il manifesto, 26 maggio 2017, con postilla
È bene che la riflessione a sinistra salga di qualità. Non è pensabile che il dibattito sulle “fondamenta” si riduca a questioni di schieramento. Un discorso cartesiano sul metodo si impone: la coalizione con il Pd non è il problema principale sul quale acciuffarsi. Prima delle alleanze viene il progetto, cioè l’idea che si coltiva della sinistra nell’Italia e nell’Europa di oggi.
Partire dalle fondamenta dovrebbe significare questo. Interpretare con efficacia la funzione che, in una data congiuntura storico-politica, è necessario svolgere.
In Europa le formazioni del socialismo sono in gravi difficoltà. Alcune sono già scomparse, altre attraversano dilemmi esistenziali profondi. Crescono offerte politiche più radicali, spesso in netta contrapposizione con una sinistra storica ritenuta troppo omologata agli imperativi di un sistema sociale contro cui cresce la rivolta.
In Italia manca un partito del socialismo europeo, essendo la confluenza del Pd nelle sue fila solo un ritrovato tattico. E vuoto è rimasto anche uno spazio più a sinistra paragonabile a quello occupato in Germania, Francia, Spagna. Tra un Pd troppo al centro e con una cultura liberale non riconducibile al socialismo europeo, e un M5S troppo ambiguo per essere percepito come una variante italiana di Podemos, esiste un margine per la costruzione di una più grande aggregazione della sinistra.
L’imperativo è di recuperare una autonomia politica e culturale rispetto al Pd e al M5S. In un quadro politico che pare confermare la propria ossatura tripolare, la sinistra deve uscire dalla coazione ad anteporre la questione delle alleanze (e cedere così al richiamo del voto utile) allo sforzo di precisare il suo ruolo politico-culturale di medio-lungo periodo. Non perché le alleanze siano da escludere (persino Lenin reputava impolitica ogni velleità di escludere per principio le intese e i compromessi). Ma perché non sono il punto di partenza, ma una eventualità da prendere in considerazione solo dopo aver misurato i rapporti di forza.
I rapporti di forza, appunto. Ci sono le condizioni per edificare una sinistra paragonabile alla Linke o alla sinistra francese e spagnola però anche più accorta politicamente e più curiosa nella sua cultura (contano ancora le ceneri di Gramsci?). Occorre una coalizione della sinistra, plurale e non residuale, radicale e però non sterile nel suo minoritarismo. Le fondamenta su cui deve poggiare la ricomposizione della sinistra sono le due grandi fratture che hanno spaccato il Pd e rotto la sua coalizione sociale: il Jobs Act e il plebiscito costituzionale.
Una nuova soggettività politica per decollare prima politicizza le fratture, cioè dà rappresentazione ai movimenti profondi che spostano i consensi perché scaturiti da questioni non effimere, e poi in parlamento si cimenta con i rapporti delle forze emersi dal voto.
Se si giunge a ottobre (o a primavera) con sterili accapigliamenti sulle coalizioni preventive con il Pd, o con repentine intese tra vecchie sigle indotte ad accordarsi solo per lo spavento della clausola di sbarramento, per la sinistra è finita. Serve perciò un salto logico, degno di un pensiero politico egemonico: la priorità è quella di dare espressione politica alle “fondamenta” (rotture su costituzione e lavoro rimaste impresse nelle coscienze collettive).
È destinato al fallimento il disegno tattico e politicistico-razionale di arrendersi a una lista autonoma solo come reazione al rifiuto del Pd di allargare alla sua sinistra le alleanze elettorali. Più che la dimenticanza delle lezioni del passato (l’arcobaleno naufragò come risposta tattica alla vocazione maggioritaria di Veltroni) colpisce la mancata comprensione dell’oggi. È in corso una lunga crisi di sistema che scongela le antiche culture politiche in Europa.
A questo sommovimento epocale occorre fornire una interpretazione politica. I fuoriusciti dal Pd, Si, i comunisti, le liste civiche o rispondono con intelligenza alla emergenza dello scongelamento delle culture politiche europee o precipitano nell’irrilevanza di chi ha il timore di osare nuove cose in tempi di svolta.
postilla
Più che ragionevole domandarsi prima "chi siamo e che vogliamo", e solo dopo "con chi vogliamo lavorare". Poco ragionevole non porre, tra le questioni nodali da affrontare e su cui schierarsi/riconoscersi, quelle planetarie del disastro ambientale e della crescente forbice tra popoli ricchi, o almeno benestanti, e popoli poveri, o addirittura privi di tutto. In una parola, quelli del capitalismo giunto alla sua fase attuale. Hic Rhodus, hic salta. E' su questo punto che è avvenuta la frattura tra il renzismo e la tradizione/posizione del comunismo italiano, da Gramsci e Togliatti a Berlinguer. Dopo di che, una volta definito la "identità", si potrà ragionare sul con chi allearsi per fare qualche passo significativo nelle direzione giusta (e.s)