecco allora spuntare un nuovo condono. Poderoso, vergognoso, immorale incentivo, in ogni caso, ad altre illegalità edilizie diffuse, ad altre cementificazioni dissennate e criminali. A quel punto lo Stato italiano – accentrato, decentrato, regionale o federale che si voglia – potremo considerarlo inesistente. Cioè, anch’esso, fantasma. Come 2 milioni di fabbricati che, pare incredibile, lo popolano, a sua insaputa.

la Stampa

Immobili fantasma. I Comuni aprono alla sanatoria

di Alessandro Barbera

Sarebbe il terzo condono edilizio del governo Berlusconi in sedici anni. Il primo risale al 1994, il secondo al 2003. Gli esperti del settore lo aspettano da tempo, come se si trattasse dell’inevitabile cura ad un male impossibile da debellare, l’abusivismo. Se le indiscrezioni verranno confermate, si tratterà di una delle voci più importanti della manovra da 28 miliardi che il governo dovrebbe varare la prossima settimana: sei miliardi di gettito stimato per mettere in regola più di due milioni di immobili. Fabbricati censiti dall’Agenzia del Territorio, ma in molti casi sconosciuti a catasto e al fisco. Le reazioni delle associazioni ambientaliste e dell’opposizione sono tutte negative: Legambiente, Pd, Italia dei Valori su tutti.

La questione ieri ha tenuto banco in una lunga riunione fra Giulio Tremonti, Roberto Calderoli e i vertici dell’Anci guidati da Sergio Chiamparino. «Non abbiamo discusso di questo, e comunque non siamo entrati in dettagli tecnici. L’Anci era e resterà contro i condoni indiscriminati», spiegherà il sindaco. «Però è bene chiarire una cosa: su questi temi è inutile mettere la testa nella sabbia. Quando si discute di immobili fantasma, non si parla necessariamente o solo di abusi. Quando mi capita di volare sui tetti di Torino, e mi capita spesso, non ho mai avuto la sensazione di vedere un panorama diverso da quello delle mappe catastali. Eppure quando abbiamo provveduto a rivedere gli estimi abbiamo trovato di tutto». Da immobili di lusso accatastati come rurali a diritti di cubatura realizzati e non denunciati.

Sanatoria a parte, sulla quale i Comuni attendono ragguagli, Chiamparino ha deciso di tenere aperto il dialogo con il governo. «Ci è stato chiesto di farci carico della partecipazione ad una manovra che ha un evidente interesse nazionale ed europeo. Siamo pronti a fare la nostra parte come Anci a due condizioni: che ci siano le risorse mancanti nel 2010 e una ridefinizione del patto di stabilità interno». La manovra prevede un taglio alle spese dei Comuni pari a due miliardi di euro per il 2011, altrettante per il 2012. In cambio l’Anci ha già ottenuto il sì a 500 milioni di maggiori risorse nel 2010 per coprire alcune voci di spesa, fra cui quelle legate alle prestazioni sociali, mentre è ancora oggetto di trattativa il Patto di stabilità. I Comuni sono disposti a rinunciare ad un po’ di risorse purché il governo renda più flessibile la gestione dei bilanci, e di fatto gli conceda anche più autonomia nell’imporre le tasse.

L’emersione e regolarizzazione degli immobili fantasma, secondo le stime del governo, da sola basterebbe a restituire ai Comuni ciò che la manovra gli toglierà. E’ uno dei pezzi del più complesso mosaico del federalismo fiscale al quale il governo lavora da tempo. Se sarà rispettata la tabella di marcia di Tremonti e Calderoli, nel prossimo decreto attuativo, entro l’estate, ci saranno anche le norme che dovrebbero permettere l’attribuzione ai Comuni del catasto.

Tremonti e Berlusconi

Dopo aver speso la terza sera consecutiva a discutere (e litigare) dei contenuti della manovra, ieri Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi si sono divisi i compiti. Il ministro dell’Economia, prima di incontrare l’Anci, è salito al Quirinale per mettere al corrente Giorgio Napolitano su come procede il lavoro sulla manovra.

Se tutto andrà come lui vorrebbe, quando il Capo dello Stato sarà rientrato dalla visita di Stato negli Stati Uniti, il provvedimento sarà stato approvato. Nel frattempo il premier, collegandosi via telefono con una manifestazione Pdl, ha teso a rassicurare sui contenuti. «La manovra non sarà punitiva, non colpirà la sanità, né la scuola, né l’università». Neanche una parola sulle voci di dissidi con Tremonti, il quale nel frattempo, avrà nuovamente contatti riservati con i vertici di Cisl, Uil e Confindustria.

Le misure

Tremonti resta determinato a chiudere la partita entro martedì, al massimo mercoledì. Teme ripercussioni sui mercati e le lamentele delle tante categorie chiamate a dare un contributo alla manovra. Ieri, saputo del blocco contrattuale esteso anche alle forze di polizia, sono insorte tutte le associazioni di categoria: Silp, Siulp, Sap. I medici insorgono contro la possibile reintroduzione di un ticket da 7,5-10 euro sulla specialistica, il Comune di Roma dice no all’ipotesi di introdurre un pedaggio per il grande raccordo anulare di Roma. La protesta più insidiosa per Tremonti resta però quella, invisibile al pubblico, degli alti burocrati. La manovra prevede il taglio del 10% e per due o tre anni (la prima bozza non lo specifica) della parte di retribuzione eccedente i 75mila euro l’anno. Dal taglio sono interessate pressoché tutte le categorie, tranne coloro che ricevono solo una retribuzione da contratto. Di tutte le norme volute da Tremonti, è quella che gli ha provocato più problemi nel governo e con Berlusconi.

la Repubblica

Abusi edilizi, 5 miliardi dalla sanatoria

fuori legge un milione e 300mila case

di Luisa Grion

C´è un piano già pronto ed è anche già pronta la «scusa» per farlo passare. Uno dei piatti forti della manovra del governo Berlusconi potrebbe essere ancora una volta il condono edilizio, o meglio una nuova edizione di quello già «scaduto» nel 2004.

Far emergere i due milioni di case «fantasma», non registrate al Catasto, non basterà infatti a far quadrare le misure sui conti pubblici. Dal controllo incrociato fra la mappatura fotografica realizzata dall´Agenzia del Territorio e le abitazioni effettivamente denunciate dai proprietari potrebbe derivare un gettito non superiore al miliardo e mezzo di euro. Dal settore edilizia invece il governo conta di ricavarne 6. La differenza potrebbe appunto essere colmata riaprendo i termini del vecchio condono. Tanto più che - da quanto risulta a Legambiente - in Italia sono fuorilegge 1.296.000 case.

La scusa per riprendere in mano il provvedimento scaduto è questa: c´è una regione, la Campania, che è stata esclusa dalle misure varate nel 2004; riaprire i termini - dunque - vorrebbe dire «dare a quei cittadini le opportunità di esercitare un diritto riconosciuto agli altri». E´ così infatti che sulla questione si è più volte espresso il senatore del Pdl Carlo Sarro che del «caso Campania» ha fatto una questione personale. Il vecchio condono permetteva infatti di sanare gli abusivismi effettuati fino a marzo 2003 attraverso una domanda da presentare entro il 2004. Ma l´amministrazione campana di allora (giunta Bassolino) - sostiene un gruppo di senatori Pdl capitanati da Sarno - propose una interpretazione restrittiva che ne impedì l´adesione. Stessa cosa - commentano - avvenne per parte della cittadinanza marchigiana e emiliana. Ora, visto che in seguito la Corte costituzionale dichiarò illegittimi due provvedimenti sull´abbattimento degli immobili varati dalla regione, i termini vanno riaperti. Con buona pace della difesa del territorio.

Di fatto Sarno e i colleghi campani già lo scorso febbraio avevano presentato un disegno di legge che - riferendosi sempre agli abusivismi commessi entro il 2003 - chiedeva di prorogare la sanatoria alle domande presentate entro dicembre 2010. Poche settimane prima avevano provato, senza successo, a far passare lo stesso testo nel decreto Milleproroghe. Ora siamo al terzo tentativo: c´è già un piano di condono pronto e c´è la «scusa» per farlo passare. Non solo, ad aprile il governo ha varato un decreto che blocca le demolizioni degli immobili in Campania (come promesso dal Pdl in campagna elettorale) fino al giugno 2011 per «fronteggiare la grave situazione abitativa nella regione».

La base per lanciare un nuovo condono è dunque definita, ma Legambiente è pronta a dare battaglia. «Si annuncia una sanatoria di proporzioni mai viste, la più grande mai realizzata nel paese - commenta il presidente Vittorio Cogliati Dezza - Se così sarà il territorio subirà la mazzata finale, sarà riattizzata la piaga dell´abusivismo edilizio, restituito fiato e ossigeno alla malavita organizzata che sul ciclo del cemento illegale vive e vegeta. Risanare i conti pubblici svendendo l´Italia a furbi ed ecomafiosi è una scelta che non potrà che ritorcersi contro il paese e la sua crescita». Varare condoni - sostiene Legambiente - alimenta il vizio: solo dal 2003 ad oggi sarebbero sorte altre 210 mila costruzioni abusive.

il manifesto

Il fantasma del condono

di Antonio Sciotto

Tremonti infila nella manovra l'ennesima sanatoria, quella degli immobili «fantasma» e degli altri abusi edilizi. Che dovrebbe portare al governo 6 miliardi e mezzo sui 27 previsti

Nella manovra tutta-tagli messa a punto dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti ci sarebbe anche il condono edilizio. Ieri l'opposizione e le associazioni ambientaliste sono insorte, anche perché questa volta per il paesaggio sarebbe un colpo durissimo: l'entità del «sanato» sarebbe infatti ben maggiore rispetto ai passati condoni (ben 3 dal 1985), dando l'ok praticamente a qualsiasi immobile. Anche quelli costruiti abusivamente nelle zone più vincolate per motivi storici e naturalistici. Un vero mostro.

L'allarme viene dai senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, che hanno analizzato la voce di gettito messa in bilancio da Tremonti: «Si tratta di sei miliardi - spiegano - Vuol dire il doppio del gettito atteso dall'ultimo condono, quello varato nel 2003 dal tandem Berlusconi-Matteoli, e significa che in questo caso verrebbero ammessi alla sanatoria anche gli immobili abusivi realizzati in aree vincolate e quelli frutto di grandi speculazioni che vedono spesso coinvolte le ecomafie. Davvero un bel regalo per la criminalità organizzata, e un bello schiaffo per i cittadini onesti». Netto no al condono anche da Verdi e Idv.

Quante sarebbero le costruzioni coinvolte nella sanatoria?Si tratterebbe di oltre due milioni di immobili «fantasma», sparsi in tutto il Paese, scoperti nel 2009 incrociando le mappe catastali e le immagini satellitari di Google. Come spiegava una settimana fa sul manifesto l'urbanista Paolo Berdini, «solo con un controllo limitato al 25% dell'intero territorio si è scoperto che mancavano all'appello 571 mila edifici. Oltre due milioni sull'intero territorio nazionale, costituiti per lo più da immobili che hanno deturpato i luoghi più belli del paese e il paesaggio agricolo. Sono le ville di Ischia, della costa amalfitana, dell'Appia antica, delle coste siciliane e calabresi».

Questo sarebbe già il quarto condono edilizio realizzato in Italia, dopo quello del governo guidato da Bettino Craxi (1985), e i due di Berlusconi (1994 e 2003). Senza contare, ovviamente, il recente Piano Casa, anch'esso un lasciapassare all'abusivismo, per fortuna in gran parte arenato nella sua applicazione. Ma intanto, anche solo annunciando i condoni, si invita chi vuole fare abusi a costruire, tanto poi potrà sanare.

Quest'anno ci sono già stati due tentativi di varare dei condoni, su iniziativa della maggioranza. A provarci a fine gennaio erano stati i senatori del Pdl Carlo Sarro e Vincenzo Nespoli con un emendamento al «milleproroghe». La sanatoria riguardava gli abusi edilizi commessi fino al 31 marzo 2003: tutti gli interessati avrebbero potuto presentare domanda anche nel caso in cui avessero già ricevuto in passato uno stop alla loro richiesta di condono. Venivano poi bloccati tutti i procedimenti sanzionatori avviati. L'emendamento è stato fermato dalla dichiarazione di inammissibilità da parte della Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama.

Gli stessi senatori Pdl avevano poi presentato a metà febbraio un ddl: prevedeva la riapertura dei termini del condono scaduto a fine 2004 fino al 31 dicembre 2010 e dava la possibilità di estendere la sanatoria anche alle violazioni commesse nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico e ambientale. Il ddl non è poi andato avanti. Infine è di aprile lo stop alle ruspe che stavano abbattendo le case abusive in Campania: un decreto ha deciso, «al fine di fronteggiare la grave situazione abitativa nella regione», di sospendere fino al 30 giugno 2011 le demolizioni di immobili destinati esclusivamente a prima abitazione purchê riguardanti immobili occupati da famiglie sfornite di altra abitazione.

Ermete Realacci (Pd) lancia l'allarme sull'«effetto annuncio», pericoloso ancor prima del varo della legge: «Il solo effetto annuncio delle precedenti sanatorie Berlusconi, nel 2003 generò 40 mila nuove case illegali, con un incremento della produzione abusiva superiore al 41% tra 2003 e 2001. Lo stesso nel 1994: durante i mesi di discussione del provvedimento furono costruite 83 mila case fuorilegge».

Annuncia battaglia Vittorio Dezza, presidente di Legambiente: «Le costruzioni illegali, il cemento selvaggio e impoverito, l'assenza o il mancato rispetto di piani regolatori e paesaggistici - dice - in un paese ad altissimo rischio di dissesto idrogeologico portano danni non solo all'ambiente, ma come hanno dimostrato le cronache, anche in termini di vite umane».

Patto rispettato: la Carfagna lo aveva promesso in campagna elettorale

Ischia, i carabinieri all’alba sequestrano immobili per 4.500 metri quadrati e 11 milioni di euro, denunciando 51 persone per abusivismo edilizio. Roma, poche ore dopo: il Consiglio dei ministri approva un decreto legge che congela, in tutta la Campania, le demolizioni delle strutture abusive. Ruspe bloccate fino al 30 giugno 2011. Un decreto di pochi articoli e via: sentenze e processi, durati decenni, diventano improvvisamente carta straccia. “È il buongiorno di Stefano Caldoro”, commenta l’europarlamentare dell’Idv Luigi de Magistris. “Il presidente della Regione, con il consenso del Governo, ha dato il via libera al sacco edilizio della camorra. Uno schiaffo alla giustizia: con un gesto hanno cancellato le sentenze che consentivano le demolizioni”. E sono tantissime. Nei prossimi giorni, per esempio, a Camaldoli rischia di saltare la demolizione di una beauty farm del potente clan Polverino. Per salvarla, utilizzando il decreto, sarà sufficiente uno stratagemma: infilarci qualcuno che dichiara di non avere altra casa in cui abitare. Trentamila demolizioni previste, dalla Procura Generale, nel solo distretto di Napoli. Circa sessantamila in tutta la Campania. Quando il decreto sarà pubblicato, si potranno demolire soltanto le strutture abusive posteriori al 2003, molte delle quali, però, non sono ancora giunte all’ultimo grado di giudizio. L’ultima demolizione risale ad appena nove giorni fa.

È il 15 aprile. Sant’Antonio Abate, hotel La Sonrisa: demolita una mansarda di 400 metri quadri realizzata dalla società Ipol e poi affittata all’albergo. A difendere la Ipol, in una valanga di ricorsi e contro-ricorsi, un avvocato napoletano: Carlo Sanno. Parliamo dello stesso Sanno, parlamentare del Pdl, che ha firmato il disegno di legge, approvato ieri dal Governo, con il quale si bloccano le ruspe e si autorizza, di fatto, una nuova sanatoria. Curioso. E fu proprio in un comizio a Sant’Antonio Abate – il luogo delle ultime 5 demolizioni effettuate – che Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità, promise che le ruspe, in Campania, sarebbero state fermate: a patto che Stefano Caldoro vincesse le elezioni regionali. “Studieremo una legge regionale, d’intesa con il governo, per fermare le demolizioni”. Caldoro ha vinto. E le ruspe ora rischiano la paralisi. Potremmo chiamarlo l’editto di Sant’Antonio Abate. Un’opera buona e caritatevole, ha spiegato ieri il ministro Carfagna: “Il Governo non poteva assistere impassibile al fatto che, con gli abbattimenti, molte donne con bambini, anziani, addirittura disabili, tutti senza un'altra abitazione, venissero lasciati in mezzo a una strada”. Donne, anziani, bambini e disabili senza abitazione. Vediamo un po’: il 10 dicembre, a Sant’Antimo, è stata abbattuta una villa da 800 metri quadri. Non era una stamberga per diseredati. Se non bastasse, era priva di cemento armato poiché – spuntata veloce come un fungo – era costruita con acqua sabbia e polvere. Ma il ministro ragiona così: “Questo decreto è necessario per fare chiarezza e avviare un percorso virtuoso che riporti la legalità anche nell'edilizia campana”. Il decreto – che riguarda gli “immobili stabilmente occupati” da soggetti che “non hanno altra abitazione” e “costruiti entro il 31 marzo 2003” – presenta una sola eccezione: si demolirà, comunque, se esistono “pericoli per la pubblica o privata incolumità”. Riguardo i “vincoli paesaggistici”, invece, il provvedimento apre il cancello alle interpretazioni: dispone una “ricognizione” sui “vincoli di tutela paesaggistica”. “Ricognizione”. Le strutture che violano il paesaggio, nel frattempo, “rischiano” di restare in piedi. È questo il “percorso virtuoso” che porterà “la legalità nell’edilizia campana”. E infatti: Legambiente impugnerà il decreto, perché qui, le demolizioni, rappresentano la vera sfida alla camorra e alla speculazione selvaggia. Nel 2000, quando fu demolito il Villaggio Coppola – otto torri da 12 piani, con porticciolo e chiesa annessa – il presidente della commissione d' inchiesta sui rifiuti, Massimo Scalia, dichiarò: “Il clima è cambiato: il ripristino della legalità è la condizione per uno sviluppo senza collusione con la criminalità organizzata”. Dieci anni dopo, il clima cambia per decreto, si bloccano le ruspe nella regione dove soltanto a Salerno – secondo l’Agenzia del Territorio – esistono 93mila fabbricati (o ampliamenti) non dichiarati in catasto. Non si tratta necessariamente di fabbricati abusivi, precisa l’Agenzia, ma un fatto è certo: esistono 93mila strutture “fantasma”. Soltanto a Salerno.


qui l'appello di eddyburg

Schema di decreto legge recante "Disposizioni urgenti per garantire le immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione italiana in conformità alle norme internazionali e differimento dei termini relativi alle elezioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero e del Consiglio generale degli italiani all'estero e sospensione delle demolizioni edilizie nella provincia di Napoli"

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II Presidente della Repubblica

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione

Visto il regia decreto-legge 30 agosto 1925, n. 621, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 1926, n. 1263;

Vista 1a legge 23 ottobre 2003, n. 286 recante "Norme relative alla disciplina dei Comitati degli italiani all'estero";

Visto l’articolo l0, commi 1 e 2, del decreto - legge 30 dicembre 2008 n. 207 recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti;

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di prevedere la sospensione dell'efficacia dei titoli esecutivi nei confronti di Stati od Organizzazioni internazionali allorché sia pendente un giudizio dinnanzi ad un organo giudiziario internazionale diretto all'accertamento della propria immunità dalla giurisdizione italiana;

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di provvedere a1 differimento del termine previsto dall'articolo 8 della citata legge, fissato al 31 dicembre 2010, anche al fine di consentire l'approvazione di un provvedimento di riforma degli organi di rappresentanza dei cittadini italiani all'estero e la conseguente modifica delle modalità e delle procedure previste per il rinnovo del Comitati degli italiani all’estero;

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di sospendere le attività di demolizione di fabbricati destinati a civile abitazione nella provincia di Napoli in dipendenza sia della gravissima situazione abitativa, che ne risulterebbe ulteriormente compromessa, che degli effetti dell’applicazione della sentenza n. 199 del 2004;

Vista 1a deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del …….. sulla proposta del Presidente del Consiglio e dei Ministri degli affari esteri, della giustizia e delle infrastrutture e dei trasporti:

Emana

il seguente decreto-Iegge

………

Art. 3 (Disposizioni urgenti per il disagio abitativo nella provincia di Napoli)

1. Al fine di fronteggiare la grave situazione abitativa esistente nella provincia di Napoli e di consentire un'adeguata ed attuale ricognizione delle necessità di tutela dell'ambiente e del paesaggio, sono sospese fino al 31 dicembre 2011 le demolizioni di immobili, esclusivamente destinati a civile abitazione, disposte a seguito di condanna penale, purché riguardanti immobili occupati stabilmente da soggetti sforniti di altra abitazione.

