"Submission" e i vili europei
Da la Repubblica del 22 aprile 2005
Sarà anche vero che il Parlamento europeo «è un´istituzione particolarmente prudente e formale», come spiega l´europarlamentare Michele Santoro. Ma è altrettanto vero che la decisione di vietare la proiezione del film Submission nella sala stampa dell´Europarlamento, per "ragioni di sicurezza", espone l´Europa politica, tutta intera, al sospetto, ahimè fondato, di viltà culturale. È vero che la proiezione era stata organizzata dal gruppo leghista, il cui dichiarato spirito di agitazione antislamica non lascia dubbi sulla strumentalità dell´atto. Ma è altrettanto vero, tristemente vero, che il cortometraggio olandese, a qualche mese dall´assassinio del suo regista, è stato abbandonato al suo violento oscuramento da istituzioni culturali e politiche dell´intera Europa democratica. Parafrasando amaramente uno storico slogan, si potrebbe dire che la Lega si è limitata a raccogliere, a suo modo e per i propri scopi, una bandiera che altri avevano gettato nel fango: quella della libertà d´espressione, uno dei sacri principi della democrazia. Ed è ancora leghista la prossima, annunciata proiezione del film, domani, nella non neutra Treviso, amministrata da una giunta xenofoba. E nuovamente una decisiva battaglia di libertà, fin qui disertata dai molti che ne avrebbero la doverosa titolarità, diventerà ringhiosa e generica ostilità contro il mondo musulmano.
Submission non è un film come gli altri. Come è noto il suo autore, il regista olandese Theo Van Gogh, è stato ucciso a coltellate da un fanatico islamico per avere osato girarlo: un altro caso Rushdie, semmai aggravato dall´esito orribilmente infausto. La sua sceneggiatrice, la coraggiosa somala Ayaan Hirsi Ali, rischia uguale sorte. Il suo produttore olandese, terrorizzato dalle minacce di morte, nega a tutti la proiezione del film, aggrappandosi malinconicamente a questioni di copyright.
Come scrive Adriano Sofri nella prefazione di "Non sottomessa" (Einaudi), il libro della stessa Ali sulla segregazione delle donne nella società islamica, "è in corso una guerra mondiale, ancora sparpagliata, per il controllo e la riconquista delle donne, e il corpo delle donne è il campo di battaglia". Esattamente di questo tratta Submission, in 12 minuti di dolente riflessione sull´espiazione e la prostrazione femminile sotto il giogo dei tabù religiosi, e dell´eterna potenza tribale-patriarcale del dominio maschile.
È blasfemo, Submission? Lo è tanto quanto lo furono, agli occhi dell´integrismo cristiano, "Ti saluto, Maria" di Godard, o addirittura "La dolce vita di Fellini", accusato a suo tempo di immoralismo e blasfemia perché osava parlare di suicidio. Eppure (e ovviamente) vennero proiettati, visti e giudicati dal pubblico, sulla base dell´irresistibile corso della libera espressione artistica che è, nelle nostre democrazie, importante come il pane. Vero: l´integrismo musulmano non sembra limitarsi a protestare. Minaccia di uccidere e uccide. Terrorizza. Ma allora la domanda è, e non può che essere: basta un rischio infinitamente più grave, un ricatto così odioso ed esiziale, a giustificare il penoso arretramento del coraggio democratico? O non è piuttosto proprio la gravità della sfida, l´intollerabilità di un bavaglio imposto a fil di coltello, a suggerire di rialzare la testa, di organizzare una risposta politica e culturale all´altezza? Oppure quanto più violenta è la reazione dell´oscurantismo, quanto più flebile e impaurita dev´essere la risposta?
Se gli europei pacifici e aperti confondono la remissività (specie su principi non sindacabili come la libertà) con la tolleranza, la debolezza con il dialogo, diventa poi ridicolo lamentarsi quando nel campo abbandonato della lotta civile trovano ampio spazio le pattuglie xenofobe e i radicalismi "neocristiani".
Specie in questi giorni, di totale predominanza mediatica e culturale del mondo cattolico, molti laici lamentano la sgualcita e dispersa potenza del loro pensiero e dei loro ideali, e in larga parte si improvvisano vaticanisti senza averne la scienza, come per rianimare la loro silenziosa minorità intellettuale, e ricollocarla in qualche maniera laddove il dibattito è vivo, e attivo. Ma come diavolo si può partecipare a quel dibattito (e a qualunque altro) se si trascurano del tutto le più elementari incombenze del proprio campo? Forse che non esistono più «umili lavoratori della vigna della libertà», disposti anche a rischiare qualcosa pur di battersi per la dignità e la sicurezza dei cittadini europei? Che sia questo il famoso "relativismo etico", questo posporre i principi alla convenienza, l´orgoglio della libertà alla paura, la difesa dell´integrità fisica e intellettuale delle persone a un malinteso (molto malinteso) "dialogo con l´Islam"? Ma allora, scusate, rischia di avere ragione la Fallaci quando inveisce contro l´Occidente "senza palle". E rischia di avere ragione il parlamentare leghista Stiffoni (Treviso, Italia) quando annuncia di voler proiettare Submission senza se e senza ma.
Il sonno della ragione genera mostri, appunto. O l´opposizione al fanatismo islamico (e, in parallelo, il dialogo con il grande resto dell´Islam) viene fatta da posizioni di forza, cioè nel nome del diritto, della democrazia e della libertà, oppure genererà un fanatismo uguale e contrario. A meno di voler credere, e sarebbe la peggiore delle ipotesi, che l´argomento stesso di Submission (la liberazione e la dignità del corpo femminile) sia ancora, perfino per gli illuministi rinati dell´Europa moderna, un dettaglio così trascurabile da non meritare urti indesiderati con il già minaccioso estremismo musulmano