Il manifesto, 2 gennaio 2016
Vediamo di fissare alcuni punti per trovare la risposta. La narrazione renziana, come ha scritto Michele Prospero, volge alla fine.
I risultati economici, in termini di Pil ed occupazione, sono ben magri; Banca Europea e Confindustria cominciano a prenderne coscienza e lo stesso Padoan non esclude la stagnazione secolare per giustificare la mancata crescita. Se questo è lo scenario, dopo tanto attivismo e tanti soldi indirizzati poco allo sviluppo e molto a raccogliere voti — che comunque non schiodano il Pd dal 30% — a Renzi serve spostare l’attenzione degli italiani dai problemi interni a un nuovo e più ampio terreno di confronto.
La svolta di questi giorni contro l’Europa austera e germanocentrica si inscrive in questo quadro e individua un terreno fertile per cavalcare sentimenti e ragioni di un elettorato più ampio, che, non a caso, è il terreno a lui più congeniale per rilanciare la costruzione del partito della nazione.
I risultati spagnoli, possiamo esserne certi, saranno utilizzati per riconfermare la sua idea di governabilità e rilanciare Italicum e partito della nazione come la versione italiana della grande coalizione.
La confluenza dei verdiniani vecchi e nuovi verso la nuova grande casa madre si accelererà di conseguenza. Anche a una parte di elettorato Pd, il partito della nazione potrebbe a questo punto apparire meglio di una grande coalizione. A questo punto converrebbe al governo che le prossime elezioni potessero svolgersi subito dopo il referendum di autunno per non dare il tempo al centro destra di riorganizzarsi.
Veniamo, così, alla sinistra. In questo scenario se essa dovesse affrontare le elezioni con le forze oggi in campo e con l’Italicum, rischierebbe di essere spazzata via. Avviare al più presto un processo di ricomposizione, quindi, non è un capriccio dei vertici, ma una necessità storica.
Certo se si potesse fermare l’orologio sarebbe meglio discutere prima di una carta dei valori da porre a base del processo ed anche aspettare le prossime elezioni locali per smaltire le divergenze che esse creeranno. Come sarebbe meglio impegnarsi nella campagna per il referendum e in quella per il nuovo statuto dei lavoratori della Cgil per consentire, così, processi di aggregazione sul campo. Ma il tempo non si può fermare e non è nemmeno sicuro che rinviare ancora una volta le scelte annunciate non determinerebbe un’ulteriore sfiducia o addirittura un ulteriore spostamento di elettori di sinistra verso il M5s o verso l’astensione o verso l’accettazione obtorto collo del renzismo come necessità.
Per questo insieme di valutazioni penso che il processo appena avviato debba essere portato avanti e che le divergenze che esistono dovrebbero essere affrontate insieme per cementare nel cammino la nuova unità. Penso, cioè, che possiamo e dobbiamo risolvere i problemi aperti insieme e cammin facendo, durante e non prima.
Si può fare senza pregiudicare il processo? Qui è la vera scommessa per tutti. Se ci sono divergenze che impediscono oggi di dare vita a una nuova organizzazione unitaria, questo non deve impedire a chi è disponibile ad andare avanti di farlo. E non deve significare vivere come una tragedia il fatto che qualcuno si tiri fuori o voglia percorrere un’altra strada. L’importante è che i diversi percorsi non siano totalmente separati, alternativi o contrapposti. Anzi, al contrario, si potrebbero configurare percorsi organizzativi diversi e percorsi di ricerca, elaborazione e azione comuni.
Due iniziative comuni possibili.
Sicuramente siamo in ritardo nell’analisi dei cambiamenti intervenuti nel lavoro e nel rapporto dei giovani col lavoro. Non penso si tratti solo di fare una bella analisi statistica della composizione e delle classi sociali oggi (anche se dopo i tanti anni passati da quella di Sylos Labini non guasterebbe) ma di chiederci che fine hanno fatto oggi le classi sociali sì. Sì perché oggi sempre più spesso e addirittura dentro uno stesso individuo convivono, alternandosi e intrecciandosi, lavoro dipendente e lavoro autonomo, precario e stabile, lavoro per campare e attività creative per realizzarsi, fasi di benessere e fasi di povertà, benessere economico e disagio esistenziale. Si tratta di fattori soggetti a una dinamica velocissima e continua che riguarda sia la collocazione oggettiva che quella soggettiva di una persona. Come rappresentare questo mondo dobbiamo affrontarlo insieme ai soggetti che vivono questa mutazione e le sua contraddizioni e dobbiamo farlo al più presto. Con una crisi dalla quale non si vede uscita, la contrapposizione giovani anziani, garantiti e non rischia di diventare drammatica e di spingere i giovani a considerare gli altri più come privilegiati che come alleati.
Viviamo una crisi profonda del modello di democrazia partecipata e della funzione dei partiti come tramite tra cittadini e istituzioni. Negli ultimi anni l’unica risposta che siano riusciti a dare alle esigenze di partecipazione è stata l’utilizzo delle primarie. Ma le primarie, importate da un sistema bipolare e per la scelta di persone dentro un partito, le abbiano cucinate in salsa italiana, anzi in tante salse regionali e comunali nelle quali esse non sono più né la scelta dei candidati all’interno di una coalizione con un programma condiviso, né la scelta tra opzioni politiche diverse. Una nuova sinistra deve oggi porsi il problema di come costruire con la partecipazione popolare il suo programma, la sua carta dei valori. Si possono rilanciare le primarie su punti programmatici per far risalire dal basso il processo di costruzione della nuova sinistra? Si potrebbe integrare un processo vivo fatto con le persone in carne ed ossa con un processo parallelo da sviluppare sulla rete per ricostruire insieme il nuovo vocabolario della sinistra, ritrovando le parole chiave e costruendo, con una processo partecipato, la loro declinazione? Possiamo produrre una sorta di Wikisinistra? Ecco penso che se decidessimo di marciare insieme con chi ci sta, e di fare insieme anche con tutti gli altri questo cammino di ricerca sul campo potremmo uscire dall’impasse ed evitare l’ennesima falsa partenza.
Naturalmente tutto questo rischia di restare confinato al ceto politico fino a quando i giovani e, soprattutto, le tante giovani donne impegnate nelle associazioni, nei movimenti, nell’attività politica di base, che hanno competenze e passioni da vendere, non troveranno il coraggio di scendere in campo.
Non è una speranza. E’ un appello.