11 giugno 2018. Contributo di eddyburg alla "Marcia per la dignità di Venezia", una città che come molte altre è stata ridotta a macchina per il profitto perdendo il suo originario ruolo di spazio per la vita.
Venezia non è solo l’espressione di una comunità locale, ma un esempio emblematico di un modello di sviluppo e di governo tipico di questa fase del capitalismo, finalizzato all’estrazione di profitto e mercificazione di ogni componente della nostra vita. Questo modello ha delle caratteristiche urbane specifiche, le principali possono essere così schematizzate:
Bisogna, di nuovo rivendicare il diritto alla città, cioè difendere la città come spazio vitale. Venezia non è più, come tanti altri insediamenti nel mondo, uno spazio adatto alla vita umana, ma si è trasformata in una macchina per il profitto, il profitto di pochi. Rivendicare la città e tutti gli insediamenti, periferie, villaggi, quartieri, paesi come spazio vitale significa:
1. Riappropriarsi dello spazio fisico, dagli spazi pubblici a tutti gli spazi e servizi utili alla vita quotidiana; spazi salubri e accessibili a tutti. Il diritto a un alloggio dignitoso a un prezzo commisurato al reddito.
2. Riconquistare lo spazio delle relazioni sociali, schiacciate e impoverite dalle disparità create dal capitalismo, che ci frammenta e divide e sprona all’individualismo attraverso l’esaltazione della concorrenza. Dobbiamo mettere al centro cooperazione, solidarietà e mutualismo.
3. Ricostruire lo spazio della politica, oggi connotato da autoritarismo, maschilismo, personalismo e tifoseria acritica. Significa rivendicare il diritto di partecipazione di tutti alle decisioni che riguardano la vita di tutti. Significa anche riportare la politica al suo originale mandato, quello di riconoscere un problema comune e risolverlo nell’interesse di tutti.
10 giugno 2018. Rassegna stampa di una giornata di lotta per la dignità di Venezia: contro le grandi opere, la svendita del patrimonio pubblico, la turistificazione, la privatizzazione dei servizi, la militarizzazione degli spazi pubblici e altro ancora. (i.b.)
Il fatto quotidiano, 10 giugno 2018
VENEZIA, MARCIA VERSO IL COMUNE
CONTRO LE GRANDI NAVI IN LAGUNA: “LÌ VENGONO DECISE LE OSCENITÀ”
di Giuseppe Pietrobelli
Un assedio pacifico al Comune di Venezia. Quest’anno il Comitato No Grandi Navi, assieme all’associazione Laguna Bene Comune, ha deciso che la manifestazione contro i “transatlantici del mare” avverrà in centro storico e non sulle rive del Canale della Giudecca, quotidianamente percorse dalle navi da crociare. Niente tuffi in laguna, quindi, ma un lungo serpentone di manifestanti per calli e campielli che parte alle 14.30 di domenica 10 giugno da piazzale Roma per raggiungere Campo Manin, attraversando Strada Nova e la zona di Rialto. Ca’ Farsetti, sede del municipio, è a pochi passi.
“E’ il palazzo dove vengono decise le oscenità nella gestione della città e dei flussi di turismo”, spiega Luciano Mazzolin, portavoce dei No Grandi Navi. “Abbiamo invitato le abitanti e gli abitanti della città storica e della Terraferma, chi ci vive o vi lavora da pendolare, il mondo associativo e le organizzazioni a mobilitarsi per restituire dignità alla città di Venezia, mai come oggi minacciatadall’operato di chi la governa”. Più che le grandi compagnie che controllano l’affare delle crociere, stavolta è il potere politicoveneziano a finire nel mirino. L’obiettivo è quello di riempire di gente i campi veneziani che si trovano a ridosso del municipio, in modo da impedire simbolicamente (anche perché di domenica tutti gli uffici sono chiusi) l’accesso al palazzo della politica veneziana.
Moltissime le adesioni alla manifestazione. Hanno annunciato la loro partecipazione 75 tra comitati, associazioni e circoli, 8 sigle di organizzazioni sindacali, una ventina tra presidenti di Municipalità, consiglieri comunali o regionali e una dozzina di sigle collegate a partiti. Particolarmente significativa la presa di posizione della Fiom del Veneto e di Venezia, preoccupata per il ventilato trasferimento delle Grandi Navi a Porto Marghera. Il sindacato metalmeccanico della Cgil scrive: “Occorre dire con chiarezza che lo spostamento delle grandi navi non può avvenire a danno delle attività produttive presenti in prima zona industriale o a detrimento dell’uso delle aree di Porto Marghera che deve restare industriale. Ripensare la città significa mettere in discussione alla radice le scelte sbagliate compiute a danno del lavoro industriale, con pesantissime perdite occupazionali, che hanno reso invivibile Venezia e favorito una idea speculativa e parassitaria dell’uso del territorio”.
