Costruire un’alternativa e renderla credibile e concreta si può, ma è necessario sapersi confrontare, discutere e alla fine convergere. Per questo è importante evitare la tentazione di piantare ciascuno la propria bandierina come è fondamentale rinunciare a qualche quarto di identità in favore della posta (alta) in gioco nei prossimi mesi». Il manifesto, 27 luglio 2015
Venerdì scorso dopo la scoperta scientifica di “
un’altra terra” nella Via Lattea, molti hanno sostenuto che un altro mondo è possibile. Noi siamo più modesti e vogliamo scoprire se un’altra sinistra è possibile.Pensare a un’altra sinistra significa percorrere molte strade nel prossimo futuro, ma prioritaria è una discussione libera e schietta. Perciò
il manifesto — da domani — mette a disposizione le proprie pagine, che ospiteranno interventi, opinioni, commenti delle donne e degli uomini che vogliono ragionare e confrontarsi sul presente e sul domani del nostro Paese. Per iniziare ecco, secondo me, alcuni spunti necessari alla riflessione.
E proprio perché si tratta di spunti — tanti altri possono essere aggiunti — non è importante l’ordine in cui vengono esposti. Dunque.
1) La formazione di un partito alla vecchia maniera? Sarebbe opportuno tentare un’evoluzione della specie. La nascita di un nuovo soggetto politico? Auspicabile ma sarebbe ancora meglio mettere insieme diversi “soggetti” politici, sociali, culturali. Nelle forme più ampie possibile. Più aperte. Le meno settarie. Le più alternative. Perché c’è vita a sinistra (del Pd), e si tratta di milioni di persone che vorrebbero vedere trasformate in realtà le loro volontà di cambiamento.
2) Potremmo ragionare a lungo sul ruolo avuto dall’ex Pci nell’ultimo trentennio. Ci aiuterebbe a capire quanto sono profonde le ragioni che hanno ostacolato la nascita di una nuova sinistra (nella quale va inserita anche la storia del gruppo del Manifesto e del Pdup). Ma andremmo troppo lontano.
Concentriamoci invece sullo spazio lasciato dal Pd alla sua sinistra. Ampio sicuramente, eppure sempre estremamente frammentato: dai movimenti per i diritti sociali a quelli per i diritti civili (emersi nel nostro arretrato paese anche grazie allo scavo costante della cultura femminista, protagonista e madre di un altro modo di pensare la politica).
Un ampio fronte che passa anche per alcune forme di aggregazione politica strutturate in organizzazioni e partiti. Un fronte diffuso e variegato, privo però di una spinta unitaria convincente. Si possono trovare diverse ragioni per spiegare l’autoreferenzialità, magari anche utile per puntare l’attenzione sulle idee diverse di alternativa. Ma nessuna identità può bloccare la necessità, e ormai l’urgenza, di trovare forme, obiettivi, unitari. Con l’ambizione di essere un’alternativa politica oggi e di governo domani. E quindi in grado di presentarsi con programmi e alleanze sociali larghe e trasversali. In Italia e in Europa.
3) Oggi all’ordine del giorno non c’è la rivoluzione ma un’idea di riformismo di sinistra in grado di persuadere milioni di persone. Kark Marx ai critici del suo sostegno alla legge delle dieci ore rispondeva così: «Per la prima volta alla chiara luce del sole, l’economia politica del proletariato ha prevalso sull’economia politica del Capitale». Nessuna rivoluzione, ideologica e auto contemplativa ma cambiamenti radicali, di base.
Quei cambiamenti che un tempo si chiamavano “riforme di struttura”, per indicare un metodo pacifico e progressivo di mutazioni profonde nell’assetto economico e sociale. Fino a poco tempo fa pensavamo che questa idea forte di riformismo fosse impossibile da realizzare. La conquista del governo di Tsipras e la recente affermazione di Podemos, hanno dimostrato che le nuove idee possono avere grande riscontro trasversalmente nei diversi strati sociali ridisegnati dall’impoverimento provocato dalla crisi, e dentro le forme della democrazia. Diretta, referendaria, internettiana, assembleare, e comunque rappresentativa.
Ma il consenso arriva solo quando tutto questo riesce ad essere convincente perché viene rappresentato da persone, gruppi, movimenti che hanno saputo interpretare con serietà e pragmatismo la lotta per il cambiamento.
