Con il placet della Giunta, la nuova legge toscana sul governo del territorio comincia il suo cammino «parlamentare». Non è e non sarà un evento istituzionale di poco momento. Si tratta di definire come continuare e come innovare cultura, principi e metodi cui debbono ispirarsi e attenersi Comuni, Province e Regione nell´amministrare la maggiore ricchezza di cui disponiamo e che più ci identifica e accomuna come toscani.
La nuova legge regionale sviluppa principi e regole della legge 5 del 1995 - una delle leggi in materia più apprezzate e studiate in Italia - e ne dà aggiornamento sia al mutato quadro costituzionale (il nuovo titolo V) sia a quanto nel frattempo avvenuto nel territorio toscano. Inoltre, aggrega al suo interno l´insieme delle disposizioni normative regionali vigenti nella disciplina urbanistica ed edilizia, proponendosi come il «codice» di riferimento per amministratori e operatori. I profili valoriali legati al come, quanto e perché pianificare l´uso del territorio e delle sue risorse non sono nuovi. Ma vi vengono declinati con maggiore nettezza. A cominciare da una nozione di «sviluppo sostenibile» che pur gravido di significati molteplici ed evocativi, è comunque ancorato ad una chiara tipologia di beni pubblici non negoziabili o comunque da garantirsi quali che siano le buone ragioni dell´innovazione territoriale. A questo servono quelle «invarianti strutturali» alla cui definizione è tenuto ogni governo locale quando disegna nuovi interventi insediativi o di trasformazione territoriale: che mai possono ridurre «...in modo significativo e irreversibile» (art. 3, coma 3) aria, acqua suolo ed ecosistemi della fauna e della flora; città e sistemi insediativi; paesaggio e documenti materiali della cultura; sistemi infrastrutturali e tecnologici. E mai lo possono fare non come salvaguardia di un bene collettivo nella sua formale o statica preesistenza. Ma come tutela di beni fruiti dalla collettività per la sua crescita e che debbono continuare ad esserlo.
Tuttavia, per nutrire simili ambizioni di governo, valori, principi e auspici non bastano. Occorrono strumenti. Se non vogliamo altre villette a schiera sui crinali delle colline o aree industriali a macchia di leopardo nei territori di comuni limitrofi. Questi strumenti la nuova legge toscana li individua non in nuove gerarchie tra potere regionale, potere provinciale e potere comunale.
Che la Costituzione del nuovo titolo V ha immolato sull´altare della sussidiarietà verticale. Bensì in quella che Dante Alighieri chiamava governazione e che noi - solerti meticci - chiamiamo governance.
In una parola: differenti ma analoghe missioni tra a) quello che è il governo del territorio a livello regionale (la «grande visione» di ciò che almeno si vuole non accada nell´insieme del territorio regionale, per incanalare entro visioni condivise di medio e lungo andare le sollecitazioni al cambiamento e alla trasformazione cui è perennemente sottoposto il suo tessuto); b) quanto di analogo compete alle Province sulla propria scala territoriale di riferimento e nella propria capacità di coordinamento tra le opzioni e le compatibilità delle scelte municipali; e c) quanto spetta decidere ai singoli Comuni, a più diretto contatto con chi materialmente costruisce, consuma e trasforma. Il tutto, però, non su basi autoritarie bensì mediante un intenso e costante lavorìo di confronto e concertazione tra analisi, programmi e strategie in cui ciascuna istituzione reca il contributo della propria capacità di visione e del proprio impegno di aggregazione e rappresentanza. L´immagine complessiva è quella di un grande cantiere che privilegia, piuttosto che specifiche capacità di comando, una regìa regionale costruita attorno a valori condivisi con le amministrazioni locali e a standard conoscitivi elevati circa i fenomeni territoriali da governare. Una regìa, dunque, che immagina la possibilità di prevenire i conflitti tra istituzioni mediante procedimenti duttili e articolati nella formazione degli strumenti e degli atti di governo del territorio e attraverso una complessiva omologazione nei criteri.
Può bastare? Più che altro «deve» bastare. Siamo il paese europeo in cui i Comuni hanno sovranità garantita circa le proprie opzioni urbanistiche finali.
Per cui una regione che non si diverta a lanciare inerti proclami non ha strade di altro tipo. La legge comunque prevede strumenti di arbitrato sui conflitti tra istituzioni di governo che appaiono innovativi e potenti, almeno sul piano della loro capacità di political suasion regionale, come la «Conferenza paritetica istituzionale». O strumenti di coordinamento consensuale e integrazione preventiva tra strategie pianificatorie di enti diversi, come gli «Accordi di pianificazione». Anch´essi legati alle risorse di argomentazione politica di chi li promuova e di chi vi partecipi. Inoltre va anche rammentato che la nuova legge entrerà in vigore con una situazione normativa, pianificatoria e operativa già abbondantemente strutturata. Il lavoro essenziale dei prossimi anni consisterà nel mettere coerentemente in opera opzioni già in gran parte consolidate e nel correlarle a quelle politiche di sviluppo e innovazione, in una pluralità di settori (dall´impresa alle infrastrutture) dell´azione regionale, che la legge in modo corretto e innovativo riassorbe nei doveri regionali di governo del territorio. Per questo le chances di successo di questa legge dipendono, forse ancor più di sempre, dai modi con cui si regoleranno e adopreranno strumenti analitici e tecniche conoscitive (e dunque, prima di tutto, che uso ne faranno dirigenti, tecnici, esperti - a cominciare dai «responsabili dei procedimenti» - e non solo i politici dei vari enti) che essa attiva per governare sapientemente il territorio e per dare gambe al suo disegno di governance.
Tra queste, cruciale è una nozione di «valutazione integrata» che meritoriamente la legge delinea come istituto necessario e pregiudiziale alla formazione degli strumenti del governo del territorio. Dove «integrata» sta per consapevole degli effetti anche ambientali, economici, sociali oltre che territoriali delle opzioni di governo: anche di quelle che attengono a politiche non propriamente territoriali o urbanistiche ma che un impatto territoriale ce l´hanno comunque. Ed è proprio su questo snodo, su questa capacità di innestare, sul pernio della valutazione, politiche di segno diverso ma accomunate da una comune «pre-occupazione» territoriale, che si gioca gran parte della partita che la nuova 5 ha voluto ingaggiare. Come dare a tale nozione una concettualizzazione operativa e sistematica, per evitare che essa diventi un mero adempimento procedurale, è altro capitolo. In gran parte da scrivere