Il tema della “Marcia per la dignità di Venezia” dimostra di voler andare oltre il problema delle grandi navi in laguna, partendo dai “tornelli” installati per regolare i flussi dei turisti. “La vicenda dei tornelli, al di là della ridicolaggine, è grave – scrivono gli organizzatori – perché esemplifica il vero programma del sindaco Brugnaro e della sua giunta: trasformare, in nome del profitto, la città storica in un grande parco a tema che abbia nella Terraferma una nuova succursale low cost. A cosa possono servire i tornelli se si sta pianificando la costruzione di 20.000 posti letto in ostelli od hotel a Mestre nei prossimi anni?”.
la Nuova Venezia, 11 giugno 2018
I VENEZIANI ORA SI RIBELLANO
«QUESTA CITTÀ È NOSTRA»
di Manuela Pivato
A Venezia la marcia della dignità fino a campo Manin tra slogan e varchi di cartone
La marcia della dignità sfida il caldo, suda sotto il sole, spinge in là i turisti; avanza calle dopo calle, ponte dopo ponte, colorata e chiassosa, lungo la direttrice dove oggi, in un giorno normale, i veneziani fanno fatica a passare. Ma ieri era domenica, la domenica in cui settantuno tra comitati, associazioni, circoli, otto organizzazioni sindacali, undici partiti, ventuno tra consiglieri regionali, comunali e di Muncipalità, si sono messi insieme per «una città più degna».
In tremila, secondo gli organizzatori - poco più di mille secondo le forze dell’ordine - e comunque in tanti, di tutte le età, di ogni sestiere, giunti anche da Mestre, da Marghera, con i cappelli, gli ombrellini, le infradito da spiaggia, i bambini in braccio, i cani stremati tra i piedi, le bandiere, gli striscioni, la musica dei Pitura Freska, sfilano da Piazzale Roma a campo Manin, dove una volta la destra teneva i suoi comizi.
Annunciato dal lancio di fumogeni dalla terrazza del garage comunale, il corteo impiega quasi due ore per raggiungere il palco, tanta è la distanza tra la testa e la coda, tanto le bandiere dei No Grandi Navi s’incrociano con quelle del Coordinamento studenti medi, i ragazzi Awakening con quelli del Morion, lo striscione “Il mio futuro è Venezia” con quello a beneficio dei turisti, in inglese, “This is not Veniceland” e con i varchi di cartone; e ancora, qua e là, il Gruppo 25 aprile, il Centro Sociale Rivolta, Forum Futuro Arsenale, ma anche il Movimento dei Consumatori, quello per la difesa della Sanità Pubblica Veneziana, Italia Nostra, Lido d’Amare e tutti gli altri gruppi, grandi e piccoli, che, trasversalmente, ma egualmente motivati, si ritrovano l’uno accanto all’altro in Strada Nuova, ai Santi Apostoli, sull’ormai malinconico ponte di Coin, a San Bartolomeo, infine in campo Manin.
Dal palco, ce n’è per tutti. Stefano Micheletti del Comitato No Grandi Navi ricorda gli ultimi sei anni, all’indomani del decreto Clini-Passera, durante i quali «non è cambiato nulla; anche sabato, sono arrivate sette navi da crociera e 14 mila turisti». «Non vogliamo che Venezia diventi una Disneyland, ma nemmeno una Biennaland - dice ancora Micheletti - e invece la Biennale, dopo l’Arsenale, vorrebbe prendersi l’intera città, come il Lazzaretto vecchio. Se non vogliamo il monopolio del turismo, non vogliamo nemmeno quella della cultura. Non dimentichiamo l’esempio dei musei civici, che guadagnano milioni di euro ogni anno, mentre gli addetti alla guardiania rischiano di perdere il posto di lavoro».
Nelle stesse ore, a distanza, su Facebook, l’assessore Michele Zuin si scusava «se la città era stata di nuovo offesa da un gruppo di persone, incapaci di manifestare tranquillamente, ma è il solo modo di dimostrare che esistono. Per anni di governo di centrosinistra non si è fatto nulla».
In campo Manin, intanto, si offre frutta e acqua minerale. Tommaso Cacciari guarda in direzione di Ca’ Farsetti. «Brugnaro ha in progetto di trasformare questa città in Veniceland, per questo mette i tornelli, per far pagare un biglietto - dice - ecco perchè vuole che i veneziani se ne vadano, per lasciare libere le case da affittare ai turisti».
