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Gustavo Zagrebelsky
Il cuore di Antigone
15 Febbraio 2007
Scritti 2005
Ancora una bella pagina del grande studioso del diritto e dell’uomo, da la Repubblica del 5 maggio

Antigone, forse più di tutte le altre tragedie, è esempio di ricca messe di significati potenziali, che le generazioni di lettori nel tempo hanno costruito su un testo di classica semplicità e, insieme, di straordinaria complessità e fecondità. Ma che esista un nucleo di significato originario autenticamente sofocleo, dettato dalle condizioni della vita della città e indirizzato agli Ateniesi di quel tempo, si deve facilmente ammettere. In generale, tutte le rappresentazioni tragiche, per il loro carattere pubblico, ubbidivano a una funzione pedagogica ufficiale.

Anche la scelta degli argomenti, per lo più legati a figure e avvenimenti regali, sempre ripresi dagli Autori tragici in veri e propri cicli (di Oreste, di Edipo o di Tebe), mostra l´intento di promuovere e vivificare, di anno in anno, la discussione della città su temi vitali. In Antigone è evidente e pieno di insegnamento il cambiamento radicale - dall´elogio del tiranno all´elogio della saggezza - che si manifesta nella psiche del Coro, il Coro che rappresenta la città: all´inizio, tutto dispiegato a giustificare la decisione sovrana del re: «Certo tu hai il potere di adottare qualsiasi misura, sia verso i morti che verso i vivi» (vv. 212 ss.); e alla fine, attraverso dolorosi passaggi, tutto ripiegato a considerare l´insensatezza dell´arbitrio: «La saggezza è la prima condizione della felicità. Non si deve mai commettere empietà verso gli dei. Le parole superbe degli uomini arroganti scontano i colpi spietati del destino e in vecchiaia insegnano a essere saggi» (vv. 1348).

È questione della sepoltura di un cadavere e gli studi sul diritto funerario dell´epoca fanno pensare a contrasti sulla condizione giuridica delle spoglie di chi - come Polinice, il fratello di Antigone - avesse preso le armi contro la patria. Il tema del funerale è ritornante. Lo troviamo, ad esempio, in Aiace, dove in due circostanze (vv. 1130 e 1343) si tratta del dovere di seppellire i morti «secondo la legge degli dei», e in Supplici (vv. 524 ss. e 531 ss.) dove l´argomento è affrontato dal punto di vista della "legge dei Greci" o "legge panellenica". Si è anche congetturata l´esistenza di un´occasione specifica, i contrasti circa il ritorno in patria dei resti di Temistocle, il difensore di Atene, l´eroe di Salamina, datosi al re persiano e morto suicida, ciò di cui narrano Tucidide e Plutarco.

Il diritto funerario era collocato in un punto nevralgico del sistema giuridico del tempo, al confine tra il diritto del genos e il diritto del demos, il primo tradizionale e arcaicizzante, il secondo convenzionale e modernizzante. Il significato storicamente determinato di Antigone è dunque vasto. Le riforme di Pisistrato e l´inizio dell´esperienza democratica, fin dall´inizio del V secolo, stavano spostando l´equilibrio, in nome dell´isonomia, a sfavore del diritto arcaico, non scritto, di matrice aristocratica. Dato il potere del tiranno o la volontà della maggioranza, il rischio della legge arbitraria doveva essere oggetto di riflessioni preoccupate. Tanto più che si manifestavano i primi effetti disgreganti della compagine cittadina e del suo nomos determinati dalla critica di sofisti. Mettendosi in discussione le credenze tradizionali in vista della formazione, per così dire, dell´"uomo di cultura" e diffondendosi punti di vista relativisti, si finiva per esaltare il diritto come pura volontà, rischiando di assecondare le propensioni tiranniche della democrazia.

È chiaro, tuttavia, che, per le generazioni che si sono abbeverate alle fonti tragiche, l´essenziale non è il contesto storico di allora. Le innumerevoli Antigoni che dalla prima sono state tratte hanno trovato la loro verità non in una pretesa corrispondenza con un nucleo originario di pensiero autentico e storicamente determinato, consegnato al testo sofocleo, ma nella capacità sempre nuova di rappresentare lo specchio di permanenti contraddizioni dell´esistenza umana, ovvero nella possibilità di mettere in rilievo le vie che fatalmente portano all´epilogo tragico, per distogliere dall´imboccarle finché si è in tempo.

Questo è il legittimo "uso attuale" delle grandi figure del teatro classico: l´interrogazione dei testi a partire da domande concrete che cercano risposte in una riflessione generale e le trovano anche oltre quel che originariamente i testi intendevano significare, in relazione alle specifiche condizioni in cui furono scritti. In Antigone, tale fecondità di pensiero concerne le vicende del potere e della resistenza al potere. Così, quella che è stata definita la più filosofica di tutte le tragedie classiche si è dimostrata anche essere la più politica di tutte, anche se non immediatamente politica. Essa tocca i caratteri primigeni della politica ed è quindi sempre politicamente rilevante.