2. Si procede, in ogni caso, alla demolizione, ove dal Comune competente siano stati riscontrati pericoli per la pubblica o privata incolumità derivanti dall' edificio del quale sia stata disposta la demolizione in sede penale.

qui l'appello di eddyburg

Condono napoletano

di Francesca Pilla

Una leggina ad hoc per rilanciare l'abusivismo, sospendere i 65 mila abbattimenti disposti dal centrosinistra e confermare la promessa elettorale del neopresidente Caldoro. Accade in Campania, la regione d'Italia con il territorio più devastato dagli scempi edilizi. La difesa del Pdl: «È una questione di bisogno e di ordine pubblico». Legambiente: «Così si ridà fiato alle ecomafie». E De Luca (Pd) si schiera con il condono

Gli hanno dato il nomignolo di "decreto anti-ruspe", ed è una leggina cucita apposta per la regione Campania, per ridare fiato all'abusivismo e confermare le promesse fatte in campagna elettorale dal neopresidente Stefano Caldoro e dal centrodestra. Obiettivo è sospendere i 65mila abbattimenti delle costruzioni illegali disposte dalla precedente giunta Bassolino e riaprire i termini del condono previsto fino al 2003. «Una follia», è la prima parola che pronuncia Michele Buonomo, presidente di Legambiente Italia: «I casi di abusivismo si contano a decine di migliaia, gli abbattimenti sulle dita di due mani, una percentuale da prefisso telefonico. La riapertura dei termini è una presa in giro per gli onesti - continua incalzando - favorisce l'iniquità, penalizza chi rispetta le leggi e premia chi le viola».

La questione è ovviamente politica. Il testo della proroga doveva essere presentato per la fine di questa settimana, ma ormai è sicuro che slitterà all'inizio della prossima. Probabilmente il decreto sarà presentato dalla stessa presidenza del consiglio per superare i veti dei tecnici dei ministeri dell'ambiente e dell'interno. Un problema particolarmente sentito, quello dei condoni, da parte dello stesso Berlusconi e di diversi parlamentari campani, tanto che già nel 2003 quando la giunta guidata dalla sinistra approvò una delibera contro la sanatoria, il governo chiese l'intervento della Corte costituzionale per conflitto tra poteri. La consulta diede ragione allo Stato e Bassolino fu costretto a far marcia indietro, ma con una nuova legge, del 2004, si riservò gli abbattimenti nelle aree vincolate. Ora torna tutto in dubbio, e si rischia di far finire in un unico calderone le case spuntate nelle zone a rischio e in quelle soggette a vincoli paesaggistici. «Ritengo che questa iniziativa non sia positiva - spiega Ugo Leone, preside dell'Ente parco Vesuvio - e fra l'altro vanifica tutti gli sforzi che stiamo facendo e che hanno portato alla firma di un protocollo d'intesa con l'assessore all'urbanistica della regione Campania per procedere alla realizzazione, in comune, di abbattimenti dichiarati abusivi nei 13 comuni del Parco». Anche perché tutta la zona rossa attorno al vulcano è un dedalo di manufatti realizzati contro le regole: «Questo sarà un premio a quei candidati - spiega Leone - che nella campagna elettorale hanno fatto della revisione dei confini della zona rossa, una battaglia elettorale per acquisire consenso».

In realtà nel centrodestra campano ne fanno una questione di "bisogno" e ordine pubblico. Le misure infatti dovrebbero riguardare solo gli abusi di "necessità", riguardanti le prime case. Eppure il primo firmatario del disegno di legge che deve riaprire i termini è il senatore del Pdl Carlo Sarro, avvocato in privato della Ipol, società che ha realizzato diversi locali abusivi, tra cui quelli dati in affitto alla Sorrisa per le location di trasmissioni Rai. Ma anche nel Pd campano gli animi sono divisi, se infatti il neocapo dell'opposizione in regione Vincenzo De Luca mercoledì si era detto favorevole al decreto: «Potrebbe essere uno strumento utile», il partito era andato dalla parte opposta. Così ieri De Luca ha corretto il tiro: «Sì alla moratoria degli abbattimenti di abitazioni abusive, purché si escludano una serie di casi gravi» e precisa che «non potranno in nessun modo esser sanate le costruzioni realizzate in aree a forte rischio ambientale, sorte in zone di rilevante interesse paesaggistico, frutto di speculazioni edilizie della malavita organizzata».

Per il presidente di Legambiente resta il fatto che il ddl sarebbe «un'autorizzazione a continuare»: «Plasticamente - spiega Buonomo - il numero di abusi è pari a una città come Caserta. Una nuova apertura ridarebbe fiato anche alle ecomafie. Ricordiamo che la maggior parte delle costruzioni illegali vengono realizzati da società in rapporto con la camorra». Quanto alla parte "popolare" del provvedimento per Legambiente la strada da seguire è quella dell'edilizia sociale: «Si faccia una seria politica in questo senso. Se non c'è riuscito il centrosinistra che ci provi il centrodestra. Il piano casa non basta, mettiamo in condizione le famiglie di avere un'abitazione, o almeno di costruirla secondo criteri di legalità».

ISCHIA

Ruspe no stop Un leninista guida la rivolta abusiva

di Adriana Pollice

Il nuovo corso in Campania, sancito dalla virata a destra decretata dall'ultima tornata elettorale, si annuncia anche con il nuovo via libera al partito del cemento. A chi è rimasto nella terra di mezzo, cioè tra gli ultimi abbattimenti e l'approdo alla camera del decreto ideato apposta dal governo per bloccare le ruspe in regione, non resta che guardare l'abitazione andare giù. Ieri è toccato a Nunziatina Mirabella, un'anziana signora di Torre del Greco, in provincia di Napoli.

La notizia non deve aver colto di sorpresa la procura partenopea, in prima linea nella lotta all'abusivismo, visto che da mesi le forze politiche, in particolare il Pdl, provavano a bloccare gli abbattimenti. «Per ora leggo solo indiscrezioni di stampa - il commento del procuratore aggiunto di Napoli, sezione reati ambientali, Aldo De Chiara - quindi preferisco aspettare di conoscere i contenuti del provvedimento per entrare nel merito. Certo, il messaggio è quello che è ma non dobbiamo alimentare l'impressione che ci siano posizioni pregiudiziali da parte nostra». Più esplicito il procuratore generale, Vincenzo Galgano: «Questo è il Paese in cui bisogna adattarsi a tutto. Molte cose che vengono fatte in spregio delle regole vengono poi protette, non è una novità. Così si demolisce il nostro lavoro». L'argomento abbattimenti era stato oggetto di uno specifico incontro con il sottosegretario Gianni Letta: «Mi limitai a rappresentare qual era la situazione e la necessità da parte nostra di dover dar corso ed eseguire le sentenze definitive - spiega ancora il procuratore Galgano - Il sottosegretario con grande cortesia prese atto delle mie parole e ci salutammo». Stesso referente anche per il neo governatore Caldoro, che pare però riuscire a portare a casa il blocco delle demolizioni, nonostante il Consiglio Superiore della Magistratura aveva annunciato di voler adottare su scala nazionale il "Protocollo Napoli", un'ipotesi che sembra adesso tramontare.

Non si è salvato neppure il Grand'Hotel La Sonrisa, il celebre albergo di Sant'Antonio Abate, location di trasmissioni di successo della Rai come Napoli prima e dopo condotto da Caterina Balivo, glorie locali e nazionali alle prese con la canzone napoletana: Marisa Laurito, Milva, Amii Stewart, Peppino Di Capri, Gloriana e Lina Sastri, Fred Bongusto, accompagnati dalla Grande Orchestra di Giuseppe Anepeta e il balletto di Toni Manin, roba da far rimpiangere le sceneggiate di Mario Merola. A guardarlo da fuori sembra il castello delle fiabe, il logo della Disney Cinema, tutto torrioni e bandierine, bianco e rosso. Stanze barocche in broccati bordeaux e piscine moresche dominate dal bianco e dall'azzurro, tripudi di fontane e statue in bronzo. Location di matrimoni da sogno, consigliato nei forum per futuri sposi che non badano a spese, a volte criticato, «un po' volgare» si legge in un post subito prima di altre lodi alla cucina della casa. La struttura è proliferata nel tempo a partire da un'antica villa settecentesca, tutto un susseguirsi di abusi poi condonati, fino agli ultimi che sono andati giù, dopo la sentenza del Consiglio di Stato. Le ruspe hanno smantellato la sopraelevazione da 400 metri quadrati, dove erano state ricavate dieci lussuose camere di albergo, una mansarda e un torrino parte della coreografia del complesso turistico.

Ieri sera a Ischia, uno degli epicentri della rivolta contro i seicento abbattimenti previsti, si organizzavano le truppe dei resistenti, tema dell'incontro esteso anche ai procidani: «Validità dei condoni e concessioni in sanatoria». Il decreto "salva cemento" era stato già annunciato prima delle elezioni da Mara Carfagna, capolista del partito del neogovernatore Stefano Caldoro, al presidente del comitato per il diritto alla casa di Ischia e Procida, che in caso contrario minacciava lo sciopero del voto. Una promessa impegnativa perché significa estendere l'applicabilità del vecchio condono del 2003 anche alle aree soggette a vincolo, come appunto l'ex isola verde. L'ultima volta le domande di sanatoria furono più di novemila, una ogni 2,5 famiglie. Dal 1981 al 2006, secondo i dati di Legambiente, sono stati costruiti 100 mila vani abusivi. Nel comune di Forio, il più grande dell'isola, vennero sequestrati nel solo mese di febbraio del 2004 ben duecento cantieri fuorilegge.

Ma gli interessi sono tanti e i sostenitori sono anche a sinistra, persino a sinistra dell'estrema sinistra: Gennaro Savio, uno dei capi della rivolta popolare contro le demolizioni, esponente del partito comunista marxista-leninista (un vero e proprio fenomeno locale, già protagonista di exploit alle urne) e figlio del segretario, Domenico Savio, li aveva portati in piazza a centinaia prima delle elezioni regionali sostenendo il diritto agli "abusi di necessità" con l'impegno categorico però a non votare.

Sessantamila demolizioni. Sessantamila abitazioni abusive da abbattere. Sessantamila segnali di legalità che vanno in fumo: è tutto nelle mani del Consiglio dei ministri che, oggi, deciderà se fermare le ruspe. Qui il governatore Stefano Caldoro, e il suo Pdl, avevano puntato le urne mirando al calcestruzzo: avevano promesso una sanatoria e le promesse, si sa, vanno mantenute. Ogni promessa è debito , si dice da queste parti, dove da sempre, i clan, dominano il ciclo del cemento. Edificano selvaggiamente e, attraverso le costruzioni, controllano economia e territorio. La cittadina di Marano in qualche decennio s’è abusivamente mangiata il Vomero, per intendersi, e i clan Nuvoletta prima, e Polverino poi, si sono arricchiti di soldi e potere. Stesso discorso per i Casalesi, o per i Mallardo di Giugliano, che su 16 mila abitanti conta ben 400 edifici sequestrati.

È qui, in questo contesto devastato dal binomio camorra e cemento, che il ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna, ha dichiarato senza alcun imbarazzo: “Se saremo noi ad amministrare la Campania, studieremo una legge regionale, d’intesa con il governo nazionale, per fermare le demolizioni. Ne ho parlato con Gianni Letta e ho investito direttamente il governo del problema”. Caldoro ha vinto, la promessa dev’essere mantenuta, a partire da oggi, se il Consiglio dei ministri lo vorrà. Può sembrare strano, ma questa storia dello “stop” alle demolizioni, trova il suo fondamento proprio nelle Pari opportunità. L’ultimo condono edilizio risale al 2003 e leggiamo cosa scrivono – inneggiando all’articolo 3 della Costituzione e al suo principio d’eguaglianza dinanzi alla legge – i 14 senatori: “L’applicazione del condono non è risultata sempre uniforme”. Si sono “configurate disparità di trattamento tra i cittadini della Repubblica”. In altre parole, vi sarebbero state diverse modalità d’accesso al vecchio condono, nelle varie regioni italiane, e i cittadini campani sarebbero stati penalizzati.

E quindi: il disegno di legge – che “mira a evitare le discriminazioni” – prevede l’interruzione delle demolizioni, anche per le sentenze passate in giudicato, purché riguardino costruzioni antecedenti al 31 marzo 2003. Si può presentare regolare domanda entro il 31 dicembre e via alla sanatoria. Ma non è tutto: “La sanatoria si applica anche agli abusi edilizi realizzati in aree sottoposte alla disciplina del codice dei beni culturali e del paesaggio”. E quindi: anche gli abusi in aree soggette a vincoli paesaggistici sarebbero sanate. E non c’è soltanto il Pdl a tifare per il condono. C’è anche il Pd. Con il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, convinto sostenitore dello “stop” alle demolizioni. Con qualche distinguo – per esempio: sulle aree idrogeologiche a rischio – ma pur sempre favorevole. Eppure, basta guardarsi attorno, per comprendere che condonare significa incrementare lo scempio: “Un’indagine sull’abusivismo edilizio, pubblicata nel 2009 dall’Agenzia del Territorio – dice Giuseppe Ruggero di Legambiente – sostiene che la provincia di Salerno detiene la maglia nera, in Italia, in fatto di illeciti ambientali: 93 mila particelle, che al catasto risultano aree verdi, sono coperte da cemento illegale”. Altri dati forniti da Legambiente: nell’Agro sarnese-nocerino, un tempo noto per la sua terra e i suoi pomodori, negli ultimi sei anni sono stati cementificati illegalmente 300 mila metri quadrati.

E ancora: 27 mila persone denunciate, negli ultimi 20 anni, per abusi edilizi, ovvero il 10 per cento della popolazione residente. La sola Procura di Nocera inferiore, tra il 2004 e il 2008, ha indagato circa 6 mila persone per violazioni urbanistiche. Tra il novembre 2007 e il luglio 2008 i carabinieri hanno denunciato 171 persone e sequestrato 35 fabbricati rurali per un valore di 14 milioni di euro. In quest’area, a fronte di 3479 ordinanze di demolizione, emesse a partire dal 1998, fino al 2009 ne sono state eseguite soltanto 42. La Gdf di Salerno tra il 2007 e il 2008, sulla costiera amalfitana, ha denunciato 377 persone e sequestrato 127 strutture. In soli due mesi del 2009, a Napoli, ben 1.200 denunce di abusi edilizi. “L'industria illegale dell'abusivismo edilizio rappresenta uno dei principali volani dell'imprenditoria camorristica”, dice Ruggero di Legambiente. “Speculazioni e abusivismo hanno da un lato depredato il territorio e dall'altro sono serviti a riciclare una enorme quantità di soldi di frutto di attività illecite. I rilevanti interessi economici hanno portato la criminalità organizzata di fatto a “governare” in campo urbanistico molti comuni dell'hinterland partenopeo”. Oggi in Campania e in Italia governa il Pdl: erano previste 60 mila demolizioni. Le ruspe erano pronte. Ma c’è chi è pronto a fermarle.

Ischia e il condono salva-ville

Pronto un decreto che il governo approverà d’accordo con il governatore Caldoro: salverà dalle ruspe le ville della provincia di Napoli

Votare, gli ischitani hanno votato. Forse non tutti. Forse non i più arrabbiati, quelli che rischiavano di vedere la propria casetta abusiva travolta dalle ruspe azionate dalla procura di Napoli. Sono seicento. Molti di loro avranno certamente dato retta a Gennaro Savio, il capo della rivolta popolare contro le demolizioni, esponente del partito comunista marxista leninista, figlio del segretario di quella formazione politica Domenico Savio. Emulo di quel Paolo Monello sindaco comunista di Vittoria, in Sicilia, che a metà degli anni Ottanta si era fatto paladino dell’«abusivismo per necessità», li aveva portati in piazza a centinaia prima delle elezioni regionali con questo programma politico: «Essendo il potere politico dominante di centrodestra, di centrosinistra, di centro e i partiti e i movimenti a loro affini responsabili dell' abusivismo edilizio e dei conseguenti abbattimenti delle prime case di necessità non possono e non devono essere votati». Ragionamento senza una grinza. Da duro e puro, qual è Gennaro Savio.
Gli scontri Il 28 gennaio la polizia fronteggia gli ischitani contrari alle ruspe

Ma far fallire completamente le elezioni, in un'isola dove il Pdl aveva sfiorato alle politiche il 65% era un'utopia. Le preferenze sono comunque arrivate. E ora va onorata una promessa: fermare le ruspe per decreto. Un decreto già annunciato prima delle elezioni da Mara Carfagna, capolista del partito del neogovernatore Stefano Caldoro, al presidente del comitato per il diritto alla casa di Ischia e Procida, che in caso contrario minacciava lo sciopero del voto. Il provvedimento sarà varato dal consiglio dei ministri di venerdì e sospenderà fino al 2011 le demolizioni nell’intera provincia di Napoli in attesa che la giunta Caldoro sistemi le cose. Magari con un tocco di bacchetta magica: estendendo l'applicabilità del vecchio condono edilizio del 2003 anche alle aree soggette a vincolo, come è appunto Ischia.

Chiamiamo la cosa con il suo nome: una schifezza. Alla faccia di chi ha sempre rispettato le leggi. E perpetrata in modo ancora più sfrontato di quello che stava per passare qualche anno fa in Sicilia, quando la Regione aveva progettato una sanatoria per le abitazioni costruite senza permesso sulla costa. Al ministero dei Beni culturali hanno letteralmente i capelli dritti. Sono convinti che un decreto del genere possa rappresentare un precedente devastante, e sono pronti alle barricate. C’è solo da sperare che reggano un pochino più di quelle che aveva annunciato nel 2003, al tempo dell'ultima sanatoria, l’ex ministro dell’Ambiente Altero Matteoli, poi travolte in Parlamento. Ma è inutile illudersi: a sperare saranno in pochi. Anche nel Pd, i cui esponenti hanno sempre criticato violentemente la logica dei condoni, c’è chi si frega le mani. Se l'europarlamentare Andrea Cozzolino giudica l’iniziativa del governo «indecente», il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, che aveva conteso a Caldoro la poltrona di governatore della Campania, si è detto addirittura «favorevole» al blocco delle ruspe per decreto. Mettendoci davanti questa piccola foglia di fico: «Vanno verificati nel merito i contenuti». Per non parlare del sindaco di Forio d’Ischia, il democratico Franco Regine, che dopo aver rivelato come il suo Comune abbia chiesto con una sua delibera al governo, su proposta dell’Udc, di estendere il condono edilizio anche alle zone vincolate», ha tirato pubblicamente un sospiro di sollievo: «Sarebbe stato un disastro generale, è positivo attenuare l’impatto che deriverebbe da tante demolizioni».
Nemmeno una parola, invece, sull’impatto che l’uso scellerato del territorio ha avuto finora. A Ischia l’ultimo condono edilizio ha fatto registrare più di novemila domande di sanatoria: una ogni 2,5 famiglie.