Il caldo si fa sentire, arriva un filo d’ombra. Ai piedi del palco, Gianfranco Bettin osserva «una specie di alleanza, un insieme di obiettivi unificanti, l’unica maniera per far emergere che questa città è un’altra cosa». Sicuramente sarà un’altra cosa l’incontro del 14 giugno, annunciato dal presidente di Municipalità Giovanni Andrea Martini, in parrocchia ai Frari, durante il quale il sindaco Brugnaro incontrerà la cittadinanza.
«Siamo vicini al suo palazzo» dice Martini «un giorno potremo anche entrarvi. E intanto ci sono tremila case vuote mentre i veneziani continuano ad andarsene. E allora il 14 andiamo tutti ai Frari». Grida di giubilo.
Corriere del Veneto, 11 giugno 2018
«NO VENEZIA DISNEYLAND», MILLE IN CORTEO
di Gloria Bertasi
Un gesto che ha indispettito gli assessori comunali Simone Venturini (Coesione sociale) e Michele Zuin (Bilancio) che sui social si sono scusati con i cittadini: «Centri sociali, alcuni frammenti di sinistra veneziana e qualche politicante alla manifestazione no global a Venezia. Ci scusiamo per questo degrado - ha scritto Venturini - Ogni tanto devono dimostrare a loro stessi di esistere e per farlo paralizzano la città, urlano sciocche filastrocche e accendono qualche fumogeno. Perdonateli». In serata, il sindaco Luigi Brugnaro ha invece ironizzato: «Voi siete questi...!!! 500/800 persone di cui tante arrivate da fuori. Grazie perché dimostrate quanto importante sia la nostra amministrazione per questa città».
Il Mattino di Padova, 11 giugno 2018
VENEZIA SI RIBELLA: «LA CITTÀ È NOSTRA»
di M.PI
Dal palco, ce n’è per tutti. Stefano Micheletti del Comitato No Grandi Navi ricorda gli ultimi sei anni, all’indomani del decreto Clini-Passera, durante i quali «non è cambiato nulla; anche sabato, sono arrivate sette navi da crociera e 14 mila turisti». «Non vogliamo che Venezia diventi una Disenyland, ma nemmeno una Biennaland - dice ancora Micheletti - e invece la Biennale, dopo l’Arsenale, vorrebbe prendersi l’intera città, come il Lazzaretto vecchio. Se non vogliamo il monopolio del turismo, non vogliamo nemmeno quella della cultura». In campo Manin si offre frutta e acqua minerale. Tommaso Cacciari guarda in direzionedi Ca’ Farsetti. «Brugnaro ha in progetto di trasformare questa città in Veniceland, per questo mette i tornelli, per far pagare un biglietto - dice - ecco perché vuole che i veneziani se ne vadano, per lasciare libere le case da affittare ai turisti».
globalproject, 10 giugno 2018. Un primo resoconto della marcia per la Dignità di Venezia, tantissime persone, comitati, associazioni hanno partecipato esprimendo la volontà di volere una città diversa. Qui potete leggere/ascoltare alcuni contributi. (i.b.)
Appena prima della partenza uno striscione di oltre 10 metri è stato calato dal Garage comunale, a salutare i tanti presenti al concentramento.
La marcia ha proseguito colorata e rumorosa verso Strada Nuova dove, in prossimità di uno dei tanti edifici lasciati all'abbandono e al degrado - pronto per l'ennesima speculazione, o l'ennesimo albergo (sic) - è stata attacchinata una gigantografia donata dal collettivo Awakening a testimoniare il loro supporto all'iniziativa.
Migliaia di cittadine e cittadini hanno marciato sotto il sole cocente, portando con loro striscioni e cartelli che riportavano i dati di una trasformazione quotidiana di Venezia: oltre 30 milioni i turisti annui; meno di 54mila i residenti nella città storica; oltre 3000 le case pubbliche vuote; una media di 74 turisti per residente nell'anno 2017; oltre 200 i cambi d'uso annui da residenziale a turistico; oltre 10mila i posti letto in costruzione a Mestre.
Trasformazione che segue logiche di svendita e sfruttamento di una città intera, promossa a piene mani da un'amministrazione che non ha attuato alcuna politica per favorire la residenzialità e contrastare l'esodo e la turistificazione.
All'arrivo a Campo Manin si sono susseguiti gli interventi di alcune delle realtà promotrici.
Stefano Micheletti del Comitato No Grandi Navi ha aperto gli interventi «Sono passati sei anni dal decreto Clini-Passera che vietava l'accesso nel Canale della Giudecca alle grandi navi e cos'è cambiato? Niente! Ieri in laguna c'erano 7 grandi navi e 14.000 crocieristi. Ci hanno presi in giro con discutibili soluzioni alternative, ma il gigantismo navale sembra inarrestabile. Il problema non sono solo eventuali incidenti, ma l'inquinamento dell'aria ed elettromagnetico, e l'erosione dei fondali. Anche noi vogliamo posti di lavoro, come la presenza dei compagni operai della Fiom qui in piazza dimostra. Ma vogliamo posti di lavoro non precari, non sfruttati, lavori in grado di garantire diritti veri!»