4) Tutto quello che si muove al di fuori del Pd è convincente, significativo? Intanto una parte dell’area sociale e culturale alternativa — soprattutto quella giovanile — si è riconosciuta nel Movimento 5Stelle. Non perché (non solo) non esisteva un’altra proposta forte, ma perché il M5S è andato a fondo contro il sistema corrotto dei partiti, puntando sull’onestà amministrativa, sulla lotta al malaffare e ai privilegi della casta, sulla capacità di fare opposizione sui temi dei diritti civili e dell’ambientalismo. Tuttavia anche i 5Stelle, per diventare una forza egemonica, dovranno liberarsi da una struttura autoritaria costituita da un capo politico e da uno ideologico. Da una vocazione settaria che può diventare pericolosa, proprio perché convince milioni di persone. Il M5S l’ha già vinta e potrà vincere altre importanti partite elettorali, tuttavia l’ideologia del “chi non è con me è contro di me” non ci piace, perché dispotica e violenta.
5) Una vasta area di italiani, milioni di donne, uomini, giovani, anziani hanno scelto Sel, l’altra Europa di Tsipras, più piccole organizzazioni che si richiamano al comunismo, oppure solo la lotta di piazza, per i diritti civili e sociali o su obiettivi specifici (i no Tav, i no Triv quelli che Renzi chiama “comitati e comitatini”) e anche il non voto.
C’è la parte di società rappresentata da Landini e quella che si riconosce direttamente nei fuoriusciti del Pd (Civati e Fassina) e nella minoranza antirenziana. La lotta che il movimento sindacale ha organizzato, trainato dalla Cgil, contro il Jobs Act e contro le nuove leggi sulla scuola ha espresso una potente soggettività, guadagnandosi l’attacco duro e costante del premier/segretario dell’ex partito di riferimento. Queste e altre sono le potenzialità di una “cosa” di nuova sinistra.
Ma qui ripeto una riflessione che Vittorio Foa ci proponeva già nel fatidico 1977: «Come mai le sconfitte elettorali, sociali e politiche non scalfiscono le nostre sicurezze?». Una domanda che faceva riferimento a un sistema politico ancora fondato sui grandi partiti di massa. Quei partiti sono scomparsi, ma l’errore rischia di permanere perché la tentazione di piantare ciascuno la propria bandierina, la cattiva abitudine di non saper rinunciare a parti della propria identità in favore dell’unità, è una sorta di tara genetica difficile da curare.
6) Naturalmente è vitale per la sinistra essere in grado di misurarsi con i profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nel mondo del lavoro, sempre più difficile da rappresentare per la progressiva, profonda, inedita parcellizzazione delle figure professionali. Accanto a lavori immateriali che proiettano lo sguardo nel mondo delle reti dove tempo di vita e tempo di lavoro non sono più distinguibili, convivono lavori primitivi, poveri, di sfruttamento ottocentesco.
Chi sono oggi i lavoratori? Cos’è il lavoro? E come e quanto viene riconosciuto? Su questo aspetto della vita collettiva sono avvenuti i cambiamenti più forti, che hanno portato ad un indebolimento della rappresenta tradizionale e ad un nuovo sfruttamento, con lavori sottopagati, provvisori, precari. Per milioni di persone c’è povertà e non c’è futuro: una sinistra vera deve pensare non solo a chi ha un posto assicurato, ma ai più deboli, ai più fragili, a quei milioni di donne e di uomini costretti alla sopravvivenza da pensioni da fame. Una forza nuova di sinistra dovrebbe avere come priorità l’impegno per i giovani senza lavoro o precari e i pensionati meno protetti.
7) L’immigrazione dei nostri tempi è un fenomeno strutturale che insieme alla crisi economica, ai nuovi conflitti che alimentiamo (nella spirale guerra-terrorismo-guerra), all’invecchiamento della popolazione europea stimola progetti e alternative visioni del mondo. Mettendo in discussione e a dura prova uno degli aspetti fondanti dell’economia e della società occidentale: il welfare. Sempre più povero, sempre meno inclusivo.