Dal 1981 al 2006, secondo i dati di Legambiente, erano stati costruiti 100 mila vani abusivi. Nel comune di Forio, il più grande dell’isola, vennero sequestrati nel solo mese di febbraio del 2004 ben duecento cantieri fuorilegge. E il condono del 2003 non ha certamente fermato le betoniere. Negli ultimi dieci anni sono spuntate in Campania costruzioni abusive al ritmo di 16 al giorno.
Inutile dire che l’ipotesi di estendere il blocco delle demolizioni all’intera provincia di Napoli ha ingolosito sindaci e assessori del circondario. Quanto questa nuova sanatoria si possa conciliare con l’affermazione della legalità, in un territorio dove è la camorra a farla da padrona, è una spiegazione che i suoi responsabili dovranno fornire. Basti pensare che secondo il rapporto Ecomafia 2009 i due terzi dei comuni campani sciolti dal 1991 per infiltrazioni mafiose «lo sono stati proprio per abusivismo edilizio».

Qui l'appello di eddyburg. Inviate le adesioni a
mpguermandi@gmail.com

La vicenda degli abusi edilizi e delle prime demolizioni a Ischia e Procida, è un avvenimento che rientra nella degenerazione economica, paesistica e culturale del golfo di Napoli e dei Campi Flegrei, avvenuta negli ultimi decenni. L'antica struttura sociale ha subito una devastazione tale da deformare le stesse risorse eccezionali preesistenti. Le leggi, seppure farraginose, esistono: l'opera abusiva entra direttamente nel patrimonio del Comune. Mai si è applicata la norma. Inoltre i Comuni isolani hanno eluso gli strumenti urbanistici, continuato a gestire caso per caso la sola edilizia, rifiutando tutele e sviluppo del proprio territorio. Ischia e Procida, in conseguenza dell'illecito, hanno perduto il turismo còlto richiamato dall'interesse per le popolazioni locali e dall'emozione di essere in un ambiente naturale di forte richiamo.

Per anni vi sono stati procedimenti giudiziari solo a consuntivo dell'abuso edilizio, con una precisa responsabilità condivisa: committente; progettista; appaltatore, uffici comunali competenti; commissioni edilizia e beni ambientali; amministratori a conoscenza delle operazioni di cantiere in isole tutelate.

Lo stesso Tar, intervenuto con la consuetudine di sospendere la demolizione dell'iniziale costruzione, ne consente di fatto il completamento. I controlli affidati alle amministrazioni comunali e agli organi periferici dello Stato, se sono stati affrontati, lo sono stati con assoluta superficialità. Eppure il controllo per le isole risulta semplice potendo i materiali di costruzione essere verificati, in luoghi di estesa inedificabilità, all'imbarco in terraferma e allo sbarco sull'isola.

Qui la politica è stata consenziente in modo esplicito; un abuso passa, ma migliaia documentati negli stessi condoni del privato mettono gli amministratori di fronte a una evidente correità. E quando hanno inizio alcune demolizioni il paradosso è l'equivoca dichiarazione dei sindaci, che minacciano le dimissioni. Loro, amministratori responsabili del silenzio utile alla propria gestione, al proprio potere politico. E manca da parte dei cittadini la resistenza alla perdita della propria memoria e della propria storia. Ma esiste una prospettiva da valutare con responsabilità: procedere nell'aggiornare in modo unitario il piano territoriale paesistico e il piano regolatore comunale e da qui affrontare un processo di riequilibrio dell'ambiente, oggi alterato in profondità, per recuperare un tessuto isolano inserito in un sistema urbanistico e architettonico qualitativo. Ma soprattutto deve imporsi un cambiamento nel modo di pensare dei cittadini. Serve coerenza. Solo se cambia la cultura politica anche negli organismi amministrativi ha oggi un senso la demolizione di alcuni alloggi.

Almeno per ora la sanatoria più generosa della storia d’Italia non si farà. Gli emendamenti Sarro e Nespoli (Pdl) al decreto Milleproroghe sono stati giudicati inammissibili dalla Commissione affari costituzionali perché “non omogenei alla materia del provvedimento”. “Occorre tenere alta la guardia e occhi ben aperti - secondo Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente - perché è forte la possibilità che ricompaia sotto mentite spoglie all’interno di qualche altro atto legislativo. Il partito degli abusivi, ce lo dice l’esperienza degli ultimi decenni, è irriducibile e ci proverà di nuovo”.

Vale la pena ricordare che gli emendamenti in questione miravano a modificare e allungare gli effetti dell’ultimo condono edilizio, quello del 2003 (art.32 della 326/2003), e intervenivano sul Codice dei beni culturali e del paesaggio, il c.d. Codice Urbani. Un colpo di gomma per cancellare il divieto di sanatoria per le opere abusive realizzate in immobili soggetti ai vincoli paesaggistici delle leggi nazionali e regionali. In aggiunta anche la possibilità di chiedere la sanatoria in aree sottoposte a tutela dal Codice del paesaggio. In entrambi i casi, questo nuovo condono sarà disponibile fino al 31 dicembre 2010.

Ma c’era di più: la sospensione di tutti i procedimenti, sia amministrativi che penali, già avviati e anche in esecuzione di sentenze passate in giudicato. Vale a dire che il provvedimento sarebbe stato retroattivo e le sentenze della magistratura carta straccia. Un esempio su tutti. Le ville della mafia sulla collina di Pizzo Sella a Palermo, la collina del disonore, su cui pende un ordine di demolizione (sentenza della Corte di cassazione) dal 2002.

Postilla

Appena abbiamoo postato la nota di Legambiente un lettore ci ha inviato il testo di una nota d'agenzia nella quale il presideente Cogliati Dezza esprime il suo plauso per la realizazione dell'auditorium a Ravello. Egli afferma testualmente: "Siamo particolarmente soddisfatti - conclude il presidente di Legambiente - che, anche attraverso l'auditorium di Ravello, si stia dimostrando che e' possibile investire in opere di qualita' che rovesciano l'immagine scontata e tradizionale di un Mezzogiorno degradato. La diffusione della cultura e dell'istruzione sono una delle leve fondamentali dello sviluppo, in particolare del Sud, dove rappresentano una chiave importante per combattere le mafie e l'illegalita' diffusa''.

A noi sembra che quando l'illegalità viene dall'alto (Antonio Bassolino) ed è considerata vizietto irrilevante da intellettuali e dirigenti di associazioni ambientalistiche, non si combatta affatto la "illegalità diffusa", ma anzi la si favorisca. (Si leggano in proposito la recente "opinionee la ricca cartella dedicata a

Almeno su un punto il vecchio La Malfa aveva ragione, quando ammoniva che «l'Italia sarà quel che sarà il suo Mezzogiorno». Perché in tempi di piano casa e di condoni incostituzionali, è l'inferno urbanistico della Campania che le destre additano al resto del paese come paradigma, come modello di riferimento per il governo del territorio.

Una regione saldamente in testa nelle classifiche dell'abusivismo, nella quale secondo Legambiente si costruiscono 16 case abusive al giorno e dove, stando a quanto scrive il giornale di Confindustria, per ogni 100 euro prodotti legalmente, l'economia criminale ne macina altri 40 con il ciclo cave-cemento-edilizia-rifiuti.

Questo modello ha prodotto negli ultimi cinque decenni l'area metropolitana più invivibile d'Europa. Una colata edilizia ininterrotta, tra il Volturno e il Sele, che ha fagocitato più di 130 comuni, nella quale vive come può l'80% degli abitanti della regione, rinserrato sul 15% appena del territorio. Una sterminata periferia che ingloba due tra i più pericolosi vulcani del mondo, circondata da montagne fragili, pronte con la pioggia a vomitare colate micidiali di fango.

L'ingiustizia sociale che è dietro questo modello l'ha svelata Antonio Cederna sin dai tempi de «I vandali in casa», osservando come la superproduzione edilizia non risolva, anzi aggravi l'atavico disagio abitativo, generando per di più un deficit drammatico di verde e servizi. Una profezia che si è avverata: nell'area metropolitana di Napoli mancano all'appello, secondo il piano territoriale della Regione, più di 4.000 ettari (l'equivalente di 6.000 campi di calcio) di aree verdi, spazi pubblici, impianti per lo sport e il tempo libero, in pratica tutto ciò che serve a rendere un po' più decente la nostra sopravvivenza urbana.

Un aspetto interessante della questione riguarda l'operato del centrosinistra, che pure queste terre ha governato nell'ultimo quindicennio. Perché il rilancio della buona urbanistica, nel segno della preminenza dell'interesse pubblico, era stato il cavallo di battaglia del bassolinismo nella sua fase ascendente, ed è grazie ad esso che il consenso intorno al nuovo corso politico si è esteso e consolidato. Poi, salvo la positiva parentesi del piano territoriale regionale, la direzione è drasticamente cambiata, e la Campania è passata con disinvoltura dal piano regolatore al piano casa, producendo a riguardo una legge regionale ritenuta tra le peggiori in Italia.

Una legge che non tutela i grandi paesaggi storici, dalla Penisola sorrentina alle isole del Golfo, passando per il Vesuvio e i Campi Flegrei, che mette lo zampino nei parchi nazionali e regionali, e che concedendo la possibilità di incremento anche agli edifici abusivi non ancora sanati, si prefigura come un condono di fatto, rubando addirittura il tempo all'iniziativa delle destre.

La questione è politica al massimo grado: lo spaesato elettore ha bisogno a questo punto di sapere se e in qual misura il centrosinistra sia disposto a contrastare una strategia eversiva che mira a deformare le regole basilari della convivenza, per adattarle ad una realtà sociale e territoriale malata. Perché qui non è più solo questione di suolo, acqua, boschi e monumenti. Il territorio è il nostro modo di vivere insieme. Il territorio siamo noi.

Trattati come prostitute, in esposizione nello squallido scenario di Pianura vecchia, il quartiere a più alto indice di abusivismo edilizio d’Italia. Scelti come un tempo i proprietari terrieri sceglievano gli schiavi più robusti da impiegare nei campi di cotone dell’Alabama. I negrieri di oggi non ne controllano la dentatura, forse, ma osservano con cura la corporatura, la forza delle spalle e delle braccia. Sono gli immigrati clandestini destinati ai lavori forzati nei cantieri fuorilegge, a impastare cemento, ad alzare muri di mattoni, a morire – magari – nel silenzio e nell’indifferenza generale perché precipitati da una impalcatura, e abbandonati in strada, come carogne agonizzanti. Sono gli immigrati clandestini destinati a lavorare per un padrone che non ha faccia, perché nascosto nel cono d’ombra che protegge il sottobosco imprenditoriale locale, che fa affari con la camorra e con il peggio del peggio della politica napoletana. È questa la nuova frontiera del traffico di uomini a Napoli su cui la magistratura sta indagando.

L’inchiesta, affidata al pm Antonello Ardituro, tra i più preparati magistrati dell’Antimafia partenopea, prende le mosse dalla battaglia del gennaio 2008 contro l’apertura della discarica di Contrada Pisani. Una rivolta che vede, sullo stesso lato della barricata, gente perbene, studenti, associazioni e criminalità organizzata, interessata a prolungare lo stato d’assedio per salvaguardare i propri investimenti immobiliari nel quartiere.

Racconta il pentito Giovanni Gilardi, ex affiliato alla potente famiglia malavitosa dei Lago: «Ci sono dei costruttori che sono specializzati nella costruzione di immobili abusivi a Pianura, collegati comunque ai clan e in particolare al nostro gruppo… questi imprenditori prima di iniziare costruzioni abusive a Pianura, in particolare le “masserie”, devono chiedere il permesso al clan al quale versano, prima e durante i lavori, delle quote estorsive che variano a seconda dell’immobile abusivo da costruire».

Ma perché la camorra non vuole la riapertura della discarica? È sempre Gilardi a rispondere: «In realtà noi come clan non avevamo organizzato gli scontri, ma ne stavamo beneficiando, poiché le forze dell’ordine erano tutte impegnate per tali eventi e non c’erano molti posti di blocco. Inoltre, il fatto che gli scontri durassero a lungo, consentiva di terminare le costruzioni abusive che si stavano realizzando nella zona della Contrada “Pisani”, vicina all’area dove si voleva realizzare la discarica. Tali scontri, in quel periodo, consentivano di lavorare tranquillamente in quanto erano più difficili i controlli da parte dei vigili dell’antiabusivismo edilizio». Il business del «cemento selvaggio» vale venti milioni di euro all’anno (i prezzi per un appartamento di tre vani, a Pianura, sono in media due volte inferiori a quelli di mercato) e offre uno sbocco sicuro per i capitali illeciti accumulati dalle organizzazioni criminali con il traffico di droga. Il collaboratore di giustizia aggiunge, ancora, che il gruppo criminale sovvenzionò con 10mila euro la frangia dei Niss, una frangia di tifosi organizzati impegnati negli scontri con le forze dell’ordine, grazie alla mediazione del consigliere comunale di Alleanza nazionale Marco Nonno (attualmente sotto processo, ma che ha sempre contestato la ri- costruzione del pentito sul punto, dichiarandosi estraneo a rapporti con il mondo camorristico) per garantirsi la futura possibilità di continuare a invadere con il calcestruzzo l’area circostante la discarica. Nel solo 2009, infatti, sono stati cento i nuovi fabbricati fuorilegge scoperti nel quartiere di Pianura dalle forze dell’ordine e segnalati alla sezione «Ambiente» della Procura della Repubblica di Napoli, guidata dall’aggiunto Aldo De Chiara. Cento nuovi manufatti edificati dalle ditte delle cosche che dovranno essere rasi al suolo.

È sempre il pentito a raccontare che il patto di collaborazione tra malavita e imprenditoria, nel settore edilizio, è ad ampio spettro: dal procacciamento delle materie prime al controllo del territorio, dalla gestione delle emergenze (perquisizioni, sequestri) all’arruolamento delle maestranze. Per lo più giovani immigrati, provenienti da Togo, Ghana e Costa d’Avorio, in fitto per un biglietto da venti euro al giorno, all’incrocio tra via Montagna Spaccata, via Sartania e via Padula (vedi immagini in alto, ndr). Non vendono il loro corpo, ma ciò che il loro corpo può fare: scavare, arrampicarsi, demolire, costruire, rischiare. «Questa nuova forma di caporalato », dichiara il pm Ardituro, «consente ai palazzinari di contare su un bacino di manodopera potenzialmente inesauribile, proveniente da Castelvolturno ». Trentadue imprenditori sono già stati denunciati per sfruttamento dell’immigrazione clandestina. «È un fenomeno che assomiglia in maniera inquietante al mondo della prostituzione: gli immigrati si mettono in mostra, in strada, e prelevati, in auto, dopo la contrattazione del prezzo».

Non speculiamo sui morti! È quello che spesso sentiamo dire in occasione di eventi luttuosi come quello successo a Ischia. Come è capitato alcune settimane or sono in Sicilia, come è successo qualche anno fa in Costiera amalfitana e poi a Sarno, Cervinara, la frana sulla A3 in Calabria, nello scorso mese di gennaio, e prima ancora sempre a Ischia. Si potrebbe continuare scrivendo molte righe di eventi luttuosi, ormai dimenticati, connessi all’abusivismo edilizio e al dissesto del territorio.

Non speculiamo sui morti. Ma se di questi morti non si parla quando sono ancora lì, a ricordarci la nostra incapacità a governare i processi antropici e naturali che trasformano il territorio, non ne parleremo mai più. Subentreranno l’approssimazione e il fatalismo con il quale affrontiamo le tematiche di governo del territorio, contrapponendo alla devastazione dell’abusivismo ragioni economiche e sociali; come se queste non possano essere coniugate con il corretto uso del territorio. L’abusivismo edilizio è uno dei temi dove si cerca di far scontrare le libertà sociali e quelle economiche con la tutela del territorio. Il diritto alla casa e ai comfort abitativi, che il tempo che viviamo ci consentono, così come la libertà di intraprendere sono un diritto inalienabile ma non si possono affermare attraverso processi illegali. Questo è giusto che lo comprendano coloro che hanno il culto dell’abusivismo edilizio; quelli che pensano che la tutela dell’ambiente si misuri con la quantità di norme che debbono gravano sul territorio; quei magistrati, che persi nel mare delle leggi, subordinano il principio generale del diritto alla casa o alle altre libertà costituzionali alla sanzione della infrazione specifica e quindi, come è capitato proprio a Ischia, accolgono richieste di non abbattimento di opere abusive alimentando speranze che si infrangeranno contro i provvedimenti definitivi, che non potranno che sanzionare l’abuso.

Che lo comprendano i preti che organizzano marce di preghiera e veglie notturne per giustificare comportamenti illegali per i quali alcune volte si perde la vita. Perché, quando avremo dimenticato i morti, non ci ricorderemo più che di abusivismo edilizio e di mancata tutela del territorio si muore. Perché i fabbricati realizzati abusivamente non possono essere considerati sicuri dal punto di vista statico, in quanto non sono stati sottoposti alle procedure che la legge prevede per garantire la sicurezza statica e quella antisismica. Mentre, da una parte, il legislatore emana norme sempre più severe, in materia di resistenza delle strutture portanti, dall’altra si continua a ignorarle, consentendo a chi costruisce abusivamente di abitare manufatti pericolosi. Perché, o i manufatti abusivi sono pericolosi, oppure le norme in materia di statica degli edifici non servono a nulla. Delle due l’una.

Siccome le norme riguardanti la sicurezza degli edifici sono fondate e servono a salvare la vita delle persone, speculiamo sui morti, non consentendo più a nessuno di vivere in condizioni di pericolo e affrontiamo subito e risolviamo il fenomeno dell’abusivismo edilizio, come succede in alcuni Stati europei dove non solo non esiste il fenomeno ma non esiste neanche il termine linguistico.

L’abusivismo diffuso non è solo uno sfregio ambientale. È uno sfregio alla legalità. Ai cittadini onesti, che pur avendo l’esigenza della casa, in ossequio alle leggi, sono stati privati del loro diritto, consentendo ai "più furbi" l’abusivismo edilizio, usato come ammortizzatore di una necessità primaria. Il fabbisogno abitativo deve essere affrontato attraverso adeguati strumenti urbanistici, dei quali sono privi i Comuni di Ischia. L’abusivismo edilizio falsa l’economia, in quanto consente solo agli spregiudicati di accrescere le proprie strutture produttive. Seleziona una classe di imprenditori che guardano all’illegalità come modalità per accrescere il loro patrimonio. Crea il bisogno di avere una copertura amministrativa e politica perciò falsa la democrazia.

L’abusivismo edilizio, abbattiamolo!