Tommaso Cacciari, Laboratorio Occupato Morion: «Nonostante il caldo torrido siamo migliaia, ed è la miglior risposta che la Venezia degna poteva dare a Brugnaro. Mai come in questi anni assistiamo a un progetto di distruzione della città e di allontanamento di chi la abita. Brugnaro ha un progetto preciso che è trasformare la città in un parco a tema galleggiante: è per questo che fa accordi con Airbnb, è per questo che mette i tornelli, vorrebbe mettere anche i biglietti per accedervi.
In questo progetto i veneziani sono solo gente che deve andarsene per lasciare posto libero ai turisti. Ringraziamo tutti quelli che hanno reso possibile quesa Marcia, con un auspicio: se ci mettiamo insieme per costruire un’altra idea di città, più degna e vivibile, allora per Brugnaro non c’è più speranza».
Chiara Buratti dell'Assemblea Sociale per la Casa: «La lotta per la casa va di pari passo con la lotta contro le grandi navi, contro le grandi opere inutili e dannose come il Mose, contro la turistificazione di massa. In questi anni abbiamo recuperato e restituito più di 70 alloggi a cittadine, cittadini, famiglie con bambini. Finalmente possono rimanere a Venezia, per lavorare e studiare come hanno scelto di fare. Questo significa che il futuro ce lo stiamo immaginando insieme».
Giovanni Andrea Martini, Municipalità di Venezia Murano Burano prende la parola anche a nome degli altri esponenti delle municipalità presenti e firmatari: «Il fatto che siamo qui tutto assieme per salvaguardare la nostra città è il dato più importante di oggi. Porto il saluto di tutte le municipalità che assieme alle associazioni possono riuscire a dare una svolta a questa città. Siamo vicini al palazzo del padrone e un giorno potremmo anche pretendere di entrare e assistere ai consigli comunali e prendere parte alle decisioni. La città è stata privata degli spazi pubblici che i cittadini vivono per dialogare. Noi assieme abbiamo tante proposte e dobbiamo e possiamo portarle avanti. Le municipalità hanno un ordine del giorno preciso sul tema del turismo di massa e delle grandi navi: non si deve scavare in laguna, non bisogna manomettere l’ecosistema. Ci sono tremila case vuote che devono essere date ai cittadini, a chi vuole rendere la città viva».
Marco Baravalle, S.a.L.E. Docks: «Io ho 39 anni, non sono veneziano ma ho scelto di vivere qui. Mi sono innamorato non solo della bellezza di Venezia ma anche della sua vivacità, della vivacità dei movimenti e delle realtà associative di questa città. Per questo mi incazzo quando vedo che i giovani sono costretti sempre più a lasciare Venezia. Questo avviene per colpa di un progetto di gestione urbana neoliberale, di un'amministrazione che sacrifica tutto in nome del profitto. Venezia è unica ma dobbiamo guadagnarcela, lotta per lotta, casa per casa, istanza per istanza. Con il S.a.L.E., per esempio, abbiamo restituito alla città uno spazio libero per la sperimentazione artistica, evitando che diventasse l'ennesima proprietà in affitto all'industria culturale che mira solo a speculare e a sfruttare i lavoratori con contratti senza diritti e stipendi da fame».
Vittoria Scarpa, Venezia Accoglie: «Oggi anche chi vive in terraferma deve affrontare il fatto di essere amministrati da un sindaco che toglie spazi ai cittadini per darli ai turisti. In terraferma questo lo tocchiamo con mano negli ostelli, nell’aumento degli affitti. Tutto viene messo a profitto, le nostre case, i nostri spazi e le nostre attività. Il futuro delle due parti della nostra città è da costruire assieme: non siamo comparse, questa è casa nostra, ed è una città che è sempre stata accogliente. Quello a cui assistiamo non è solo un tentativo di espellere i cittadini ma anche di rendere la vita impossibile ai più deboli. Oggi più che mai è importante diventare una città-rifugio perché il nuovo governo di Salvini e i 5stelle ha dichiarato guerra ai più deboli. Noi crediamo che il diritto di vivere in pace sia un diritto di tutti. Mai come oggi la nostra lotta sarà forte».