Ma quale sarà la struttura economica di base se il capitalismo temperato dalla socialdemocrazia non ha trovato nemmeno una voce nella lunga, aspra, rivelatrice lotta del piccolo David greco contro il gigante Golia europeo? Sul nostro giornale alcuni e diversi intellettuali hanno iniziato ad abbozzare idee e linee di un piano su immigrazione-lavoro-beni culturali e ambientali che andrebbe sviluppato. Ma la risposta alla tragedia che coinvolge in particolare i disperati del Sud del mondo non può essere l’egoismo, la riproposizione del privilegio.
A quelli che vengono in Europa con una speranza di vita e con energie intellettuali da offrire, dobbiamo dare un inserimento rispettoso delle culture e delle tradizioni altrui. E dobbiamo essere intransigenti contro chi specula e cerca consensi. Una società non solidale non ci interessa.
8) Le riforme sono molto importanti, anche quelle istituzionali ed elettorali. Solo chi è cieco non vede che con le nuove leggi si dà troppo potere ad un solo partito e solo al capo di quel partito. Non a caso mentre si mettono in un angolo i contrappesi istituzionali, si cavalca il web come strumento di democrazia diretta, si indeboliscono le rappresentanze di base, si orienta la macchina elettorale verso forme di unzione popolare. Si punta — dall’avvento del berlusconismo — a rafforzare il ruolo dell’uomo solo al comando. (A questo proposito dovrebbe essere contrastata la tendenza al leaderismo esasperato).
Comunque applicare la Costituzione non significa imbalsamarla ma proporre una riforma del bicameralismo e della legge elettorale per una nuova organizzazione dei poteri. Iniziando dal modello comunale, possibile laboratorio di altre forme partecipative (e ambientaliste), di esperienze sul campo per l’applicazione dell’idea dei beni comuni, lontani da vecchie logiche stataliste, nonostante l’interpretazione dei monotoni liberisti che dilagano sul Corriere della Sera. Fino alla forma di governo nazionale, al rapporto tra Legislativo e Esecutivo.
9) Non si può mettere tra parentesi o dimenticare ciò che nel mondo contemporaneo tutto ingloba e restituisce: la comunicazione. Cosa diversa dall’informazione, dall’autonomia dei media dai poteri industriali e finanziari. La comunicazione è oggi marketing politico, narrazione di nuove leadership come dimostrano grillismo e M5S. Si tratta di strumenti che la sinistra politica sa usare poco ma che per fortuna i giovani dei movimenti riescono a maneggiare meglio (la maschera di Anonymous, i flash mob, le modalità della piazza).
Tuttavia il potere dei media in Italia è ancora e soprattutto televisivo, fin dai tempi della tv di Bernabei per arrivare a Berlusconi. Un partito padrone della tv, più o meno magnanimo e pluralista. E ancora oggi assistiamo a una non-riforma, a una non-modernizzazione, ma semplicemente a una concentrazione del potere in un’unica figura di decisore. Mentre la stampa risponde a logiche di gruppi industriali nazionali sempre più deboli e indebitati, sempre più disposti a omaggiare il potere politico, in una commistione spesso inestricabile.
Com’è possibile che oggi tutti sia come e peggio di sessant’anni fa?
10) La vicenda greca, che ha impegnato e ancora impegnerà a lungo tutti noi, ha chiarito che non c’è — e non c’è mai stata — l’Europa pensata dai padri fondatori come Altiero Spinelli. Oggi c’è un’Europa che viaggia a diverse velocità, divisa tra Nord e Sud, che si regola sulle economie dei paesi più forti. L’idea degli Stati Uniti d’Europa ha ancora una sua forza trainante? E’ la moneta che decide o è uno strumento della politica che la determina?
Quindi la questione centrale è in una domanda: c’è vita a sinistra? Sì, c’è, ed è un mondo. Però dopo viene tutto il resto. Chi dovrebbe farne parte? Quali proposte di governo dovrebbe avere? Che idea di futuro può proporre? Come deve organizzarsi? Ha bisogno di un leader come nella sinistra greca e spagnola?
Questo è solo l'inizio della riflessione che il manifesto intende ospitare.
E che dovrà essere ampia, aperta, veritiera, libera da vecchi schemi e ingessature politiche. Vedremo dove approderà. Ma sono certa che potrà dare un senso a quel confronto ormai non più rinviabile per tutti coloro che hanno creduto e credono in una società democratica, diversa, attenta e impegnata sui diritti sociali e civili di milioni di persone.
Cambiare si deve. Ma le esperienze greca e spagnola ci dicono soprattutto che si può.