La Repubblica

Terrore a Ischia, ancora una frana killer quindicenne travolta e uccisa dal fango

di Roberto Fuccillo

ISCHIA - L’isola si sbriciola. Sono quasi le otto e mezzo di ieri mattina quando il monte sopra Casamicciola frana a valle e riversa un fiume di fango, terra, detriti di ogni genere. La fiumana, inarrestabile, si incanala lungo uno degli assi viari del paese: piazza Bagni, uno slargo in discesa, fa quasi da collettore dei flussi provenienti da più smottamenti e poi scarica il tutto lungo una strada dal nome predestinato, via Lava. Da qui, portandosi dietro massi, tronchi divelti, decine e decine di auto accartocciate, la colata di fango piomba sul porticciolo, sfonda il parapetto che separa la strada dalla spiaggia sottostante, termina la sua corsa lungo il molo e a mare. Lungo il tragitto ha travolto anche i passanti. Alcuni si sono scansati per tempo, una quindicina verranno estratti più tardi dei vigili del fuoco. Una studentessa invece non ce l’ha fatta. Anna De Felice, 15 anni, stava andando all’alberghiero con i genitori. La macchina è stata inghiottita dalla frana, la famiglia si è ritrovata a mare, ma Anna è annegata in auto. A lungo si è temuto anche per un piccolo di 5 anni, poi trovato. A fine giornata il bilancio sarà più lieve del temuto: venti feriti medicati all’ospedale Rizzoli, di cui 11 ricoverati. Mentre il direttore sanitario Valentina Grosso nega che ci sia stato qualche ricovero a Napoli.

Alla base del disastro certamente le forti piogge. Dalla mezzanotte alle 15 di ieri si sono avuti oltre 69 millimetri di pioggia. Quanto basta per provocare già in nottata quattro o cinque smottamenti lungo il monte Vezzi. Poi, in mattinata, l’evento più traumatico. Almeno tre i punti di cedimento, da una altitudine di circa 200 metri. La terra si è incanalata più a valle in due valloni che sono confluiti poi in un punto preciso in paese per precipitare poi fino al mare. «E certamente un ruolo l’ha giocato la forte pendenza delle pareti, che ha accelerato il tutto», spiega Sergio Basti, direttore centrale per l’emergenza dei vigili del fuoco che sono intervenuti in forze: 30 mezzi, 2 elicotteri, 100 uomini, fra cui i nuclei Saf (specialisti in tecniche speleo-alpino-fluviali), cani e sommozzatori che hanno cercato di eventuali dispersi e carcasse di auto.

Alle vittime è giunto il dolore e il cordoglio di Giorgio Napolitano e dei presidenti delle Camere. Ma sul disastro fioriscono anche le polemiche. «La zona era già stata perimetrata e ritenuta ad alto rischio frane - dice Francesco Russo, presidente dell’Ordine dei geologi campano - eppure non sono stati effettuati i necessari lavori». E Russo punta il dito contro «l’insufficiente portata» di una canale nella zona. Difficile la giornata di Guido Bertolaso, che pure ha mandati sull’isola i suoi uomini. Prima si sfoga: «Mi fa grande rabbia. Finché non si fa manutenzione e messa in sicurezza continueremo a dover subire questo genere di situazioni». Poi si trova sotto l’attacco del sindaco di Ischia, Giuseppe Ferrandino: «Per la frana del 2006 sul Monte Vezzi (quattro morti non lontano dal luogo del disastro di ieri, ndr) l’unico competente era lui e non mosse un dito». Replica della Protezione civile: «É bene ricordare che per quella frana fu nominato commissario con pieni poteri il presidente della Regione Campania Bassolino». Il quale Bassolino, a sua volta, ha stanziato un milione e chiesto lo stato di calamità per la zona e un piano nazionale di interventi.

Sull’evento indaga la Procura. Fascicolo in mano a due pm, Ettore Della Ragione e Antonio D’Alessio. Dice Aldo De Chiara, coordinatore del pool per i reati ambientali, «in caso di condotte omissive, si potrebbero ipotizzare reati che vanno dall’omicidio al disastro colposo». A Ischia intanto ieri sera è ripreso a piovere: l’unità di crisi controlla i punti a rischio, la stato di allerta dovrebbe cessare fra stasera e domattina.

Lo shock dei sopravvissuti "Temevamo di venire sepolti vivi"

La colata si è portata via mio figlio, pensavo non ce l’avesse fatta. Invece l’hanno ritrovato un chilometro più a valle Mi sono salvato aggrappandomi al palo di un cartello stradale Pensavo che fosse finita invece sono qui

Perdere una figlia di quindici anni mentre la si accompagna a scuola. È il tragico destino di Aurora De Felice, la mamma dell’unica vittima della frana. Ha rischiato la vita anche lei, ora è ricoverata all’ospedale Rizzoli, sull’isola, e ovviamente non può darsi pace: «Anna, Anna - ripete ossessivamente - piccola mia, dove sei? Non posso pensare che non ci sei più, piccola mia. Amore mio dove sei? Cosa faccio io ora senza di te?» Accanto a lei scuote la testa il marito, Claudio, affranto dal dolore. Gli amici vicino provano a rincuorarli e raccontano: «Anna era allegra, solare». Una testimonianza che in serata si trasferirà su Facebook, dove gli amici della ragazza hanno circondato di messaggi di incredulità la foto che la ritrae abbracciata al suo fidanzato. E dove il fratello Simone, 17 anni, saluta così la sorella: «Litigavamo sempre... ma poi ci ridevamo sempre su. Vivrò perché tu non hai potuto farlo, vivrò per ricordarti, per portare sempre la tua immagine indelebile nel mio cuore. Mi dispiace averti vissuto così poco, ma Dio così ha voluto. Aveva bisogno di un altro angelo che regnasse in Paradiso. Un bacio».

Al dolore dei De Felice si aggiunge, in altre corsie dell’ospedale, il racconto drammatico di chi invece ce l’ha fatta. C’è il papà del piccolo Arnaldo Maio, 5 anni. Per qualche ora si è temuto che il bambino potesse essere la seconda vittima, il papà racconta: «Ci siamo ritrovati in una morsa di fango, ho perso mio figlio, ero sicuro di non rivederlo più. Poi mi hanno detto che lo avevano trovato giù al porto, un miracolo». E ancora Giuseppe Amalfitano, un altro degli scampati: «Tentavo inutilmente di aggrapparmi a qualcosa. Ero sicuro di morire, poi mi sono fermato a un tubo, ho visto che era un segnale stradale».

Fra quelli che hanno rischiato c’è lo stesso sindaco Vincenzo D’Ambrosio: «Sono passato pochi minuti dopo le 8 da lì, dopo aver accompagnato mio figlio a scuola, e non c’era nessun segnale di quanto sarebbe accaduto». C’è invece chi è stato avvisato in mare. «Mi ha chiamato mia madre per dirmi che a casa stavano nel fango». Così racconta Salvatore Lombardi, operatore sui traghetti. Mi sono precipitato sul luogo, in località Perrone, ci sono tre palazzine di sfollati, una quarantina di persone fuori delle loro case». Sono gli abitanti delle case Gescal. Il vialetto del loro parco, ridotto a una piscina di fango, finisce proprio a ridosso di una delle pareti di montagna venute giù: «Aspettiamo che prima o poi venga qualche pompa anche quassù». Giù al porto c’è invece un’altra sopravvissuta. É la zia delle tre ragazze morte col padre sotto un’altra frana, a qualche chilometro da qui, tre anni fa. Va in giro con le fototessera dei suoi carri, e lamenta: «Ora piove e ci dicono di andare in un palazzetto dello sport, la verità è che aspettano sempre i morti».

la Repubblica

Decenni di abusi e ventimila condoni l’assalto all’isola dai piedi d’argilla

di Stella Cervasio

CASAMICCIOLA - L’orrore è venuto dal bosco. Con quel nome turistico che le hanno dato, "isola verde", Ischia ne possiede un’alta concentrazione proprio alle spalle di uno dei suoi posti più panoramici, l’unica piazza termale d’Italia. Sotto il manto d’asfalto di piazza Bagni corrono le acque bollenti e curative del Gurgitiello (che vuol dire gorgoglio) che servirono a Garibaldi per curare le ferite riportate in battaglia sull’Aspromonte.

Da quel fondale verde cupo di castagni e pini, alle otto di ieri mattina è venuta giù a pezzi la montagna. Tonnellate di acqua con un carico di massi di tufo, alberi, panchine e masserizie raccolte sul percorso hanno invaso velocissime due stradine, via Ombrasco e via Nizzola, dove stanno appollaiati alberghi e pensioni. Da queste parti le chiamano "cupe": sono le vie naturali dell’acqua quanto piove, e proprio come una pista da sci, guai se non sono sempre libere. Un’enorme lava di fango è scesa di qua a cento all’ora, proprio come accadde tre anni fa dall’altra parte dell’isola, nel comune di Ischia. Su un’altra altura, il monte Vezzi, morirono quattro persone, e gli sfollati sono ancora nei container. Erano case abusive, quella volta: a Ischia sono previsti 500 abbattimenti e ventimila pratiche di condono sono sospese nei cassetti dei sei comuni dell’isola. Poco dopo quell’altra frana, il vescovo di Ischia lanciò un anatema contro chi voleva picconare l’edilizia illegale.

L’orrore non è nuovo su questa piazza. Poche ore dopo la tragedia, su Facebook, insieme a un’immagine dei detriti depositati sulla riva del mare sotto l’arcobaleno, girava una foto del 1910, con i palazzi di piazza Bagni mezzo sommersi dal fango di un’altra alluvione. Ogni calamità sembra accanirsi sulle pendici del monte Epomeo: terremoti come quello del 1881 (oltre cento i morti), e del 1883, in cui Benedetto Croce fu ferito e perse il padre, la madre e una sorella. «Chi ha la montagna sopra la testa, lo sa», dice l’ex sindaco Luigi Mennella, che sulla bella piazza ha un antico negozio di ceramiche. Ha dovuto lasciare la sua macchina e scappare, prima che il fiume lo travolgesse. «Il problema endemico resta l’abusivismo: diversi valloni, canali che facevano defluire l’acqua, sono stati ostruiti negli anni da abitazioni costruite senza permesso».

Non condivide l’attuale sindaco, il pediatra Vincenzo D’Ambrosio: stava portando i figli a scuola quando è arrivata la colata di fango e pietre. «È un fenomeno naturale eccezionale, si ripete il terribile evento che ha colpito la stessa zona nel 1910. In quella occasione ci furono decine di vittime. Le case non sono state per niente interessate da questo dilavamento. La frana ha avuto origine molto in alto, dove non c’era stato né disboscamento né abusivismo. Solo gole naturali dove l’acqua è esondata. È capitato a noi, purtroppo abbiamo perso una concittadina, domani sarà lutto. Spero che si possa finanziare uno studio per ridurre il rischio che da noi è sempre così alto».

Legambiente, però, se non l’aveva previsto, ci era andata vicino. «Appena dieci giorni fa nel corso della presentazione del rapporto "Ecosistema Rischio Campania" - spiega il responsabile scientifico di Legambiente Campania Giancarlo Chiavazzo - abbiamo fatto appello al buon senso e alla coscienza dei sindaci affinché colmassero i ritardi nella messa a regime dei sistemi di protezione civile locale. Una tragedia annunciata, quindi, e così purtroppo ce ne potranno essere ancora, fino a quando i sindaci dei 474 comuni a rischio idrogeologico della regione (una superficie di 2250 chilometri quadrati) non si attiveranno con piani d’emergenza». Gli ambientalisti invocano strutture locali di protezione civile collegate con quella regionale. Un sistema di allarme capillare capace di far scattare l’emergenza nei comuni indicati nei Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorità di Bacino. Tradotto, significa che quando piove molto, si va via. Ma il futuro qual è, per posti come questi? «Delocalizzazione dev’essere la parola d’ordine, come per Sarno - dice Chiavazzo - metterli in sicurezza non è possibile»

la Repubblica

Il dissesto del Sud

di Giovanni Valentini

Un’altra storia di ordinario degrado ambientale, di incuria, di abbandono del territorio. E naturalmente, di abusivismo edilizio, di illegalità. Come a Messina, poco più di un mese fa.

Come nella stessa Ischia ad aprile del 2006; come già in tante altre regioni della Penisola, ma in particolare al Sud, nel nostro povero Sud. Sotto la pioggia battente di questi giorni, anche le dichiarazioni e i buoni propositi espressi all’indomani dell’ultimo disastro sono franati nel mare davanti a Casamicciola, provocando morte e rovina. La frana di Ischia è un nuovo segnale e un nuovo avvertimento contro il mancato o cattivo governo del territorio. Contro la mala-politica, a livello nazionale e locale. Contro un’amministrazione pubblica che privilegia gli interessi privati, spesso e volentieri illeciti, rispetto a quelli della collettività, in base a una gerarchia di priorità che segue i criteri di un malinteso sviluppo, del clientelismo o addirittura della corruzione.

Al tempo delle scorribande e delle invasioni, dei corsari e dei pirati, il pericolo per le popolazioni costiere arrivava dal mare. Oggi, al contrario, viene dall’interno, da un dissesto del territorio che improvvisamente trascina in acqua esseri umani, abitazioni, masserizie, automobili. La normalità della vita quotidiana è stravolta così dalla furia degli elementi, con la complicità attiva dell’ignoranza e dell’irresponsabilità. Continuiamo a subire alluvioni e frane, mentre continuiamo a vagheggiare il Ponte sullo Stretto in una sorta di dissociazione onirica e megalomane. Eppure, dopo il disastro di inizio ottobre, era stato il presidente della Repubblica a censurare pubblicamente la retorica delle «opere faraoniche» d’infausta memoria.

La verità nuda e cruda delle cifre è che in diciotto mesi - come denuncia il neo-presidente dei Verdi, Angelo Bonelli - sono stati tagliati oltre cinquecento milioni di euro destinati alla difesa del suolo. Ridotti i fondi iniziali a 270 milioni, il centrodestra ha soppresso poi quelli per il monitoraggio sismico (4,5 milioni); i finanziamenti di 151 milioni per il territorio della Sicilia e della Calabria; i 45 milioni per il ripristino del paesaggio; i 15 milioni per i piccoli Comuni. Un «risparmio» sulla prevenzione che si traduce in un danno immediato per la popolazione, per il territorio e per l’ambiente, ma anche per il turismo.

Altro che fatalità o calamità naturale. Questo è il risultato di una politica ottusa e miope. Ma è soprattutto la demolizione di un’immagine e di un’attrattiva su cui poggia la maggiore industria nazionale, regredita non a caso dal primo al quarto posto nella graduatoria mondiale. «Chist’è ò paese d’o sole, chist’è ò paese d’o mare», assicura la celebre canzone napoletana. Nella realtà, questo rischia di diventare invece il Paese dei terremoti, delle frane e delle alluvioni. Un Malpaese infido e insicuro, sempre più distante dalla sua storia civile, dalla sua tradizione artistica e culturale.

Nonostante la prova di efficienza organizzativa in Abruzzo, di cui pure bisogna dare atto al governo, le foto delle tendopoli tuttora in piedi all’Aquila, i recenti filmati di Messina e di Ischia, sono destinati purtroppo a fare il giro del mondo. E come i rifiuti nelle strade di Napoli all’epoca del centrosinistra, non alimentano certamente una campagna promozionale. In mancanza di materie prime da sfruttare, sono proprio il territorio, l’ambiente, il paesaggio, le nostre principali risorse da difendere e valorizzare.

il manifesto

Ischia: frana il condono

di Adriana Pollice

Chi avesse alzato gli occhi ieri mattina a Ischia, intorno alle otto, avrebbe visto una valanga di acqua, fango ed enormi massi travolgere il comune di Casamicciola fino a investire, come un enorme proiettile, il suo porto. Una frana in località Tresca, staccatasi in tre punti, venire giù dal Monte Epomeo trascinando via automobili, alberi e persone. Sono bastate le prime piogge autunnali e, dopo il cedimento del Monte Vezzi nel 2006, l'isola verde deve rifare la conta dei danni, rimettendo il lutto al braccio. Questa volta a morire è stata una ragazza di appena quindici anni, Anna De Felice, trascinata in mare nella vettura dei genitori in cui viaggiava, sabbia e acqua nei polmoni fino all'annegamento. Una ventina i feriti, assistiti nell'ospedale locale, il Rizzoli, i più gravi sono stati portati a Napoli in elicottero. Sommozzatori e vigili del fuoco, ricoperti di melma, a pattugliare costa e strade, quelli finiti in acqua messi in salvo su barconi attrezzati. Un ragazzino di sei anni, di cui si erano perse le tracce, ritrovato nell'auto dei genitori, una ragazzina di undici estratta dal fango ferita in modo grave ma non in pericolo di vita. In quindici tirati fuori dalla frana che li aveva sommersi. Soccorsi difficili in una Casamicciola isolata per tutta la mattinata, cielo livido e pioggia battente fino alle 12, unico accesso via mare.

Case e negozi bloccati da muri di melma. «È un miracolo che la slavina non abbia distrutto le case - commenta l'architetto Simone Verde - La marea si è immessa nell'antico alveo scivolando fino a valle. Quel costone era già franato nel 1910, si sa che è a rischio dissesto, si sarebbe dovuto mettere in sicurezza da tempo».

Risalendo le stradine dal porto verso il Monte Epomeo, sembra di trovarsi sul luogo di un attentato, piazza Bagni il centro della deflagrazione: l'edicola divelta, alberi sradicati, infissi esplosi. Terra e pietre a ricoprire cose e case, i colori dell'intonaco spariti sotto il grigio-marrone della terra. Più su e più giù una scia di autovetture sventrate, trascinate via fino al porto, in bilico sui muri di contenimento, rivoltate sulla marina in mezzo alle barche. Alcune persone bloccate a Santa Maria al Monte per una piccola frana in località Corvaro, bloccati anche i turisti dell'Hotel Michelangelo nella zona alta di Casamicciola. «Appena due giorni fa l'alveo attraverso cui l'acqua è scesa fino a via Martini - commentava incredulo il sindaco, Vincenzo D'Ambrosio - era stato oggetto di manutenzione ordinaria da parte della Sma Campania».

«Fino a una decina di anni fa una conta dei danni di queste proporzioni non sarebbe stata possibile», spiega Giuseppe Mazzara, referente di Legambiente a Ischia, «Fino agli anni settanta i costoni ripidi della montagna erano orti e frutteti a terrazza. Con il boom turistico i contadini si sono riconvertiti nel settore dei servizi e le terre sono diventate boschi selvatici. Poi è arrivato il primo condono edilizio nel 1994 e la prima colata di cemento». Oggi il comune è assediato dalle costruzioni abusive, l'amministrazione non vede o finge di non vedere, quando la procura di Napoli manda le ruspe per gli abbattimenti, almeno seicento, i sindaci si sollevano indignati: «Addirittura - prosegue Giuseppe - hanno provato a modificare il piano urbanistico provinciale per far declassare le terre da rurali a edificabili. Il tentativo non è passato e allora si sono limitati a lasciare fare, si tratta non solo di terre sottoposte a vincolo ma anche a forte rischio idrogeologico». Tre anni fa, all'alba del 30 aprile, un'altra frana provocò la morte di quattro persone tra Barano e Forio, circa in 250 rimasero senza tetto, la maggior parte delle quali è tuttora nei container sistemati nel camping di Ischia Porto, dove probabilmente finiranno anche gli sfollati della nuova frana. «Mi fa grande rabbia - dichiarava ieri Guido Bertolaso - perché tutto il lavoro che è stato fatto fino a oggi non è stato sufficiente». Ma è ancora Giuseppe che spiega: «Nel 2006 fecero degli interventi nei dintorni di Monte Vezzi, su Forio o Casamicciola nulla».