Niccolò Onesto, L.O.Co.: «Il nostro è uno spazio occupato 4 anni fa in via Piave, nota alle cronache come zona di guerra in cui sembra impossibile per i cittadini vivere e attraversarla: è la zona che ha pagato di più il taglio dei servizi sociali e non è un caso che ora Mestre e Venezia siano diventate la capitale nazionale dei morti per eroina. È la stessa giunta che sceglie di chiudere i servizi di prossimità e svuotare le municipalità, e allo stesso tempo militarizza la città e costruisce centinaia di nuovi posti letto a Mestre. Per loro i cittadini sono un peso, l’unica cosa che conta è far guadagnare le multinazionali estere che sulla nostra città speculano e si arricchiscono. Crediamo sia invece fondamentale ripartire dai giovani e dai cittadini per ricominciare a vivere la città».
Numerosi altri interventi si sono susseguiti dal palco.
Roberta Costa, USB Musei Civici di Venezia: «Noi lavoratori dei Musei Civici siamo un esempio di quello che succede nella nostra città: l'amministrazione si arricchisce con il turismo di massa mentre noi lavoratori esternalizzati dei Musei pubblici siamo sottopagati e ora rischiamo di restare a casa. Vogliamo dire che assieme agli abitanti ci sono anche i lavoratori, noi da un anno siamo allo sbando, probabilmente verremo sostituiti con lavoratori ancora meno pagati e meno tutelati. Noi non scappiamo, siamo qua e non ci arrendiamo».
Ilaria Boniburini, Eddyburg: «La gestione odierna di Venezia è emblematica di un modello di sviluppo molto diffuso oggi: grandi opere e infrastrutture inutili, che aumentano il debito pubblico e minacciano l'ambiente; privatizzazione dei diritti e dei servizi; privatizzazione della rendita, intascata solo da pochi e mai reinvestita per il bene di tutti; svendita del patrimonio pubblico. Essere qui a questa marcia significa difendere il diritto alla città che è diritto alla vita».
Sergio Zulian, ADL-Cobas: Quando qualcuno, per difendere schifezze come le grandi opere inutili, si fa scudo con la retorica della difesa dei posti di lavoro, spesso è in malafede. Questi stessi personaggi se ne sbattono ampiamente delle condizioni di lavoro di chi è occupato in questa città: non vanno a vedere il livello di lavoro nero, di precariato, di sfruttamento. Negli alberghi le cameriere ai piani sono esternalizzate a cooperative che ogni anno cambiano e introducono nuovi contratti, sono pagate a cottimo in base alle stanze che fanno e non alle ore di lavoro. Lì dovrebbero mettere i tornelli: per contare le ore di lavoro e garantire una giusta retribuzione. Venezia non è un luna park e questo significa lottare per i diritti e anche difendere il proprio posto di lavoro».
Alla conclusione della Marcia della dignità di Venezia, il commento finale di Tommaso Cacciari: «Oggi si manifesta in piazza una nuova opposizione sociale al governo di questa città».
17 maggio 2018. Lanciato dal Comitato No Grandi Navi-Laguna Bene Comune, il manifesto è un appello alla cittadinanza e a tutti coloro che vogliono che Venezia torni ad essere una città e non un luna park dal quale estrarre profitto e rendita (i.b.)
MARCIA PER LA DIGNITÁ DI VENEZIA
10 giugno 2018
h 14 concentramento a Piazzale Roma
II Comitato No Grandi Navi invita le abitanti e gli abitanti della città storica e della Terraferma, chi ci vive o vi lavora da pendolare, ii mondo associativo e le organizzazioni a mobilitarsi per restituire dignità alla città di Venezia, mai come oggi minacciata dall'operato di chi la governa.
Partiamo come sempre da noi, dalla richiesta di estromettere le grandi navi dalla laguna, ma oggi non basta piu, sentiamo la necessita di andare oltre.
La recente vicenda dei tornelli, al di la della ridicolaggine, é grave non tanto perché rappresenti l'inerzia dell'amministrazione di fronte all'invasione da parte di un turismo insostenibile e al relativo spopolamento, quanto piuttosto perché essa esemplifica ii vero programma di Brugnaro e della sua giunta: trasformare, in nome del profitto, la città storica in un grande parco a tema che abbia nella Terraferma una nuova succursale low cost. A cosa possono servire i tornelli se si sta pianificando la costruzione di 20.000 posti letto in ostelli ed hotel a Mestre nei prossimi anni?
Il 10 giugno saranno in piazza tutti coloro che vogliono, costruiscono e mettono in pratica un altro programma per Venezia, tutti coloro che, con il conflitto sociale, alludono ad un'altra idea di città.
E' necessario ripopolare la citta storica con politiche a misura di residente, riaprire le centinaia di case pubbliche chiuse, offrire vere opportunita di social housing, fermare la costruzione di nuovi hotel, frenare i cambi d'uso, l'utilizzo di AirBnB e simili, favorire l'affitto ai residenti e le operazioni di autorecupero.