Delineando nel modo più netto la figura della coscienza pura che si ribella alla prepotenza del despota, essa è stata ed è esempio e sostegno di chi disobbedisce per ragioni morali e pone in discussione così la legittimità del potere che pretende obbedienza. Individuo e collettività: tra questi estremi stanno i problemi maggiori di ogni filosofia politica e sta, per l´appunto, la vicenda di Antigone. (...)

Al centro dello scontro tra Antigone e Creonte c´è un corpo, conteso tra pietà familiare e ragion di stato. Antigone, sorella, lo vuole sepolto; Creonte, re, insepolto. La prima fa valere la legge del sangue; il secondo, la legge della città. Per quanto lontani dalla pietas antica verso i defunti, neppure oggi potremmo sminuire il contrasto. Nella cultura antica, il defunto privo di onori funebri era destinato a vagare senza patria: non più quella dei vivi e non ancora quella dei morti. La profanazione del corpo di un morto è oltraggio a quanto c´è di più santo nell´identità di una famiglia. Lo spregio più odioso è la profanazione dei sepolcri. Il diritto funerario è fondamento di tutte le civiltà, dall´antichità più remota. Se noi meno ne avvertiamo l´importanza fondativa delle società dei viventi, se la sorte dei cadaveri è diventata quasi esclusivamente problema di spazi e igiene pubblici, è solo perché l´effimero mondo dei vivi è venuto ad assorbire ogni energia, speranza e attenzione.

Il ludibrio del corpo che marcisce insepolto è rituale di annientamento. Essere consegnati alle mani dei propri cari, dopo morti, è invece l´ultima difesa contro la disperazione, è tornare a casa, alla "terra nativa" (v. 1203) dove c´è pace e vita che continua nella pietà del ricordo. «Cara mamma», scrive un condannato a morte della Resistenza di 18 anni, «oggi 17 alle ore 17 fucilati innocenti. La mia salma si trova [notare il tempo presente] di qua dalla scuola cantoniera dove sta Albegno, di qua dal ponte. Potete venire subito a prendermi [notare: non a prenderla]. Mi sono tanto raccomandato, ma è stato impossibile intenerire questi cuori. Mammina, pregate per me, dite ai miei fratelli che siano buoni, che io sono innocente. Mentre scrivo ho il cuore secco, mamma e babbo cari venite subito a prendermi. L´anello datelo alla mia Maria, che lo tenga per ricordo».

Alle prese con un cadavere, carico di ricordi e significati simbolici e affettivi, è Antigone, una giovane donna di nobili natali (gli eroi tragici sono sempre tali, quasi che la gente semplice - come il nunzio nei vv. 223 ss. - non sia capace di sentimenti elevati), promessa sposa del figlio di Creonte stesso, Émone, anche lui una vittima. Fino ad allora, nulla diceva che fosse un´estremista, una ribelle. Non esistono, né in Antigone né in tutto il ciclo di Tebe, segni della predestinazione a un simile ruolo: anzi, i precedenti la mostrano fanciulla saggia, desiderosa di preservare sé e la sua famiglia da ulteriori sciagure decretate dal destino. I giovani devono sopravvivere alle maledizioni dei padri. Veniva infatti da una genia particolare e la maledizione di Edipo che, per i suoi inconsapevoli delitti, si era strappato dagli occhi (I sette contro Tebe, stasimo II), incombeva sui suoi figli-fratelli e sulle sue figlie-sorelle. L´Edipo a Colono preannuncia il conflitto mortale tra Eteocle e Polinice, figli di Edipo, per il governo di Tebe dalle sette porte. Antigone aveva cercato di dissuadere il fratello prediletto, Polinice, dallo scontro mortale, ma senza successo: «Nelle mani di dio, del nostro dèmone, sta l´essere e il mutarsi delle cose», questi aveva risposto (vv. 1849-1850). Levato un esercito di Argivi, l´aveva mosso contro Eteocle e Tebe. I due fratelli si erano affrontati in armi e si erano dati l´un l´altro la morte. Creonte, fratello della lor madre Giocasta, aveva assunto il potere e, come primo atto decretando funerali solenni per Eteocle, il difensore della città, e l´esposizione del cadavere alle fiere e agli uccelli rapaci per il traditore Polinice, ad ammonimento per tutti coloro che avessero tramato contro la città e il suo re. Chi avesse violato il divieto di sepoltura sarebbe stato messo a morte.

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