I sindaci sostengono che le case abusive vanno sanate perché situazioni di necessità. «Non si può coprire la mancanza di una politica di edilizia pubblica con l'illegalità - ribatte Michele Buonomo, presidente regionale di Legambiente - soprattutto se non si fa prevenzione e manutenzione del territorio. L'86% dei comuni campani sono a rischio idrogeologico e l'81% delle amministrazioni hanno abitazioni in aree a rischio frana». La giunta regionale ieri ha deliberato lo stato di calamità naturale per il comune di Casamicciola con un primo finanziamento di un milione di euro. Angelo Bonelli dei Verdi punta il dito contro il dicastero dell'Ambiente: «Il ministro Prestigiacomo è riuscita a farsi tagliare ben 570 milioni di euro per la difesa del suolo. Dal 1 ottobre 2009 è stata addirittura eliminata la segreteria tecnica del ministero, che aveva il compito di istruire le pratiche per la valutazione dei progetti per il rischio idrogeologico e di assegnare i fondi conseguenti».

CAMPANIA DAI PIEDI D'ARGILLA, 86% DEI COMUNI A RISCHIO

«Il territorio campano è segnato drammaticamente dalla mancanza di una seria politica di prevenzione e manutenzione. Una regione dai piedi d'argilla con l'86% dei comuni classificati a rischio idrogeologico in tutte le cinque province, con Salerno in vetta con il 99% delle amministrazioni a rischio. L'81% delle amministrazioni hanno abitazioni nelle aree golenali, negli alvei dei fiumi e nelle aree a rischio frana, il 25% delle municipalità monitorate presenta addirittura interi quartieri in zone a rischio, mentre il 44% ha edificato in tali aree strutture e fabbricati industriali». A fornire i dati è Legambiente Campania, secondo la quale «il 23% dei casi presi in esame sono presenti in zone esposte a pericolo strutture sensibili come scuole e ospedali e strutture ricettive turistiche come alberghi e campeggi». «Per troppi anni nella nostra regione dissesto idrogeologico, incendi, scarsa manutenzione, cementificazione selvaggia spesso abusiva hanno rappresentato il modello di sviluppo del territorio», spiega il presidente regionale Michele Buonomo.

Il Corriere della Sera

Ischia, frana dalla discarica abusiva Il fango uccide una ragazza

di Lorenzo Salvia

ISCHIA (Napoli) — Frigoriferi, bombole del gas, mattoni, calcinacci e altri scarti di quell’industria locale che qui, creativi, chiamano edilizia spontanea e in tutto il mondo con il suo nome, abusivismo. La diga che ha trasformato questo smottamento in un fiume di fango era proprio lì dove non doveva essere, nel mezzo della Cava Fontana. È una valle che dovrebbe funzionare da canale di scolo e dal monte Epomeo scende giù fino a Casamicciola. Il fango che scivolava a valle è stato fermato da questa discarica abusiva. «Così si è accumulato — spiega Vincenzo Stabile, comandante provinciale del Corpo forestale, appena finito il sopralluogo in elicottero — e quando la pressione è diventata insostenibile ha portato tutto giù, moltiplicando la sua forza distruttiva».

No, non si può puntare il dito contro il cielo per questa frana che si è portata via una ragazza di 15 anni, Anna De Felice, e ha fatto 20 feriti. Anche questa volta la mano dell’uomo c’entra e parecchio. «Una tragedia annunciata, avevamo chiesto di mettere in sicurezza quella zona» dice il sindaco di Casamicciola, Vincenzo D’Ambrosio. Ma i soldi sono quelli che sono: per la messa in sicurezza di tutto il territorio italiano, dice Bertolaso, servono 5 miliardi e ci sono 300 milioni di euro. E non è l’unico guaio.

In quello stesso vallone il Corpo forestale aveva sequestrato un agriturismo e il cantiere di una palazzina. Nella zona di Tresca, da dove si è staccata la frana, non c’è solo la discarica che ha fatto da sbarramento, tutte le cave abbandonate sono state riempite di rifiuti, e in tutta l’isola Legambiente stima 50 siti abusivi. Gran parte della zona è venuta su negli ultimi dieci anni al di fuori di ogni autorizzazione. C’è questo, oltre alla pioggia, dietro la colata di fango che poco dopo le otto del mattino è precipitata nel centro di Casamicciola, trascinando fino al mare una decina di auto e anche un autobus vuoto. Quindici le persone tirate fuori vive dai vigili del fuoco. E adesso nell’isola guardano tutti verso quei monti con la faccia degli scampati.

Aldo De Chiara, responsabile della sezione reati ambientali della Procura di Napoli, è prudente ma anche arrabbiato: «È chiaro che alla base c’è una gestione poco oculata del territorio». Dal suo ufficio sono partiti più di 600 ordini di abbattimento ma ne sono stati eseguiti poco più di una decina. Gli altri sono fermi perché i soldi li devono mettere i sindaci. E qui mettersi contro gli abusivi vuol dire perdere matematicamente le elezioni. «Due terzi delle case fatte dopo gli anni Settanta — dice Peppe Mazzara di Legambiente — erano abusive al momento della costruzione». Molte sono state condonate, ma non tutte. Solo pochi mesi fa i sindaci dei sei comuni dell’isola hanno chiesto di agganciare Ischia all’ultimo condono utile, quello del 2003. Non è stato possibile perché ora è sottoposta ad un vincolo totale. La loro richiesta era stata appoggiata anche dal vescovo, monsignor Filippo Strofaldi. «E qui — dice Salvatore Perrone, comandante dei vigili del fuoco di Napoli — l’abusivismo non è solo un problema etico ma una questione di sicurezza». E spesso di vita o di morte

La madre salva per un soffio «Le avevo urlato di uscire»

«Forse potevo fare qualcosa per salvarla. Non me lo perdonerò mai». Ospedale Rizzoli di Lacco Ameno, reparto di Medicina, piano terra. Sdraiato sul lettino, la voce solo un sussurro, Claudio De Felice si copre gli occhi con le mani e continua a rivedere la scena che gli ha cambiato per sempre la vita. È il papà di Anna, 15 anni, l’unica vittima di questa che poteva essere una strage. «Le ho detto di rimanere in macchina, pensavo fosse più sicuro». Nella stanza affianco sua moglie, Aurora De Vargas, continua a ripetere lentamente il nome della figlia: «Anna, Anna, non posso pensare che non ci sei più, piccola mia. Amore mio dove sei? Cosa faccio io senza di te?». Erano tutti e tre in macchina, stavano andando all’istituto alberghiero. Il fiume di fango è arrivato mentre stavano per attraversare piazza Bagni, proprio quando le strade di Ischia erano piene di genitori che accompagnavano i bambini a scuola. L’idea di uscire dalla macchina venuta alla mamma, «andiamo via, andiamo via», il ripensamento, il panico. Nessuno dei due, adesso, riesce a darsi pace. Simone, il fratello 17enne di Anna, le dà l’addio con un messaggio su Facebook : «Ti ho amata, ti amo e ti amerò sempre sorellina... vivrò perché tu non hai potuto farlo, per ricordarti».

Giuseppe Amalfitano, professore di inglese in pensione, ha avuto subito la prontezza di aprire lo sportello della sua Punto: «Mi sono ricordato dei servizi al Tg su Sarno. I vigili del fuoco dicevano che bisogna uscire subito dalla macchina. Sono vivo grazie a Sarno». E ad un divieto di sosta. Si è messo a correre verso l’edicola, il signor Giuseppe. «Sono scivolato, l’acqua e il fango mi trascinavano a mare. Provavo ad aggrapparmi ai rami degli alberi ma niente. Mi sono detto, è fatta, sono morto». E invece è qui, le mani coperte di graffi e una gamba fasciata. «Ad un certo punto con la mano ho sentito il palo di un cartello stradale, l’ho acchiappato come se fosse la cosa più cara al mondo ». Il vigile del fuoco che lo ha tirato fuori lo ha trovato ancora lì, aggrappato a quel divieto di sosta. Arnaldo Maio era in macchina con il figlio Nicola. Per un paio d’ore il ragazzino è stato nella lista dei dispersi. «Siamo usciti tutti e due dall’auto ma non l’ho visto più. Mi sono messo a correre verso il mare, non me ne sfotteva niente di morire, lo volevo ritrovare ». Lo hanno dovuto fermare, sarebbe morto. Nicola lo hanno trovato coperto di fango, sotto choc ma in buone condizioni. È ricoverato al piano di sopra. «E mo, scusate, vado ad abbracciarlo».

Il Corriere della Sera

Le Cinque Terre e una diga tra i 500 mila luoghi a rischio

di Paolo Conti

ROMA — Il professor Nicola Casagli, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, ha realizzato per conto del Dipartimento della Protezione Civile, col ricercatore del suo gruppo Riccardo Fanti, uno studio sul dissesto idrogeologico in Italia. Una mappatura dettagliata che non indica re­sponsabilità politiche ma fotografa un tipo di rischio, afferma Casagli, che «assume una valenza unica in ambito europeo e mediterraneo, subordinata solo al Giappone nel contesto dei Paesi tecnologicamente avanzati». Perché Ischia fa da sfondo a tante catastrofi, professore? «Gran parte delle linee superficiali di drenaggio delle acque sono diventate strade. Se piove poco, l’acqua defluisce. Se piove tanto, le strade riescono solo a trasportare fango. In più siamo (come gran parte della Campania) in una zona di depositi piroclastici, ovvero il prodotto delle eruzioni vulcaniche, che ten­de a creare frane».

Sul territorio nazionale (dati della Protezione Civile) sono registrate 500 mila frane. Oltre 10 mila sono considerate a rischio idrogeologico «estremamente alto per l’incolumità di beni e persone». Negli ultimi cinquant’anni in Italia le frane hanno ucciso 2.500 persone e provocato decine di migliaia di senzatetto. Mentre Puglia e Sardegna sono regioni quasi prive di frane, la Lombardia da sola ne totalizza 90 mila, ma in compenso è dotata della più accurata mappatura regionale. L’Emilia Romagna è invece la regione con la più alta densità di frane. L’Italia è, insomma, «strutturalmente» a rischio ma il problema è la pessima «antropizzazione», l’intervento umano: strade, sbancamenti del territorio, edilizia più o meno regolare. Ancora Casagli: «Si è costruito su aree a rischio. Se ci fosse stata una pianificazione urbanistica in armonia con i fattori geologici di instabilità, i danni quasi non ci sarebbero. Invece si edifica dove c’è pericolo non solo di frane ma anche di eruzioni o alluvioni. Qui lo scienziato non può dire nulla, la parola passa alla politica».

La diffusione delle frane sul territorio italiano è capillare e ciò rende difficile individuare le aree a maggior rischio, sulle quali concentrare le attività di prevenzione. Si può solo procedere per «landslide hotspots», zone a maggior concentrazione di fenomeni franosi.

La Penisola racconta mille storie. Le frane nelle Langhe in Piemonte, lungo piani di scivolamento formati da rocce sedimentarie di origine marina. Certi depositi di detriti, mischiati alle acque, possono produrre torrenti di fango capaci di raggiungere i 100 chilometri di velocità. Ecco la Lombardia, con 90 mila frane mappate: la più grande è la Ruinon che continua a muoversi con i suoi 35 milioni di metri cubi. In Trentino le frane nelle vicinanze di Merano, la Val Passiria. In Veneto, a rischio, ci sono la Val Fiscalina, le Dolomiti Bellunesi e l’area di Cortina. In Friuli sono 40 i milioni di metri cubi della frana del Passo della Morte. In Liguria le montagne sono erose dalle correnti di aria calda e umida e dalle precipitazioni intense e concentrate, il fenomeno di frane con fango e detriti è frequentissimo. Nelle Cinque Terre tutti i sentieri di campagna sono a rischio frane. La frazione di Castagnola è di fatto un piccolo paese che cede e si muove su una sola frana.

In Emilia Romagna la frana di Corniglio «pesa» 150 milioni di metri cubi. In Toscana è ancora a rischio l’area di Cardoso, in Versilia (tredici anni fa una «bomba d’acqua» rovesciò due milioni di metri cubi di detriti uccidendo 13 persone). In Umbria è storica la grande frana di Orvieto, così come nelle Marche la frana di Ancona. Nel Lazio l’area del Viterbese (Civita di Bagnoregio, per esempio). In Abruzzo la zona appenninica è caratterizzata da frane velocissime e pericolose per le forti pendenze. In Campania c’è il problema dei materiali provocati dalle eruzioni passate, nell’area vesuviana e a Ischia: l’edificazione è selvaggia. Sulla costiera amalfitana sono frequenti le colate di fango.

In Basilicata molti paesi sono costruiti sul dorso delle frane, per esempio Craco. In Calabria è impressionante il numero di centri edificati su frane argillose, per esempio Cavallerizzo di Cerzeto, altro paese che «si muove». In Sicilia è a rischio frana il quartiere di Sant’Anna a Caltanissetta, la stessa cattedrale di Agrigento sorge su terreno franoso. Fenomeni simili esistono a Enna.

Infine la quieta Sardegna: l’unico pericolo è la frana sulla diga del Flumendosa. Ma rispetto ad altre frane che gravano su altre dighe (quella toscana di Vagli, in Garfagnana) rappresenta quasi una preoccupazione di routine.

L’Unità

L’isola delle frane dove grazie agli abusi si aspetta il peggio

di Pietro Greco

La collina è venuta giù all’improvviso. Gli alberi, sradicati e aggrovigliati, hanno fatto barriera, trattenendo le pietre più grosse. Ma nulla hanno potuto contro l’acqua e il fango, che sono piombati d’improvviso in cortile e sono giunti a lambire la porta di casa. La casa dove chi scrive ha abitato, fino a non molto tempo fa. Quella che sto raccontando è una delle cinque frane rilevanti che hanno ferito l’isola d’Ischia ieri mattina. Non è quella grossa e assassina, che alle8 del mattino è venuta giù pochi metri più in là e si è abbattuta sulla marina, trascinando con sé decine di auto e molte persone. Cinque frane rilevanti ci dicono quanto sia piovuto in quelle ore a Ischia. Ma ci raccontano soprattutto quanto sia fragile e a rischio il territorio sull’«isola verde».

Ma, se la fragilità è naturale – l’isola ha un’origine giovane e una forte dinamica vulcanica e sismica – il rischio a essa associato non lo è affatto. Quello ha, soprattutto, origine antropica. Ed è venuta aumentando, negli ultimi decenni, da quando l’isola a economia contadina si è trasformata in uno dei centri a più alta intensità turistica e a più alta intensità di ricchezza d’Europa. In quei 46 chilometri quadrati, per lo più ancora verdi, si concentra, infatti, una recettività alberghiera pari a quello dell’intero Friuli Venezia Giulia e a un terzo di quella dell’intera Campania. Tutto costruito, in diverse ondate, nel corso degli ultimi cinquant’anni. Ma più che i vani alberghieri sono le civili abitazioni che hanno coperto il territorio. In soli trent’anni, dal 1951 al 1981 i vani sull’isola sono aumentati di 50.000 unità, passando da 18.000 a 68.000. E dal 1981 a oggi Legambiente calcola che siano aumentati ancora di 100.000 unità. I conti non sono precisi, perché sull’isola di è prodotto uno dei più devastanti fenomeni di abusivismo edilizio dell’intera Italia.

Lo prova il fatto che giacciono inevase ben 10.000 domande di condono e che un magistrato, Aldo De Chiara, ha chiesto (inutilmente, finora) l’abbattimento di ben 600 abitazioni del tutto abusive. Non sappiamo la cause precise delle frane di ieri. Ma sappiamo che l’abusivismo diffuso moltiplica il rischio associato alla fragilità idrogeologica del territorio. Ma, probabilmente, il fattore di rischio maggiore ha una natura passiva. È la semplice l’incuria. La mancanza di cultura della prevenzione. E così sull’isola d’Ischia viene falsificato ogni giorno un teorema caro agli economisti ecologici: il teorema che prevede l’aumento lineare della domanda di qualità ambientale con il reddito. A Ischia – come in tante altre perle del turismo del Mezzogiorno d’Italia – questo teorema semplicemente non vale. Il reddito, ci dicono anche le più recenti indagini dello Svimez, continua ad aumentare più che nel resto del Sud. Ma sia la domanda di qualità ambientale sia la domanda di qualità sociale ristagnano. Così l’isola contempla il suo opulento declino.

l’Unità

La maledizione di Casamicciola

di Bruno Gravagnuolo

«È succiess Casamicciol». Oppure: «È succiess Pumpei». Ovvero in ambo i casi e con facile traduzione: «È stato uno sconquasso, un terremoto». In Campania per descrivere eventi caotici oppur calamitosi, si ricorre a queste due locuzioni, piuttosto che dire «è stato un Quarantotto ».Con Pompei più gettonata per dire caos, anche sociale, e Casamicciola con riferimento più tellurico e materiale. Pompei è metafora atavica, a datare dall'eruzione del 79 dc. E Casamicciola metafora recente, visto che si rifà a due sciagure molto più vicine: i terremoti nell’Isola di Ischia del 1881 e del 1883. Alla fine però Casamicciola battè sia Pompei che il 1848.PerchéquelliaIschia, di cui Casamicciola è comune, furono eventi celebri,che come il terremoto di Messina,commossero tutta l’Italia post-unitaria. Nel 1881, il 4 marzo, ci fu una scossa di sette secondi, che fece 124 morti. Mentre il 28 luglio di due anni dopo, la scossa fu lunghissima. Ottavo grado della scala Mercalli, con 2033mortie1784feriti.Fudurantequellascossacheil filosofo Benedetto Croce vide sparire tra pavimento e soffitto, padre, madre e sorella. E la solidarietà dell’Italia di allora raccolse la cifra astronomicadiben6milionidi lire! E oggi?Casamicciola è ancora lì, a rinverdire il suo primato. Per colpa dell’incuria idrogeologica e del taglio di fondi alla protezione civile. Dopo le frane del 2006 e la rottura di cavi del 2005, che inondò mare e falde di policromobifenili inquinanti. Perciò ieri e oggi è sempre Casamicciola. È la Campania infelix bellezza!

I geologi: in Campania 210 comuni a rischio. La procura indaga

«Forse si poteva evitare. Come al solito noi le cose le diciamo in tempi non sospetti, ma poi tutto viene disatteso. Le finanziarie degli ultimi anni invece che incrementare i fondi alla difesa del suolo li hanno dimezzati o azzerati. Il problema è uno: zero fondi per la sicurezza. E poi andiamo a fare i funerali di Stato». Così Francesco Russo, presidente dell'Ordine dei Geologi della Campania, commenta la frana che a Ischia ha provocato un morto e decine di feriti. La cattiva gestione del territorio, in condizioni ambientali già delicate, finisce ancora una volta sotto accusa ad Ischia: sono al vaglio della Procura di Napoli le circostanze che hanno provocato la frana a Casamicciola, uccidendo una ragazza e provocando il ferimento di diverse persone. Il pm Della Ragione arrivato sull'isola (l'altro è Antonio D'Alessio), parla di «cause naturali con risvolti di natura antropica che sono al vaglio della Procura». Intanto il comandante provinciale del corpo forestale dello Stato spiega: «Sull'isola si sono verificati diversi smottamenti. I più gravi e vistosi, fra sette e otto,sono confluiti nella frana di Casamicciola».

Cresce l'abusivismo: senza permesso un'abitazione su dieci

Donato Antonucci -Il Sole 24 Ore

Un fenomeno che non conosce crisi. Tra quelli europei, il nostro Paese registra uno dei più alti livelli di abusivismo edilizio. I dati del Cresme per il 2009, che il Sole 24 Ore anticipa nel grafico qui a fianco, stimano un totale di 27mila abitazioni illegali, pari al 9,6% del totale. Ed evidenziano, in prospettiva storica, punte allarmanti in coincidenza dei condoni edilizi. Il tutto mentre il piano casa traccia nuove vie per realizzare legalmente molte delle piccole opere che spesso, in passato, erano attuate in modo abusivo (o regolarizzare abusi già effettuati: un punto sul quale i comuni saranno chiamati a vigilare). D'altra parte, a fronte dell'estrema rigidità formale delle disposizioni di legge, vi è anche la diffusa consapevolezza che un abuso edilizio difficilmente corre il rischio di essere demolito, per una serie di ragioni giuridiche (e pratiche) che i professionisti conoscono bene.