Sono questi problemi che non riguardano più solo la città insulare, ma che preoccupano anche gli abitanti di Mestre e Marghera, dove i prezzi degli affitti sono già aumentati esponenzialmente rispetto a pochi mesi fa.
Venezia deve tornare ad essere città viva, con un tessuto produttivo diversificato, non può essere spianata dalle rendite di posizione speculative che troppo velocemente distruggono la sua biodiversità urbana. La monocoltura turistica sta distruggendo la città portando ricchezza solo a pochi, con attività tra l'altro basate spesso su lavoro precario e sfruttamento.
lnvece Venezia può essere sede di attività legate anche alla cultura e alla ricerca, agli studi e all'innovazione produttiva eco-compatibile, garantendo reddito e distribuendo ricchezza a tutti.
Il 10 giugno invitiamo a scendere in piazza tutti coloro che vedono nell'ambiente una parte imprescindibile della città e non qualcosa di estraneo, magari sacrificabile sull'altare di un modello di sviluppo suicida.
La nostra piazza dirà che quando si distrugge l'ambiente, si distrugge la città. Per questo le navi devono stare fuori dalla laguna, per questo non vogliamo nuovi scavi, per questo dobbiamo prendere misure che diminuiscano l'inquinamento dell'aria da traffico urbano, ma anche marittimo, e limitare ii consumo di suolo (che spesso porta con se speculazioni e conflitti di interesse a cui il sindaco non è estraneo).
A vedere l'operato di questa giunta, pare che le tradizioni di questa città richiamino ad un'identità escludente, chiusa e definitivamente provinciale.
Mai operazione fu più revisionista.
Venezia é stata nei secoli città del mondo, e nel mondo ha fatto la sua fortuna, commerciale e culturale.
E' stata, all'apice della sua traiettoria storica, un'interfaccia tra civilta diverse, uno snodo internazionale di genti, affari, culture e arti.
Non dimentichiamoci di questa eredità.
Non lasciamo che chi ci governa riduca tutto ad un'attrazione con i suoi orari di apertura e chiusura.
Contro le dichiarazioni e le prese di posizione maschiliste e razziste di chi ci governa, vogliamo invece riaffermare Venezia come aperta e multiculturale, luogo di cultura antirazzista e antisessista.
Per tutte queste ragioni saremo in piazza Domenica 10 Giugno.
Per una città diversa, per restituire dignità a Venezia
Per le adesioni scrivere alla mail: nobigship@gmail.com
Qui l'elenco dell'adesioni già pervenute
Come, quando e perché «si è deciso che Venezia non era una “città”, ma solo il quartiere turistico di una grande conurbazione che aveva bisogno di grandi opere infrastrutturali per massimizzare l’accessibilità al centro»
Dice Italo Calvino a proposito di Maurilia «città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome… anche i nomi degli abitanti restano uguali… ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei».
Tali parole si addicono perfettamente alla città, costruita negli ultimi cinquant’anni, che continuiamo a chiamare Venezia, malgrado non abbia nulla in comune, se non il sito, con la città preesistente. Per quanto possano esteriormente apparire simili, infatti, la città del doge e la città del Mose sono ontologicamente diverse. Nella prima, le mutazioni fisiche e le attività umane interagivano adeguandosi le une alle altre con continui interventi e aggiustamenti, mentre la seconda è una vera e propria città di fondazione, nel senso che, come avviene in occasione di un evento catastrofico- distruzione bellica, calamità naturale, decisione di un invasore di radere al suolo e ricostruire ex novo - la nuova Venezia è sorta sulla base di un piano. E non a caso Consorzio Venezia Nuova è il nome del suo committente, costruttore, reggente e amministratore delegato.
L’idea e il piano
Ogni piano urbanistico si concreta in soluzioni architettoniche, dislocazione di gruppi di abitanti e attività economiche, regole di governo, che riflettono una determinata idea di città e allo stesso tempo contribuiscono alla sua costruzione.
Nel caso di Venezia Nuova l’idea, altrimenti detta la vision, non è diversa da quella che si è affermata ovunque nella seconda parte del secolo scorso, quando la nozione di città come intreccio indissolubile di urbs-civitas-polis è stata sostituita da quella di giacimento di risorse, da porre sul mercato a disposizione degli investitori di ventura, per essere sfruttate e gestite come una società per azioni. La sola differenza rispetto ad altre situazioni è che la risorsa alla quale si è attribuito il maggior potenziale di profittabilità, perché disponibile in grande quantità e “sottoutilizzata”, non è il suolo, ma l’acqua, nelle sue due accezioni di acqua della laguna e di acqua alta. Da un lato, quindi, la laguna è stata trattata come una superficie inutilmente vuota che, diversamente dalle periferie normali, non era stata adeguatamente valorizzata, cioè lottizzata ed edificata. Dall’altro, l’alluvione del 1966, con la sua risonanza mondiale, ha consentito di incanalare flussi di denaro pubblico mai visti né immaginati, facendo diventare la città del Mose un esempio da manuale di quella che, assai opportunamente, Naomi Klein ha definito l’economia dei disastri.
