Il titolo dell' Unità di martedì scorso «Fazio se ne va, ritorna la Banca d'Italia» esprimeva solo una speranza, certo generosa, ma niente di più. La verità è che siamo al tramonto di Bankitalia, che Fazio, al massimo, ha solo accelerato e reso clamoroso. La Banca d'Italia, da quando c'è l'euro non ha più il governo della moneta (con il quale faceva politica economica), ora perde anche il controllo sulla concorrenza che passa all'Antitrust. Qualcuno potrà annetterla agli enti inutili. Forse esagero, ma il punto di maggiore interesse e preoccupazione è che la caduta di Bankitalia mette in piena luce un quadro complessivo di liquidazione o indebolimento dei poteri sui quali si è fondato l'equilibrio democratico del nostro paese. I partiti politici praticamente non ci sono più, il parlamento è fortemente indebolito, la stessa Confindustria non si sa bene che cosa rappresenti (i poteri dei capitalisti si esprimono più attraverso stampa e televisione che non attraverso l'associazione). Si può aggiungere che anche i sindacati non hanno più la forza che avevano negli anni `70. Il tramonto di Bankitalia appare come il compimento del franare della costituzione materiale del paese. E tutto questo - già preoccupante - ha due aggravanti.
Innanzitutto il famoso declino, che continua e si esprime in una stagnazione o calo della produttività. Un calo della produttività che se continua, come si prevede, ci sbatterà in faccia la questione salariale e la prospettiva di un blocco o riduzione dei salari non può procedere nella pace sociale; comporterà scontri e domanda di autorità.
In secondo luogo siamo - a livello europeo - a una crisi, direi una cancellazione, della politica economica, se non addirittura della politica. Prendiamo il caso delle banche: le banche centrali dei singoli stati hanno poteri assai ridotti e non hanno più il governo della moneta: non possono più svalutare o rivalutare, alzare o abbassare i tassi di interessi. Ma, nel contempo la Banca centrale europea ha solo una funzione antinflazionistica, cioè solo di freno e non di promozione. E così è anche a livello degli stati: gli stati nazionali debbono stare dentro le regole di Maastricht, ma non c'è uno stato federale europeo in grado di fare politica economica europea. Gli stati nazionali sono ingabbiati e non c'è uno stato europeo in grado di fare una politica continentale, sia pure articolata nelle varie regioni che lo compongono.
Sarò troppo incline al pessimismo ma una situazione caratterizzata dal frammento dei poteri componenti dell'equilibrio costituzionale di un paese e dalla estrema difficoltà o impossibilità di sviluppare politiche in grado di contrastare il declino economico e la caduta della produttività non promette nulla di buono. All'orizzonte si riaffaccia il fantasma delle tentazioni autoritarie, anche in situazioni e forme fortemente diverse da quelle che abbiamo sperimentato nel passato.
Eccesso di «disfattismo», come si diceva in tempi di guerra? Forse, ma il modo con il quale l'attuale governo ha chiesto la fiducia per il disegno di legge sul risparmio non è un buon segno.