Segnalazioni mancate.

Innanzitutto, raramente si assiste alla denuncia dei vicini, che generalmente tollerano il fenomeno, salvo i casi di dissapori legati a vicende di violazioni che invadono le altrui proprietà. E così, molti abusi semplicemente restano sconosciuti. Del resto, i privati non hanno obbligo di denuncia. Obbligo che invece costituisce uno specifico dovere per i pubblici ufficiali e per gli incaricati di pubblico servizio (polizia municipale, funzionari di uffici tecnici comunali e del catasto). Così come per i notai, cui venga richiesto di rogare atti concernenti immobili abusivi, e per il direttore dei lavori. Nella prassi, però, le risorse per i controlli d'iniziativa dei comuni sono scarse. La conseguenza è che molti abusi vengono scoperti solo quando sono già stati ultimati, con tutti i problemi legati alla demolizione: se il privato non provvede spontaneamente, i comuni devono anticipare le spese e poi cercare di recuperarle. E la carenza di fonti a volte rinvia gli abbattimenti.

Le violazioni.

Quando venga accertata la violazione delle norme di legge e di regolamento in materia urbanistico-edilizia, delle prescrizioni degli strumenti urbanisticio delle modalità esecutive fissate nei titoli abitativi, l'articolo 27 del testo unico dell'edilizia (Dpr n. 380/2001) impone ai funzionari comunali di ordinare l'immediata sospensione dei lavori, che avrà effetto fino all'emanazione dei provvedimenti sanzionatori definitivi, da adottare e notificare ai responsabili entro i successivi 45 giorni. Le sanzioni amministrative e penali sono contenute negli articoli da 30 a 48 del testo unico. Nel caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, l'articolo 31 stabilisce che se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune, che poi provvederà alla demolizione o all'eventuale riutilizzo del bene. Sino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, però, il responsabile dell'abuso o l'attuale proprietario dell'immobile può tentare di ottenere il rilascio di un permesso in sanatoria, a patto che ci siano i requisiti (si veda la scheda). Accanto alla sanatoria che è una procedura a regime negli anni si sono succeduti tre condoni di carattere eccezionale, che hanno reso possibile sanare anche quegli abusi che non fossero conformi agli strumenti urbanistico-edilizi.

La sospensiva.

Il meccanismo si inceppa quando si tratta di applicare le procedure. Le amministrazioni comunali spesso impiegano tempi lunghi nell'istruire le pratiche di accertamento di conformità di condono. E, comunque, il titolare di un abuso edilizio che venisse stanato dal comune avrebbe ancora molte carte da giocare. Infatti, contro i provvedimenti amministrativi di sospensione dei lavori, di irrogazione di sanzioni o di rigetto della richiesta di accertamento di conformità o dell'istanza di condono, si può fare ricorso in sede commissariati di p.s., amministrativa o giurisdizionale (la più praticata). Insieme al ricorso al Tar, o con atto separato, si può chiedere l'emanazione di misure cautelari (la cosiddetta istanza di sospensiva): misure cautelari che vengono quasi sempre concesse dato che la demolizione comporterebbe quel «pregiudizio grave e irreparabile» richiesto dalla legge e che sospendono per anni l'efficacia di un ordine di demolizione. Se poi anche il ricorso alla fine dovesse essere rigettato, c'è sempre la chance dell'appello davanti al Consiglio di Stato, con la possibilità di ottenere - anche qui - la sospensione dell'esecuzione di una pronuncia sfavorevole. In pratica, solo al termine del giudizio d'appello si potrà procedere alla demolizione del manufatto o alla concreta immissione in possesso da parte del comune. Ai tempi lunghi dei comuni si sommano quelli della giustizia amministrativa, ove non è infrequente, ancora oggi, l'esame di ricorsi sul condono del 1994.

Il disastro normalizzato di Fregene

Giuseppe Strappa – Corriere della Sera

Qualche giorno fa gli agenti della Polizia ambientale e forestale, su provvedimento del tribunale di Civitavecchia, hanno posto i sigilli su quaranta abitazioni costruite tra il lungomare di Fregene e viale Viareggio per «lottizzazione abusiva in aree a tutela paesaggistica».

Il balletto dei ricorsi è solo iniziato, tra accertamenti di responsabilità e verifiche di sub deleghe, ma fin d’ora colpiscono due aspetti della vicenda.

Il primo è l’esiguità dei provvedimenti rispetto alla vastità delle distruzioni in atto, perché l’intera località sembra colta, da tempo, da un’inarrestabile attività costruttiva.

Certo, quegli ultimi resti di un paesaggio selvatico calpestati dalle volgari villette sequestrate, colpiscono l’occhio ed il cuore. Ma anche le più composte costruzioni che spuntano come funghi nelle aree verdi finiscono per dare un poderoso contributo alla rovina del paesaggio. E qualora fosse provato che tutte hanno rispettato le procedure, i piani, le norme, la contraddizione emergerebbe in tutta la sua allarmante evidenza: l’obbiettiva, progressiva, inaccettabile distruzione di uno straordinario patrimonio naturale sarebbe stata compiuta nel pieno rispetto delle leggi.

Il secondo aspetto che preoccupa di questa vicenda è l'assenza di proteste, la «normalizzazione» del disastro.

L’assalto alle coste ha, da noi, una tradizione antica. Ma decenni di battaglie civili hanno dimostrato, almeno, come fosse chiaro il confine tra profitto privato e diritti dei cittadini. Da allora qualche cosa sembra cambiato nel profondo delle coscienze.

Anni di condoni e di incertezza del diritto hanno minato quelle verità. Lo stesso termine «speculazione edilizia» è divenuto un relitto linguistico. Perché, del resto, non posso costruire una villetta in un'area protetta? Quando lo Stato finirà per darmi ragione o, almeno, per perdonarmi con una strizzatina d’occhio?

C’è voluto un esposto di Italia Nostra e quasi due anni d’indagini del pubblico ministero Pantaleo Polifemo per fermare, per ora, lo scempio. Ma, nel sonno delle coscienze, vedremo come andrà a finire.

Dai palazzi condominiali alle villette, dalle seconde case ai residence. Ed ancora: i villaggi turistici, i lidi e i camping, i palazzotti costruiti su aree demaniali. La Calabria non è solo terra di ecomostri. La Calabria «è tutta un ecomostro». Lo dice uno studio della Regione sulla cementificazione dei suoi 700 chilometri di spiagge.

Documento che restituisce una fotografia impietosa dello scempio, con un abuso censito per ogni 100-150 metri di costa. I casi individuati dagli esperti dell’assessorato all’Urbanistica sono 5 mila 210.

Nella sola provincia di Cosenza sono stati rilevati 1156 abusi (il 22,19%), a Catanzaro 548 (il 10,52%), a Crotone 915 (il 17,56%), a Reggio 2093 (il 40,17%) e a Vibo 498 (il 9,56%). È anche stato possibile stabilire che, tra i casi individuati, 412 si trovano in aree per le quali il Piano d’Assetto Idrogeologico definisce «gravi condizioni di rischio idraulico». Per quanto riguarda i vincoli ambientali, «si riscontra che 54 casi individuati ricadono all’interno di Aree Marine Protette, 421 in Siti d’interesse comunitario e 130 nelle Zone a protezione speciale».

«Offese al territorio», vengono definite dal gruppo di lavoro che mette insieme docenti universitari, tecnici e giovani professionisti. E sono di tipo legale (ovvero legittimato dalla originaria inclusione nei Prg); di tipo legalizzato (cioè compreso in varianti e parzialmente sanato); e infine completamente illegale (in area demaniale, protetta e instabile). In certi casi si tratta, addirittura, di opere di proprietà pubblica come interi pezzi di lungomare. Ai fini dell’indagine sono state effettuate decine di migliaia di sopralluoghi, verifiche negli enti locali, agli uffici del catasto e del genio civile. Sono state realizzate schede dettagliate su "Costa Viola", "Costa dei Gelsomini", "Riviera dei Cedri" o "Area Grecanica". Nomi che evocano paradisi ambientali, ma che nei fatti sono segnate dalle ferite di decenni di incuria, di complicità, di connivenze. Documenti che rappresentano la sintesi delle speculazioni di imprenditori senza scrupoli, delle mafie del mattone e della cultura, diffusa, dell’illegalità «domestica».

Gli oltraggi sono presenti su spiagge e scogliere, non soltanto in contesti fortemente urbanizzati come Reggio Calabria, ma anche in zone di pregio e turisticamente note come l’area di Tropea, la costa di Scilla, la Locride, l’area di Soverato e, in particolare, l’area di Isola Capo Rizzuto e del Crotonese. Che, in larga parte, paradossalmente è vincolata come Riserva Marina Protetta ed area archeologica. In quest’ultima zona si addensa ben il 52% degli abusi illegali compresi in aree marine protette.

La Regione, attingendo ad un Accordo di Programma Quadro (Apq), finanziato con 5 milioni di euro dallo Stato, ha già deliberato l’abbattimento di 9 ecomostri. Ma non è sempre semplice. I proprietari fanno ricorsi, si appellano ai mille cavilli della legge, hanno frotte di legali pronti a brandire il codice.

L’assessore regionale Michelangelo Tripodi si dice, comunque, determinato: «Ora abbiamo una fotografia precisa dello scempio. Butteremo giù tutto quello che è possibile, dimostrando come l’abuso non paghi e che in Calabria sta crescendo il senso della legalità e dell’ambiente». Poi: «Non consentiremo più che certe cose avvengano tanto che elaboreremo una specifica Carta dei vincoli». Infine, «cercheremo di risanare i guasti». Tripodi afferma che un ruolo importante lo giocheranno i Comuni: «La Regione ci mette i fondi, ma gli enti locali dovranno attivarsi con i propri piani di risanamento». Per il presidente regionale di Legambiente, Antonino Morabito, «ora bisogna essere conseguenti». Servono, insomma, «tempi rapidi nelle demolizioni e, altrettanto, per le fasi di risanamento. Servono le regole e chi le faccia rispettare».

C'è una parte di Stato che ha in cima alla propria agenda non la cementificazione ma le demolizioni. È quella rappresentata dalla Procura della Repubblica di Napoli. Il pool antiabusivismo è guidato dal procuratore aggiunto Aldo De Chiara, un magistrato che ai reati ambientali ha dedicato l'intera carriera, sin da quando era giovane pretore negli anni Settanta e Ottanta, e che nel 2008 è stato insignito anche del Premio Elsa Morante per l'impegno civile. Dice: "Il nostro compito è far rispettare la legge, e l'abusivismo edilizio è un reato e va perseguito ".

A Ischia il procuratore aggiunto e il suo sostituto Antonio D'Alessio hanno trovato forse anche più di quanto immaginassero. Abusi edilizi in ognuno dei sei comuni dell'isola. Una infinità quelli sanzionati, per per almeno un migliaio si è arrivati alle sentenze di demolizione che ora hanno superato tutti i gradi di giudizio e resistito a ogni forma di ricorso. In pratica le case debbono andare giù, e se il consiglio dei ministri, come sollecitano i sindaci, non farà un provvedimento ad hoc, le ruspe potrebbero cominciare a fare il loro lavoro da un giorno all'altro. "La politica segue il suo percorso, ed è giusto che sia così — dice De Chiara —. Ma noi seguiamo il nostro, che prevede il rispetto e l'applicazione delle leggi in vigore e delle sentenze emesse in virtù di queste leggi".

Sui numeri c'è ancora un po' di confusione. Il sindaco di Lacco Ameno (uno dei Comuni di Ischia), Tuta Irace, parla di "circa diecimila ordini giudiziali di demolizione", mentre De Chiara ritiene che la cifra sia di gran lunga inferiore: "Credo che siamo nell'ordine delle centinaia, forse un migliaio", dice.

Si tratta in parte di abitazioni i cui proprietari non hanno usufruito dell'ultimo condono, ma soprattutto di case costruite in zone protette, e per questo non condonabili. "Lo scempio a Ischia è vastissimo", dice De Chiara. Ma il sindaco di Lacco Ameno pone un'altra questione: "Le demolizioni riguarderanno le prime case, in maggior parte di cittadini disperati, in particolare di giovani famiglie con figli in tenera età, prive di altro alloggio, che hanno realizzato con duri sacrifici la loro prima abitazione. Non si tratta di speculazioni edilizie".

Le sentenze giudiziarie sono arrivate però a ben altra conclusione, e ora tocca alla Procura fare entrare in azione le ruspe. Potrà farlo coinvolgendo il genio civile o rivolgendosi a ditte specializzate. Teoricamente potrebbero provvedere anche i Comuni, e infatti pochi giorni fa a Ercolano è stata proprio l'amministrazione locale a far eseguire la sentenza di abbattimento di un immobile abusivo. Ma a Ischia è difficile che ciò accada: i sindaci sono compatti nell'opporsi alle demolizioni. Temono problemi di ordine pubblico e soprattutto temono di perdere popolarità e consensi. Perciò hanno scritto a Berlusconi, nella speranza che la soluzione gliela trovi lui".

«La Regione senza soldi, non ha i fondi per demolire le case abusive e per il satellite»

Fabrizio Geremicca - Corriere del Mezzogiorno, 21 agosto 2008

«Non abbiamo un centesimo per demolire le case abusive in Provincia di Napoli. Il fondo di un milione di euro è esaurito da tempo. Poca cosa. Abbattere con tutte le garanzie di sicurezza costa molto più che costruire. Aspettiamo che sia reintegrato, magari con i soldi dei proprietari in danno dei quali sono stati demoliti gli immobili». Gabriella Cundari, assessore all'Urbanistica della Regione Campania, alza bandiera bianca. Parole amare, le sue, 24 ore dopo che il capo della Procura di Torre Annunziata, Diego Marno, ha denunciato al Corriere del Mezzogiorno: «Trecento ordinanze di demolizione per abusi emesse dai miei uffici in un anno non sono state mai eseguite».

Assessore, un anno fa la Regione annunciò la nomina dei commissari ad acta. Una task force per abbattere gli abusi, dove i Comuni fossero stati inadempienti.

Cosa non ha funzionato?

«Noi non possiamo intervenire in prima battuta. Dobbiamo chiedere chiarimenti al sindaco e se non ce li dà non possiamo nominare i commissari ad acta. Soprattutto, però, non abbiamo i soldi per demolire in tutta la Regione. Abbiamo istituito un fondo di rotazione che è già finito, per la provincia di Napoli. Soldi in parte di palazzo Santa Lucia, in parte dello Stato, che non ha più messo un centesimo. Peraltro, qualcosa è stato realizzato. Basti pensare a Casalnuovo dove alcuni immobili sono stati abbattuti. Abbiamo nominato in tre tornate una cinquantina di commissari ad acta. I quali agiscono, però, in tempi lunghi ».

Che fine ha fatto il progetto di monitoraggio satellitare del territorio, in funzione antiabusivismo?

«È bloccato, anche in questo caso per mancanza di soldi. Il primo rilievo col satellite è stato realizzato e sono stati spesi i fondi che avevamo. Non ne abbiamo ricevuti altri. I dati dovrebbero essere aggiornati ogni tre mesi, per garantire un controllo costante. È tutto fermo da cinque mesi e non vedo schiarite perché non abbiamo più risorse».

A quanto ammontava il finanziamento?

«Non ricordo esattamente. Era una voce di bilancio che derivava direttamente dalla Presidenza della Regione Campania. Tenga comunque conto che una rilevazione satellitare costa almeno un milione di euro. Occorrerebbero 5 o 6 milioni di euro all'anno. Al momento proprio non ci sono. Certo, il satellite di Benevento potrebbe essere sostituito, ma gratis non lo dà nessuno. Né possiamo trasformare i rilievi di Google. Abbiamo necessità di immagini che possano essere impiegate anche in sede legale, in caso di contenzioso con i proprietari degli immobili. Servono soldi, ripeto, ma non li abbiamo adesso».

Assessore, almeno per gli abusi per i quali ci sianno sentenze passate in giudicato, quelli ai quali faceva riferimento il procuratore Marmo, qualcosa andrebbe fatto. Salvo dichiarare la bancarotta dello Stato e del paesaggio.

«Chiederò al procuratore Marmo, alle altre Procure impegnate nell'antiabusivismo ed ai prefetti la disponibilità a elaborare un progetto comune, per verificare in che modo si potrebbero accorciare i tempi. La prima cosa utile sarebbe realizzare una banca dati condivisa, per darci priorità di intervento. Per esempio, concentrando gli sforzi nell'abbattimento degli immobili abusivi sanzionati da sentenze passate in giudicato».

Varcaturo, ecco una città abusiva

Antonio Corbo – la Repubblica, ed. Napoli, 21 agosto 2008

È il terzo villaggio sequestrato: 50 appartamenti in 28 ville di lusso, sparse tra gli ultimi peschi, salici e oleandri. Si è capito ieri che non è l´ultimo. Lentamente viene alla luce una città abusiva: Varcaturo, sedicimila abitanti, 20 chilometri quadrati, uno dei tre quartieri di Giugliano sul mare. Più avanti gli altri due: Licola e Lago Patria. Dove sono al lavoro da tempo solo gli archeologi, cercano le tracce di Publio Cornelio Nerone, il passaggio dell´esercito del generale che sconfisse Annibale. Progetto "Liternum". I carabinieri in un mese scoprono invece tonnellate di cemento illegale, fondate sull´aggressività dei clan Mallardo e Nuvoletta, ma anche su una rete di complicità con politici e burocrati. Prende forma una recente tangentopoli dell´edilizia, negli ultimi cinque anni, dal 2003 a ieri.

Si è ormai aperta una voragine nei misteri del Comune, il terzo della Campania. I carabinieri infilano una direzione che sembra infinita: scoprono case, uffici, piscine che nelle mappe degli uffici tecnici non esistono. Edifici fantasma. Possibile che ce ne siano tanti? Il fenomeno sembra persino più vasto: un viavai di auto della Finanza fa già temere a costruttori e abitanti un´altra pista, con altri insediamenti illegali scoperti. Tutti abusivi e in attesa del condono.

Alle otto i carabinieri sono tornati in via Rannola, nella seconda traversa avevano bloccato l´11 agosto 96 appartamenti in 36 edifici, con un rimessaggio di barche, un deposito di gelati e surgelati, uffici e cantieri della società di Bernardo Falco, imprenditore agli arresti domiciliari, caduto nella retata del 20 maggio. Il blitz diretto dal procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho e dal pm Paolo Itri portò in carcere 23 vigili. L´accusa: tangenti sugli abusi edilizi. Tra i 56 indagati anche funzionari e imprenditori.