La sovrapposizione dell’idea di città/risorsa alle conseguenze dell’evento del 1966 ha fatto sì che l’obiettivo della salvezza delle acque, che era rimasto per secoli una priorità per la città del doge, fosse sostituito con quello della salvezza dalle acque.
Cogliere questo mutamento di paradigma è necessario per capire quello che è successo da quando, nel 1967, Giulio Obici, nel suo scritto Venezia fino a quando, si rifiutava di credere che “la Laguna possa essere trattata come un vuoto da riempire, un terreno di conquista, uno strumento di disordinata espansione finanziaria”, al convegno organizzato dall’ordine degli ingegneri nel 2011, dal titolo “Laguna: ottavo sestiere”, nel quale i relatori dopo essersi posti il quesito se la Laguna vada considerata come “opportunità o come problema”, si sono dichiarati d’accordo sul fatto che la Laguna sia “l’ottavo sestiere, foriero di spazi per la residenza, lo svago, il lavoro”. Tale opinione bene sancisce la conclusione di un periodo nel quale al lavoro dei disegnatori di città si è affiancato l’impegno degli studiosi che hanno messo a punto e divulgato l’apparato teorico necessario a rendere inconfutabile un progetto di valorizzazione della Laguna che si fonda su tre presupposti.
Il primo è l’omologazione di Venezia a qualsiasi altro insediamento urbano, nel quale si può individuare una zona centrale con edifici monumentali; un anello, la cosiddetta periferia interna, con edilizia di minor pregio ed i cui spazi vuoti possono essere riempiti con parcheggi, sia di automobili che di natanti; una corona di acqua da adibire ad amenità turistiche; una periferia esterna in terraferma, sulla gronda lagunare.
Il secondo assunto è che Venezia era una città non finita, rimasta indietro rispetto alla modernità, e che per colmare il “ritardo” si doveva intervenire nelle aree libere, ma mature per lo sviluppo, e completare la bella incompiuta.
Infine, si è deciso che Venezia non era una “città”, ma solo il quartiere turistico di una grande conurbazione che aveva bisogno di grandi opere infrastrutturali per massimizzare l’accessibilità al centro e potenziare i punti di sbarco - aeroporto, porto, stazione, parcheggi, darsene- necessari all’invasione turistica.
Lo sfollamento e i nuovi abitanti
Il contesto culturale nel quale il Mose ha attecchito, e allo stesso tempo ha rafforzato e arricchito, non era di per sé sufficiente a far si che le ipotesi progettuali venissero realizzate. Per tradurre in azioni concrete il piano dei fautori della rinascita di Venezia era anche necessario eliminare, o almeno rendere ininfluente, qualsiasi opposizione o forma di resistenza.
Se ovunque, in un’epoca in cui i cittadini sono visti come un ostacolo all’esercizio del potere, gli abitanti sono considerati un ostacolo allo sviluppo delle economie urbane, questo si è dimostrato particolarmente vero a Venezia la cui popolazione, che nel 1966 ammontava a circa centoventimila anime, viene sempre spregiativamente bollata come nemica della modernità. Il suo sgombero e la contemporanea sostituzione con altre persone dagli “stili di vita” e dal potere d’acquisto più consono al tipo di consumatore auspicato per la città, è stata quindi sempre più esplicitamente riconosciuto come la precondizione per rivitalizzare Venezia.
Il lessico usato per giustificare il ricambio selettivo della popolazione è mutato nel corso degli anni, passando da un generico riferimento alla necessità di rinnovo del tessuto demografico, alla intenzionale ricerca dei modi per far arrivare quelli che il vicesindaco della giunta di Massimo Cacciari definiva «gli abitanti ideali di cui Venezia ha bisogno per rinascere», e che più efficacemente l’attuale sindaco Luigi Brugnaro chiama «la bella gente che voglio in città».
La distruzione e/o la svendita dell’edilizia pubblica, la indiscriminata chiusura di pubblici servizi, una tassazione punitiva per chi abita, associata ad una evasione fiscale protetta se non incoraggiata per gli altri, e infine la distrazione delle risorse economiche, prima destinate alla manutenzione ordinaria (pulizia dei canali, sistema fognario, disinquinamento, rialzo delle zone basse, manutenzione edilizia privata) e che negli anni novanta sono tutte state dirottate al Mose, hanno reso sempre più faticoso e costoso per un normale cittadino continuare a vivere a Venezia.