Tutto è crollato in pochi mesi. Per caso. Un tentativo di molestie sessuali, la prima scintilla. Poi, l´intuizione di un giovane maresciallo. Non si sarebbe altrimenti saputo nulla su questo scandalo solido come cemento armato. A Giugliano un vigile tornò in casa di una professoressa moglie di un autotrasportatore, per offrirle singolari modalità sulla chiusura di un verbale. L´abuso edilizio, che aveva appena rilevato, il vigile propose di sanarlo in forme molte private: prestazioni sessuali e lavori eseguiti dai suoi familiari per correggere la violazione. La signora accolse solo il secondo invito, ma non bastò. L´attenzione del vigile degenerò, secondo i rapporti del commissariato, in molestie. Un ispettore di polizia fu turbato dalla denuncia della donna che in lacrime teneva strette per mano le sue bambine. La sua sensibilità trovò una sponda nel rigore di Cafiero De Raho, che diresse subito le prime indagini. Le microspie nelle auto di servizio registrarono brani da polizia deviata. Una banda che non cercava gli abusi edilizi per reprimerli, ma per imporvi tangenti. Racket in divisa sull´edilizia abusiva. Il pm Paolo Itri con la collega Raffaella Capasso, in tempi record, ha già portato alle soglie del processo cinque capitani, 18 tra sottufficiali e agenti, funzionari e imprenditori. Tra questi, Bernardo Falco, protagonista dei primi due sequestri dei carabinieri: è stato infatti aperto il secondo squarcio sulla città abusiva di Varcaturo. Gaetano Maruccia, comandante provinciale, si era raccomandato con tutti i reparti: occhio all´illegalità diffusa, come agli abusi edilizi non sempre perseguiti dalla polizia urbana nei piccoli comuni. Gli ordini di Maruccia sono stati tradotti dalla compagnia di Giugliano in una operazione che fa scoprire volumi immensi di cemento illegale sul litorale flegreo. Il capitano Alessandro Andrei ha diretto anche le operazioni del terzo sequestro, ieri. Un nuovo parco abusivo, ma quanti ne risulteranno ancora? La tecnica di indagine concede risultati immediati e sorprendenti. Michele Membrino, nuovo comandante dei carabinieri di Varcaturo era appena arrivato: scoprì in un lampo le prime case fantasma. Sovrappone gli aerofotogrammi attuali con quelli registrati in Comune nel 2003. Migliaia di metri cubi di cemento appaiono oggi dove cinque anni fa c´erano rarissime costruzioni. Zone che si sono popolate senza uno straccio di licenza. Intuibile la rete di complicità, se assicura certificati di residenza agli inquilini, collegamenti con le condotte idriche e la rete fognaria, c´è chi paga le bollette per una casa che ufficialmente non esiste. Risultano infatti ancora terreni agricoli.

I carabinieri hanno puntato ieri sulle villette di Lorenzo Russo, un imprenditore che conoscevano già. A Licola ha un albergo. Il nome lascia immaginare turismo romantico: Hotel Cupido. Non ha trovato subito le chiavi del cancello, fatto aprire dal capitano Andrei con una spranga di ferro. Si schierava contro anche Irma, una femmina di maremmano, bella ma evidentemente ostile. Dice Lorenzo Russo a "Repubblica": «Il Comune di Giugliano non funziona. I carabinieri hanno trovato il mio albergo senza una licenza che devo avere da tempo. Ora spero che si chiarisca tutto in breve tempo. Io lavoro per mettere qualcosa da parte per i miei figli». Ma queste ville, peraltro ben rifinite con legno pregiato, sono abusive. «No», replica, a mani giunte. «Mi creda, ho pagato il condono case». E l´abuso dov´è? Sostiene Russo: «Nei terreni lottizzati, non so in che modo». Si insiste: quei terreni qualcuno li ha comprati. E l´uomo del "Cupido" dice la sua: «Ho comprato io i terreni. Gli atti? Un notaio in una piazza di Bagnoli». Non ricorda altro. Né sa indicare il proprietario di un terreno attiguo. Incolto. «Vorrei saperlo anch´io. L´avrei comprato». Nel parco una fabbrica di scarpe, dà lavoro a sei famiglie. Fogna abusiva, regolari le bollette. Rapporto già inviato al procuratore aggiunto Aldo De Chiara, specialista dell´antiabusivismo.

Ma come si è diffusa tanta illegalità? L´ex sindaco Francesco Taglialatela osserva. «La corruzione dei vigili urbani dà un motivo sostanziale. Ma c´è anche altro. Abbiamo istruito le procedure per acquisire altri immobili abusivi e demolirli. Io non ci sono più, non so a che punto siano. Subito le demolizioni, come deterrente». Il prefetto ne discuterà il 10 settembre con il nuovo sindaco, Giovanni Pianese. L´orientamento è acquisirle al Comune, senza abbatterle, se compatibili con ambiente e sicurezza. Lo sono. Ben fatte e di lusso, anzi. Che qualche scheletro vi sia, lo dice solo il costo dell´affitto. Per duecento metri quadri su due livelli, 350 euro. Quanto pagano gli immigrati per un solo posto letto in una stanza a sei. Le vie dell´illegalità sono infinite.

Cento metri quadri in una notte. Si ripete ad agosto l’Olimpiade dell’edilizia clandestina. I primatisti delle costruzioni illegali sono ancora a Pianura. Ma qualcosa sta cambiando, confida un tassista che d’estate diventa imprenditore. E cosa cambia? «È più facile trovare la manodopera, basta andare in una certa piazza».

Quale? «Prima, era Porta Capuana. Ora piazza Principe Umberto». Si guarda intorno: «Se ci spostiamo, posso parlare meglio...». Chiede di allontanarci. «È un lavoro pulito questa volta, ma non si sa mai». Ha una squadretta di operai, si sono fermati per mangiare, devono rifare la cucina di un ristorante in una zona non facile, «qui i guappi o ci sono o ci fanno», ha paura. Il tassista-imprenditore guida con prudenza nel buio di un’attività che d´estate rende molto. «Quello del muratore di Ferragosto è il più bel mestiere per chi ha necessità o buona volontà, e per chi ci sa fare». Le squadre, dice lui, sono di almeno dieci elementi. «Sei maestri e quattro manovali, questa è la paranza perfetta per un lavoro importante. Non come il mio, è robetta, e non c’è niente di male. I sei maestri si devono conoscere, sono quasi sempre gli stessi ogni anno, il capo cerca i manovali a piazza Principe Umberto. Alle sette, sette e mezza. Prima arrivavano da Caivano con i pullman delle Tpn, le tramvie Provinciali. Ora anche da altri posti. I migliori piastrellisti. Ma ci sono ora gli ucraini, ragazzi che pavimentano 50 metri al giorno e non sono più grezzi, ma precisi, rifiniti». Ne indica uno: è l’unico che beve birra.

«Costano 70 euro al giorno, anche 60. Si spiega il lavoro da fare, si fissa il prezzo, e l’operaio monta in macchina». Un mercato di uomini. Lo racconta come se fosse normale. Più penoso quello di Lago Patria, dove alle 7 la corriera da Mondragone scarica i disperati: prostitute polacche e manovali per i lavori nelle masserie, anche abusivi di edilizia, bianchi e neri, quelli che sanno far poco, solo carne da lavoro, 30 euro al giorno.

Le tecniche, spiega un ingegnere: «È un mondo da combattere, perché non si dà tempo al calcestruzzo di essiccare. Le prove si fanno dopo 28 giorni. Cosa volete che siano poche ore? È un pregiudizio per la costruzione, chi commissiona un lavoro abusivo è un incosciente». Rivela ancora: «Di sera si porta il materiale. Lo si accumula. Sotto Ferragosto, all´imbrunire, si montano le casseforme di legno, all’interno si posiziona il ferro, si getta quindi il calcestruzzo, è poi la volta dei mattoni forati che formano il cosiddetto tompagno, all’alba è tutto pronto, si passa all’intonaco. Una notte, anche centro metri quadrati se ci sanno fare».

L’illegalità ha un costo. Il privato che affida un lavoro senza licenza lo sa. L’ingegnere, sempre più sdegnato: «Non c’è progetto, non c´è licenza, non c’è niente. Né legalità ma neanche sicurezza. Lavorano i cottimisti. La parte più delicata è quella del calcestruzzo. Per un’opera modesta occorrono almeno cinque betoniere. Se arrivano i controlli, sono sequestrate. Si paga tutto al doppio, in anticipo e tutto al nero». Le tariffe. «In condizioni regolari 150 euro a metro quadro. Dipende dalle zone. Massimo 200. Per le costruzioni abusive giusto il doppio, dai 300 ai 400 euro. E se arrivano i vigili? «I soldi li perde chi commissiona il lavoro».

Ma arrivano i vigili? La sezione Antiabusivismo è al Vomero Alto. Comandante Antonio Baldi, da vent´anni. Per esperienza e preparazione tecnica è considerato tra i migliori in Italia. Ma i vigili sono pochi: 124. D’estate, quando le ferie coincidono con gli scempi più gravi, diventano 50. Ferie, mancanza di risorse per gli straordinari, anarchia ormai conclamata in attesa del nuovo comandante, Luigi Sementa: sono buoni motivi perché una metropoli si arrenda all’illegalità? «I vigili fanno molto e bene. Ovvio, nei limiti umani», Antonio Baldi fa da scudo alle critiche. I controlli sono stati troppo modesti in rapporto al fenomeno, rigorosi e impeccabili però valutando le forze disponibili. La sezione ha scoperto nel 2007 oltre 160 mila metri cubi di costruzioni abusive, su un suolo di 74 mila metri quadri. L’ufficio di Baldi vanta 75 mila pratiche aperte con denunce. Pianura peggio di tutte tra le Municipalità. Le demolizioni sono in calo, nonostante l’ingaggio di un generale in pensione, Antonio Gagliardo.

I carabinieri si sono occupati anche di abusi edilizi a Ferragosto, scoprendo lavoratori clandestini. Un imprenditore arrestato. Ma si annuncia un autunno di estremo rigore, con il "Mistrals", un satellite che rileverà le modifiche degli immobili di ora in ora. Appare molto deciso anche l’assessore comunale Felice Laudadio, docente universitario e amministrativista di grido. «Alcuni quartieri sono sotto particolare controllo. Certi abusi sono stati ormai mirati e a settembre si procederà alla demolizione. Chiaia e Posillipo i primi».

A Posillipo gli specialisti della polizia urbana hanno avuto singolari contrasti di opinione. Una signora non l’ha ammesso. Un appartamento realizzato dietro la struttura principale. «Le assicuro: è una stalla». Ma lei è una professoressa, perché la stalla? «Voglio diventare coltivatrice diretta».

Cemento sulle coste: la mappa dell’abusivismo edilizio e gli ecomostri doc

Anche in materia di cemento illegale, la Campania non teme rivali. E’ infatti prima nella speciale classifica delle regioni sull’abusivismo costiero, seguita dalla Calabria e dalla Sicilia, vede più che raddoppiato il numero di persone denunciate e arrestare, ma in calo il numero delle infrazioni. Una situazione che corrisponde tutto sommato al dato nazionale: in generale si riduce il numero delle infrazioni e aumentano le persone denunciate. Un dato probabilmente indicativo dell’aumento della gravità dei reati. I casi accertati di illegalità legata al ciclo del cemento perpetrate ai danni delle coste in Italia scendono da 4.484 del 2006 a 3.975 (-11,4%), il numero delle persone denunciate passa invece dalle 2.069 del 2006 alle 5.066 del 2007 (+145%). Cresce leggermente il dato sui sequestri, da 1.322 a 1.399 (+6%).

Gli ultimi dodici mesi, dobbiamo ricordarlo, sono stati anche quelli delle ruspe della Regione Lazio che finalmente nel luglio scorso hanno tirato giù la palazzina nell’area archeologica di Gravisca a Tarquinia e nel dicembre del 2007, dopo vent’anni di mobilitazioni ambientaliste, hanno abbattuto i 21 scheletri di cemento di Isola di Ciurli a Fondi. Ma anche quelli della demolizione dell’ecomostro di Copanello e delle ville abusive di Rossano Calabro, venute giù ad aprile del 2008. Senza dimenticare il sindaco di Falerna in provincia di Catanzaro, che è intervenuto per rimuovere le scandalose case mobili abusive sulla spiaggia.

Segnali che si auspicava fossero il preludio di una stagione di ripristino della legalità, che contagiassero altri sindaci e altre amministrazioni perché si cominciasse finalmente a fare sul serio, perché iniziasse a sparire dalla mappa dei litorali italiani lo sfregio delle centinaia di scempi, dai tanti abusi diffusi ai più eclatanti ecomostri, in riva al mare. Purtroppo così non è stato, nessun effetto domino. Il cemento fuorilegge, le case abusive sulle spiagge e i grandi alberghi illegali, dalla Liguria alla Sicilia, anche questa estate faranno da sfondo alle nostre cartoline dalle vacanze.

Perché, a fronte di una manciata di vicende a lieto fine, sono purtroppo ancora centinaia gli ecomostri e le colate di cemento che deturpano indisturbati la costa italiana. E sono decine, ogni anno, i nuovi progetti che vanno ad aggiungersi alla lista delle speculazioni immobiliari, sempre in nome di interessi privati a danno di quelli pubblici.

Proprio mentre scriviamo, arriva la notizia di cui avremmo volentieri fatto a meno: per finanziare il taglio dell’Ici sulla prima casa, il governo Berlusconi ha deciso di cancellare larga parte dei provvedimenti, e relativi stanziamenti, previsti dal c.d. decreto milleproroghe del febbraio scorso. Tra questi, neanche a dirlo, si sono volatilizzati anche i 45 milioni di euro del “Fondo per la demolizione degli ecomostri”.

A.A.A ruspe cercansi. Ecco i 5 ecomostri in lista d’attesa

Giugno 2007: erano cinque gli ecomostri costieri a “tempo scaduto”, quelli per cui Legambiente chiedeva che venissero istruite le pratiche di demolizione entro l’estate dello scorso anno.

Giugno 2008: niente di fatto, sono ancora gli stessi cinque gli orrori che riproponiamo in cima alla lista d’attesa. Ancora lì, immobili, a rappresentare lo scempio del cemento abusivo che domina incontrastato interi tratti del litorale del nostro Paese. Tentativi falliti di speculazione edilizia, come quello dei grandi alberghi mai finiti di Palmaria, decine di migliaia di metri cubi di cemento che sovrastano da più di trent’anni l’isolotto di fronte a Portovenere, e di Alimuri, uno schiaffo all'immagine e al paesaggio naturalistico della penisola sorrentina che dalla metà degli anni ‘60 tiene in ostaggio una delle conche più belle del golfo di Napoli e che l’ex ministro Rutelli aveva inserito tra quelli più “urgenti”. Ma anche di abusi e lottizzazioni devastanti come le ville sul bagnasciuga ribattezzate dai turisti “palafitta” e “trenino” a Falerna Scalo, in provincia di Catanzaro, e le case degli ex assessori del comune di Realmonte in riva al mare sulla spiaggia di Lido Rossello nell’agrigentino. Oppure di vere e proprie città illegali come le migliaia di seconde case costruite negli anni settanta a Torre Mileto, 500 delle quali totalmente insanabili perché interamente sul demanio marittimo.

Nome: L’albergo di Alimuri

Luogo: località “la Conca”, Penisola Sorrentina, Vico Equense (NA)

Data di nascita: 1965

Destinazione: albergo

Dimensioni: 50 vani (in origine 100) più accessori su 5 piani (h 16 mt)

Proprietà: S.A.A.N srl

Nel 1964 viene rilasciata la licenza per costruire un albergo di 100 vani, successivamente ridotti a 50. Nel 1971 la Soprintendenza ordina la sospensione dei lavori ma il Ministero della Pubblica Istruzione (con delega ai Beni Culturali) accoglie il ricorso proposto dal titolare. Nel 1976 la Regione Campania annulla le licenze rilasciate dal Comune perché in contrasto con il Programma di fabbricazione, ma il Tar della Campania nel 1979 ed il Consiglio di Stato nel 1982 invalidano a loro volta gli atti della Regione. Nel 1986 i lavori vengono sospesi dal Comune di Vico Equense per interventi di consolidamento della roccia retrostante. A questo punto, completare l'ecomostro di Alimuri avrebbe un duplice effetto: dare corso all'ennesimo assalto al patrimonio ambientale della penisola sorrentina e rendersi responsabili di un’opera a rischio, costruita alle pendici di un costone roccioso fragile, inserito nella zona rossa dell'ultimo piano d’intervento per il dissesto idrogeologico realizzato dall'Autorità di Bacino del Sarno.

Basti pensare che i solai del complesso risultano sfondati da numerose falle provocate da ripetuti crolli di blocchi di pietra. Il 23 aprile 2003 viene stipulato un singolare accordo tra il Comune di Vico Equense e il confinante Comune di Meta, con cui quest’ultimo si assume le competenze istituzionali di tutela e salvaguardia del territorio e la concessione di demolizione del manufatto nel caso abbia esito positivo l’acquisizione pubblica dell’area. Ma l’acquisto non è mai avvenuto perché i proprietari non hanno mai dato il via libera. Nei primi mesi di quest’anno il Ministro Rutelli ha inserito Alimuri nella lista degli ecomostri da abbattere “con corsia preferenziale” e sono stati avviati negoziati per arrivare a un accordo con i titolari a cui verrebbe data la concessione per costruire l’albergo da un’altra parte.

Nome: le palazzine di Lido Rossello

Luogo: Realmonte (AG)

Data di nascita: 1992

Destinazione: residenziale

Dimensioni: 5.800 mc circa

Proprietà: Demanio – Fugallo e Fiorica

Lido Rossello è una baia della costa meridionale della Sicilia, nel comune di Realmonte in provincia di Agrigento. E’ un luogo di grande suggestione, reso unico da uno scoglio chiamato, per via di una antica leggenda, “Do zitu e da zita” (del fidanzato e della fidanzata) che si trova in mare a trecento metri dalla spiaggia. La spiaggia di Lido Rossello, proprio per la sua straordinaria bellezza, è stata al centro delle mire speculative di un gruppo di politici e di imprenditori locali, denunciati e condannati dopo la pubblicazione di un dossier di Legambiente Sicilia.

Nei primi anni Novanta, utilizzando uno strumento urbanistico scaduto e in totale violazione del vincolo paesistico, alcuni assessori del Comune di Realmonte rilasciarono a sé stessi una serie di concessioni edilizie per realizzare palazzine in riva al mare, piantando i piloni nella sabbia e sbancando la costa di pietra bianca che completava il tratto costiero. Co-intestatari della concessione edilizia erano l’assessore Angelo Incardona, i suoi familiari Leonardo e Pietro Incardona e l’allora capo dell’ufficio tecnico Giuseppe Cottone. Nel 1992 Legambiente inizia a depositare denuncie, l’ultima delle quali nel settembre 2003 a seguito di queste la magistratura annulla la concessione e blocca i lavori. Nel febbraio del 1994 l’intera Giunta Municipale, la commissione edilizia ed alcuni imprenditori vengono tratti in arresto, processati e condannati. Si attende ancora che il Comune demolisca lo scempio.

Nome: Palafitta

Luogo: Falerna (CZ)

Data di nascita: 1972 (licenza edilizia)

Destinazione: residenziale

Dimensioni: 1260 metri cubi

Proprietà: Demanio – Eredi Sonni

Nome: Trenino

Luogo: Falerna (CZ)

Data di nascita: 1968 (concessione edilizia)

Destinazione : residenziale

Dimensioni: 4.554 mc

Proprietà: Demanio – Conte

Due casi eclatanti di cemento in spiaggia, se non addirittura in mare: “Palafitta” e “Trenino” sono i soprannomi con cui i cittadini e i turisti di Falerna, in provincia di Catanzaro, hanno ribattezzato le due costruzioni realizzate sul bagnasciuga della costa calabrese.

Palafitta, con i suoi tre piani, sfida da decenni le onde essendo stato costruito direttamente sulla battigia e nei giorni di mare leggermente mosso sembra che galleggi. Una storia, quella di questo assurdo manufatto, fatta di ricorsi al TAR, di ordinanze di demolizione e sospensioni delle stesse. La licenza edilizia risale al 1972. Nel 1993 la Capitaneria di Porto di Vibo Valentia Marina, accertata l’occupazione abusiva di una zona del demanio di 770 metri quadrati (superficie necessaria a ottenere il permesso per costruire la volumetria voluta su una base di 140 mq), ha ingiunto ai proprietari di demolire le opere e ripristinare lo stato della zona. Questi hanno fatto un primo ricorso al TAR della Calabria, ottenendo nel 1994 la sospensione del provvedimento. Le verifiche della Capitaneria di Porto accertano che i permessi erano stati rilasciati in assenza dei documenti relativi alla ubicazione del progetto e che il fabbricato era stato realizzato sulla base di elaborati planimetrici falsi. Nel maggio del 1999 il Comune di Falerna dispone l’annullamento della licenza del 1972 e ribadisce ai proprietari l’obbligo di abbattimento.

Segue un nuovo ricorso al TAR che però non viene accolto: il Comune rinnova l’ingiunzione di demolizione. I proprietari non si arrendono e presentano due nuovi distinti ricorsi: uno al Consiglio di Stato e uno di nuovo al TAR, che nel 2000 accoglie ancora una volta la domanda di sospensiva.

Trenino, invece, con i suoi appartamenti a schiera realizzati direttamente sul bagnasciuga viene invaso dalla sabbia che spesso riempie completamente il piano terra. Tre fabbricati di cui la prima licenza edilizia risale al 1968 e che hanno visto succedersi diverse proprietà. Un caso di abusivismo legalizzato, perché a parte la verifica della perimetrazione del lotto, le concessioni sono state rilasciate senza il preventivo nulla osta della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia.

Nome: Villaggio abusivo di Torre Mileto

Luogo: Lesina (FG)

Data di nascita: anni ‘70

Destinazione: residenziale – villette

Dimensioni: 2.800 alloggi lungo 10 km di costa

Proprietà: Demanio - Lesina Finanziaria spa

A Torre Mileto, in provincia di Foggia, sorge un villaggio costiero interamente abusivo, che si estende per una decina di chilometri di lunghezza nella fascia di terra che separa il lago costiero di Lesina dal mare. Il lago da una parte, il mare dall’altra, in mezzo una cerniera di cemento illegale. E' in verifica in Regione un PIRT (Piano d’Intervento di Recupero Territoriale) che porterebbe all'abbattimento di circa 800 case, portando a 100 metri dal lago e a 80 metri dal mare la fascia di rispetto ambientale. Contrari sono sia il sindaco di Lesina, che è anche consigliere del Parco Nazionale del Gargano, che vorrebbe invece ridurre la fascia di rispetto a 20 metri dalla costa, portando in sanatoria tutti gli abusi, e il presidente del Parco, che considera la demolizione delle case illegali un inutile spreco di denaro pubblico. Va ricordato che l’Ente Parco dispone da tre anni di un fondo per gli abbattimenti che giace senza essere speso. Di diverso avviso è l'assessore regionale al territorio ha invece affermato di aver istituito un fondo regionale per gli abbattimenti e che gli abusi di Torre Mileto saranno i primi a cadere. A oggi sono “solo” 900 le domande di condono presentate dai proprietari degli immobili.

Nome: Scheletrone di Palmaria

Luogo: Parco Regionale di Portovenere (SP)

Data di nascita: 1968

Destinazione: alloggi in multiproprietà

Dimensioni: 8.000 mc (dichiarati nel progetto)

Proprietà: 20 proprietari, tra società e singoli

Un enorme scheletro di cemento alto 30 metri che incombe sul paesaggio del Parco, di cui Legambiente chiede da molti anni la demolizione per recuperare un’area tra le più suggestive di Palmaria. La vicenda inizia nel 1975 quando il Sindaco di Portovenere rilascia una concessione edilizia per la realizzazione di un albergo e di un residence di 45 appartamenti, con annessi servizi e infrastrutture. Nello stesso anno la Pretura blocca la speculazione, mette sotto sequestro il manufatto e rinvia a giudizio i titolari della società lottizzatrice, il Sindaco e l'impresa. La sentenza è poi confermata anche in appello. La Giunta comunale di Portovenere vota una delibera che rigetta definitivamente la richiesta di condono presentata dai proprietari. Il 23 maggio 2002 viene raggiunto un accordo tra la Regione Liguria, il Comune di Portovenere e la Sovrintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio della Liguria che sembra possa portare in breve tempo all’abbattimento dell’ecomostro, ma lo scheletro è ancora lì e continua a sfregiare da oltre 30 anni uno dei tratti di costa più belli della Liguria. Il neo-sindaco di Portovenere nel 2006 ha dichiarato che l’ecomostro sarà abbattuto interamente, spazzando via l’idea di tenere in piedi il primo piano. Nel dicembre dello stesso anno, il sindaco annuncia che la Regione Liguria ha stanziato 100mila euro per la demolizione. Speriamo che sia la volta buona.

Nota: le nostre coste, anche dove non ci sono direttamente "ecomostri" DOC, presentano comunque un paesaggio assai degradato, come racontano efficacemente su questo sito Giorgia Boca e Carla Maria Carlini; scarica di seguito la versione integrale del Dossier (f.b.)

Il governo Berlusconi ha cancellato i soldi destinati ai Comuni per abbattere gli ecomostri. Ce li dovremo tenere con grande soddisfazione dei proprietari. Almeno questa è l’accusa di Legambiente toscana che oggi a Firenze, presente Ermete Realacci, farà il punto «sulle costruzioni che dovranno essere demolite». Verrà presentato un dossier con nome, località e foto di otto ecomostri toscani. Di sicuro nell’elenco ci saranno lo Spalmatoio dell’isola di Giannutri e il centro commerciale di Procchio. L’ecomostro di Giannutri è una lunga fila di fatiscenti immobili in cemento armato per circa 11mila metri cubi, che fa bella mostra di sé da oltre dieci anni nell’insenatura dello Spalmatoio a Giannutri, isola che fa parte del Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano. Mentre il Centro servizi di Procchio (Marciana Marina) è stato oggetto di un’inchiesta giudiziaria. Un anno fa Legambiente su questi e su altri ecomostri toscani presentò un dossier all’allora ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli. Che decise di stanziare nella Finanziaria 2008 un fondo per erogare soldi ai Comuni intenzionati ad abbattere i loro ecomostri. «Ora questo fondo il nuovo governo ha deciso di usarlo per far fronte ai soldi necessari al taglio dell’Ici», polemizza Piero Baronti, presidente regionale di Legambiente.

Baronti non ci sta: «Per situazioni di abusivismo come quelli che da anni stiamo denuciando bisogna prevedere subito l’abbattimento in modo che i pirati del mattone non l’abbiano vinta. Per questo chiediamo al governo di ripristinare questi soldi. E’ uno scandalo che non venga fatta pagare l’Ici a proprietari di immobili di lusso e si favorisca di fatto l’abusivismo edilizio».

Il presidente regionale di Legambiente boccia la politica ambientale del governo. A giudizio di Baronti il provvedimento sull’Ici è stato «nefasto per l’ambiente» perché ha tolto soldi ad una serie di misure ambientali. Ad esempio sono stati bloccati 77 milioni per potenziare il trasporto delle merci via mare: «Un brutto colpo per la Toscana che, anche sull’impulso del presidente Ciampi, ha sempre creduto nel futuro del cabotaggio», osserva Baronti.

Altri soldi cancellati per dirottarli a copertura del taglio dell’Ici sono i 113 milioni destinati al trasporto pubblico locale e i 36 milioni per i sistemi di trasporti urbani (tramvie e metropolitane). «Per la Toscana è un altro pugno nello stomaco perché questi fondi, previsti dalla Finanziaria Prodi, sarebbero serviti per le linee ferroviarie minori come la Grosseto-Siena, la Lucca-Aulla e la Porrettana - spiega Baronti - Sono stati tolti i soldi per le isole minori e per l’ammodernamento della rete idrica. E, anche in questo caso, la Toscana è colpita perché da noi la rete che porta l’acqua ne perde anche il 30-40 per cento. Si taglia l’Ici, ma si tagliano anche i soldi per l’ambiente. Un gran brutto segnale».

Numeri paradossali, da non credere. Cheraccontano di un fenomeno come quello dell'abusivismo allarmante.Negli uffici dei Comuni di San Felice Circeo e Sabaudia giacciono12.200 pratiche di condono. Ben 3.331 riguardano abusi chericadono nelle aree del parco nazionale del Circeo. Sono 7734sono le pratiche di condono del Comune di San Felice Circeo: unnumero che fa impressione se si calcola che i residenti sono8.036. Quasi un abuso per ogni abitante. Un po' meglio Sabaudiadove le richieste di condono sono 4472 per 16.229 abitanti: unaogni quattro residenti.

Questi alcuni dati che emergono dall'analisi sull'abisivismocondotta dal parco nazionale del Circeo. In questi mesi l'enteparco ha lavorato per predisporre un 'data base' che raccoglie eordina tutti i dati man mano che questi si rendono disponibili.E' emerso che ci sono 7734 pratiche di condono che riguardano ilcomune di San Felice Circeo: di queste, 2050 rientrano nellecompetenze del parco, ma solo 458 sono state trasmesse all'Enteparco. Queste ultime interessano abusi residenziali e commercialiper complessivi 55.470,15 metri quadri e 140.995,29 metri cubi(una parte dei quali relativi a pavimentazioni esterne e cambi didestinazioni d'uso). Sono invece 4472 le pratiche di condono peril Comune di Sabaudia: di queste 1281 sono relative al parco maad oggi trasmesse materialmente all'ente appena 620. Questeultime sono relative ad abusi commerciali e residenziali pari a85.633,87 metri quadri e 240267,13 metri cubi (una parte deiquali sempre inerenti fondamenta o pavimentazioni esterne e cambidi destinazioni d'uso).

Le tabelle del parco sono dettagliate edistinguono i vari tipi di abusi dando anche conto delle pratichegia' definite: "Quello che stupisce- sottolinea il presidente delparco Gaetano Benedetto- e' che ogni cittadino di San Felice,neonato o vecchio che sia, ha sulla sua testa una pratica dicondono. Migliore la percentuale per Sabaudia dove una pratica dicondono e' ogni 4 cittadini". Certo, si tratta di finzionestatistica "poiche' molte pratiche sono relative a immobili dipersone non residenti, ma comunque l'abuso commesso pesa suquesti comuni e quindi sui tutti i cittadini residenti".

Secondo Benedetto servono "obiettivi concreti a breve e mediotermine per uscire da questa situazione paradossale di stallo",in cui c'e' un abuso per ogni ettaro di terreno nel parco. Epropone: "Incominciamo a rigettare subito le 400 praticherelative ad abusi commessi nel parco dopo il 31 dicembre 1993,abusi che per legge sono incondonabili". Infatti, com'e' noto, adifferenza di quelli precedenti l'ultimo condono (che tratta gliabusi edilizi successivi al primo gennaio 1994 e comunquerealizzati non oltre il 31.3.2003) non consente la possibilita'di sanare gli abusi nelle aree protette.(SEGUE)

"Il lavoro che ci attende e' pero' benpiu' complesso- sottolinea il presidente del Parco- e abbiamobisogno di operare in stretto coordinamento con i comuniinteressati per dare risposte definitive a migliaia di cittadiniche, per altro, hanno addirittura anticipato oneri concessori chein molti casi si dovranno restituire". Su mandato del consiglio,l'ufficio tecnico del Parco "accelerera' le risposta allepratiche trasmesse all'ente che pero' rappresentano meno di unterzo di quelle che dovremo esaminare". Per questo lavoro "ciavvarremo ancora di un gruppo di tecnici esterni per lepreistruttorie ed abbiamo deciso un altro affiancamento legaleall'ufficio tecnico", spiega il presidente dell'area protetta. E invita i comuni "che legittimamente parlano di nuovi pianiregolatori" a tenere conto della "pesantissima situazionepregressa ancora da definire". Le proiezioni dell'ente infattidimostrano come la stima delle cubature abusive in aerea parco"ammontano a circa mezzo milione di metri cubi nel comune diSabaudia e a oltre 690.000 metri cubi nel comune di San Feliceper un totale complessivo vicino al milione e duecentomila metricubi".

Piccoli e grandi abusi edilizi. Stati di necessità e maxi-speculazioni. Disperata fame di case nei centri urbani e mega-lottizzazioni in cale esclusive. Mini-ampliamenti in aziendine familiari nel profondo entroterra e saccheggi sistematici lungo le coste. In Sardegna, mai come oggi, appaiono stridenti le diverse facce della diffusa illegalità nelle costruzioni. Gli ordini di demolizione a raffica disposti dalla magistratura nuorese mettono il dito su questa piaga multiforme. Facendo riflettere su un universo di violazioni normative capillari e incresciose ma spesso di lieve entità: terrazzini, box, balconi, verande. E rilanciando il più ampio tema degli interventi spesso inadeguati contro gli scempi sui litorali devastati da ecomostri.

Se naturalmente la legge è uguale per tutti, di tutto c’è pure in questo mondo cementificato. Ingenui. Smaliziati. Furbetti fai-da-te. Volpi professioniste condono dopo condono. Ignoranti colombe. Insaziabili falchi. Imprudenti per caso. Principi, re, imperatori e vassalli del mattone selvaggio. Perciò è importante delineare il quadro degli abusi nell’isola, accompagnato da carenze, omissioni, abbattimenti mancati o disposti in ritardo. Una situazione grave. Con dati che negli ultimi decenni (come dimostrano le statistiche della Regione per il più recente periodo settembre 2006-ottobre 2007) indicano una mole impressionante d’irregolarità. In tutto quasi 60mila, stando a calcoli prudenziali. Ma al di là del numero fa riflettere la tipologia.

Dal dopoguerra ci sono stati interi territori che hanno cambiato connotati. Con una forte accelerazione dovuta all’industria delle vacanze ed enormi scempi provocati da alberghi, residence, seconde case, camping, villaggi turistici. Con la complicità di tanti amministratori e troppi dirigenti sindacali nel tollerare industrie inquinanti quando la massiccia disoccupazione portava a chiudere tutti e due gli occhi sui contraccolpi. Le storie di Pittulongu, proprio in questi giorni al centro di un’inchiesta su intrecci con la ’ndrangheta, sono significative. E con questioni che ora si spostano inevitabilmente dal piano della semplice legalità ai danni comunque subìti - autorizzati o no, sanati o no - dal paesaggio. Qualche esempio per capire meglio? Eccolo. Il riferimento è a casi come La Marmorata a Santa Teresa o Rocca Ruja a Stintino. Ripeterli oggi non sarebbe neppure immaginabile. Anzi, proprio oggi in tutta la loro prorompente regolarità giudiziaria, ricordano le strade da evitare per non compromettere l’ambiente. Concetto che riporta al «consumo senza ritorno del territorio» caro a Renato Soru e alla sua legge salvacoste. E concetto che, nella fase più vicina a noi, ha visto lo sviluppo di una moderna coscienza ecologista. In campo, su questo fronte, le maggiori associazioni per la difesa della natura. Dal Wwf a Italia Nostra. Dal Gruppo d’intervento giuridico agli Amici della terra. Da Marevivo a Legambiente. È spesso grazie alla loro vigilanza che le aspetti preoccupanti sono tenuti sotto osservazione. È sempre grazie a loro, oltre che all’assessorato all’Urbanistica e alle amministrazioni locali più sensibili, che l’entità di un abusivismo senza freni si è contratta sebbene faccia ancora paura suscitando sempre allarmi e timori.

Dice Vincenzo Tiana, presidente sardo di Legambiente: «Le cifre fornite in questi giorni dalla Regione confermano che la gran parte delle violazioni si riscontra in aree agricole. Così la nostra isola si avvicina sempre più al Nord Italia e sempre meno ai disastri che continuano registrarsi sui litorali in Sicilia e in Campania. Tutto perché sono stati fatti moltissimi passi avanti». Specialmente se si riflette sulle sanatorie del passato. «Durante una prima fase, negli anni ’80, sono sorti d’incanto interi rioni: a Olbia Pittulongu e Murta Maria, a Quartu si è andati da un piano di risanamento all’altro fino a collezionarne sette - prosegue Tiana - Nel ’94, con il condono voluto da Berlusconi, c’è stato un proliferare di singoli abusi costieri. Adesso, al contrario, con l’Osservatorio regionale che raccoglie le segnalazioni dei Comuni e l’aiuto della Forestale, la vigilanza è stata notevolmente rafforzato. L’unico scandalo resta il rione illegale di Testimonzos a Nuoro».

Finora in Sardegna sono state eseguite su richiesta dei Comuni qualcosa come 1.100 ordinanze di abbattimento per violazioni non condonabili. Tutte in aree tutelate da vincoli d’inedificabilità assoluta. Con la conseguente demolizione di 300mila metri cubi di volumetrie illecite. «In gran parte si è agito fra il 1986 e il 1987 - ricordano i responsabili del Gruppo d’intervento giuridico - Con una breve ripresa fra il dicembre 1994 e il gennaio 1995». Da allora, ogni anno, vengono emessi almeno un migliaio di nuovi provvedimenti di abbattimento. Ma, sottolineano gli stessi ambientalisti, quasi nessuno viene eseguito dai trasgressori. «Sono tuttora giacenti decine di richieste comunali di personale e mezzi regionali per procedere: inutilmente, perché da anni non si bandiscono neppure le gare d’appalto», rimarcano gli Amici della terra. Proprio in questi giorni, però, l’assessore Gianvalerio Sanna ha reso noto che numerose squadre di demolitori sono a disposizione per i casi nei quali si ravvisa la necessità di un aiuto da parte della Regione.

Soltanto nel 2007 in Costa Smeralda sono state sequestrate una trentina di ville abusive. Interventi analoghi a Monte Ricciu, poco distante da Alghero, in un hotel di Orosei e, appena qualche giorno fa, in 16 alloggi non lontano da San Teodoro. Ma le ruspe nella residenza del ministro Antonio Gava a Palumbalza, vicino a Porto Rotondo, o a Punta Cardinalino, non lontano da Palau, rimangono un ricordo vago.

Gli abusivismi insanabili cumulati negli anni sono ora stimati in 4500, la gran parte lungo i litorali. I nuovi monitorati dall’Osservatorio 1.694, relativi però al 48,28 % dei Comuni. Dati, quindi, parziali e numeri ragionevolmente raddoppiabili perché molte amministrazioni ritardano nell’informare la Regione. Ancora malessere a Quartu, che detiene sempre il record sardo negativo. Oltre che sulla Riviera del corallo: 140 i nuovi casi accertati dal Comune, più di 80 gli avvisi di garanzia.

Molte le storie clamorose. Come 185 edifici nell’oasi di Molentargius. I 26 complessi (campeggi con bungalow e roulotte fissate al suolo) nell’area protetta di Porto Conte. I sigilli a un’intera lottizzazione di Punta Lu Cappottu, vicino a Porto Torres. Cinquanta tra pontili e villette irregolari nel parco della Maddalena. Una baraccopoli con 13 unità abitative a Capo Ceraso. Una quarantina di strutture fuori norma nell’isoletta di Corrumanciu, stagno di Porto Pino. I contestatissimi lavori per il campo da golf sulle sponde dello stagno di Chia, prima sequestrati e poi dissequestrati per permettere, sotto vigilanza, il ripristino ambientale. Valanga di abusi a Pula, Baia delle ginestre, non lontano da Teulada, a Carloforte, Olbia, Golfo Aranci. E l’elenco, quasi senza fine, potrebbe continuare: si calcola che ogni giorno nell’isola si commettano non meno di dieci abusi. Di qui le conclusioni del portavoce del Gruppo d’intervento giuridico, Stefano Deliperi: «Tanti casi scottanti non possono venire lasciati incancrenire: contro l’abusivismo si deve fare di più».

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