E così, oggi gli abitanti sono poco più di cinquantamila, l’intera Giudecca viene propagandata dalle agenzie immobiliari con lo slogan “è come stare a Brooklyn e vedere Manhattan” e si promette che presto anche lo waterfront di Marghera diventerà come “il New Jersey da cui si vede Manhattan”!
Le tappe
La costruzione della città del Mose ha proceduto parallelamente su tre fronti, rispettivamente impegnati nella creazione di nuovi manufatti e di interventi sulla struttura fisica, nella alterazione irreversibile della demografia e dell’organizzazione sociale, in una modificata distribuzione di poteri ai vari organi di governo. In particolare alla amministrazione locale della nuova città è stato attribuito il compito di promuoverne il marchio, cercare finanziamenti, ampliare e rendere sempre più appetibile e competitiva l’offerta della merce città.
La cronologia degli avvenimenti che dalla decisione iniziale si sono succeduti fino alla situazione attuale di “quasi completamento” del Mose è nota. Scarsa attenzione si presta, però, a quello che è nel corso degli anni è successo sugli altri fronti e che può emergere solo da una lettura incrociata delle decisioni e delle iniziative attuate dai diversi attori, Consorzio Venezia Nuova, comune, università, Biennale.
Per esempio, e per limitarsi ad alcuni momenti particolarmente significativi:
Nel 1984, anno della prima convenzione fra il ministero dei lavori pubblici e il consorzio Venezia Nuova, gli abitanti sono circa ottantasettemila, il comune avvia la costruzione di case per gli sfrattati e l’istituto delle case popolari bandisce un concorso per demolire e ricostruire l’intero complesso di campo di Marte alla Giudecca.
Nel 1989, gli abitanti sono calati a meno di ottantamila. Il comune, l’università e il consorzio Venezia Nuova creano il Centro città d’acqua che si dedica a propagandare gli waterfront come “nuova frontiera urbana”. Nella pubblicazione del consorzio intitolata “Venezia: quali progetti” ci si compiace, perché “ è riemersa la capacità progettuale, è rinata la capacità di realizzazione e i finanziamenti sono diventati il catalizzatore di importanti iniziative”. Una cordata di imprese si associa per promuovere la candidatura di Venezia all’Expo 2000.
Nel 2003 gli abitanti sono sessantaquattromila (circa la metà rispetto al 1966). Il consorzio avvia i lavori della costruzione vera e propria del Mose e contestualmente stipula una convenzione con l’università IUAV alla quale affida “un programma di ricerca a supporto della progettazione definitiva dell’inserimento architettonico delle opere mobili alle bocche naturali”. All’epoca il rettore Marino Folin dichiarò “da tecnico voglio dire una cosa soltanto. Gli appalti sono già stati affidati, il progetto va avanti, i lavori stanno per cominciare. A questo punto è nostro dovere fare in modo che quelle opere siano le migliori possibili…. si tratta di intervenire sull'inserimento architettonico delle opere e sul loro uso… stiamo pensando a posti barca e ormeggi. Gli edifici per il controllo delle paratoie saranno interrati, con il verde in mezzo. Insomma, potrà essere un'occasione di valorizzare il territorio». Nello stesso periodo il comune, che non si dichiarava favorevole al Mose, avvia la costruzione della “sua” grande opera, il ponte di Calatrava. Nel 2004, il centro città d’acqua espone alla Biennale di architettura il padiglione flottante, un prototipo di piattaforma che può essere agganciata a qualsiasi isola della Laguna per ampliarne la superficie utilizzabile.
Oggi, se la trasformazione dei cinquantacinquemila ettari di Laguna in lotti fabbricabili con affaccio sull’acqua non è ancora avvenuta, l’idea dell’acqua come suolo è entrata nel senso comune e ipotesi di strade galleggianti, ponti e tunnell, recinti d’acqua, nuove isole vengono avanzate di continuo. Ormai compiuta, invece, è la conquista dei tre capisaldi della struttura urbana da parte delle forze di occupazione che li hanno trasformati nei loro quartieri generali.
Piazza san Marco è piazza delle Generali, Rialto è il ponte del Fontego e all’Arsenale si ventila l’idea di costruire un edificio (più grande del palazzo Ducale!) per i signori del Mose che hanno collocato davanti alle mura un mostro giallo recante l’etichetta Mose/VENEZIA. Una sorta di cavallo di Troia da cui ormai i nemici sono usciti per introdursi in città, distruggerla e ricostruirla a loro profitto, mentre la popolazione superstite, annichilita o dispersa, non reagisce quasi più.